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Nome: Augusto Corbey
Data: 13-09-2006
Cod. di rif: 2575
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: L'abbigliamento maschile e le opinioni.
Commenti:
Gran Maestro,

a parte la questione della tauromachia, che un uomo di mondo come lei ammetterá essere un po' tirata per i capelli, e qualche temo irrisolvibile distonia nell'assortimento umano, questo spazio é assolutamente geniale. La seguo con grande curiositá.

A questo proposito, mi permetterei di farle perdere un po' di tempo con una domanda oziosa.

Se nel Cavalleresco Ordine vigesse un sistema meritocratico - magari io lo ignoro ed é proprio questo il caso - verrebbe favorito il discepolo che con piú dedizione si applica o quello che raggiunge i risultati migliori?

La domanda é tendenziosa oltre che oziosa ma mi aiuterebbe a capirla. Credo si possa tradurre: se alla sua porta bussassero centinaia di persone al giorno chiedendole di diventare Cavalieri lei farebbe suo un manipolo di elegantoni d'altri tempi o si accompagnerebbe ad un nutrito gruppo di ignoranti entusiasti?

Molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 05-10-2006
Cod. di rif: 2593
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Camicie
Commenti:
Gran Maestro,

Sarei molto felice se volesse dedicare uno spazio fotografico sul taccuino ai colli di camicia. Sarei alla ricerca di modelli di collo che presentino una certa duttilitá.

La mia ricerca si muove in una direzione che trovo piuttosto difficile visualizzare a pieno e spiegare alla mia camiciaia: un collo non botton down che presenti la stessa flessibilitá di un collo botton down.

Ecco le caratteristiche principali del mio collo ideale: 1) perfetto da chiuso con cravatte da 7cm ca. e nodo half of a windsor - il taglio della giacca ha un suo ruolo ma per semplificare limitiamoci ad affermare che si tratti di monopetti 3 bottoni (portati a mo' di 2) di ispirazione britannica anni '60; 2) perfetto senza cravatta con i due bottoni in cima sbottonati; 3) abbastanza morbido da evitare effetti ministeriali sia da chiuso che da aperto; 4) pistagna bassa il piú possibile.

I problemi che ho trovato finora sono i seguenti: 1) nella versione abbottonata, l'uso di materiali molto leggeri per l'anima interna risolve il problema della ministerialitá ma porta il collo ad arricciarsi inevitabilmente verso l'alto, l'effetto e fastidioso. Vorrei che la morbidezza si sviluppasse al contrario e le punte tendessero ad incurvarsi a palloncino verso il basso piuttosto (un buon esempio sono certe camice di Gianni Agnelli, anche quella nel taccuino rif. 2715 va bene come idea ma sembra essere un botton down);
2) nella versione sbottonata, il problema della morbidezza é ancora piú sentito. mi piacerebbe creare l'effetto che certi signori ottengono portando le botton down con i bottoncini slacciati ma senza cadere nella trappola di sembrare Luca Cordero; 3) in generale, sono ancora insoddisfatto dalla forma del collo e sono in cerca di ispirazione.

Mi rendo conto che la soluzione ideale sarebbe quella di optare per modelli diversi per usi diversi ma credo fermamente si possano ottenere ottimi risultati con un attento compromesso.

La ringrazio molto per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 06-10-2006
Cod. di rif: 2596
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Camicie
Commenti:
La solidarietá dimostrata dai signori Saveré e Zichittella mi commuove.

Ho dato una rapida occhiata in giro cercando immagini di Billy Eckstine e, dal pochissimo che ho visto, i risultati sembrerebbero incoraggianti. Sarei grato al Signor Savaré se fosse in grado di mostrarci qualche immagine sul taccuino.

L'ottimo intervento del signor Zichittella, le cui camicie mi sembrano molto ben concepite nel loro genere, mi permette invece di fare un ulteriore specificazione. Sono alla ricerca di colli dalle vele e, piú in generale, dall'ensamble meno ingombrante. Rispetto al mio ideale, la camicia fotografata dal signor Zichittella é in effetti un po' troppo importante. Non ne sono certo ma mi sembra le mie camicie misurino 3.7cm di altezza dietro e poco meno di pistagna. La lunghezza delle vele é anche decisamente inferiore a quella proposta nell'appunto n. 2722. Inoltre, il signor Zichittella sembra avere il mio stesso problema quando la camicia é aperta: le punte tendono leggermente ad arricciarsi all'insú.

Un ulteriore chiarimento. Quando al punto 2) delle caratteristiche principali del mio collo ideale scrivo "i due bottoni in cima sbottonati" mi riferisco semplicemente ai primi due bottoni della camicia. Non sono un amante delle pistagne a piú di un bottone e temo la mia frase fosse fraintendibile nell'altro senso.

Grazie infinite per la vostra attenzione.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 06-10-2006
Cod. di rif: 2598
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Camicie
Commenti:
Signor Villa,

la ringrazio per il suo contributo.

Seguo il suo punto quando dice che con la cravatta il rischio che le vele si alzino dallo sparato é dietro l'angolo. Detto ció, se proprio si devono staccare - e badi, non necessariamente lo considero un problema, preferisco lo facciano seguendo una linea convessa piuttosto che concava.

Vorrei chiarire che quando mi riferisco a vele corte parlo comunque di 8cm circa.

Se guarda un classico botton down di Brooks o Bancroft di qualche anno fa (ma piú o meno sono rimasti fedeli ai propri stndard anche oggi) e immagina il suo equivalente senza bottoncini - attenzione, senza che si trasformi in una camicia svolazzante stile awaiano - il risultato che dovrebbe ottenere é molto simile a cosa cerco io.

Ovviamente nella traslazione la forma deve cambiare leggermente (é necessario pensare ad un modello meno puntuto) e deve essere aggiunta un'anima all'interno del collo, sia pur molto leggera, sufficiente a conferire un minimo di istituzionalitá alla camicia.

E questa era la teoria. Vi garantisco che passando alla pratica l'ottenimento di risultati soddisfacenti é meno intuitivo del previsto. I problemi sono piú o meno quelli che vi ho descritto in precedenza. Un esempio puó chiarire la questione. Se indossate con un qualsiasi vestito col panciotto, le mie camicie (a meno che non ci metta delle stecche che ne puntellino ed educhino i colli - cosa che ormai faccio prontamente in quelle occasioni) fanno un deprecabilissimo esrcizio: a un certo punto della serata escono dal gilet e gli si piazzano sopra. Il problema é relativo senza panciotto ma rimane un problema. Una cosa del genere non succederebbe se la piega morbida del collo esercitasse la sua eccentricitá nell'altro senso.

Incomincio a pensare che la soluzione piú semplice sia quella di applicare alle mie camicie delle stecche in celluloide leggermente (quasi impercettibilmente) convesse.

Vi prego di dirmi la vostra.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 09-10-2006
Cod. di rif: 2604
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Camicie
Commenti:
Gentilissimo Gran Maestro,

Sono molto soddisfatto. I passi avanti fatti verso il mio collo ideale sono significativi e non avevo dubbi sul fatto che il suo contributo sarebbe stato attento e competente.

Non avevo visto le pagine 180-183 del taccuino nonostante una, a questo punto temo sommaria, ricerca. Mi permetta di riassumere la mia posizione alla luce del materiale fotografico a nostra disposizione.

Il collo di Gary Cooper ritratto nell'appunto 1147 é decisamente (dal poco che se ne riesce a immaginare dalla foto) un bellissimo collo. Il tipo di proporzioni e' quello che cerco - e in veritá utilizzo - da sempre.

Quanto al collo di Cary Grant presentato nell'appunto 2731, devo ammettere che ha praticamente colto nel segno. Dico praticamente perché ritengo si possa ancora risparmiare qualche millimetro di stoffa sulle vele in lunghezza e allargare leggermente lo spazio cravatta. Il collo sembra morbido ma col giusto carattere. Nell'appunto lei fa riferimento alla possibilitá di spiegarci per gradi il collo in oggetto: mi renderebbe molto felice.

Interessantissimo, per altre ragioni il collo del suo innominato amico nell'appunto 1156. La forma non é affatto dissimile a quella dei miei colli (anche le dimensioni sembrano avvicinarsi molto). In sé, non sembrerebbe una brutta camicia. La cosa notevole é che ció che per me rappresenta il problema piú serio pare invece essere oggetto di vanto per questo gentiluomo. Lo slancio verso l'alto delle vele é quasi arrogante. De gustibus...

Mi permetto anche di inserire un paio di piccoli contributi nel taccuino. Le foto ritraggono con alterni risultati il Principe di Galles le cui camicie danno sempre ottimi spunti di riflessione. In entrambi i casi il risultato é ottimo. Sia pur concettualmente diverse da quello che ci siamo raccontati finora, ritengo che le camicie del Principe vadano in qualche modo inserite nell'equazione del mio collo ideale. La compostezza non ingessata dei colli in questione é esemplare. Tenderei a pensare funzionerebbero anche da sbottonate.

In sintesi, direi che la mia veritá é fra Cary Grant e il Principe di Galles (a sorpresa, Gary Cooper é piú o meno li in mezzo). Non appena avró raccolto sufficienti dettagli tecnici, per i quali spero di poter contare sul vostro conforto, metteró la mia camiciaia all'opera e procederó con due campioni. Male che vada, dovró abbandonare la ricerca del mio Graal e arrendermi all'idea che nella vita senza almeno due modelli di collo di camicia non si va da nessuna parte.

Grazie di cuore.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 06-11-2006
Cod. di rif: 2663
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Dinner Jacket
Commenti:
Signori,

a rischio di sembrare pedante e presuntuoso, mi permetto di fare un paio di commenti a quanto visto e sentito sullo spinoso tema della dinner jacket.

Devo premettere un breve corollario. Le occasioni che richiedono l'uso di cravatta nera sono a mio avviso uno dei pochissimi momenti in cui si possa stabilire con un ragionevole margine di dubbio l'eleganza di un uomo. La spiegazione di questo mio precetto puó essere sintetizzata dalla risposta che le donne danno in genere quando gli si chiede chi fosse l'uomo meglio vestito ad un ballo: "mha, a me sembravano tutti uguali...".

Ecco, l'omologazione che lo smoking comporta mette nelle condizioni di isolare solo ed esclusivamente gli elementi essenziali senza farsi distrarre dalle piccole eccentricitá che ogni altro tipo di tenuta ci permette. E qui si potrebbe obiettare che anche con la dinner jacket si puó variare sul tema; la mia contro obiezione é che certe cose vanno se possibile evitate come la peste bubbonica. Calze rosse, foulard colorati, etc. sono solo alcuni dei sotterfugi a cui ho visto ricorrere signori di un certo calibro in cerca di gloria in una notte da ballo. La sobrietá in certi frangenti é l'arbitro di ogni contesa.

Andando sul pratico mi permetterei di suggerire di fare a meno della mascherina nelle scarpe di vernice da sera. Quelle suggerite dal signor Villa all'appunto 2769 mi sembrano perfettamente adatte allo scopo. Quelle all'appunto 2768 per quanto molto belle sono sconsigliabili in quanto evidentemente scarpe da giorno (la pelle nera lucida con mascherina é una scarpa da banchiere della city se capite cosa intendo). Quelle dell'appunto 2766 sono invece uno strano ibrido; sono la versione di vernice delle 2768. Scarpe sportive da sera? Mmmm...

Un altra piccola nota va fatta sul delicatissimo fronte delle camice da smoking. Io credo molto nel piquè di una volta (quello cicciottello, non quelle mezze misure che si trovano oggi nelle sartorie). Mi spingerei a dire che non esistono altre soluzioni. Ovviamente mi riferisco allo sparato ed ai polsini. Per quanto mi riguarda, il resto della camicia puó anche essere in latex. Quanto allo sparato mi permetto di alzare un sopracciglio nei confronti della soluzione all'appunto 2770: si devono tassativamente usare bottoncini da sparato (gli smalti, le pietre e le madreperle scure rappresentano l'unico elemento di rottura, se proprio ne si abbia voglia, rispetto alla sobrietá da me auspicata in queste occasioni); non é comunque accettabile una semplice camicia con i gemelli ed i bottoni in madreperla a quattro buchi (precisazione sui buchi dovuta al fatto che un mio elegantissimo conoscente utilizza certe volte un set di meravigliosi bottoncini da sparato di madreperla emisferici). Concordo sul colletto spezzato: abominevole se non con il frack - e anche li si potrebbe discutere.

Avrei ancora molte opinioni sul tema ma mi sono stancato.

Un ultimissima nota, piú che altro di metodo. Se brancolate nel buio e venite invitati ad un pranzo in smoking non cadete nella tentazione di improvvisare: mettetevi in blu.

Grazie per la pazienza.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 22-11-2006
Cod. di rif: 2710
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Le scarpe nere di giorno
Commenti:

Signori,

mi permetto, data la vis polemica che sembra aver pervaso il castello in questi giorni, di dare un mio timido contributo al dibattito.

Inizierei dalle scarpe.

Il signor Caprari (col quale peraltro simpatizzo dati gli atti di bullismo intellettuale cui é stato sottoposto in questi giorni, in parte meritandoli…) proclama guerra alle scarpe nere prima delle 18.00. Ebbene, consentitemi di dissentire. Se é vero che le scarpe marroni sono fuori discussione dopo il tardo pomeriggio non me la sento di applicare lo stesso principio - invertendolo - alle scarpe nere.

Ci sono circostanze in cui le scarpe nere di giorno sono quasi una scelta tassativa e per ragioni estetiche e per ragioni piú concrete. Aggiungo che ci sono addirittura ambienti in cui le scarpe marroni in generale costituiscono una specie di tabú (mi riferisco per esempio ai templi della finanza internazionale dove chi indossa scarpe marroni é tradizionalmente mal visto). E per quest'ultimo punto c'é una ragione pratica abbastanza intuitiva. La varietá di sfumature di marrone disponibile in natura e, aimé, disponibile nei negozi di scarpe é pressoché illimitata. Ho visto calzature di tinte talmente raccapriccianti da scardinare le mie convinzioni sul liberalismo... In questo contesto il nero tassativo rappresenta un'assicurazione per il datore di lavoro: il nero é nero e non lascia spazio al libero arbitrio. Si evita in questo modo di ritrovarsi con intellettualmente brillanti quanto esteticamente ineducati dipendenti dalle scarpe color miele a sfumature melanzana (mi viene in mente Berluti, e qui alcuni grideranno al sacrilegio), involontari ambasciatori del cattivo gusto aziendale.

Altre occasioni in cui il nero di giorno é d'obbligo sono, e perdonatemi l'ovvietá dell'appunto, le cerimonie tutte. Matrimoni in morning coat, battesimi in blu, funerali in nero (per chi é provvisto di vestito nero) e chi piú ne ha piú ne metta. Il marrone é inammissibile.

Spostandoci nel campo della pura speculazione - e badate, si tratta di mie opinioni strettamente personali - aggiungerei che in generale ho delle difficoltá a concepire alcune tonalitá di grigio con scarpe che non siano nere. Mi riferisco ai grigi scuri, canna di fucile per esempio. E a poco seviranno obiezioni sul fatto che il problema non si pone essendo i colori scuri sconsigliati di mattina perché chi vi scrive non la pensa affatto cosi'. Capisco la logica del precetto ma sono costretto a ripetermi sul fatto che dipende dal contesto. Mi spingerei ad affermare che per me vale lo stesso con i grigi molto chiari e addirittura (per chi puó permettersi di usarli) i bianchi. Ecco, vestito di lino bianco e scarpe marroni é per me un binomio inconcepibile.

Riassumendo, io guardo con sospetto le scarpe marroni piú di quanto non faccia per le scarpe nere.

Ho in animo di scrivere un brevissimo contributo sull'uso del tweed (materiale del quale, peraltro, non capisco assolutamente niente). Spero sarete, come sempre, pazienti.

Molte grazie.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 23-11-2006
Cod. di rif: 2717
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Scarpe nere: la punta dell'iceberg
Commenti:
Signor Granata,

interessante spunto. Mi permetto di commentare quantunque non direttamente chiamato in causa. Speró perdonerá questa mia libertá.

In linea di principio sarei d'accordo con lei. Mi sembra anzi di essere stato abbastanza chiaro - e sommesso, per quanto mi si confaccia - sul fatto che la mia posizione sull'uso delle scarpe marroni é, escluso un certo numero di casi in cui non transigo e auspico intransigenza da parte di chi mi circonda, squisitamente personale. Che questa posizione sia supportata da "un sistema di sensibilita' molto piu sottili e complesse" o da delirium tremens non sta a me giudicare.

Passando alla filosofia, c'é un punto sul quale temo di dover dissentire.

Le regole, come in ogni sistema, sono necessarie. Se é vero che "l'eleganza maschile non é fatta di regole e precetti scritti" é vero anche che ci sono norme consuetudinarie che regolano il saper stare al mondo. Mi sembra di poter dire - e perdonate la superficialitá dell'analisi - che esista un gruppo di valorosi che o per diritto di nascita (ergo grazie alla fortuna di poter attingere direttamente ad un patrimonio di modi, costumi e atmosfere) o per superiore spinta interiore si incaricano di preservare quel poco che di esteticamente accettabile é rimasto nel mondo. Mi piace pensare a voi Cavalieri in questo modo e trovate in me un fervente simpatizzante.

Ora, la sensibilitá estetica uno o ce l'ha o non ce l'ha e l'entusiasmo non necessariamente compensa la mancanza di radici. Esiste un self-made-man dell'eleganza? Certo che si, che diamine! Ma la ricerca del Gral é faticosa é richiede disciplina. Mi vengono in mente parecchi esempi di eccellenza raggiunta partendo dal nulla in campi che non siano necessariamente quello dell'eleganza. Da Jimi Hendrix a Proust, volendo esasperare; ebbene in tutti questi casi la comprensione delle regole di base é conditio sine qua non per il superamento delle stesse ed il conseguente raggiungimento della grazia.

Non ho dubbi che lei signor Granata - e badi non intendo affatto schernirla - sia un creatore d'eleganza e le regole costituiscano un inutile argine alla sua innata creativitá. Dal canto mio, essendo di base un mediocre, forse esagero, diciamo un uomo senza qualitá, continueró a seguire diligentemente i pochi precetti che ho avuto il privilegio di poter carpire, elaborare e assorbire in questi anni e rimarró quello che sono abbastanza contento di essere: un gregario.

Affettuosi saluti.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 04-12-2006
Cod. di rif: 2770
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Dinner Jacket
Commenti:
Gran Maestro,

come si evincerá dalla lettura dei primi paragrafi del gesso 2663, mi sento vicinissimo al suo ultimo contributo.

Il monito sulla sobrietá é di importanza assoluta.

Molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 21-12-2006
Cod. di rif: 2808
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Smoking Elkann - Revisionismo
Commenti:
Gran Maestro,

ci ho pensato a lungo e sono giunto alla conclusione di non essere affatto d'accordo sull'analisi dello smoking Elkanniano. Le spiego umilmente il mio pensiero.

La prima ragione é tecnica. Per caritá la giacca é ineccepibile dal punto di vista sartoriale. Veramente una bella giacca. Ma me la immaginerei addosso a Jude Law alla notte degli oscar. Lo smoking midnight blue ha una sua logica se é abbastanza scuro; conosco almeno 5 o 6 persone che lo prediligono d'estate con discreti risultati estetici. Nel caso Lapesco, trovo discutibile la tonalita che é decisamente troppo sbarazzina rispetto alla drammaticitá di un capo di quel genere e inappropriato il collo sciallato (che oramai ai balli é spessissimo - ed é un peccato anche se non mi fa impazzire - appannaggio del personale di servizio non in livrea). Sulla cravatta non ho parole; temo addirittura sia di maglia. Nel complesso dall'immagine sembra provenire un grido d'aiuto: "notatemi, sono talmente sofisticato che oggi ho deciso di vestirmi un po' come mi pareva".

La seconda ragione - che va necessariamente a braccetto con la prima - é filosofico-psicologica: uno smoking, come si diceva recentemente su questa lavagna, é uno smoking. C'é poco da girarci intorno, c'é poco da fare i creativi, la contesa si disputa su un piano piú sottile. Non c'é alcuna necessita di inventarsi nulla. La mia sensazione é che il signore in questione (che peraltro mi sta molto simpatico ed ha una sua intelligenza e sociale e pratica) abbia due seri problemi che lo separano e tengono ancora abbastanza distante dal mio ideale di eleganza:

a) l'essere nipote di cotanto nonno e quindi il doversi costantemente confrontare con questa mitologica immagine di elegantone e innovatore (basti pensare alla ricerca ossessiva di tocchi di originalitá ereditari e non: l'abominevole bandiera italiana ricamata sul polsino della camicia in risposta all'orologio sul polsino apparentemente coniato dal nonno; la felpa fiat con il cappuccio sotto il vestito blu; le cravatte portate in quel modo assurdo e inutile);
b) l'essere cosi' giovane e ricco.

E sul punto della ricchezza si potrebbe aprire un dibattito. La mia teoria é che, per un uomo sopratutto, condizioni se non proprio di ristrettezza economica almeno di forzata morigeratezza obbligano alla disciplina e trattengono dalla tentazione di farsi fare vestiti superflui e comprare cose inutili e alla moda. Ma comunque…

Che ne pensa lei del mio punto di vista? Mi é almeno un po' vicino?

Grazie mille.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 30-01-2007
Cod. di rif: 2860
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Al Signor de Veiga - Pinces e Colli da Smoking
Commenti:
Signor de Veiga,

spero perdonerá l'ardire ma mi permetto di abbozzare una prima risposta alle sue domande.

Pantaloni Formali Senza Pinces

L'uso di pinces é quasi esclusivamente dettato da questioni di gusti e corporatura. Il "pantalone asciutto", da me inteso come flat-front, é un classico e nessuno potrá tacciarla di essere un rivoluzionario qualora decidesse di adottare questo taglio. Tenga presente che le pinces prima ancora di assolvere ad una funzione estetica hanno uno scopo pratico: rendere i pantaloni piú comodi quando ci si siede, si salgono le scale, si monta a cavallo e quantaltro, problemi questi accentuati in soggetti di corporatura piú robusta. Potendomelo permettere (sono molto magro) ed essendo attratto dalla sua linea, sono fervente sostenitore del pantalone senza pinces anche nei vestiti piú formali e le garantisco che non é soluzione priva di una certa solennitá.

Smoking Sciallato e Collo di Camicia

Ho giá avuto modo di esprimere la mia perplessita nei confronti degli smoking sciallati. Estremizzando, la ragione é essenzialmente la seguente. A mio sommesso avviso, lo smoking sciallato é un ibrido fra la giacca di velluto colorata che il suo anfitrione indosserá a pranzo dopo una battuta di caccia nello Yorkshire (e le garantisco che la prassi non é in disuso) e l'abito che un gentiluomo indossa da qualche decennio a questa parte come piú agile succedaneo del frack quando invitato ad una serie di eventi non facilmente classificabili (balli di 18 anni, serate di gala finto prestigiose, eventi mondani legati al mondo dello spettacolo, pranzi offerti da padrone di casa pretenziose attratte dal'opportunita di mettersi in lungo, concerti, etc.). In un certo senso lo smoking sciallato é l'ibrido fra un classico ed un altro ibrido: il padre di tutti gli ibridi se mi permette l'eccesso. Ció detto, non me la sento di giudicare chi ne faccia uso e mi limito ad osservare che non ho avuto modo finora di trovare esempi esteticamente convincenti di questo capo (anche la giacca Lapesca tanto discussa in questa sede stenta a destare il mio entusiasmo).

Sul collo della camicia da smoking sfioro invece il maccartismo e saró costretto a fare appello alla sua pazienza. Troverá una versione estrema della mia opinione in merito nel gesso 2663. Per come la vedo io, il collo spezzato é ancora una volta retaggio della progressiva sostituzione del frack ad opera del dinner jacket. L'uso di tali colli con una giacca senza code é esteticamente illogico (l'effetto é sbilanciato) e tradizionalmente inconcepibile. Se possibile, il fatto che lo smoking in questione sia sciallato agisce da moltiplicatore e rende la soluzione a mio modo di vedere fuori discussione.

Molte grazie per l'attenzione.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 16-02-2007
Cod. di rif: 2900
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: La Camicia Cifrata
Commenti:
Signor Zanin,

la sua richiesta di soccorso mi si para innanzi in questa noiosa giornata di Febbraio come la terra si appalesa al naufrago. Erano infatti mesi che speravo di aver modo di pronunciarmi sul tema delle camicie cifrate.

Inizierei rispondendo alla sua domanda: a mio modesto avviso il posto migliore dove mettere le cifre é piú in basso possibile all'interno del cannoncino (per intenderci, nei pantaloni).

E qui sono costretto a fornire un postulato che temo mi consegnerá alla storia come eretico: io aborro le camicie cifrate. Mi permetta di illustrare la logica - interamente fatta in casa, ergo opinabile - del mio orrore.

Le cifre nascono - come tutto del resto - per assolvere a funzioni molto piú terrene dell'estetica pura. Entrando nello specifico, in passato 1) le famiglie erano decisamente piú numerose, 2) si ricorreva spesso a lavandaie professioniste, 3) le camicie erano essenzialmente bianche. Mi sembra intuitiva la ragione per cui si sviluppó l'abitudine di far ricamare le iniziali sulla propria biancheria: la riconoscibilitá. Tenga presente che prima del XX secolo era raro per un gentiluomo mostrarsi in maniche di camicia e senza panciotto; le cifre rimanevano assolutamente invisibili al prossimo.

L'abitudine di marcare la propria biancheria fece proseliti fra i privilegiati frequentatori di boarding schools e altre istituzioni assimilabili. Le cifre su mutande e camicie evitavano confusione e spiacevoli dispute in lavanderia.

Con il progressivo rilassamento dei costumi le cifre sono rimaste dov'erano ma hanno iniziato a fare capolino dietro la giacca semi aperta. Il passaggio chiave non é storicamente documentabile ma é abbastanza ovvio affermare che ad un certo punto si deve essere innescato un meccanismo di imitazione che ha portato la cifrature delle camicie ad assurgere al rango di status symbol.

Allo stato attuale: a) non esiste logica alcuna per farsi cifrare le camicie (in casa convivono al massimo tre maschi di etá diverse, gusti diversi e taglie diverse e le camicie vengono lavate da gente che ci conosce o da lavanderie ultra tecnologiche che non escludo applichino la scansione della retina come metodo di riconoscimento); b) se pure ve ne fosse bisogno suggerirei di trovare luogo piú discreto e opportuno per la cifrature (da cui la mia risposta al suo interrogativo).

Facendo come al solito appello alla tolleranza dei frequentatori di questo spazio, sono costretto a concludre che la cifratura puó - e non necessariamente deve - essere accomunata a tutta quella disdicevolissima serie di abitudini dimostrative alle quali il gentiluomo tende a piegarsi a volte per mancanza di carattere a volte per pigrizia. Al pari del vezzo di tenere i bottoni dell'asola della giacca sbottonati per dimostrare il taglio sartoriale (ammeterete in cuor vostro che non v'é altra ragione per fare una cosa simile), le cifre servono solo a dire tacitamente: "io le camicie me le faccio fare su misura". A volte, aiutano anche a dire altre cose. Ho incontrato di tutto sulla mia strada, dalle 7 cifre (predicati compresi) alle corone (la migliore indossta da un Principe del S. R. I. che aveva avuto la diabolica intuizione di farsela ricamare in bianco e rosso su fondo bianco).

Le mie camicie - soprattutto con i nuovi colli elaborati grazie al vostro sapiente aiuto - sono abbastanza decenti per non correre il rischio di essere scambiate per prodotti industriali dall'occhio esperto (l'unico occhio, a parte il proprio, che valga la pena soddisfare). Il mio nome, d'altro canto, é argomento troppo delicato per essere affrontato su 1cm quadrato di cotone.

Grazie mille per l'attenzione.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 26-02-2007
Cod. di rif: 2924
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Al Signor Longo (e di riflesso, ai Signori Maresca, Nocera e
Commenti:
Signor Longo,

la forza delle sue argomentazioni e la brillantezza da lei dimostrata meritano perlomeno una risposta - non che essere destinatario di una mia lettera abbia in se alcunché di gratificante.

Speravo di essere stato abbastanza prodigo di "a miei modesti avvisi", "opinabili", "suggerirei", "appelli alla tolleranza" e altre formule mitiganti. Il tono della sua risposta mi conforta. Certo, la mia opinione in materia é forte e sono piuttosto irremovibile, ma rimane pur sempre un'opinione. Condivido alcuni dei punti da lei sottolineati e le prometto che d'ora in poi - in segno di sportsmanship - mi asterró dall'organizzare roghi in piazza per ardere impenitenti portatori di camice cifrate. Tenteró di intercedere in questo senso anche nei confronti del Signor Nocera.

Una breve nota di scusa merita invece il Signor Zanin. Mi creda, ho cercato di rispondere alla sua domanda e penso davvero che il cannoncino sia un signor posto dove farsi cifrare le camice. Per quanto concerne la prassi in materia di cifre, ammetto di essermi distratto e la risposta del Gran Maestro é ovviamente inappuntabile.

Grazie per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 26-02-2007
Cod. di rif: 2925
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: ...Zanin
Commenti:
Completo l'oggetto della mia precedente.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 28-02-2007
Cod. di rif: 2928
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Accenno di Risposta al Signor Pavone
Commenti:
Signor Pavone,

in attesa del molto piú autorevole giudizio del Gran Maestro, mi permetto di accennare una risposta. La prenda come personalissimo consiglio.

Fossi in lei, data l'ora della cerimonia propenderei per un bel monopetto blu. Escluderei il grigio, colore tipicamente mattutino e sconsiglierei vivamente il gilet grigio chiaro (che la avvicinerebbe pericolosamente ad una specie di mezzo tight, categoria da tenere alla larga il piú possibile).

Sui tessuti si potrebbe discutere a lungo. Sospetto il Gran Maestro le sconsiglierá il cotone data la solennitá dell'evento. Io sono abbastanza aperto e non vedo nulla di male nella scelta di un cotone (a patto che non sia troppo sbarazzino e per tonalitá e per peso).

Per il resto, scarpe nere allacciate lisce, camicia bianca (non plissettata, non a nido d'ape, non elaborata ma di semplicitá francescana) e gemelli d'ordinanza. Eviterei, se possibile, quella che viene comunemente chiamata cravatta da cerimonia (cravatta pesantina sulle tonalitá del grigio chiaro). La trovo in genere brutta e inutile. Ci metta un tocco di colore, tutto sommato é uno dei giorni piú felici della sua vita. Eviterei il giallo, che mi é antipatico.

Attendendo anch'io impaziente la risposta del Gran Maestro, la ringrazio molto per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 04-06-2007
Cod. di rif: 3176
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Al Signor Occhelli - Rif. Gesso 3175
Commenti:
Signor Occhelli,

mi permetto di accennare delle personalissime, ergo opinabili, risposte alle sue domande.

1) La giacca monopetto con revers a lancia, che per una serie di ragioni legate alla sua struttura architettonica ed al suo significato va affrontata con una certa accortezza, puó - ma mi sentirei di dire va - essere portata con la cravatta. quello del papillon é terreno scivolosissimo che richiede smisurate quantitá di personalitá nel soggetto che ne faccia uso. E' facilissimo trovarsi nelle condizioni di essere indossati dal papillon piuttosto che il contrario. Le sconsiglio vigorosamente di approcciare il problema in una fase cosi' acerba dei suoi studi.

2) Le cravatte strette (alle quali Hermes peraltro non sta rendendo giustizia alcuna) stanno probabilmente tornando di moda ma il problema non dovrebbe riguardarla. La vera domanda é: piacciono al signor Occhelli le cravatte strette (di Hermes, Walt Disney, o chicchessia)? Se la risposta é si, le suggerisco di aggiudicarsene una partita e di farne uso orgoglioso oggi e continuare a farlo - se dell'umore adatto - indipendentemente dai trends del momento, per il resto dei suoi giorni.

3) Per essere impeccabili (parola alla quale intuisco lei dia un certo significato probabilmente non condiviso dalla maggior parte dei cavalieri e dei visitatori piú affezionati ma abbastanza intuitivo), la camicia puó avere anche i polsini con bottoni tradizionali? Certo che si! Un botton down con i gemelli rasenta, dal mio punto di vista l'abominio. L'abbinamento blue jeans (capo universalmente sdoganato che trova la mia totale approvazione in alcune selezionate circostanze) e camicia va quasi per forza di cose affrontato senza gemelli. Eleganza é anche capacitá di auto-sdrammatizzazione per come la vedo io. Certo, se la domanda é: posso andare ad un cocktail in blu, ad un matrimonio in tight, ad un ballo in smoking con la camicia senza gemelli, la mia risposta deve essere categoricamente no.

Molte grazie per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 04-06-2007
Cod. di rif: 3180
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: "Casa Agnelli" - 2 pagine dedicate all'Ordine
Commenti:
Gran Maestro, Cavalieri, Visitatori,

mi permetto di consigliare a tutti l'acquisto e la lettura immediata di un libro sulla famiglia Agnelli di recentissima publicazione. Si intitola "Casa Agnelli", é edito da Mondadori e ne é autore Marco Ferrante, giornalista del Foglio di Ferrara.

La segnalazione é obbligata dal verificarsi di 3 circostanze:

1) Si tratta - e troverete conforto nelle recenzioni in circolazione in questi giorni - di un libro eccellente. Andrebbe letto comunque, a prescindere dai punti 2) e 3).

2) Affronta la materia agnellesca - che ha alimentato in passato animati dibattiti in questo forum - con sensibilitá ed attenzione ai particolari che definirei cavalleresche (se esistesse una definizione di letteratura kosher per gli affezionati frequentatori del castello, questo libro passerebbe senza dubbio il test).

3) Dedica al Gran Maestro ed al cavalleresco ordine un paio di pagine, con tanto di citazioni e rimando all'indirizzo internet. I riferimenti all'ordine sono molto dettagliati ed inseriti nel piú ampio contesto dell'analisi di Giovanni Agnelli.

In attesa delle vostre impressioni, vi saluto calorosamente.

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 12-06-2007
Cod. di rif: 3205
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Casa Agnelli
Commenti:
Signor Rosso,

severo non direi. Mi sembrava piú che altro bonariamente divertito. Probabilmente anche dagli eccessi di enfasi che di tanto in tanto si rintracciano fra questre quattro mura. Anche quel suo "non Cavaliere ma misero simpatizzante", mi permetterá, era un po' forte. Seguo le vicende del castello da un po' di tempo e mi vengono in mente interventi che sfiorano il feticismo e farebbero sorridere chiunque dia alle cose il loro giusto valore. Ferrante mi pareva invece - come chi le scrive - rispettoso dei metodi dell'Ordine e in un certo senso anche dei suoi risultati (non avrebbe profusamente citato il Gran Maestro in un libro cosi' impegnato altrimenti).

Gran Maestro,

mi fa piacere ricevere ulteriori dettagli sulla genesi della citazione. Devo dire che nel libro non si sente il problema della prematuritá: in effetti é un opera sull'intera dinastia e non sull'avvocato Agnelli. Ho la sensazione che la troverá una lettura avvincente. Aspetto fiducioso una sua recenzione.

A latere, in che senso trova che la logistica fu fattore primario della grandezza di Agnelli?

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 08-01-2008
Cod. di rif: 3626
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Cappotto Blu o Grigio
Commenti:
Signor Villa,

mi inserisco nel suo carteggio con il Gran Maestro per dire la mia (che come al solito aggiunge poco o niente e può essere ignorata) e per rivolgere al Gran Maestro una domanda più specifica.

La mia opinione è che dovendo scegliere fra cappotto blu e cappotto grigio non c'è alcun dubbio: il blu vince 10 a zero per una serie di ragioni pratiche prima ancora che filosofiche. Se la domanda era formulata oziosamente e con piglio provocatorio le chiedo scusa ma francamente non vedo grandi spunti di riflessione sull'argomento.

Più interessante mi sembra un'altra questione e qui viene la mia domanda: perchè il grigio? Non trova lei Gran Maestro che oltre al fondamentale blu, il nero e il cammello siano più utili e appropriati. A che serve il cappotto grigio? Immagino sia un abito da giorno. Le confesso che non l'ho mai preso in considerazione.

Grazie per l'attenzione.

AC

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Nome: Augusto Corbey
Data: 09-01-2008
Cod. di rif: 3628
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Cappotto Blu o Grigio. Al Signor Villa
Commenti:
Signor Villa,

mi perdoni, avrei dovuto farmi i fatti miei. La mia risposta dava, mi rendo conto oggi, adito a spiacevoli fraintendimenti.

Volevo solo definire il grado di profondità del suo intervento a mio personale uso e consumo. Mi sembrava che la sua domanda fosse abbastanza limpida e la risposta fosse piuttosto intuitiva (il blu è più duttile e nel caso estremo in cui si dovesse possedere un unico cappotto converrebbe far ricadere li la scelta).

Se dietro le sue parole si cela un più complesso costrutto - che, per ora, non vedo, mi scuso.

Rimane la mia perplessità in linea di principio, ed è questa la ragione per cui ho provato a deviare la conversazione - inserendomi, maleducatamente - sulla funzione del cappotto grigio. Si badi, sulla funzione del cappotto grigio in situazioni di emergenza e non in uno scenario in cui blu, cammello e nero siano già nell'armadio. Nulla osta, dal mio umile punto di vista, ad avere un quarto, quinto, sesto e settimo cappotto nelle varie tonalità di grigio (ricordo degli splendidi spigati di mio nonno per esempio). Mi incuriosisce capire se veramente il Gran Maestro (e chiunque altro abbia un'opinione in merito) ritiene che blu e grigio siano soluzioni alternative; tutto qui.

Grazie per la pazienza.

AC

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Nome: Augusto Corbey
Data: 31-01-2008
Cod. di rif: 3649
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Degli aviti vestiti - A Jacopo Signani Corsi
Commenti:
Signor Signani Corsi,

mi permetto di accennare una risposta che rappresenta, per definizione, la mia personalissima opinione.

L'argomento mi appassiona molto essendomi trovato in passato di fronte allo stesso problema. Il suo messaggio è ben formulato.

Immagino (ma le confesso che non ho mai avuto una conversazione a questo proposito) esistano due scuole di pensiero in materia. Una dogmatica, l'altra - la mia - più immanentista.

La prima scuola di pensiero, in ossequio del reazionario purismo formale, in soldoni afferma: la qualità degli abiti di suo nonno unita alla loro vetustità li eleva al rango di opere d'arte. Si sentirebbe lei, appassionato violinista, di prendere uno Stradivari appartenuto a suo nonno e fargli allargare la tastiera in virtù della maggiore cicciottaggine delle sue dita? La seconda scuola di pensiero prova a rispondere in maniera costruttiva al quesito retorico polemicamente posto dalla prima.

La verità passa attraverso quattro fondamentali considerazioni:

1) la vita utile del bene in oggetto - è evidente che per ragioni che hanno a che fare con la natura dei tessuti e la loro reazione all'incedere degli anni (indipendentemente dall'usura), i vestiti hanno una vita utile inferiore ai violini. Qualunque liutaio le dirà anzi che uno strumento a corde utilizzato con frequenza tende a migliorare nel corso degli anni: se lei non lo usa, quello regredisce allo stato di albero. Gli abiti del mio bisnonno, oltre ad essere inutilizzabili per ragioni puramente stilistiche (a meno che non si abbia l'intenzione di andare in giro in maschera) hanno perso la loro vitalità, sono fragili e si polverizzerebbero al primo tentativo di lavaggio. I vestiti di mio nonno invece sono ancora utilizzabili e, a causa di un timbro stilistico più vicino al nostro immaginario, sono anche mettibilissimi.

2) l'entità del danno che la modifica comporterebbe - l'allargamento della tastiera cambia il suono del violino? Non ne ho idea. Se si, quanto lo cambia. Immagino si possa raggionare in termini di intervalli di accettabilità del danno arrecato e lo stesso concetto possa sereneamente essere applicato alle giacche di suo nonno.

3) l'entità della sua passione - qui si tratta essenzialmente, riprendendo concetti introdotti da Ronald Coase e dai Chicago Boys, di ragionare in termini di efficenza allocativa delle risorse. Trarrà più utilità marginale lei dall'uso dello Stradivari incicciottito o qualcun'altro dall'uso, dal possesso o dalla mera visone in bacheca dello Stradivari puro? Qui sta a lei stabilire la purezza delle sue intenzioni.

4) la probabilità che nella sua linea di successione ci siano uomini di taglia perfettamente compatibile con quella di suo nonno - il che si ricollega al punto 1). Magari per i suoi figli i vestiti sono ancora mettibili ma chi le garantisce di non sfornare degli incivili appassionati di cultura sub-metropolitana e totalmente refrattari al fascino del ben vestire?

In definitiva, la mia risposta deve essere si. Se i cambiamenti non sono rivoluzionari, modifichi pure. Chi se ne frega di lasciare un patrimonio simile ai suoi figli che con ogni probabilità non lo capiranno e non lo sfrutteranno. L'unica mia raccomandazione è quella di trovare un sarto capace nella ristrettissima cerchia di quelli che sono filosoficamente pronti a fare delle modifiche a vestiti non propri (molti maestri lo considerano addirittura offensivo).

Sono curioso di sentire altre opinioni in merito.

In bocca al lupo.

AC

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Nome: Augusto Corbey
Data: 12-03-2008
Cod. di rif: 3690
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Fazzoletti e affini
Commenti:
Sul tema degli ornamenti da taschino, ri-segnalerei un sito cui venimmo introdotti dal signor Mocchia con illuminanti indicazioni su come piegare e sistemare fazzoletti e affini:

http://www.lordwhimsy.com/trifles/tutorials.html

In cuor mio, mi sento di sconsigliare con veemenza l'uso di certe cose ad un pubblico inesperto. Fungono da moltiplicatori. Esaltano il bello, distruggono il brutto e drammatizzano il mediocre.

AC

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Nome: Augusto Corbey
Data: 19-03-2008
Cod. di rif: 3699
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Contro-precisazione. Al Sig. Nocera
Commenti:
Signor Nocera,

le confesso che l'argomento stenta ad appassionarmi. Cionondimeno vorrrei evitare, non rispondendole, di usarle una immeritata scortesia.

Il sito www.lordwhimsy.com venne introdotto, sia pur non in riferimento specifico al tema dei fazzoletti, dal Signor Mocchia in un gesso 11 giorni precedente al suo appunto sul taccuino.

A scanso di equivoci, mi scuso comunque per l'omissione (devo dire che non avevo letto il suo appunto).

AC

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Nome: Augusto Corbey
Data: 15-04-2008
Cod. di rif: 3762
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Berluti - Timido tentativo revisionistico
Commenti:
Gran Maestro,

ho una domanda che volevo porle da tempo. Ho dovuto trattenere il mio quesito per qualche mese - e qui mi auguro che almeno il tentativo sia meritevole di apprezzamento - non riuscendo a tradurlo in una sintassi scevra da parvenze polemiche.

Tenterò di essere quanto più distaccato possibile e mi avvarrò del paradosso e della metafora per trasferire il mio pensiero. Mi aspetto da lei una risposta intellettualmente onesta - come è del resto sua abitudine - e il meno ideologicizzata possibile.

Da qualche tempo, quando insieme alla mia fidanzata cammino per le vie della città, mi capita di passare di fronte ad un negozio Berluti e riflettere sulla corruzione dei tempi. Devo infatti confessare - ma devo dire che in passato mi era già capitato di accennarlo in questa stessa sede - che considero il ready-to-wear di Berluti un abominio. Allegherò alcune immagini nel taccuino per avvalorare la mia tesi. E mi permetterei di eliminare completamente l'elemento gusto da questa conversazione perchè quelle scarpe sono tutte assolutamente impresentabili (a meno che non si aspiri a sfondare nel mondo della televisione come tronista di Maria De Filippi).

Mi rendo conto che lei ha sempre tenuto a fare una precisazione fra il su misura e il pronto consegna di questa storica ditta e che il giudizio tecnico sembra per qualche ragione prevalere nel suo apparato divensivo su quello artistico ma rimango attonito di fronte alla leggerezza con cui più volte in questa sede si è, con un buffetto sulla guancia ed una pacca sulla spalla, perdonato il contributo che i Berluti danno (oggi, non nel 1895) all'affermazione di parametri estetici che andrebbero combattuti a spada tratta da un Ordine come il vostro. Berluti scardina le mie convinzioni sul liberalismo esattamente come lo fa Roberto Cavalli.

La mia domanda è abbastanza banale: se Bin Laden fosse presidente di un'organizzazione benefica che salva 20 bambini l'anno, si sentirebbe lei di considerarlo un benefattore? E se il nonno di Bin Laden fosse stato capo della CIA, si sentirebbe lei di definirlo un anti-terrorista?

Io, francamente, no.

Con affetto (intuitivo).

A.C.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 05-05-2008
Cod. di rif: 3783
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Matrimonio Atipico
Commenti:
Gran Maestro,

le sottopongo una questione abbastanza spinosa.

Un mio conoscente che non frequenta il castello ma che ne condivide a pieno i principi mi ha messo in difficoltà con una domanda.

Si sposerà l'estate prossima su di un'isola del mediterraneo ed è in leggero imbarazzo.

Se il matrimonio si fosse svolto in città o in campagna la scelta sarebbe ricaduta naturalmente sul tight (tutti gli invitati ne posseggono uno ed è abito d'uso abituale nella cerchia di amicizie degli sposi). Il fatto che la cerimonia sia così sui generis impone però una soluzione meno solenne (trattasi peraltro di ricevimento piccolissimo e molto raccolto).

La scelta è ricaduta su un lino blu. Io la condivido a pieno, la trovo in realtà l'unica soluzione possibile. Mi permetto di ripetere che la persona in questione è uomo in grado di gestire un lino blu in maniera disinvolta e con il giusto tono di understatement.

Venendo alla vera domanda, lei andrebbe per un due bottoni o per un tre bottoni e perchè. Inoltre, consiglierebbe il risvolto ai pantaloni? Lo sposo tituba: lo trova adatto ad un lino ma meno adatto ad un matrimonio (riassumendo peraltro l'intero problema).

Molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 05-05-2008
Cod. di rif: 3785
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: L'isola del lino - Risp. Gesso n. 3784
Commenti:
Gran Maestro,

io lo dicevo che si trattava di una questione spinosa.

Capisco il suo primo punto anche se devo dire che essendo io stesso stato ospite di matrimoni in morning coat sia in campagna che in spiaggia (uno solo in Italia) le devo confessare che trovo il rapporto fra sabbia e code meno intuitivo rispetto a quello, più naturale, che intercorre fra erba e code. Del resto lei si risponde da solo quando fa notare che in Italia, si è meno avvezzi alla flessibilità del morning coat e che si finisce spesso per interpretarlo nella versione più banale di giacca nera, pantaloni a strisce e gilet grigio chiaro (attrezzo, quest'ultimo, che mi sento di sconsigliare comunque). La platea sarà certamente internazionale ma preponderantemente di origine italica. Il fatto che il pubblico sia poi in larga misura sulla trentina e che si tratti di conseguenza di abiti ancora perlopiù ereditati (ergo in tessuti di pesantezza epica), rende la soluzione abbastanza sgradevole. E qui capisco l'argomento dello sposo. Un gruppo di giovinastri alticci in abiti nero/ardesia caldi come armature medievali che girano per un isolotto greco ospiti di un matrimonio che avrebbe l'ambizione di essere molto sommesso, non è esattamente ideale.

Sul lino, comprendo il suo scetticismo ma sono costretto a insistere. In effetti, il fatto che la cerimonia si svolga su di un isola, rende agli occhi dello sposo (un ortodosso dell'etichetta) il matrimonio stesso una specie di caso a sè. Paragonabile se vuole ai suoi esempi provocatori di mongolfiere e abissi. Certo, da questo a fregarsene delle regole ce ne passa, ma devo dire che se io stesso venissi invitato ad un matrimonio simile non potrei far altro che pensare ad un gabardine di cotone o ad un bel lino irlandese a maglia quanto più serrata possibile. In sintesi, sospetto che lo sposo sarebbe più o meno in linea con gli invitati qualora optasse per una soluzione sdrammatizzante. Paragonerei il tight in spiaggia alle standing ovations durante la consegna dei telegatti: un po' fuori luogo.

Astraendo per un attimo e facendo finta che lo sposo abbia ragione a credere che la sua scelta sia felice, opterebbe lei per un due bottoni o per un tre bottoni? Procederebbe alla commissione del risvolto? Se la aiuta, immagini si tratti di un tessuto più consono.

Molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 08-05-2008
Cod. di rif: 3788
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Pesi e Misure - Risp. Gesso n. 3787
Commenti:
Gran Maestro,

lei è uomo troppo ragionevole per indugiare su una questione di principio. C'è un che di dogmatico nella sua risposta che mi piacerebbe provare per la seconda volta ad eludere. La sua pazienza è l'unico limite alla mia sfacciata insistenza.

Quello che le propongo, senza enfatizzare lo standing dei partecipanti - cosa che troveremmo entrambi abbastanza di cattivo gusto, è un evento sui generis ma pur sempre di elevatissima caratura.

Non mi sarei permesso di domandarle quale sia la tenutà più adatta ad una giornata in skateboard nel Bronx ma mi sembra che non ci sia niente di assurdo a porsi la domanda: come ci si veste ad un evento formale su un'isola con possibili sconfinamenti in spiaggia? Le rammento che non si tratta di uno scenario ipotetico ma di un fatto. Se i rampolli di mezza europa iniziassero a sposarsi in montagna, temo che l'Ordine sarebbe costretto ad interrogarsi sul fenomeno. Anche solo per curiosità intellettuale. Questo è il terzo matrimonio al mare cui vengo invitato in un anno e mezzo. In tutti e tre i casi gli ospiti parlavano nella stragrande maggioranza la nostra (di noi Cavalieri, Scudieri, simpatizzanti e quant'altro) lingua per diritto di nascita.

Del resto, mi pare di capire questo sia un forum in cui si giunge a delle soluzioni attraverso iterazioni successive e mi permetterà di farle notare che qualora fossi alla ricerca della verità assoluta tenderei a rivolgermi ad un oracolo.

C'è probabilmente un vizio formale nella formulazione della domanda. Quando ci si rivolge a lei ed al Rettore direttamente la probabilità di ricevere una risposta ex cathedra cresce significativamente, il che crea una certa asimmetria di posizioni nel dibattito. Avrei dovuto probabilmente estendere la domanda a tutti (mi piacerebbe per esempio sapere cosa ne pensa il Signor Pugliatti che ha dimostrato in passato un'ottima conoscenza di certi fatti della vita). Mi assumo le colpe della confusione creata.

Tornando ai fatti, colgo dalle sue righe un accenno di risposta. Secondo lei il lino va bocciato comunque. Ribadisco che posso capire il suo punto di vista e che passerò il suggerimento allo sposo. Vorrei specificare che sono genuinamente convinto lei possa avere ragione.

Sperando di eludere il suo catenaccio e trovare finalmente risposta alla mia domanda vorrei chiederle: in un abito formale da utilizzare il giorno delle proprie nozze in pieno centro a Roma, confezionato in fresco di lana blu scuro, lei consiglierebbe i due o i tre bottoni ed applicherebbe la piega ai pantaloni?

Molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 08-05-2008
Cod. di rif: 3790
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: In lino veritas? Risp. Gesso 3789
Commenti:
Signor Villa,

leggo il suo intervento con interesse e simpatia (anche se temo fosse guidato dalla perdita di pazienza che auspicavo non colpisse il Gran Maestro). L'insistenza è un fenomeno che ha un che di antiestetico, me ne rendo conto.

Mi permetto però di farle notare che le sue riflessioni banalizzano un po' la questione.

Lei dimentica completamente una componente fondamentale di quella magia che è l'eleganza, precondizione della stessa: lo snobismo.

Prendersi sul serio è fondamentale ma ciò non deve trasparire mai. In certe situazioni si rischia di sembrare inadatti.

E' un peccato che la sfumatura che sto cercando di sottoporvi non venga colta. Lo trovavo un argomento interessantissimo. Temo invece di avervi annoiati a morte. Le consiglio comunque di leggere il Duca di Bedford e Wodehouse per ulteriori riflessioni.

Molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 12-05-2008
Cod. di rif: 3793
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Lini e Maestri - Risp. Gesso 3788
Commenti:
Gran Maestro,

il suo ultimo gesso chiude in maniera molto soddisfacente il nostro scambio.

Solo gli arroganti non credono ai Maestri e spero di riuscire a convincerla di non appartenere a questa categoria. Credo tuttavia che il contributo critico (umile e pacato) degli allievi faccia comunque bene al sistema.

La ringrazio per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 29-05-2008
Cod. di rif: 3808
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Tessuti per Cravatte
Commenti:
Cavalieri, scudieri e simpatizzanti tutti,

avrei bisogno di una segnalazione.

Essendomi affidato per anni ad un corposo repertorio di cravatte ereditate non ho mai affrontato il problema dell'approviggionamento in maniera sistematica.

Di recente ho iniziato a pormi il problema in maniera più strutturata, prevalentemente per noia.

Ho frequentato Marinella a Milano negli ultimi tempi e se sono molto soddisfatto della resa e del servizio su misura (peraltro a prezzi, è bene dirlo quando è vero, piuttosto onesti) non sono soddisfatto delle fantasie. Le trovo spesso un po' impiegatizie se mi passate l'espressione (cosa peraltro vera di tutte le cravatte che vedo in circolazione).

Le mie domande sono due:

1) Posseggo cravatte di mio nonno marinellesche abbastanza ragguardevoli. A Napoli, questa storica ditta ha ancora qualche scampolo di tessuto d'altri tempi nascosto in soffitta o devo semplicemente arrendermi? Ovviamente, la risposta va ponderata in quanto la quantità di tali reperti dovrebbe giustificare un mio viaggio ad hoc a Napoli.

2) A chi in cuor suo ritiene di avere compreso intimamente il mio problema domando: vi vengono in mente posti dove posso trovare bei tessuti (vecchi) per cravatte?

Grazie per il sostegno.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 10-06-2008
Cod. di rif: 3843
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: La Cravatteria Classica - Risp. Gesso N. 3840
Commenti:
Gran Maestro,

Coglieró il suo consiglio - trovo particolarmente felice il riferimento all'umore giusto - e la terró informata sugli sviluppi della vicenda.

Sarei onorato di accompagnarmi a lei in questa spedizione.

Molte grazie per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 12-06-2008
Cod. di rif: 3849
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Cravatte d'Altri Tempi - Risp. Gesso N. 3844
Commenti:
Gran Maestro,

sono stato lontano dal web per qualche giorno e solo adesso leggo le notizie che mi porta.

Cosa dire? Sono molto felice e sto già meditando sui tempi del mio viaggio a Napoli (verosimilmente, dati i miei numerosi impegni, si tratterà di un fine settimana ad agosto e sospetto questa circostanza renda un nostro - mio e suo intendo - incontro poco probabile).

Mi auguro solo, da schifoso egoista quale sono, che nel frattempo Marinella non venga saccheggiato da Cavalieri, Scudieri e Visitatori in preda alla nostra stessa eccitazione.

Nel frattempo, attendo con trepidazione notizie sul Laboratorio.

Grazie infinite.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 28-04-2009
Cod. di rif: 4039
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Tennis Outfit - Un pacato invito alla ragionevolezza
Commenti:
Signori,

Nei giorni scorsi ho seguito, a dire il vero con abbastanza scarsa attenzione, il dibattito sulle scarpe da tennis. Come da mia detestabile abitudine mi permetto di intromettermi.

Gioco a tennis anch’io e considerandomi un elegantone d’altri tempi prestato alla società contemporanea mi sono spesso interrogato sul da farsi. Sono giunto alla conclusione che, come in mille altre occasioni, l’obiettivo centrale è quello di non prendersi troppo sul serio ed evitare di sembrare inadeguati.

La mia soluzione è semplice: due paia di Nike Wimbledon (bianche con fascia amaranto per la terra rossa e bianche con fascia azzurra per le altre superfici). Il taccuino n. 4454 dovrebbe aiutare i profani. Vi garantisco che così equipaggiato sto scrivendo alcune delle pagine più importanti della storia del tennis amatoriale over 30 facendo la mia porca figura anche dal lato estetico.

Per quanto mi riguarda, John McEnroe sui campi di Wimbledon (non fuori, mi raccomando) è classico internazionale almeno quanto JFK.

Molte grazie.

A. C. (promessa mai mantenuta di tutta una serie di sport squisitamente tecnici che non richiedessero particolari doti atletiche)

P. S. Molto belle le scarpe segnalate dal Signor Lucchetti. Non ci giocherei a tennis ma rimangono molto belle.


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Nome: Augusto Corbey
Data: 03-11-2009
Cod. di rif: 4191
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Taccuino 4993 - Al Signor Nocera
Commenti:
Caro Signor Nocera,

i tie squares da lei proposti nel taccuino 4993 sono meravigliosi. La ringrazio per il contributo.

Posso chiederle se è in possesso di tutto il catalogo? Qualora lo fosse, sarebbe così gentile da condividerne altre pagine?

Mi sembra di capire che la ditta in questione non operi più. Mi (e le) chiedo se qualcun'altro ne abbia ereditato il catalogo.

Ancora molte grazie.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 26-11-2009
Cod. di rif: 4208
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: White Dinner Jacket o Mess Jacket - Un monito
Commenti:
Nei taccuini 5040 - 5043 i signori Nocera e Pugliatti dibattevano con un certo entusiasmo di una giacca bianca da sera appartenuta al Duca di Windsor.

Già in passato avevo colto fra queste mura un clima se non di adorazione quanto meno di caldo apprezzamento per questo tipo di manufatto (ricordo una conversazione fra il signor Forni e lo stesso Pugliatti, per esempio).

Ebbene, io sono da sempre un accanito detrattore della white dinner jacket. O meglio, ne sono un accanito detrattore quando viene usata in situazioni diverse da una manciata di casi che francamente rappresentano una casistica isolata e di talmente rara frequenza da non giustificarne la presenza nel guardaroba di un gentiluomo europeo (a meno che non faccia l'ambasciatore ai tropici, l'uomo d'affari in Costa Azzurra o il gangster a Miami).

La ragione del mio accanimento nasce da una questione culturale. Si tratta di un capo semi-formale che nasce in un contesto specifico. Decontestualizzarlo è un esercizio sbagliato.

Gli inglesi, che hanno notoriamente più familiarità con il protocollo di noi europei - e vorrei precisare che il formal wear è puro protocollo, c'è poco da divagare - utilizzano la mess jacket con una certa arroganza e sprezzo solo all'estero, in paesi che considerano esotici (è divertente notare che l'Italia per loro è accomunabile a Bermuda e in effetti ricordo di aver incontrato anni fa un membro di casa Windsor con una giacca di simile foggia ad una festa a Venezia).

Il punto centrale di questo mio intervento è il seguente: la stagione e la temperatura non sono sufficienti a giustificare l'uso della white dinner jacket. Va benissimo al mare ma indossarla all'interno delle mura urbane di una qualsiasi città europea è terreno scivolosissimo.

A questo proposito allego un brano tratto da Right Ho, Jeeves, capolavoro assoluto nato dalla prolifica penna di P.G. Wodehouse. In questo caso c'è un ulteriore elemento di complicazione rappresentato dai brass buttons ma direi che possiamo far finta che sia un buon esempio di quello che sto cercando di dire.

Bertie Wooster (l'io narrante) è appena tornato a Londra dopo qualche settimana spesa a Cannes. Il suo fedele valleto (non maggiordomo) Jeeves lo sta aiutando a disfare i bagagli e fa un incontro inaspettato.

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The first intimation I had that things were about to hot up was a pained and disapproving cough from the neighbourhood of the carpet. For, during the above exchanges, I should explain, while I, having dried the frame, had been dressing in a leisurely manner, donning here a sock, there a shoe, and gradually climbing into the vest, the shirt, the tie, and the knee-length, Jeeves had been down on the lower level, unpacking my effects.

He now rose, holding a white object. And at the sight of it, I realized that another of our domestic crises had arrived, another of those unfortunate clashes of will between two strong men, and that Bertram, unless he remembered his fighting ancestors and stood up for his rights, was about to be put upon.

I don't know if you were at Cannes this summer. If you were, you will recall that anybody with any pretensions to being the life and soul of the party was accustomed to attend binges at the casino in the ordinary evening-wear trouserings topped to the north by a white mess-jacket with brass buttons. And ever since I had stepped aboard the Blue Train at Cannes station, I had been wondering on and off how mine would go with Jeeves.

In the matter of evening costume, you see, Jeeves is hidebound and reactionary. I had had trouble with him before about soft-bosomed shirts. And while these mess-jackets had, as I say, been all the rage--tout ce qu'il y a de chic--on the Cote d'Azur, I had never concealed it from myself, even when treading the measure at the Palm Beach Casino in the one I had hastened to buy, that there might be something of an upheaval about it on my return.

I prepared to be firm.

"Yes, Jeeves?" I said. And though my voice was suave, a close observer in a position to watch my eyes would have noticed a steely glint. Nobody has a greater respect for Jeeves's intellect than I have, but this disposition of his to dictate to the hand that fed him had got, I felt, to be checked. This mess-jacket was very near to my heart, and I jolly well intended to fight for it with all the vim of grand old Sieur de Wooster at the Battle of Agincourt.

"Yes, Jeeves?" I said. "Something on your mind, Jeeves?"

"I fear that you inadvertently left Cannes in the possession of a coat belonging to some other gentleman, sir."

I switched on the steely a bit more.

"No, Jeeves," I said, in a level tone, "the object under advisement is mine. I bought it out there."

"You wore it, sir?"

"Every night."

"But surely you are not proposing to wear it in England, sir?"

I saw that we had arrived at the nub.

"Yes, Jeeves."

"But, sir..."

"You were saying, Jeeves?"

"It is quite unsuitable, sir."

"I do not agree with you, Jeeves. I anticipate a great popular success for this jacket. It is my intention to spring it on the public tomorrow at Pongo Twistleton's birthday party, where I confidently expect it to be one long scream from start to finish. No argument, Jeeves. No discussion. Whatever fantastic objection you may have taken to it, I wear this jacket."

"Very good, sir."

He went on with his unpacking. I said no more on the subject. I had won the victory, and we Woosters do not triumph over a beaten foe.

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Chi conosce la saga di Jeeves e Wooster avrà già intuito che nonostante il piglio iniziale di Bertie, Jeeves finisce per trionfare ottenendo dal proprio affezionato datore di lavoro il permesso di distruggere il pomo della discordia. Ecco, vi confesso che quello è il momento del libro che mi è più caro.

Come sempre, vi ringrazio per l'attenzione.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 27-11-2009
Cod. di rif: 4211
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: White Dinner Jacket - Ai Signori Pugliatti e Nocera
Commenti:
Egregi signori,

rispondo a entrambi in un'unica lettera per praticità di chi ci legge e vorrà utilizzare il motore di ricerca in futuro; spero vorrete perdonare questa piccola scortesia.

I vostri interventi sono entrambi molto interessanti e mi permettono di chiarire un paio di punti. La comunicazione scritta fra persone che non si sono mai incontrate fisicamente rende difficile l'uso dei sottintesi.

Muovendoci in ordine cronologico, partiamo dal signor Pugliatti.

Innanzitutto mi scuso per l'uso effettivamente atecnico e superficiale del termine mess-jacket. A casa mia, evidentemente erroneamente, si è sempre parlato di mess-jacket per definire con una punta di malcelato disprezzo tutte le giacche bianche da sera. Il rigore di queste nostre conversazioni avrebbe richiesto più attenzione da parte mia.

Risolto questo problema, ritengo che la questione da lei posta nel taccuino 5045 rimanga aperta. Continuo a dubitare che un ipotetico Jeeves italico avrebbe apprezzato alla metà degli anni '30 o apprezzerebbe oggi l'uso di questi candidi aggeggi in città. Provo a spiegarle il perchè. Le anticipo che come mi è capitato in passato si tratta di concetti di difficilissima teorizzazione che si muovono più sulle corde della sensibilità sociale. Temo che non si tratterà di una spiegazione risolutiva e passerà alla storia come mia opinione personale sebbene io ritenga che meriti il rango di regola generale.

Come sintetizzato dal signor Nocera, e come da lei espresso più volte in maniera eccellente fra queste pagine, la white dinner jacket nasce nel mondo anglosassone intorno agli annni '30 del XX secolo come evoluzione della mess-jacket ad uso civile, a sua volta derivata da quelle militari della metà dell'800. In origine, essa viene utilizzata prevalentemente in crociera o in località tropicali.

Orbene, la casistica doveva essere piuttosto limitata. Un europeo poteva trovarsi in tali ciscostanze quasi esclusivamente se in vacanza o nel bel mezzo di una qualche impresa coloniale. Se facciamo finta che questa generalizzazione sia statisticamente convincente, ci troviamo quindi in situazioni in cui i costumi si rilassano per definizione.

Chiunque, e sottolineo chiunque, in vacanza cede almeno un po' alla tentazione di concedersi qualche piccolo sfizio estetico. Il clima favorevole e la spensieratezza stimolano un approccio pù brillante all'abbigliamento (anche e sopratutto da un punto di vista cromatico).

Basta aver letto il Lord Jim o Il cuore di Tenebra di Conrad per capire invece il tipo di estasi e delirio di onnipotenza (anche estetica, badate bene) che può dare un'esperienza coloniale. Si sviluppa il senso di superiorità nei confronti degli indigeni che tanto offese gli Australiani del felice aneddoto da lei raccontato.

Io considero la nascita della white dinner jacket un prodotto di questi meccanismi e il suo sdoganamento in europa continentale un colossale fraintendimento.

Non è quindi provinciale come suggerisce lei seguire l'uso inglese di non indossare la giacca bianca all'interno dei propri confini nazionali, è provinciale non accorgersi che gli inglesi indossano le giacche da smoking bianche ovunque tranne che a casa loro con la precisa intenzione (anche se spesso inconscia) di dimostrare la loro superiorità. L'argomento climatico è piuttosto debole. Ho vissuto per tanti anni in inghilterra e le garantisco che l'estate può fare un caldo asfissiante anche li. Il motivo per cui un inglese non indosserebbe mai una white dinner jacket a londra è che, come dice Jeeves, è semplicemente unsuitable. Il motivo per cui lo fa invece a Venezia o Parigi è puro snobismo.

Un'ultima nota. Io indosso la dinner jacket una decina di volte all'anno (3/4 delle volte in estate, 4/4 delle volte in occasione di ricevimenti privati). Segnalo che l'uso della variante bianca in certi ambienti italiani è ancora abbastanza diffuso, producendo spesso imbarazzanti episodi di confusione fra il personale addetto alla ristorazione collettiva e gli ospiti.

Veniamo al signor Nocera.

La ringrazio per il suo contributo e mi permetto di fare qualche osservazione ulteriore a quelle fatte in risposta al signor Pugliatti.

Righ Ho, Jeeves è dell'inizio del 1934 e non del 1922. La configurazione stilistica finale della mess-jacket era già stata raggiunta. Jeeves è semplicemente contrario al concetto.

L'immagine proposta nel taccuino 5044 mi invita a nozze per due ragioni.

1) Eden era notoriamente il padre di tutti gli snob. In primis, discendeva da parte di madre da quegli Earls Grey che diedero il nome al famoso the al bergamotto. Era poi talmente vanitoso e instabile che Rab Butler lo definì "half mad baronet, half beautiful woman". Il fatto che avesse deciso di usare una white dinner jacket in una cena ufficiale con Dwight Eisenhower, Nikolai Bulganin e Edgar Faure non mi sorprende affatto e anzi conferma la mia teoria sull'arroganza inglese. Un atto di auto-umorismo, di sberleffo, impercettibile ai più e abbastanza poco rischioso ma verosimilmente consapevole e studiato. La storia è piena di questi casi.

2) Anch'io sono un fan di Eden. Trovo però che la foto del taccuino 5044 sia un esempio piuttosto infelice della sua grandezza. Quello che traspare (almeno ai miei occhi) è un senso di inadeguatezza. In tutta franchezza, l'abbigliamento è assolutamente inadatto all'occasione e perdoniamo Eden solo perchè è Eden. A questo proposito, mi sembra opportuno ricordare le considerazioni fatte in svariate occasioni dal Gran Maestro sulla sobrietà che va adottata nell'abbigliamento da cerimonia. Un summit delle 4 maggiori potenze al mondo mi sembra un buon momento per dimostrare rigore. Non vorrei che ci dimenticassimo - mutatis, mutandis - la bandana di Berlusconi...

Con questo vi saluto e porgo i miei sentiti rispetti.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 01-12-2009
Cod. di rif: 4219
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: White Dinner Jacket - Lampi d'estate
Commenti:
Gran Maestro,

lei riesce sempre ad essere lucido e le sue conclusioni mi sembrano anche in questo caso equilibrate. Concordo sul fatto che gli interessati avranno a questo punto materiale sufficiente per farsi un'idea propria sul linguaggio della giacca bianca. La pratica sul campo è, come in quasi tutte le materie, il metodo di apprendimento più efficace ma avere delle solide basi teoriche aiuta certamente il processo.

Mi permetto di aggiungere una assolutamente inutile e ridondante - ma spero gradita - nota di apprezzamento.

L'idea che il Cavalleresco Ordine abbia deciso di commemorare la figura legendaria di Bertram Wooster mi commuove. Lo trovo un gesto sensibile e, considerato tutto, dovuto. La mera conoscenza dell'esistenza di P.G. Wodehouse, dal mio punto di vista, distingue i buoni dai cattivi del mondo.

Grazie per l'attenzione e la pazienza.

A.C.

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Nome: Augusto Corbey
Data: 16-05-2014
Cod. di rif: 4866
E-mail: acorbey@hotmail.com
Oggetto: Colonia Russa
Commenti:
Gentili Signori,

Mi trovo costretto a chiedervi una cortesia, abusando ancora una volta della vostra incredibile conoscenza.

Premetto che non capisco assolutamente niente di profumi, non avendone mai fatto uso. Recentemente però mi sono imbattuto in una fragranza che mi ha particolarmente colpito.

Si tratta della Colonia Russa di Santa Maria Novella. Evidentemente certe note toccano tasti diversi in ognuno di noi: questo profumo mi è subito sembrato familiare e vorrei che mi accompagnasse di tanto in tanto.

Ho riscontrato però un problema di persistenza. Questa fragranza resiste sulla mia pelle per pochissimi secondi. E così vengo alla domanda: conoscete delle alternative sul mercato che abbiano essenzialmente lo stesso profumo ma che magari diano dei risultati più efficaci di resistenza?

Immagino sia una questione di interazione con la mia pelle ma prima di darmi per vinto vorrei sperimentare dal vivo altri prodotti e ho pensato che se ci sono dei succedanei alla Colonia Russa di Santa Maria Novella questo è il posto giusto per scovarli.

Grazie mille.

A.C.

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