Ricerca



Nome: Dante De Paz
Data: 04-11-2003
Cod. di rif: 719
E-mail: depazsas@tin.it
Oggetto: cappotto Duca di Windsor
Commenti:
Il paletò del Duca di Windsor- di ineccepibile taglio sartoriale inglese-con importante impostazione di petto e collo è, a mio avviso, confezionato con un tessuto di circa 700 grammi al metro con disegno a piccola spina di pesce. Tessuto compatto in pura lana ancora oggi trovabile nonostante il disuso che si fa del paletò a favore di giacconi e piumini.
La foto non rende più di tanto per una correttissima valutazione. Rende comunque il Duca nel suo insuperabile portamento.Tutto poteva indossare e tutto prendeva tono "CLASSE SUPERIORE"

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-11-2003
Cod. di rif: 722
E-mail: depazsas@tin.it
Oggetto: Rispondo ad Alberto Conforti
Commenti:
Tutto è possibile e, se non lo fosse, la forza del Cavalleresco Ordine sovvertirà ogni impossibiltà.
Detto ciò premetto che in Great Britain non si è mai prodotto shantung così come Lei chiede.C'è stata tradizione inglese di industria serica a Macclesfield,la famosa Macclesfield silk per cravatte ma non per abito.La seta per abito è prodotta in Italia nel vicentino da fabbricanti come Bocchese, Basso, Gerlin, ecc...quindi nei campionari delle sartorie è possibile trovare mazzette con seta per abito.ANCHE PRESSO LA DITTA DE PAZ.
Buona "seta", sig.Conforti

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-11-2003
Cod. di rif: 734
E-mail: depazsas@tin.it
Oggetto: Montgomery / Marco Viganò
Commenti:
La fiducia che mi ripone il Grande Maestro mi onora di risponderle.
Il montgomery,capo militare indossato dall'omonimo generale è un tessuto chiamato DUFFLE COAT. Trattasi di un panno battuto di circa 1000 grammi al metro di colore grigio/marron.
Nel tempo questo duffle coat chiamato poi montgomery, è stato confezionato in tanti tessuti.
Io consiglio l'originale. Può interpellarmi o visitarmi nel mio negozio in via Ugo Bassi 4/d a Bologna dove sarà ben consigliato

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 18-11-2003
Cod. di rif: 753
E-mail: depazsas@tin.it
Oggetto: Re. guardaroba
Commenti:
Caro Nicola Ferraro,complimenti da parte mia per il tuo interesse al vestire sartoriale.
Vedo che chiedi molte cose ma la vera risposta puoi averla toccando tessuti e facendoti consigliare sulle qualità.
Io ti consiglio un viaggetto a Bologna, mi dedicherò al tuo problema con cura e pazienza.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 18-11-2003
Cod. di rif: 754
E-mail: depazsas@tin.it
Oggetto: Solaro
Commenti:
Attualmente "l'originale" SOLARO (nome registrato)cimosato ORIGINAL SOLARO MADE IN ENGLAND, è di un solo colore; rovescio rosso mattone, e diritto in color gabardina in quattro disegni- resca piccola, resca larga, grana di riso e diagonale.
Altri SIMIL-SOLARO esistono in altri colori..verde, celeste, ecc.ma sono un'altra ricetta.
REISTERE SU L'ORIGINALE!!

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 21-04-2004
Cod. di rif: 1102
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico intenazionale
Commenti:
Il classico internazionale, segreto di un facile vestire non invadente che dona elegante sobrietà, anche a coloro che per svariate ragioni non hanno particolare cura dell’abbigliamento.
E’ ancora ben presente nel mondo nonostante i forti scossoni infieriti – dalla moda aggressiva – presente magari con interpretazioni personali dei vari negozianti, però presente.
Presente in tante città dove questo stile così radicato è ancora richiesto da tanto pubblico.
Uno stile che trova le sue radici in varie parti del mondo dove certi indumenti sono usciti dai confini inserendosi nel mondo.
Certamente di questo stile ha fatto la parte del leone la Gran Bretagna, ma anche l’Irlanda, l’Austria, l’Italia, l’America imponendosi con uno stile anglo-americano, ed altri paesi che hanno reso famose certe loro “ricette”.
La bellezza del classico internazionale è, a mio avviso, la libertà di portare senza note stonate dove l’abbinamento, anche dissociato, si riesce a leggere con armonia.
Mi è capitato di definire eleganti persone con giacca in tweed o in velluto, camicia rigata, pantalone grigio, cravatta regimental; tante cose che potrebbero sembrare un’accozzaglia di elementi, ma invece si abbinano.
Facciamo un esempio classico, forse il più classico: giacca bleu (un petto, o doppio petto), pantaloni CAVALRY TWILL sull’avana chiaro, camicia OXFORD celeste o rosa, o gialla, oppure camicia rigata, cravatta regimental, seta o lana, o tweed, o tartan, o disegno classico cravatta, scarpe Derby Brogue (coda di rondine) testa di moro.
Tante possibilità e tanta fantasia da esprimere in così poco, ma tanto per una giacca bleu.
Dividiamo le due stagioni – AUTUNNO-INVERNO – PRIMAVERA-ESTATE – e quindi elencherò parte di questi capi che fanno parte del classico internazionale.
Dico elencherò per una lavagna successiva.
Intanto amici Cavalieri chiedetemi tante cose e sarò pronto alle risposte – anche con figure sul taccuino.
Cordiali saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 09-05-2004
Cod. di rif: 1165
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico intenazionale - Parte II°
Commenti:
Sono passati alcuni giorni dalle mie prime considerazioni generali sul “classico internazionale” che è, e qui mi ripeto, nel campo dell’abbigliamento uno stile radicato in tantissimi paesi che comprende tanto nel vestire per tante occasioni.
Analizzare le ragioni per le quali il “classico internazionale” ha trovato spazio così vasto significa approfondire storia, economia ed altro.
Senza pretese di tanto ecco alcune mie considerazioni:
Se è vero che i commerci, e quindi gli scambi, e i baratti prima, a mezzo carovaniero poi navale, sono i responsabili della geografia politico-economica, è vero allora che una parte delle mercanzie, e nello specifico le stoffe, hanno contribuito alla fusione e all’ibridazione dei costumi rendendo l’uso dei materiali da confezione, prerogativa di ciascun paese, imitabili.
Adottando sempre più puntualmente e ripetutamente timide modifiche nel corso del tempo, alle stoffe e agli abiti, in un certo senso possiamo intravedere embrionalmente l’avvio di quelli che saranno negli anni a venire i prototipi dell’”internazionalismo” anche come stile.
Certo il clima e le esigenze funzionali, le Società con le loro culture e trasformazioni, le guerre e le necessità di riconoscibilità e acquisizione, le convenzioni, la praticità, l’utilitarismo e quant’altro nella globalità storica generale hanno teso di volta in volta a rendere ogni mutazione sempre più incisiva tanto da giungere a noi in tema di costume ricca d’aggettivazioni.
L’eleganza, la disinvoltura, la convenzionalità, per citarne alcune hanno richiesto come complementi al solo scambio figure che indicassero, che teorizzassero il corretto uso delle merci in oggetto e facendole costantemente apparire come la novità imprescindibile in senso assoluto.
Non è il caso di affrontare ora tutti i singoli aspetti di questi fenomeni di comunicazione, ci basti: l’abito che indossiamo è la prima rappresentazione che diamo di noi stessi.
La definizione di Balzac: “il bruto si copre, il ricco e lo sciocco si addobbano, l’uomo elegante si veste” racchiude ogni desiderio individuale ed è per soddisfarlo che si sono attivate tutte le complesse dinamiche che hanno portato alla teorizzazione dell’eleganza la quale di per sé non è un valore, è una qualità che contiene diversi valori: bellezza, buon gusto, educazione, grazia, comportamento in dosi diverse al fine non ultimo di attribuire e accertarne l’appartenenza sociale più ambita.
La storia, che ha le spalle larghe, è ricca d’epoche in cui i dettami del costume venivano di volta in volta imposti.
La storia può datare la cravatta, il risvolto dei calzoni, simbologia e forma della giacca e le regole d’impiego degli abiti.
Ora tutta questa dinamica ha perduto vagamente di significato a meno che non vi siano costi straordinari di cultura e denaro.
Ora le cose debbono solo apparire tanto che per affidarsi alla sola esibizione le griffature, tutte acquistabili belle e pronte, mercificate per così dire, traggono d’impaccio i meno dotati di senso dell’abito.
Avanza così l’esercito del manichino, coloro che vedono il pronto proposto e lo fanno proprio senza le misure necessarie che sono se stessi e lo stato sociale di ognuno, ma sono influenzati mediaticamente.
E qui impera la gran confusione, il costume perde le caratteristiche anche se si deve vedere tutto in evoluzione.
La percezione è mutata, “il conformista avanza nella società ingualdrappato dall’etichette…… In poche parole tutto ciò che è grande e costa caro” (Tatiana Tolstoi, Manuale di eleganza maschile, Sonzogno Milano).
D’altro canto le costrizioni dell’eleganza maschile in quanto leggi che ne governano l’abbigliamento se rigorosamente applicate sono rituali anacronistici.
Se regole debbono esserci esse vanno acquisite naturalmente superando quelle costrizioni senza tuttavia trasgredirle: Equilibrio, Sicurezza nell’improvvisazione, Errore voluto, Scelta, e perché no, la Stravaganza culturalmente appoggiata.
Il confermare allora quest’internazionalità nell’uso degli oggetti d’abbigliamento forse permette la partecipazione ad una tendenza vestiaria che ci conforta per avere più sicurezza e per imporsi già con la sola presenza: viviamo le esperienze di molti che nel tempo hanno modificato, elaborato, interpretato.

Amici Cavalieri combattiamo da guerrieri le confusioni, studiamo il “classico internazionale”, facciamolo proprio nella sua emozionante cultura.
Presto inizierò a presentare gli elementi che lo costituiscono, i tessuti del “classico internazionale”, come si realizzano, gli indumenti, ecc., ecc.

Cavalieri!!! – fermi – il “classico internazionale” è lo scudo per mantenere alte le nostre porte.

Chiaramente avete la mia massima disponibilità ad ogni domanda e a critiche sempre ben accette.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-05-2004
Cod. di rif: 1180
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico Internazionale
Commenti:
Gentile Cavalier Giuseppe de Falco,
non dubiti sul prosieguo della classicità internazionale mio parere sulla sua futura esistenza.
Vuol dire: non dubiti su ciò che è serio.
Per quanto riguarda la mia operatività e svolgimento di quanto mi sono ripromesso mi conceda Lei, insieme ad altri Cavalieri, il dovuto respiro e come ho detto in apertura il classico internazionale è lì per noi.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 13-05-2004
Cod. di rif: 1198
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico intenazionale - Parte III°
Commenti:
Sarebbe stata mia volontà insistere su concetti storico-economici ed estetici sul “classico internazionale”, uno spazio meritato ad un argomento non esauribile.
Ho avuto percezione, e di questo mi conforto, che molti cavalieri desiderano, come si suol dire, arrivare al dunque, cioè parlare del prodotto.
Avevo già detto, nel mio gesso del 22 aprile scorso, di dividere i due archi stagionali: autunno-inverno e primavera-estate.
Il mese di maggio, chiamato anche il mese dello splendore, ci porta ad analizzare naturalmente la primavera-estate.
Parliamo di alcuni tessuti basici primaverili ed estivi propri di quel classico:
- Gabardine di circa 300 gr. in pura lana, nei colori tradizionali dal beige all’oliva chiaro
- Il famoso Solaro
- I pettinati con disegno:
· Spinato (herringbone)
· Principe di Galles
· Grisaglia
· Occhio di pernice
· Rigati intesi come pin stripe e cable stripe
- E altre varie denominazioni tessili che potete trovare sul manualetto dei tessuti.
Naturalmente anche tessuti per giacca nelle varie fantasie:
- Tropical lana
- Fresco lana
- Donegal tweed leggeri
- Lini
- Cotoni
- Cotton drill
- Canapa
- Cotoni Madras
- Cotoni Seersucker
- Cotoni Massaua
- Mohair
- Ecc.
Anticipo che cercherò di portare sul taccuino una parte di questi tessuti, quelli che ritengo adatti all’argomento “classico internazionale” per l’arco stagionale primavera-estate.
Non entro nel merito di come realizzare questi tessuti, vale a dire se giacca a tre bottoni o due, spacchi e finiture perché varia il tutto da persona a persona e qui subentra l’apporto individuale e del buon costumista che è bene interpellare.
In altra sede tra lavagna e taccuino elencherò il vestire classico primavera-estate vedendo di specificare ciò che dalla testa ai piedi ci abbiglia e ci ha abbigliato.
Pazienti Cavalieri, collaborate e suggerite.
Alla prossima lavagna.
Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-05-2004
Cod. di rif: 1206
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico internazionale - risposta a Carmelo Pugliatti
Commenti:
Attento e sempre presente Carmelo Pugliatti,
mi riferisco al Suo gesso Nr.1199 del 14 maggio ’04 pieno di interessanti considerazioni e richieste.
In effetti, ma questo l’ho già detto parlando di “classico internazionale”, non entro nello specifico sartoriale ma bensì a tutto quel vestire che ha creato stile.

Oggi parlare di scuola napoletana o scuola internazionale, pur con le differenze storiche che le contraddistinguono, non è così semplice.
Gli stili sartoriali si sono mescolati, non dico copiati, ma evoluti all’esigenza degli utenti.
Possiamo trovare bravi sarti al nord che eseguono abiti caratterizzati essenzialmente per la cucitura delle tele sul rovescio dei quarti anteriori che viene eseguita completamente a mano.
A mano sono pure ricamate le asole, la spalla è completamente naturale, non ha imbottitura e viene chiusa a camicia con una leggera arricciatura: il giro manica è molto aderente: filetti delle tasche e taschino al petto sono ovviamente fatti a mano.
I colli sono piuttosto alti e i reverse (pettine) tendenzialmente ampi, i quarti inferiori non presentano riprese oltre i filetti delle tasche, manca infatti il cosiddetto fianchino.
Si tratta di una giacca oramai definibile “napolo-internazionale”.
Quella definita scuola internazionale nasce in Abruzzo per ben radicarsi a Roma, a Milano ed in altre città principalmente, ma anche questa oggi ha un adeguamento alle esigenze pur mantenendo con la clientela basica quel tipo di spalla tendenzialmente dritta, sostenuta da quel tanto di imbottitura che danno all’abito garbo senza eccentricità.

Ma voglio a questo punto dire a Lei, con amarezza, sensibile Sig. Pugliatti, parlando di scuole sartoriali, che c’è ben poco di nuova scuola sartoriale, i sarti famosi sono nati durante la guerra, altri anche dopo ma non c’è nuova scuola tranne quella di grossi laboratori che svolgono abiti sartoriali in serie.

Ma per tornare a ciò che Lei ha individuato, io mi riferisco molto e soprattutto alla scelta di un tessuto del “classico internazionale” che può essere anche trasformato con semplicità privo di regole che non tutti possono permettersi.
Portiamo un esempio: un tessuto spinato di Harris Tweed grigio può tollerare anche un taglio standard in quanto l’utente con questa scelta ha già dato una prima classicità.

Una buona farina e poi il pane.

Per quanto riguarda l’argomentazione relativa ai tessuti primavera-estate notizie sul mohair le può trovare a pag.14 del manualetto.
Il tessuto mohair, a mio avviso, non è mai stato assente in questi anni, si è piuttosto anche questo evoluto, ha perso crudezza mescolato a tessuto pettinato di alto titolo.
Il fresco mohair di un tempo a quattro capi, costruito ad-hoc per noti converters internazionali, è oggi in disuso per un eccessivo peso.
Di mano sostenuta rimane valido il barathea mohair usato nel blù notte e nel nero per lo smoking.

La seta indubbiamente era rimasta negli “ecc.” del mio gesso Nr.1198 del 13 maggio ’04 non certo per svalutarne la validità, semplicemente perché meno richiesta; sono periodi, tendenze, la lana leggera ha avuto una comunicazione superiore alla seta.
Lo shantung di pura seta e il doppione di pura seta rimangono abiti raffinati che necessitano, a mio avviso, in questa epoca l’adeguata persona che lo indossi.

La sartoria bolognese (G.B.) che Lei cita è conosciuta ma non posso fornire informazioni che potrebbero eccedere la deontologia professionale.

Cordialità
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-05-2004
Cod. di rif: 1214
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Barathea mohair - Seta - Risposta a Carmelo Pugliatti
Commenti:
Esimio Sig. Pugliatti,
per i tessuti Barathea mohair midnight blue e nero è possibile reperire da foderamisti specializzati le relative sete per i reverse e le bacchette per i pantaloni.
Le sete come Lei sa possono essere gro-grain oppure di raso.
Le prime (gro-grain) si applicano ad abiti per serate tipo teatro, in questo caso il pantalone viene finito con la bacchetta con costura al centro.
Le sete di raso sono usate per occasioni più mondane (feste) e il pantalone viene finito con la bacchetta liscia.
Senz’altro superflue per Lei le considerazioni sull’uso, ma quando si comincia a parlare ……….
Se avesse bisogno di qualche seta per detto uso può interpellarmi.

Cordialità
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-05-2004
Cod. di rif: 1215
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico Internazionale
Commenti:
Ho provato ad inviare sul taccuino, come promesso, campioni di tessuti (vedi taccuino Nr.513 del 16/5/04), purtroppo il mio laborioso lavoro non ha avuto successo in quanto l’immagine ridotta ad icona sul taccuino non rende visibile la trama del tessuto.
Dall’elenco che ho fatto dei tessuti possibili per la primavera-estate nel mio gesso Nr.1198 del 13/5/04 potete per ora richiedermi dei campioni che invierò per posta, a meno che non vogliate indicarmi la via affinché il tessuto si possa vedere usando più spazio sul taccuino.
Proseguendo col “classico internazionale” spero di avere più fortuna con le immagini che a giorni invierò dei capi.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-05-2004
Cod. di rif: 1242
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: AMARCORD IL BLAZER
Commenti:
L’argomentazione del Blazer del Gran Maestro sul gesso Nr.1230 del 19 maggio ’04 mi ha riportato alla memoria quanto ho parlato nella mia vita di giacca blue.

La prima giacca che s’indossava da ragazzini veniva nel nostro contesto chiamata “giacca college”, naturalmente d’ispirazione britannica, costruita semplicemente con un tessuto definito panno, tecnicamente detto melton di un peso attorno ai 450 gr.
Come ho detto, una confezione semplice, sfoderata, tre tasche riportate, spacchi laterali, l’impuntura a 5 mm. e semplici bottoni blue.
La college la portavano i giovani in Italia, come ho detto, come prima giacca, in Gran Bretagna come divisa scolastica.
Pensate se le scuole avessero adottato questo stile imponendo la giacca in classe, pensate quale ordine mentale e quanto meno degrado avremmo subito.

Questo è un episodio, poi si sono viste giacche blue di tutti i tipi, con tessuti in saglia, hopsack, thornproof, open air e tanti altri.
Solitamente ho consigliato, al di là del tessuto e della linea sartoriale, la finitura con bottoni appropriati che possono essere quelli con il logo del negozio ove si è cliente, oppure bottoni con un riferimento d’appartenenza (Club, Università, ecc.), ma forse meglio di tutto un bottone a mezza sfera in argento con incise le proprie iniziali.

E’ una modesta aggiunta, uno stuzzicare la memoria ispirato dal Gran Maestro.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 21-05-2004
Cod. di rif: 1245
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico internazionale – Tessuti primavera-estate
Commenti:
Come promesso troverete sul taccuino alcuni tessuti del classico internazionale per la stagione primavera estate.

I riferimenti d’inserimento nel taccuino sono i seguenti:
- Gabardine - 300 gr – Taccuino Nr.524
- Solaro – 330 gr. - Taccuino Nr.525

Pettinati con disegno:
- Pettinato primaverile Spinato (herringbone) 320 gr. – Taccuino Nr.526
- Principe di Galles – 300 gr. – Taccuino Nr.527
- Grisaglia – 300 gr. – Taccuino Nr.528
- Occhio di pernice – 300 gr. – Taccuino Nr.529
- Pettinato rigato pin stripe – 300 gr. – Taccuino Nr.530

Altri tessuti:
- Tropical lana – 230 gr. – Taccuino Nr.531
- Fresco lana due capi – 280 gr. – Taccuino Nr.532
- Donegal tweed leggero – 300 gr. – Taccuino Nr.533
- Lino – 230 gr. – Taccuino Nr.534
- Cotton drill – 300 gr. – Taccuino Nr.535
- Cotone Madras – 180 gr. – Taccuino Nr.536
- Cotone Seersucker – 200 gr. – Taccuino Nr.537
- Mohair – 230 gr. – Taccuino Nr.538

Potete trovare altre informazioni sul manualetto dei tessuti.

Prossimamente elencherò parte di quel vestire di detto stile: camicie, scarpe, cravatte, sportwear ed altro.

L’importante stagione invernale seguirà.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 25-05-2004
Cod. di rif: 1270
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico internazionale - Primavera-Estate
Commenti:
Ho elencato con la lavagna Nr. 1245 del 21 maggio ‘04 una parte dei tessuti usati nel vestire “classico internazionale” per la stagione primavera-estate.
Sempre per tale stagione, nel periodo fra marzo e giugno, il classico internazionale prevede:
- Trench coat (vedi immagine taccuino Nr. 557), per il quale fornisco riferimenti storici:
TRENCH COAT: Un cappotto militare impermeabile ideato dall’industria inglese su richiesta dell’Ufficio della guerra britannico durante la Prima Guerra mondiale. I cappotti inzuppati di pioggia e fango erano troppo pesanti e scomodi e gli impermeabili comuni non erano adeguati. Testati con le canne per annaffiare, il materiale era a doppio strato lungo la schiena e il colletto alto era abbottonato stretto con speciali linguette. Ganci di metallo e anelli a forma di D consentivano di appendervi l’equipaggiamento e si creò così una tradizione. Da allora Hollywood ha aggiunto glamour grazie personaggi del calibro di Dick Powell, Alan Ladd, Robert Taylor e Humphrey Bogart, che indossavano l’indumento che è diventato l’impermeabile più popolare nel mondo.

- Impermeabile Raglan (vedi taccuino Nr. 558).
- Riferimenti storici:
RAGLAN: Un tipo di manica che corre intorno alla linea del colletto a livello del collo. Ideato da Lord Raglan, comandante delle forze britanniche durante la guerra di Crimea. Per offrire una maggior protezione contro il freddo pungente, egli suggerì alle truppe di tagliare buchi nelle coperte per infilarci le mani e di cucire le pieghe superflue in cilindri per le braccia. Questa linea delle spalle liscia fu in seguito adottata nell’abbigliamento civile.

- Sahariana, denominata cotton safari jacket (vedi taccuino Nr. 559).

- Giaccone oleato, denominato storm-proof shooting jacket of oiled cotton (vedi taccuino Nr. 560).

- Giubbetto golf in cotone, denominato cotton ten-month drizzler jacket (vedi taccuino Nr. 561).

- Quilted jacket (vedi taccuino Nr. 562).


La camicia si alleggerisce di peso fermo restando le modellature dei colli che restano invariati.
- Il button-down, per questo classico, rimane un caposaldo.
Riferimenti storici:
BUTTON-DOWN COLLAR: Originariamente ideato in Inghilterra come camicia sportiva (il colletto con bottoni non svolazzava durante i movimenti). Nel 1900, mentre assisteva a una partita di polo in Inghilterra, John Brooks di New York ne rimase incuriosito e ne spedì un esempio negli Stati Uniti. Da allora è diventato uno dei simboli di questa famosa casa.

I principali tessuti sono: lo zephir, il voile, il lino, il panama leggero, il cotone Madras (vedi taccuino Nr. 536 e Nr. 563) e il tattersall ceck leggero.
Riferimenti storici:
MADRAS: Camicie di morbido cotone introdotte in Europa da membri del Raj britannico. A causa della tintura non solida, i colori tendono a “scivolare” uno nell’altro durante il lavaggio, producendo piacevoli effetti che il modello originario non avrebbe fatto intendere.
TATTERSALL CHECK: Tessuto a fondo bianco con riquadri regolari rossi e neri, sebbene vi siano moderne variazioni di colore. Il nome Tattersall deriva originariamente da un uomo che viveva a Tatt’s Hall, nel Lincolnshire, dai soprabiti colorati indossati dai membri di un club di equitazione al mercato di cavalli di Tattersall.



La maglieria si sposta verso filati più leggeri: lana merino, cotoni con trecce stile tennis e cricket (vedi taccuino Nr. 564), pullover argyle in cotone (vedi taccuino Nr. 565).
Riferimenti storici:
ARGYLL: Un modello di tartan associato con il duca scozzese di Argyll. Popolare come fantasia per calzini sportivi o slockings.


Proseguiremo con altro vedendo di menzionare il classico internazionale primavera-estate dalla testa ai piedi.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 26-05-2004
Cod. di rif: 1280
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Gabardine - Risposta a G.V.Granata - Riferimento. Lavagna Nr
Commenti:
Egregio Sig. Giona Valerio Granata,
il tessuto gabardine è un tessuto oggi non molto usato, ma è uno stupendo tessuto versatile per tutte le stagioni in quanto può essere prodotto in tutti i pesi, dai 200 gr. ai 600 gr. al metro.
Pertanto l’utilizzo è vario per infiniti indumenti, ricordiamo soprabiti in gabardine di lana nonché abiti e pantaloni.

Per rispondere al Suo quesito il pantalone di gabardine con una giacca blue è perfettamente abbinato, naturalmente scegliendo le giuste tonalità.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 26-05-2004
Cod. di rif: 1281
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a Dott.Clerici - Rif.: Lavagna Nr.1277
Commenti:
Bravissimo e sensibile Dott. Clerici,
Lei ha ben compreso, intervenga ancora, dia man forte a chi, come tanti di noi, vogliono riportare ordine e garbo ad uno stile massificato e veramente brutto.

A presto e con simpatia; la saluto cavallerescamente.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-05-2004
Cod. di rif: 1284
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico internazionale - Primavera-Estate
Commenti:
Avevo concluso il mio gesso Nr.1270 del 25 maggio ’04 dicendo di menzionare il “classico internazionale” dalla testa ai piedi.
In effetti, questa è la mia intenzione e chiedo scusa alla testa, ai piedi ed alle altre parti del corpo, che devono essere internazionalmente abbigliate, per precedenze non rispettate.

Ribadisco, e scusate la noia, che l’idea del classico internazionale va interpretata nella sua forma globale e non c’è nulla di fisso; esempio: il trench coat, fermo restando le caratteristiche del modello, può essere sviluppato in varie tipologie di tessuto: cotoni, lane (covert, gabardine, ecc.); e così gli altri indumenti.

La maglietta classica estiva, denominata polo shirt, può essere in disegni rigati stile regimental e tinta unita, a maniche lunghe o corte, in cotone sea island o filo di Scozia (vedi taccuino Nr. 578).
Riferimenti storici:
SEA ISLAND COTTON: Il cotone migliore, prodotto nelle colonie britanniche dei Caraibi, ha un fiocco di molto più lungo che gli altri cotoni e offre la maglieria di qualità più pregiata.

Sempre nella maglietta è entrata nel classico la “cotton polo shirt” che proviene dal tennis in tessuto cotone cellulare o nido d’ape (vedi taccuino Nr. 579).

Un pantalone corto in cotone kaki è classico (vedi taccuino Nr. 580).
Riferimenti storici:
KAKI: Colore adottato dall’esercito britannico per le uniformi da campo. Da una parola indiana che significa “polvere colorata”, tessuti con questa tonalità furono dapprima prodotti come camuffamento per i reggimenti dell’esercito indiano da un’azienda tessile di Manchester negli anni successivi al 1870. Una teoria precedente, poi abbandonata, raccomandava soprabiti scarlatti per identificare facilmente i soldati britannici così che l’artiglieria non sparasse su di loro. Il kaki è diventato recentemente popolare per gli informali “chinos”.

Le altre terminologie entrate in uso di detto pantalone corto, tipo Bermuda; creano molta confusione.

Non spaventatevi nobili Cavalieri, ma il calzone jeans è un vero classico internazionale se mantenuto nella sua tradizione (vedi taccuino Nr. 581).
La storia dei fondatori del jeans è molto nota, eccone uno stralcio in lingua originale:
JEANS: Among the many who rushed to San Francisco in 1850 to try their luck in the Gold Rush was a twenty-year-old Bavarian immigrant who thought there might be money in supplying canvas tents to the gold-diggers. But when he arrived he found they were more concerned about their trousers, which lasted no time at all in 'the diggins'. So, in order to make use of the tenting canvas, he turned the material into the 'waist-high overall'. And the tough new trousers sold so well that the immigrant was able to open a shop selling them under his own name - Levi Strauss.
Levi's trousers were soon being made in a durable cotton, woven in the South of France, and known as serge de Nimes, colloquialised into 'denim'.
The word ‘jeans’ is believed to have come from the 'Genoese', the Italian sailors who wore blue denim on their trading ships. And the essential character of denim jeans was completed in 1873, when a Nevada tailor suggested to Levi the use of rust-proof copper rivets to strengthen the pocket seams.
Traditional jeans like Levi’s 501 use 14½-oz heavy-weight denim; its deep indigo colour comes from an eight-dip dyeing process which builds up layers of colour on the yarn. Over a period of wearing and washing the jeans ‘shrink-to-fit’, the fabric ‘blooms’, and the colour fades half a shade lighter. It all adds up to the particularly individual character of blue denim jeans, perhaps the only garment whose claim to perfection is that they are guaranteed to wrinkle, shrink and fade.


Le tipiche cravatte del classico internazionale sono le tantissime Regimental di seta di cui portiamo alcuni esempi (vedi taccuini Nr. 582 e Nr. 583), nonché cravatte disegno Paisley, comunemente chiamato disegno cashmere (vedi taccuino Nr. 584).
Riferimenti storici:
PAISLEY: Città scozzese famosa per i suoi scialli di cashmere, con il disegno a piumette, originario della Persia. In epoca vittoriana, le manifatture di Paisley migliorarono a tal punto i prodotti che tutto il mondo ne riconobbe la qualità, attribuendo loro il nome della città.

Al prossimo appuntamento con accessori ed altro vestire.

Vi saluto classicamente e cavallerescamente.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-05-2004
Cod. di rif: 1287
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a G.De Falco - Riferimento: Lavagna Nr.1285
Commenti:
Egregio Cavaliere Giuseppe De Falco,
grazie per le Sue parole.

A presto incontrarla a Barcellona e a Bologna.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-05-2004
Cod. di rif: 1292
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico internazionale - Primavera-Estate
Commenti:
Il piede nel “classico internazionale” è ricoperto, sempre per la stagione primavera-estate, dal mocassino internazionalmente chiamato Loafer (vedi taccuino Nr. 592) e Tasselloafer (vedi taccuino Nr. 593).

Riferimenti storici:
LOAFER - Loafer vuol dire pigro, scansafatiche: chiaro riferimento all'uso della scarpa per il tempo libero. Il mocassino, o Loafer, è una scarpa bassa nella quale il piede alloggia comodamente. Tale definizione, generica, comprende sia il mocassino classico sia i diversi tipi di Loafer cuciti a guardolo. Paragonato alla scarpa stringata, il mocassino è una calzatura piuttosto informale. La versione americana, il Pennyloafer o College, risale agli anni trenta. E al suo esordio gli amanti della tradizionale scarpa stringata pensarono che si trattasse di una scarpa da casa indossata erroneamente per strada. Ma questa calzatura morbida e leggera divenne ben presto assai popolare, perché non va allacciata e, almeno nella sua versione originale non foderata, è più fresca della scarpa tradizionale. Alla forma originaria del mocassino si aggiunse anche la variante cucita a guardolo. E’ oggi universalmente accettata come calzatura classica.

TASSELLOAFER – Il mocassino degli indiani d’America è il progenitore di questo modello in cui la mascherina, i gambetti e la linguetta sono realizzati con un unico pezzo di pelle senza lacci o fibbie: tutto ciò che si deve fare è semplicemente infilare il piede. Non a caso il suo nome in inglese è slipper, termine che deriva dal verbo to slip. Tuttavia, mentre la suola del mocassino viene fabbricata con un tipo di pelle molto sottile e flessibile e senza il tacco, le altre parti della scarpa sono simili ai modelli classici. Un caratteristico elemento decorativo del mocassino sono le cuciture della mascherina realizzate a mano e le nappine fissate sulla linguetta.

Per il tempo libero il classico prevede:
- calzature Navy canvas boat sneaker (vedi taccuino Nr. 594)
- calzature Top-siders (vedi taccuino Nr. 595)

Il classico prevede la scarpa Brogue naturalmente con pellame leggero trattandosi di primavera-estate (vedi taccuino Nr. 596).
Riferimenti storici:
BROGUE - Originariamente era un rivestimento per il piede di cuoio grezzo, indossato dai contadini scozzesi e irlandesi. (Dal gaelico “brog”, scarpa). Ora nella versione moderna per un abbigliamento da campagna, con giunture e punte punzonate che creano disegni e bordi tassellati.

Amabilissimi Cavalieri Vi annoierò ancora con altro.

Intanto divertiamoci, una pausa dal serio, osserviamo questo signore che, tutto sommato, evidenzia decisione e coraggio (vedi taccuino Nr. 597)

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-05-2004
Cod. di rif: 1296
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Baffo scozzese Nota per C.Pugliatti Rif.Taccuino Nr.588
Commenti:
Gent. Sig. Pugliatti,
credo che lo spezzato che Lei propone nel taccuino Nr.588 si chiamasse “baffo scozzese”.
In quegli anni (’60–’70) alcuni fabbricanti italiani proposero tessuti simil-tweed con colori marrone, verde con punte di giallo e marrone scuro, lo definirono “baffo scozzese”, ma non ci fu storia.
Ma i grandi tweeds “Made in Scotland”, della magnifica località dei Borders, dove scorre il fiume Tweed, senza baffi esistono ancora.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-05-2004
Cod. di rif: 1297
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico internazionale - Primavera-Estate
Commenti:
Per il piede non poteva mancare la scarpa Chukka Boot (vedi taccuino Nr. 599).
Riferimenti storici:
CHUKKA BOOT: Stivale casual e sportivo che arriva appena sopra la caviglia, a punta liscia, con due lacci alti. Deriva dal polo (il chukka è un tempo del gioco), lo sport portato in Occidente dall’India grazie al British Raj. È chiamato anche “Desert Boot”, per essere stato adottato, nella forma in pelle scamosciata, dalle forze britanniche nella campagna del deserto occidentale durante la Seconda Guerra mondiale.

Non va assolutamente tralasciato un indumento presente nel mondo, presente nelle bancarelle, presente nei negozi eleganti mescolato ad abiti importanti, annuncio la famosa “Field jacket”, la giacca militare americana (vedi taccuino Nr. 600).
Un vasto mercato gravita attorno a questa giacca, il vintage ne ha fatto man bassa proponendo giacche militari con gradi ed il nome di chi la indossò.
Molti stilisti hanno rivisitato questa giacca proponendone imitazioni.

I pantaloni hanno un “sostegno internazionale”, la classiche bretelle regimental e tinta unita in molti colori in Melton coat (vedi taccuini Nr. 601 e Nr. 602).
Riferimenti storici:
MELTON: In tessuto fitto, un soprabito pesante originario della città di Melton Mowbray, nell’Inghilterra occidentale.

Si potrebbero citare tanti accessori ma non so quanto sia la verità della loro classicità internazionale, calze, cinture, borse, cappelli, in questo caso non va dimenticato il Panama.
Riferimenti storici:
PANAMA: Cappello introdotto da Edoardo VII come un’alternativa al Boater, indossato durante le vacanze estive. In realtà la materia grezza non proviene da Panama ma dall’Ecuador e dalle lunghe foglie di Jipijapa (Jipijapa è il vecchio nome spagnolo dell’Ecuador). Ma Panama impresse il suo marchio sui cappelli e acquisì notorietà.

A QUESTO PUNTO PER IL CLASSICO INTERNAZIONALE PRIMAVERA-ESTATE GRADIREI MOLTO OSSERVAZIONI, SUGGERIMENTI, INCREMENTI.
MI ALLARGHERÒ SU QUESTO ARGOMENTO, COME HO GIÀ DETTO, PER LA STAGIONE AUTUNNO-INVERNO CHE NON TARDERÀ AD ESSERE PRESENTATA.

Consiglierei come metodo DI STUDIO e di approfondimento di rileggere le rubriche “Vestirsi uomo” pubblicate sulla rivista “Monsieur” dove gli articoli del nostro Gran Maestro Giancarlo Maresca fanno un quadro ben preciso dello stile, qui ho ritrovato il classico internazionale non espresso ma ben evidenziato fra le righe.
Ne faccio un esempio; vediamo l’ultima puntata, la Nr. 10, “Monsieur” febbraio 2004, a titolo: “Anno 2004 è nato un Monsieur” di Giancarlo Maresca; se qualcuno fosse sprovvisto di tale testo può interpellarmi e ne invierò le fotocopie.

Come dice giustamente il Gran Maestro Giancarlo Maresca su Monsieur 2004 febbraio, “chi ha recepito i codici dell’eleganza e li ha fatti propri, è in grado di vestirsi in modo elegante anche in un grande magazzino; tutto ciò che riguarda l’eleganza e il gusto ha a che fare con il senso estetico, cioè con il senso del bello, e quindi con la bellezza, che possiamo riconoscere ogni giorno sulla terra. Poiché la bellezza è un insieme armonioso di elementi, quella del vestire è un’armonia che si basa sulla mescolanza di vari fattori, ad esempio la tecnica, l’arte e il comportamento. L’eleganza deve far trasparire il carattere e la personalità di ciascuno, indipendentemente dalla moda. Quando diciamo che una cosa è bella vogliamo darle un valore universale e dunque che rimane”.
Questo accade con il classico internazionale; esso è qualcosa che rimane, ci sono dei canoni che vanno al di fuori dell’appariscente e della moda.
Per continuare con il classico internazionale, è costituito da un insieme di regole che vanno interpretate personalmente e fatte proprie; il classico internazionale, per aggiungere modestamente qualcosa a quanto detto dal Gran Maestro, contribuisce a perpetrare l’eleganza e il senso estetico,
- i capi che costituiscono il classico internazionale sono entrati nella storia dell’abbigliamento; essi consentono, per dirla con il Gran Maestro, “di far emergere l’uomo”,
- il classico internazionale fa risaltare l’eleganza maschile, perché esso ha due importanti qualità: NON È SCONTATO MA NON È APPARISCENTE,
- l’eleganza la si può imparare poiché è composta anche di tecniche; lo stile è invece qualcosa di innato; esso ha a che fare con il gusto personale e con il senso del bello che ciascuno di noi ha,
- il classico internazionale consente di far emergere il gusto personale e lo stile di ciascuno, quindi di interpretare l’eleganza maschile in modo adeguato,
-il classico internazionale riunisce in sé i fondamenti dell’eleganza: sobrietà, originalità, fantasia, ordine, raffinatezza e qualche pillola di trasgressione…

Concludo questa mia lavagna, al di là di tante considerazioni devo dire che questo signore anonimo, o forse Signor Arrigoni, non mi è affatto dispiaciuto (vedi taccuino Nr. 603).

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


P.S.: Aggiungo un post scriptum che è espressione di rivolta interiore che vorrebbe esternarsi e suggerire invitando tassativamente tutti coloro che fanno stile A NON RIVISITARE i capi internazionali aggiungendovi etichettature esterne e cambiamenti che tolgono di memoria ciò che ha portato grazia e continuerà a portarla.
CREARE, NON RIVISITARE.
Ricordo per averlo vissuto, o meglio subito, il cambiamento che negli anni ’80 certi stilisti oggi famosi nel mondo dettero alla giacca abbassandone i reverse, sfasandone le proporzioni; un vero disastro che non fu facile aggiustare per il ritorno alle regole sartoriali.
Altro fenomeno molto discutibile sul piano estetico e stilistico sono i “Total looks” presentati con negozi propri da grandi signori del tessile imitando senza creare.
A questo punto invito anche i signori del “Made in Italy” a fare gusto proprio con tessuti esclusivi con forte carattere come fecero coloro che hanno internazionalizzato.
Allora il “Made in Italy”, del quale si sta parlando, e citato anche dal Gran Maestro, raggiungerà successo
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-06-2004
Cod. di rif: 1305
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a Sig.C.Pugliatti - Riferimento Lavagna Nr.1299
Commenti:
Gent. Sig. C. Pugliatti,
alla Sua domanda sulle tipologie di tessuto più popolari ed acquistati in Italia negli anni ’50, ’60 e ’70 posso dire globalmente che allora i consumi erano molto alti, mi riferisco alla vendita dei tessuti a metratura, detto questo mi è difficile rispondere dettagliatamente alla Sua domanda in quanto noi abbiamo sempre ricercato tessuti e li abbiamo proposti; e con modestia posso dire anche “fatti imparare” a tanta utenza.
Chiaramente si vendevano tessuti come gli cheviot con importanti disegni a righe di peso sostenuto, tessuti crossbred o twist, saxony con magnifici disegni Galles.
Ripeto, non mi è semplice elencare una differenza fra anni ’50, ‘60, ’70; noi abbiamo proposto tessuti ricercati in Inghilterra, alcuni fatti fare espressamente, per proporli alla clientela.
Pensi che il nostro negozio aprì nel 1932 proponendo l’Harris tweed in mezza altezza allora a Bologna completamente sconosciuto; e così abbiamo proseguito per anni e continuiamo a ricercare adeguandoci ai tempi.
Altri drappieri, venditori d’ottime stoffe nazionali ed inglesi acquirenti dal commercio non ricercato, potranno essere più esaudienti.
E’ sempre un piacere conversare con Lei, persona colta e molto attenta; ho sempre seguito i Suoi interventi su lavagne taccuini apprezzando le Sue colte nozioni sugli stili.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-06-2004
Cod. di rif: 1306
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta al Sig.M.V.Vidali - Riferimento Lavagna Nr.1303
Commenti:
Egregio Sig. Maria Vittorio Vidali,
alla Sua domanda non ho un’immediata risposta, oppure l’avrei dicendo senz’altro che non conosco un sarto d’età inferiore ai 45 anni in Emilia, però per essere esatto dovrei ben approfondire.
Sarà mia premura risponderle ulteriormente dopo avere approfondito la ricerca.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 03-06-2004
Cod. di rif: 1312
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta al Sig.M.V.Vidali - Rif.ti Lavagna Nr.1303-1307-130
Commenti:
Egregio Sig. Maria Vittorio Vidali,
come vede il bravissimo Villa al gesso Nr.1308 indica un sarto nonché il riferimento alla scheda contenuto nel “Portico dei Maestri”.
Alla Sua domanda di cosa penso del futuro della sartoria dico innanzi tutto: speriamo miracolosamente in un buon futuro.
Ho visto tanta sartoria pertanto il problema va rivolto verso le categorie artigianali che non hanno incrementato scuola presso i giovani; discorso lungo, polemico, rabbioso e insanabile a meno che il miracolo non arrivi.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-06-2004
Cod. di rif: 1313
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Lana Mohair
Commenti:
Il famoso Mohair, del quale ultimamente abbiamo più volte parlato, nonché presente a pag.14 del manualetto dei tessuti che quasi tutti hanno ricevuto.
Desidererei ampliare la sua storia attraverso una ricerca che ho eseguito.

« Ed il Signore parlò a Mosè e disse: “Dirai à figli d’Israele che mi portino dei doni …. Le cose poi che dovete raccogliere sono queste: oro, argento ……… lino finissimo, vello di capra…..” ».
Queste parole tratte dalla Bibbia (Esodo, 25, 1-4) attestano come, per costruire le tende esterne del tabernacolo, gli ebrei usassero la lana delle capre e sicuramente la più preziosa; una stele conservata al museo di Istanbul inoltre testimonia che questa lana è quella che viene usata ancora oggi sotto il nome di Mohair.
Dall’arabo Mokhayyar, stoffa di lana di capra, e dall’inglese Hair, pelo, viene il termine mohair, la seconda lana più pregiata del mondo dopo il cashmere.
La capra d’angora, all’origine del mohair, il cui vello è forse quello “d’oro” degli Argonauti (vedi taccuino Nr. 618), è originaria degli altipiani dell’Asia Minore e la parola Angora si identifica oggi con Ankara, capitale dell’attuale Turchia.
L’animale, che si alleva in undici distretti dell’Anatolia Centrale, è di piccola statura (m 0,60 in media), ha corna piatte, più lunghe nel maschio, orecchie lunghe e pelame bianco o bruno: lucente come la seta, ondulato di lunghezza media di 40 cm, ma può arrivare anche a 75 cm, con un diametro di 23-42 micron (vedi taccuini Nr. 619 e Nr. 620).
La straordinaria finezza di questo pelo rende la lana estremamente calda e di grande utilizzazione nel campo delle fibre tessili.
Il mohair è ottenuto in quantità variabile da 0,8 a 1,5-2 kg per animale, e si presenta in genere abbastanza pulito così da dare una resa del 90%, lavato.
Le migliori qualità si ricavano per tosatura, dopo aver lavato e pettinato l’animale.
La caduta del pelo è anche spontanea, al principio dell’estate: viene allora raccolto con cura e se ne ricavano in media 2 kg per capo (4 per il becco, 2,5 per la capra di due anni, 0,8609 nella capretta di sei mesi). La tosatura comunque viene praticata spesso senza aspettare la caduta.

Per lungo tempo questa lana venne conservata gelosamente dai pastori anatomici come un privilegio del loro popolo, ma le leggi del commercio prevalsero sugli interessi culturali e il mohair fu ampiamente esportato in altri paesi.
Nell’opera maggiore della letteratura turca “Poesie mistiche” il poeta Rûmî. Afgano di nascita, ma morto in Turchia, a Konya, nel 1273, dopo aver vissuto e scritto sotto i sultani per lunghissimo tempo, descrive così la terra dell’altopiano anatomico: “Pernici volano insieme, e falchi nell’aria sottile della nostra terra montana”. I versi immortali di Rûmî parlano di questo magico paese freddo d’inverno e caldo d’estate, anche se l’altitudine non arriva ai mille metri, semideserto, roccioso, cangiante nei contrasti di luce ed ombra ove le silhouettes dei predatori alati spiccano sulle rocce rossastre.
Questo paesaggio dai grandi spazi azzurri e oro, ocra e verde, ove spiccano le splendide costruzioni dei Karavan-seray che ospitavano le greggi e le carovane dei mercanti, al tempo degli Ottomani, è abitato ancor oggi dai pastori che vivono modestamente nei villaggi costruiti di pietra e argilla
Il clima è rigido e questo determina la produzione di un pelo così lungo da parte delle capre, a difesa dal freddo pungente.
A questo clima soprattutto è legata la qualità eccezionale della lana che vi si ricava.

L’Anatolia, una terra ricca di cultura e di tradizioni millenarie, di scuole coraniche e di moschee dalle architetture eleganti, ornate di maioliche azzurre e turchesi, verdi e dorate, eredità rispettive della cultura bizantina e persiana; una terra affascinante, impregnata di fede islamica, ove la cultura pastorale risulta ancora dominante insieme al patriarcato e al misticismo.
Nonostante questo, la Turchia è anche la terra dei commerci levantini e la lana di questo prezioso animale è una delle voci più sostanziose della produzione nazionale.

Indubbiamente il mohair turco è il più pregiato, ma questa lana e gli animali vivono anche altrove.
Il paese in cui la capra d’Angora fu introdotta fra il 1838 e il 1857 è l’Unione Sudafricana, principalmente Basutoland, poi gli Stati Uniti d’America (Texas, Oregon, California, Nuovo Messico) (vedi taccuino Nr. 622).
Una certa importanza hanno l’Australia e la Nuova Zelanda, in cui la razza angolese fu introdotta verso il 1890, mentre nessun successo hanno avuto i tentativi di produzione e allevamento condotti nell’Europa del Nord.
All’inizio del ventesimo secolo la produzione dell’Asia Minore fu calcolata in 1,6 milioni di kg, su 1,7 milioni di capre allevate; quella dell’Unione Sudafricana in 5,7 milioni di kg, su 3,6 milioni di capi; quella degli USA in 3,2 milioni di kg, su 3,7 milioni di animali.
In seguito, nonostante l’avvento delle fibre tessili sintetiche e derivate dal petrolio, la produzione si è incrementata notevolmente, rientrando nel settore delle fibre di lusso, tanto da arrivare in Turchia a 6 milioni di capi e quasi 9 milioni e seicentomila chili di mohair nel 1956.
L’alto rendimento unitario dell’Unione Sudafricana si spiega con il fatto che la tosatura vi si pratica due volte l’anno: dopo sette mesi e dopo cinque, naturalmente con prodotto meno fine dal primo al secondo taglio.
Un prodotto meno prezioso si ottiene anche con incroci di capre d’Angora con capre comuni, questo mohair risulta sempre molto fine: essendo il pelo di questi animali lungo dai 20 ai 25 cm, di spessore sui 24 micron, molto lucido, morbido, pulito e di colore bianco.
Tutto il mohair comunque è destinato sia alla confezione di stoffe per abiti, sia alla confezione di tessuti vellutati (velluti di Utrecht), passamaneria, e imitazioni di pellicceria, usando le pelli conciate.

Centro classico di filatura del mohair è lo Yorkshire, in Inghilterra, sin dal 1820.
Molta parte del filato è esportato nei paesi continentali europei.
Nel nostro Paese l’Industria Moda è quasi la più importante e il “Made in Italy” nei prodotti di abbigliamento un simbolo di prestigio e di raffinatezza; una lana così morbida, calda, fine e soffice come il mohair non poteva non essere utilizzata dai nostri fantasiosi stilisti, maestri nell’arte antica di vestire il jet-set internazionale, nonché quasi tutto il resto del mondo, con la produzione del prét-à-porter e della sartoria su misura.
Nel Biellese, infatti, patria delle maggiori e più antiche industrie tessili nazionali, si confezionano tessuti di mohair sia per uomo che per donna.
Il paese dove esportiamo più mohair restano gli USA, in cui la moda italiana è il top dell’eleganza e della classe, seguita dalla Germania e dagli altri paesi europei.

Questa lana fine e preziosa, serica e morbida, fu usata fin dall’antichità per tessuti particolari, legati alle tradizioni religiose e culturali dei paesi d’origine.
Ancora oggi rimane un simbolo e un privilegio per la vivificazione del mito del successo e della ricchezza.


Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 08-06-2004
Cod. di rif: 1315
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: District Check - Riferimento Taccuino Nr.611
Commenti:
In merito al taccuino Nr.611 del Gran Maestro Vi anticipo che produrrò la storia dei "District Check" presentando i disegni più rappresentativi di questi tweed, veri esempi di tessuti del "classico internazionale.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 08-06-2004
Cod. di rif: 1316
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Di ritorno da Barcellona, idee e proposte.
Commenti:
Le tante conversazioni svolte a Barcellona in simpatica compagnia, allietati dal clima e dalla splendida città, mi hanno fatto venire molte idee di collaborazione per il sito.
Ma ne cito una, cioè quella di intraprendere uno studio ben articolato sul vestire cerimonia, sera, cocktail, eventi, concerti.
Sono stato molto bene impressionato dall'erudito Iosi Campanino, che già sul tight era ben informato.
Invito i Cavalieri più volonterosi a collaborare per un lavoro di equipe con una accurata ricerca.
Trovati i volonterosi si affidano compiti specifici legati ad un coordinatore che potrebbe essere, perchè no?, Iosi Campanino.

Vi saluto con cuore catalano e cavalleresco sentimento.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 09-06-2004
Cod. di rif: 1317
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: LANA CASHMERE
Commenti:
Avendo nominato il Mohair tra le fibre preziose insieme al Cashmere non potevo tralasciare:

La Storia del Cashmere

Il Cashmere deve essere veramente una delle parole più evocative del mondo.
Richiama immagini di morbidezza lussuosa e di calore, e richiama alla mente le alte montagne dell’Himalaia.

Ma che cos’è il cashmere e da dove viene? Come dice il nome esso ha origine dal Kashmir. Esso è la fibra filata dalla lana più interna della capra del Cashmere ed è una delle fibre più fini che l’uomo conosca.
Il Cashmere viene prodotto in Mongolia, China, Iran e Afghanistan. Il Cashmere più fine viene dalla Mongolia interna, dove la fibra ha uno spessore che misura tra i 14,5 e i16,5 micron (un micron corrisponde a o,oooo4 pollici e un pollice corrisponde circa a 2,5 cm). Il cashmere iraniano è leggermente più comune, cioè di qualità inferiore e misura tra i 17.5 e i 18.5 micron.

Le capre che producono questa lussuosa fibra (vedi taccuino Nr. 624) fanno parte della vita nomade delle tribù dell’Himalaya. All’incirca verso la fine del diciottesimo secolo le tribù più importanti migrarono dalla regione nord orientale del Cashmere al Nord dell’India e alla fine si sistemarono nella Mongolia interna. Lì si fermarono e la Mongolia divenne la principale area di produzione mondiale di Cashmere. E’ difficile comprendere come il lusso del cashmere possa essere associato alla magra vita delle pendici himalaiane, dove il clima è arido e asciutto nei mesi estivi e in inverno la temperatura scende molti gradi sotto lo zero. Ma sono proprio queste condizioni che creano il clima giusto affinché le capre possano produrre il loro duplice mantello, quello esterno, così forte e robusto e quello interno, così soffice e lussuoso. Durante la primavera le capre cominciano la loro muta ed è proprio allora che la loro fibra viene ravviata e tolta a mano, dal momento che ogni animale produce quattro once di pelo. Pettinare le capre e raccogliere la lana è un avvenimento familiare simile alla vendemmia in Francia; un lavoro duro, che spezza la schiena ed è così lontano dal mondo della moda e delle industrie tessili scozzesi e italiane.

Non appena è stata pettinata la fibra viene raccolta, imballata e trasportata fino ai porti; anticamente questo veniva fatto su muli e al giorno d’oggi, grazie alle strade costruite, in parte su muli e in parte in corriera.

Il cashmere può essere di tre colori, grigio, marrone e bianco. Il bianco puro è il tipo più pregiato, perché può essere tinto nei colori più chiari e ha il prezzo più alto. La trasformazione della fibra in tessuto è un procedimento difficile e contribuisce a creare la mistica del cashmere. E’ complicato perché il mantello interno e quello esterno delle capre sono mescolati insieme ed è necessario separarli, per così dire de-lanizzarli, prima che la sottile fibra possa essere filata e tessuta. Nel diciannovesimo secolo questo veniva fatto a mano ma verso la fine dell’Ottocento due fabbricanti di tessuti del luogo svilupparono separatamente un procedimento con il quale le fibre venivano separate a macchina. Per molti anni la de-lanizzazione meccanica rimase un delicatissimo segreto industriale; al giorno d’oggi invece la delanizzazione meccanica è un fatto abbastanza comune e la maggior parte del Cashmere viene acquistata già delanizzata dalla Cina, paese che negli ultimi venti anni ha sviluppato, grazie alla tecnologia giapponese, una propria industria per la de-lanizzazione.

Il cashmere è conosciuto ed apprezzato da secoli. Scialli di Cashmere trovavano la loro strada per giungere alle corti degli imperatori romani. Nel XV secolo migliaia di lavoratori venivano impiegati nella città di Srinagar per tessere scialli e tappeti. Gli scialli di Cashmere di Sringar furono poi resi popolari in Europa dall’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III° e al tempo stesso guida della moda occidentale del diciannovesimo secolo. Esso è inoltre strettamente associato alla Scozia e questa correlazione è uno di quei felici accidenti che si coniugano per una serie di circostanze diverse. Gli Scozzesi sono sempre stati esploratori e viaggiatori; viaggiavano verso l’Estremo Oriente e fondavano compagnie commerciali, le stesse che ancora oggi godono di fama mondiale. Gli Scozzesi possedevano inoltre una vasta industria tessile indigena e avevano l’esigenza di riscaldarsi con abiti adatti durante il loro rigido l’inverno.
La storia racconta che nei primi anni ‘50 dell’Ottocento uno Scozzese che viaggiava dall’Estremo Oriente ritornò a casa al Nord di Scozia con una balla di Cashmere grezzo, che vendette poi a un fabbricante di tessuti del luogo; fu questa la prima volta che un fabbricante scozzese trattò commercialmente questa fibra; quell’uomo fu dunque il precursore della fiorente attività dell’azienda.
C’è però anche un’altra versione della storia, che racconta che molto probabilmente la fibra non era di Cashmere ma di vicuna del Sud America, che pare sia stato usato da quell’imprenditore per la prima volta nel 1849 (per chi non lo sapesse il vicuna è un mammifero dell’America meridionale assai simile al lama). Il 30 Ottobre del 1851 c’è un’entrata nel libro contabile per l’acquisto del cashmere di un’azienda di Londra e un imprenditore comprò un altro piccolo lotto di quel materiale nel 1853, ma la principale fibra lussuosa usata da quell’azienda per tutto il diciannovesimo secolo fu di vicuna.
Se sia stata proprio la proibizione del vicuna a dare come esito l’apparizione del cashmere come la più lussuosa delle fibre è una questione ancora da appurare, ma quello che è certo è che ora il cashmere è sinonimo di tutto ciò che c’è di più raffinato nel campo della lana e un punto di riferimento per i migliori tweed e la migliore maglieria scozzesi. Il coinvolgimento col cashmere da parte di quell’imprenditore scozzese cominciò alla metà del diciannovesimo secolo ed è continuato fino ai nostri giorni. In Scozia si sono sempre mantenuti collegamenti diretti con la Cina acquistando in un primo tempo dai mercanti cinesi e ora invece comprando direttamente dal Comitato Cinese per l’Esportazione. Il Direttore generale visita la Cina due volte all’anno, visita le Fiere di Canton su invito, che è un grande onore, e aziende scozzesi hanno fatto una joint con la Cina, una società per assicurare un rifornimento continuo di cashmere delanizzato per i fabbricanti scozzesi. Nel mondo, mentre quel produttore ancora viene dopo Dawsons, che è l’azienda leader per la filatura del Cashmere, quella società dispone del cinque per cento del prodotto annuale e la domanda di cashmere aumenta continuamente.
Il rifornimento di questo materiale non è rimasto sempre costante: durante la guerra di Corea esso fu sospeso completamente, ma negli ultimi venti anni il mercato si è stabilizzato e i produttori sono stati raggruppati sotto la protezione del Comitato. Allo stesso tempo i Cinesi hanno fatto passi da gigante nel migliorare l’allevamento delle capre ed è stato introdotto un programma di allevamento per produrre una migliore qualità di fibra e una percentuale più alta di fibra bianca. IL prezzo definito dal comitato centrale varia di anno in anno e sono stati dei tentativi di creare fonti alternative di rifornimento in Scozia e in Australia, dove gli Scozzesi hanno cercato di impiantare un’industria. Risultò che il Cashmere australiano aveva più o meno le qualità del mohair scozzese, eppure il cashmere scozzese pare che possa essere una promessa, così nel 1994 un’azienda scozzese fece l’operazione di separare tutto l’ammontare di lana del paese, che era di circa mille chilogrammi di fibra. Nel 1988 i fabbricanti scozzesi hanno prodotto un’edizione limitata di sciarpe fatte con il primo vero cashmere scozzese che in quel tempo ammontava esattamente a cinquantaquattro chili. Questo potè essere davvero chiamato il primo prodotto di Cashmere scozzese.
Per oltre cento anni il cashmere continuò ad essere utilizzato come fonte principale di fibra per abiti, scialli e accessori raffinati e di alta qualità; nel frattempo l’industria della maglieria andava sviluppandosi sempre più. Hawick è stata la patria della maglieria scozzese per oltre cento anni. All’inizio l’industria usava le lane locali ed aveva particolare successo nella fabbricazione di maglieria intima in pura lana. Negli anni ’20 del Novecento la maglieria scozzese per maglioni e abbigliamento esterno diventò di moda e insieme con l’importazione dei lambswool più pregiati fu introdotto il cashmere, che doveva diventare la fibra più raffinata e soffice di questo crescente mercato. Così venne fondata l’industria della maglieria e ogni genere di capi di abbigliamento di cashmere furono creati dall’abilità e dalla maestria di esperti rifinitori. Questo fatto, unito al grande dono dell’acqua dolce locale, dalla quale Hawick è benedetta, gettò le fondamenta per lo sbocciare dell’industria della maglieria in Cashmere.
Questo è il materiale tessile più eccitante con cui si possa lavorare. E’ difficile che invecchi, viene prodotto in una remota regione della terra. Il procedimento di lavorazione della fibra è assai complicato e molto costoso. Tutte le difficoltà che si incontrano nel trattare il cashmere rimangono le stesse e sono rimaste tali per oltre centocinquant’anni, ma il risultato è un prodotto meraviglioso, la cui produzione ci auguriamo continui a prosperare nel tempo.


Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 09-06-2004
Cod. di rif: 1318
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: LANA SHETLAND
Commenti:
Lo Shetland ha fornito e fornisce tanta fantasia tessile, ecco la breve storia.

Classificazione della Lana: lana corta e sottile.
Dove si trova: soprattutto nelle Isole Shetland.
Descrizione: corporatura piccola, con orecchie diritte e occhi luminosi: colore vario. Il maschio ha belle corna arrotondate.
Lo Shetland è l’esemplare più piccolo di pecora inglese (vedi taccuino Nr. 625) e pare sia di origine Scandinava.
Mantiene molte delle caratteristiche della pecora selvatica: la pecora Shetland produce parecchie sfumature di lana, compresa quella bianca, la moorit, cioè il rosso scuro, la smiela, cioè il marrone grigio, il marrone giallo chiaro, il grigio e il marrone.
Questa caratteristica insolita è commercialmente importante per l’industria laniera delle Isole dove le lane naturali sono spesso usate non tinte - caratteristica importante della famosa alta qualità della maglieria Shetland e dei tweed leggermente colorati.
Soprattutto la lana bianca è notevole per la sua finezza e insolita morbidezza e viene utilizzata mescolata dai produttori dell’interno per migliorare la morbidezza al tatto e l’aspetto degli abiti. Comunque la produzione della lana Shetland pura è relativamente piccola e la maggior parte di essa è ancora usata dagli abitanti delle Shetland nei loro tweed, nella maglieria a macchina e nei capi di abbigliamento lavorati a mano, compresi maglioni decorati dell’Isola di Fair, le calze, i guanti e gli scialli.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 09-06-2004
Cod. di rif: 1319
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: LANA CHEVIOT
Commenti:
Il Cheviot ha fornito e fornisce tanta fantasia tessile, ecco la breve storia.

Classificazione della lana: in montagna e in collina.
Dove si trova: nelle Cheviot Hills, nel Sud di Scozia, nel Northumberland e nel Galles del Sud, anche in Canada, Scandinavia, Stati Uniti, Sud Africa e Nuova Zelanda.
Descrizione: orecchie erette e posteriore largo. Muso e zampe bianche, Ciuffi di pelo dietro le orecchie, niente pelo sul muso, sulle zampe sotto il ginocchio o le giunture. I maschi hanno occasionalmente le corna (vedi taccuino Nr. 626).

Il Cheviot fornisce circa un settimo di tutta la lana prodotta in Scozia.
Questo tipo di lana varia, da qualità piuttosto spesse a qualità fini ed è adatta alla produzione di abbigliamento sia sportivo sia leggero da città.
La lana ha dato il nome alle industrie Cheviot che godono di una diffusa popolarità.
Questa lana è disponibile in una grande varietà di disegni ed è famosa soprattutto per il colore molto nitido.
La naturale arricciatura e lo splendore della lana sono caratteristiche molto attrattive per l’abbigliamento leggero, per gli abiti e anche per l’abbigliamento pesante con essa prodotto.
I cappotti di lana, così come la maggior parte dei capi di abbigliamento, hanno ottenuto un miglioramento nella qualità grazie all’introduzione di nuovi procedimenti di rifinitura, compreso la prova dell’acqua.
La lana Cheviot è usata anche nella produzione di coperte, drappi e maglieria.
Le fabbriche Cheviot sono state in un primo tempo fatte per lavorare con solo questo tipo di lana, mentre oggi vengono accettati anche altri tipi di lane.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-06-2004
Cod. di rif: 1328
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a T.Carrara - Riferimento: Lavagna Nr.1322
Commenti:
Gentilissimo Tommaso Carrara,
mi riferisco alla mia città dicendo che praticamente non esistono cappellerie da donna specializzate, bensì parecchi negozi che hanno cappelli da donna.
Comunque segnalo una nota modisteria che ha ottima clientela, capace di interpretare il gusto dell’acquirente per le varie occasioni nelle quali necessita il cappello.
L’indirizzo è il seguente:

Modisteria Anna Maria
Via Rizzoli, 4 (pieno centro di Bologna, proseguimento di Via Ugo Bassi, dove c’è il mio negozio)
Scala C – 1° Piano
Telefono: 051-233525

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-06-2004
Cod. di rif: 1329
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a L.Villa - Riferimento: Lavagna Nr.1321
Commenti:
Grazie Cavalier Villa per le Sue attente parole. L’ignoranza che Lei cita non è affatto veritiera, ad ognuno il suo mestiere.
A Lei, lettore e attivo praticante del sito, ogni mio elogio; ce ne fossero tanti.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-06-2004
Cod. di rif: 1330
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico intenazionale - Autunno-Inverno
Commenti:
Mi riferisco ai miei gessi Nr. 1313, 1317, 1318, 1319 relativi a lane Mohair, Cashmere, Shetland, Cheviot per anticipare che nel classico internazionale autunno-inverno, che andrò a trattare, saranno elencati molti manufatti provenienti da queste lane.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-06-2004
Cod. di rif: 1331
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Nota per Sig. C.Pugliatti
Commenti:
Egregio sig. Pugliatti,
inutile che Le ripeta con quale attenzione “vedo” i Suoi taccuini.
Quando trova nelle Sue ricerche notizie dettagliate su tessuti delle immagini che riprodurrà non esiti ad elencarne qualità, nomi di disegni, pesi, o ciò che trova.
Sarà utile a tutti.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

P.S.: Il Suo taccuino Nr.629 fa menzione al “Palm Beach Cloth”, ma ha Lei notizie dettagliate di questo tessuto? Quale fonte ha portato a tale definizione?

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-06-2004
Cod. di rif: 1332
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: District Check South Uist
Commenti:
Mi riferisco sempre al District Check (vedi taccuino del Gran Maestro Nr.611 e lavagna Nr.1315) per portare in anticipo a quanto produrrò un esempio a mio avviso qualificante.
A pag.166 del Nr.28 di “Monsieur” di giugno 2004 (“L’Empireo dei puros” di Giancarlo Maresca) vediamo la magnifica giacca di Salvatore Parisi (vedi taccuino Nr.632) confezionata con un District Check in Cheviot Wool di 800 gr. di peso al metro.
Si tratta del District Check South Uist, tessuto da me fornitogli alcuni anni fa (vedi taccuino Nr.633).
Ahimè! Quanti anni durerà questo tessuto così ritorto? Molti, ve lo garantisco.
Bravo Salvatore Parisi, capace di ben portare tessuti d’impronta internazionale.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-06-2004
Cod. di rif: 1343
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Palm Beach
Commenti:
Egregio Sig. Pugliatti,
ho rincorso a ritroso il Palm Beach e ho visto tutto.
Ero in arretrato, mi scuso.

A presto.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-06-2004
Cod. di rif: 1350
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a Sig.C.Pugliatti - Rif.: Lavagna Nr.1341
Commenti:
Gent.Sig.C.Pugliatti,
rispondo a titolo personale al Suo gesso Nr.1341.
Gli elementi di valutazione del tessuto da Lei indicato non mi sono sufficienti per una seria risposta; il tatto è il minimo che potrebbe farmi valutare per poter rispondere degnamente.

Cvallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 15-06-2004
Cod. di rif: 1351
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: District Checks - Storia dei disegni dei distretti scozzesi
Commenti:
Lo sparo (a salve? a vuoto?) di Mr. District (vedi taccuino Nr. 654) annunciava la storia dei District Checks che segue.

A seguito delle mie precedenti lavagne (nonché vedere taccuino del Gran Maestro Nr.611), ho elaborato e sintetizzato la lunga storia dei district checks.
Scottish District Checks- I disegni dei distretti scozzesi.

I disegni dei distretti scozzesi

Dal Tartan ai tweed.

Che cosa sono i disegni dei distretti? Per capirlo è necessario parlare dei distretti di Scozia e vedere da dove derivano i disegni a quadri che, sempre visti, siamo abituati a definire tweed; un po’ di storia di Scozia in pillole aiuterà la ricerca. Innanzi tutto, come tutti sanno, la Scozia, è attualmente uno dei paesi che costituiscono il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Anticamente essa era una regione abitata da popolazioni tribali, che vivevano in clan, dedicandosi alla caccia e alla pesca. Siamo circa nel VI secolo d. C. La vita era basata su di un’organizzazione di tipo feudale, nella quale il proprietario terriero (landowner) era anche il capo di una regione e aveva contadini che lavoravano per lui, appunto nella più tradizionale delle organizzazioni economiche del feudalesimo. Il clan è l’unità di base della società tribale scozzese. Esso è un gruppo sociale costituito da differenti rami familiari che discendono da un antenato comune. La parola clan significa semplicemente children, che in inglese vuol dire bambini. Il clan è una comunità, che ruota intorno all’idea di ereditarietà ed è organizzata in modo patriarcale. Il sistema dei clan scozzesi è uno dei più eminenti esempi di struttura di clan mai esistiti. Il sistema dei clan scozzesi ebbe la sua prima definitiva sistemazione con la fondazione del Regno di Dalriada, dove ora si trova Argyll. Esso fu fondato dal gruppo degli Scoti che si stabilirono lungo le coste occidentali della Scozia. Questo insediamento, fondato da Fergus, figlio di Erc, insieme con i suoi fratelli, Lorn e Angus, successivamente ebbe il suo territorio diviso tra quattro tribù, quella di Cinel Gabram e di Cinel Comgall, discendente dei figli di Fergus, e quella di Cinel Lorn e di Cinel Angus, discendente dai suoi fratelli. Questo avvenimento segnò quello che forse fu la prima divisione degli Scoti nei clan dei distretti, una pratica che divenne sempre più comune nel corso dei secoli successivi. Accanto ai distretti di Dalriada, la formazione dei clan delle Highlands fu inoltre grandemente influenzata dai sette grandi distretti tribali nei quali la Scozia era già stata ampiamente divisa dai Piti, Erano questi una popolazione di oscura origine che occupava quasi tutta la Scozia a nord del Firth of Forth e del Firth of Clide.Complessivamente la distribuzione dei clan fu dettata dalla configurazione geografica del paese, con le sue strette valli interne, le sue isole e dal fatto che la terra che costeggiava i bracci di mare erano i distretti più favorevoli all’insediamento. Ma la nascita ufficiale del sistema dei clan viene di solito attribuita a Margaret, la seconda moglie di Malcolm Ceanmore, re di Scozia, e nipote di Edmond, re di Inghilterra. Durante l’XI secolo la regina Margaret esercitò una grande influenza sul re e lo convinse ad adottare molte delle usanze del Sud, come il sistema feudale. Con il primo sistema patriarcale dei Celti tutta la terra era di proprietà della tribù. Ora, sotto la legge feudale, tutta quanta la terra divenne proprietà del re, ed era lui che decideva come conveniva distribuirla. Anche se questo fatto non modificò significativamente la struttura interna dei clan, tuttavia il rapporto tra il sovrano e i capi dei clan cambiò radicalmente. Al clan si chiedeva di essere ufficialmente ricevuto dalla Corona nella persona del suo capo e diventava dunque parte di una “ Honorable Community; fu fondato il Regno di Scozia, la Communitas Regni Scotiae.

I clan scozzesi si distinguevano per il loro abbigliamento veramente unico, soprattutto per i loro scialli che ricoprivano le spalle e abbracciavano la vita. Le prime tribù celtiche vennero notate dagli scrittori romani per la qualità e il colore dei loro capi di abbigliamento di lana, che sono rimasti parte dell’abbigliamento scozzese di ogni giorno.Tra gli Scoti delle Highlands l’uso del tartan si sviluppò a tal punto da diventare un importate simbolo di appartenenza al clan.


Storia dei tweed

Questo per quanto riguarda la tradizione storica scozzese della divisione in clan. Ma veniamo ai nostri distretti. Il termine district check, che vuol dire “scozzese dei distretti” anzi per l’esattezza “disegno scozzese dei distretti” fu coniato nel XIX secolo da un antesignano del commercio e della fabbricazione delle lane scozzesi per indicare i tweed, cioè quei tessuti di lana a disegni geometrici che venivano indossati dagli abitanti di particolari regioni della Scozia e che sono parte integrante e indelebile della storia di quel paese. Molti conoscono i Tartan, un minor numero di persone ha di solito confidenza con gli altri disegni dei tessuti di lana che pure caratterizzano la produzione dell’abbigliamento soprattutto maschile dei nostri giorni. Qualche notizia e precisazione sull’origine a la tradizione di queste stoffe e di questi disegni sarà utile al lettore curioso e meno esperto per farsi un’idea di questi disegni, che sono entrati nella storia dell’abbigliamento dei nostri giorni. In un certo senso i tweed dei distretti si possono considerare i lontani cugini dei tartan. Entrambi, infatti, servono a identificare un gruppo di persone, ma mentre i tartan identificano membri di una stessa famiglia indipendentemente dal luogo nel quale vivono, al contrario i district checks identificano persone che vivono e lavorano nella medesima area, indipendentemente dal fatto che tra di loro vi sia un legame di parentela oppure no. I tweed dei distretti furono inizialmente un fenomeno squisitamente scozzese, poi si diffusero dalla Scozia in altri paesi. Essi sono in realtà alquanto moderni, o recenti, poiché il primo tweed fu creato intorno agli anni ’40 dell’Ottocento, tuttavia è spesso difficile identificare le origini di molti disegni. Lo sviluppo dei tweed dei distretti fu dovuto in larga misura al declino del potere dei capi clan e dei proprietari terrieri delle Highlands. Essi, infatti, furono conquistati dalla fervida vita sociale di Edimburgo e di Londra, ma le rendite dei loro possedimenti non potevano far fronte al tenore di vita dell’aristocrazia. Una delle antiche tradizioni delle Highlands era quella in base alla quale i capi rifornivano l’abbigliamento ai loro seguaci. Nuovi proprietari vollero seguire questo esempio, ma non ebbero il diritto di indossare il tartan. Un'altra buona ragione per la creazione dei tweed fu la necessità dei cacciatori di frodo di mimetizzarsi mentre erano sulle colline. A ben vedere alcuni modelli direbbero esattamente il contrario, come per esempio il Coigach, (vedi taccuino Nr. 659) ma è sorprendente l’efficacia di alcuni colori forti in mezzo alla natura. Molto spesso i colori scelti erano quelli che ben si mescolavano con lo sfondo di montagne e spazi aperti di una regione. Un esempio di questo lo troviamo nella scelta dei colori del tweed di Strathconan. (vedi taccuino Nr. 660). Mr Peter Combe, la cui famiglia possedeva la terra, trovò in mezzo agli scritti del padre una serie di disegni, otto variazioni sul vecchio tweed Strathconan. (vedi taccuino Nr.660).Questi erano stati studiati per trovare la miscela migliore che potesse mimetizzarsi con il colore delle colline. Furono dunque riprodotte quelle otto varianti di colore e gli uomini furono mandati sulle colline con il tessuto ed osservati da lontano per vedere quale fosse quello più invisibile. L’ultimo Lord Lovat riferì poi come suo nonno avesse fatto osservare a sua moglie che i colori sulla costa del lontano Loch More (vedi taccuino Nr.661), la sabbia, l’erica la betulla, le pervinche mescolati insieme facessero l’effetto migliore, e fu così che da questa miscela nacque l’originale colore Lovat.(vedi immagine su taccuino Nr.662).
Genericamente parlando i disegni usati nei tweed dei distretti possono essere riuniti in quattro gruppi principali: il primo gruppo è costituito da variazioni sul Shepherd Check, (vedi taccuino Nr.663) e segue i disegni che sono basati sul Coigach (vedi taccuino Nr.659) e che sono conosciuti in tutto il mondo come “gun club”; il secondo segue variazioni del Glenurquarth (vedi taccuini Nr.664-665-666); il terzo si basa su disegni tipo tartan, e il quarto usa un certo numero di quadri vuoti con o senza aggiunta di disegni supplementari e formano il gruppo da cui nacque l’uniforme mimetica.


Devo precisare che questi disegni tweed possono essere prodotti con vari tipi di lana, in vari pesi e in varie armature. Questo comunque è meglio visibile in pratica.. Ho elencato solo una parte di questi disegni , i più noti e credo i più famosi. Ritroveremo questi disegni trattando il classico –internazionale dell’autunno inverno.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-06-2004
Cod. di rif: 1356
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tartan-Tweed - Risposta a Lorenzo Villa - Rif.: Nr.1352
Commenti:
Illustrissimo Cav. Villa,
rispondo con immenso piacere anche se dalla Sua domanda comprendo che ha già ben inteso.
Un Distretto è abitato da famiglie di diversi Clan; fisso rimane il disegno di quel Distretto.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-06-2004
Cod. di rif: 1360
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico internazionale - Risposta a A.Rizzoli - Rif.Lavagna
Commenti:
Stimatissimo Cav. Andrea Rizzoli,
mi fa molto piacere ritrovarla sulla lavagna (Nr.1355) con precise e sicure affermazioni che confermano la volontà di dare allo stile classico la continuità che merita.
Le difese che Lei cita sono la nostra forza, mi sembra comunque che il Castello sia ben fortificato dall’opera instancabile del Gran Maestro e da tutti noi uniti in questo pensiero.

Sulla domanda relativa alle cinture occorre approfondire bene quali cinture siano da inserire nel classico internazionale, mi dia tempo.
Se qualche Cavaliere, naturalmente Lei compreso, ha notizie precise ricavate non esiti a collaborare e fare ricerca sui testi; per esempio, cinture americane (texana, ecc.).
Collaborare in squadra può dare molto beneficio.
Tema: “Le cinture del classico internazionale”

Lei Cav. Rizzoli chiede dell’ipotesi di disegnare un “District Check”, cioè un disegno di tessuto per il Cavalleresco Ordine; ebbene, avevamo altre volte parlato di questo con il Gran Maestro, non escludo nulla, forse si farà.

Nella speranza di leggerla presto, Le invio cavallereschi saluti.

Dante De Paz

P.S.: Le ricordo l’appuntamento di lunedì 21 p.v., dalle 12 in poi, per il Laboratorio dell’Eleganza presso il mio negozio di Via Ugo Bassi, 4/D a Bologna.


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-06-2004
Cod. di rif: 1361
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a Sig.V.Granata - Rif.: Lavagna Nr.1359
Commenti:
Gent.mo sig. Valerio Granata,
come ho detto al Cav.Rizzoli in relazione ad un tessuto del Cavalleresco Ordine, di certo non escludo la possibilità di un bottone importante personalizzato.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-06-2004
Cod. di rif: 1362
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a sig.L.Villa - Rifrimento: Taccuino Nr.691
Commenti:
Bravissimo Cav.Villa,
condivido il Suo Taccuino Nr.691.
Il Panama è sicuramente classico internazionale.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 18-06-2004
Cod. di rif: 1370
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico Internazionale - DESERT BOOT o CHUKKA BOOT
Commenti:
Nella tradizione del Classico Internazionale primavera-estate, che ho trattato alla voce scarpe, ho parlato della Chukka boot o Desert boot (vedi Taccuino Nr.599 e Lavagna Nr.1297).
Desidero con queste righe ampliare l’argomento Desert boot in una “storia” ritrovata.

DESERT BOOT

El Alamein e lo stile del Deserto:

Il 24 ottobre del 1942, le forze britanniche e quelle del Commonwealth si scontrarono con il generale Montgomery contro le truppe italiane e tedesche posizionate all’ingresso del Cairo e del vulnerabile Canale di Suez. La perdita del controllo del Canale sarebbe stata disastrosa per la causa alleata e lo scontro a El Alamein, con la conseguente vittoria, fu il giro di boa della seconda guerra mondiale, era la prima volta che, dalla Grande Guerra, la potente armata tedesca veniva sconfitta.
Fu una guerra dolorosa e piena di disagi, con l’acqua razionata, il cibo monotono (per lo più carne di manzo conservata e riso) e un sottile filo di polvere su ogni cosa che mangiavi, che bevevi o toccavi.
“La sabbia, così come la conosciamo sulle spiagge delle vacanze, non è un elemento di erosione del Deserto Occidentale. Granelli di una terra troppo sottile e troppo insinuante per essere romantica, con zanzare, fastidiosi insetti e ragni velenosi con cui dividere il letto da campo; oppure locuste combattive che ti ronzano intorno e si buttano addosso dove possono.
Lo Sceicco, il figlio dello Sceicco o Rodolfo Valentino non l’avrebbero mai potuto sopportare. Il romanticismo era lontano - nel Delta dove Il Cairo e Alessandria attiravano l’attenzione e il desiderio ad ogni partenza - giocando il ruolo che giocava Parigi nei confronti dei soldati alla frontiera nella Prima Guerra Mondiale.

E tuttavia lo stile emergeva. E persino a dispetto delle costrizioni dell’uniforme e della praticità, una forma di sofisticatezza forzata s’insinuò nell’abito di coloro che rifiutavano di essere sconfitti dallo squallore delle circostanze.
Tocchi di eccentricità donarono un coraggio speciale per dei segnali di riconoscimento esotico, i quali erano la prova che anche tu avevi prestato servizio nella Guardia Reale a Cavallo
Alcuni di questi tocchi sono sopravvissuti, un’eco insinuante di “ciò che ho fatto in guerra, Sonny”, prima che le origini si siano perse nel tempo e nel ricordo.
La Desert Boot è uno di questi (vedi Taccuini Nr.599 e Nr.700 e Lavagna Nr.1297).
Come si sia evoluta in abbigliamento informale per soldati e piloti delle Forze britanniche in luogo degli stivaletti di ordinanza è impossibile dirlo. Un mezzo stivaletto tagliato alto non poteva certo difendersi dietro la scusa che era in grado di tener lontana la polvere meglio dell’articolo militare. Erano sempre in camoscio, che allora dava la soddisfazione di non essere regolamentare, ma la loro più grande attrattiva derivava dal fatto di essere un segno di riconoscimento del vecchio soldato, così come i giovani marinai coloravano i loro collari di blu chiaro per dare l’impressione di lunghi anni di servizio, o come i berretti degli ufficiali valevano di più se erano rovinati e resi verdi dagli spruzzi del mare.
Genericamente parlando i Desert Boot erano di tipi leggermente diversi, nell’altezza dei buchi per i laccetti, erano sempre di una sfumatura di marrone e potevano avere sia una suola piatta di cuoio, che una grossa di para (crepe sole) gomma. Questo secondo tipo procurò loro l’eccentrico eufemismo; poiché erano conosciuti come Sister Street Brothel Creepers (Frequentatori di Bordelli di prostitute di Strada), in onore della Rue Des Soeurs, il distretto a luci rosse di Alessandria.
I Desert Boots furono anche uno dei motivi della rivolta contro l’Esercito britannico e il comando della RAF, che direttamente dai magazzini del Quartier Generale non faceva nulla per il suo soldato ma lo faceva apparire ridicolo.

Nati da stili che furono definiti all’inizio del secolo, essi erano basati sulle teorie di Rudyard Kipling, promulgate in “La Luce che svanì”, e nelle “Quattro piume”; qui si diceva che il sole improvvisamente colpì un uomo bianco, la sua spina dorsale diventò inconsistente, cadde come una pietra e immediatamente divenne cieco.
Le camicie regolamentari perciò avevano un’imbottitura, un doppio spessore di tessuto sopra la spina dorsale, per difendersi da una simile disavventura.

Gli short di ordinanza ricordavano quegli stili informi della moda popolare, coloro che li indossavano sembravano ragazzacci grandi grossi brutti e ritardati. Avevano anche un’enorme aggiunta di risvolto di 12 pollici abbottonato ai lati, che veniva tirato giù al tramonto per proteggere la persona dalle zanzare. Dato che erano terribilmente ingombranti e larghi nel bordo, le zanzare semplicemente volavano su dall’apertura e pungevano comunque. Ma milioni di metri di tessuto devono essere stati sprecati in imbottiture e pantaloni, che venivano immediatamente cambiati dal soldato non appena aveva le ginocchia abbronzate. Questa tenuta era adatta per i Tropici.
Fortunatamente, la maggior parte dei soldati e dei piloti britannici erano arrivati in Egitto attraverso il più lungo e sicuro viaggio attorno al Capo, essendo il Mediterraneo Occidentale largamente sotto il controllo dei sottomarini italiani e tedeschi, e con uno scalo a Città Del Capo o a Durban avevano visto come l’esercito sudafricano producesse short eleganti, piccoli e ben misurati, con un risvolto molto ben fatto, di circa due pollici, a mezza via tra la coscia e il ginocchio, per equilibrare i calzettoni, che arrivavano fin su ed erano tra il ginocchio e la caviglia.
I sarti del Cairo e Alessandria e i sarti dilettanti tra i soldati ebbero presto un elegante esercito.

La camicia più o meno andava bene. E anche questa andò a finire nel guardaroba civile, modello per un ruolo particolare, come la Safari Shirt (camicia da Safari) o Sahariana (vedi Taccuini Nr.559 e Nr.701 e Lavagna Nr.1270), e la tunica militare, oggi abbigliamento sportivo molto comune.
Che le loro origini siano britanniche sono motivo di orgoglio per gli Inglesi, che hanno preso esempio dai primi eccentrici indossatori di queste divise, diventate poi così di moda sia per gli uomini che per le donne.
Riferimenti storici:
SAHARIANA: Da Sahara, il deserto africano. E’ un’ampia giacca monopetto, con quattro tasconi e cintura, indossata tradizionalmente durante le battute di caccia nella savana africana. Realizzata in velluto a coste idrorepellente, in cotone pesante o lino, è spesso rifinita in pelle scamosciata impermeabilizzata. Per scegliere il tipo e la pesantezza del suo tessuto bisogna valutare l’uso che se ne deve fare, e in ogni caso tenere conto delle forti escursioni termiche presenti nelle regioni in cui viene adottata. In angloamericano esistono i termini safari jacket o bush jacket. In modello più leggero, e con maniche corte, è detta bush shirt.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 28-06-2004
Cod. di rif: 1391
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Segnalazione
Commenti:
Segnalo, senza commenti personali, l'articolo titolato: "Anonimi per scelta" a firma di Renata Molho, pubblicato a pag.46 del "Domenicale" allegato a "Il Sole - 24 Ore" di domenica 27 giugno 2004.
Credo senz'altro sia consultabile sul sito Internet del "Sole - 24 Ore".

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-06-2004
Cod. di rif: 1392
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Segnalazione
Commenti:
Segnalo, sempre senza commenti personali, gli articoli apparsi su "Il Resto del Carlino" del 28 giugno 2004 a pagina 31, a firme di Eva Desiderio e Luisa Cinti, relativi al salone "Milano Uomo".

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-06-2004
Cod. di rif: 1393
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Segnalazione
Commenti:
Segnalo gli scritti del Gran Maestro "L'Olimpo della lana" pubblicato su "Mansieur" Nr.29 di luglio 2004 e l'inserto allegato "Sutor Art".
In quet'ultimo il Gran Maestro è nel mondo della pelle e delle grandi calzature; scritti importanti e penna di notevole cultura settoriale.
Invito tutti i Cavalieri alla lettura e all'analiosi profonda per estrarne il vero fondamento, per nostro arricchimento che mai finisce di colmarsi.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-06-2004
Cod. di rif: 1394
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico Internazionale - Disegni Paisley
Commenti:
Dopo qualche giorno di mia assenza dal Castello, non certo dovuta a mancanza di volontà o voglia di produrre, mi ripropongo con un’emozionante storia del tessile che mi ha costretto ad una lunga ricerca le cui svariate fonti, spesso discordi, necessitavano di corrette analisi per trovare l’appropriata verità, spero che così sia.
E’ una storia lunga, leggetela con calma perché continuerà prossimamente.
Si tratta di quel tessuto chiamato disegno Kashmir, o volgarmente disegno cravatta, e per quelli più eruditi disegno Paisley.
Chi di noi non ha portato una cravatta o una sciarpa con questi disegni?
Chi non ha visto scialli, abiti, tappezzerie e quant’altro proprio con questi storici disegni? Oggi dal raffinatissimo alla più modesta gonna di voile “Made in India”?
Chiamiamo questo mio lavoro Storia del Paisley e ne espongo la prima parte in questa puntata anche per risvegliare l’emozione e dare un valore aggiunto a quella cravattina che magari con fare abituale annodiamo al collo


STORIA DEL PAISLEY PATTERN

(Prima Puntata)

I disegni che conosciamo come Paisley hanno un’intera famiglia di varianti, ma sono immediatamente riconoscibili grazie all’intricato motivo a goccia ricurva utilizzata in migliaia di complicati disegni.

Come i “tartan” scozzesi le loro origini svaniscono nella preistoria e come i tartan di essi si hanno notizie da parte degli antichi Romani. Ma a differenza dei Tartan che nascono in Scozia essi ebbero origine in lontane regioni della terra, come l’India e l’antica Babilonia, anche se ancora oggi vengono identificati con la cittadina scozzese di Paisley, che si trova a pochi chilometri da Glasgow (vedi taccuino Nr.710).

Visti oggi sotto forma di sciarpe, panciotti, cravatte o tessuti da abiti (vedi taccuini Nr.711-712-713), e prevalentemente realizzati in meravigliosa seta, la loro fama derivò all’inizio dagli scialli di Paisley, che a loro volta derivavano dagli scialli prodotti nella regione del Kashmir. Essi erano famosi in Asia fin dai tempi più antichi, e confinati in gran parte in quella remota regione.
In realtà mito e leggenda circondano le vere origini del disegno Paisley e l’unica cosa certa è, come abbiamo visto, che esso non è originario di Paisley! Diversi oggetti naturali hanno rivendicato nella storia l’ispirazione che i tessitori della cittadina scozzese di Paisley hanno definito “pino”. Esso è stato collegato con il frutto del mango (e in effetti in India al giorno d’oggi è chiamato spesso “disegno del mango”) e anche a un tipo di pianta rampicante che si trova in India. L’opinione comune è d’accordo nel definire il “pino” come la rappresentazione del germoglio della palma da datteri (simile nell’aspetto allo stretto ricciolo di una foglia appena nata): sembra inoltre che abbia avuto origine nell’antica Caldea (Babilonia) e che da lì si sia poi diffusa sia in India che nell’Europa preistorica.
I Caldei consideravano la palma da datteri l’albero della vita, tanto necessaria era quella pianta per la loro vita. Essa forniva loro cibo, vino, legno , carta e dunque significava prosperità e ricchezza. Il pino, come rappresentazione della parte maschile della palma divenne il simbolo del rinnovamento stesso della vita. Il simbolo fu incluso nei tessuti, nei ricami, negli intagli e fiorì come elemento importante dell’arte indiana. In Europa tracce di esso si possono ritrovare nelle arti decorative di molte culture, per esempio nella ben nota arte celtica. Ma in Europa le arti di queste culture svanirono, sotto l’influsso dei motivi classici della Grecia e di Roma.

Gli scialli che contenevano questo motivo cominciarono ad essere tessuti nel Kashmir, provincia del nord dell’India, verso la fine del XVII secolo. Il primo motivo era molto più delicato e naturalistico del pino Paisley del XIX secolo, ma l’embrione di esso era già là, nella forma solo tracciata. Uno scialle di questo genere lo si può vedere nel ritratto di Abdullah Quth Shah (vedi taccuino Nr.714), in una fitta piramide di fiori sopra un vaso, uno stile influenzato dall‘arte indo-persiana. Il nome dato a questi motivi, ancora usato in India, è Buta, (o boteh) che letteralmente significa fiore. Alla metà del secolo il disegno acquistò un contorno ancora più formale . Dal 1770 in poi il Butah prese sempre più la forma di una foglia dalla punta incurvata riempita con un disegno floreale, con colori quasi sempre di base.

Gli imitatori europei di questo disegno nel XIX secolo poco o nulla comprendevano della simbologia orientale. Pertanto il Butah fu adattato e sviluppato per andare incontro ai gusti occidentali, acquisendo di volta in volta denominazioni diverse, come il “pino”, oppure il “tadpole” (letteralmente “girino”) in Francia, o “little onion” (“piccola cipolla”), a Vienna.

Il tentativo di datare storicamente i tessuti per mezzo di una cronologia stilistica è sempre difficile.
I tessitori tendono ad essere conservatori e sono di solito restii a staccarsi da un successo già sperimentato. I vecchi disegni continuano ad essere prodotti insieme a quelli nuovi e qualche volta persino sopravvivono ad essi.

Nonostante ciò, possiamo seguire in parte gli sviluppi del disegno della “goccia” (“pino” in inglese) quando l’Europa cominciò a fabbricare scialli su imitazione degli Indiani.
I disegnatori occidentali assorbirono il gusto indiano per le forme angolari e per i colori vivaci, e continuarono però anche ad esercitare il loro talento mostrando tutta la loro immaginazione ed inventiva. Le primissime imitazioni, a causa soprattutto delle limitate capacità tecniche dei telai, non avevano di solito il vero disegno a “goccia”, piuttosto i primi scialli avevano degli stretti bordi a disegni floreali o di alghe (vedi taccuino Nr.715).
I primi scialli Paisley hanno un aspetto strano, diverso da quello che conosciamo abitualmente, sono di un solo colore, di solito il verde, oppure con piccole strisce di vari colori.

Nei primi anni del XVIII secolo lo scialle era già diventato convenzionale .

Paisley cominciò a produrre scialli col disegno a “ goccia”, intorno al 1814. Queste prime gocce erano riempite con lo stile a mosaico, (vedi taccuino Nr.716) ma gradualmente divennero più floreali, riempite con fiori, boccioli, steli e foglie. Le gocce cominciarono ad essere più delineate e separate in lunghezza (vedi taccuino Nr.717) e gli spazi tra di esse furono riempiti con leggere figure decorative, a corona, chiamate “wreath”, e cominciò inoltre ad apparire una cintura, una specie di cornice anch’essa decorativa che circondava la goccia e ne seguiva la forma.
Intorno agli anni ’40, il gusto francese prevalse sugli altri. La goccia fu per un breve periodo sostituita da dei nuovi tipi di scialli , come quelli di damasco, o crepe di Canton.

Con l’introduzione del telaio Jacquard (di cui parlerò in seguito), potevano essere tessuti disegni molto più complessi di quelli dei primissimi scialli e secondo la definizione di uno storico dello scialle, il disegno del plaid, o tappeto, divenne una gloriosa e musicale miscela di curve. La tendenza del disegno, che all’inizio era solamente abbozzata, di riempire ogni spazio vuoto e di non lasciare scoperta alcuna parte del tessuto, divenne ancora più marcata dopo gli anni ’40 del XIX secolo. I Vittoriani sembravano aborrire la superficie piatta, e così le gocce si ondularono e allungarono, fino al punto in cui addirittura esse spesso andavano dall’angolo fino al centro. Questa tendenza addirittura andò troppo in là, dando origine a scialli la cui fittezza non li rendeva per nulla gradevoli all’occhio moderno. Per fortuna ce n’erano ancora molti di buon disegno, così, a parte un breve interludio intorno al 1853, in cui fu di moda un disegno a foglia chiamato “Fanny’s Fern“, la goccia regnò suprema fino alla fine dell’industria degli scialli di Paisley.


Il disegno Paisley ebbe la sua fioritura sin dagli anni ’70 dell’Ottocento. Esso è stato utilizzato in quasi tutti i rami della manifattura tessile , dai ricami della biancheria in seta, fino al disegno dei tappeti di alta qualità . Nella seconda decade del XX secolo esso ebbe una grande rinascita negli Stati Uniti per opera di un’azienda che dipingeva a mano tessuti di seta copiati dai veri scialli di Paisley. La seta, si diceva, rendeva più belle le camicie o gli abiti da sera, ma sarebbe stata particolarmente adatta per gli scialli da gran sera delle signore che si recano all’Opera. Soprattutto negli anni ’60 ci fu una gran passione per tutto ciò che era Paisley. Si diceva allora: gli appassionati possono oggi vestirsi Paisley dalla testa ai piedi; possono sedersi su divani rivestiti di Paisley, , oppure dormire su letti di Paisley, oppure persino ricoprire di Paisley i loro mariti. C’erano tantissimi articoli a disegni Paisley: cravatte, vestiti , vestaglie , giacche, biancheria, mobilio, carta da parati, tende, boccali, cappelli, ombrelli e guanti. Il disegno non va mai del tutto fuori moda e anche oggi comunque è molto probabile e frequente che camminando in un grande magazzino ci imbattiamo almeno in un articolo col disegno Paisley.

Ma ritorniamo ai nostri scialli.


Lo scialle Paisley fu un tentativo di riprodurre al telaio gli effetti che negli antichi scialli di Kashmir indiani erano prodotti con l’ago. Ma in realtà c’era più di un metodo di produzione usato negli scialli del Kashmir. Un primo tipo era fatto completamente di patchwork, cioè di unione di tanti piccoli pezzi di tessuto ricamato a mano, ricomposti con grande attenzione e cuciti insieme in modo quasi invisibile. Ma il vero scialle del Kashmir veniva tessuto su di un semplice telaio. In questi scialli, diversamente dalla tessitura europea, i fili della trama non percorrono tutta quanta la lunghezza del tessuto. Al contrario essi sono cuciti, usando un particolare ago a navetta, concentrandosi su un particolare pezzetto di colore alla volta. Questa tecnica di tessitura è conosciuta con il nome di twill-tapestry, dato che è lo stesso sistema usato in Europa per la tappezzeria. E’ lunga e laboriosa e un vero scialle del Kashmir poteva anche far lavorare un tessitore per due o tre anni. Un terzo tipo di scialle indiano era formato da piccole sezioni di tessuto di twill-tapestry cucito insieme nel modo patchwork. Questo permetteva di produrre uno scialle più velocemente poiché molti tessitori potevano lavorare contemporaneamente sui pezzi, ma i risultati erano sempre inferiori a quelli ottenuti con il sistema di tessitura ad ago e telaio dei veri scialli del Kashmir.
Erano questi prodotti del Kashmir che i fabbricanti europei dovevano copiare e se volevano venderne in gran numero dovevano anche abbattere i prezzi. Disegnare scialli che assomigliassero agli originali indiani non fu un gran problema. I disegnatori potevano prendere ispirazione direttamente dagli scialli del Kashmir, da altre imitazioni europee, oppure da particolari degli scialli che erano stampati proprio con questo scopo. Per esempio ci fu un libro, pubblicato in Francia, chiamato “Le Cachemirien”, che mostrava i disegni degli scialli indiani appartenenti alla nobiltà francese. Naturalmente ogni disegnatore aveva anche uno studioso d’arte indiana e di disegno in generale e conosceva abbastanza delle tecniche di tessitura per comprendere i limiti di quello che poteva o non poteva essere prodotto utilizzando i telai europei.
Dopo aver preso l’ispirazione da una qualsiasi fonte, il primo passo del disegnatore era quello di tracciare uno schizzo di un quarto o della metà dello scialle in miniatura. Questo lavoro veniva fatto di solito a matita o con l’inchiostro indiano e raramente era a colori. I disegni dettagliati delle varie sezioni come bordi, angoli e centro venivano fatti in seguito. Venivano poi passati ad un pittore, che li trasferiva su carta oliata, una carta semitrasparente nella quale larghi blocchi di colore potevano essere dipinti su nero e fini particolari sul davanti. Infine un disegnatore prendeva i disegni colorati e li trasferiva sopra una forma di carta da stampa. Nell’industria tessile questa operazione è conosciuta con il nome di “punto di stampa” e in esso ogni piccolo riquadro rappresenta una intersezione dei fili del dritto e del rovescio nell’articolo finito. Questo procedimento necessariamente ingrandiva il disegno e un disegno finito per uno scialle poteva anche essere così grande da ricoprire il pavimento di una stanza molto ampia.

In materia di professionalità dei disegni, non fu Paisley ma la Francia ad essere la guida. Sotto il Governo di Napoleone Bonaparte furono commissionati dei veri e propri artisti per produrre varianti dei disegni Kashmir che si adattassero maggiormente al gusto francese dell’epoca. E fu proprio il gusto francese che dominò il mercato europeo, poiché a partire dagli anni ’40 dell’Ottocento i fabbricanti inglesi imitavano le imitazioni francesi degli scialli del Kashmir. In realtà le testimonianze che abbiamo suggeriscono che Paisley non si preoccupò di produrre molti disegni propri originali, almeno fino a che l’ostilità inglese non fu abbattuta. Frequenti lamentele da parte di Norwich e Edinburgo parlavano delle “piraterie” dei disegni fatte da Pasley. C’è addirittura una lamentela riguardo al fatto che i fabbricanti di Paisley tenevano degli agenti nel porto di Londra in attesa di ogni nuovo carico di scialli dal Kashmir. Questi agenti avrebbero copiato questi disegni e li avrebbero poi spediti velocemente a Paisley così che nell’arco di una sola settimana o poco più i fabbricanti avrebbero rispedito le copie a Londra, abbassando vertiginosamente i prezzi, (20 Pounds contro 200 e anche di più).

Questa lamentela sembra assurda, dal momento che ci sarebbero volute settimane e non certamente giorni per produrre disegni, approntare la trama, sistemare il telaio e tessere uno scialle, oltre al fatto che ci sarebbe voluta almeno una settimana per trasportare i disegni da Londra a Paisley, per le condizioni delle strade del periodo in questione, cioè intorno al 1812.

E poi c’era anche un altro fattore da tenere in considerazione, nella produzione delle imitazioni degli scialli indiani, oltre a quello del disegno. La principale caratteristica distintiva dei veri scialli di Kashmir era il loro tatto. La meravigliosa morbidezza della lana con cui erano fatti questi scialli era unica e nessuno dei sostituti provati dai fabbricanti europei era stato ritenuto adeguato.

Questa lana, della quale i tessitori del Kashmir avevano il monopolio, proveniva da una specie di capra dell’Asia Centrale, la capra hircus. La più pregiata era la lana che cresceva per la protezione dal terribile freddo dell’habitat naturale delle capre, le cime dell’Himalaia. Questa lana particolare, chiamata pashmina, oggi in grande auge, viene eliminata all’inizio di ogni estate e veniva poi raccolta dalle rocce e dai cespugli spinosi, La qualità migliore proveniva dai luoghi più alti e quindi più freddi ma era in qualche modo di produzione limitata. Per consentire un rifornimento supplementare venne anche fatto un allevamento di quelle capre.
Le capre addomesticate producevano ciascuna circa 900 grammi di lana all’anno, sufficienti per produrre uno scialle approssimativamente di 1 metro e 40 cm. Gli indigeni avevano molto rispetto per le capre e questo è testimoniato da un trattato del 1846, tra il Governo Inglese e il Gulab Sing, che controllava la valle del Kashmir dopo la Prima Guerra Sik. In questo trattato, come riconoscimento della supremazia inglese, egli prometteva di far dono annualmente all’Inghilterra di un cavallo, dodici perfette capre da scialle, (sei maschi e sei femmine), e tre paia di scialli del Kashmir.

In varie occasioni furono fatti vari tentativi per naturalizzare le capre in Europa. Perciò nel 1812, un veterinario inglese, di nome William Morecroft, cercò ed ottenne il permesso di guidare una spedizione nel Tibet Occidentale nell’interesse della Compagnia delle Indie Orientali. Così furono portate indietro 50 capre, ma per una qualche ragione i maschi e le femmine furono imbarcati separatamente per l’Inghilterra. Disgraziatamente le femmine furono disperse in mare e dei maschi solo quattro sopravvissero al viaggio di ritorno in Scozia, dove tuttavia presto morirono. Una simile spedizione fu varata dalla Francia nel 1818. I Francesi riuscirono a catturare più di 1.200 capre nel Kazakistan Occidentale, delle quali solo due o trecento sopravvissero al viaggio di ritorno in Francia.
Due coppie furono portate in Inghilterra e nel 1828 il gregge era aumentato fino a 27, producendo giusto la lana sufficiente per tre scialli.

In netto contrasto con le capre addomesticate dell’India, quelle allevate nell’Essex producevano solamente da due a quattro once (cioè da 55 a 115 gr.) di lana all’anno. I fabbricanti desistettero dunque dal pensiero di un allevamento in larga scala di capre, quando si scoprì che la qualità del Kashmir andava lentamente deteriorandosi. Pur essendo così freddi, gli inverni inglesi non erano tuttavia in grado di stimolare le capre a produrre la lana adatta di alta qualità.


Come ho detto, devo necessariamente proseguire per non troncare la ricerca.

A presto, Vi saluto cavallerescamente.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-06-2004
Cod. di rif: 1398
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a Andrea Rizzoli - Riferimento Lavagna Nr.1390
Commenti:
Rispondo con piacere al Cavalier Andrea Rizzoli in merito alla fotografia che abbiamo consultato durante il Laboratorio di Eleganza del 21 giugno scorso, fotografia che ripropongo nel Taccuino Nr.718 presente nella pubblicazione “Jocks and Nerds” Rizzoli New York.

Tutti gli elementi che vestono lo spavaldo giovane fanno parte di antica storia di costume: giacca navy, camicia Madras patchwork, gilet regimental, pantaloni patchwork, scarpa nera Brogue.
Come vedete tutti termini già usati nel classico internazionale ed è proprio questo che dà il senso culturale e la dimostrazione di avere attinto da queste fonti l’originalità, anche se esasperata, che potrebbe sembrare un anticlassico ma che in realtà non è.

Questo concetto era già stato da me espresso in anticipazione dello studio sul classico internazionale, semplificabile nella dissociazione degli elementi classici che riescono a fondersi e trovare poi l’associazione.

L’uomo così vestito, eccentrico all’impatto, diventa poi classico con una attenta e meditata lettura con l’assenza totale della superficialità.
Chiaramente il giovane del taccuino riflette sfrontatezza e quasi possibilità di potersi esibire in tal senso.

Per concludere dico al Cavalier Andrea Rizzoli che gli elementi del vestire internazionale, del quale già conosciamo una buona parte, sono tutti riconoscibili e usabili in ogni parte del mondo.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-07-2004
Cod. di rif: 1412
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico Internazionale - Disegni Paisley
Commenti:
STORIA DEL PAISLEY PATTERN.

(seconda puntata)

La seconda ed ultima puntata del Paisley da me annunciata nella lavagna n. 1394 prosegue con molti tecnicismi forse un po’ noiosi ma non mi sentivo di sminuire una storia che ha dato tanto buon gusto e raffinatezza a tutto il mondo,


In mancanza della lana originale, i fabbricanti europei fecero molti esperimenti per simulare il tatto del filo del Kashmir. Prima del 1820, nessun tipo di filo di lana prodotto in Inghilterra era fine abbastanza e contemporaneamente abbastanza resistente per sopportare lo sforzo della tensione sul telaio come filo della trama. Così furono usati come sostituti fili di seta insieme con fili di lana o di cotone. Il filo da tramatura per i migliori scialli veniva da Amiens (cittadina della Francia meridionale) ed era composto da un filo di lana di Kashmir tessuto intorno ad una parte centrale di seta, per unire la morbidezza della lana alla resistenza della seta. Questo veniva utilizzato insieme ad un filo di lana merino proveniente dalla fine lana australiana e inviato a Paisley dai mulini per la filatura di Bradsford passando per Liverpool e navigando sul Clyde. Nel tentativo di riprodurre il tessuto Kashmir un’azienda dello Yorkshire produsse una “stoffa Thibet”, un tessuto filato con la tecnica “twill”, ma purtroppo ancora una volta questo filato non avrebbe resistito alla rudezza del telaio e così fu usato solamente per la parte centrale degli scialli.

Le tecniche di filatura stavano gradualmente migliorando e alla fine fu trovato un filo di Kashmir che poteva essere utilizzato anche nella filatura al telaio.

Nella produzione degli scialli di Paisley si possono distinguere varie fasi, nell’uso delle differenti qualità dei filati. Nel primo periodo ci fu quasi sempre negli scialli, un’alta percentuale di seta, di solito nell’ordito e poi lana, seta e cotone nella trama. Fu solo verso gli anni ’30 dell’Ottocento che comparvero scialli completamente di lana; furono molto popolari per una decina d’anni, fino agli anni ’40 e oltre, e nel frattempo si continuavano a produrre anche scialli fatti con altri filati.

Fu però intorno agli anni ’50 e ’60 che venne prodotta la varietà di tessuti maggiore. Comparvero grandi coperte fatte completamente di seta, che ovviamente alzarono molto il prezzo del prodotto. C’erano però anche tessuti in pura lana o in puro cotone, e al contrario di quello che si potrebbe credere un tessuto in puro cotone non è necessariamente sinonimo di bassa qualità. La qualità di un tessuto dipende più dalla morbidezza del tatto che non dalla qualità del filato.
In seguito comparvero tessuti in parte di lana e in parte di cotone, che si possono annoverare tra i tessuti di qualità media.
Dopo la scelta del filo, il passo successivo fu quello della tintura. Pare che all’inizio del XIX secolo nella cittadina di Paisley ci fossero pochissime possibilità per la tintura dei tessuti, tanto che probabilmente essi venivano portati là una volta tinti. Questa operazione risultò antieconomica. I tintori di Paisley acquisirono velocemente l’arte della tintura. Il libro della tintura di Mr. James Barclay fornisce ricette per la tintura della lana, del cotone della iuta e del lino con differenti materiali di origine vegetale e minerale. Vi erano nomi esotici quali Copperass, Prussiate, Fiori del Mare, grano, Grigio Perla, verde Malachite, Arancio del Congo e poi c’erano tinture comuni, come il cromo e gli estratti di indigo.
I tintori mostravano tutta la loro maestria ogniqualvolta gli orditi dovevano essere tinteggiati prima dell’inizio della tessitura. Questo riguardava soprattutto i bordi multicolori, noti come pezzi di coda e le parti centrali degli scialli a due o quattro colori. Per l’ordito era necessaria una cornice costruita in modo particolare, che metteva in evidenza solo le parti da tingere. Questo lavoro era delicatissimo e richiedeva una grande precisione e una grandissima abilità; anche la più piccola inesattezza avrebbe, infatti, irrimediabilmente danneggiato lo scialle finito. Fu dunque per gli ottimi risultati ottenuti in questo genere di lavoro che la cittadina di Paisley divenne tanto importante per la tintura dei tessuti.

Una volta creato un disegno ed ottenuto il filato, il passo successivo era quello di sistemare il telaio per la tessitura. Questo lavoro non veniva fatto dal tessitore in persona, ma da alcuni lavoranti o tecnici, che andavano e venivano da un telaio all’altro.
Un altro lavorante avrebbe poi tirato il filo prescelto nelle lunghezze necessarie per il telaio. In molti casi, come abbiamo visto, questo lavoro veniva fatto prima della tintura. Poi un legatore prendeva l’ordito e lo legava al cilindro del telaio. Egli poteva anche essere assistito da un’altra persona, un tiratore, che tirava ciascun filo separato dell’ordito attraverso gli occhielli delle cordicelle. Il telaio era ora pronto per il lavoro complessivo.

Per quanto ne sappiamo, furono due i tipi di telaio utilizzati a Paisley per il commercio degli scialli. Nei primi anni del XIX secolo il telaio tirato a mano era l’unico che permetteva di produrre disegni curvilinei. L’ingranaggio per il telaio era controllato da un “tiratore-spingitore”, cioè un lavorante che muoveva avanti e indietro l’ingranaggio del telaio. E’ importante comprendere questo meccanismo, perché, come vedremo tra poco, questo è il punto in cui si inserirà l’importante innovazione del telaio di Monsieur Jacquard.

Seguendo il disegno precedentemente approvato dal fabbricante, il lavorante leggeva lungo ciascuna linea del disegno, e legava le corde dell’imbastitura in raggruppamenti adeguati, consentendo al telaio di riprendere sequenze irregolari di fili di ordito per creare il disegno. Quando questo tipo di telaio fu rimpiazzato da quello Jacquard, l’uomo del movimento avanti e indietro lasciò il posto alla “carta–tagliatrice” (card-cutter). (si veda il Taccuino Nr.721).
Le carte erano tagliate da una macchina piatta. Ancora una volta seguendo ciascuna linea del disegno “point-paper” (carta puntata) (vedi puntata precedente), il “cutter”, cioè la lamina tagliente, avrebbe usato combinazioni delle dieci chiavi per tagliare dei fori nei punti corrispondenti sulla scheda. Le schede venivano poi legate in una striscia continua e passate al tessitore; in questo modo esse erano pronte per la macchina. Preparare un insieme di schede per uno Jacquard doveva essere un lavoro molto lungo se si considera che per un plaid erano necessarie 424.000 schede.
Il telaio a tiraggio (si veda il Taccuino Nr.722) è fondamentalmente un telaio a mano con l’aggiunta di un meccanismo supplementare. Era utilizzato da un operaio, oltre al tessitore stesso, che era proprio chiamato “draw-boy” (ragazzo del tiraggio; e c’è per altro da sottolineare che in realtà i lavoranti non erano tutti maschi, poiché si sa che c’erano anche delle “draw–girls”). Il compito del ragazzo era quello di tirare una corda a lato del telaio. Questo faceva sì che si sollevassero uno o più fili dell’ingranaggio e da qui i fili dell’ordito, che scorrevano attraverso gli occhielli. Sotto ogni filo era attaccato un peso, che doveva tenere tesa la trama. Quando i prescelti fili dell’ordito erano stati tirati su dal ragazzo, (movimento che gli faceva sollevare un peso che variava da circa 6 once, cioè 170 grammi a 3 libbre, cioè i chilo e 400 grammi), il tessitore allora usava il suo strumento per spingere una navetta riempita con un rocchetto di filo della trama attraverso gli spazi intervallati dell’ordito (si veda il Taccuino Nr.723).

Per evitare che il ragazzo sollevasse pesi troppo grandi gli scialli venivano tessuti da una parte sola e il tessitore al rovescio poteva vedere solo una confusa massa di fili pendenti. Era dunque il lavoro del ragazzo ciò che assicurava che le corde semplici venissero spinte nella corretta sequenza e che venisse usato il giusto colore della trama. Eventuali errori non sarebbero stati notati fino a che lo scialle non venisse tolto dal telaio, non prima di due settimane più tardi. E’ triste pensare che molti di questi bambini, che avevano un’età media di dieci anni potevano anche essere picchiati per pochi attimi di disattenzione in una giornata lavorativa che era spesso di 12 ore!

A causa dei difetti intrinseci del telaio a tiraggio, fin dal 1728 furono fatti dei tentativi per rimpiazzare il ragazzo con un sistema meccanico. Ma l’invenzione non fu perfetta fino al 1800 circa, quando un tessitore francese di nome Jacquard (si veda il Taccuino Nr.724) riuscì finalmente a sollevare i fili di tutto l’ingranaggio utilizzando un meccanismo di schede perforate.
Il telaio Jacquard rappresenta una delle più interessanti innovazioni introdotte nel quadro di quei radicali mutamenti che vanno sotto il nome di Rivoluzione Industriale. Esso, infatti, rese possibile la meccanizzazione del processo produttivo della fabbricazione dei tessuti operati, quei tessuti cioè decorati con disegni risultanti dall'intreccio dei fili d'ordito con quelli della trama. (si veda il taccuino Nr.725).
In questo modo tutti i vecchi apparati, necessari alla realizzazione del disegno, venivano eliminati e sostituiti da un meccanismo che guidato da un unico pedale e controllato dal tessitore, consentiva di alzare i fili d'ordito. Il meccanismo automatico è costituito dalla catena dei cartoni di uguale misura, forati da un numero di piccoli buchi disposti secondo le necessità del disegno. Se dunque c’era un foro, l’ago vi passava attraverso e un filo veniva alzato; se invece non c’era nessuna perforazione, il meccanismo non si attivava. Il nuovo telaio fu introdotto in Inghilterra lentamente, perché incontrò una certa resistenza da parte dei lavoratori; infatti, veniva visto come un sistema per mezzo del quale i fabbricanti, potevano ridurre la forza lavoro.
Dalle istruzioni scritte in un libro dei disegni dei fabbricanti sappiamo che alcuni Jacquard erano in uso a Paisley a partire dalla metà degli anni ’20 e Paisley ha probabilmente il credito di esser il primo centro di tessitura inglese ad utilizzare il lavoro Jacquard su larga scala. (si veda nel Taccuino Nr.726 la cittadina di Paisley nel 1825).
Usando il telaio Jacquard Paisley introdusse delle rifiniture che portarono uno scialle più a buon mercato ad un pubblico più ampio, nonostante la qualità Paisley rimanesse inferiore a quella di Edinburgo, gli scialli di Paisley divennero popolari in Francia e nell’Europa occidentale. Infine… furono esportati in India!
Con i progressi della manifattura gli scialli divennero sempre più elaborati nel disegno e più grandi in ampiezza per superare la crinolina che era di moda. Essi poi assunsero il nome di “plaid” per la somiglianza con il plaid scozzese (a questo punto dobbiamo ricordare ai lettori che il plaid non è un tessuto a quadri, come erroneamente è stato disegnato nel corso del tempo, ma un grande pezzo di tessuto della lunghezza di uno scialle con il quale gli Highlanders scozzesi erano soliti andare a caccia e che arrotolavano intorno al corpo in forma di kilt, dato che di solito erano fatti di tessuto a quadri oggi qualsiasi tessuto a quadri viene definito comunemente “plaid”, il che è assolutamente scorretto) (si vedano i Taccuini Nr.727 e 728).
Nel 1842 la Regina Vittoria acquistò parecchi scialli Paisley e la moda ricevette un incentivo extra, dato che a quei tempi scendeva sempre più in basso, finché si giunse agli scialli Paisley stampati a basso costo, che erano accessibili a chiunque, volgarizzarono la domanda e infine uccisero la moda.

Il disegnatore dapprima disegnava una bozza del suo disegno in miniatura, quindi delle parti dettagliate e a colori. Queste venivano tracciate su carta oliata e colorate e i disegni passavano agli artigiani che trasferivano il disegno su carta squadrata e lo coloravano.

L’ampliamento significava che i fogli di carta disegnata per il plaid avrebbero potuto ricoprire il pavimento di un’ampia stanza. Potrebbe essere paragonato al disegno per tappeti, ma il lavoro era più fine e maggiormente specializzato.
C’erano parecchi nomi di disegnatori free-lance dediti interamente al commercio e i produttori avevano nei loro libri paga interi staff di artisti (in un caso persino 26).

L’ammontare del lavoro implicato nella produzione di scialli si può dedurre dai libri di disegni di John Morgan e figlio, (ora nel Museo di Paisley) che ne mostrano 500 differenti per la loro collezione 1844-1845 e che coinvolgono il lavoro di cinque differenti artisti.

L’importanza del commercio è attestata dalla fondazione a Paisley di una scuola di Design, da parte del Governo britannico dell’epoca. E nonostante lo scialle e il plaid alla fine crollarono come moda, tuttavia continuarono ad essere prodotti a Paisley fino alla seconda guerra mondiale. L’industria difficilmente può essere recuperata. Gran parte delle conoscenze di questa abilità sono andate perdute e i costi sarebbero troppo proibitivi per tener dietro ai rapidi alti e bassi delle mode e dei culti di oggi. I disegni restano tra noi ma quasi esclusivamente in seta piuttosto che in quegli squisiti Kashmir e quei finissimi tessuti di lana quasi trasparente coi quali Paisley divenne famosa. Comunque nei tessuti più leggeri si è manifestato recentemente un nuovo interesse; come il tartan, il Paisley è una moda che non sfiorisce mai, ma un classico che ogni qualche anno riceve una nuova ondata di popolarità.


Questa è la situazione allo stato attuale delle cose, e la tendenza per “classici affidabili” dovrebbe farci applaudire Paisley anche in futuro.

Così sarà, non tramonterà questa grande tradizione, infatti, ancora oggi le più importanti industrie tessili seriche nelle loro tessiture e nei loro quadri di stampa riproducono questi disegni ad ogni livello di qualità e per usi molteplici.

A questo punto si potrebbe proseguire con la storia della stampa su seta, su cotone, stampe a impressione, a corrosione eccetera. Può darsi che anche questa materia impererà nel nostro castello strada facendo.

Cavallerescamente saluto tutti i lettori del Castello.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 08-07-2004
Cod. di rif: 1444
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Golden Bale
Commenti:
The Golden Bale

Come abbiamo visto nel resoconto del Laboratorio d’Eleganza del 2 luglio inviato dal Gran Maestro, nel quale puntualizza concetti molto ben interpretati sul classico internazionale, viene anche annunciato un mio intervento sul Golden Bale, del quale ci fu accenno durante il Laboratorio.
Mi accingo a fare ciò in quanto un filato così importante, il più fine del mondo, non può rimanere nascosto agli appassionati e ai cultori del tessile e dell’abbigliamento.


Come nasce il Golden Bale?

Premesso che è noto che l’Australia produce la miglior qualità di lana del mondo, la lana merino, analizziamo l’esperienza che ci fornisce la Joseph Lumb and Sons di Huddersfield, acquirente presso le aste australiane delle balle di lana più scelte e selezionate, dalle quali si estrae il filato più fine del mondo, conosciuto come Golden Bale. (vedi Taccuino Nr.742).
Questo filato viene acquistato da alcuni fabbricanti del Regno unito, secondo le mie fonti di informazione, o forse anche da altri fabbricanti al di fuori di questo paese, i quali producono a loro volta tessuti preziosi, su flanella e pettinati.
Il titolo di questi prodotti varia da super 100’s, 120’s, 130’s. Le caratteristiche peculiari dei tessuti ricavati da questo filato sono l’incredibile morbidezza, la luminosità e la lucentezza. Essi offrono a chi li indossa l’agio del perfetto equilibrio tra l’effetto visivo e il piacere dell’indossare in ogni occasione.

Ma la Joseph Lumb produce anche un filato chiamato Platinum Bale, dal quale vengono prodotti tessuti di titolo super 190’s super 210’s, con fibre della sezione di 12.9 micron. Questo filato è ancora più fine di quello del Cashmir. E’ il più sottile del mondo e dunque anche il più esclusivo; è così sottile che addirittura si è reso necessario il rallentamento dei telai per potere afferrare i fili durante la tessitura.
La lana merino utilizzata per la realizzazione del Platinum Bale è così rara che occorrono tre anni per mettere da parte una quantità di filato sufficiente per cominciare a tessere. Si possono raccogliere solo 50 kg. di materiale grezzo alla volta.

Dunque si comprende come vi sia solamente un ristretto numero di sartorie raffinatissime che possono servirsi dei tessuti creati con il Paltinum Bale per le loro speciali confezioni su misura, e solo la maestria di abili sarti artigiani è in grado di cucire a mano e con grande delicatezza questi materiali, che possiedono la leggerezza di una nuvola anche una volta indossati.

La Joseph Lumb and Sons è riconosciuta a livello internazionale come creatrice del filato della miglior qualità.

Ogni anno le parti migliori e più accuratamente scelte delle lane estratte dalle piccole pecore merino vengono messe da parte e conservate da selezionatori specializzati della Lumb, per essere poi filate in un filo sottile di consistente e superba qualità. Con questo straordinario materiale sono fabbricati tessuti marcati Lumb Super 100’s, che godono di fama internazionale. Un ristretto e selezionato gruppo di converters e grossisti inglesi di tessuti finissimi ha protetto la qualità facendo cimosare i tessuti per Lumb’s Huddersfield Golden Bale. Essi vengono esportati in tutto il mondo e sono conosciuti semplicemente come Lumb. (vedi Taccuino Nr.743).


Ricordiamo, da una notizia pervenutaci da un’agenzia australiana, che nello scorso mese di Marzo2004 due allevatori australiani di Sidney sono stati in grado di produrre la fibra più sottile del mondo, superando così anche il record del Platinum bale. Questa fibra, di 11.9 micron ha uno spessore cinque volte più sottile di quello di un capello umano. Una balla di questa lana viene ora sorvegliata all’interno di una banca, (vedi Taccuino Nr.744). La balla è stata valutata più di 1 milione di dollari australiani.
Ricordiamo che un micron è un millesimo di millimetro e che per la tessitura del Cashmir viene di solito usato un filato dello spessore di 14-16 micron.
Il record precedente di sottigliezza era stato sempre dell’Australia, con 12 micron.

Allego un’immagine del Principe Carlo d’Inghilterra, ritratto a Bologna nel 1987 in occasione della cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa, la prima di una lunga serie, a Lui attribuita nella ricorrenza del Nono Centenario dell’Università degli Studi di Bologna.
In quella occasione il Principe indossava un magnifico abito doppio petto, chalk stripe (gessato), realizzato con una flanella di 8 once e mezzo Golden Bale (vedi Taccuino Nr.745).
Ho conferma di questo in quanto alla cerimonia che si svolse successivamente in Prefettura ebbi modo, in qualità di invitato, di disquisire col Principe sull’abito e sul tessuto col quale era stato confezionato.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 08-07-2004
Cod. di rif: 1445
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Filo Scozia
Commenti:
Desidero comunicare su questa importante Lavagna che il mio interesse è rivolto in questo momento al famoso "Filo Scozia" che tutti conosciamo come nome.
Tutti forse abbiamo portato calze, intimo e maglie esterne, ma perchè "Filo Scozia"?
Questo nome deriva dalla nostra amata e conosciuta cittadina di Paisley.
Mi attiverò in questo periodo per produrre con esattezza spero questa ricerca anche con dettagli tecnici.

A presto, cordialità e saluti cavallereschi.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 13-07-2004
Cod. di rif: 1458
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Filo di Scozia
Commenti:
Il Filo di Scozia


Come ho annunciato nella lavagna Nr.1445 dello scorso 8 luglio, vedrò di esporre alcune informazioni sul Filo Scozia, il filato che si distingue da tutti gli altri tipi di cotone per lucentezza e setosità.
Spero in questo modo di continuare degnamente e rigorosamente la ricerca storica da me iniziata e portata avanti sui filati più belli e fini che contraddistinguono il buon gusto nell’abbigliamento e che ben si sposano con lo svolgimento del tema classico internazionale da me inaugurato nel nostro Castello e di cui si è già parlato nei laboratori d’Eleganza e nei contributi dei visitatori della porta dell’abbigliamento.

Da sempre la dicitura "FILO DI SCOZIA" viene utilizzata per indicare tessuti in cotone di altissima qualità con caratteristiche uniche di lucentezza, morbidezza, setosità, solidità dei colori e soprattutto per il mantenimento di queste caratteristiche nel tempo.

Intorno a questa definizione sono nati spesso dei malintesi, poiché anche se in generale si dà per scontato che tutti sappiano che cosa esso sia, tuttavia le cose che si dicono di questo filato pregiato sono spesso imprecise. Per evitare questa generica confusione nel 1982 è nato il Centro Promozione Filoscozia, che ha come compito quello di informare correttamente il pubblico, diffondere un marchio di qualità, promuovere la ricerca tecnologica per migliorare la conoscenza del prodotto e infine sorvegliare e tutelare la qualità del prodotto stesso.

A questo fine il Centro ha creato e depositato un marchio, riprodotto su pendenti numerati e calcografati, da applicare - sotto la sorveglianza e il controllo del Centro medesimo - ai capi confezionati con il "Filoscozia"® prodotto dalle Aziende (Filatori) aderenti all’Associazione, in modo che il consumatore si abitui ad associare il marchio del Centro a prodotti di qualità certa e superiore.

La definizione corretta del Filo di Scozia è dunque la seguente: filato prodotto unicamente dal cotone egiziano o di pari caratteristiche, pettinato, ritorto, gasato, mercerizzato in matassa, tinto e di titolo non inferiore a Ne 50/2. Vedremo tra pochissimo il significato di tutte queste caratteristiche. Il filo di Scozia è dunque un tipo di cotone, che è a sua volta una fibra tessile ricavata dai peli che rivestono i semi della pianta omonima. Esistono cotoni di diverse qualità secondo la provenienza.

Il più pregiato è il Sea Island, dalla lunga fibra setosa, che viene usato per le lavorazioni più raffinate. Forse non tutti sanno che la parola cotone deriva dall’arabo katùn, (che vuol dire parte delle terre conquistate).

Dopo la lana e il lino esso è la fibra tessile più antica. I cotoni si classificano a seconda del titolo che è l’espressione della lunghezza del filato, in base al rapporto tra peso e lunghezza. Esso esprime la grossezza o il diametro del filato.
Il titolo si può dividere in due tipi:
- il titolo metrico, (utilizzato per la lana) indica il numero di matasse da 1000 m ricavabili da 1 Kg di filato;
- il titolo anglosassone (cotone, canapa e lino), indica il numero di matasse da 840 yd ricavabili da 1 lb di filato.


Il filato è la trasformazione della fibra tessile in un elemento di lunghezza continua e indeterminata a piccola sezione cilindrica. Caratteristiche essenziali del filato sono la flessibilità e la resistenza.
Se ne distinguono due principali tipi: quelli risultanti dalla filatura di fibre di lunghezza limitata (lana, cotone) e quelli ottenuti dall’unione per torcitura di due o più fili continui (per es. la seta).
Un terzo tipo di larga produzione è il filato misto, costituito dalla filatura di diverse fibre riunite (vedi Taccuino Nr.771).

Un’altra distinzione viene fatta tra filati semplici (di un solo filo), accoppiati (ottenuti cioè dall’accoppiamento di due fili mediante la minatrice), ritorti (quando due o tre capi vengono sottoposti a torcitoio).

Nella procedura della titolazione per lunghezza, si esprime la lunghezza di filato ottenibile da un determinato peso.

Il Filo di Scozia è un filo speciale, ricavato dal cotone egiziano, che è il miglior filato del mondo a fibra lunga e attraversa cinque fasi di trattamento. Il titolo del filo di Scozia, come abbiamo già detto, non deve essere inferiore a Ne 50/2, dove Ne sta per English number e 2 corrisponde al numero dei capi, cioè esso è composto di due fili di identico spessore.

Per ottenere il filo di Scozia è necessario realizzare le seguenti operazioni:

1) la pettinatura, che garantisce la lunghezza del filato;
2) la ritorsione che garantisce la resistenza del filato, che risulta essere del 15% superiore al filato unico e quindi la durata nel tempo è molto maggiore;
3) la gasatura, che garantisce la lucentezza della fibra, che viene fatta passare attraverso una fiamma per eliminarne la pelosità;
4) la mercerizzazione che consiste in un bagno speciale per garantire la tensione del filato e garantisce la brillantezza e la ripresa di umidità; e anche la resistenza allo sporco; è il trattamento del filato con soda caustica e del tessuto in trazione;
5) infine la tintura.

Lo sviluppo della manifattura del filo di scozia in Italia è fortemente legata allo sviluppo della manifattura e della tecnologia inglesi. Infatti, anche se in Italia c’è sempre stata una grande tradizione di manifattura tessile, soprattutto per quanto riguarda la filatura e la tessitura della seta e della lana, nel settore del cotone il regno Unito è stato sempre il grande serbatoio di materia prima per le industrie del nostro paese. Questa volta la regione italiana nella quale la filatura ha avuto un grandissimo sviluppo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, è la Toscana, in particolare la città di Lucca dove nascerà la Cantoni Cucirini (vedi Taccuino Nr.772).

Nel Regno Unito è ancora una volta la cittadina scozzese di Paisley (vedi Storia del Paisley Pattern, lavagna mia Nr.1394) a fare la parte del protagonista.
Infatti nel 1826 i fratelli James e Peter Coats fondavano infatti a Paisley, le fabbriche destinate a diventare leader mondiali nel settore cucirini.
Da anni principale fornitore di cotone del mercato italiano, la J. & P. Coats Ltd si interessa subito alle proposte della FIFC (Fabbrica Italiana Filati Cucirini) e nel 1904 cambia nome in Cucirini Cantoni Coats: il capitale aumenta e si riorganizza la rete di vendita.
La fabbrica di Acquacalda, dotata dei processi produttivi e delle tecnologie più avanzati, realizza un prodotto qualitativamente inimitabile.
Lo sviluppo della Società viene gestito da un giovane scozzese destinato a diventare famoso nella storia dell'Azienda, James Hederson, che soltanto nel 1955 lascerà la CCC, dopo averla diretta per
45anni.

Nel 1911 gli uffici di Milano si trasferiscono nella nuova sede di Via Petrarca. Per migliorare servizio e distribuzione, l'Italia viene divisa in due zone: il Centro Nord, che fa capo a Milano ed al suo magazzino, e il Sud e le isole, serviti dal deposito di Napoli. Alla produzione di filati per uso domestico si affianca quella dei prodotti per l'industria.
All'inizio del nuovo secolo, il mercato dei filati per cucire registra una novità destinata a trasformare e a modificare abitudini di acquisto più che decennali: nascono le spagnolette, tubetti di cartone intorno ai quali viene avvolto il filo.
Anche la Cucirini Cantoni Coats inizia la nuova produzione e, con una sensibilità ai problemi di comunicazione e d'immagine insolita per l'epoca, stampa sopra ogni spagnoletta il nome della Società e della marca.
La produzione aumenta, i costi diminuiscono e, nel 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’azienda conta 1000 dipendenti.
Malgrado le gravi difficoltà incontrate, la CCC può fare un bilancio relativamente positivo del periodo bellico e affronta con tranquillità le incognite del dopoguerra e della ricostruzione.
Nel campo tessile la competizione tra rocchetti e spagnolette si fa più aspra e la CCC capisce che l'era del filo avvolto su rocchetti si sta chiudendo.
Nel 1931 acquista le Industrie Sete Cucirine e il marchio "Tre Cerchi", che diventa leader sul mercato delle spagnolette, con una vasta gamma di filati mercerizzati.

Il successo è immediato e le vendite crescono in maniera costante segnando l'inizio di un trend che non si sarebbe più arrestato: a diciassette anni dal lancio dei "Tre Cerchi" la vendita delle spagnolette raddoppierà mentre quella dei rocchetti sarà ridotta della metà.

Negli anni che precedono la Seconda Guerra mondiale, la CCC si muove con successo sul mercato, razionalizzando ed estendendo la sua struttura produttiva e la rete di distribuzione.
Anche il gruppo è cresciuto e la J. & P. Coats Ltd. oramai è diventata una multinazionale: le sue fabbriche operano in tutto il mondo, dalla Russia alla Cina, dal Sud America agli Stati Uniti, dal Canada all’Oriente, dall’Australia all’India.
La CCC conquista nuovi stabilimenti, potenzia la rete commerciale, introduce migliorie e innovazioni.

Nel più recente passato acquisisce la Lamprom (1976), azienda italiana di chiusure lampo; nel 1983 fonda la CIFI (Coats Italia Filati Industriali). Infine, l'11 marzo 1986 la J. & P. Coats Ltd., che nel frattempo si è unita alla Patons diventando così Coats Patons, si fonde con la Vantona Viyella: nasce così la Coats Viyella, una delle più grandi realtà mondiali nel campo tessile con la presenza in tutto il mondo nel settore dell'abbigliamento, maglieria intima ed esterna, biancheria per la casa ed accessori di arredamento, stoffe, tappeti e strumenti di precisione.

A oltre cento anni dalla nascita, la Cucirini Cantoni Coats varca la soglia del XXI esimo secolo moltiplicando le attività ed i settori d'intervento. Il suo nome significa da sempre filati garantiti dall'origine al prodotto finito, creati con le migliori materie prime e con i più sofisticati supporti stilistici e commerciali.

Il tessuto filo scozia si presenta oggi nell’abbigliamento in molteplici fogge: in tinta unita, in magnifici rigati tipo regimental (vedi Taccuini Nr.773, 774, 775, 776), in nido d’ape, tinte unite pronto per stampa; qualità per intimo, calze e altro ancora.

Il filo scozia è praticamente nell’alta qualità ciò che viene chiamato jersey, dall’isola di Jersey, in Gran Bretagna, la più grande delle isole del Canale della Manica. Ma di questo parleremo in un altro capitolo.

Spero di essere stato abbastanza esauriente; rimango sempre aperto a vostre considerazioni, domande e …perché no, critiche.

Vi saluto cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 15-07-2004
Cod. di rif: 1463
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Filo scozia - Risposta a L.Villa - Rif.: Lavagna Nr.1459
Commenti:
Egregio Cav. Villa,
grazie per la Sua domanda sulla Lavagna Nr.1459 del 14/7/04.
Probabilmente nel mio lungo gesso sul filo scozia non ho ben chiarito, l’azienda di Paisley dei Fratelli James e Peter Coats importavano la materia prima dall’Egitto e furono loro i primi a ricavarne un filato di alto titolo che poi fu chiamato filo scozia.
Questo è l’inizio della storia che poi si modifica e tante aziende attrezzate di tutto il mondo compravano e comprano filato per produrre tessuti chiamati e protetti dal marchio filo scozia.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 15-07-2004
Cod. di rif: 1464
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta a A.Longo - Riferimento: Taccuino Nr.777
Commenti:
Egregio Sig. Alberto Longo,
vedo il figurino che Lei invia con il Taccuino Nr.777 del 14/7/04, leggo il testo, non esistono onnipresenti Tasmania.
Il Tasmania non è un tipo di tessuto ma solo uno Stato federato dell’Australia costituito dall’isola omonima e da alcune isole minori.
L’errore viene dal fatto che l’azienda “Loro Piana” ha lanciato e pubblicizzato da anni tessuti chiamati Tasmanian®, come vede marchio registrato.
Ripeto, non identifica una tipologia merceologica.

La giacca del Suo figurino può essere confezionata con un tropical lana o un fresco lana.
Ci sarebbe da dire anche sul termine blazer che Lei usa, Le invio, estratto dal glossario della pubblicazione di Giorgio Mendicini “L’eleganza maschile” Ed. Mondadori, la voce blazer, che è una interpretazione, una delle tante:

“BLAZER – Voce inglese, probabilmente dalla nave da guerra britannica «H.M.S.Blazer», in servizio nella prima metà dell’Ottocento; una diversa interpretazione etimologica vuol far discendere questo termine dal verbo inglese to blaze, «risplendere, sfavillare». Giacca sportiva blu, mono o doppio petto, in stile marina. Dalla fine dell’Ottocento, in vari colori e fogge, ha fatto parte della tenuta sportiva degli studenti nei college inglesi, per il tennis o il cricket. Negli anni trenta fu adottata come «divisa» marinara nelle località estive americane alla moda. Per l’ormai classico blazer blu la stoffa normalmente usata è una saglia (in inglese twill); abbastanza usato anche il drap di cachemire.”

Comunque il Suo figurino lo chiamerei giacca doppio petto.

Il tutto con simpatia, stima e spirito di collaborazione.

Un saluto cavalleresco.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 19-07-2004
Cod. di rif: 1475
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: IL JERSEY
Commenti:
Il Jersey

Come preannunciato nella mia lavagna n. 1458 del 13 u.s. parlando del Filo Scozia ho detto che l’alta qualità di questo filato si realizza, nelle sua migliore tipologia, nel Jersey. Ecco dunque un nuovo capitolo su questo tema del quale parlerò con la speranza, come sempre, di chiarire concetti ed eliminare eventuali imprecisioni sulle varie definizioni. Entriamo allora nel mondo del Jersey e cominciamo dalla sua storia, dal paese di origine e dai suoi antenati. Come i lettori possono immaginare il nome è un nome inglese e infatti…

L’isola di Jersey e le altre isole del Canale della Manica sono quello che resta del Ducato medievale di Normandia, che aveva domini sia in Francia che in Inghilterra. Queste isole furono l’unico territorio britannico occupato dalle truppe tedesche durante la II Guerra Mondiale. (vedi Taccuini Nr.800, 801, 802, 803, 804)

Ma qual è l’origine della parola? Essa deriva proprio dall’isola e in particolare dall’abbigliamento indossato dai pescatori del luogo. Esso era il nome delle tuniche o delle camicie che essi indossavano; non si hanno tuttavia notizie di simili capi di abbigliamento fino al XV secolo.

Un jersey è di solito lavorato a file orizzontali. Una maglia in jersey di lana è lavorata a pezzi separati, che vengono poi cuciti insieme ad es. prima il dietro, poi il davanti poi le maniche. Questo lavoro può essere fatto sia a macchina, come nel caso del processo di produzione industriale a larga scala, oppure anche a mano, e in questo caso chi lavora usa due ferri di uguale lunghezza. Il collo, che può essere quadrato, rotondo oppure a V, è di solito aggiunto e cucito a lavoro quasi ultimato, insieme con gli eventuali decori o ricami.

Nel XVI secolo gli abitanti dell’isola adottarono la religione protestante e la vita divenne alquanto austera. L’incremento dell’uso della polvere da sparo sul campo di battaglia fece nascere l’esigenza di adattare e costruire nuove fortificazioni, soprattutto per difendere la Baia di St. Aubin.

La produzione di maglieria allora raggiunse una tale proporzione da minacciare quasi la produzione di cibo e quindi da mettere in pericolo la sussistenza dell’isola stessa.

Vennero così introdotte nuove leggi, che dovevano stabilire con chi e quando si potevano produrre maglie. In questo periodo gli isolani erano anche coinvolti in lunghe battute di pesca che duravano mesi; essi infatti partivano in Febbraio-Marzo e non ritornavano nell’isola prima di Settembre–Ottobre. Intanto intorno al 1640 l’Inghilterra, come è noto, si trovò al centro della guerra civile, che portò le ostilità fino alla Scozia e all’Irlanda. L’isola dunque si divise in due fazioni, quella dei simpatizzanti del parlamento (gli isolani in genere) e quelli che volevano dare l’isola in mano al re, i seguaci di Carteret. Il futuro Carlo II visitò l’isola nel 1646 e poi ancora nel 1649, dopo l’uccisione del padre. Alla fine, nel 1651, i Parlamentari si impossessarono dell’isola e come riconoscimento di tutto l’aiuto che gli avevano dato durante l’esilio, Carlo II diede a George Carteret un grande appezzamento di terreno nelle colonie americane, che egli chiamò subito New Jersey. Verso la fine del XVII secolo l’isola strinse ancora di più i legami con le Americhe, allorquando molti isolani emigrarono verso il New England e il Canada settentrionale. I mercanti dell’isola incrementarono moltissimo la loro attività e costruirono un vero e proprio impero commerciale del pesce.

Per la nostra ricerca questo collegamento è particolarmente interessante, perché molte delle più grandi aziende tessili di maglieria di ogni genere, dalla lana, da cui ebbe origine il jersey stesso, al cotone, che come abbiamo visto nella sua qualità più alta si identifica con il filo di Scozia, sono proprio del New Jersey, una delle regioni più produttive degli Stati Uniti d’America.

Quando parliamo di jersey comunemente intendiamo qualcosa di maglia, ed in effetti l’associazione è esatta, poiché il jersey è, come abbiamo detto, un modo di lavorare la maglia, che dà origine ad un tessuto molto uniforme e liscio, elastico e con ottime qualità antisgualcitura. La sua origine popolare ha poi avuto una evoluzione qualitativa, che ha portato questo tipo di lavorazione ad essere adottata per innumerevoli capi di abbigliamento. Inoltre si possono unire, nella lavorazione del jersey, tante fibre diverse, non solo di origine naturale. La loro combinazione dà luogo a molti articoli differenti, dalla qualità media a quella molto fine e preziosa del filo di scozia o della seta; i tessuti prodotti sono utilizzati nei più svariati settori merceologici, dalla biancheria intima maschile e femminile, alla maglieria sportiva, come i maglioni e i pullover, o i cardigan, ma vi sono anche tanti tessuti adatti all’arredamento della casa, ad esempio le tende, o i copriletto o i drappeggi dalle fogge più svariate.

Le caratteristiche più importanti della lavorazione a jersey sono l’uniformità e l’omogeneità; infatti l’aspetto è regolare e per ottenere questo effetto, comunemente noto come maglia rasata, non si deve intercalare nessun punto diverso all’interno di ogni ferro durante il lavoro, sia esso svolto a mano o a macchina.

Ed ora , una curiosità in più: se andiamo a cercare in un ottimo vocabolario della lingua inglese, come il Webster ad esempio, che è il migliore, sotto la parola jersey troveremo varie accezioni, e scopriremo che jersey è anche una delle razze di mucche allevate sull’isola omonima, famose per la qualità e la ricchezza del latte che esse producono .(vedi Taccuino Nr.805).
Oppure che è la qualità della lana scelta, separata e pettinata. Oppure che è semplicemente un tipo di giacca, lavorata a maglia rasata. Comunque sia, noi siamo da tempo a dire jersey per intendere un qualcosa di lavorato a maglia.
Al giorno d’oggi vengono utilizzate dai vari produttori sofisticate macchine circolari per la produzione di questo tessuto; queste macchine consentono di lavorare i pezzi dei singoli capi non separatamente, ma contemporaneamente (vedi Taccuini Nr.806, 807).

Il jersey ha le stesse caratteristiche, nei titoli alti, del filo di Scozia e può essere anche questo prodotto in nido d’ape e in altre armature.

Per completare l’esposizione dei filati classici, oltre il jersey - filo di Scozia occorrerà soffermarsi sul Sea-Island cotton; spero prima dell’incontro di Venezia di produrre. Diversamente al mio ritorno.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-07-2004
Cod. di rif: 1483
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: camicia cotone makò
Commenti:
Egregio Signor Migliaccio,
leggo quanto Le ha scritto sapientemente il Gran Maestro in risposta al quesito sul cotone makò, da Lei esposto nel suo gesso n.1481 del 27/07/2004.Accolgo volentieri l'invito del Gran Maestro e aggiungo quanto segue: la camicia da Lei vista nella vetrina è probabilmente in cotone makò, forse infatti Lei avrà notato qualche etichetta sul prodotto o qualche scritta apposta dal negoziante stesso ; sappia comunque che il cotone makò è un cotone africano, un tempo coltivato lungo il Delta Del Nilo, nell'omonima località da cui ha preso il nome , nome che ora viene utilizzato genericamente sul mercato per indicare cotoni pregiati a fibra lunga. Con questo filato fine si fabbricano tessuti; inoltre esso viene usato anche per ottenere il Filoscozia , in questo caso lavorato a maglia, e per la sua lucentezza è particolarmente indicato per il ricamo. Non mi risulta comunque che il cotone makò sia protetto da un marchio, come appunto nel caso del Filoscozia e del Sea Island Cotton, la cui storia potrà leggere tra poco su questa lavagna. Le consiglio comunque di farsi dare dettagli precisi dal Suo negoziante , e mi faccia sapere, così potrò ampliare le risposte alle Sue domande.Entri nel negozio e verifichi anche Lei. La stessa camicia potrebbbe essere anche in Popeline, che è un tessuto leggero e lucido . Anche su questo materiale potrò darle ulteriori dettagli, se la leggerò ancora su questa lavagna.La saluto cavallerescamente Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-07-2004
Cod. di rif: 1484
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Sea Island Cotton
Commenti:


Sea Island Cotton

Sea Island o la storia del cotone.
Eccomi a proporre, come annunciato nella lavagna n. 1457 del 20 luglio sul jersey, una nuova puntata sulla storia dei filati preziosi: protagonista questa volta il cotone Sea Island, con il quale vengono prodotti tessuti per camicie, maglieria, tanti generi di abbigliamento e altro.
Il suo nome è una definizione generica per indicare un tessuto fine di cotone particolarmente adatto per le camicie. Ora Sea Island Cotton è il marchio di una società giapponese, la West Indian Sea Island Cotton Company.

Il Sea Island cotton è il cotone con la fibra più lunga al mondo ( 52 mm e oltre) e viene coltivato in quantità limitatissime solo a Barbados e in alcune altre isole dei Caraibi. ( vedi taccuino Barbados e Mar dei Carabi rif. N. 862 e n. 873).


Il suo nome scientifico è Gossypium Barbadense , una pianta tropicale perenne appartenente alla famiglia delle malvacee. Ha fiori gialli ( vedi taccuino rif. N. 868 e n.869).

Come si vedrà tra poco, il fatto che il cotone richieda una lunga stagione di crescita , delle moderate variazioni di temperatura, sole abbondante, e una prodigiosa quantità di acqua piovana , limita la sua crescita alle regioni delle Indie Occidentali e alla regione caraibica e i tentativi di impiantarne la coltivazione in altre regioni sono andati quasi sempre falliti. Peggio ancora, per coloro che vorrebbero coltivarlo a basso costo; esso preferisce essere raccolto a mano, il che ne limita ulteriormente la fornitura.

Questa fibra è stata chiamata l’abito del Re: la Regina Vittoria esigeva che i suoi fazzoletti da naso fossero fatti con questo filato. James Bond, il personaggio cinematografico creato da Fleming, a contatto con la pelle voleva solo cotone Sea Island .
Edoardo VIII, ultimo Duca di Windsor riponeva in questo filato una fede assoluta.” Sono un indossatore regolare e sistematico del cotone Sea Island” era solito affermare.
Il Sea Island possiede molte qualità diverse e complementari : l’uniformità, la lunghezza della fibra , oltre all’effetto lucido e setoso , che lo rendono differente e superiore a tutti gli altri tipi di cotone e la grande resistenza; per questa ragione è stato da sempre utilizzato non solo per l’abbigliamento più raffinato, ma anche per altri tipi di prodotti importantissimi, quali i paracaduti e le mongolfiere durante due guerre mondiali.
Il suo tatto ultrafine ha fatto sì che questo cotone sia stato definito “ Re dei cotoni”, particolarmente adatto per la confezione di camicie da uomo. (vedi taccuino rif.n 867,866, e 865).
Ma la storia del cotone , e quindi anche delle sue varietà fino al raffinatissimo Sea Island, ha inizio da molto, molto lontano…
Si narra che più di 1300 anni or sono, un fatto assai singolare accadde nel lontano Oriente, dove un imperatore, che rispondeva al nome di Ou-ti , indossò, in occasione della sua ascesa sul trono della Cina, un abito di …cotone! E dopo che per lungo tempo Ou- ti e il suo raro a e prezioso abito regale furono rimasti fermi nella polvere , la pianta del cotone continuava a fiorire lungo i sentieri diritti dei silenziosi giardini della Cina , e gli amanti dagli occhi a mandorla , nei loro incontri morosi , univano alle lodi per le loro amate l’elogio del fiore del cotone.
In India poi ,ancora oggi, vicino alle mura dei templi si possono vedere lussureggianti foglie color verde scuro, che nascondono boccioli color porpora, che nessuna mano non consacrata può raccogliere; poiché quando i baccelli sacri sono maturi, i Bramini filano il loro contenuto in quel famoso triplice filo che loro chiamano Trinità.

Ma non è dell’abito di Ou-ti e nemmeno dei boccioli color porpora che dobbiamo raccontare la storia, bensì di quel cotone che , circa un secolo fa , cominciò ad imbiancare le coste e le colline dei soleggiati Stati Uniti meridionali– di quel cotone cioè di cui si parla nei quotidiani- che viene impacchettato, marcato e imbarcato sulle coste americane giorno dopo giorno. Queste operazioni non saranno evocatrici, alla nostra mente , di immagini mistiche quali quelle della favola di Ou-ti sul trono cinese, o di quelle dei Bramini che filano il loro sacro filo; tuttavia, prima che il cotone venga compresso dagli scuri macchinari tecnologici, mentre ancora scopre i suoi pallidi boccioli dorati, e libera sotto i cieli azzurri il suo fardello bianco come la neve, possiamo fantasticare intorno al suo fascino , anche se non così fantastico come quello evocato dai poeti cinesi.

Il cotone degli Stati Uniti del Sud è di due generi: il Barbadeusiano, genericamente noto come Sea Island, dalla fibra lunga , che imbianca le nostre coste e le isole che le coronano , cioè quelle del Mar dei Carabi o Indie Occidentali e quello “irsuto” o dalla fibra corta , che cresce al centro del paese . Il secondo tipo ha semi verdi , più o meno ricoperti dal caratteristico vestito di peli, e porta grossi gomitoli di cotone bianco, con fibra corta e forte.
Il Piantatore di cotone conserva questo seme con grandissima cura , selezionando nel suo campo e dalle piante più fini e più rigogliose ( spesso da una singola pianta, di fibra fine e gomitolo grande) dei semi, che vengono poi piantati nel suo giardino e sui quali egli riversa la cura più premurosa. Quando sono maturi apre i gomitoli e misura la fibra con quella di varietà conosciute; li misura prima e dopo la rimozione del seme.
I preparativi per la piantagione del cotone cominciano in Febbraio. La terra viene predisposta a file di tre o quattro piedi a seconda della qualità . Poi viene tracciato un piccolo solco con un aratro apposito, di piccole dimensioni e in questo solco viene piantato il seme . I seminatori sono seguiti da un uomo e da un mulo , e i semi vengono leggermente ricoperti di terra . I semi riposano.
E’ ora giunto il mese di aprile , e la piantagione continua fino alla metà di maggio, a seconda del luogo dove avviene la semina.
Quando il cotone è spuntato e cresce bene, comincia la coltivazione vera e propria . Non appena le piante si sono sufficientemente rafforzate esse vengono tagliate , così che lo spazio tra di esse misurerà da otto a diciotto pollici( a seconda della qualità della terra ) . Viene usata una falcetta per eliminare l’erba spuntata tra le giovani piante. Aratura e falciatura continuano velocemente ; devono trascorrere almeno 10 giorni tra un’operazione e l’altra , fino a che il cotone ricopre la terra in modo sufficiente da proteggersi dalla crescita dell’erba .
Quando il cotone è a buon punto e ben maturo , durante i caldi giorni di giugno apre i suoi boccioli bianchi o leggermente rosati . Continua poi a fiorire fino a che la temperatura non scende sotto lo zero , a meno che non venga danneggiato prima del tempo da una pioggia eccessiva o dalle devastazioni degli insetti. Adesso i resistenti gomitoli, a volte a forma leggermente triangolare , cominciano a scoppiare e attraverso l’involucro verde scuro si possono vedere i piccoli occhi di neve.

I campi si riempiono di lavoratori indaffarati , i quali con agili dita , estraggono dai bozzoli il pregiato contenuto e alla fine della giornata si recano a pesare il raccolto.
Dopo la pesatura il cotone viene asciugato e scaldato al sole ; infine il soffice e prezioso materiale bianco viene separato dai suoi semi, ai quali esso è strettamente legato. Questa operazione viene fatta da una macchina , chiamata la “ saw gin”, inventata da Eli Whitney nel 1792; da allora essa, con piccole modificazioni apportate dalla tecnologia, viene utilizzata per questo lavoro. Il cotone, una volta ripulito pulito e fatto passare attraverso la macchina , viene impacchettato e pressato in balle ed è pronto per essere venduto.
Dopo il processo di separazione dei semi , un terzo del cotone rimasto è destinato alle aziende per scopi industriali e due terzi vengono di nuovo utilizzati per la semina.
I semi vanno alle industrie di olio di semi di cotone,e vengono utilizzati a scopi alimentari. Questa è la vita del cotone, diciamo così “tradizionale”, quello cioè che abbonda sui nostri mercati, ma il meraviglioso cotone a fibra lunga e dai semi neri che ha raggiunto sulle isole e sulle coste americane un alto grado di perfezione è una pianta completamente diversa da quella descritta sopra . Cresce fino a una considerevole altezza e nei giorni estivi schiude i suoi boccioli gialli e ha dei gomitoli color crema la cui fibra è lunga e setosa e molto resistente. Le varietà che vengono piantate attualmente sono il risultato di lunghi anni di paziente cura da parte dei piantatori di Sea Island, e persino il lontano Egitto ha un debito con il nostro piccolo stato per il seme , poiché la lunga fibra di quel paese degenera con grande rapidità. Il Sea Island Cotton è perfino superiore al cotone egiziano Makò, che ora non viene quasi più coltivato, come un tempo, lungo le rive del fiume Nilo, e nella località da cui prende il nome, che però continua ad essere utilizzato sul mercato, per definire i cotoni più pregiati a fibra lunga.
E’ necessario che il piantatore sia sempre sul luogo per fare selezioni anno dopo anno , in quanto con il tempo la pianta mostra una tendenza costante a produrre una fibra meno fine e lunga .
Questa arte della selezione ha portato negli ultimi anni ad una scienza quasi esatta i cui risultati sono davvero sorprendenti. Il piantatore non guarda più al futuro con atteggiamento fatalista , nel timore che si avveri l’ antica superstizione che diceva che solo ogni sette anni si potevano riprodurre fibre altrettanto belle e lunghe. Ora egli è padrone della situazione e controlla la produzione di fibra . Si pensi che si è passati nel corso degli anni da 100 libbre di cotone per acro a 200 e poi a 300 e poi a 400. Un recente esperimento sulle coste americane ha portato al risultato sorprendente di 2.140 libbre di semi di cotone, cha hanno poi consentito l’estrazione di 566 libbre di cotone separato per ogni acro di terra.

Oggi, come ho detto all’inizio di questa lezione, con il cotone sea island vengono prodotti innumerevoli capi di abbigliamento, soprattutto camicie ( vedi taccuino rif. Tessuti n.870,8712,872).
Il Sea Island Cotton è ora protetto da un marchio di fabbrica. ( vedi taccuino , ologramma)

Mi auguro di avere suscitato il vostro interesse con questo gesso. Le “ storie” continueranno .
Un’estate fresca a tutti voi.
Cavallerescamente vi saluto
Dante De Paz.







-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 01-08-2004
Cod. di rif: 1485
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:


Dizionarietto .


A tutti noi capita di entrare in negozi di abbigliamento, spessissimo notiamo che commessi, commesse e titolari usano termini impropri, fantasticando su cognizioni sentite , senza percezione dei materiali che presentano.

Hanno maggiore importanza la marca e il modello , ma la base tessile o la materia prima vengono spesso ignorate. Si sente dire:”E’ un ottimo prodotto, , è andato benissimo alle vendite, è fantastico”.

Raramente si viene attratti da un po’ di competenza.

Il commesso porgitore è oggi una figura assai diffusa , pertanto una base di preparazione dovrebbe essere obbligatoria per intraprendere questo mestiere.

In altissima percentuale ti diranno:”E’è una cravatta di twill”, senza saperne nulla , così come per una camicia si sentirà parlare di Oxford , di popeline, eccetera, ma sempre guai se il cliente chiede delucidazioni.

Nel magazzino self- service addirittura c’è un annullamento delle conoscenze e dei termini tecnici anche minimi. Il cliente sceglie e va alla cassa .
Mi auguro , come sempre nelle mie lavagne, che questo dizionarietto sia un piccolo strumento utile a togliere qualche dubbio.




Vediamo noi qualche termine comune:


• TWILL: termine derivato dalla parola inglese “TWO”( due), in cui il passaggio dell’ordito( per questo termine vedi più avanti nella terminologia tecnica ) è organizzato non secondo una successione regolare di fili , come nella tessitura normale, ma passando al di sopra un filo e al di sotto di due o più fili , secondo il tipo di twill .
Questa lavorazione dona al tessuto una successione di linee diagonali
E anche se nel twill di tipo più normale questa diagonale va da parte a parte con un angolo di 45 gradi, vi possono anche essere variazioni notevoli. I twill possono essere tessuti forti e utili . La diagonale può andare da sinistra a destra o viceversa.

Molto importante è la lavorazione del twill in seta, in cotone e lana. (Vedi taccuino, numeri 881,880,877.).



• BATISTA- etimologia:sostantivo femminile , dal francese batiste, derivato dal nome del primo artigiano che la fabbricò nel sec. XIII, Baptiste de Cambrai.
E’ un pregiato tessuto di lino e di cotone ottenuto impiegando filati molto resistenti e di titolo elevato. La tessitura, con armatura tela, è fitta e leggermente trasparente. I tessuti di batista, prodotti in altezza 90, 120, 150 cm, vengono impiegati nella confezione di biancheria e camiceria finissima.

• MUSSOLA: trasparente tessuto di seta, lana o puro cotone ( raramente misto) ad armatura tela. Morbido e leggero, si drappeggia bene ed è adatto per la confezione di abiti, camicie e boxer da uomo. Simile allo chiffon per la leggerezza è utilizzato anche nella confezione di abiti da sera estivi, con più strati di tessuto. Prende il nome dall’antica città asiatica di Mossul, dove ebbe origine la sua fabbricazione. (vedi taccuinon. 885).

• POPELINE: sostantivo femminile francese, derivato dall'inglese poplin, dal nome della città fiamminga di Poperinge. Tessuto leggero e lucido di cotone mercerizzato, in armatura tela e costruito con un intreccio molto fitto; viene impiegato nella confezione di camiceria in tinta unita e a disegni, per lo più rigati e quadrettati.
La particolarità inconfondibile del Popeline è l'ordito più fine della trama, che rende il filato delicato e liscio. Realizzato esclusivamente in cotone egiziano 100%. (VEDI TACCUINO, n.884).

• OXFORD: Tessuto in cotone, caratterizzato dalla tessitura di un filo di trama per ogni due di ordito; l’effetto che si riceve guardando questo tessuto, è quello di piccolissimi puntini bianchi che emergono sul fondo anche se colorato. (VEDI TACCUINO, n. 883)

Può presentare tre differenti versioni:

1) fine: si distingue per una spiccata morbidezza e può essere indossato sia nella stagione estiva che in quella invernale;

2)medio: adatto per un abbigliamento più informale e sportivo;

3) pesante : con una decisa trama granulare, ma comunque morbido.


• Pin-Point :È un tessuto che deriva da una evoluzione dell’oxford; l’effetto è quello di tessuto abbastanza granulare, ma con una trama che pare formata da infinite punte di spillo. Questo tessuto rappresenta un classico del vestir bene.



• VOILE : sostantivo maschile francese (propriamente velo). ( vedi taccuino, numeri. 878, 879) .Tessuto molto leggero e trasparente, in seta, cotone, lino o fibre sintetiche. Viene utilizzato nell'abbigliamento femminile e per tende.




Aggiungiamo ora alcuni termini tecnici.

Avrete notato che , quando si parla di tessuti , e dunque nelle mie lavagne con assiduità, ( si vedano ad esempio le lavagne 1394 e 1412 sulla storia del Paisley Pattern) vi sono alcune parole che compaiono più spesso di altre, tra queste due sono molto importanti, trama e ordito.

Vediamone la spiegazione tecnica.

La TRAMA è il complesso dei fili che nel tessuto si dispongono perpendicolarmente all'ordito e che si intrecciano con esso durante le operazioni di tessitura, mediante il passaggio delle navette contenenti le spole.




L’ORDITO è l’insieme dei fili destinati a formare la larghezza o altezza di un tessuto, tesi orizzontalmente su un telaio. Durante le operazioni di tessitura ciascun filo viene alternativamente alzato e abbassato in modo che la navetta, che viaggia da un lato all'altro del telaio per realizzare la trama, passi alternativamente sopra e sotto ciascun filo, generando l'intreccio del tessuto.
( vedi taccuino n. 887, per trama e ordito).
Parlando di cotone si usa spesso il termine mercerizzato, che avete già incontrato nella storia del filo scozia e chissà in quante altre occasioni nei vostri acquisti. Ma che cos’è la mercerizzazione? Ricordo prima di tutto che essa è una delle 5 condizioni base per la creazione del Filoscozia. Definizione:



MERCERIZZAZIONE: Sostantivo femminile, derivato dall’inventore del procedimento. Consiste nel trattamento eseguito su filati e tessuti di cotone per migliorare la qualità dei prodotti finiti ,conferendo loro un aspetto e un tatto molto simile a quello della seta. Si compie sottoponendo il filato o il tessuto per 5-10 minuti a un bagno di soda caustica a 35ºBé (meno usato è l'idrato di potassio) e mantenendoli tesi mediante apposite apparecchiature, allo scopo di impedire il raccorciamento prodotto dall'azione della soda. Dopo aver subito il bagno mercerizzante, il filato o il tessuto, sempre mantenuti tesi su cilindri, vengono puliti dall'eccesso di soda con idonei bagni. L'aspetto del cotone mercerizzato è completamente diverso da quello naturale: osservate al microscopio, le fibre si presentano circolari anziché appiattite e il cotone, oltre a una maggiore lucentezza, assume una maggiore elasticità e resistenza e un'estrema facilità di tintura.

Infine , vediamo cos’è la navetta:


Navetta: elemento del telaio, a forma di parallelepipedo o di fuso allungato, di lunghezza variabile, al cui interno viene ospitato il filo che serve a comporre la trama del tessuto.(vedi taccuino, n.886).

Cavallereschi saluti a tutti Voi
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-08-2004
Cod. di rif: 1486
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto, integrazione voce
Commenti:
Alla voce "mercerizzazione" della mia lavagna 1485, dizionarietto, è sfuggito, nella trascrizione, il nome dell'inventore del procedimento, che prontamente aggiungo: trattasi del Signor J. Mercer, da cui appunto il termine di cui sopra. Di nuovo Vi saluto Cavallerescamente Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-08-2004
Cod. di rif: 1487
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:


• ZEPHYR o ZEFIR di cotone :Sostantivo maschile , coniato per i tessuti nel sec. XIX; dal francese zéphyr, zefiro, il vento mite, primaverile, che soffia da occidente; anche come personificazione mitica: il nome allude alla leggerezza del tessuto, che è leggero e resistente in cotone, rigato o quadrettato, fabbricato con filati tinti e mercerizzati, molto sottili e ritorti; viene usato per camiceria e abiti estivi da donna.“Zefiro vola e la verde erba infiora” (Poliziano, Stanze per la giostra, 68).(vedi taccuino n.888)

• PIQUET O PICCHE’ :Sostantivo maschile dal francese piquer, piccare. Tessuto, generalmente di cotone, che presenta degli effetti a incavo. Viene ottenuto per mezzo di una depressione prodotta da una catena supplementare molto tesa che, passando sulle trame, obbliga il tessuto a incurvarsi formando appunto un incavo. È usato per la confezione di coperte da letto e capi di abbigliamento, anche sportivi. E’ molto fresco e decisamente estivo.(vedi taccuino n.889).

Saluti Cavallereschi
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-08-2004
Cod. di rif: 1490
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: cotone makò
Commenti:
Egregio Signor Migliaccio,
mi fa piacere risentirla su questa Lavagna; tuttavia, per quanto riguarda la Sua richiesta in merito al cotone makò, al momento non sono in grado di aggiungere ulteriori informazioni o nozioni in più, rispetto a quelle da me esposte nel mio gesso n.1483 del 29 u. s., certo che vorrà rileggerlo.
Comunque nulla è mai concluso in questa materia, tutto è aperto e ciò che ritroverò in merito sarà sempre comunicato.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-08-2004
Cod. di rif: 1498
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Ancient Maddert e Wool challis
Commenti:






Ancient Madder e Wool Challis


Questo mio scritto, per cronologia, si sarebbe bene inserito durante o dopo il lavoro sul Paisley; voglio ora ricordare, ricordare nel senso che ben poco ci è rimasto del mitico tessuto real madder, o come è chiamato in Inghilterra Ancient Real Madder , un procedimento difficile, come vedremo, che dà al tessuto un’opacità nebbiosa e i disegni, tendenzialmente Paisley, assumono una elegante opacità. Un tessuto nel quale ha avuto a mio avviso l’esclusiva di “ ricetta” un fabbricante inglese che recentemente ha chiuso i battenti, la ditta David Evans( vedi taccuino n. 896).

Notizie in merito, brevissime, si possono trovare nella pubblicazione di François Chaille “Piccola Enciclopedia della cravatta”, Rizzoli Libri Illustrati, Milano 2002, pag. 71. Purtroppo si ricavano notizie particolareggiate sulla stampa ancient madder solo nel Museo di Macclesfield, nota cittadina del Lancashire, come citato in passato, dove l’industria serica era fiorente. Su quanto dico o ho detto sulla perdita del madder ne ho avuta tangibile conferma durante il nostro proficuo incontro di Venezia dal nostro coltissimo, amabile e decano Cavaliere Augusto Micheli, il quale come sapete ha dedicato la sua vita operando in importantissime industrie seriche con conoscenze internazionali.
Questo tipo di procedimento è senz’altro uscito dai segreti della David Evans ed è entrato in Como, ma personalmente non ho più visto tessuti stampati con procedimento madder dopo allora, molti similari, ma non quello. Consiglio di rileggere nel Florilegio l’articolo del Gran Maestro sulla cravatta. ( Vestirsi uomo, la Cravatta , Terza Puntata).

Storicamente, le tinture naturali erano utilizzate per colorare vestiti e altri tessuti e solo dalla metà dell’800 i chimici cominciarono a produrre sostituti sintetici di esse.

Madder è il nome comune della Rubia tinctorum, (Vedi taccuino n. 897, 898)) una pianta erbacea appartenente alle famiglia Rubiacee, tropicali e subtropicali , abbondanti soprattutto nel Sud America.
Essa fu utilizzata fin dai tempi più antichi per ricavare il rosso naturale per le tinture vegetali dei tessuti. La pianta veniva utilizzata già dagli antichi egiziani e infatti sono state trovate coperte tinte col madder in alcuni casi di Mummie. La radice lunga e flessibile di questa pianta ( vedi taccuino n.899)) fu la fonte principale di svariate tinture di rosso ,fino alla produzione artificiale dell’alizarin, ( vedi taccuino n. 900)il colore principale del madder. Essa fu coltivata nell’Est per secoli e in Europa dal tardo Medio Evo.
Nei primi anni del XIX secolo dal madder naturale fu ricavato un pigmento e in seguito fu prodotta la versione chimica del colore. Alla metà del XVIII secolo la maggior parte del madder naturale cresceva in Olanda.
L’Inghilterra importava dall’Olanda tutto il madder necessario alla produzione tessile ad un costo di 300.000 sterline l’anno.
Nel 1804 la Società di Promozione delle Arti premiò Sir Henry Englefield per avere scoperto un modo per ricavare la tintura madder e riprodurla a olio.

Dal XIX secolo in poi la tintura è stata usata prevalentemente per la seta .

Al giorno d’oggi questo procedimento viene impiegato soprattutto per cravatte stampate in Inghilterra su disegno Paisley ( vedi taccuino 901,902) o geometrico di piccole dimensioni (vedi taccuino n. 903)).
L’agente colorante della radice del madder, che - come abbiamo detto poco fa – è chiamato alizarin, fu infatti estratto chimicamente e poi sintetizzato per la prima volta in Inghilterra nel 1869 ad opera di due chimici inglesi .
Anche se il procedimento della tintura richiede ancora oggi una serie di passaggi molto attenti e specializzati , l’alizarin sintetico ha reso possibile un adeguamento dei prezzi alla portata dei produttori.
Le sete ancient madder a disegni Paisley divennero popolari nella seconda metà del regno della Regina Vittoria per cravatte e fazzoletti.
Le cravatte a disegni Paisley ancient madder divennero uno status Symbol nei Campus dei College universitari a partire dagli anni Trenta del 900 come un’alternativa adeguata e aggraziata alla tradizionale cravatta a righe.


Wool Challis

Il sottile tessuto di lana che chiamiamo challis fu creato per la prima volta 170 anni fa nella cittadina di Norwich, a nord est di Londra e divenne subito molto popolare tra i gentiluomini e le signore dell’età vittoriana. Gli uomini la usavano soprattutto per le cravatte e i panciotti, mentre le signore indossavano vestiti e scialli di challis perché questa stoffa univa insieme due qualità, resistenza e morbidezza ( challis è una modificazione della parola dell’inglese dell’India “ scalee”, che vuol dire soffice).

La cravatta wool challis è un’adorabile cravatta in lana ( vedi taccuino 908)che non fa sentire il suo peso, la sua lanosità si setifica inconfondibilmente e molti, forse un po’snob, la usano anche d’estate. E’ comunque un twill di lana ,( vedi dizionarietto) sul quale vengono applicate stampe in corrosione. ( vedi dizionarietto).



Vi saluto come sempre Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-08-2004
Cod. di rif: 1499
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: correzione titolo oggetto
Commenti:
errata corrige titolo oggetto: è evidente l'errore di trascrizione nell'oggetto della lavagna Ancient Madder, laddove è apparsa una "t" di troppo. Ancient Madder, e non "maddert".
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-08-2004
Cod. di rif: 1500
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dizionarietto: stampa in corrosione e cotton drill
Commenti:
Stampa in corrosione.

La stampa in corrosione nasce per abbattere le barriere imposte dalla stampa in applicazione , cioè per permettere la stampa di maglie con colori di fondo scuri. Il principio è molto semplice: il colorante per la stampa viene preparato aggiungendo una sostanza in grado di corrodere il colore di fondo della maglia , permettendo quindi di lavorare come se in corrispondenza del disegno si avesse il fondo greggio della maglia. Questa tecnica però presuppone il fatto che la tintura del capo sia effettuata usando dei coloranti corrodibili, senza i quali sarebbe impensabile procedere. Stesso discorso vale per i “tinti in filo”. Il procedimento di corrosione si compie attraverso il vaporissaggio del capo, al quale segue un lavaggio finale.

Cotton drill.

Tessuto 100% cotone con trattamento di smerigliatura da ambo i lati che ne aumenta il comfort.

Avevo già precedentemente menzionato il cotton drill tra i tessuti per giacca nella mia lavagna sul classico internazionale, abbigliamento primavera- estate , parte III , rif. 1198, del 13/05/2004.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-08-2004
Cod. di rif: 1501
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Finezza in "S" della lana
Commenti:
Il nostro buon amico Francesco Barberis Canonico che, come tutti Voi Cavalieri sapete, ci fece visitare il suo strabiliante stabilimento tessile lo scorso aprile del quale abbiamo già parlato, mi ha fatto invio di alcuni chiarimenti sulla finezza in “S” dei tessuti.

Riporto integralmente il testo anticipando che ritorneremo ancora sull’argomento con altri dettagli che sto, e stiamo, elaborando per dare maggiore chiarezza aprendo i tecnicismi affinché di fronte a un tessuto l’utente abbia sempre più chiare cognizioni.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz

Riporto il testo integrale:

VITALE BARBERIS CANONICO S.P.A.
VIA DIAGONALE, 296 = 13050 PRATRIVERO (BI) ITALIA
TEL. (015) 7388855 – TELEX 222405 BARBRS I – FAX (015) 7689765

FAX NO: 1104
TO: DANTE DE PAZ
FROM: FRANCESCO BARBERIS CANONICO
REF: FINEZZA IN ‘S DELLA LANA E TITOLAZIONE DEI FILATI
DATE: 30.07.04

«Caro Dante,
eccoti i chiarimenti che mi avevi richiesto a riguardo la finezza in ‘S della lana e la titolazione dei filati.
Rimango a disposizione per ogni eventuale chiarimento.
Cordiali saluti.
Francesco Barberis Canonico

FINEZZA IN ‘S DELLA LANA
Le fibre di lana sono elementi infinitamente piccoli, con diametri e lunghezze variabili.
Esistono degli strumenti capaci di misurare queste caratteristiche; ogni lotto di lana è sempre classificato in base alla finezza media (espressa in micron) delle fibre che lo compongono.

La classificazione degli articoli in “S” (Super …… ‘S) trae proprio origine dalla finezza media dei lotti di lana impiegati per realizzare i filati di un particolare tessuto.
Per esempio la dicitura “Super 110’S”, significa che la finezza media delle fibre utilizzate è compresa fra i 17,76 ed i 18,25 micron.

TITOLAZIONE DEI FILATI
Il titolo è invece una misura che esprime la “grossezza” di un particolare filato (e non delle fibre che lo compongono).

I filati di lana hanno una sezione variabile e non possono essere classificati in base ad una misura del diametro. Nel mondo laniero si è soliti utilizzare il Numero Metrico (Nm), che indica la lunghezza in metri di 1 grammo di filato. Per esempio in un filato di titolo Nm 1/56, occorrono 56 metri di filo per raggiungere il peso di 1 grammo.

Normalmente esiste una stretta correlazione fra la finezza media delle fibre e il titolo del filato. Infatti per ottenere un filato con soddisfacenti caratteristiche di resistenza è necessario che il numero medio di fibre per sezione sia adeguato.
Per questa ragione i lotti di lana con finezze medie basse vengono solitamente utilizzati per realizzare filati con titoli estremamente fini.»



P.S.: Vedere il Taccuino Nr.906 inerente alla nuova classificazione dei tessuti della Ditta VITALE BARBERIS CANONICO.


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-08-2004
Cod. di rif: 1508
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dizionarietto: FIBRA
Commenti:




Dizionarietto: FIBRA



FIBRA

In botanica, le fibre sono elementi sclerenchimatici allungati, fusiformi, con pareti fortemente ispessite, spesso lignificate, con funzione meccanica di sostegno, che permettono alla pianta di subire notevoli flessioni senza esserne danneggiata. Si trovano prevalentemente nel legno.
Fibra tessile: è qualunque sostanza filiforme con specifiche caratteristiche di flessibilità, lunghezza e resistenza che permettono la sua trasformazione in filati e tessuti mediante successive lavorazioni meccaniche. Sono divise in fibre naturali, fibre artificiali e fibre sintetiche. Le fibre naturali sono animali (lana, seta, bisso), vegetali (cotone, canapa, lino, iuta, ramié, kapok, sisal), minerali (amianto).
Le fibre artificiali, ottenute da sostanze naturali destinate ad altri impieghi, si suddividono in fibre cellulosiche (fibra viscosa, fibra cupro, fibra modal, fibra acetato e triacetato), fibre proteiche, fibre alginiche, fibre di vetro (vetro tessile), fili metallizzati.
Le fibre sintetiche vengono prodotte per polimerizzazione da derivati del carbonio.
materie prime per la fabbricazione di filati e di tessuti, con un elevato rapporto tra lunghezza e larghezza (almeno 1000), una grande finezza (5-60 millesimi di millimetro), flessibilità e resistenza. Le fibre tessili si dividono anzitutto in fibre naturali, di origine vegetale, animale o minerale, e in tecnofibre, che si suddividono a loro volta in fibre artificiali, sintetiche e inorganiche. Le fibre artificiali e quelle sintetiche sono talvolta raggruppate nella denominazione di fibre chimiche.
Secondo la lunghezza, poi, si distinguono le fibre continue, o bave (seta, fibre artificiali e sintetiche non tagliate), dalle fibre discontinue, o in fiocco (cotone, lana , fibre artificiali e sintetiche tagliate).
Proprietà
Le caratteristiche più importanti delle fibre tessili sono: la lunghezza; la resistenza meccanica, o tenacità; l'allungamento a rottura e il modulo elastico; la densità; la resistenza all'invecchiamento.
Molto importante il recupero di umidità, o tasso di ripresa, che può essere vantaggioso o svantaggioso: per es., le fibre sintetiche, quasi completamente idrofughe, mantengono una buona stabilità dimensionale anche a umido; d'altra parte i tessuti in fibra sintetica non permettono la traspirazione e non assorbono il sudore.

Le fibre tessili di origine vegetale vengono estratte dalla parte della pianta che le contiene: per es., le fibre del cotone, costituite da un fiocco di peluria che avvolge il seme, vengono semplicemente raccolte e poi ripulite delle impurità, mentre le fibre del lino, della canapa ecc., contenute nello stelo, possono essere estratte solo dopo macerazione e lavorazione dello stelo.
Le fibre tessili di origine animale vengono generalmente tagliate dalla pelle dell'animale vivo (tosatura); fa eccezione la seta, costituita dal lungo filo (bava) secreto dalla larva, e quindi ricavata dalla dipanatura del bozzolo (trattura) dopo l'uccisione della crisalide.
Le fibre tessili chimiche, artificiali o sintetiche vengono invece prodotte per estrusione del polimero fuso attraverso i fori calibrati di una piastra metallica (filiera).
Nel caso delle fibre cellulosiche (per es., raion) sono necessari trattamenti preliminari, diversi secondo il tipo di processo. I filamenti vengono quindi sottoposti a stiratura, per orientare le catene macromolecolari, e quindi raccolti su bobine in continuo. Dal nastro (tow) così formato si può ottenere il fiocco tagliando i filamenti, srotolati dalle bobine, in fibre di lunghezza voluta.
Usi
I campi di impiego delle fibre tessili naturali sono rimasti quelli tradizionali: tessuti, maglieria, cordami. Le fibre tessili chimiche hanno in parte a rimpiazzato le fibre tessili naturali e in parte hanno trovato settori di utilizzo più specificamente tecnici, come la fabbricazione di materiali compositi utilizzati nei settori aerospaziale, automobilistico e navale.
L'arte della filatura e della tessitura ha origini antichissime; già 6.000 anni fa gli Egizi coltivavano la pianta del lino e conoscevano la fibra tessile che se ne poteva ricavare. L'uso della lana ebbe inizio, sembra, nel IV millennio; quello del cotone e della seta nel III millennio. I grandi sviluppi della chimica consentirono la produzione, verso la fine del sec. XIX, delle prime fibre chimiche a base cellulosica.
Il grande sviluppo delle fibre sintetiche si ebbe invece dopo la seconda guerra mondiale, parallelamente allo sviluppo dell'industria petrolchimica, che consentì l'utilizzo di materie prime (polimeri) a basso costo.

Vi saluto Cavallerescamente
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-08-2004
Cod. di rif: 1513
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: ULSTER
Commenti:
Egregio Signor Longo,
leggo con interesse il Suo gesso 1511 sull'Ulster; essendo impossibilitato a risponerLe questa sera mi riservo di soddisfare il Suo quesito domani.
La saluto cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-08-2004
Cod. di rif: 1514
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: LINO :Prima Parte
Commenti:


Il Lino
PRIMA PARTE


Proprio in questa umida estate del tropicale clima bolognese ho deciso di immergermi in un lungo argomento, il lino, molto affascinante, ma anche di difficile ricerca, in quanto non amo usare, mi sto accorgendo , le fonti comuni di INTERNET ma elaborazioni personali di testi recuperati nelle biblioteche. Per questa prima parte si vedano:
1) Bernard P. Corbman, Manuale delle fibre tessili, Tecniche Nuove, Milano 1990;
2) ENCICLOPAEDIA BRITANNICA, Vol. 9, sotto la voce flax; vol 14, sotto la voce Linen;
Spero di arrivare lentamente ad una esauriente storia di questa antichissima fibra.
E ‘ scritto nella Bibbia, Deuteronomio 22,11: “ Non ti vestirai con un tessuto misto di lana e di lino insieme”. Questa regola , ritenuta di difficile spiegazione anche dai maestri, può forse significare che non è buona norma mescolare parti animali con parti vegetali e viceversa.
Ancora oggi la mescolanza delle fibre, seppur di non piccolo utilizzo, tuttavia non sempre porta a risultati soddisfacenti.
La testimonianza biblica ci dice che già ai tempi di Mosé l’uomo utilizzava il lino, per vestirsi. Anche l’analisi microscopica dei tessuti di avvolgimento di alcune mummie hanno dimostrato che sia gli Egiziani che gli Ebrei utilizzavano questa fibra tessile.
Il lino ha sempre conteso al cotone il primato di antichità.
Ma vediamo che cos’è questa preziosa fibra.
Il lino è una pianta erbacea annua (Linum usitatissimum)( vedi taccuino n. 911) della famiglia delle Linacee, originaria dell'Egitto e dell'Asia Minore, dal fusto eretto, alto 1 m circa; ha fiori azzurri in pannocchie, ( vedi taccuino 912 , 913, 914)che fioriscono per un solo giorno; frutti ricchi di sostanze mucillaginose e oleose. Il lino viene coltivato, per ricavarne l'omonima fibra tessile, nelle regioni a clima temperato umido e per i semi in regioni caldo-aride .

“Il filato di lino è ottenuto dalle fibre ricavate dallo stelo dell’esile pianta di lino. Queste fibre, tenute assieme sotto la corteccia dello stelo principalmente da una sostanza gommosa (pectina), formano il corpo della pianta del lino. La fibra di lino è composta fondamentalmente di cellulosa”. ( Corbman, op. cit. pag. 361.)
La pianta veniva probabilmente coltivata già nel Neolitico, nella regione Mediterranea; come prodotto tessile il lino era utilizzato circa 8.000 anni fa e il più antico tessuto di lino è stato ritrovato a Est del Delta del Nilo, a Fayum, 6.100 anni fa.
Sotto il nome di Lino vengono classificati tutti i filati e i tessuti ricavarti dalla fibra del lino( flax in inglese) .Il Flax coltivato ha forse origine nel Mediterraneo, e deriva a sua volta dal flax selvatico, Il Linum Angustifolium.( BRITANNICA, op. cit. pag .430);
Esistono tanti tipi di lino . Una classificazione importante fu fatta dal grande scienziato e naturalista svedese del XVIII secolo Carlo Linneo,( vedi taccuino n. 915) il quale ne indicò almeno 11 specie:
1) Linum Angustifolium;
2) Linum Arboreum;
3) Linum Flavum;
4) Linum Gallicum;
5) Linum hirsutum;
6) Linum Maritimum;
7) Linum quadrifolium;
8) Linum radiola;
9) Linum strictum;
10) Linum tenuifolium;
11) Linum usitatissimum. ( vedi taccuino).
Quest’ultimo, Linum usitatissimum, è l’unica specie coltivata anche in Italia. Furono i popoli mediterranei che ne iniziarono la coltivazione e che lo esportarono anche in India. Di esso esistono due varietà: il lino di primavera o marzuolo e il lino d’autunno, chiamato anche ravagno o rumbo.
Alcune specie si trovano spontanee in Italia e tuttavia non sono utilizzate come tessili.
I paesi di produzione del lino sono: Australia, Austria , Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Scozia e Russia. Anche in Canada e negli Stati Uniti si coltiva il lino, ma soprattutto per i semi (vedi taccuino 916)e quindi in gran parte non ad uso tessile.
Ogni paese di provenienza dà al lino le sue caratteristiche peculiari.
Ad esempio il lino del Belgio è più sottile e robusto, e di qualità superiore, grazie anche alle acque speciali di quella regione, ma la supremazia per le tecniche della tessitura spetta al lino irlandese, speciale per il colore bianchissimo e per la sua forza e tenacità. Questo viene candeggiato sul prato, procedimento riservato ai lini della migliore qualità.
Il lino scozzese è più chiaro di quello irlandese ed è usato soprattutto per manufatti che devono essere resistenti, come per esempio i teloni.
Molto buono è anche il lino francese. Il lino tedesco è di qualità media, e anche quello dell’Europa centrale.
Il lino russo è caratterizzato da una fibra di colore grigio scuro. I procedimenti di trattamento in questo paese non sono altrettanto raffinati di quelli dell’Europa Occidentale, per cui spesso questa fibra si spezza.
Le fibre di lino si mescolano a cotone, lana, seta, viscosa e poliestere e questi filati di mischia permettono di ottenere molti tipi di tessuto. Come ho detto all’inizio di questa puntata la mescolanza non implica necessariamente un buon risultato del prodotto, ma questa è un’opinione personale, peraltro surrogata dalla mia quarantennale esperienza in questo settore.
La combinazione di due fibre consente di avere una “mano” diversa, cioè una consistenza ed un aspetto differenti da quelli ottenuti con filati semplici.
I manufatti di lino provenienti dalle zone di produzione di Francia, Belgio ed Olanda sono i migliori del mondo e vantano il marchio di qualità "MASTERS OF LINEN". Vedi taccuino n. 917).
Del resto il lino coltivato in Europa Orientale, Russia, Brasile, Cina e Paesi Baltici, è di qualità nemmeno paragonabile a quella dell'Europa Occidentale.
L’argomento è ricco di tante notizie, che saranno scritte in altre puntate.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz












-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 12-08-2004
Cod. di rif: 1515
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Ulster
Commenti:
Egregio Signor Longo,
Ho letto la Sua interessante lavagna sul paletot Ulster; mi sembra che non ci siano mezzi termini per definirlo: è il padre di tutti i paletot, il basico militare doppio petto, doppio uso; così viene definito dalla sartoria italiana.Doppio petto con incrocio, revers e collo di misura standard , in quanto esso si abbottona completamente sotto il collo.Le maniche sono a giro e il terminale della manica prevede un risvolto chiamato paramano; le tasche sono a bustina , cioè rirportate con pattina . Nel dietro c'è la tradizionale fonda , che parte dal centro schiena con bottoncini sbottonabili nellaparte terminale, 6/7 bottoni, di lineato 24; la martingala è sbottonabile. E' naturalmente un classico internazionale , perché è un paletot usato da uomo e da donna come paletot militare. Quale sia l'evoluzione dell'Ulster nei secoli , al momento non lo saprei; sta di fatto che negli ultimi 50 anni, che io sappia , è sempre stato costruito solo nella maniera tradizionale, cioè il paletot militare. Non ci sono limiti di tessuto per questo capo,; si può confezionare con qualunque tessuto. Se capiterà a Bologna in Ottobre potrà vedere paletot Ulster nel mio negozio, fatti con tutte le regole. Per quanto riguarda le immagini del taccuino, esse non rappresentano Ulster, ma altri capi. Negli ultimi anni ho visto molti paletot definiti Ulster, ma che in realtà non lo sono; hanno confuso dei paletot a doppio petto con martingala con l'Ulster,forse per semplificare,in quanto sartorialmente è un capo di lunga lavorazione e il maestro sarto deve conoscerne tutte le regole.

Cavallereschi Saluti


Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 12-08-2004
Cod. di rif: 1517
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: rispondo a Villa sul tweed
Commenti:
Comprendo perfettamente la Sua emozione di fronte ad un importante tessuto dal quale traspare storia tessile e storia del suo molteplice utilizzo.Posso immaginare la qualità e forse anche i colori , ma non di più; dalla cimosa non riesco a risalire a nulla di concreto.

Sempre a Lei i miei più sentiti complimenti per il buon occhio nell'aver visto " tra le righe" e per la collaborazione che porta trasmettendo le Sue sensazioni.
La saluto cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 12-08-2004
Cod. di rif: 1521
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Lino: Seconda Parte
Commenti:
Il lino
Seconda Parte

Dalla pianta al filato e lino irlandese.
Eccomi a voi con la seconda puntata della storia del lino .
La prima puntata finiva con i paesi dell’Europa Occidentale che producono le qualità migliori di lino. Vediamo ora insieme le varie fasi della produzione del prezioso filato a partire dalla coltivazione.
Ciò che serve al lino è prima di tutto un buon terreno, profondo e bene arato, in un clima umido e fresco. Una pianura con acqua dolce abbondante è il luogo ideale.
I semi di lino vengono piantati e coltivati con diversi scopi, primo fra tutti la tessitura, che quello che ci interessa in questa sede. Seguono poi la produzione di olio, miele e unguenti medicamentosi.
Il processo di lavorazione del lino per la sola produzione di filati utilizzati per la tessitura è particolarmente laborioso, soprattutto se praticato interamente a mano e senza l'ausilio di macchinari industriali.
Il campo in cui vene coltivato il lino deve essere concimato per 6 anni, dunque si avrà un buon raccolto solo ogni 7 anni.
La semina è fatta ancora oggi spesso a mano e avviene in aprile o maggio.
Le piante in tre mesi possono raggiungere un’altezza di 60-120 cm e i fiori possono essere blu, porpora o bianchi. Come abbiamo visto nella prima puntata quelli del linum usitatissimum, la varietà per noi più interessante, ha fiori blu, i quali sono garanzia di fibra più sottile; infatti le altre specie producono una fibra più grossa ma meno robusta.
Il raccolto avviene di solito alla fine di agosto. Questa fase è importantissima e i tempi devono essere assolutamente rispettati, a scapito della lucentezza della fibra. Le piante devono essere strappate dal terreno senza che lo stelo venga spezzato, altrimenti la qualità della fibra viene irrimediabilmente danneggiata.
I semi e le foglie vengono separati dai fusti e questo avviene tramite un grosso pettine. Questa è la cosiddetta SCOTOLATURA, (vedi taccuino 918) la quale viene immediatamente seguita dalla macerazione,ed anche questo procedimento deve essere fatto con grande cura ed attenzione.
Tipi di macerazione:
Macerazione alla rugiada dei prati: metodo usato in Belgio e Russia. Gli steli vengono sparsi sull’erba e lì vengono lasciati per tre o quattro settimane, fino al raggiungimento del classico colore grigio scuro.
Macerazione in vasche: metodo usato in Belgio e Irlanda; il tempo è inferiore, 10-15 gg.; l’acqua è stagnante e quindi la macerazione è maggiore; le fibre possono indebolirsi;
Macerazione in torrenti di acqua corrente: metodo oggi caduto in disuso e molto usato un tempo nella regione di Lys in Belgio; adatto a produrre lino di alta qualità.

Macerazione in tino o meccanica: metodo che abbrevia il procedimento della macerazione usato soprattutto in Belgio, Francia , Irlanda del Nord e Stati Uniti.
Macerazione chimica: metodo usato con additivi, i quali possono danneggiare la robustezza della fibra.

La macerazione è solo del primo passaggio della lavorazione, infatti la pianta viene successivamente sottoposta alla "battitura" per eliminare definitivamente i residui legnosi e alla cardatura che avviene utilizzando dei pettini "chiodati" con tramatura più o meno fitta a seconda delle necessità. Il risultato finale è una fibra a spirale, di consistenza morbida.
La pettinatura serve a separare le fibre corte, dette stoppe, da quelle lunghe .
Per il lino più raffinato la pettinatura viene ancora fatta a mano.
Le fibre corte vengono utilizzate per un filato irregolare , le fibre lunghe (vedi taccuino 919 e 923) vengono chiamate lino pettinato e vengono utilizzate per produrre i filati più pregiati. La loro lunghezza varia da 30 a 50 cm. Le fibre vengono fatte passare attraverso le macchine stenditrici e preparate per la filatura dopo essere state parallelizzate.
A questo punto desidero ricordare che anche per il lino è importante il titolo, ( grossezza del filo determinata dal rapporto tra una sua lunghezza determinata e il peso relativo) che abbiamo già incontrato parlando del sea island cotton , come filato pregiato di cotone o del filoscozia. Più il titolo è alto, più il filato è pregiato.
Il sistema dei filati di lino è calcolato, nella titolazione Ne1, dal numero di matassine di 300 yard che pesano una libbra. Ad esempio, un filato di titolo Ne=1 vuol dire che 300 yard di filo pesano una libbra, mentre un filato di titolo Ne=2 vuol dire che 600 yard di di filo pesano una libbra e così via. ( Corbman, op. cit. pag.368)




I tessuti in uso nel XIII secolo erano solitamente costituiti da più filati intrecciati fra loro. Nel corso del 1200 la lana aveva fatto da regina , insieme al lino e alla seta. Il lino era utilizzato prevalentemente per la realizzazione di biancheria ed essendo molto costoso era prerogativa delle classi più agiate, le quali se ne servivano soprattutto per la fabbricazione di camicie estive.( vedi taccuino).

Il lino d’Irlanda, già citato nella prima puntata, è molto importante, e ad esso dedicherò ampio spazio, perché segna una tappa fondamentale della Rivoluzione Industriale in Europa e traccia la strada per la grande manifattura tessile.
La tradizione della tessitura del lino in Irlanda è assai antica. Pare che il lino sia giunto in Irlanda circa 2000 anni fa. La produzione di lino irlandese continuò per tutto il Medio Evo, ma fu solamente nel XVII secolo che l’industria cominciò a svilupparsi in modo organizzato, all’inizio sotto la guida del Conte di Strafford e del Duca di Ormonde.
Alla fine del XVII secolo gli Ugonotti , che erano recentemente migrati in Irlanda dalla Francia ,aggiunsero la loro abilità tessile all’ormai stabilizzata industria del lino irlandese e fu così che di questo fiorirono la fama e la reputazione.
Ancora oggi il lino irlandese è protetto da un marchio (vedi taccuino 922) e fortissima è la corporazione tessile volta a proteggerne la qualità.( vedi taccuino 921).
L’industria era concentrata nel Nord dell’Irlanda, soprattutto nella regione attraversata dai due grandi fiumi del Nord, il Ban e il Lagan. Quest’area è oggi conosciuta con il nome di Linen Homeland ( Terra d’origine del Lino).
Il lino fu il propulsore della Rivoluzione Industriale nell’ Irlanda del Nord, e l’ingegneria, il commercio e le infrastrutture si svilupparono intorno alle esigenze dell’industria.
Nel XX secolo il lino giocò un ruolo di vitale importanza nelle due Guerre Mondiali : corde, stringhe, tubi, vele, tende e molte altre attrezzature erano tutte quante fatte con il lino irlandese.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale fibre sintetiche rimpiazzarono il lino nella maggior parte dei prodotti industriali pesanti. In ogni caso, nonostante l’interesse nato per i tessuti creati dall’uomo, come il nylon e il poliestere negli anni ’60 e ’70 e le nuove microfibre negli anni ’90, il lino irlandese è realmente un tessuto dei nostri tempi.
Può essere infatti mescolato con la Lycra , oppure può ancora essere mantenuto allo stato puro, nel colore bianco naturale che lo contraddistingue.
Molte altre notizie, sia tecniche che storiche, sui prodotti manufatturieri e industriali di lino e sulle le mischie di questo prezioso filato mi riservo di dare nelle prossime puntate.
Vi saluto cavallerescamente
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 13-08-2004
Cod. di rif: 1522
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: ulster
Commenti:
Egregio Signor Poerio,
faccio seguito al Suo gesso 1518.Innanzitutto Le dico che devo contraddirmi sull'utilizzo totale dei tessuti, in quanto non avevo mai pensato che un paletot Ulster potesse essere confezionato in velluto. Comunque lo sconsiglio con decisione.Troppe asole nella lavorazione . Inoltre il velluto nel doppiopetto non ha scorrevolezza . Produrrò in seguito altre foto dell'Ulster, sul quale sto facendo delle ricerche , anche in relazione al classico paletot. Intanto accenno nel taccuino i primi disegni che ho trovato.
La saluto cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-08-2004
Cod. di rif: 1524
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Ulster De Paz
Commenti:
Ai Signori Longo e Poerio e a tutti i Cavalieri visitatori del Castello.
Come promesso invio disegno di un paletot Ulster. ( vedi taccuini n. 926,927,928). E' quanto si inziò a fare in Italia attorno agli anni '30 .Ancora oggi alcune sartorie confezionano il paletot in questa maniera: doppio petto-doppio uso( chiudibile al collo), dico alcune perché, come ho già detto, non è così facile conoscere questo tipo di taglio; non certo è un paletot superato perché , come ho già detto, e lo ribadisco, è il padre e la base di tutti i paletot.
Vi Saluto Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-08-2004
Cod. di rif: 1525
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto: paletot
Commenti:

DIZIONARIETTO



Paletot

La parola paletot, o paletot o paletocq, ha fatto lavorare più di una volta gli etimologi; si dice che sia di origine spagnola . Secondo Huet, si dovrebbe scrivere palletoc,, perché deriverebbe da” palla”, un tipo di mantello, e “toc”, che in bretone significa cappello. La parola paletot, così come “ toque” e “toquet”, avrebbero dunque un’origine celtica.
Altri ( ad es. Ménage )sostengono, invece, che deriverebbe da una parola latina probabilmente dell’Alto Medioev.o, palliotum, che a sua volta deriverebbe dal latino classico palliolum, che vuol dire piccolo mantello .( “Pallium” era invece, nel latino classico, il mantello vero e proprio) Ma questa ipotesi, anche se interessante, non ha dimostrazioni linguistiche accertate , ed esisterebbe dunque solo nella mente di questo studioso.
Comunque sia, il paletot del Medio Evo , era una specie di casacca.
Nel XVI e nel XVII secolo, prima ancora che tra i soldati semplici, il paletot era stato adottato come uniforme dai nobili.
In seguito esso divenne l’abbigliamento dei servitori e anche il costume usato dai marinai e dai pescatori della Normandia.
Fu solo nel XIX secolo che il cappotto divenne un capo di abbigliamento alla moda e utilizzato dalle diverse classi sociali.
Si ricordi inoltre che il paletot è stato ,era ed è ancora, un capo di abbigliamento anche da donna e non solo da uomo , come potrebbero far pensare le sue origini.

Saluti Cavallereschi
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-08-2004
Cod. di rif: 1527
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavalier Villa sull' Ulster
Commenti:
Egregio Cavalier Villa,

grazie per le Sue attenzioni .
Il paletot Ulster in effetti è foderato alle maniche e alla schiena , nonché nelle paramonture ( mostre interne). Dalla schiena al fondo, dove è naturalmente presente l'interno della lunga fonda , il cappotto ( vedi dizionarietto)è sfoderato.Questa rimane una regola base . Comunque può non essere trascurata qualche variante voluta dalla sartoria, fermo restando il davanti doppio uso e il dietro con fonda e martingala.
La saluto come sempre Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-08-2004
Cod. di rif: 1529
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Lino Parte Terza
Commenti:



Lino

Terza Parte.

Ho già detto nelle precedenti puntate che il lino è ,insieme con il cotone, una delle fibre vegetali più antiche , utilizzato fin dai tempi della preistoria dall’uomo per l’attività della tessitura. Questa antica tecnica consiste in un insieme complesso di operazioni atte a trasformare i filati in tessuti. A seconda dei materiali impiegati e del particolare tipo di tessuto che si vuole produrre, presenta modalità diverse e differenti tipi di telai.
Il tipo di intreccio più adottato è quello costituito da una serie di fili paralleli, detti di ordito, fra i quali passa un filo continuo, detto di trama, che va da un estremo all'altro del tessuto. Nella trama è molto importante l’armatura, che è quella che determina le differenze tra un tipo di tessuto e un altro e consiste, per l’appunto, nell’intreccio dei fili d'ordito con quelli di trama.
Ed ora qualche cenno storico sulla tessitura, una delle più antiche tecniche , ( dal greco “techne”= abilità) , che l’uomo ha adottato nella storia.
La tessitura è l’ arte del tessere, e la sua origine va ricercata nella semplice arte dell'intrecciare. La sua evoluzione è ricostruibile grazie proprio ai numerosi manufatti ritrovati ; fare la storia della tessitura vuol dire anche, in un certo senso, ripercorrere la storia artistica dell’uomo, poiché insieme con essa si sono andate perfezionando molte altre abilità, di tipo decorativo, che con l’arte e l’espressione artistica in senso lato hanno veramente molto in comune. Intendo ad esempio il ricamo , tipico di certe zone dell’Europa centrale e dell’Italia stessa , il merletto, il cucito in generale, arti che hanno cadenzato l’evoluzione industriale dell’Europa dall’Età Moderna in avanti e , quello che è più importante in questa sede, che hanno accompagnato il lino in tutte le sue applicazioni, dall’abbigliamento, alla biancheria per la casa, all’arredamento.
Se si considera il cammino dell'arte della tessitura, è possibile così delineare le tappe fondamentali dello stesso modo di vivere dell’uomo, poiché questa tecnica è sempre stata presente come attività fondamentale dell'agire umano.
Infatti, la lavorazione dei filati - di qualunque materia essi fossero - era un bisogno fondamentale per la sopravvivenza dell'uomo nel suo agire quotidiano.
La creazione del tessuto mediante le tecniche dell'intreccio è il frutto del passaggio della vita dell'uomo del vagare in maniera nomade, come cacciatore ricoperto unicamente di pelli, ad un modo di abitare sedentario, cadenzato dai tempi dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame: infatti, la possibilità di ricavare nuovi materiali dal suo lavoro - fibre vegetali e pelami di diversi animali - ha permesso all'uomo le realizzazione di primi tipi rudimentali di tessuti.
Poiché la creazione dei primi manufatti tessili risale ad epoche antichissime, è impossibile stabilire, anche se approssimativamente, l'epoca della nascita di un primo telaio.
Tuttavia, antichissimi frammenti testimoniano che la tessitura era praticata, appunto in tempi molto remoti, da Cinesi, Egiziani, Ebrei, Greci ed Indiani.
Poiché fin dall'antichità i prodotti artistici venivano conservati e le scuole d'arte consentivano che fossero tramandate dai maestri agli allievi le tecniche e gli studi utilizzati per la creazione di abiti ed indumenti vari, tappeti, arazzi, ed altri oggetti artistici, è evidente che sono giunti fino a noi reperti di grande valore artistico e storico che testimoniano il livello di cultura delle civiltà più antiche e diverse.
Ma torniamo al lino e vediamo qual è il suo ruolo in questa lunga evoluzione della tecnologia dell’uomo.
Come abbiamo visto, il lino presenta innumerevoli specie, la più diffusa delle quali è il linum usitatissimum, che a sua volta ha diverse varianti che si trovano in Italia come colture spontanee, ma poco lino è coltivato nel nostro paese. Infatti i paesi di maggior produzione di questa fibra sono: il Belgio, l’Olanda, l’Austria, la Francia .
In queste regioni d’Europa il lino è di qualità altissima, basti pensare al lino di Fiandra, semplice o lavorato, con pizzi e merletti, ( vedi taccuini 929, 930,931) o al lino francese lavorato Jacquard (vedi taccuino 932) e rifornisce tutta la grande industria europea, compresa quella italiana, che utilizza poi il materiale importato per creare prodotti finissimi, sia per l’abbigliamento che per la casa, quei prodotti che tutti conosciamo e per la cui raffinatezza siamo conosciuti i tutto il mondo.
In Italia c’è infatti una grandissima tradizione tessile, che si è perpetuata attraverso i secoli, specializzandosi di età in età, e le tecniche della tessitura, seppur con alcune varianti a seconda delle esigenze delle singole fibre ( come la seta e il cotone ad esempio) sono molto simili tra loro.
Attualmente in Italia il lino viene impiegato prevalentemente nel settore della biancheria per casa (42%), nell’abbigliamento (38%), nell’arredamento (11%), con una piccola quota destinata ad usi tecnici diversi ( vedi taccuino 934, in questo caso, essendo l’immagine piuttosto grande dovrete avere la pazienza di cliccare sulla X rossa per visualizzare, ma… ne vale la pena!).
Le sue caratteristiche di resistenza, morbidezza, assorbenza, freschezza lo rendono particolarmente gradito a letto, in bagno e a tavola .
Nel campo dell’abbigliamento la sua presenza è diventata sempre più forte e tutti conosciamo la raffinatezza e la freschezza degli abiti da uomo confezionati con lino irlandese.
Ho già accennato nelle puntate precedenti al marchio di protezione Masters of Linen. Aggiungo ora che esiste l’importantissimo Centro Lino Italiano, un consorzio promozionale a cui aderiscono oggi circa 45 aziende (filature, tessiture biancheria / arredamento e tessiture abbigliamento, aziende di nobilitazione tessile, centri di ricerca, etc.), indubbiamente tra le più rappresentative del settore tessile liniero italiano ed europeo.

Il Centro, istituito allo scopo di gestire azioni promozionali e di tutela della qualità dei tessuti di puro e misto lino, è depositario per l'Italia del marchio di qualità Masters of Linen.
Questo marchio internazionale, identifica i tessuti e gli articoli di abbigliamento, biancheria e arredamento, prodotti a partire dal lino coltivato e lavorato in Europa Occidentale
Le etichette col marchio vengono concesse ai produttori del Centro Lino Italiano dopo severi controlli a garanzia sia della qualità che della composizione del tessuto.
Una garanzia contro i prodotti di imitazione a tutela del consumatore.

Le operazioni condotte sono molteplici: esse variano dalle azioni condotte con risorse interne, come (comunicati stampa, publiredazionali, promozioni presso i punti vendita, etc.), a quelle realizzate con fondi dell'U.E. (partecipazione a fiere internazionali, realizzazione di concorsi, diffusione delle tendenze moda, campagne stampa, seminari, corsi presso le scuole, realizzazione di brochures e pubblicazioni, attività di relazioni pubbliche).
L’argomento fin qui trattato, il lino e la sua storia, è talmente vasto, ricco e variegato, oltre che infinitamente espandibile, con tanti collegamenti di carattere storico, economico e regionalistico, che può in effetti dirsi una pagina importante della storia del nostro paese, della sua industria, della sua abilità artigianale e manifatturiera, della sua operosità e instancabile ricerca della migliore tecnologia, supportata da una millenaria esperienza nel settore , e dunque non mi sento di dire che può finire qui.
Questo è stato solo uno spunto di riflessione e, perché no, un buon inizio di ricerca, che senz’altro potrà essere arricchita con molte altre informazioni.
Tra l’altro sono in contatto con l’Irlanda per reperire dati e notizie più precise sulle tecniche di tessitura di quel paese, sui telai speciali, ( vedi taccuino 939) sulla fibra pregiata con la quale desideriamo vestirci e arredare le nostre case. Non appena avrò ricevuto ciò che attendo, la storia continuerà.

Nel frattempo aggiungo alcuni taccuini e dati bibliografici interessanti, sia per il collezionista e l’appassionato della materia sia per i principianti e i curiosi.
Anche se l’estate sta volgendo al termine, le nostre case e il nostro corredo personale hanno continuamente bisogno di freschezza.

Mi congedo salutando come sempre cavallerescamente tutti i frequentatori e i lettori del Nostro Castello.

Dante De Paz

Bibliografia amatoriale:

Elizabeth Scofield , 20th century Linen & Lace, Schiffer Books; ( Vedi taccuino 936);
Marsha L. Manchester, Antique Linens, Schiffer Books; ( vedi taccuino 937);
Frances Johnson, Collecting Household Linens, Schiffer Books; ( vedi taccuino 938).





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-08-2004
Cod. di rif: 1531
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: DIZIONARIETTO: bisso,bisso di lino, mussola, calicò
Commenti:
DIZIONARIETTO

Bisso.
sostanza secreta dalle ghiandole presenti nel piede di alcuni Molluschi che in acqua si coagula. Serve a fissare l'animale a un sostegno. Il bisso di Pinna nobilis può essere filato e tessuto in una particolare stoffa morbida di colore bruno dorato.
Bisso di lino.
Tessuto di qualità finissima , quasi trasparente: ha una mano crespa e vivace. Molto usato per preziosi corredi, centri, coprimacchia, decorazioni da arredo in genere.
Linone.
Sostantivo maschile , del sec. XVI; adattato dal francese linon.
Tessuto simile alla batista, leggero e delicato, adatto soprattutto per biancheria personale. Una volta fabbricato soltanto con fibre di lino, viene oggi prodotto anche con filati misti (lino e cotone).
Mussola.
Detta anche mussolina, sostantivo femminile [sec. XVII; dal nome di Mosul, originaria località di produzione]. Tessuto molto leggero e fine di cotone, lana o seta, adatto alla confezione di camicette e abiti femminili e impiegato anche come stoffa di supporto nei lavori di ricamo. ( vedi anche dizionarietto su lavagna 1485 e taccuino n. 885).
Calicò.
Sostantivo maschile, adattamento del francese calicot, derivato dal nome della città di Calicut. Originariamente veniva così denominato un tessuto di cotone, stampato a vivaci colori, proveniente dall'India; il termine passò poi in Europa a designare un tipo di tessuto corrente di cotone in armatura di tela.

Saluti cavallereschi
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 18-08-2004
Cod. di rif: 1532
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.

Cappotto.
Sostantivo maschile. [sec. XVI; da cappa]. Indumento invernale, di varia foggia, in genere confezionato in tessuti di lana, caldi e pesanti. La sua foggia, sia nell'abbigliamento maschile sia in quello femminile, segue i dettami della moda, mantenendo inalterata la caratteristica di essere completamente aperto sul davanti. È provvisto di collo, di tasche e talvolta di cintura. Può essere a un petto (con una sola fila di bottoni) o a due.
Cappottino.
Sostantivo maschile. [dim. di cappotto]. Nella terminologia marinara designa il mantello lungo, a doppio petto, munito di galloni e bottoni dorati, usato nelle cerimonie. Il nome indica anche un soprabito senza troppe pretese, nonché il cappotto dei bambini.
Redingote.

sf. francese (dall'inglese riding-coat, giacca da equitazione). Soprabito, a forma di giacca stretta in vita e lunga fino al ginocchio, derivato dal giustacuore. Comparsa in Inghilterra verso la metà del sec. XVIII come indumento per cavalcare (con falde posteriori aperte), si diffuse poi in Francia e in altri Paesi europei, anche nell'abbigliamento femminile, e fu usata secondo le epoche come abito o soprabito. Elemento fondamentale nel guardaroba ottocentesco, anche come capo elegante da cerimonia, la redingote è rimasta in uso nell'abbigliamento moderno come soprabito dalla linea aderente e dalla vita accentuata.
(vedi taccuino 950,951,952)
Soprabito.

Sostantivo maschile. [sec. XIX; da sopra-+abito]. Un tempo indumento maschile lungo fin sotto le ginocchia, con abbottonatura anteriore e collo a risvolti, adottato per passeggio e cerimonia. Oggi definisce un cappotto leggero per entrambi i sessi, adatto alla mezza stagione.
Giustacuore o Giustacòre. ( detto anche marsina)
Sostantivo maschile, [sec. XVII; dal francese justaucorps, da juste, aderente, au corps, al corpo (sostituito in italiano con cuore)]. Indumento maschile diffusosi verso il 1670 in Francia. Era un tipo di sopraveste o di giacca lunga fino alle ginocchia, di stoffa pesante, con maniche, grandi tasche, e chiusa da molti bottoni. Con qualche modifica il giustacuore restò in uso fino alla fine del sec. XVIII. ( vedi taccuini 953, 954,955).
Drapperia.

Sostantivo femminile. Assortimento di drappi.
Fabbrica, magazzino di drappi e tessuti in genere.
( vedi taccuini 956, 957).

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-08-2004
Cod. di rif: 1535
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Esquire's Encyclopedia
Commenti:
Egregio Signor Liberati,

rileggo con interesse la Sua lavagna n.543 del 19/9/2003 e Le chiedo cortesemente se Lei è in possesso del testo citato e riportato.
In attesa di una Sua gentile risposta Le invio
Cavallereschi Saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-08-2004
Cod. di rif: 1536
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.


Taffettà
Meno comune taffetà, sostantivo maschile [sec. XVI; dal persiano tāftè, propriamente tessuto, tramite il francese taffetas].
Leggero tessuto con elevata riduzione e armatura tela, in origine realizzato con fibre di seta poi con filati artificiali, usato per abbigliamento estivo, foderame. ( taffettà bemberg).
Acetato.

Filo continuo derivato dalla cellulosa.
Caratteristiche: mano morbida e delicata,aspetto serico, colori vivi e brillanti, buone doti in mischia con altre fibre, utilizzato nelle fodere, nella maglieria esterna estiva, nelle cravatte, nastri, rasi, passamanerie e broccati per l'arredamento.
Sembra che l'acetato sia stato impiegato per la prima volta nel 1921.
Da allora, questa fibra è rimasta a lungo confinata nel settore Fodera. Il suo impiego è molto cresciuto: l'8,3% della produzione totale di fili continui.
I motivi sono da ricercare in un sempre maggiore interesse per le fibre naturali man made. Nella tendenza verso tessuti serici e brillanti. Nell'orientamento verso capi non solo belli, ma confortevoli.
Ecco di seguito tutte caratteristiche che l'acetato racchiude in ogni singolo filo:
- è una fibra creata dall’uomo (artificiale, non sintetica).
- È una fibra di origine naturale;
-è completamente biodegradabile;
-è anallergico, traspirante e antistatico;
-è utilizzato in quasi tutti i tessuti per l’abbigliamento, dal prêt-à-porter all'alta moda;
-è utilizzabile in mischia con qualsiasi altro filato, naturale e sintetico;
-è morbido e confortevole, con eccellente mano e drappeggio;
cellulosica filata come filo continuo o fiocco (denominata anche rayon). Caratteristiche: mano dolce e
--- è brillante nei colori sia nella versione lucida che opaca.

VISCOSA.

Fibra cellulosica filata come filo continuo o fiocco( denominata anche rayon).
Caratteristiche: mano dolce e aspetto serico, confort tipico delle fibre vegetali, buona resistenza all'usura (allo stato asciutto), elevata capacità igroscopica. Impieghi: diffusa in numerosissimi impieghi anche in mischia con altre fibre naturali o sintetiche, nei campi dell’abbigliamento e dell’arredamento. Usi tecnici: pneumatici.


Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 24-08-2004
Cod. di rif: 1543
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico intenazionale - Autunno-Inverno
Commenti:
Fermo restando ai principi già detti con il gesso Nr.1539 del 20/8/04 trattando il classico internazionale autunno-inverno non verranno ribaditi i concetti di classico in quanto già ampiamente sviluppati.

Per non ripetermi, in questa occasione inizierò la trattazione del classico internazionale partendo dal capo finito in quanto la trattazione dei tessuti, anche se in maniera sintetica, è già stata sviluppata nella 5a puntata di “Vestirsi uomo” della rivista Monsieur, luglio 2003, a titolo “I veri uomini hanno stoffa” (vedi Florilegio).
I tessuti saranno trattati in maniera più ampia e tecnicamente dettagliata nello sviluppo della porta dell’Abbigliamento.

Per non insistere nell’anglofilia inizierò con un indumento di origine Tirolese-Austriaca entrato nella storia internazionale per la sua praticità ed eleganza.

E’ il loden.

A mio avviso un solo modello ha creato internazionalità, cioè il paletot con maniche a giro, montatura a camicia della manica, apertura sotto le ascelle, ampia fonda nel dietro, internamente sfoderato, tasche oblique e apertura passante nelle cuciture dei fianchi per accedere alle tasche della giacca o del pantalone senza bisogno di sbottonare il paletot (vedi Taccuino Nr.973).

Il colore ideale è una tonalità di verde particolare, quello che viene definito “verde loden”; gli altri colori, spesso adottati, grigio, blu, cammello, marrone, non hanno avuto presenza nel classico internazionale.

Il Loden [il nome potrebbe derivare dall’antica parola tedesca “lodo” o “loda” che significa pelo] è un tessuto che appartiene alla storia del Tirolo. Tessuto alpino, resistente, impermeabile e caldo. Una volta fino al XVII secolo era il tessuto dei contadini; un abbigliamento che resisteva ad ogni mutamento del tempo. La sua consistenza era grigiastra ed infeltrita in poche parole grezza. Furono l’imperatore Franz Josef e Ludwig II di Baviera ad elevare questo tessuto nel rango di moda. Così in questo periodo si iniziò ad elaborare la stoffa aggiungendo alla lana di pecora tirolese e quella di merino, alpaca e anche il cachemire. Il Loden si trasformava dal panno caldo, duraturo ma grossolano e poco elegante, in una stoffa più raffinata: morbida, leggera con l’inconfondibile lucentezza satinata, mantenendo però tutte le sue qualità di calore, resistenza ed impermeabilità.

Oggi solo mantenendo le tradizioni si ottiene una qualità elevata ed un nobile aspetto. Perciò fino ad oggi si è mantenuta la stessa lavorazione molto laboriosa che comporta tante fasi fino ad ottenere il vero Loden. Ricordiamo le più importanti: dalla tosatura di pecore selezionate viene utilizzata solamente la lana più delicata. Quindi, dopo la filatura e tessitura la stoffa così ottenuta, ancora molto grezza, viene follata, compressa e battuta da macchinari fino ad ottenere un panno compatto e resistente. È questa la lavorazione che rende il Loden straordinariamente impermeabile e protettivo. Successivamente viene tinto, garzato, vaporizzato, rasato e pettinato. Infine, per donare al tessuto la sua inconfondibile lucentezza viene sottoposto a degli speciali essiccatoi. Così si ottiene un Loden resistente nel tempo e semplicissimo da trattare: una passata di spazzola oppure un trattamento a vapore, non serve altro!

Non vado oltre in quanto, come ho detto, intendo fermarmi, diversamente si entrerebbe nello specifico stile tirolese che non ha creato internazionalità.

Ho trovato interessante la definizione “Loden” su “Dizionario della moda 2004” a cura di Luigi Vergani, Baldini e Castaldi Editori, pagina 709 che riporto integralmente:
«LODEN: Cappotto mantello in origine tirolese, confezionato, come scrive Anna Canonica Sawina, nel suo tenico Dizionario della Moda (Sugarco 1994), in “tessuto di lana cardata, grosso e pesante, fortemente follato e garzato, dal caratteristico dritto a pelo inclinato, impermeabilizzato tramite trattamenti speciali”. La sua morte, come si direbbe in linguaggio gastronomico, è il color verde bottiglia, nella foggia classica a maniche aperte nell’attaccatura, collo senza rever, tasca obliqua con patella, profonda piega sulla schiena. Ma ne esistono 405 tipi. Lo portarono (a mantella) l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e il Duca di Windsor. Lo hanno portato e lo portano eserciti di ragazzi e uomini milanesi, non tutti nostalgici di Maria Teresa d’Austria, non tutti mitteleuropei, ma tutti consapevoli della sua sobria, quasi mimetica eleganza e della sua comodità. Loden pare venire dall’antica parola tedesca lodo o loda che significa pelo».


Concludo così questa lavagna, parlerò nella prossima puntata del famoso Duffle Coat o Montgomery.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-08-2004
Cod. di rif: 1539
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico internazionale - Autunno-Inverno
Commenti:
Il mio primo invito, laboriosi e attenti Cavalieri, è quello di rileggere i gessi preliminari del classico internazionale prima della trattazione di tutto ciò che riguarda l’Autunno-Inverno di questa interessante e complicata materia, i gessi suindicati sono i seguenti:
Nr.1102–1165–1198–1245–1270–1284–1292–1297-1370, che naturalmente hanno gli speculari taccuini.

Ora per poter avere un lavoro più sistematico, anche per una organizzazione futura, porterò sul Dizionarietto le seguenti voci:

DIZIONARIETTO

TRENCH COAT: Un cappotto militare impermeabile ideato dall’industria inglese su richiesta dell’Ufficio della guerra britannico durante la Prima Guerra mondiale. I cappotti inzuppati di pioggia e fango erano troppo pesanti e scomodi e gli impermeabili comuni non erano adeguati. Testati con le canne per annaffiare, il materiale era a doppio strato lungo la schiena e il colletto alto era abbottonato stretto con speciali linguette. Ganci di metallo e anelli a forma di D consentivano di appendervi l’equipaggiamento e si creò così una tradizione. Da allora Hollywood ha aggiunto glamour grazie personaggi del calibro di Dick Powell, Alan Ladd, Robert Taylor e Humphrey Bogart, che indossavano l’indumento che è diventato l’impermeabile più popolare nel mondo (vedi Taccuino Nr.557)

RAGLAN: Un tipo di manica che corre intorno alla linea del colletto a livello del collo. Ideato da Lord Raglan, comandante delle forze britanniche durante la guerra di Crimea. Per offrire una maggior protezione contro il freddo pungente, egli suggerì alle truppe di tagliare buchi nelle coperte per infilarci le mani e di cucire le pieghe superflue in cilindri per le braccia. Questa linea delle spalle liscia fu in seguito adottata nell’abbigliamento civile (vedi Taccuino Nr.558).

BUTTON-DOWN COLLAR: Originariamente ideato in Inghilterra come camicia sportiva (il colletto con bottoni non svolazzava durante i movimenti). Nel 1900, mentre assisteva a una partita di polo in Inghilterra, John Brooks di New York ne rimase incuriosito e ne spedì un esempio negli Stati Uniti. Da allora è diventato uno dei simboli di questa famosa casa.

TATTERSALL CHECK: Tessuto a fondo bianco con riquadri regolari rossi e neri, sebbene vi siano moderne variazioni di colore. Il nome Tattersall deriva originariamente da un uomo che viveva a Tatt’s Hall, nel Lincolnshire, dai soprabiti colorati indossati dai membri di un club di equitazione al mercato di cavalli di Tattersall.

ARGYLL: Un modello di tartan associato con il duca scozzese di Argyll. Popolare come fantasia per calzini sportivi o slockings (vedi Taccuino Nr.565).

SEA ISLAND COTTON: Il cotone migliore, prodotto nelle colonie britanniche dei Caraibi, ha un fiocco di molto più lungo che gli altri cotoni e offre la maglieria di qualità più pregiata (vedi Taccuino Nr.578).

KAKI: Colore adottato dall’esercito britannico per le uniformi da campo. Da una parola indiana che significa “polvere colorata”, tessuti con questa tonalità furono dapprima prodotti come camuffamento per i reggimenti dell’esercito indiano da un’azienda tessile di Manchester negli anni successivi al 1870. Una teoria precedente, poi abbandonata, raccomandava soprabiti scarlatti per identificare facilmente i soldati britannici così che l’artiglieria non sparasse su di loro. Il kaki è diventato recentemente popolare per gli informali “chinos” (vedi Taccuino Nr.580).

PAISLEY: Città scozzese famosa per i suoi scialli di cashmere, con il disegno a piumette, originario della Persia. In epoca vittoriana, le manifatture di Paisley migliorarono a tal punto i prodotti che tutto il mondo ne riconobbe la qualità, attribuendo loro il nome della città (vedi Taccuino Nr.584).

LOAFER - Loafer vuol dire pigro, scansafatiche: chiaro riferimento all'uso della scarpa per il tempo libero. Il mocassino, o Loafer, è una scarpa bassa nella quale il piede alloggia comodamente. Tale definizione, generica, comprende sia il mocassino classico sia i diversi tipi di Loafer cuciti a guardolo. Paragonato alla scarpa stringata, il mocassino è una calzatura piuttosto informale. La versione americana, il Pennyloafer o College, risale agli anni trenta. E al suo esordio gli amanti della tradizionale scarpa stringata pensarono che si trattasse di una scarpa da casa indossata erroneamente per strada. Ma questa calzatura morbida e leggera divenne ben presto assai popolare, perché non va allacciata e, almeno nella sua versione originale non foderata, è più fresca della scarpa tradizionale. Alla forma originaria del mocassino si aggiunse anche la variante cucita a guardolo. E’ oggi universalmente accettata come calzatura classica (vedi Taccuino Nr.592).

TASSELLOAFER – Il mocassino degli indiani d’America è il progenitore di questo modello in cui la mascherina, i gambetti e la linguetta sono realizzati con un unico pezzo di pelle senza lacci o fibbie: tutto ciò che si deve fare è semplicemente infilare il piede. Non a caso il suo nome in inglese è slipper, termine che deriva dal verbo to slip. Tuttavia, mentre la suola del mocassino viene fabbricata con un tipo di pelle molto sottile e flessibile e senza il tacco, le altre parti della scarpa sono simili ai modelli classici. Un caratteristico elemento decorativo del mocassino sono le cuciture della mascherina realizzate a mano e le nappine fissate sulla linguetta (vedi Taccuino Nr.593).

BROGUE - Originariamente era un rivestimento per il piede di cuoio grezzo, indossato dai contadini scozzesi e irlandesi. (Dal gaelico “brog”, scarpa). Ora nella versione moderna per un abbigliamento da campagna, con giunture e punte punzonate che creano disegni e bordi tassellati (vedi Taccuino Nr.596).

CHUKKA BOOT: Stivale casual e sportivo che arriva appena sopra la caviglia, a punta liscia, con due lacci alti. Deriva dal polo (il chukka è un tempo del gioco), lo sport portato in Occidente dall’India grazie al British Raj. È chiamato anche “Desert Boot”, per essere stato adottato, nella forma in pelle scamosciata, dalle forze britanniche nella campagna del deserto occidentale durante la Seconda Guerra mondiale (vedi Taccuino Nr.599).

SAHARIANA: Da Sahara, il deserto africano. E’ un’ampia giacca monopetto, con quattro tasconi e cintura, indossata tradizionalmente durante le battute di caccia nella savana africana. Realizzata in velluto a coste idrorepellente, in cotone pesante o lino, è spesso rifinita in pelle scamosciata impermeabilizzata. Per scegliere il tipo e la pesantezza del suo tessuto bisogna valutare l’uso che se ne deve fare, e in ogni caso tenere conto delle forti escursioni termiche presenti nelle regioni in cui viene adottata. In angloamericano esistono i termini safari jacket o bush jacket. In modello più leggero, e con maniche corte, è detta bush shirt (vedi Taccuini Nr.559-701).

MELTON: In tessuto fitto, un soprabito pesante originario della città di Melton Mowbray, nell’Inghilterra occidentale (vedi Taccuini Nr.601-602).

PANAMA: Cappello introdotto da Edoardo VII come un’alternativa al Boater, indossato durante le vacanze estive. In realtà la materia grezza non proviene da Panama ma dall’Ecuador e dalle lunghe foglie di Jipijapa (Jipijapa è il vecchio nome spagnolo dell’Ecuador). Ma Panama impresse il suo marchio sui cappelli e acquisì notorietà.

BLAZER – Voce inglese, probabilmente dalla nave da guerra britannica «H.M.S.Blazer», in servizio nella prima metà dell’Ottocento; una diversa interpretazione etimologica vuol far discendere questo termine dal verbo inglese to blaze, «risplendere, sfavillare». Giacca sportiva blu, mono o doppio petto, in stile marina. Dalla fine dell’Ottocento, in vari colori e fogge, ha fatto parte della tenuta sportiva degli studenti nei college inglesi, per il tennis o il cricket. Negli anni trenta fu adottata come «divisa» marinara nelle località estive americane alla moda. Per l’ormai classico blazer blu la stoffa normalmente usata è una saglia (in inglese twill); abbastanza usato anche il drap di cachemire.


Con questa premessa concludo questo gesso e alla prossima puntata inizieremo con i tessuti.

Cavallereschi saluti.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 21-08-2004
Cod. di rif: 1541
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
DIZIONARIETTO.


Repp

E’ l’abbreviazione di representative Si usa per indicare un tessuto di seta o lana, oppure di seta e lana, pettinato, compatto con rovescio a coste diagonali, in rilievo ben visibile,( vedi taccuini 959,960,961,962,963,964,967,968).

Canvas.

Tessuto molto resistente di lino o altri filati, adatto per vele, tende, tele per pittura, soprattutto ad olio, e anche, nell’abbigliamento, per borse, scarpe, sacche resistenti.




Broccato:


Oggi indica un tessuto a disegno irregolare, in rilievo sopra il diritto. In passato designava un tessuto di seta arricchito da oro e argento. L’effetto è ottenuto con elementi supplementari di ordito o di trama.
L’armatura tipica per questo materiale è il raso, sul quale possono essere sovrapposti disegni elaborati mediante una meccanica jacquard. Presenta un aspetto a rilievo, solitamente su uno sfondo rasato , ma anche su un fondo saglia o cannellato. E’ usato per abiti da sera , sovraccoperte o tappezzerie. ( vedi taccuino 965,966)
BROCCATELLO - Un broccato leggero, ma più simile al damasco.
Bengal stripes.

Un tipo di tessuto di cotone a strisce colorate.


Damasco.

Da Damasco, tessuto di seta, lana, lino, cotone, o fibre artificiali, con disegno creato all’interno della tessitura; lo sfondo può essere tipo twill e il disegno in contrasto tipo satin, cioè liscio. I veri tessuti di Damasco sono reversibili, e si differenziano per questo dai broccati. Splendidi disegni, sete e tinture erano usate dai tessitori di Damasco, con l’aggiunta a volte di un filo d’oro o d ‘argento.

Teflon.

Nome commerciale del Politetrafluoroetilene. E’ utilizzato per creare pentole da cucina antiaderenti e qualsiasi oggetto o articolo che necessiti di essere scivoloso o che non attacchi. E’ inoltre usato per trattare tappeti e tessuti in modo tale da renderli resistenti alle macchie. E’ anche molto utile nelle applicazioni medicali. Dato che è difficilmente rigettabile da parte del corpo umano, è anche usato nella costruzione di parti artificiali del corpo.
Respinge al massimo l’acqua e le macchie mantenendo la respirabilità del tessuto .
Resiste al lavaggio in acqua e a secco. E’ dermatologicamente sperimentato.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 25-08-2004
Cod. di rif: 1544
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.


LODEN:
tessuto ottenuto con filati cardati, piuttosto peloso e compatto, a pelo direzionato, generalmente di lana e mohair con proprietà impermeabili. In genere è garzato e fortemente follato sul rovescio.

FOLLATURA :
- Operazione di rifinitura che provoca l' infeltrimento di tessuti e maglie di lana al fine di renderli più spessi, compatti e resistenti.


TWEED - Nome di un fiume degli Scottish Borders ( Scozia del Sud) nelle cui vallate, ricche di grandi allevamenti di pecore, venivano filati e tessuti a mano le prime stoffe di lana cardata dal caratteristico aspetto ruvido, grossolano a puntini multicolori.
Tessuto usato per capi spalla da uomo e da donna fin dalla fine dell'Ottocento, viene oggi fabbricato a macchina nei diversi tipi, una volta tessuti a mano.


Duffle o Duffel.


1. Duffle: borsa cilindrica larga di tessuto pesante per portare effetti personali; sacco.
2. duffle : ruvido e pesante tessuto di lana.
manufatto tessuto o materiale tessile tessuto o lavorato a mano , sia a maglia che all’uncinetto , di fibra sia naturale che sintetica. Nell’antica Mesopotamia era utilizzato persino per gli abiti.


Cardatura.

Operazione consistente nel liberare dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili al fine di permettere le successive operazioni di filatura.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 26-08-2004
Cod. di rif: 1545
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.
Sanforizzato.
Sottoposto a processo di sanforizzazione.
Sanforizzazione.
Trattamento per rendere irrestringibili i tessuti di cotone. Dal verbo sanforizzare, a sua volta derivato dall'angloamericano to sanforize, dal nome dello statunitense L. C. Sanford, inventore del processo. Procedimento oggi utilizzato dai migliori fabbricanti di camicie.
Coutil.
Tessuto di cotone resistente spigato o ad armatura saglia con filati di titolo fine, a torsione rovescia, ruvido al tatto. Usato una volta per abiti da uomo e relativi panciotti, attualmente serve per confezionare articoli di abbigliamento estivi femminili come gonne, pantaloni, camiciotti.
Corduroy.
Velluto a coste larghe, con pelo alto e lucido: è allestito con filati extra in trama o in ordito. Durante il tessimento , i fili di trama sormontati vengono tagliati tramite una speciale taglierina , poi i tronconi dalle due parti sono spazzolati in modo da dar luogo alle tipiche file di pelo di questo velluto.
Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-08-2004
Cod. di rif: 1549
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.


Poliestere :
Polimero ottenuto usualmente per policondensazione tra acidi dibasici e alcoli bivalenti. I poliesteri possono essere di tipo lineare saturo o di tipo insaturo (contenente doppi legami).
I primi sono usati nella produzione di pellicole, per imballaggio, di bottiglie soffiate (in polietilentereftalato) e in applicazioni ingegneristiche. I secondi, che grazie alla presenza del doppio legame possono reticolare formando prodotti termoindurenti, se usati in combinazione con fibre di vetro , sono utilizzati per coperture, carrozzerie e scafi.
E' una fibra formata da macromolecole lineari costituite prevalentemente da polietilentereftalato. Ha proprietà lava-indossa (i manufatti si lavano facilmente, asciugano rapidamente, si indossano anche senza stirare: sono ingualcibili) ed è adatta a tutte le tecnologie di trasformazione, sia in puro che in mista con fibre naturali o man-made (cotone, lana, lino, viscosa...).
Cordura.(Du Pont)
Sostantivo femminile. Nome commerciale di un tessuto realizzato con fibre poliammidiche, molto compatto, resistentissimo all'usura e agli strappi,(vedi caratteristiche aggiuntive) e pressoché impermeabile. Viene usato soprattutto per confezionare borse, valigie e tomaie di calzature sportive.
E’ un importantissimo Marchio registrato Du Pont; (vedi taccuino n. 980) indica fibre di tessuto in nylon ad altissima tenacità, le cui caratteristiche aggiuntive sono:
-aspetto naturale;
-duratura;
-resistenza all’usura;
-resistenza all’umidità;

Coolmax.
Questo tessuto, ( registrato anch’esso Du Pont, vedi taccuino) ad alta tecnologia per abbigliamento sportivo, è realizzato con una fibra speciale, e consente di restare freschi ed asciutti durante l’attività fisica. In particolare permette la rapida eliminazione dell’umidità dalla pelle e aumenta la traspirabilità per un migliore effetto rinfrescante. Presenta, inoltre, un minor assorbimento di liquido, per cui l’indumento rimane asciutto e non aderisce ala pelle, conferisce sofficità per un massimo comfort e resiste alla muffa e ai cattivi odori.

Cavallereschi saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 28-08-2004
Cod. di rif: 1552
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:


Dizionarietto.

Alpaca.



1) Camelide (Lama pacos) simile al guanaco che oggi, al pari del lama, vive solo allo stato domestico sulla Cordigliera delle Ande in Perù e in Bolivia. È allevato specialmente per il pelo lanoso usato per tessuti pregiati.

2) Stoffa lucida di lana mista a cotone, tessuta a imitazione dell'autentico alpaca.

Le qualità inferiori del pelo di questo camelide, (vedi taccuini 981,982) nativo dell’altopiano andino venivano inizialmente usate per allestire foderami caldi e morbidi , mentre le qualità migliori erano destinate alla confezione di tessuti per l’abbigliamento di lusso ; attualmente i tessuti venduti sotto la designazione di alpaca assomigliano al prodotto genuino soltanto per via del finissaggio. Pertanto tale designazione è inesatta : il tessuto di alpaca originale è leggero e soffice.

Cordellino.

In Inglese: whipcord. Tessuto con armatura saglia di peso medio e compatto, caratterizzato da una diagonale più inclinata (63°) che nel caso della gabardine. Può essere fabbricato con cotone pettinato e mercerizzato , ma più spesso è a base di filati lanieri di buona qualità o addirittura pettinati. Più raramente è allestito con rayon , nailon o altre fibre sintetiche . I filati devono essere più voluminosi e grossi di quelli usati nel caso o della tricotina o della gabardine, dato il maggior peso del tessuto.
E’ un materiale molto duraturo usato per uniformi , abiti maschili ed abbigliamento sportivo in genere. ( vedi taccuini 983,984,985,986).





Mohair.

Lana pregiata, sottile, pelosa e lucida, ricavata dalle capre d'Angora. (vedi taccuino 994).
La fibra, lunga 100-150 mm, con diametro che varia da 10 a 90 m, è caratterizzata da lucentezza sericea ed elevata morbidezza.








Lambswool.


1) Lana ottenuta dalla prima tosatura di un agnello. Le fibre sono ondulate e poco resistenti ma in compenso sono molto morbide e quindi pregiate. (vedi taccuini 987,988,989,990,991).
2) Tessuto ricavato dalle lane pregiate degli agnelli di provenienza inglese, molto morbide e leggermente pelose.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-08-2004
Cod. di rif: 1553
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Geelong Lambswool
Commenti:


Geelong Lambswool

Geelong è una città (148.000 ab.) dell'Australia, nello Stato di Victoria, 60 km a SW di Melbourne, sulla baia di Corio, articolazione della baia di Port Phillip. Attivo porto commerciale, con un traffico annuo di 4.650.000 t di merci (petrolio, cereali, lana, carbone, zolfo, ghisa, veicoli), è sede di industrie tessili (lana), meccaniche, petrolchimiche, chimiche (fertilizzanti), alimentari, del cemento, del vetro e del legno.
Nella città si stampò nel 1840 il primo quotidiano australiano (Geelong Advertiser). Fondata nel 1838, G. si chiamò dapprima Jillong, poi Coraiya e anche Corio.

Ma geelong è per noi sinonimo di lana extra fine, la lana di agnello(lambswool, vedi taccuino 998) più fine del mondo.
Il lambswool Geelong proviene dall’Australia, dove i contadini là stanziatisi oltre 150 anni fa producevano continuamente la migliore qualità di lana venduta sui mercati internazionali.

E’ precisamente nel distretto di Victoria che nel corso degli anni si sono sviluppati particolari modelli di allevamento, che insieme a un connubio ideale con il clima particolarmente adatto hanno creato l’ormai famosa lana Merino.
I piccoli merino producono la fibra dal micron più piccolo al mondo, dal momento che la prima tosatura proviene da agnellini che non hanno ancora compiuto i 6 mesi di vita.
La lana lambswool Geelong è riconoscibile per il suo colore candido come la neve;è priva di riccioli, persino nella lunghezza ed è sofficissima ed elastica al tatto . Queste sono le qualità e le caratteristiche che fanno del Geelong la lana più desiderabile e attraente.
Anche se ogni fattoria è in grado di produrre tonnellate di materiale grezzo all’anno, solamente pochissime balle diventeranno puro Geelong.
Ecco perché questo lambswool è un prodotto così esclusivo.
Una volta che ha raggiunto l’Inghilterra la materia grezza viene trattata con grandissima cura. Essa viene pulita, purificata e filata prima di essere trasformata in preziosi capi di abbigliamento . Una volta che avrete indossato Geelong, qualsiasi altra lana vi sembrerà inferiore.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-08-2004
Cod. di rif: 1557
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:




Dizionarietto




Bedford.( corda).


Tessuto a galette allestito con filati ritorti sul diritto e filati pi¨´ grossi ( unici o ritorti ) sul rovescio a formare il fondo. Questi filati grossi sono afferrati periodicamente nell¡¯armatura del tessuto. Talvolta i filati unici sono usati nelle versioni pi¨´ economiche: l¡¯effetto della corda intrecciata viene ottenuto nel tessimento. Le galette corrono nella direzione dell¡¯ordito. Pu¨° essere garzato su retro , candeggiato, tinto o stampato; sul diritto pu¨° essere finito ad imitazione pelle di daino.
(vedi taccuini 1000,1001).


Cachi.

Saglia (vedi sotto alla voce omonima) d¡¯ordito color bronzo o ruggine chiara , pi¨´ morbide e fine del tipo drill. Il nome deriva da una parola indiana che significa terra. Viene allestita con cotone, lino, lana o fibre chimiche e loro miste.


E¡¯ anche aggettivo , kaki [sec. XIX; dall'inglese khaki, derivato dall'indostano kh¨¡k¨©, colore della polvere]. Caratteristico color sabbia, che in origine definiva il colore dell'uniforme portata per la prima volta da reggimenti indiani nel 1857 all'assedio di Delhi.
Divenne poi il colore per eccellenza dei completi coloniali, sia militari sia sportivi: pantaloni cachi.(vedi taccuini 1002,1003).


Saglia.

Sostantivo femminile [sec. XVIII; variante settentrionale di saia].
Tessuto di lana secca usato soprattutto nell'abbigliamento maschile.
In seta o cotone serve per foderami. E¡¯ un tessuto di peso medio in lana pettinata o misto lana con diagonale a 45¡ã( 2 fili gi¨´ e 2 su) ,finito con un finissaggio lucido: le diagonali restano visibili sia sul diritto che sul rovescio.
La qualit¨¤ varia considerevolmente, comunque il materiale drappeggia bene, mantiene a lungo la forma e le pieghe impartitegli, ma forma facilmente il¡± lucido¡± nelle zone di attrito ripetuto. (vedi taccuino 1004).

Saglia francese.

Tessuto di qualit¨¤ fine a tre licci con mano elastica e scattante: l¡¯ordito po¡¯ essere unico o ritorto, mentre la trama ¨¨ in filato unico pettinato di lana. E¡¯ usato per abbigliamento femminile.


Cavallereschi Saluti
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 01-09-2004
Cod. di rif: 1563
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.




British Warm overcoat.

Il British Warm era in origine un cappotto militare, come indicano chiaramente le mostrine. Realizzato in spessa lana melton, ( vedi voce) è davvero caldo come suggerisce il nome stesso. Nella sua versione lunga ricorda il trench, suo parente stretto, anch'esso di origini militari e molto diffuso nell'ambito civile. Gli intenditori lo acquistano nei migliori negozi specializzati, oppure se lo fanno cucire dal proprio sarto.



Chesterfield.

Il Chesterfield divenne di moda nel corso dell'Ottocento: Si dice che il primo ad apprezzarlo fu un membro della ramificata famiglia dei conti di Chesterfield, anche se la tradizione non riferisce se l'aristocratico l'abbia inventato o se l'abbia soltanto commissionato per primo al proprio sarto. Il cappotto Chesterfield è disponibile monopetto o doppiopetto , anche se il modello originale è quello monopetto con l'abbottonatura nascosta, realizzato in filato di lana a spina di pesce grigio.( vedi taccuino 1009).




Covert.


Stretto e corto: così è il Covert. Il nome deriva dal tessuto, un twill leggero che può essere indossato quasi tutto l'anno. Inoltre è rifinito sui polsini e sull'orlo da quattro impunture parallele, dette railroading. Il colore classico è un marrone chiaro leggermente mèlange cui si accompagna spesso un collo di velluto marrone scuro. In origine si trattava di un cappotto da equitazione o da caccia e a questa funzione rimanda la grande tasca interna cucita all'altezza della coscia sinistra, che serviva a contenere le munizioni.
(vedi taccuini 1006,1007,1008).



Crombie

Il Combrie blu scuro è il classico cappotto inglese da città. Viene realizzato in tessuto pesante ed è particolarmente adatto alle fredde giornate autunnali ed invernali. Quasi ogni casa di confenzioni classica ne produce un modello più o meno elaborato per la propria collezione di base.



Melton.


Tessuto di lana per cappotti ben follato e feltrato , garzato con finitura piuttosto dura e lucida: generalmente è tinto in colori uniti. Le varianti melton più grossolane assomigliano al Makcinac , ma sono allestite con lane più fini e morbide. Talvolta sono usate anche miste con lana.

Cavallereschi Saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 03-09-2004
Cod. di rif: 1572
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: DIZIONARIETTO: bisso,bisso di lino, mussola, calicò
Commenti:



Dizionarietto.




Flanella.



Tessuto di lana o di cotone assai morbido per abbigliamento, rifinito con leggera follatura. L’armatura saglia viene spesso nascosta dal pelo della garzatura.
Grazie alla sua morbidezza viene spesso usata per accappatoi, camicie , pigiami invernali, tute da ginnastica.
La flanelletta di cotone è simile nell’aspetto.

La flanella vanta origini antiche visto che se ne parla per la prima volta nel Cinquecento. Il termine deriva dal francese flanelle, a sua volta derivato dall'inglese flannel e prima ancora dal gallese gwlanen, nome dato a una particolare lana locale.
Spesso la flanella può essere confusa con un tessuto chiamato viyella. Non è una truffa: la viyella è un marchio scozzese regolarmente registrato la cui composizione è 55% lana e 45% cotone.

La flanella di lana pettinata (worsted flannel) è adatta a confezioni maschili di qualità. (vedi taccuini 1024,1025,1026,1027).



Cardatura.




Operazione consistente nel liberare dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili al fine di permettere le successive operazioni di filatura.


Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 03-09-2004
Cod. di rif: 1573
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto:errata corrige
Commenti:
Il titolo del Dizionarietto precedente, lavagna 1572 era: Flanella.
Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 05-09-2004
Cod. di rif: 1575
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:



Dizionarietto




Cammello.

Allo stato non tinto il pelo di cammello è di color bronzeo, oltre a presentarsi molto morbido: comunque i tessuti tinti con questo colore non possono essere definiti come pelo di cammello . Le varietà migliori sono molto costose, mentre le qualità medie sono spesso miste a lana di pecora. (vedi taccuini 1032,1033,1034).

Filato.

Prodotto della filatura. I filati si distinguono in semplici, se sono formati per torsione di un solo filo, e ritorti, costituiti dall'insieme di più filati semplici sottoposti a successiva torsione. Inoltre si dividono in pettinati e cardati, a seconda della qualità delle fibre di partenza e della loro disposizione.
Cardatura (2)


E' un'operazione fondamentale nel ciclo della filatura e serve per sciogliere e separare bene le fibre una dall'altra, per liberarle dalle impurità.
Le fibre vengono così disposte in un unico corpo cilindrico che, assottigliandosi gradualmente nei vari processi di filatura, dà origine al filato. (vedi taccuino 1035). Un filato cardato è un filato non pettinato. In genere è prodotto con fibre corte, disposte in maniera non parallela, ed è meno uniforme. Un tessuto cardato, di conseguenza, è un tessuto che è stato ottenuto con filati cardati.


Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 08-09-2004
Cod. di rif: 1585
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Gamekeeper tweed; Rispondo al Cavalier Villa
Commenti:
Egregio Cavalier Villa,
non dubitavo della sua precisione.Ho visionato il taccuino, il tessuto gamekeeper tweed da Lei inviato; indubbiamente si tratta di uno cheviot con il classico overcheck tipico proprio dei keeper; il colore può sembrare un Lovat, e di questa miscela di colori può trovare spiegazioni nel lavoro da me eseguito sui District Checks.

La saluto Cavallerescamente

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-09-2004
Cod. di rif: 1598
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento classico intenazionale - Autunno-Inverno
Commenti:
Come già annunciato nella lavagna Nr.1543 del 23/8/04, è questa la seconda lavagna del classico internazionale autunno inverno.

Duffle Coat e Montgomery: dal Cavaliere medievale al Cavaliere urbano.

Il Montgomery è un modello di cappotto provvisto di cappuccio e con allacciatura ad alamari (vedi definizione in dizionarietto sottostante).

Usato dagli uomini della Marina inglese e dal generale Bernard Law Montgomery, capo delle forze britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale, è diventato un capo molto di moda e presente in diversi periodi nel guardaroba sia maschile che femminile.

Il Montgomery è inoltre uno dei vari cappotti che, come per esempio il trench, devono il loro ingresso nella moda maschile all’ambiente militare. Fu la Royal Navy britannica che lo diede in dotazione ai suoi marinai, affinché potessero difendersi, grazie all’ottimo cappuccio di stoffa pesante, dalle intemperie del mare.
Fu poi l’ormai famoso generale Montgomery che, durante la Seconda Guerra Mondiale, contribuì alla popolarità di questo capo e definitivamente la assestò, aprendo la strada per un classico intramontabile dell’abbigliamento maschile dei nostri giorni.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Montgomery fu adottato da molte scuole inglesi e anche dei Paesi Bassi come divisa per gli alunni. Fu quindi in un primo tempo un capo di abbigliamento per ragazzi.

Il Montgomery nasce nel colore beige, ma oggi lo possiamo trovare in molteplici colori, dai blu scuro al marrone e perfino al giallo. (vedi taccuini Nr.1049-1050-1051-1052-1053-1054-1059).
E’ in ogni caso un capo sportivo, che non necessariamente, come alcuni sostengono, si sposa con il casual: il Montgomery indossato sulla giacca è indice di gran classe e stile, anche in un abbigliamento non propriamente elegante.

Ma veniamo all’antenato del Montgomery. Come tutti sanno esso è sinonimo di Duffle Coat o, per meglio dire, è il Duffle Coat che è sinonimo di Montgomery.
Il nome deriva dal tipo di stoffa con cui esso è fatto, per l’appunto un duffle, cioè un mollettone, una stoffa pesante tipo panno, che non lascia passare freddo vento e difficilmente acqua, anche se in verità non è impermeabile. Il duffle può essere sia tessuto che lavorato a maglia e all’uncinetto ed ha una tradizione antichissima, così come ha un’altrettanto antica tradizione il cappuccio.
Tutti noi abbiamo in mente senza dubbio le cotte medievali, quelle tuniche di maglia che i Cavalieri duellanti e paladini dei signori usavano nella favolosa età medievale. Ebbene, quelle cotte erano provviste di cappuccio, il quale anche allora, con l’elmo o senza l’elmo, avevano la funzione di proteggere il cavaliere, non dalle intemperie atmosferiche, ma dai pericoli delle guerre e dalle sfide quotidiane.(vedi taccuini Nr.1055-1056-1057-1058).

Oggi il duffle coat è un capo moderno e sportivo, ma dagli anni ’80 era caduto un po’ in disuso. E' un grande classico e forse il cavaliere moderno potrebbe rivalutarlo e inserirlo nel suo guardaroba.

Aggiungo ora un brevissimo dizionarietto, nonché un pezzo di storia a mio giudizio interessante.


Alamaro.
Sostantivo maschile [sec. XVI; dallo spagnolo alamar].
Allacciatura ornamentale di abiti formata da un cordoncino a occhiello da una parte e un bottone dall'altra, di solito a forma di ghianda.


La sconfitta di Hitler che salvò gli ebrei

Per molti El Alamein è il ricordo di una tragica sconfitta, un pezzo di storia da rivivere con il dolore e il lutto che quella tragica battaglia si porta dietro. Per i più è una pagina di storia scolastica. Ci fu il coraggio dei soldati italiani, come ci hanno insegnato i libri di testo, ma quel nome è di fatto ormai consegnato alla storia.
Il generale Montgomery, con la sua ottava armata, sconfisse Rommel, quella cosiddetta "volpe del deserto", poi smentita dai fatti della storia.
Montgomery, più che per El Alamein, continuiamo a ricordarlo per quel cappotto di color cammello con il cappuccio e gli alamari (vedi definizione) da lui portato con inglese eleganza e che divenne famoso in tutto il mondo. Che cosa sarebbe successo se invece degli inglesi avesse vinto l’esercito italo tedesco?
In mezzo a tante rievocazioni , può essere utile ricordare qual era la situazione nel Medio Oriente di allora e cercare di capire quale fosse l'atmosfera nella quale agivano i protagonisti.
La Germania di Hitler si annetteva uno stato dopo l'altro, il suo esercito sembrava invincibile.
L'Italia era al suo seguito.
La Palestina,quella che poi sarebbe diventata Israele, era sotto protettorato inglese. Hitler, nel suo folle progetto di conquistare il mondo e di annientare gli ebrei ovunque si trovassero, era arrivato a un passo dal realizzare ciò che in quel momento lo interessava di più: conquistare la Palestina sconfiggendo gli Inglesi e poi sterminare tutti gli Ebrei, ovunque essi si trovassero. Il piano era stato studiato a Berlino con la collaborazione del gran Muftì di Gerusalemme Haj Amin Husseini, lo sfegatato nazista rifugiato in Germania. Gli ebrei erano allora in Palestina circa quattrocentomila, e con i tedeschi ormai a due passi da casa, progettavano, sotto la guida di David Ben Gurion, un impossibile piano di difesa.
Chi proponeva di riunirsi tutti a Gerusalemme nella città vecchia circondata dalle mura, chi suggeriva il Monte Carmelo ad Haifa, chi la Galilea, dove organizzare la resistenza con la quasi certezza che la prospettiva più realistica era un suicidio collettivo. Come resistere ad un esercito che aveva conquistato l'Europa? Come avrebbe potuto sopravvivere un pugno di ebrei, pronti a tutto, ma pochi e senza armi ? Invadendo l'Egitto e poi la Palestina, Hitler li avrebbe sterminati tutti.
Non è difficile immaginare quale fosse il panico che in quei momenti si era impossessato dei futuri cittadini dello stato di Israele. Terrore,paura, ma anche una grande determinazione ad organizzarsi e a resistere.

La sconfitta di El Alamein cambiò le sorti del futuro Israele.
Rommel, sconfitto da Montgomery, fu fermato.
Quei giorni sono ancora vivi nella memoria di chi li ha vissuti e il racconto non è meno drammatico, anche se il tempo trascorso ha contribuito a sfumarne nel tempo l'emozione.
Soprattutto gli israeliani di origine italiana, e che hanno passato gli ottanta, ricordano ancora oggi quel periodo con straordinaria lucidità e commozione. L'Italia, la loro Italia malgrado tutto, anche se li aveva scacciati con le leggi razziali, si trovava nella posizione di chi avrebbe potuto contribuire al loro sterminio. Le leggi del Reich parlavano chiaro, la Palestina doveva diventare Judenrein, senza nemmeno più un ebreo.
Ecco perchè, dopo un doveroso rispetto verso i caduti italiani, trascinati in un folle destino da una ancor più folle ideologia, si può, si deve poter dire che quella battaglia perduta permise di vincerne un'altra, la creazione, di lì a pochi anni, dello Stato di Israele, un paese che risorgeva dopo duemila anni e che avrebbe accolto i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti. Quella volta ad Hitler andò male e noi, come italiani, ne siamo fieri.


Vi Saluto Cavallerescamente
Dante de Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 12-09-2004
Cod. di rif: 1605
E-mail: dantedepaz@hotmail.com.
Oggetto: dizionarietto
Commenti:







Dizionarietto


Fearnaught.

Pesante stoffa inglese della famiglia cheviot, il cui filato di trama contribuisce all’aspetto felpato. Nelle qualità più economiche viene usata lana ispida della coda o delle zampe della pecora , oppure lana di recupero.

Gabardina

Saglia d’ordito con inclinazione delle diagonali a 45° o 63° , allestita con filati cardati o pettinati in cotone , lana o raion; le diagonali montano verso sinistra nel caso di filati unici e verso destra nel caso di filati ritorti.


Galatea.

Tessuto grossolano in cotone con armatura saglia a diagonali montanti vreso sinistra , più raramente tipo tela. Può essere candido, a tinta unita oppure rigato , con una mano ruvida ma lucente. E’ usato per l’abbigliamento da bambini, , per foderami e uniformi da infermiere.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-09-2004
Cod. di rif: 1606
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:



Dizionarietto.


Herringbone Twill.

Comunemente denominato in italiano “spina di pesce” appartiene alla categoria dei tessuti twill (ricordo che twill è un tipo di tessitura, quella che dà l’effetto diagonale nella costa del tessuto , ma per la voce twill si veda dizionarietto in lavagna 1485 del 1 /08/2004 )e prende il nome dalla spina, o scheletro dell’aringa, poiché il disegno sul tessuto ha proprio questo aspetto.
E’ di solito di lana, di varie e diverse qualità, ed è utilizzato per molteplici capi di abbigliamento, dai capi spalla alle cravatte , a seconda della pesantezza e della consistenza.
( vedi taccuini 1060,1061,1062,1063,1064,1065,1066).

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-09-2004
Cod. di rif: 1622
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Raglan
Commenti:
ABBIGLIAMENTO CLASSICO INTERNAZIONALE
AUTUNNO INVERNO


Terza Puntata


Il Raglan.




Egregi Cavalieri, Eccomi a Voi con un’altra affascinante storia, alla quale fa da sfondo un brumoso e turrito paesaggio medievale.
Nelle colline del mitico Galles un imponente castello attira il nostro sguardo e la nostra attenzione : è il Castello di Raglan. ( vedi taccuino 1076).

Raglan è il castello più atipico di tutto il Galles.
La sua costruzione iniziò nel 1435 e per questo è considerato l'ultimo castello medievale eretto nella regione oltre che il monumento alla potenza di una intraprendente famiglia.
Ora la sua storia è certamente affascinante, poiché ci riporta indietro, ai tempi delle guerre degli Enrichi, cioè al secolo XVI, o al glorioso periodo della storia del Parlamentarismo inglese , cioè al re Carlo I e a Cromwell. In questa sede il suo nome è invece sinonimo di qualche cosa di non così importante quanto un’importantissima Rivoluzione Costituzionale, ma molto curiosa e comunque interessante dal punto di vista del costume: quella, appunto, del cappotto e del modello Raglan.( vedi taccuino 1077).

Un generale inglese ci accompagna , è Lord Raglan in persona, il comandante delle truppe britanniche nella Guerra di Crimea , diventato famoso non solo per essere uno dei comandanti del Generale Bonaparte, ma anche per un modello di cappotto e di pullover a tutti familiare, il modello Raglan.
Dal mitico Castello di Raglan prende inizio la nostra storia.
Merli e torri, un gigantesco sistema difensivo , che non ci impedisce tuttavia di entrare dentro i misteri di questo modello di manica , che fu adottato per la prima volta dal comandante Lord Raglan e dalle sue truppe nella famosissima Guerra di Crimea , che vide le truppe inglesi alleate della Francia contro la Russia nel conflitto che sconvolse l’Europa dal 1853 al 1856.

Non è la prima volta che un capo di abbigliamento militare entra a far parte dei dettami della moda maschile civile. Anzi, abbiamo detto anche in precedenti occasioni, che questo percorso appartiene all’evoluzione stessa dell’abbigliamento e del costume, soprattutto dall’inizio del XX secolo in avanti, quando le fogge del vestire maschile e i canoni conseguenti alle profonde modificazioni economiche e sociali dell’inizio del secolo, diedero origine ad importanti cambiamenti nei modi di vestire delle differenti classi sociali. All’inizio del XX secolo per l’appunto, il modello raglan fu adottato da produttori allora importanti e da sartorie e aziende manifatturiere che lo esportarono in Italia e nelle Americhe.

Dunque il cappotto Raglan, perché inizialmente di cappotto si trattava, e solamente in un secondo tempo il modo di costruire quel taglio di manica fu applicato anche alla maglieria, deriva il suo nome dal generale inglese Lord Raglan. Si tratta di un cappotto con maniche attaccate alla base del collo con cuciture a raggiera. ( vedi taccuino 1080).

Il giro detto “a raglan” nei pullover consiste in una cucitura a pezzo unico su ferri circolari , e può essere fatto per ogni taglia. (vedi taccuino 1085) Si può realizzare sia a cardigan, che a giro collo o a V. Inoltre i pullover raglan possono essere realizzati con ogni genere di filato e disegno . (vedi taccuino 1079).

Lunga o corta, la manica è particolare nell'attaccatura. Sale dall'ascella sulla spalla, con una linea diagonale, sino al collo. Viene utilizzata soprattutto per i cappotti .( vedi taccuini 1080,1081,1082).


E’ curioso che un maglione abbia preso il nome da un capo della guerra Inglese di Crimea .Il giro manica rendeva il cappotto del comandante diverso da quello di tutti gli altri. Ancora oggi è in piena auge ed è proposto in svariate versioni da molte e famose case produttrici.
Il termine Raglan continua ad essere usato sia come aggettivo che come nome. Con il nome si indica proprio il capo, come il cappotto o il pullover che ha le maniche fatte in quel determinato modo.
Lord Raglan, (1788-1855), ( vedi taccuino) nome di nascita Fitzroy James Henry Somerset ( in seguito Primo Barone di Raglan), fu per quasi tutta la vita un militare, al servizio per quarant’ anni del Duca di Wellington, del quale aveva sposato la nipote.
Fu ferito a un braccio, che gli dovette essere amputato. Mentre il braccio gli veniva portato via si dice che egli esclamasse:” Riportatemi il mio braccio! Sul dito c’è l’anello che mi ha regalato mia moglie; e così si guadagnò la fama di essere un vero e coraggioso uomo.
In 1853 l’Inghilterra si unì alle forze francesi contro la Russia nella Guerra di Crimea. Lord Fitzroy, ora Primo Barone di Raglan, divenne comandante supremo delle forze Britanniche sotto la Regina Vittoria .
Durante la battaglia di Balaclava ci fu un gran pasticcio nelle comunicazioni tra Raglan e il suo comandante Lord Cardigan, il quale a sua volta , come forse già sapete, è ricordato anche per aver dato il nome al famoso Cardigan.
A noi, che in questa sede non facciamo gli storici, ma pretendiamo con semplicità di dare qualche notizia sulla storia e l’evoluzione del costume e dell’abbigliamento maschile, nell’ Occidente industrializzato, è gradito ricordare questi aneddoti, che sono comunque importanti per comprendere in che modo le imprese di singoli uomini, famosi o non famosi, o le abitudini e le azioni delle persone nei fatti della storia ( vedi ad esempio il popolo e i Giacobini della Rivoluzione Francese nel caso delle culottes, cioè dei pantaloni) abbiano influito sulla vita quotidiana di tutti .
In qualche caso particolare poi, le abitudini del singolo sono diventate motivo e spunto per far crescere e sviluppare qualche ramo dell’industria dell’abbigliamento o per migliorare e mantenere in vita le abilità artigianali.
Ricorderò in questa sede che il modello di cappotto raglan è stato realizzato, e con grande successo, anche nell’abbigliamento femminile, quasi identico a quello maschile e con un effetto sorprendentemente elegante( vedi taccuino 1083).

In un ciclo che non si interrompe,dunque, il raglan è già un classico internazionale, (vedi taccuino 1086) intramontabile e di gran classe,soprattutto dell’abbigliamento sportivo.


Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 22-09-2004
Cod. di rif: 1628
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: FLIGHT JACKET
Commenti:

Coraggiosi Cavalieri,
ho consegnato al valido Cavaliere Andrea Rizzoli il volume di Derek Nelson e Dave Parson, “Hell-Bent for Leather,( The Saga of the A2 and G1 Flight Jackets), Motorbooks International, Osceola USA 1990, (vedi taccuino) che Egli ha bene interpretato e tradotto, estraendone parti fondamentali , al fine di proseguire il nostro comune lavoro di difesa del baluardo del classico internazionale ,con uno studio interessante sulla ormai storica, intramontabile e ,dunque, internazionalmente classica FLIGHT JACKET.
Questo contributo offerto dal Cavaliere arricchisce le stanze culturali del Castello e dunque lo sottopongo alla Vostra attenzione, ringraziandolo per la collaborazione.
Vi auguro una Buona, divertente oltre che, come al solito, istruttiva lettura.


LA FLIGHT JACKET

La flight jacket è il tipico giubbotto da volo, usato dagli aviatori soprattutto militari. Di tutti i modelli realizzati fino ad ora, quelli passati alla storia, e quindi indossati tutti i giorni da migliaia di persone, sono riconducibili ai modelli G-1( vedi taccuini 1088-1089) e, soprattutto, A-2. ( vedi taccuini 1090, 1091,1092,1093). In ogni caso, le flight jacket hanno una propria storia da raccontare, essendo le loro vicende legate allo sviluppo della tecnologia aerea e delle sempre nuove esigenze dei piloti aeronautici.
Durante i primi anni del XX secolo, l’avventura dell’aviazione era ancora all’inizio della sua lunga storia. In quegli anni pionieristici, l’uomo non aveva ancora mostrato esigenze particolari: gli aerei, infatti, non erano in grado di raggiungere altitudini elevate o di volare a gran velocità o per molto tempo. I piloti di quei primi velivoli, quindi, non avevano sviluppato un abbigliamento specifico, continuando ad usare i loro abiti civili. In realtà, l’avventura era appena iniziata e, dopo qualche lustro, lo sviluppo veloce della tecnologia aveva permesso il realizzarsi di nuovi e più performanti aerei, i quali raggiungevano maggiori altitudini e velocità. Com’è facile immaginare, tutto questo voleva dire esporre quei coraggiosi piloti ad un forte vento ed a temperature molto basse: nacque così l’esigenza di trovare un tipo d’abbigliamento più adatto al volo rispetto a quello usato fino ad allora.
I primi tentativi si indirizzarono subito nell’utilizzo di capi di pelle, ad imitazione di quelli già in uso presso automobilisti e motociclisti, tanto che l’aviazione militare americana si riforniva presso magazzini che già servivano i conducenti d’auto e moto. La pelle, infatti, aveva il vantaggio di essere particolarmente resistente ed a prova d’aria. Durante la Prima Guerra Mondiale, si utilizzavano giacconi a mezza coscia stretti in vita da una cintura e con un’abbottonatura centrale o laterale; l’equipaggiamento era completato da guanti e caschetto di pelle, occhialoni, stivali e sciarpa di seta. Negli stessi anni, i piloti civili preferivano indossare una lunga giacca di pelle sopra una classica tenuta maschile. Insomma, vi era una grande varietà di soluzioni adottate, in funzione delle esigenze da soddisfare. Presso le aeronautiche militari nasceva nel frattempo l’esigenza di dotare i propri piloti di un abbigliamento standard.
Gli sviluppi tecnologici stavano compiendo grandi passi avanti, tra gli anni ’20 ed i ’30. Era questa, infatti, l’epoca dei record e delle gare tra aerei, attività che hanno contribuito non poco all’incremento delle prestazioni degli aerei ed alla loro forma, cominciando a comparire gli abitacoli chiusi. Ciò si tradusse ancora una volta in maggiori velocità ed altezze: di nuovo, si sentì forte l’esigenza di un abbigliamento specifico. Fu per tali motivi e per la necessità di adottare una tenuta standard che negli USA si pervenne, nel 1927, alla creazione della flight jacket denominata A-1, una corta giubba di pelle abbottonata sul davanti. ( vedi taccuini 1094,1095)). Essa era denominata summer flight jacket perché ,non essendo troppo pesante, era adatta alla bella stagione. Successive modifiche a questo giubbotto portarono nel 1930 alla definizione della più famosa flight jacket: la A-2. ( vedi taccuini 1096,1097)
L’A-2 era il frutto delle esigenze dell’aeronautica militare USA: era chiusa da una zip in modo da poter essere manovrata anche con i guanti; i bottoni tradizionali furono sostituiti da quelli automatici, poiché questi non erano sensibili agli strappi causati dai movimenti negli angusti abitacoli; la pelle utilizzata era di cavallo, poiché all’epoca ve n’era una grande abbondanza (il cavallo era ancora un animale molto utilizzato); i polsi e la vita erano fermati da una fitta maglia di lana marrone che non lasciava passare l’aria; la fodera era di seta; le spalle erano caratterizzate dalla presenza di attacchi per il paracadute (ma quasi sempre usati per alloggiare i simboli dello squadrone). Successivamente, si adottarono vari tipi di pellame, sempre, comunque, di colore marrone scuro.
Negli stessi anni anche la Marina statunitense stava lavorando ad una flight jacket per i propri piloti, ma si arrivò ad un modello definitivo solo nel 1938, quando fu adottato il tipo denominato G1. Esso era realizzato con pelle di capra, molto costosa ma anche resistente e di cui la Marina aveva una certa disponibilità; la schiena prevedeva l’utilizzo di una sorta di pence per agevolare i movimenti; il collo era foderato di una calda pelliccia ed era provvisto di una lingua di pelle per abbottonarlo rialzato. La G1 era foderata di seta rossa o di rayon ed era provvista di una tasca interna per alloggiare l’E6B Computer, una sorta di calcolatore di velocità e di distanza.
Gli anni tra i ’20 ed i ’30 erano assai difficili a causa di un’economia che stava passando una grave crisi. Molte persone caddero in uno stato di povertà ed i segnali non erano sempre incoraggianti. Fu per questi motivi che nacque un forte bisogno, quasi una necessità, d’eroi e di identificarsi con loro. Questo desiderio fu in parte realizzato attraverso le grandi gare tra aerei ed i tentativi di abbattimento dei record di velocità e di distanza: queste imprese posero in primo piano le grandi doti di coraggio dei piloti, quasi sempre immortalati dai giornali dell’epoca. Molte persone s’identificavano con questi uomini ed avrebbero voluto essere come loro: un modo per realizzare questo desiderio era certamente quello di indossare una loro flight jacket, sempre messe in risalto dalle fotografie di giornali e riviste. Tutti volevano avere una A-2.
I piloti continuarono sempre più ad essere visti come degli eroi, soprattutto quando gli USA cominciarono a combattere nella II Guerra Mondiale. L’attenzione pubblica fu spesso catturata dalle imprese dei Flying Tigers, lo squadrone con gli aerei dipinti come una bocca di squalo e le A-2 e G-1 sempre indossate dai loro piloti, magari adornate con le pin up ispirate ai disegni di Vargas che in quegli anni comparivano su Esquire. Insomma, le flying jacket finirono con il diventare non solo popolari, ma un vero e proprio oggetto di culto.
L’A-2 fu sostituita nel 1942 dalla B10 e da altre flight jacket, ma molti piloti continuarono ad indossare la classica A-2 ( vedi taccuino1101) sia durante la II Guerra Mondiale sia nelle missioni in Korea ed in Vietnam. Era così amata e carica di significati che nel 1988 essa fu riammessa ufficialmente nei ranghi dell’Air Force. L’avventura della G1 continuò invece sino al 1978 ma anch’essa, sul finire degli anni ’80, fu riaccolta nella Marina Militare USA.
Negli stessi anni in cui nascevano le A-2 e le G-1, fece la sua comparsa la flight jacket della RAF: l’Irving Jacket,(vedi taccuini 1098,1099) dal nome del produttore, un americano esperto di paracaduti che, trasferitosi in Inghilterra, divenne il fornitore della Royal Air Force. L’Irving Jacket era un giaccone di pelle marrone, foderata di lana, con chiusura lampo e cintura in vita; era, inoltre, priva di tasche. Pure1 questa flight jacket divenne molto popolare.
Alla popolarità di queste flight jacket contribuirono non poco gli attori di Hollywood, i quali non le indossavano solamente nei loro film di guerra ma anche, come nel caso di Clark Gable, (vedi taccuino 1100) nel loro tempo libero. A tale popolarità corrispose presto una domanda assai alta, la quale permise lo sviluppo d’alcune imprese specializzate nel replicare le A-2, le G-1 o l’Irving, sfruttando un mercato in continua espansione: ancora oggi, dopo più di settant’anni, le flight jacket sono richiestissime, grazie ai significati ed alle storia di cui sono una viva testimonianza.




Cavallereschi Saluti a tutti e ancora Grazie al Cavaliere Andrea Rizzoli

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 23-09-2004
Cod. di rif: 1632
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: flight jacket: rispondo al quesito posto dal Cavalier Villa
Commenti:



Egregio Cavalier Villa,


La Sua domanada ha una precisa e ,spero, soddisfacente risposta: La flight jacket alla quale Lei si riferisce è certamente esistita, anzi, è la famosa B15, che divenne la divisa ufficiale dell'Aviazione Americana(USAAF) nel 1944. Fu una delle prime flight jackets confezionate con tessuto sintetico ,ma erano nate in tessuto oxford verde oliva. Oggi vengono riproposte da importanti case produttrici e sono del tutto uguali a quelle usate dai piloti USA di F86 durante la Guerra di Corea.Spesso sono di Nylon misto a satin,ed hanno un collo di finto pelo in tinta. Hanno poi polsini idrorepellenti in maglia di pura lana e 4 tasche diagonali, due interne e due esterne.
Le allego taccuini .

Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 26-09-2004
Cod. di rif: 1638
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: solaro: e risposta al Signor Marino Poerio
Commenti:
Gentile Signor Poerio,
il suo interesse alla materia tessile di tradizione e di storia non può che farmi esprimere parole lodevoli, specie in un periodo in cui l'invasione di materiali "alternativi ha riempito il mercato, causando nello stile un decadimento socio- culturale.
Le sue mani negli scaffali dei tessuti sono ben riposte . Lei chiede delucidazioni sul "Solaro"; per quanto riguarda eleganza, formale o informale , mi sembra sia già stato perfettamente esaudito dalle parole del Gran Maestro. Mi auguro che il tessuto Solaro che Lei ha identificato sia quello originale . Le ricordo che la parola Solaro è registrata e solo può essere usata dal fabbricante che ha sempre prodotto questo speciale tessuto o da coloro che hanno rilevato il marchio. Si tratta di un prodotto del Regno Unito e il tessuto deve avere la cimosa parlata" Original Solaro made in England" e l'etichetta da poter applicare sul capo confezionato( vedi taccuino n.1105).
Il Gran Maestro parla di tessuto di lana e cotone ( 80% lana e 20% cotone); in effetti questo era il Solaro di un tempo; oggi esso è semplicemente in pura lana, di un peso all'incirca di 380 grammi al metro. Fa parte della categoria delle gabardine; è fabbricato conb filati già tinti , in colori contrastanti con effetti cangianti. Attualmente , e da molti anni, viene presentato in un solo colore , di rovescio rosso chiaro e beige al diritto e forma una miscela di colore definibile beige marron rossastro, diventato un tipico colore, nel quale vengono sviluppate poche disegnature, che sono: il diagonale,la grana di riso, lo spinato sottile e lo spinato largo.Questo è visibile nel Florilegio; Vestirsi Uomo, V Puntata . Questo è il COLORE ORIGINALE ed è di origine miitare .Un breve cenno storico posso farlo, avendo ricercato e trovato notizie in una vecchia rivista tessile.






Nei primi anni del XX secolo , una nuova e strana malattia apparve nelle colonie dei Tropici: la Neuroastenia, che colpiva spratttutto le elite governative, ossia coloro, che con termini quasi razzisti, venivano definiti Bianchi o Europei.
Questa malattia fu chiamata neuroastenia tropicale e ne furono affetti soprattutto gli Inglesi, che molti paesei hanno colonizzato nel corso del XIX secolo ( e anche prima , naturalmente).

Ma che cosa ha a che fare la patologia tropicale con il tessuto solaro che a NOi interessa? Ebbene , il collegamneto esiste ed è anche molto interessante. Dopo una lunga e, in un primo tempo alquanto scoraggiante, ricerca , ho trovato finalmente quello che fa al Suo e nostro caso . A parte l’etimologia della parola, facilmente comprensibile ai più, e che vuol dire : "adeguato e resistente ai raggi del sole", il solaro era , ancora una volta, un capo di abbigliamento di carattere militare. Per l’esattezza, più che un capo di abbigliamento vero e propio, esso era un pezzo di stoffa. A che cosa serviva ?E dove si portava? Ancora un po’ di attesa, e poi accontenterò la Sua curiosità.
Dunque la malattia tropicale che cominciò ad affliggere la popolazione Britannica coloniale nell’Ottocento, continuò a diffondersi anche nel corso del XX secolo, e colpiva tanto gli esponenti delle le classi dirigenti, quanto i soldati .
Ho ribadito in più di un’occasione che molto spesso, per non dire quasi sempre,i capi di abbigliamneto militare sono diventati abiti civili maschili.Vi ricordate della Sahariana, deascritta nel classico internazioanle primavera-estate? E’ proprio in un ambiente simile che ritroviamo il Solaro, non nel deserto del Sahara, ma in quelle regioni calde del mondo , come l’India per esempio, nelle quali il clima torrido e umido , e le non adatte condizioni di vita delle truppe britanniche , causarono non pochi disagi e difficoltà in terra straniera e nelle zone di combattimento.

Tra I vari accessori che gli Inglesi usavano nelle calde colonie per proteggersi dall’infelice clima , oltre a giacche , come la Sahariana e a pantaloni di fogge particolari, come I caki, che consentivano ,con la loro forma, di muoversi meglio e di sbarazzarsi della sabbia e di animali indesiderati, quali zanzare e ragni, c’era anche il famoso elmetto, il “sola topi”, con la ben conosciuta fascia stretta intorno, che era un’ulteriore protezione contro I raggi del sole. Tutti questi capi sono diventati sinonimo di abbigliamento coloniale inglese. Accanto ad essi , potete ora mettere anche il “ solaro”, un pezzo di stoffa rossa, che serviva come fodera per I cappelli, oppure era usata , con disegno a spina di pesce, come proseguimento delle giacche, attaccata dietro, a protezione contro le radiazioni attiniche , in particolare quelle ultaviolette, capaci cioè di scatenare reazioni chimiche e quindi, come tali, responsabili della maggior parte delle patologie e delle malattie tropicali.

Negli anni addietro il Solaro veniva fabbricato, sempre originale,in tanti colori: celeste, grigio, ma poi la fabbrica evidentemente ne ha ridotto la produzione , insistendo sul colore unico. Attenzione, però: ci sono molti tessuti simil solaro, chiamati sun-proof o con altri nomi.
Ripeto: l’originale deve avere la cimosa e l’etichetta. Diversamente, è una gabardina cangiante, costruita con lo stesso metodo; senz’altro elegantissima, ma non è Solaro.


Spero di avere accontentato il Signor Poerio e nel contempo di aver dato qualche informazione in più a tutti I Cavalieri e visitatori del Castello.

Cavallerescamente

Dante De Paz





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 03-10-2004
Cod. di rif: 1647
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:






Dizionarietto.

Canton.
(flanella di): saglia flagellata mostrante sul diritto un ordito fine di cotone o misto cotone poliestere allacciato con una trama grossa a torsione soffice: essa viene garzata soltanto sul rovescio. E’ destinata alla confezione di guanti da lavoro, abbigliamento per bambini e foderami.




Cavalleria.

Saglia doppia con costine pronunciate montanti verso destra , allestita con filati di lana cardata o pettinata o fibre sintetiche , ruvida ma robusta: viene usata per abiti da uomo o cappotti.


Cavallereschi Saluti
Dante De Paz





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-10-2004
Cod. di rif: 1649
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:






Dizionarietto.

Homespun.

Letteralmente vuol dire : filato a casa ( dall’inglese: home + spun: casa più il participio passato del verbo to spin= filare). E’ un tessuto allestito con filati di lana grossolani e con “fiamme” per imitare il panno fatto in casa, secondo un’armatura tela irregolare. Talvolta è chiamato erroneamente TWEED.


Huck-a-back-


Tela di lino grossolana originariamente, ora allestita con cotone o raion e loro mischie; la trama è grossa con torsione soffice per aumentare il potere assorbente. Battuta con armatura

A nido d’ape. Il ricamo chiamato “ tessitura svedese” viene realizzato su questa tela a nido d’ape , riprendendo i fili sormontanti il materiale.

Cavallereschi Saluti


Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-10-2004
Cod. di rif: 1655
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: trench coat
Commenti:










TRENCH COAT.



Termine inglese, che vuol dire trincea. E’ un impermeabile maschile, ma è amato anche dalle donne.( vedi taccuino 1114).
È a doppiopetto, in cotone impermeabilizzato, con maniche a raglan e spalline, ed è stretto in vita da una cintura. Ha doppio carrè sulle spalle.
Creato per gli ufficiali inglesi, fece parte della loro divisa durante la prima Guerra Mondiale. Anche questo capo di abbigliamento, infatti, ha un'origine militare; il suo nome, trench coat, significa infatti "cappotto da trincea"..( vedi taccuino 1112),
Ogni sua parte, che oggi ci sembra puramente ornamentale, aveva in realtà una specifica funzione. La cinghietta posta al bordo del collo permetteva di alzarlo e di chiuderlo per proteggersi dalla pioggia, come quelle poste al bordo delle maniche. L’anello di metallo in cintura, poi, serviva per attaccarvi la boraccia dell’acqua e altri oggetti utili. Oggi , quell’anello è davvero caratteristico e fa molto chic se ben proporzionato alla cintura. ( vedi taccuino 1113).
Parlando dei vari tipi di cappotto, in precedenti lavagne, ed anche occasionalmente e brevemente in più di un dizionarietto, abbiamo detto e sottolineato che la maggior parte dei capi di abbigliamento maschili civili sono di provenienza militare, e a maggior ragione questo concetto resta valido e inconfutabile per il trench, nato per aiutare i soldati e rendere meno sgradevole e terribile, per quanto possibile in guerra, la loro vita al fronte, appunto nella trincea.
L’abbigliamento di cui siamo oggi protagonisti, e che ci pare così familiare , come se gli uomini della nostra epoca siano da tempo immemore vestiti nelle fogge a noi note, è in realtà un prodotto del XX secolo, poiché è solo verso la fine dell’800 e poi nei primi anni Venti del ‘900 che, in realtà, l’abbigliamento maschile ebbe una svolta , e gli abiti ,che fino a poche decadi prima erano indossati solo dalla nobiltà e dall’alta borghesia, cominciarono ad essere indossati da una fascia più ampia di popolazione. Giacche, cappotti, soprabiti, impermeabili e, appunto, trench, cominciarono ad entrare sul mercato e ad essere prodotti in larga scala.
Ricordiamoci che per tutti i secoli precedenti solo una percentuale molto bassa della popolazione europea aveva potuto permettersi di indossare abiti confezionati con bei tessuti, e che i capi erano quasi sempre uniformi militari, con ricchi ornamenti e mostrine.

I nobili poi, e in particolar modo le classi dirigenti delle principali nazioni europee, come la Francia, l’Inghilterra e la Germania, adottarono le divise, che vennero a loro volta modificate e adattate agli usi civili. Si pensi, poi, ai costumi della nobiltà inglese, alle abitudini legate alla caccia e alla vita della campagna, si pensi allo sfarzo della nobiltà parigina e della borghesia di città della provincia francese ,e ancora e agli eserciti di Napoleone; certo a tutti noi verranno in mente bellissime e ornate redingote e marsine, o giacche dalle spalline dorate, o stivaloni da cavalleria.
E poi, ecco il boom della città industriale, con i suoi enormi caseggiati, le banche , gli uffici, i negozi riccamente forniti di merci , i grandi mercati della periferia e l’invenzione e la nascita di Grandi magazzini, e tutte le migliaia di persone che ogni giorno si recavano in città dalla campagna per lavorare e viceversa. E’ a tutti questi movimenti sociali ed economici che dobbiamo pensare, ogniqualvolta ci accostiamo alla storia del costume e vogliamo fare la genealogia di un capo di abbigliamento.

Ma vediamo qual è l’origine di questo classico internazionale, il trench.

C’era una volta Londra…
Nel 1851 un sarto inglese aprì un piccolo negozio di sartoria a Mayfair, il noto quartiere residenziale e nobiliare della Londra vittoriana ed elegante, che senz’altro la maggior parte di noi conosce.
La sua reputazione per la qualità artigianale e il lusso dell’abbigliamento creato nel suo atelier furono la base dei valori cardine di un’azienda di fama internazionale, che sarebbe nata di lì a poco.
Durante quei primi anni della sua attività , questo commerciante si specializzò in sartoria maschile, ma fu il suo interesse ulteriore in abiti sportivi che fece crescere la sua azienda a dismisura, e per avvenimenti del tutto imprevisti e non certamente legati al mondo della moda.
Con l’obiettivo di creare il capo ideale per il tempo libero , questo signore e i suoi collaboratori si cimentarono per parecchi anni in un tentativo di trovare una lana a prova di pioggia che, date le note caratteristiche del clima britannico, ebbe grande successo. Nel 1853, ecco il ritrovato: esso consisteva in qualità e finiture impermeabili e idrorepellenti, basate su materiali idrofobici, come i saponi di alluminio e le emulsioni di cera di paraffina.
Durante la Guerra di Crimea, l’azienda fu in grado di rifornire i soldati con cappotti fatti con questo nuovo e rivoluzionario tessuto.
Questi capi ebbero naturalmente una grande risonanza e nel 1917 l’azienda fu contattata dal Governo , il quale propose ad essa di disegnare cappotti adatti per i soldati che combattevano nelle trincee. Questo capo fu n valido aiuto , poiché, come abbiamo detto, era molto resistente all’acqua; inoltre esso aveva altre due caratteristiche molto importanti: la flessibilità e la e durevolezza nel tempo.

Il trench, dunque, con le sue pratiche caratteristiche, ebbe un grande successo in entrambe le guerre mondiali..
Nel corso degli anni ’40, il cappotto “trench” divenne disponibile al pubblico e alla gente comune. Era nato il trench coat, dapprima realizzato dalla sola azienda inglese che lo aveva inventato, e poi adottato da tante altre case produttrici., non solo per il tessuto, ma anche per il modello. Oggi siamo infatti abituati a denominare trench, non solamente gli impermeabili , ma ogni tipo di cappotto che abbia le spalline dell’originario capo, cioè sbottonabili sulla spalla in modo da rendere possibile la chiusura del collo, il doppio petto e la cintura con anello. ( vedi taccuini 1115).
Nato con ben altri scopi, il trench divenne ben presto una parte caratteristica del guardaroba dei divi di Hollywood , di star come Humphrey Bogart o Frank Sinatra o dell’indimenticabile Audrey Hepburn . ( vedi taccuini 1116,1117,1118).
Oggi, esso è davvero un classico internazionale e, concedetemi il gioco vizioso di parole, un classico di grande classe, da indossare con disinvoltura e un po’ di spavalderia .

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-10-2004
Cod. di rif: 1656
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: trench coat
Commenti:
Per errore di battitura,nella lavagna 1655 sul trench coat, all'inizio veniva messa la traduzione di "trincea2, per 2trench coat".Ovviamente trincea è la traduzione della parola trench, poichè, come tutti sappiamo, coat è il termine inglese per cappotto.

Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-10-2004
Cod. di rif: 1671
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: RETTORATO
Commenti:
Ringraziamento alla nomina di RETTORE.


Nobile Gran Maestro, Stimatissimi e onorati Cavalieri, attenti visitatori e amici simpatizzanti, nella comunicazione ufficiale avvenuta con la lavagna del 4/ 10/ 2004,n. 1650, viene citata la mia nomina a Rettore della Guardiania della Porta dell’Abbigliamento .

GRAZIE

Un incarico del quale mi onoro e del quale ho preso perfetta conoscenza , rendendomi conto di un impegno serissimo da sostenere. Da sostenere insieme, con una perfetta sincronia, con il Vice Rettore , che sarà nominato, con i Redattori e con una equipe che dovrà formarsi e operare , seguendo i punti di intento di questa Porta tanto frequentata.
Sarà mia cura provvedere quanto prima alle suddette nomine.

Per ora Cavallereschi saluti

Dante De Paz





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-10-2004
Cod. di rif: 1672
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: foggia e stile
Commenti:







Desidererei riassumere , senza eccessivi dilungamenti, l’argomentazione stile inglese- foggia inglese , apparsa in prima istanza sulla lavagna 1662 del giorno 8/10/2004.

Mi è gradito fare una breve parentesi di carattere etimologico- linguistico.
Il termine foggia ha una derivazione incerta: pare derivi dal latino volgare fovja, che a sua volta deriverebbe dal latino classico “fovea”,, che vuol dire fossa nel senso di forma, per colarvi dentro metalli o gesso.( Vedi : Giacomo Devoto” Avviamento alla etimologia italiana”, Oscar Studio Mondatori, “ , 1079).

Stile , dal latino stilus, era un corpo acuminato che veniva identificato preferibilmente con l’asticciola che serviva per scrivere sulle tavolette.(idem).
Il dibattito sull’accezione, il significato e la definizione delle parole interessa proprio perché ricco è il significato delle parole stesse. Per esempio , a Roma la grammatica comprendeva sia lo studio della lingua , che quello della critica, e i grammatici erano i maestri più completi , insieme con i filosofi e i retori. Con il tempo la parola stile ha assunto l’accezione di carattere filosofico intorno alla quale stiamo ora disquisendo . Stile è sia il rispetto delle regole, per gli antichi, così come la libera espressione dell’individuo, nell’epoca contemporanea.

Dunque esiste, come sappiamo e come abbiamo ripetuto più volte , un ben definito, marcato, istituzionalizzato, classicheggiato, internazionalizzato BRITISH STYLE, che continua a fare cultura, storia e immagine.
A mio avviso, pertanto, l’espressione British Style comprende sia il concetto di foggia che quello di stile; infatti ,quando diciamo di una persona che si veste in perfetto stile inglese, non intendiamo solamente dire che è inglese la forma dei suoi abiti, ma intendiamo anche un modo di porsi nei confronti del mondo e della società , in un contesto culturale di tipo borghese.
Nella mia prima esposizione, anticipando il classico internazionale, feci presente che in questa materia( del classico), il Regno Unito fa la parte del leone. Tanto è vero che, laddove si produce con cognizioni classiche , ci si esprime sempre in modo anglosassone. Vedi per esempio i fabbricanti tessili del biellese , che in fin dei conti parlano un linguaggio tecnico che è anglo-biellese. Così i fabbricanti di sport-wear e i fabbricanti di scarpe. Pertanto, al di là della foggia e dello stile, è il British style che detta legge e va compreso.
Per Lei, Signor Albricci, Le ricordo che la maglietta Fred Perry, nata proprio in Inghilterra , dove visitai la fabbrica molti anni fa, ad Hincley, è oggi venduta in tutto il mondo e fabbricata con licenza in tanti paesi; conosco perfettamente la maglietta Fred Perry inglese e quella italiana ,ma escludo che quest’ultima , come dice Lei, sia enormemente più brutta e mal fatta . Provi a osservarle e mi dica in che cosa consistono le differenze. Le magliette che entrano in Italia Made in England, entrano in mercato parallelo, in quanto l’esclusiva della produzione e della distribuzione è affidata, con seria licenza alla ditta BETA di Verrone ( Biella), la quale svolge in Italia un importantissimo lavoro, tenendo alto il marchio e l’origine britannica.

Cavallereschi Saluti
Danta De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-10-2004
Cod. di rif: 1674
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: spolverino
Commenti:





Il Cavalier Rizzoli, che ringrazio, ha prodotto questo lavoro su un altro tema classico, lo spolverino, che volentieri propongo su questa lavagna.

Cavallereschi Saluti

Dante De Paz




LO SPOLVERINO

Lo spolverino è un soprabito leggero, per uomo o per donna, realizzato in vari tessuti e colori, da indossare in primavera. Il suo nome, però, richiama una funzione ben precisa ed assolutamente pratica, quella, in altre parole, di riparare dalla polvere. Lo spolverino, chiamato dagli anglosassoni “dustcoat”, nasce negli anni dei viaggi in carrozza, quando le strade erano dissestate e polverose. La parola nacque nel secolo XIX, dall’unione di s- e polvere. ( vedi taccuino 1124).

Gli uomini e le donne che si spostavano a cavallo sentivano assai forte l’esigenza di indossare qualcosa che proteggesse i propri abiti proprio dalla polvere, oltre che dalla pioggia o dal fango. Pare che questo capo d’abbigliamento fosse destinato soprattutto ai ricchi, gli unici che sentivano la necessità di proteggere abiti costosi e di presentarsi sempre in ordine agli occhi di chi li riceveva negli sfarzosi palazzi dell’epoca. In ogni caso, lo spolverino divenne abbastanza diffuso anche nelle Americhe, ed, infatti, i film western hanno sempre mostrato pistoleri e viaggiatori in diligenza indossare questo leggero capo d’abbigliamento. Lo spolverino poi scese dalle carrozze per salire sulle prime automobili: agli inizi del 900, infatti, i primi, coraggiosi automobilisti indossavano questo soprabito, che all’epoca era piuttosto largo e lungo fino alle caviglie poiché doveva coprire abiti e cappotti ed era allacciabile al colletto per riparare dal vento. Lo spolverino, quindi, divenne un soprabito essenziale per riparare dalla polvere e dalle intemperie uomini e donne, che completavano la propria dotazione con un caschetto di pelle e grandi occhialoni. Lo spolverino divenne così diffuso da essere anche adottato come divisa dalle compagnie di trasporto pubblico: a Milano, ad esempio, gli autisti di tram e d’autobus stavano seduti esternamente ai loro mezzi, guidando bardati con occhialoni e spolverini fin sotto le ginocchia, di colore tabacco con i bordi delle maniche e del colletto di colore blu. Come si sa, le automobili divennero più comode e lo spolverino perse la sua funzione primaria; tuttavia, rimase in uso come soprabito leggero per la bella stagione, divenendo una sorta di must per gli uomini e le donne degli anni 50 e 60. In particolare, quando l’occasione imponeva di indossare un soprabito ma il clima sconsigliava cappotti o impermeabili pesanti, lo spolverino entrava in scena grazie alla sua versatilità e leggerezza.
La sua evoluzione nel corso degli anni ha comportato l’utilizzo dei materiali e delle forme più disparate: lungo o sopra il ginocchio, per uomini o per donne, di tela o di pelle, lo spolverino continua ad essere utilizzato un po’ dappertutto. Da notare, in proposito, che a Napoli esso prende il nome di “chemise”, indicando con tale termine un soprabito leggero e comodo, quasi come una camicia, appunto. Pare che i registri delle grandi sartorie partenopee siano colmi d’ordinativi di chemise da parte d’uomini di spettacolo o della politica italiana.
Si deve anche osservare come lo spolverino abbia avuto negli ultimi anni un ruolo di protagonista nei film (soprattutto di genere western) contribuendo così alla sua notorietà ed a trasformarlo in un capo carico di significati: avventura, azione, spavalderia ed anche un certo sprezzo per le regole sociali, gli ideali spesso incarnati dai protagonisti, spesso viventi al confine tra legale ed illegale, lecito ed illecito, morale ed immorale.



Andrea Rizzoli


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-10-2004
Cod. di rif: 1675
E-mail: dantedepaz@hotmail.com.
Oggetto: macintosh
Commenti:






Macintosh.


Rispondo con questa breve, ma spero soddisfacente lavagna, alla domanda dell’amico e Cavaliere Franco Forni , a proposito del “Mac.”

Il nome Mackintosh, o Macintosh, o ancora Mcintosh, non ha importanza com’è scritto, non è semplicemente il nome di uno stemma ( in inglese coat of arm)scozzese, ma lo associamo inevitabilmente ad un altro genere di “coat”( si noti il bizzarro gioco di parole). Ecco a voi, nobili cavalieri e in particolare a Te, nobile Cavaliere Forni, la storia del Mac, come confidenzialmente è chiamato dagli inglesi il capo di abbigliamento del quale andiamo a trattare.
Piccola premessa storica.
Fin dai tempi più antichi, come già sappiamo, le famiglie scozzesi sono conosciute come clan, che vivevano , e in molti casi anche governavano, sulle terre vaste del Regno di Scozia. La storia dei Macintosh (vedi taccuini 1125,1126)si estende da Lochaber nell’Ovest fino all’intero Great Glen, di Lochness , al Moray Firth ( si ricordi che Firth è la parola inglese che vuol dire fiordo) nel Nord Est.
La storia della Scozia è piena di lotte tra clan e famiglie , tra feudo e feudo. I Macintosh avevano particolari attriti e difficoltà con i Camerino di Lo e i Macdonalds di Keppochchiel. In tempi più recenti la famiglia dei Macintosh ha prodotto uomini famosi nel campo della letteratura , dell’architettura e della medicina.
Ma veniamo ora al “nostro” Macintosh.

C’era una volta un industriale scozzese, un certo Macintosh( si noti come è scritto).

Nato a Glasgow nel lontano 1766 , sarebbe diventato col tempo un eponimo dell’ impermeabile, ed in particolare di quel genere di impermeabile che, stretto in vita dalla cintura, ha contraddistinto gran parte dei nostri Anni ’60 ( vedi taccuino 1129).
Dopo gli studi in chimica, il nostro amico si recò a lavorare nell’azienda paterna e cominciò a fare e sperimenti con la gomma per trovare un tessuto a prova di pioggia. Attraverso una miscela di gomma naturale e nafta di catrame minerale, nel 1823 Macintosh fu finalmente in grado di brevettare il primo tessuto impermeabile. I soprabiti fatti con questo tessuto furono immediatamente chiamati Macintosh o , confidenzialmente “Mac”, ma non è chiaro come il nome passò dall’uomo all’impermwabile.

I primi mac(vedi taccuini 1127 e 1128) crearono qualche problema, essendo rigidi in inverno e appiccicaticci d’estate. Fu grazie alla scoperta della vulcanizzazione ad opera di Charles Goodyear nel 1839 che fu assestato il ruolo dei mac come capo preferito per proteggersi dalla pioggia.
Naturalmente i Mac sono anche molto utilizzati nella moda femminile( vedi taccuino1130).
Spero ancora una volta di avere accontentato la curiosità dell’amico e Cavaliere Franco Forni, così come quella di tutti gli altri Cavalieri e simpatizzanti del Castello.

Inoltre, per quanto riguarda la curiosità dell’amico Forni sul trench in gabardine di lana o in altri materiali , avevo già parlato di questo nella trattazione del Classico Internazionale Primavera-Estate, dicendo appunto che per la primavera il trench si presenta in cotone, mentre è fabbricabile con la stessa modellatura in covert, gabardina di lana e tessuti beaver, con caratteristiche che permettano l’impermeabilizzazione , nella stagione autunno-inverno.


Cavallerescamente , in un caldo autunno, che ancora non ci ha richiesto di indossare dei Mac!

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 12-10-2004
Cod. di rif: 1677
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: peacoat
Commenti:




Il peacoat.

Ecco un altro capo inestinguibile e iperclassico del nostro abbigliamento inconfondibilmente sportivo: il Peacoat, o giaccone marinaro. ( vedi taccuino 1135).

A scuola, negli anni ’60, gli studenti facevano a gara a chi l’aveva più inglese, sempre a proposito di British style, ma questa volta l’origine di questa giacca non è britannica, poiché essa era originariamente un giaccone marinaro, utilizzato dalla marina americana prima della Prima Guerra Mondiale e , si pensi, tuttora in uso.

A proposito del nome, esso è probabilmente di origine olandese, una parziale traduzione del termine “pijjekker”, composto da “pij”, + jekker= giacca.

Come tutti sanno, il popolo olandese è noto per le sue abilità marinare.
La giacca è fatta di tessuto di lana pesante , un melton, per intenderci senza equivoci un tessuto tipo panno, è corta a metà coscia e a doppio petto, con caratteristici bottoni, che possono essere motivo di bella decorazione a seconda del disegno che portano. ( vedi taccuino 1136). La parolina pea ,( pisello) che sta davanti a “coat” è anche un gioco di pronuncia, oltre che di parole: la lettera “p”, in inglese si pronuncia /pi:/, così come la parola stessa, ed è l’ abbreviazione di “pilot”; infatti il peacoat è il giaccone da pilota, ma noi li chiamiamo giaccone marinaro, poiché in italiano non abbiamo la corrispondenza di parola come gli inglesi, per chiamare il pilota di aereo e il capitano di nave; dunque il peacoat è chiamato anche da alcuni, “ pilot racket”, dove pilot sta per comandante di nave.
Esso è diventato un capo molto usato anche nell’abbigliamento sportivo femminile. (vedi taccuini 1137 e 1138 ) e da bambino( vedi taccuino 1139).

La moda ha fatto a volte alcune varianti del modello classico, che non era certo nato per avere un così grande successo come capo di abbigliamento, facendone un capo un po’ più cittadino, ma le modifiche sono davvero non sostanziali( vedi taccuino 1140).

Ora siamo in Ottobre e, se ben ricordo, questo era proprio il tempo in cui, all’inizio della scuola, i primi freddi ci facevano indossare questo capo che allora era davvero di gran classe tra gli studenti , un capo senza età e senza patria, per l’appunto un classico internazionale.

Cavallereschi Saluti
Dante D Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 12-10-2004
Cod. di rif: 1678
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: IL PEACOAT,corrige
Commenti:
Alla riga 18 del Peacoat, lav. 1677, leggasi "pilot jacket" e non pilot racket", naturalmente.

Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 13-10-2004
Cod. di rif: 1680
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: rispondo al Signor Simone Ariot
Commenti:
Egregio Signor Ariot,
Grazie per le Sue domande; è sempre interessante ricevere quesiti, che portano dialogo e maggiori approfondimenti, anche perché chi scrive , magari sentendosi forte dell'argomento e dando per scontati determinati particolari, può omettere anche punti essenziali. La giacca peacoat è sempre stata tassativamente navy blue, come è di regola nel colore della Marina. Lo stesso modello è stato fatto anche in grigio e in altri colori, ma non sono gli originali.
Per quanto riguarda le competenze che Lei mi attribuisce , non sono niente altro che il frutto di continua ricerca e tanti anni " di mestiere".
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 17-10-2004
Cod. di rif: 1697
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Belstaff, in risposta al Cavaliere Carnà.
Commenti:





Egregio Cavalier Carnà,

eccomi a risponderLe alla domanda, per la quale La ringrazio, sulla giacca Belstaff.
Se questo La può consolare, Le dirò che le origini della giacca Belstaff sono abbastanza lontane, risalendo esse infatti agli anni ’20 del 900; dunque un po’ di antichità si addice anche a questo capo, la cui storia Le riassumerò in pillole.

Tutto iniziò per l’appunto intorno al 1920, quando Harry Grosberg e Eli Belovitc diedero inizio alla prima fabbrica Belstaff, la Belstaff Company, dalle iniziali di Belovitch e Staffordshire, prima sede dell’azienda.
Negli anni ’30, con la produzione di zaini di vario genere, gambali e abbigliamento impermeabile, la Belstaff divenne una società a responsabilità limitata e cominciò ad acquistare tessuti trattati, dal produttore tessile James Halstead.
Negli anni ’40, la Belstaff si unì al gruppo di società James Halstead e contribuì alla produzione di capi bellici, come lenzuola , teloni e ancora zaini.

Negli anni ’50 venne creata la tuta nera da motocicletta chiamata Belstaff Black Prince;
il modello era assolutamente all’avanguardia per quei tempi ; a questa fece seguito, poco dopo , dalla famosa Trial Master jacket, che segnò la notorietà della Belstaff come prma azienda produttrice di cotone cerato. (allego taccuino , n.1145, per chi vorrà documentarsi, qualora non avesse ben chiaro il modello di cui stiamo parlando).
Anche negli anni ’60, grazie ai volto di famosi attori , come Steeve Mc Queen o addirittura famosi rivoluzionari( come Che Guevara, il quale indossò una Belstaff per il suo viaggio dell’America del Sud), la Belstaff aumentò la sua fama.Arrivarono glia anni ’70 e la Belstaff continuò ad essere i prima linea sul fronte della tecnologia, con la produzione di alte giacche famose, come la XL1000 e la XL500, usando un materiale particolarmente avanzato, come il Belfex, unione di Neoprene e Nylon.
Negli anni ’80, dominando ormai il campo del motociclismo, la Belstaff si indirizzava alla produzione di altri capi per il tempo libero,ad es. la caccia, la pesca, l’equitazione, il golf e anche l’abbigliamento industriale.
Negli anni ’90 la Belstaff ha celebrato i suoi 25 anni , rivelandosi la più vecchia azienda per la produzione di abbigliamento nel settore motociclistico e solo dal 2000 in avanti ha raggiunto un nuovo successo come marchio di abbigliamento nel campo della moda , attraverso i nomi di famosi personaggi dello spettacolo e dell’arte ( George Clooney, Gerard Depardieu , Sharon Stone ,Andrea Bocelli)e dello sport( Giacomo Agostini).
Ha infatti concesso la licenza a svariate case produttrici di capi di abbigliamento in tutta Europa.
Dunque, egregio Cavaliere Carnà, potremmo in conclusione affermare che la giacca Belstaff, pur con tutta la sua lunga storia , non è ancora veramente un classico internazionale, in quanto la sua fama è ancora per gran parte legata o al motociclismo, e in questo caso essa rientra nella pur vasta gamma di capi tecnici impropriamente adottati nell’abbigliamento civile , oppure a un discorso di tendenza, che è sì moda, ma non propriamente , o almeno non ancora, abbigliamento del Cavaliere.
Spero di avere soddisfatto la sua curiosità, Cavaliere Carnà, e di avere in qualche modo contribuito a toglierla dall’impaccio nella scelta del “ cosa “indossare e in base a quali criteri.



Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-10-2004
Cod. di rif: 1707
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Signor Pasino
Commenti:
Gentile Signor Pasino,

leggo con attenzione le Sue osservazioni sulla lavagna 1705 del 19/10. Aziende che hanno creato internazionalità hanno ritenuto opportuno concentrarsi sul rafforzamento del nome , investendo in comunicazione , anziché nella produzione. Con questo sistema ,il loro lavoro viene svolto attraverso degli studi di progettazione, che offrono licenze ad altri produttori, con contratti di royialties sul fatturato.E' un sistema commerciale vigente da molti anni, che è stato attuato non solamente dai nomi tradizionali, ma attualmente anche dai nomi dello stilismo. E' quindi tutto vero quello che Lei dice ; il tutto porta a noi, ch siamo nostalgici sempre di un certo tipo di prodotto nella sua originalità, un senso di degrado, di confusione e di sconforto .Le licenze che prima ho citato si allargano. Oggi è difficile trovare un paio di occhiali che non abbiano il nome di uno stilista , e così anche nel campo della profumeria; evidentemente ci sono ragioni economiche che ben conosceranno gli esperti di marketing e non io; sebbene Rettore, sono affacciato a una finestra dalla quale la visuale è limitata , o volutamente limitata.
Giusto quanto Lei dice di Alpha e di Capalbio, ma... lasciamo alle cose il loro corso e teniamo alto il vessillo della Cavalleria dello stile del buongusto , per i quali lavoriamo da tempo, come Lei ha giustamente notato, in questo sito che ci arricchisce con sempre nuovi apporti e nuove osservazioni.

Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 21-10-2004
Cod. di rif: 1710
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.


Mackinac( o Mackinaw).

Il Mackinac ( o Mackinaw) (vedi taccuini 1181 e 1182 e 1183)è un doppio tessuto pesante di lana cardata , spesso rigenerata, a volte tessuta con un filo di cotone, fortemente follato e garzato , in maniera da nascondere l’intreccio sul diritto .A colori sgargianti, presenta la stessa costruzione del Melton, con l’eccezione che quest’ultimo è tinto in un solo colore., mentre invece il mackinac è battuto a quadri molto ampi, di diversi colori, con filati più grossi.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 26-10-2004
Cod. di rif: 1712
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il Parka
Commenti:


Il Parka
Nobili Cavalieri e gentili Visitatori del Castello, ecco la storia di un capo del classico internazionale che attendeva da tempo di essere tenuto nella giusta considerazione. Raccontare il parka ha reso necessarie alcune ricerche ed elaborazioni. Buona lettura!


Una bella eredità dalle culture dell’Artico.

Il Parka — giacca comoda e larga con il cappuccio- è un’invenzione che appartiene alle popolazioni Inuit,( vedi taccuino 1193) le quali vivevano nei pressi del circolo Polare Artico, nelle regioni settentrionali dell’America, prima dell’arrivo degli Europei. Adottato dal mondo non indigeno dell’America, il parka è diventato poi un capo di abbigliamento invernale famoso ovunque nel mondo. Sebbene il modello sia una creazione degli Indiani Americani, la parola parka è una parola russa, con la quale , in Russo appunto, si indica un capo fatto con le pelli di renna . Il popolo Inuit chiama il parka “anorak”; inizialmente erano la pelle di caribou ( vedi taccuino 1194) e di foca( vedi taccuino 1195) il materiale più usato per i parka, ma poi per queste belle e intelligenti giacche vennero utilizzati anche l’orso polare, il pelo di volpe, di scoiattolo, e persino le piume degli uccelli.
Indossati, come abbiamo detto, da popoli che abitavano in regioni lontane, dalla Groenlandia all’Alaska, assai prima dei contatti con le popolazioni europee,( vedi taccuino 1196) i parka avevano varie lunghezze , da metà coscia fino alla caviglia.

Lo scopo principale del parka era quello di fare caldo in quei paesi così freddi. In quelle lontane estremità delle regioni nordiche si usavano allora essenzialmente due tipi di parka: : uno con la pelliccia all’interno e l’altro con la pelliccia all’esterno. La giacca , così fatta, permetteva la circolazione dell’aria e nello stesso tempo un ottimo isolamento dal freddo. Gli Inuit realizzavano il rivestimento interno con la pelle del giovane caribou oppure con la pelliccia di foca , morbidissimi materiali. La pelliccia del caribou, , uno degli animali più comuni di oltre oceano , simile alla renna o a un grande cervo( vedi taccuin 1197) ha una pelliccia caldissima, adatta a proteggere e a resistere persino alle temperature più fredde. Qualche volta i fabbricanti di parka foderavano i capi con pelli di cormorani o puffin( vedi taccuino 1198 , 1203) , una tecnica che dava l’effetto oggi ottenuto con la piuma d’oca .
Quando interi parka venivano fatti con piume di uccelli , le cuciture venivano isolate con pelliccia di ermellino, caribou o capra di montagna , che servivano a proteggere dal vento.
La capacità di un capo di mantenere intatto il calore de corpo si annulla completamente qualora il materiale con cui è fatto si bagni, l’evaporazione infatti provoca un rapido abbassamento della temperatura corporea.
La pelle di foca ( vedi taccuino) è di per sé relativamente idrorepellente , ma i cacciatori Inuit migliorarono ulteriormente questa qualità facendo dei “copriparka” di pelle di salmone Chinook e indossando questi rivestimenti con la pioggia e con la neve.
Gli Inuit che vivevano in alcune zone mettevano insieme dei rivestimenti fatti di vescica di balena, intestini , o addirittura della pelle della lingua dell’animale. Anche se il contatto con gli Europei portò molti cambiamenti nella vita degli Inuit, i cacciatori continuarono a conservare i loro parka, e i loro rivestimenti , anche per molto tempo dopo l’introduzione dell’abbigliamento commerciale, poiché i loro capi svolgevano la funzione di scacciare il freddo e l’umidità meglio di quelli di importazione.
Il cappuccio ha poi fatto del parka l’abbigliamento ideale del cacciatore. Poiché esso era ben calato sul viso, ostacolava molto la vista e ,dal momento che era attaccato alla giacca ,non volava via con il vento così come avrebbe fatto un cappello. La confezione del parka si adattava all’ampiezza delle spalle ,rendendo possibile una vasta gamma di movimenti e consentendo al cacciatore di tirare le braccia intorno al corpo per raccogliere un po’ di calore aggiuntivo. Spesso i cacciatori si vestivano con parka fatti di pelle di caribou non solo per mantenere il calore, ma anche per inseguire i caribù stessi.
Allo stesso modo un cacciatore di foche poteva indossare un parka di pelle di foca mentre andava a caccia di quei bellissimi animali . I cacciatori Inuit usavano questo stratagemma , o strategia, se preferite, per agevolare l’identificazione con la preda ; questa gestualità serviva anche come mimetizzazione. George Best, il quale prestò servizio come ufficiale nelle spedizioni dell’inglese Martin Frobisher per localizzare un passaggio a Nord Ovest negli ultimi anni del XVI secolo, scrisse degli Inuit: “Essi sono dei buoni pescatori, e nelle loro piccole imbarcazioni e travestiti e mascherati con le pelli di foca , riescono ad illudere e ingannare il pesce, che li scambia per foche amiche e non per uomini ingannatori”.
Gli Inuit disegnavano parka femminili leggermente diversi da quelli degli uomini. ( vedi taccuino 1199).
I parka delle donne erano infatti confezionati con un sacchetto sulla schiena , all’interno, adatto a trasportare un bambino, che veniva poi sostenuto con una fascia stretta intorno al petto della madre. Questo sacchetto era denominato Amaut. Le madri portavano i loro piccoli nel sacco per i primi due o tre anni di vita. I cappucci, che erano più larghi , rispetto a quelli degli uomini , dovevano consentire all’aria di circolare e anche le spalle, più ampie, servivano alla madre per muovere e spostare il bambino e per l’allattamento al seno senza che il piccolo venisse esposto al terribile freddo.

Oggi sono in commercio molti tipi di parka , confezionati per lo più con materiali sofisticati, in primo luogo idrorepellenti, e soprattutto termoregolatori. Essi sono essenzialmente capi sportivissimi( vedi taccuini 1220, 1201, 1202), o professionali( per esploratori e ricercatori nelle zone più fredde del pianeta). ( vedi taccuini 1200,1201).
C’è però un altro genere di parka, che è diventato famosissimo per il suo utilizzo da parte dei giovani e degli studenti negli anni della contestazione giovanile, ed è il cosiddetto “Eschimo”, la traduzione modaiola di Esquimese. ( vedi taccuino 1204).
Questo surplus militare, una specie di divisa invernale supplementare in dotazione all’esercito, fu adottato dai giovani, negli anni 60, per la comodità ed anche per il costo non eccessivo con il quale esso poteva essere acquistato. Qualche artista anche, a quei tempi che paiono ormai lontani, lo indossò, manifestando così,con l’abbigliamento, la propria appartenenza politica o ideologica.
Al giorno d’oggi , molti grandi e famoso stilisti hanno rivisitato il parka tradizionale, inserendolo nell’abbigliamento casual dell’”uomo forte”. Ma la moda esasperata passa in fretta, ed esula dal nostro concetto guida , quello dei capi intramontabili, che possono essere indossati con personalità ed eleganza al di là delle mode e dei tempi, e che denotano scelte di stile, pensate con intelligenza, moderazione e gusto.
Ora che gli anni della cosiddetta “contestazione giovanile”sono lontani e che molte diverse ideologie si sono impossessate vicendevolmente dei gusti e degli stili, trascorsi anni di rielaborazione di costume e di idee, possiamo asserire con una certa approssimazione e senza tema di errore, o nobili cavalieri, che il parka, o Eschimo che dir si voglia, ( vedi taccuino 1192) è diventato un classico internazionale, scevro da implicazioni ideologiche di qualsiasi genere; è in ogni caso un capo classico, con una grande e importante storia dietro le spalle.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 26-10-2004
Cod. di rif: 1715
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavaliere Villa
Commenti:
Bravissimo, attento e coerente Cavaliere Villa,
ho apprezzato il Suo gesso n. 1711 del 25/10, relativo all'Hamilton Khaki, orologio elegantissimo, pur nel suo aspetto militarmente rigoroso, adatto oggi al tenore di vita che conduciamo, adatto quindi in molteplici occasioni. Arricchisce il polso, sdrammatizzando anche un elegante vestire. Bene, Cavaliere Villa, ha aperto la porta a un importante accessorio, con un'esposizione storicamente corretta. Prosegua!

Con stima Cavallerescamente La saluto

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-10-2004
Cod. di rif: 1717
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Parka ed Eskimo: approfondimenti
Commenti:
Eskimo.


Rispondo allo lo Stimatissimo Gran Maestro e Lo ringrazio poiché , con la Sua domanda in merito alle differenze eventuali tra Eskimo e Parka, mi offre l’opportunità di ampliare il discorso già iniziato e di sciogliere, per quanto possibile e in base all’attuale stato delle mie conoscenze sull’argomento, i dubbi su nomi e fogge.
Comincerei con il dire che , come ho scritto nella breve storia del parka, ( vedi lavagna 1712) del 26/10) che Eskimo è un nome adottato negli anni ‘60 e 70 in Europa per denominare la giacca militare dal caratteristico colore verde oliva , prevalentemente con il cappuccio e di lunghezza all’incirca fino a metà coscia , usata e indossata soprattutto dai giovani , in particolare da quelli allineati con una certa ideologia politica: contestatori, pacifisti, ribelli, anti-borghesi e via dicendo . La lunghezza , tuttavia, così come del resto anche nel parka originario, non era un elemento determinante ; non era cioè fissa, bensì alquanto variabile.
Dunque , in realtà non si può parlare di una differenza di foggia tra parka ed eskimo, in quanto il nome del capo, cioè della giacca alla quale ci riferiamo, era solamente “ parka”. Almeno così lo chiamavano i popoli che , dopo averlo creato, lo indossavano.
Ma per chiarire meglio questo concetto, vorrei soffermarmi sulla etimologia della parola “eskimo”, sperando di chiarire ulteriormente la questione.
Eskimo erano e sono, in inglese, le popolazioni indigene che abitavano prevalentemente lungo le coste delle regioni artiche e sub-artiche dell’America settentrionale e nelle propaggini nord-orientali della Siberia. Le aree abitative da essi occupate si estendevano su quattro regioni: Stati Uniti, Canada, Ex-Unione Sovietica o Russia, e Groenlandia.
La parola eskimo non è una parola esquimese. Significa” mangiatori di carne cruda”, ed era usata dagli Indiani Algonchini del Canada orientale per indicare i loro rozzi vicini, che vestivano con pelli di animali ed erano cacciatori provetti. Il nome fu poi comunemente adottato e impiegato dagli Europei e dagli stessi Esquimesi. Abbiamo già visto, nella precedente lavagna, che il nome usato da questi ultimi per chiamare se stessi era quello di Inuit. Ora ,dunque, la giacca degli Inuit era il parka e l’Eskimo non è altro, ripeto, la denominazione europea della giacca militare adottata nell’abbigliamento civile , soprattutto giovanile . Non mi risulta, per ora, che vi siano differenze canoniche nella foggia, poiché in ogni caso anche i capi militari, ( dei quali allego alcuni taccuini: n. 1207 e 1208) erano assai vari, nella pesantezza e nella lunghezza, oltre che nella composizione del tessuto.
Per quanto riguarda la coulisse in vita , la risposta è affermativa, cioè: sì, sia il parka che l’eskimo possono esserne dotati, ma nella accezione attuale, vale a dire che l’originario parka Inuit non era concepito con la coulisse, essendo esso molto spesso, per via dei materiali con cui era fatto( pellicce di grandi animali, piume e vari rivestimenti supplementari antifreddo e antiumidità, cose tutte che rendevano la giacca assai grossa e difficilmente stringibile in vita) .
L’eskimo al quale di solito facciamo riferimento è comunque quello invernale, più pesante degli altri e con il cappuccio a volte bordato di pelo.

Cavallerescamente Saluto con rinnovata stima il Gran Maestro e i Gentili Cavalieri e i Visitatori del Castello, sempre disponibile a nuovi approfondimenti e chiarimenti.

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-10-2004
Cod. di rif: 1724
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: RETTORATO e Redazione
Commenti:
IL RETTORE


Noto è l’incarico di Rettore della Porta dell’Abbigliamento , conferitomi dal Gran Consiglio del Cavalleresco Ordine , come da lavagna n. 1673 del 10/10 u.s.


PRESO ATTO


Delle parole del Gran Maestro, in merito al riconoscimento della mia autorità in Questa Sede,

DISPONGO


i seguenti nominativi, costitutivi, al momento attuale, la redazione della suddetta Porta.


VICE RETTORE: Cavaliere Ingegnere Franco Forni;
REDATTORI : Dott. Italo Borrello;
Dott. Andrea Rizzoli;
Scudiero Tommaso Carrara;
Signor Massimiliano Mocchia di Coggiola.

Questi incarichi saranno naturalmente ampliati strada facendo, con Consiglieri, Inviati Speciali e Liberi Ricercatori.
E’ sottinteso che chiunque desideri collaborare è gradito.


Saluto Cavallerescamente

IL RETTORE DELLA PORTA DELL’ABBIGLIAMENTO

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 31-10-2004
Cod. di rif: 1732
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Signor Alessandro Villa
Commenti:
Egregio Signor Alessandro Villa,

ho letto con attenzione la Sua lavagna n.1723, del 29/10.Non ritengo ,al momento, di risponderLe dettagliatamente, ma Le chiedo io, per un avvicinamento abbastanza rapido a questo complesso mondo del vestire , di rivedere tanto materiale che questo sito, nella Porta dell'Abbigliamento, ha elaborato in questi anni. Troverà discussioni, argomenti tecnici e tante disquisizioni, che aprono ai dubbi e intensificano la volonà del gusto e dello stile. Vada indietro, legga, stampi materiale e lo mediti; ci sono scritti sulle camicie, sulle cravatte , sulle scarpe, eccetera. Non è semplificativo, questo miosuggerimento, ne sono convinto; ed è bene anche costruirsi con le proprie ricerche e con lo studio.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 31-10-2004
Cod. di rif: 1733
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Signor pugliatti, sul coolbreeze
Commenti:
Egregio Signor Pugliatti,
mi riferisco al Suo taccuino n. 1216, del 28/10 u.s. E' sempre arduo rispondere senza avere visualizzato il tessuto. Dal taccuino la comprensione è limitata. Ritengo, comunque, che questo tipo di armatura sia tipica del tessuto fresco, a due o tre capi.

La Saluto Cavallerescamente

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 31-10-2004
Cod. di rif: 1734
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Letture consigliate
Commenti:
Nobili Cavalieri, Gentili Lettori e visitatori , nonché neofiti delle Nove Porte,

è con orgoglio, in qualità di Rettore di recente nomina, che segnalo e raccomando alla Vostra attenzione tre interessantissimi, colti e istruttivi lavori del Gran Maestro , articoli-saggio apparsi sui numeri 31 e 32 , cioè rispettivamente di Ottobre 2004 e Novembre 2004 , di Monsieur, e dai titoli : “Una Camera su Misura, alle pp. 130-132, del n. 31; “L’Università della Lana, alle pp. 198-205, sempre del n. 31 “ e infine “Maestri dell’Ago e del Filo”, alle pp. 96-98, del n. 32, nei quali il Nobile Maestro ci illustra prima il mondo della sartoria di qualità italiana ed europea e la Fondazione della Camera Europea dell’Alta Sartoria , e poi quello di una delle aziende leader nella distribuzione di alcune delle lane e dei tessuti più belli e raffinati del mondo e nota a tutti a livello internazionale: la Holland & Sherry, di Peebles, Scozia, un’azienda antica e modernissima al tempo stesso, dalla quale avremmo molto da imparare, sia nel campo dell’imprenditoria che in quello della cultura dei tessuti legati all’evolversi delle mode e dei costumi.
Farò dei suddetti scritti un breve riassunto contenutistico, che spero incoraggerà tutti Voi ad approfondire le tematiche trattate, e dunque a produrre argomenti validi per l’arricchimento della nostra prestigiosa Porta dell’Abbigliamento.
“ Una Camera su Misura”, illustra la genesi della Camera Europea dell’Alta Sartoria, fondata nel 1992 dal maestro sarto Luigi Gallo di Roma, il quale ne è Presidente da 12 anni, e che è nata con un obiettivo duplice e in due direzioni orientato: il primo è quello di promuovere , accrescere e rivalutare con nuovo slancio e rilancio, le abilità e il lavoro dei maestri sarti, soprattutto italiani, dopo la svolta epocale avvenuta sul mercato della confezione nelle ultime decadi del XX secolo, con la nascita della moda pronta , incoraggiando un pubblico sempre più vasto ad accostarsi con fiducia alla sartoria di qualità ( con le attuali 1500 aziende attive del settore) e , così agendo, incrementare e al tempo stesso tutelare il lavoro dei maestri artigiani e la loro categoria, pur senza porsi come forza sindacale. Il secondo, e non meno importante, quello di ungere da polo di attrazione prestigioso, a livello internazionale., per tutti gli addetti ai lavori e i comunicatori.
Il progetto , che non è un’utopia, sarà realizzato anche grazie a Internet e pare di grande interesse e concreta potenzialità.
Per questo, o Cavalieri, Io ritengo che anche il Nostro sito delle Nove porte , e nella fattispecie la Porta dell’Abbigliamento che ho l’onore di presiedere e dirigere, potrà essere ancora una volta, e sempre di più, un punto di riferimento e, in linea con quanto essa sta già facendo da tempo, un luogo di elaborazione teorica e di confronto, oltre che di aiuto, per l’incremento e la crescita della Camera Europea dell’ Alta Sartoria.


Nel secondo articolo citato, ecco la storia della famosa Holland & Sherry, l’azienda che opera nella collinare e verde cittadina scozzese di Peebles, e seleziona tessuti dei migliori fabbricanti del mondo, nella più vasta tipologia tessile, per distribuirli internazionalmente alla sartoria. Per fare ciò, l’azienda è aggiornata con le tecnologie , nonché con l’uso e lo studio dell’archivio-museo.
Il Gran Maestro spiega, con encomiabile chiarezza, i vari metodi di valutazione dei filati, da quelli usati nell’Ottocento a quelli di oggi, con esempi sulle diciture contemporanee dello spessore delle varie lane.( per intenderci, le sigle / ’s/ ); qualcuno forse ricorderà che questi concetti li avevo esposti e chiariti in precedenti lavagne monografiche , come ad esempio quella sul Golden Bale , (lavagna 1444 dell’8 /7/2004) , o la tabella della misurazione dei filati, prodotta e aggiornata dalla Vitale Barberis Canonico, ( taccuino n. 905, relativo alla lavagna 1501, che aveva come titolo: Finezza in “s” della lana). Consiglio vivamente ai lettori di impadronirsi di questi principi e canoni convenzionali, fondamentali per la comprensione delle differenze, e quindi del pregio e delle qualità dei tessuti, e utilissimi ai fini dell’acquisizione di una maggiore consapevolezza dell’acquisto e, infine e conseguentemente , di una più sicura e certa soddisfazione della propria spesa, in relazione all’oggetto da produrre o da confezionare.
Ed ecco, da ultimo, l’intervista ad uno dei sarti membri della Camera dell’Alta Sartoria, che inaugura il primo di una serie di incontri, nella linea del discorso anticipato nel precedente articolo già menzionato. L’incontro è, questa volta, con Daniele Berlusco di Asolo, conosciuto e rinomato nell’ambiente della musica, per i suoi abiti da cerimonia e i frack.
Con ricchezza di notizie storiche, ci avviciniamo ora a luoghi e persone di grande gusto e classe; per non privarVi del gusto di apprendere direttamente dalle parole del protagonista e da quelle del Gran Maestro in persona alcune nozioni fondamentali sull’elegante vestire , Vi anticipo solamente una quanto mai vera e bella affermazione, che i Cavalieri dovrebbero fare propria: “Credo che la sartoria debba mantenersi distante dai fossi scavati dalla moda, dagli eccessi e dalle esibizioni”.
A Voi dunque il resto, comprese le informazioni sull’attualità , a proposito degli “abiti a vita” ( per i non esperti è questo il modo con cui i sarti sono soliti chiamare frack, tight e smoking).

Vi invito dunque di nuovo, per una migliore e più approfondita comprensione di quanto abbozzato in questa lavagna, a leggere i saggi del Nostro Gran Maestro ed invito Il Gran Maestro in persona ad inserire nel Florilegio i suoi lavori, affinché tutti quanti lo desiderino possano agevolmente fruirne e trarne proficui insegnamenti.


Cavallerescamente
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-11-2004
Cod. di rif: 1738
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavaliere Carnà sul Trench
Commenti:
Gentile Cavaliere Carnà

La invito prima di tutto a rileggere la lavagna relativa al Trench( n. 1655 del 10/10 u. s.) e anche le citazioni dello stesso capo fatte nella lavagna del clasico Internazionale Primavera-Estate e Autunno-Inverno( n.1270 del 25/05/2004).
Senza indugio può indossare questo capo del Classico-Internazionale, forse più bello di quelli oggi fabbricati. Si potrebbe qui parlare di "vintage ", ma mi riservo questi approfondimenti in futuro.
Cavallereschi Saluti
Dante de Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-11-2004
Cod. di rif: 1739
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Precisazioni in merito al Trench
Commenti:
Mi riferivo, con la precedente lavagna, per chi non avesse guardato i taccuini, alla domanda del Cavaliere Carnà in merito all'opportunità o meno di indossare il trench del padre, mostrato nei taccuini 1229 e 1230. Approfitto per rettificare un errore di battitura, il Classico è, ahimè, venuto scritto con una sola "s". Cavallerescamente doveroso sottolineare la svista.
Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 05-11-2004
Cod. di rif: 1751
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto: Sassone
Commenti:
Dizionarietto.

Sassone

1) Termine applicato ad alcune flanelle o ad alcuni tessuti cardati lanieri molto morbidi in quanto allestiti con lane omonime. In qualche caso sono allestiti con filati fantasia simili a quelli usati nel tweed.
2) Tappeto con un pelo fortemente torto, regolarmente cimato ad altezza media.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-11-2004
Cod. di rif: 1752
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Chesterfield
Commenti:
Il Cappotto Chesterfield.


Il Chesterfield coat è un classico che appartiene agli anni ’80 dell’Ottocento .Il suo nome deriva da un Conte di Chesterfield, della grande famiglia dei Chesterfield,; il nome , come si può facilmente intuire , è un classico toponimo , vale a dire prende il nome di un luogo, Chesterfield appunto, cittadina industriale del Derbyshire, contea nel profondo cuore della vecchia Inghilterra; la parola è di derivazione latina, come del resto circa il 70% delle parole della lingua inglese , ma questo in particolare è un classico dell’etimologia: appartiene al gruppo delle parole di derivazione militare, come tutti i nomi italiani composti con “ castro”. Chester, inglese, dal latino “castra”= accampamento e field= campo, quindi luogo di sede di un accampamento romano.
A noi interessa però la genealogia del cappotto e dunque sappiamo che fu per primo un conte di Chesterfield colui il quale per primo, forse, decise di far fare al sarto un cappotto per le sue peregrinazioni cittadine, ; questo è forse dunque uno dei pochi , se non l’unico, cappotto che non porti un’origine militare, anche se il cappotto di per sé è, come capo di abbigliamento maschile, di origine militare
. Il Chesterfield è un overcoat della city; un capo tipicamente borghese e appartenente alla generazione dei gentlemen coat , un capo che i nobili cominciarono ad indossare quando dalla provincia dovevano andare a Londra per affari. Le varie versioni che di esso conosciamo, con pelo intorno al collo, o con polsini di velluto e a doppio petto anziché ad un petto solo, erano tutte varianti adottate di volta in volta a seconda delle temperature più o meno fredde delle umide, brumose e fumose stagioni londinesi.
Attualmente esso viene fatto prevalentemente in tessuto a spina di pesce ( Herringbone ) ( vedi taccuini 1247,1248,1249)ed è ancora molto popolare, anche se non sono più utilizzati gli ornamenti ai polsi e il pelo al collo. Ancora, ma raramente, è accettato il colletto di velluto, davvero raro a vedersi nelle città italiane.
Se nell’800 il cappotto Chesterfield era indossato soprattutto dai nobili e frequentemente in viaggio , oggi esso è un serio ed elegante cappotto , adatto alla professione e comunque molto cittadino. Attenzione a non irrigidirlo troppo con tessuti eccessivamente preziosi . Anch’esso, come tutti i capi del classico internazionale che partecipano della nostra ormai nota filosofia del vestire oggi, cioè agile anche quando aristocratica e disinvolta anche nella grande eleganza , deve rappresentare un dignitoso complemento dell’uomo metropolitano e non uno sfoggio di emulazione di un’imbalsamata nobiltà, che nemmeno più desidera riproporre di sé stessa un’ammuffita immagine di un improbabile quanto fuori luogo Sherlock Holmes dei nostri tempi.

Cavallereschi saluti

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 07-11-2004
Cod. di rif: 1753
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: British Warm e Covert.
Commenti:
IL British Warm



Il British warm, caldo inglese , bella definizione , per un cappotto dalle origini militari, e che quindi non tradisce per nulla la tradizione dei coat, ma che è anch’esso diventato un classico internazionale alquanto popolare. E’ un cappotto di taglio militare, come per altro era in origine e come già dicemmo nel dizionarietto omonimo dello scorso 1 settembre 2004, ( lavagna 1563), realizzato prevalentemente in pesante lana melton.
Anch’esso è molto utilizzato in ambito civile pur avendo origini militari.



Ecco uno di quei capi che, pur provenendo dall’alta sartoria, si può trovare anche in ottime confezioni. Il cliente attuale può dunque con agio acquistarlo confezionato, oppure commissionarlo al proprio sarto di fiducia, tenendo ben presente alcuni canoni: a) i bottoni sono tassativamente in pelle, con tagli angolari ;
b) il colore originale è il cosiddetto “dark drab”, una miscela di grigio e marrone che dà origine ad un classico color tortora;
c) il tessuto più adatto, nonostante qualche variante, a volte ammessa, è il melton , della pesantezza di circa 950 al metro.
E’ un capo molto elegante, nella accezione di “giusto ed adeguato a svariate situazioni”; può migliorare la figura e il portamento di chi lo indossa, poiché la foggia crea una certa importanza, con le mostrine e il doppio petto, adatta pertanto e nascondere eventuali difetti, nel suo colore facilmente abbinabile ; ed abbastanza sostenuto nella vestibilità, a seconda di come viene indossato può essere austero o semplicemente elegante.
( vedi taccuini 1253).

Nella versione corta e ad un petto , il Chesterfield pare risolversi nell’altrettanto famoso covert, ( taccuino 1256) che però si distingue dall’illustre parente per il tipo di tessuto da cui prende il nome, il covert appunto, leggero twill polistagionale ( vedi taccuini 1250, 121, 1252) ed anche, a voler essere precisi , dalla foggia stile riding. Ricordate , ( e Vi rimando gentilmente alla lavagna 1563), ne parlammo già qualche tempo fa , dell’origine sportiva di questo capo? Era adatto all’equitazione e alla caccia. Ricorda un po’, in lunghezza , le settecentesche marsine, ma non ha affatto svasature.
E’ agile e cittadino. IL tessuto ( vedi taccuino 1253)mostra la levità e le diagonali senza timore, se twill.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 07-11-2004
Cod. di rif: 1755
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo Al Vice Rettore
Commenti:




Rispondo al Vice Rettore Cavaliere Forni.

Rispondo al Nobile Cavaliere Forni, Vice Rettore di questa onorata Porta. Conosco il colto e importante guardaroba del Cavaliere e posso dire che il sarto Primario che gli ha confezionato il paletot ha visto giusto ed ha ritenuto giustamente di proporre un classico paletot a giacca, tradizione sartoriale italiana( scuola abruzzese), con bottoni esterni, variante sartoriale non solo molto ben accetta e ammessa, ma in questo caso ancor più giusta e doverosa, nonché adatta alle esigenze dell’occasione elegante, in quanto, non nascendo il il Chesterfield come cappotto da sera, ha richiesto ,in quella sede, l’opportuna modifica. Il bottone a vista è elegante, e un cappotto siffatto può essere indossato anche sopra lo smoking.

Un Saluto Cavalleresco

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 10-11-2004
Cod. di rif: 1766
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo Al Cavalier Barone.
Commenti:
Gentile Cavaliere Barone,
Ti ringrazio per l’interesse riposto alla mia lavagna n. 1752 , relativa al Chesterfield. Coat. Rispondo alle Tue domande, sottolineando innanzitutto che il Chesterfield coat si presta alla realizzazione con vari tessuti , non essendo nato come cappotto elegante, ma essenzialmente da giorno.
L’herringbone, o spina di pesce, è un disegno , che possiamo trovare in tessuti di vario tipo adatti a questo soprabito. Sta di fatto, comunque ,che questo modello è realizzabile in qualunque tipo di tessuto.
La mia affermazione ,di non irrigidirlo con tessuti troppo preziosi, tendeva alla coerenza, per mantenere in questo capo la sua disinvoltura nella quotidianità.
Ciò non toglie, però, che lo stesso modello , realizzato con bottoni esterni e con tessuti preziosi,( cashemere blu o grigio fumo), possa essere indicato per occasioni eleganti o da sera. Per questo ti consiglio di leggere le lavagne n. 1754 , dove troverai le domande poste dal cavaliere Franco Forni,Vice Rettore, e la mia risposta sulla lavagna n. 1755.
Spero di continuare a sentire in queste lavagne i tuoi interessanti quesiti, e perché no ,qualche tua personale esposizione.


Nel frattempo Ti saluto Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-11-2004
Cod. di rif: 1769
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Field JacketLa Field jacketLa Field jacket
Commenti:
La Field jacket

Questa è la storia di grandi uomini, o meglio di un grande uomo della storia del XX secolo, il Generale Eisenhower.
Cavalieri, Vi appassionerà, ma perché mai? , direte; l’uomo ama imitare i suoi simili, con l’arte imita la natura, ; dai fatti della storia e purtroppo anche dalla guerra, il mercato in tempo di pace ha preso tante belle idee: la Field Jacket è una di queste .
Il nome , come si può intuire, vuol dire giacca da campo, cioè da campo di combattimento.
Era il tempo delle II Guerra Mondiale : la popolare immagine del Generale Dwight Eisenower lo ritrae mentre indossa una ben confezionata giacca corta in vita e veramente bella a vedersi,( vedi taccuino 1275, 1282,1283), una giacca sartoriale, che porta il nome ufficiale di Wool Field Jacket M-1944.
Le truppe la conoscevano come ETO jacket, ( European Theatre of Operation), più comunemente chiamata IKE Jacket.


Ma questa non è veramente ancora la field jacket che ci interessa, quella cioè che è diventata un classico internazionale, ne è però l’antenato illustre, dal quale la più conosciuta field jacket, quella un po’ più lunga , con la coulisse in vita, discende. E’, in sostanza, l’antesignana di tutte le field jacket.

Vari passaggi ci portano a questa giacca.
La giacca indossata dal Generale Eisenhower era infatti troppo lussuosa e ben fatta oer essere comodamente indossata sul campo.
Il Maggiore Parson disegnò infatti un’altra giacca un po’ più lunga, che da Lui prese il nome di Parson’s jacket. Assomigliava abbastanza ad una giacca a vento civile, fatta in cotone caki e popeline, con interno di flanella. ( vedi taccuini 1276 e 1277).

Il soldato americano era entrato in guerra con un ‘uniforme che era in realtà un’evoluzione di quella indossata già durante la Prima Guerra Mondiale. Questa uniforme di servizio , la M 1941, si era dimostrata non troppo efficiente, anzi piuttosto povera. Per superare gli inconvenienti e i difetti di questa, l’Esercito adottò l’Uniforme da combattimento invernale . La nuova divisa consisteva in una nuova Jacket 1943, fatta con tessuto di cotone idrorepellente e pantaloni dello stesso materiale. Il suo taglio consentiva una completa libertà di movimento, e quindi la giacca poteva essere indossata sia da sola, che comodamente anche in combinazione con altri capi nello stesso tempo e uno sull’altro, come per esempio strati di biancheria di lana, camicia d lana, maglione a collo alto e così via. Questo fatto consentiva anche un’altra grande difesa, quella contro l’umidità, che è in certi casi, insieme con il freddo , una miscela esplosiva per il disagio del corpo. Questa idea della possibilità di vestirsi e difendersi dal freddo per mezzo di strati diversi è diventata poi a sua volta una moda, tramandata poi alla field jacket stessa, la quale può essere oggi acquistata anche con un corredo di interno trapunto o quilted, che ha la possibilità di essere messo e tolto all’occorrenza e a seconda delle temperature più o meno rigide.
La Field Jacket che indossiamo oggi la possiamo acquistare sia nuova, da aziende che hanno avuto licenze per produrla, oppure la possiamo trovare nei vari mercati e mercatini vintage, a prezzi più o meno alti, a seconda dello stato di conservazione .( vedi taccuini 1278,1279,1280)
Il tipo nuovo più simile a quella originale è sempre in colore vede oliva, con esterno prevalentemente in cotone e coulisse in vita.
E’ diventata un classico internazionale , la madre di tutti i capi da città a carattere sportivo, in sostanza la madre di tutti gli sportwear.


Cavallereschi saluti
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-11-2004
Cod. di rif: 1770
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Field Jacket
Commenti:
La triplice anafora nel titolo la Field Jacket non è un artificio retorico per evidenziare il tema, che per altro è molto interessante, ma un semplice errore di battitura.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 13-11-2004
Cod. di rif: 1771
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto .


Seersucher: tessuto medio-leggero in cotone o fibre chimiche con armatura tela o crespo con righe a pieghe ottenute alternando fili d’ordito a torsione soffice e forte: solitamente i filati i ordito sono tinti allo scopo di far risaltare meglio le righe. Esistono anche materiali d’imitazione goffrati o trattati chimicamente per ottenere le righe a pieghe suddette. Usato per abiti estivi maschili e femminili e per sovraccoperte da letto.

Suede 21:



Marchio di fabbrica giapponese per un tessuto imitazione pelle di daino, immagliato con filato bicostituente al 75% microfibre poliestere e al 25% nylon microfibre , rifinito con schiuma poliuretanica. La mano assomiglia a quella della pelle d’antilope. ( vedi taccuino 1297).

Cavallereschi Saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-11-2004
Cod. di rif: 1772
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Paddock Jacket
Commenti:
La Paddock Jacket:


E’ questo un classico internazionale che si allinea con i capi del gruppo country.
Finora infatti, come avrete notato, Cavalieri, lettori e simpatizzanti, ho narrato storie che potrebbero essere raggruppate in due filoni principali, o forse tre e da questi derivano all’incirca tre grandi generi di abbigliamento, o meglio ancora , tre tipi di capi di abbigliamento: quello militare, quello nobiliare e quello borghese . A sua volta quello nobiliare si divide in nobiliare di città e nobiliare di campagna. Ci sarebbe un altro filone importante, un po’ separato dai precedenti, quello dello sport. Ma andiamo con ordine. Al primo gruppo, come già sapete o avrete intuito, se avete dato una scorsa alle lavagne di questa porta sulle monografie del Classico internazionale , appartengono tutti o quasi tutti , i cappotti; al secondo , invece, gran parte della maglieria, e parecchie giacche., al terzo, infine, tutti o quasi tutti i pantaloni e le scarpe.
Del resto l’Inghilterra, la creatrice del tanto amato British style, è la patria del bicameralismo, è la nazione nella quale la nobiltà fu scalzata nel suo potere non da una rivoluzione violenta ma da una rivoluzione politica , ancora prima che la borghesia francese attuasse il proprio progetto rivoluzionario di “ghigliottinare” la nobiltà. Come è noto, la Rivoluzione Parlamentare del 1649 in Inghilterra diede inizio ad una nuova era nella storia della Monarchia Inglese e anche in quella , come dicevamo poco fa, del Parlamento e delle sue due Camere.. La Camera del Lord ( House of Lords) fu da allora affiancata, e sovente osteggiata , da quella dei Comuni( House of Commons).
Ricordiamo tuttavia che anche la Francia gioca un ruolo importantissimo nella storia del costume occidentale; del resto qualche piccolo accenno di ciò lo avete avuto leggendo alcuni taccuini, quello ad esempio sulla redingote, la cui genitrice risulta essere la marsina settecentesca. Ma procediamo per gradi in questa nostra storia del costume.
I Landlord inglesi vivevano quasi sempre nelle grandi Estate, o tenute di loro proprietà, e si muovevano periodicamente per andare a curare i loro interessi in città. La moda dei nobili era sfarzosa,lo sappiamo: broccati, pizzi, velluti; questo nel Settecento; nell’Ottocento: lane finissime, cotoni pregiati, mussole e seta e ancora pizzi: I nobili non lavoravano , ma si dedicavano a svariati sport, : l’equitazione, la caccia, la pesca; e queste abitudini continuarono per tutto l’Ottocento e poi anche nel Novecento e così gli Inglesi sono famosi ancora oggi per la loro Horse mania e per tutte le attività e le mode sportive connesse all’equitazione o alla passione per i cavalli. C’era poi la servitù ; una parte di essa era addetta alla manutenzione dei cavalli. Veniva per questo cercata bassa manovalanza di origine irlandese. Come si sa , tra Inglesi e Irlandesi non corse mai buon sangue e questi ultimi sono sempre stati considerati un popolo dalle origini umili , e come tali trattati, fino a tempi recenti, nei quali gli estremismi e le ideologie anche vagamente razziste si sono un po’ammorbidite.

E così potremmo continuare e continueremo, ma non in una sola puntata. Qui è l’abbigliamento da lavoro o semi sportivo ad essere coinvolto. Paddock è infatti il recinto nel quale possono passeggiare i cavalli e la paddock jacket è una comoda giacca trapunta, preferibilmente in colore brughiera , verde o marrone. ( vedi taccuini 1304, 1305, 1306,1307). E’ giusta per l’equitazione, non è pesante, si indossa senza alcun impegno; ha due spacchi laterali che consentono la semiapertura sui fianchi. Può essere confezionata anche in canvas ( vedi anche dizionarietto corrispondente) oltre che in cotone pesante o fustagno. E’ anche possibile una fodera interna in flanella .
La paddock jacket , uscita dal maneggio, è diventato un indumento di praticità quotidiana ed è presente nei nostri guardaroba, in varie versioni .
In sostanza sono le quilted jacket ( giacche trapunte, vedi anche lavagna n. 1270 del 25 maggio 2004, e taccuino relativo, n. 562) ,che hanno con vari marchi riempito il mercato.
Ripetiamo, in conclusione, che alcuni capi, ormai classici, provengono dall’ambiente e dalla tradizione dello sport. Se oggi abbiamo parlato della paddock, che viene dall’equitazione, vedremo tra non molto un altro capo che è divenuto un superclassico internazionale, la waxed jacket, ( giaccone oleato o cerato, vedi anche lavagna 1270, del 25/05/04 e relativo taccuino 560) ,che nasce nel cuore del più vero British Countryside, sia per il colore che per la lunga tradizione che esso richiama, quella cioè della caccia o della pesca, e per questo è chiamato rispettivamente shooting jacket, o fishing jacket.


Vi auguro una piacevole e cavalleresca lettura e ,come sempre, Vi saluto Cavallerescamente .

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 15-11-2004
Cod. di rif: 1773
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.


Shantung.

Tessuto ad armatura tela con un effetto a costine realizzato con filati di trama fiammati: infatti, ad alcuni tratti di questi filati non viene applicata la stessa torsione che sussiste nel filato normale, in maniera che essi formino le costine con detti ingrossamenti. E’ allestito con seta, cotone, raion od altre fibre sintetiche . E’ meno lucente , più pesante e più ruvido del pongee.Talvolta viene usato per descrivere una variante pesante di pongee prodotta in Cina , chiamata pur Nanchino, rajah o tussah.



Shetland.
Tre diversi materiali si chiamano così: 1) originariamente un tessuto molto soffice in quanto garzato, allestito con lana delle isole omonime, solitamente con armatura spins di pesce; 2) una maglia molto morbida allestita con lana shetland. 3) un tessuto a maglia con mano morbida , imitante la seconda , ma che non contiene lana shetland.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2004
Cod. di rif: 1775
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dal Classico Internazionale al Classico Contemporaneo.
Commenti:


Dal Classico internazionale al Classico contemporaneo.




Nei miei studi recenti ho elaborato un concetto che a molti è parso interessante e che a tutti è ormai familiare, essendo divenuto la pietra miliare e il concetto cardine di tutte le nostre riflessioni di questi mesi: quello del classico internazionale. Esso consiste, come sappiamo, in un modo di vestire e in un atteggiamento nei confronti dell’abbigliamento che tende , da una parte a conservare gli elementi base e fondamentali del vestire classico, dall’altra parte, invece , ad estrapolare ed eliminare da esso tutto ciò che contribuisce ad un irrigidimento dei canoni, rendendolo vecchio, obsoleto e fuori moda, oltre che antiquato e non adeguato ai tempi. Intendo ,quindi, il classico un modo internazionale di accostare i capi restando attenti alla grandissima evoluzione del mercato degli ultimi anni . Tessuti, fogge, mode e modelli, attraverso la comunicazione di massa, tendono sempre di più a rendere l’uomo sottomesso ad un’immagine che rischia di farne un manichino, qualcuno che tende ad emulare ed imitare qualcun altro: attori, uomini politici eccetera. IL classico internazionale invece, che qui vorrei anche definire con il nuovo appellativo di contemporaneo e ridefinire come “classico internazionale contemporaneo”, è , al contrario, un modo di vestire intelligente, che tiene conto della professione, del luogo, delle abitudini, del contesto sociale, culturale ed anche , perché no, geografico, nel quale l’individuo è inserito, togliendo al classico vero e proprio tutto ciò che ostacola la disinvoltura e la naturalezza del vestire , e rispettandone, invece, alcuni dati, quali ad esempio la qualità dei materiali e della confezione. Altro ancora ci sarebbe da dire; voglio precisare che questo concetto non è altro che una ripetizione di tanti concetti già espressi durante la trattazione di questo tema, ma non mi stancherò mai di ribadirli e sottolinearli, al fine di intensificare l’idea che il classico internazionale ,come ho detto, se giustamente interpretato , può diventare classico contemporaneo.

Cavallereschi Saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2004
Cod. di rif: 1777
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Sig. Paolo Tarulli sulla Flight Jacket.
Commenti:
Gentile Signor Tarulli,
un grazie per il Suo interessamento e per le nozioni apportate che ampliano l'argomento della Field Jacket. Per quanto riguarda la Sua domanda sulla Flight Jacket A2 , Le ricordo che su questa Porta l'argomento fu trattato dal Cavalier Andrea Rizzoli, il quale Le risponderà in merito. Intanto Le suggerisco di rileggere la lavgna n. 1628 del 22/09//04 e i relativi
taccuini , indicati nella lavagna stessa.

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 28-11-2004
Cod. di rif: 1785
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:





Dizionarietto.


Gauge.

E’ sinonimo di finezza.
Nella maglieria ,termine che indica la dimensione del punto maglia; più è grande il valore e minore è la dimensione della maglia. Questo valore viene determinato dal numero di aghi presenti in un certo "campo": nella maglieria circolare, per esempio, è il numero degli aghi in 1 pollice (1 inch = 2,54 cm).

Interlock.


Lavorazione a maglia nella quale si alternano aghi lunghi e aghi corti.
Tessuto a maglia in trama realizzato su macchine bifrontura dove due serie di aghi lavorano in posizioni opposte e precisamente a "maglie incrociate". E' una variante del jersey, ma presenta minore estensibilità e quindi è più adatto ad essere tagliato. Non si arriccia agli angoli. ( vedi taccuino di riferimento 1321).

Maglia Inglese.

Tipo di punto a maglia caratterizzato da elevata voluminosità, morbidezza ed estensibilità rispetto ad una normale maglia a coste della quale è un avariante.


Cavallereschi saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-12-2004
Cod. di rif: 1810
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Breve Storia della maglieria. PRIMA PUNTATA.
Commenti:




Breve storia della maglieria.


Prima puntata.



Non si può parlare di storia della maglieria senza parlare di storia e arte della tessitura. Vi ricordate le precedenti e passate lavagne nelle quali parlammo del jersey n. 1475 del 19/07/04) o dello shetland ?
Allora parlammo dei filati e di come si ottenevano particolari consistenze di maglie lavorate in un certo modo, con appositi macchinari, da apposite fibre, naturali e artificiali.

Qui, invece, desidero fare una breve narrazione, che attraverso i secoli, ci guida e ci accompagna fino alla moderna maglieria, quell’importane complemento della confezione dei tessuti che rende il nostro vestire più comodo, confortevole, caldo, e il più delle volte pratico. La maglieria di oggi è un’acquisizione abbastanza recente.
Risale infatti alla seconda metà dell’800 la possibilità, tramite appositi telai, di produrre le maglie, sia intime che da abbigliamento, che andranno a sostituire quelle fatte a mano, per intenderci con i ferri. Non tutti forse sanno che nel Medioevo il lavorare a maglia, con ferri di legno rudimentali, era occupazione non solo delle donne ma anche degli uomini, e soprattutto nelle campagne. Era in sostanza un passatempo da poveri. I soldati erano vestiti con cotte di maglia.

Ma la storia è ancora più antica.

La maglia, intesa come arte di intrecciare fili, è un’arte antica quanto la tessitura, ma l’utilizzazione delle maglie a scopi specifici e in scala più grande ,si deve far risalire all’inizio dell’età medievale.
La milizia è il luogo di origine delle prime tuniche di maglia, le quali costituivano una sorta di rete protettiva contro i dardi e i giavellotti da combattimento o da torneo, insomma una corazza quasi impenetrabile, fatta di elastici anelli .
L’armatura ad anelli di ferro ha una datazione molto antica; reperti archeologici attestano l’uso di questa protezione fin dal IV secolo dell’era volgare. I Romani ereditarono questo genere di armatura dai Celti, che ne erano esperti fabbricanti. Consideriamo che la maglia di ferro era assai efficace per i colpi da taglio, e meno efficace, come potete facilmente dedurre, per i colpi da punta.( vedi taccuino 1325).
Abbiamo già visto, nella lavagna n. 1598 del 10/09/04 sul Duffle Coat l ‘uso della cotta di maglia, l’abito del Cavaliere. Ricordo questo precedente studio perché è mia intenzione dare un taglio storico alle ricerche in corso.

Non si deve tuttavia pensare alla maglia nata in ambito militare come ad una rozza corazza solamente utile . Poiché infatti l’Italia si è da sempre distinta per la propria arte , anche in epoca medievale , e poi ancora nel Rinascimento, persino capi apparentemente rozzi e guerreschi dovevano rispondere a canoni di bellezza, o quantomeno di gradevolezza.

A questo proposito consiglio a Voi tutti, Cavalieri , lettori, frequentatori del nostro Castello , alcune letture. Comincio Ora con l’indicazione di un libriccino, apparentemente esile, ma di contenuto consistente: Paolo Lombardi, Maglia, Maglietta, maglione, Idea Libri, Milano 1985, nel quale potrete ritrovare utili indicazioni, che forse già conoscete per averle lette su queste lavagne nel corso degli ultimi mesi; storie di tessuti, ma anche di costume, magistralmente raccontate nella loro essenzialità.
Il percorso che ci conduce dalla maglia militare a quella civile è interessante ,in quanto consente di proseguire il filone di ricerca che in fase embrionale avevo schematizzato in occasione dello studio sulla Paddock Jacket.( Lav. 1772 del 14/11/04).
Dissi allora che siamo in grado di dividere , in base agli innumerevoli studi di storia del costume , alle indagini storiche e ad opportune riflessioni, i capi di abbigliamento in tre grandi generi o branche: quello nobiliare, quello borghese, quello militare, ( non ultimo questo, per importanza). Quello nobiliare a sua volta si divide in nobiliare di città e nobiliare di campagna. C’è poi il filone dello sport, che però è acquisizione molto più recente ed ha un percorso abbastanza differente dai precedenti.
Riflettendo ancora su questa divisione, che mi sento di definire con certa approssimazione corretta, dico che la maglieria ha una storia tanto antica da rendere più tortuoso e variegato il percorso da essa seguito, fino alla moda vera e propria del XX secolo e oltre.
Riprendo ora per l’appunto quel discorso , anticipando anche che, d’ora in poi, sarà questa l’impostazione che darò agli studi sul vestire : collocare una moda nella corrispondente accezione di modo di vestire, costume dell’abbigliarsi, uso consolidato di determinate abitudini, legate a una tradizione precedente e destinate a restare nel tempo, senza temere gli assalti distruttivi delle esigenze immediate del mercato di massa.
Avrete notato come il dipanarsi delle tante storie dei capi del classico internazionale abbiano seguito questa filosofia, intrinseca nella scelta stessa dei capi che classici sono e restano, senza la corrosione del cattivo gusto e l’involgarimento dei tempi che corrono.

La maglia, secondo la divisione storica che abbiamo proposto, appartiene ai filoni militare , borghese e popolare.

Di quello militare si è appena parlato.

Al filone popolare appartiene la genesi della maglia delle modeste classi sociali delle isole britanniche. Basti pensare alle famose Shetland , sulle quali apriremo un’altra parentesi di carattere etnografico, non qui, a tempo debito.
Al giorno d’oggi le Shetland, ( vedi taccuini 1323,1324) delle cui greggi siamo abituati ad indossare lane calde e famose, sono un arcipelago di benestanti lavoratori specializzati, che hanno alle spalle ben 5000 anni di storia e che proteggono la loro fauna , così come la flora , il lavoro, la gente e il paesaggio servendosi di una moderna politica economica degna di un paese altamente civilizzato.


Ciò che ha fatto della maglieria una moda dei nostri giorni sono le invenzioni tecnologiche della seconda metà del XIX secolo, cioè i vari tipi di telai, che hanno velocizzato e rivoluzionato il precedente lavoro manuale.
Nel XX secolo poi, con il perfezionamento e la grande specializzazione e automazione delle macchine, la lavorazione a maglia ha consentito di invadere il mercato con infiniti prodotti, di ogni tipo e prezzo, dalle maglie più raffinate a quelle più a buon mercato.


Fu nell’età moderna, dunque nel ’400,’ 500 e ‘600 che si assestò, nel Nord dell’Europa, la tradizione di creare maglie per i marinai delle innumerevoli isole; contemporaneamente continuava , in alcune isole dell’arcipelago britannico, l ‘antica usanza delle maglie come segno distintivo dei vari clan. Ne abbiamo un esempio negli Aran, ( vedi taccuino n. 1322), i noti maglioni per lo più di colore bianco, che con i loro caratteristici disegni e schemi geometrici in rilievo sono il corrispondente dei tartan dei clan della Scozia. Essi derivano il loro nome dalle Isole Aran , un gruppo di isole, per la verità un piccolo arcipelago , ( vedi taccuino) caratterizzato dallo splendido paesaggio verde –azzurro dei prati e del mare e dal bianco delle scogliere, le cui tre isole maggiori, Inis Moir, Inis Meain e Inis Oirr, sono oggi più che mai meta di pellegrinaggio turistico originale e davvero speciale.

Certo, immergersi in questa nordica , fredda e silenziosa atmosfera marina, lontana dal mondo natalizio ricco di sfavillanti diletti, suona un po’ fuori moda, ma tale è la tradizione degli aran, proprio perché tutto ciò che è moda è sinonimo di fugacità. Dovremmo a questo punto aprire una non breve parentesi, cosa che farò nei prossimi giorni , su ciò che svanisce va e ciò che resta della moda; su ciò che può essere considerato moda è ciò che invece è veramente costume, usanza e reale cultura. Vi basti ora, Cavalieri e frequentatori, un breve accenno al costume delle Isole piccole -grandi isole al confine con la Penisola Scandinava , a Ovest dell’Irlanda.
Gli Aran irlandesi sono , come abbiamo detto, il corrispondente dei Tartan scozzesi. ( vedi taccuini 1326, 1327).
Molteplici, anzi moltissimi disegni, realizzati con lana naturale, testimoniano la sopravvivenza di un’arte antica e non influenzata dalla moda occidentale cittadina
Le maglie erano inizialmente grosse e rozze. Con l’affinarsi delle tecnologie e l’accresciuto benessere della popolazione anche la lavorazione ha proficuamente risentito del progresso nelle varie lavorazioni.

Passiamo ora a qualche tecnicismo forse un po’ noioso e tuttavia utile per orientarsi nell’immenso mare del mercato della maglieria.



Facciamo qualche FAQ(Frequentlly Asked question).
Che cosa si intende per maglieria o maglia?
Per tessuto a maglia o semplicemente maglia si intende un intreccio di filo, ottenuto con ferri, uncinetti o macchine per maglieria, nel quale il filato forma delle anse o boccole, allineate una di fianco all' altra a costituire una riga o rango, in modo che un insieme di ranghi realizzi una rete continua di fili curvilinei.
Che cos’è il gauge?

Possiamo rispondere a questa domanda che il gauge per la maglia è tutto.
Il gauge”” è” la maglia. ( Vedi taccuino 1328).E’ chiamato anche “tensione, e molto semplicemente indica il numero di punti per pollice di maglia in lavorazione. Più il gauge è alto, più la maglia è fine e potete facilmente comprendere il perché. Un pollice(inch) sono 2,5 cm. Provate ad immaginare 12 o 16 punti e 6 punti lavorati nel medesimo spazio. L’effetto sarà totalmente differente, non vi pare? Ma su questo occorrerebbe soffermarsi molto, per parlare delle varie lavorazioni. Ogni cosa a suo tempo. Naturalmente più grosso è il filato, più grosso sarà lo strumento da usare, e quindi meno punti saranno necessari per riempire quello spazio di 1 pollice. Più sottile è il filato, più sottile lo strumento e quindi maggiore il numero di punti necessari per riempire lo spazio di 1 inch.

Fine della PRIMA PUNTATA.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz













-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-12-2004
Cod. di rif: 1818
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Matrimonio estivo.
Commenti:
Egregio Dott. Alberto Longo,

in risposta alla sua lavagna n. 1806 del giorno 1/12/04 , innanzitutto mi complimento con Lei per il bel prologo. Dopo il suo eloquente esordio non mi resta altro che donarLe volentieri alcuni consigli.
Ho bene interpretato l'ambiente, me al di là di tutto, è opportuno seguire le regole:ossia, abito tassativamente blu scuro . Per il tessuto: kid Mohair, tropical da 200 grammi, pettinato leggerissimo.Un petto solo va bene.
Tasche a filo, pantaloni senza risvolto.
Spero di avere dissipato i Suoi dubbi e La saluto Cavallerescamente

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 06-12-2004
Cod. di rif: 1819
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Camicia Rosa
Commenti:
In relazione alla Lavagna n. 1783 del 23/11/04 , vorrei dire che le Parole del Vice Rettore e Cavaliere Ingegnere Franco Forni mi riportano ai tempi nei quali il buon gusto era generalizzato e tante visioni mi appaiono come risveglio della memoria. Questo vuol dire che il nostro Sito, e le domande che in esso vengono poste,sono sempre stimolanti e costruttive e contribuiscono a fortificare il Castello, rendendolo superiore
La camicia rosa, a mio avviso ,è un classico internazionale nel tessuto Oxford e pin point. Nei twill e nei voile l'asserzione certa è più labile, e comunque rimanda alla scelta e al discernimento personale di ciascuno.Ricordo inoltre che la camicia rosa è assai difficile da abbinare al proprio incarnato. Occorre quindi conoscere molto bene se stessi e sapere se questo colore è sopportabile.
Il Tuo babbo avrà saputo sapientemente abbinare camicia , cravatta e abito.
La camicia rosa è in ogni caso da giorno e non esistono per essa occasioni definite e particolari.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 13-12-2004
Cod. di rif: 1832
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Camicia viyella
Commenti:
Egregio Cavalier Villa,

sarò un grado di rispondere alla Sua domanda in merito alla viyella e alla sua storia, ma è fondamentale che io sappia di quale disegno sono le camicie da Lei ritrovate. Le pongo pertanto una richiesta, in base alla risposta della quale sarà possibile risolvere ogni quesito: mi mandi nel taccuino, o nella mia e-mail , le fotografie di dette camicie.

Nell'attesa Le porgo Cavallereschi Saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-12-2004
Cod. di rif: 1835
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Dottor Longo
Commenti:
Egregio Dottor Longo,

ho letto con attenzione la Sua lavagna
1833 del 14 /12/04: giuste le considerazioni , ma su questi pesi leggeri ho tantissime perplessità, tessuti molto adatti alla confezione, meno alla sartoria. Per quanto riguarda la finezza degli 11,8 micron la invito a soffermarsi sulla mia lavagna n. 1444 dell'8 luglio 2004, relativa al Golden Bale .

Sempre con stima La saluto Cavallerescamente

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 14-12-2004
Cod. di rif: 1837
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: waxed jacket
Commenti:




LA WAXED JACKET: ABBIGLIAMENTO SPORTIVO: CAVALLO, CACCIA, PESCA.

Riprendiamo, fedeli cavalieri, il racconto-narrazione sulla storia del costume, e continuiamo a parlare di un capo nato abbastanza di recente, prodotto alla fine del XIX secolo da aziende specialiste del settore caccia e pesca..

Abbiamo ormai detto ,in più di una occasione, che l’abbigliamento non è solo moda, ma costume, modo di vestire, che si consolida con l’abitudine e le usanze delle varie classi sociali. E’ il caso allora di definire la waxed jacket come “ giacca di pescatori, marinai, naviganti, ma anche di tranquilli signori di campagna e indaffarati uomini di città.

Come tutti i capi del classico internazionale, infatti, l’origine è definita e circoscritta, l’uso invece molteplice e vario.

Resto perplesso in merito all’uso dei capi tecnici fuori dal proprio contesto. Tuttavia lascio ad ogni cavaliere la libertà di giudizio.

Chi non ha mai sentito parlare della passione britannica per la caccia, ( vedi taccuini 1363 e 1364 e 1365 ) per il cavallo, per la pesca?. Nulla avrebbe in questo campo potuto insegnare la nostra bella e cara Italia, non avvezza a passatempi del dolce far niente ,e molto più preoccupata ad uscire da un’atavica e dolorosa miseria.

Per quanto le povere genti dell’Italia contadina dell’800 ,e di una parte del ‘900, abbiano insegnato a lungo un dignitoso stile, che per esempio nelle giacche a grandi tasche delle cittadine del Sud e nei cappelli di ogni foggia sono di esempio a molta parte del monotono abbigliamento contemporaneo, uniformato in inutili divise da città, tuttavia questo costume non è stato sufficientemente forte da imporre una vera e propria moda, ad eccezion fatta per il ricco e intellettualmente florido periodo del Neorealismo italiano, quando alcuni personaggi del cinema di allora diedero il via a vere e proprie mode. Si ricordi, ad esempio , il famoso monello triste, Sciuscià , di Roberto Rossellini, o i larghi pantaloni e le dignitose giacche, che furono poi effettivamente indossate da civili e uomini dello spettacolo.


La waxed jacket è un capo del classico internazionale entrato a far parte prepotentemente del nostro guardaroba come valida protezione dall’umido e poco gradevole tempo delle mezze stagioni.

Nata infatti verso la fine dell’800 in Inghilterra in seguito ad un’accurata ricerca sui tessuti, per offrire protezione dall’acqua e dal freddo dell’infelice clima delle regioni nordiche, impietoso con i marinai inglesi, essa divenne poi un capo adottato anche dalla borghesia e dalla nobiltà per usi assai più ameni: pesca nei fiumi, caccia nelle brughiere.

Lasciando da parte per un momento il campo della milizia, l’arte militare e tutto quanto abbiamo detto a proposito dell’origine militare di molti capi, che ci sarà comunque utile tra poco, vediamo invece i diversi usi della famosa giacca, che ha dettato legge per anni nell’abbigliamento sportivo europeo, e che ancora oggi spopola tra le varie classi sociali e le diverse generazioni.
Ai nostri giorni essa è sinonimo di abbigliamento sportivo di gusto.

Di essa abbiamo varie versioni: una delle più note è la border coat ( vedi taccuino1361), una giacca tradizionalmente di colore verde oliva , di cotone cerato, per l’appunto waxed( cera in inglese= wax) , con interno in flanella, zip sul davanti, lunghezza a metà coscia, grandi tasconi con patta a doppio bottone, sempre sul davanti, collo preferibilmente in velluto a coste tono su tono.

La sua gemella è la Beaufort jacket ( vedi taccuino 1362), leggermente più corta ; il modello abbastanza corto divenne anch’esso un capo militare e fu largamente usato durante le seconda Guerra Mondiale. Le caratteristiche di assoluta impermeabilità di queste giacche, la loro incredibile resistenza all’usura, grazie al trattamento riservato ai filati, ancora prima di essere tessuti, i materiali di altissima qualità, quali ad esempio il cotone egiziano, trattato come abbiamo detto, con particolari accorgimenti impermeabilizzanti, il colore mimetico, la possibilità di inserire strati di lana, hanno fatto di questa giacca un classico internazionale, che per tutto il XX secolo fu indossato non solamente da militari, ma persino da artisti , attori ,uomini e donne dello spettacolo; indice di una abbigliamento cittadino, sofisticato ma sportivo, la waxed jacket merita davvero di essere annoverata tra i classici dei classici, se non altro per la sua altissima diffusione e popolarità. Non mi vorrei contraddire, con quanto affermato poco sopra , sull’improprio uso civile di capi particolari nati per usi specifici. A volte la moda impone alcune scelte, oppure la comodità e la praticità la fanno da padrona.

Resta il fatto che questa giacca è molto indossata , e scelta rispetto ad altri capi sportivi, per le sue alte qualità tecniche .

Vi saluto come al solito Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 20-12-2004
Cod. di rif: 1842
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.

Silesia.

Generalmente trattasi di una saglia leggera in cotone , calandrata per realizzare una maggior lucentezza ed utilizzata per foderami.



Squalo. ( pelle di).

Termine che si applica ai tessuti lanieri battuti in armatura saglia ( 2 su e 2 giù) con diagonale montante a destra, con alternanza di 1 o 2 filati colorati in trama di ordito. Questa combinazione di intreccio d’armatura e di colori crea linee di colori correnti diagonalmente a sinistra in direzione contraria alle diagonali, in maniera da richiamare la contestura della pelle di pescecane. Anche le varianti a questo disegno fondamentalmente sono chiamate pelle s di squalo, per analogia: esse sono allestite preferenzialmente con raion , acetato e triacetato. L’utilizzo si rivolge agli abiti maschili ed agli indumenti sportivi in genere.

Cavallereschi Saluti

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 21-12-2004
Cod. di rif: 1843
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionariettoDizionarietto.
Commenti:
Dizionarietto.

Stocchinetta.

Tessuto elastico a maglia jersey, solitamente in cotone o pettinato di lana: spesso è dotato di un fondo villoso.. E’ usato per abiti da fatica e per giacchette.




Suede 21.

Marchio di fabbrica giapponese per un tessuto imitazione pelle di daino, immagliato con filato bicostituente al 75% microfibre poliestere ed al 25% nailon microfibre, rifinito con schiuma poliuretanica. La mano assomiglia a quella della pelle di antilope.

Cavallereschi saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 22-12-2004
Cod. di rif: 1844
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
DIZIONARIETTO.


Tropicale.

Tessuto leggero in armatura tela con finissaggio lucido , allestito con filati pettinati in lana con titolo superiore Nm 60/2 nelle qualità migliori e con misti lana –poliestere nelle qualità correnti; viene usato essenzialmente per abiti maschili estivi e , più raramente, per abiti femminili. L’armatura è solida, ma per quanto possibile aperta , allo scopo di consentire il massimo scambio d’aria con l’esterno, dato che trattasi di tessuto estivo.

Cavallereschi saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-12-2004
Cod. di rif: 1851
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Breve Storia della maglieria.SECONDA PUNTATA
Commenti:

Breve storia della maglieria


Seconda puntata

Clima festivo, eppure fervido di idee. Auguri a tutti i Cavalieri e visitatori del castello!
In questa seconda puntata tratterò dell’evoluzione della tecnologia e del suo impatto sulla lavorazione a maglia.

Etimologia di maglia( immagino che sia una curiosità per tutti): dal provenzale malha, dal latino macula, perché una rete , e quindi anche una rete di maglia, sembra un insieme di macchie.
La lavorazione a maglia, come ho già detto nella precedente puntata, risale ai primordi della storia.
La prima fase di questa tecnica antica come l’uomo era collegata non con il vestire, ma con la pratica domestica , con la creazione di utensileria per mezzo dell’ ’intreccio del vimini o di altre morbide erbe, generalmente acquatiche. Questa attività risale al periodo preistorico, in generale in tutto il Bacino del Mediterraneo. In Italia si parla all’incirca del l’VIII- VII secolo dell’Era Volgare.

All’epoca dei Romani, si cominciò a trattare la maglia ad uso militare, cioè per le armature; in realtà essi mutuarono questa tecnica dai Celti, popolo assai più rozzo dell’intera popolazione italica dell’Impero, e che tuttavia aveva alcune cose da insegnare nell’ambito dell’arte guerriera.
Passarono molti secoli, durante i quali l’uso civile dell’intreccio e della lavorazione a maglia, e quello militare, proseguirono con regolarità. Nel Medio Evo, ad esempio, la lavorazione di fili e di piante per entrambi gli usi era un passatempo, oltre che una necessità, prevalentemente della popolazione contadina. Non si dimentichi che nei secoli XIII, XIV e XV, vi fu, in tutta l’Europa, uno spaventoso incremento delle attività artigianali e manifatturiere, soprattutto per quanto riguarda l’arte della tessitura, e quindi la maglia rimaneva un po’ in secondo piano.
La prima macchina per maglieria fu progettata e fabbricata nel 1589( il secolo XVI vedeva intanto altre grandi invenzioni , ad esempio la stampa) dal reverendo inglese William Lee.
Questa clamorosa invenzione determinò il sorgere dell'industria della maglieria con lavoranti a domicilio, che prevalse fino all'inizio del XX secolo.
Dopo la rivoluzione industriale ,l’applicazione del motore interessò anche le macchine per maglieria, di cui si fabbricarono modelli circolari, in grado di produrre tessuto tubolare con un moto costante di rotazione.

Tipi di maglia.
Ma vediamo ora quali sono le caratteristiche peculiari della lavorazione a maglia, indipendentemente dall’evoluzione e dallo sviluppo della tecnologia.
I tessuti a maglia si suddividono in due classi, in trama ( vedi taccuino 1389) e in catena, ( vedi taccuino 1390)che hanno diverse caratteristiche ,sia per quanto riguarda l’alimentazione del filo che per i processi di impagliatura che vengono applicati.
Nel primo tipo, un solo elemento si sposta nel senso della larghezza della pezza in formazione e intrecciandosi con se stesso forma le boccole ; si ottiene un tessuto molto elastico ed estensibile, ma che si smaglia facilmente: essendo le maglie dipendenti tra loro, se si rompe in un punto ne conseguono la sfilatura e la caduta delle maglie all'intorno (smagliatura) .
Nella maglia in catena, invece, una serie di fili verticali paralleli (catena od ordito) è lavorata contemporaneamente, in modo da formare altrettante file di boccole , che si intrecciano tra loro nel senso sia di trama sia di catena ; l' intreccio così ottenuto ha estensibilità limitata o anche nulla, ma risulta indemagliabile.
I tipi fondamentali di maglia in trama sono la maglia unita, la maglia a coste, la maglia rovesciata e la maglia incrociata.
La maglia unita, nota anche come maglia rasata o liscia o jersey, ( vedi lav. 1475 del 19/07/04) è il tipo più semplice e richiede una sola serie di aghi per la sua fabbricazione ; ha il diritto diverso dal rovescio. La maglia a costa o doppio jersey, che richiede due serie di aghi, (oltre agli aghi verticali nella macchina vi sono gli aghi orizzontali), è costituita da righe di boccole diritte e rovesciate alternate.
La maglia rovesciata o links-links è formata da ranghi ,nei quali si alternano maglie diritte e rovesciate: è costruita con aghi a due linguette che lavorano alternativamente su fronture poste a 180°.
La maglia incrociata o interlock consiste in due tessuti a maglia a coste, a ranghi alternati legati insieme. Tipi di maglia in catena sono il tricot semplice, in cui ciascun filo intrecciandosi alternativamente con il filo alla sua destra e alla sua sinistra forma la maglia; l' atlas semplice, in cui ciascun filo si intreccia con i vicini, con un andamento a zig-zag, e la maglia a catenella, con le catene legate tra loro in vario modo.
Oltre a questi tipi di maglia semplice ve ne sono di più complessi, ottenuti ricorrendo a particolari intrecci o all' inserimento di fili supplementari.

CONFEZIONE

La maglia come confezione è un prodotto del secolo XX, sinonimo di praticità e di comodità, utile e adatta ad una vita diversa da quella dei secoli precedenti, nei quali i tessuti erano prerogativa dei signori e la maglia solamente dei poveri.
Il significato del temine pullover servirà a chiarire ulteriormente l’uso di questo modo di abbigliarsi: pull-over in inglese vuol dire tirare sopra, ed in effetti questo è il gesto che facciamo ogniqualvolta infiliamo un maglione dalla tesa.
Valga poi ,come curiosità per tutt,i che il nome golf è accostato al capo “pullover” solamente in Italia ; infatti, in tutti gli altri paesi esso indica solo ed esclusivamente lo sport .
La praticità della maglia e del vestire di maglia è il lasciapassare per la trasformazione di un modo di abbigliarsi considerato povero ad un modo di vestire ugualmente accettato dalle classi borghesi e benestanti del ‘900.
Infatti, fino a tutto l’800 la nobiltà e la borghesia utilizzavano esclusivamente tessuti, dai più ai meno pregiati. Nel corso delle svariate digressioni che ho fatto nelle lavagne e negli studi sulla genealogia dei tessuti durante questi ultimi mesi del 2004, abbiamo già avuto occasione di disquisire sull’importanza delle fogge e degli stili, a seconda dei tessuti utilizzati: lino, seta, cotone, canapa, lana e tutti i derivati e le mescolanze delle fibre tessili naturali , con quelle artificiali; nell’età moderna la nobiltà faceva a gara nello sfoggio dei più preziosi filati: il velluto con la seta, la lana con il cotone, i pizzi e i merletti ancora con la seta, i ricami sui capi femminili,le marsine variegate di damasco dorato per gli uomini, e via dicendo. Nessuna delle categorie benestanti della società si sarebbe mai sognata di utilizzare la maglia per il proprio abbigliamento, anche quello di tutti i giorni.
E’ solo con l’avvento della grande industria alla fine dell’800 e con la possibilità di creare infinite fogge di capi pratici, che l’uso della maglieria è divenuto familiare a tutti indistintamente.
Abbinata alla sport, così come alla vita quotidiana di professionisti, dame e signore, sportivi , eccetera,essa ha invaso il mercato, fino a raggiungere i livelli della grande industria dei nostri giorni, con la cui tecnologia, ormai altamente sofisticata, grandi e famose aziende sono divenute note in tutto il mondo per le loro originali e artistiche creazioni.
Nei pullover, vi sono alcuni tipi di collo o scollo, che sono classici e insostituibili: scollo a giro o crew neck; ( vedi taccuini 1391,1392,1397,1393,1398,1402); collo alto ( vedi taccuini) 1394,1395); collo a V( taccuini 1396, 1403).
Vi sono poi svariati tipi di lavorazioni, sui quali probabilmente torneremo più avanti, tra i quali uno dei più belli ed usati e quello con trecce.
Se utilizzata dalla donna, la maglia mette in risalto le forme del corpo. Nell’abbigliamento maschile, invece, essa dona un tono giovanile e allo stesso tempo piacente a chi la indossa. Naturalmente, e come sempre abbiamo detto, tutto dipende dallo stile e dal gusto della persona che indossa quel capo. Esso può infatti al tempo stesso dare un’idea di giovinezza, così come di vecchiezza. Tutto ha un senso , in questo mondo dell’apparire e del costume. Apparire è però anche essere, sosterrebbe con giusta ragione qualche filosofo contemporaneo.
L’apertura verso il mondo, in questa nuova società, a volte dipende anche da ciò che indossiamo. Ma qui apriamo una parentesi troppo lunga, che ci svia dal discorso centrale sull’importanza della maglia nell’abbigliamento contemporaneo.

Nulla è casuale nelle scelte dell’individuo: cultura, economia, estetica,sensibilità, sesso, sono tutti elementi che contribuiscono a fare dell’uomo un essere così simile ai suoi simili e allo stesso tempo così diverso da essi.

Certamente non pensiamo ai clan irlandesi o alla campagna inglese dell’amante di Lady Chatterley ,ogniqualvolta acquistiamo e indossiamo un pullover di lambswool o di cashmere.
L’Inghilterra, anzi per essere più precisi , le Isole Britanniche, e l’Italia , si sono sempre contese il primato della produzione, sia della tessitura che della maglieria. Ciascuna con due stili opposti, l’uno più sportivo , caratteristico nei disegni e nei filati, l’altro più raffinato ,come sempre, artigianalmente pignolo, rispondente ad un’antica quanto collaudata esperienza artigianale. Il primo, caratterizzante di una storia familiare( clan scozzesi o irlandesi, come abbiamo già visto nell’altra puntata), il secondo , in linea con le esigenze della moda dell’Italia in via di sviluppo ( Lombardia e Piemonte in prima fila).
Gusto italiano e British style: un’accoppiata infallibile per la costituzione e l’assestamento di un abbigliamento classico internazionale contemporaneo.
I tessuti a maglia possono essere prodotti in pezza o in teli sagomati o in forma tubolare. Le pezze, che hanno un bordo fisso su ciascun lato(cimosa), per essere confezionate devono essere tagliate secondo il modello prescelto: è necessario che il taglio sia accompagnato dalla cucitura per impedirne la smagliatura.
I teli sagomati sono prodotti da telai o macchine in trama, capaci di variare la larghezza di lavoro in modo da seguire fedelmente la forma del modello da confezionare ; la sagomatura è resa possibile da aghi speciali che lavorano lungo i bordi del tessuto in formazione trasportando le boccole ( vedi taccuino 1386))e scaricandole sull' ago vicino: se l' operazione avviene verso l' interno è detta diminuzione, se verso l' esterno aumenta e la maglieria così ottenuta diminuita o aumentata. I tessuti tubolari sono costituiti da tubi di maglia di diametro adeguato alle varie taglie corporee, tagliati opportunamente per consentire l'inserzione di altri componenti dell'indumento di maglia in lavorazione e cuciti dove è necessario bloccare la smagliatura.

TELAI E MACCHINE

Convenzionalmente ,si chiama telaio il macchinario nel quale gli aghi si muovono tutti insieme a gruppi ,e macchina quello dotato di aghi che si muovono individualmente ; in genere i telai operano con aghi a becco, e le macchine con aghi a linguetta. In base poi alla conformazione delle fronture e al loro numero si hanno macchine o telai rettilinei o circolari e a una o due fronture. ( frontura è, per chi non lo sapesse, la sede degli aghi in acciaio nelle macchine per maglieria).
Le macchine rettilinee( vedi taccuino 1399) per maglieria in trama ( vedi taccuino) impiegano aghi a linguetta distribuiti su due fronture a V con angolo di 100° ; di produttività non molto elevata, sono destinate alla produzione di maglie sagomate ; consentono la realizzazione di disegni relativamente complessi. I telai rettilinei con aghi a becco, di cui il tipo più noto è il telaio Cotton, dal nome del suo inventore, hanno una o due serie di aghi (per maglia unita o a costa), una produttività limitata, capacità di fabbricare solo maglieria sagomata e modesta capacità di disegnatura.
I telai circolari, ( vedi taccuino 1400 e 1401)con una frontura di aghi a becco e produttività e capacità di disegnatura limitate, fabbricano tessuti in pezza di eccellente regolarità destinati in genere alla confezione di maglieria intima o di abiti da donna tagliati e cuciti. Per la fabbricazione di maglieria in catena si impiegano vari tipi di telai, che utilizzano aghi a becco o agli in due pezzi e anche aghi a linguetta.
Questi telai producono tessuti in pezza di vario genere, con possibilità di effetti di traforo o di imitazione di pezzi classici o anche tulli e pizzi elastici per corsetteria ; hanno discrete capacità di disegnare e una produttività che è la massima tra tutti i telai e le macchine da maglieria.
Accostiamoci ora con entusiasmo ad un argomento assai interessante: quello della definizione di finezza della maglia.
Finezza= gauge ( vedi taccuino).
Esso è iltermine che indica la dimensione del punto maglia. Più è grande il valore , minore è la dimensione della maglia. Questo valore viene determinato dal numero di aghi presenti in un certo “campo “;nella maglieria circolare è il numero di aghi in un pollice ( 1 inch= 2,54 cm.)
Il gauge, o diametro, o misura della maglia, è appunto l’unità di misura con la quale si calcola la finezza della maglia stessa, e quindi anche, indirettamente , la qualità. Corrisponde al numero di punti per pollice e determina la dimensione del capo in lavorazione.
Gli aghi sono molto importanti, poiché sono gli organi di formazione della maglia.

La formazione della maglia viene ottenuta mediante il movimento che gli aghi danno
al filo o ai fili.
I tipi di ago comunemente impiegati nella realizzazione di tessuti a maglia sono tre:


L’ago a becco : è stato il primo tipo di ago impiegato nella realizzazione di
tessuti a maglia. Per poter formare maglia necessita della presenza di un elemento
meccanico esterno, denominato pressa, che consenta la chiusura dell’uncino elastico.
Al termine della pressione l’uncino torna, per forza elastica, alla posizione originale.


L’ago a linguetta :è detto anche ago automatico, in quanto è lo scorrimento
del filo che provoca la chiusura e apertura dell’ago, senza necessità di altri organi
meccanici esterni. Nella parte sottostante l’uncino dell’ago, si trova imperniata una
piccola leva di metallo, denominata “linguetta”, che ha la possibilità di ruotare e di
chiudersi rispetto all’uncino dell’ago. Il movimento di apertura e chiusura è dato dalla
presenza del filo.


L’ago a slitta (o pistone o compound,) è costituito da due parti distinte: l’ago
vero e proprio e la slitta o pistone. La slitta è posizionata all’interno di una
scanalatura presente nel corpo principale dell’ago, ed ha possibilità di movimento
proprio. La slitta si muove in modo tale da andare ad aprire o chiudere l’uncino
dell’ago.

I tipi di finezza per la titolazione della maglia sono i seguenti:


Finezza Inglese E: Indica il numero degli aghi presenti in un pollice
inglese (2,54 cm). Viene utilizzata per le macchine
rettilinee, circolari e telai in catena.


Finezza Inglese Raschel ER: Indica il numero degli aghi presenti in due pollici
inglesi (cm 5,08). Viene utilizzata per i soli telai
Raschel


Finezza Gauge GG Indica il numero degli aghi presenti in 1 1/2 pollici
inglesi (cm 3,81). Viene utilizzata per i telai rettilinei
per maglieria in trama (o telai Cotton) e per i telai
circolari inglesi.



Questo è solo il primo seme, dal quale potremo ricavare la prima pianta e poi il primo albero.

Forse questa seconda puntata della storia della maglieria verrà integrata con ulteriori approfondimenti. Per il momento buona lettura, buon lavoro a tutti, in attesa dell’apertura della Porta dell’Abbigliamento nell’anno venturo e

Cavallereschi Auguri per un Prospero e Cavalleresco 2005!

Dante De Paz







-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 02-01-2005
Cod. di rif: 1857
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto.




Donegal tweed : tipo di tessuto, di vario peso, i cui nodi formano una trama omogenea a punti, simile a vedersi a quella del knicker-bocker, ma proprio del Donegal, contea a Nord-Ovest, dell’Irlanda, la maggiore produttrice di tessuti de paese.


Random yarn, filato composto da fili di tutti i colori, accostati a caso, con un risultato particolare.

Roll neck: collo arrotolato, una via di mezzo fra un dolcevita e un girocollo, (maglioni).


Rugby shirts: polo a righe di vari colori, blu, verde e rosso, con colletto e polsini bianchi.





Cavallereschi Saluti

Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-01-2005
Cod. di rif: 1859
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Lavagna Estemporanea: Considerazioni sul Cappotto
Commenti:



Considerazioni sul Cappotto.


Per quanto ci ostiniamo a pensare che il mondo cambi rapidamente, e così è, di una cosa dobbiamo convincerci: nel mondo del cappotto la moda cambia, lo stile , invece, è una manifestazione di costume che rimane fedele a se stessa in molti particolari. IL cappotto da uomo è di origine militare e i più bei tagli di questo inevitabile e inestinguibile capo di abbigliamento provengono dalle fogge dell’esercito. Il colore blu scuro di ordinanza, l’elegantissimo doppio petto, e laddove occorra, le guarnizioni del caso, fanno del cappotto il capo di abbigliamento maschile più altero ed elegante che ci sia.
Possiamo rigirala come vogliamo, possiamo introdurre capi più sportivi, giacconi, di tessuto , bello, più bello, più fine o meno fine, di tipo tecnico riadattato, sportivo civilizzato, dalla campagna alla città, possiamo modificare i colori ,possiamo ancora dire che l’uomo di oggi può permettersi di tutto perché la globalizzazione ha investito anche l’universo estetico, ma se un uomo vuole presentarsi bene nella società come luogo di lavoro e di incontro con i suoi simili, allora deve indossare il cappotto.( D’inverno, bene inteso).

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 18-01-2005
Cod. di rif: 1866
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:


DIZIONARIETTO

Occhio di pernice. (Inglese : bird’s eye)

Tre tipi di materiali hanno questa denominazione:

1)un tessuto di lana pettinata battuto con un’armatura che crei piccole dentellature suggerenti l’occhio di un uccello;

2) un tessuto noto come pannolino per neonati, allestito su telaio a ratiera con filati cardati a formare minutissimi disegni geometrici a forma d’occhio d’uccello o di diamante. I filati di trama più grossi, a torsione soffice per rendere il materiale più assorbente, sono allestiti con cotone, raion o loro mischie;

3)tessuto a maglia con effetto screziato sul retro provocato con l’impiego di filati
Diversamente colorati che compaiono a mo’ di disegno sul diritto.

Solitamente l’armatura è costituita da due fili chiari e due fili scuri.
Peso: da 300 a 450 grammi.
E’ un classico semiformale, spesso utilizzato in alternativa alla grisaglia.



CALANDRATURA
E' un procedimento mediante il quale si fa passare un tessuto sotto cilindri rotanti per renderlo più compatto e lucido.

Cavallereschi saluti

Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 19-01-2005
Cod. di rif: 1869
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:


DIZIONARIETTO.


Frac : deriva dall’inglese frock, che a sua volta deriva dal francese froc , che vuol dire abito; di origine francone, immesso nel vocabolario nel 1766.

E’ l’abito maschile per eccellenza , che ebbe un grande successo e una grande diffusione in pieno 1800.

Abito di gala, inizialmente usato soprattutto per occasioni danzanti.

Al giorno d’oggi il suo uso è quasi esclusivamente destinato a cerimonie prevalentemente di carattere diplomatico.

E’ l’abito borghese per eccellenza .

Cavallereschi saluti

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 23-01-2005
Cod. di rif: 1874
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Vice Rettore Cavalier ingegnere Franco Forni
Commenti:
Stimato Vice Rettore, Caro Franco,
trovandomi fuori Città per alcuni giorni non sono in grado ora di risponderti nel modo adeguato.Lo farò subito al mio rientro.
Ti Saluto Cavallerescamente

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-01-2005
Cod. di rif: 1890
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Vice Rettore Franco Forni
Commenti:
Caro Franco, Stimato Vice Rettore,

eccomi a rispondere ai tuoi preoccupati gessi 1872 e 1873 del 23 Gennaio u.s.
Per quanto riguarda il problema rapporto tessuto-qualità-prezzo, riferisci ai tuoi conoscenti che per tutto il mese di febbraio applico uno specialissimo sconto del 50%, cinquantapercento, su tutti i tessuti.

E' un'occasione unica per accontentare tutti.


Sul twill e oxford, ma sul twill in particolare, ti incoraggio a rileggre il Dizionarietto specifico, n. 1485, dello scorso 1-08-04; ti ricordo , e ricordo a tutti nel frattempo, che esso è un tipo di lavorazione a doppio filo,( come indica la parola: twill-radice di two, in inglese due e certamente è ancora sia in uso che in commercio).


Ti Saluto Cavallerescamente

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-02-2005
Cod. di rif: 1901
E-mail: dantedepaz@hotmail.com.
Oggetto: Sullo stile inglese: osservazioni in risposta agli ultimi sc
Commenti:
Considerazioni sullo stile inglese.


Dopo una temporanea assenza da queste lavagne per motivi di lavoro particolarmente intenso, riprendo le mi consuete considerazioni di costume, approfittando dell’illuminato scritto del Nostro Gran Maestro, apparso sul sito in data 19/02/05 ( lavagna n. 1898) .

Mi congratulo con il Gran Maestro per la bella lezione di storia che ci fornisce, per le sue dotte considerazioni sulla evoluzione del costume e l’impronta data dal Regno Unito nel corso del XX secolo a tutto quanto attira l’uomo della società del benessere seguita alle Guerre Mondiali. Davvero congratulazioni Gran Maestro! Particolarmente belle trovo le parole dedicate all’equilibrio della filosofia inglese, che , al di sopra di certe esagerazioni tipicamente latine, ha fatto dell’Inghilterra il paese della maturità culturale degli ultimi 50 anni, e che ancora detta legge in termini di understatement e di controllo degli inutili sfoggi, anche nel lusso e nel grande benessere di alcune categorie sociali dei nostri tempi.
E’ proprio a queste illuminate considerazioni che vorrei aggiungere qualche osservazione , anche riallacciandomi a quanto precedentemente espresso sulla mia lavagna del10/10/04, n. 1672 , su Foggia e Stile.
In quella sede affermavo, per l’appunto che, al di là di tanti discorsi, esiste oggi tuttavia un istituzionalizzato British Style, che continua a fare storia e cultura.
Ora riprenderò questa idea con qualche annotazione in più.

Mi hanno poi mi hanno incuriosito alcuni dubbi e perplessità, nonché insicurezze, così almeno a me sono parse, esternate da alcuni cavalieri, a proposito della, se così si può definire, emulazione dello stile italiano nei confronti di quello inglese.
Ho letto , o forse intravisto , soprattutto nelle parole del Cavaliere Villa, un non so che di timoroso, di deferente, una specie, mi si perdoni il termine e mi si corregga se sbaglio, di complesso di inferiorità, nei confronti di un impero di stile, quello inglese, per l’appunto, che nel campo del costume si è dimostrato non inferiore a quello economico e sociale, che il Regno Unito ha per alcuni secoli così tenacemente conservato.
Ma veniamo all’argomentazione. Non ripeterò i concetti così bene espressi dal Gran Maestro, ma desidero attualizzare leggermente le Sue osservazioni, da me condivise.

Non si può certo negare che il mondo, alle soglie del Terzo Millennio, si mostri profondamente diverso da quanto esso appariva anche solo all’inizio degli anni 80 del Novecento.
Oggi tutto appare più faticoso e vorticoso, e i meccanismi economici sembrano quasi avere cancellato quelle antiche origini comuni alle quali l’uomo Occidentale , l’inglese come l’Italiano, il Francese come lo Spagnolo, debbono far ricorso nella ricostruzione della propria storia nazionale e culturale. Ma… c’è un ma.
L’oggi ci insegna che la memoria storica non deve essere cancellata, nel mondo della globalizzazione. Ogni nazione apporta il proprio contributo, e l’Unione Europea non è altro che è l’esempio reale e concreto della necessità storica divenuta realtà.
Per quanto riguarda ,poi, la coscienza dell’uomo di cui parla il Cavaliere Villa , e la visione dello stile inglese come norma di vita, io estenderei il concetto di stile inglese a quello di cultura civica o civile.
E’ chiaro che, quanto più un uomo è ammirato da un certo stile ed eleganza nella vita quotidiana, tanto più egli cerca di imporre anche la propria immagine a livello sociale.
Il Classico Internazionale Contemporaneo, nato su mio suggerimento, doveva essere ,e ancora lo è, proprio l’adattamento del vestire British Style ai profondi mutamenti della vita di oggi. Se, infatti , il British Style è il caposcuola di un elegante vestire dell’uomo borghese, oggi che questa parola ha necessariamente cambiato i connotati sociologici, è evidente che il nostro gusto, il nostro modo di accostarci al mercato dell’abbigliamento e alle esigenze della socializzazione contemporanea, pur modellandosi e ispirandosi sempre all’illustre genitore, dovrà anche dimostrare l’acquisizione di una nuova intelligenza dell’abbigliamento.
Dunque, ancora e come sempre, mi appello all’intelligenza del Cavaliere, nel saper miscelare con equilibrio, ironia dove occorra, e cultura, in modo tale che un Italiano elegante non sia un italiano che imiti un inglese elegante, diventando così un ridicolo manichino alla ricerca di una mancata identità.
Un italiano sarà sempre un italiano, con quel pizzico di genio, sregolatezza e pigrizia che l’efficiente gentleman della city non ha forse mai conosciuto, caratteristiche delle quali il distaccato landlord ha assaporato il profumo solo nella letteratura.
Abbandoniamo dunque questi luoghi comuni e caliamoci più realisticamente nel mondo al quale ciascuno di noi appartiene, sempre rispettando e, perché no, anche temendo, i buoni maestri.

Eccomi dunque di nuovo a Voi, nobili Cavalieri, con una serie di osservazioni che sono la prima breve puntata di una serie di altri scritti che verranno in questo fervido e battagliero 2005 Cavalleresco.
E dunque, ringraziando ancora il Gran Maestro per avere contribuito a chiarire ulteriormente concetti importanti da me elaborati in questi mesi di lavagne, Vi Saluto Cavallerescamente
Dante De Paz.




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-02-2005
Cod. di rif: 1902
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Correzione titolo Lavagna 1901
Commenti:
Nel titolo della Lavagna 1901 sulle mie considerazioni in merito allo stile inglese non è venuta battuta l'ultima parola, che è, ovviamente: " scritti".

Saluti Cavallereschi

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 07-03-2005
Cod. di rif: 1908
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il Velluto
Commenti:
CONSIDERAZIONI SUL VELLUTO

Nobili Cavalieri, è con piacere che offro alla vostra dilettosa lettura il bel lavoro del Cavaliere Rizzoli sul velluto, tessuto pregiato, e per secoli prerogativa del vestire nobiliare e clericale.
Al giorno d’oggi questo tessuto ha molteplici usi, e già ho fatto considerazioni in merito nelle lavagne passate e anche nei taccuini.
Dunque, affido il testo alla Vostra curiosità, premettendo che vi saranno, prossimamente, anche alcuni aggiornamenti di carattere iconografico.

Cavallerescamente vi saluto
Dante De Paz



Una primo approccio allo studio di questo importante tessuto è, come abbiamo fatto molte volte nei nostri studi, quello etimologico.
Velluto è un aggettivo, derivante dal tardo latino “villosus”, che deriva a sua volta da “villutus”, con la modificazione vocalica della” e” in “i “; vuol dire peloso; il vello era il pelo, degli animali, però; e tutti sappiamo che il tatto del velluto è tale, cioè leggermente peloso, e la sua morbidezza è indice di più o meno elevata qualità.

Il velluto è un tessuto molto diffuso, certamente nell’abbigliamento, ma anche nella produzione d’accessori e nell’arredamento. Questa sua diffusione lo rende molto importante nell’economia dell’industria tessile, ma la sua popolarità a volte ci fa dimenticare la storia di un tessuto che per diversi secoli ha vestito re e regine, ma anche contadini e cacciatori.
La nobile storia del velluto purtroppo manca di un inizio certo: la sua origine, infatti, è ancora sconosciuta. Quel che è certo è che esso è stato fin da subito realizzato con il più prezioso dei filati: la seta. E’ per questo motivo che gli storici dell’abbigliamento fanno risalire le sue origini al mondo orientale, elaborando tre ipotesi principali: secondo alcuni, infatti, esso nasce in India, secondo altri in Cina, mentre altri ancora si rifanno alla tradizione persiana. In ogni caso, dall’Oriente, il velluto, attraverso la “via della seta”, si diffonde nel mondo arabo, tanto che il termine che qui lo identifica è “kathiefet”, parola che indica pure il nome di una città, forse la prima dove è stato prodotto il prezioso tessuto in Medio Oriente.
Dal mondo arabo, il velluto giunge in Italia, per poi diffondersi, grazie ai mercanti veneziani, genovesi, fiorentini e lucchesi, nel resto d’Europa attorno al IX-X secolo. L’Italia divenne sin da subito uno dei principali, se non il più importante, centro di produzione del prezioso tessuto. L’origine della tessitura del velluto in Italia segue due ipotesi: la prima vede primatista Palermo, la seconda Venezia, grazie ai suoi commerci con l’Oriente. Da subito il velluto fu riconosciuto come un tessuto prezioso e nobile, ma si dovette aspettare il XIV per vederne nascere una fiorente attività di produzione e di commercio.
Fino al Trecento, gli agiati ceti nobiliari vedevano nei lucenti tessuti di seta il miglior modo per veicolare la propria immagine. Essi amavano avvolgersi in queste preziose tele, dando l’idea di una certa lievità ultraterrena. Il potere era anche spirituale, e l’uomo importante voleva certamente elevarsi sopra i “comuni mortali”. Ma proprio negli ultimi anni dell’era cosiddetta medioevale nasce una nuova idea di uomo, un uomo che si pone al centro della propria vita: tutto ruota attorno a lui ed alla sua ragione, un pensiero, questo, che implica (e giustifica) un rinnovato interesse per i commerci, la ricchezza, le conquiste. Ecco che il velluto supporta questa nuova concezione dell’uomo, grazie alla sua fisicità, consistenza e pesantezza, manifestando tutto il potere e la ricchezza di cui un uomo è capace grazie ai preziosi ricami d’oro, alla forza simbolica dei disegni ed alla complessità intrinseca nel tessuto stesso.
Il velluto non solo era manifestazione di opulenza in chi lo indossava, ma dava anche ricchezza a chi lo produceva. Infatti, le difficoltà tecniche per la sua realizzazione, la specializzazione che ne conseguiva, l’utilizzo di materie prime rare, rendevano il velluto estremamente prezioso e ricercato; il potere simbolico, inoltre, ne aumentava la domanda. Si formarono, quindi, alcuni importanti centri di produzione di velluto: tali attività comportarono la formazione di corporazioni, il cui compito era soprattutto di difenderne i segreti di produzione. Questa necessità trova una giustificazione se si pensa che alcune realizzazioni richiedevano competenze specifiche e grandi abilità manuali: i velluti più pregiati erano quelli broccati con oro in tre altezze di pelo, per i quali i tessitori più bravi non riuscivano a produrre più di sessanta metri l’anno, e quelli con disegno su ordinazione ,spesso si trattava di emblemi araldici o piviali, (vedi taccuino 1479 ), richiedenti talvolta la creazione di telai appositi. I tessitori erano pagati in relazione alla loro specializzazione ed alcune tessiture riuscirono ad accumulare ingenti fortune.
La produzione del velluto, inoltre, richiedeva l’impegno d’ingenti risorse finanziarie, necessarie all’acquisto delle materie prime (seta, ma anche oro ed argento) ed allo svolgimento delle fasi di lavorazione (pare che la tintura fosse particolarmente onerosa). Ecco, quindi, che alcuni banchieri, tra i quali i Medici, investirono nella sua tessitura, trovando, così, un impiego redditizio alla loro disponibilità di capitale. Si creò, infine, un notevole commercio di velluto, cosa che alimentò i traffici e le esportazioni e, quindi, la ricchezza delle città produttrici.
I centri più importanti, come già detto, si formarono in Italia: Genova, Firenze, Venezia, non a caso città di commercianti e banchieri. Ma il primo, grande centro di produzione del velluto fu Lucca, una città che già contava una certa tradizione nella lavorazione della seta e che, grazie a norme più permissive e liberali, riuscì con facilità a convertire le manifatture verso la realizzazione dei velluti.
I velluti che si realizzavano tra il XIV ed il XV sec. avevano già raggiunto un ampio spettro di varietà, comprendendo, a volte, virtuosismi di grande impatto visivo: si producevano, infatti, velluti broccati con oro, velluti con pelo a diversa altezza, altri con disegni su ordinazione, altri ancora davano l’effetto di un riccio, una sorta di anello (anche d’oro) che dava effetti particolari di luce. Spesso, il tema principale era quello della melagrana (vedi taccuino), inscritta in grandi petali, un tema che attraverso le sue varianti ed evoluzioni è giunto sino ai giorni nostri (si pensi, per esempio, a certi decori per parete). La melagrana portava con sé un’importante simbologia: essa significava eternità ma anche fertilità e resurrezione. Questo disegno poteva essere declinato in due modi: “a griccia”, un unico e grande disegno per tutta la pezza, ed “a cammino”, lo stesso disegno ripetuto più volte. Il primo modo implicava una lavorazione lunga e dispendiosa ed era quindi di un certo valore, anche perché spesso realizzato con oro per il fondo: era il motivo usato per le grandi occasioni. Il secondo, invece, era meno pretenzioso, più semplice, meno pesante: donava, quindi, un grande equilibrio e proprio per questo motivo era il preferito dalle nuove famiglie emergenti, come i Medici.
Il velluto era ormai al centro della produzione tessile di lusso, e la committenza sempre più richiedeva nuovi effetti e, quindi, inedite tipologie. Nacquero, così, lavorazioni sempre più costose e raffinate. Proprio in quegli anni, si era giunti a gareggiare dissennatamente nell’acquisto di velluti sempre più preziosi, utilizzati spesso per la realizzazione di abiti che, a causa delle fogge, delle forme e dei tagli praticati, richiedevano un’abbondante quantità di tessuto. L’immagine che si voleva dare era di importanza, potenza, ricchezza, estraneità ai lavori manuali, ma tutto ciò aveva anche causato un grande spreco di velluto ed un sempre più marcato distacco dal resto della popolazione. Per tali motivi, ma anche per avocare a sé il diritto esclusivo di utilizzare i velluti più raffinati, si pensò di emanare leggi che vietassero l’utilizzo di certi abiti, se non per finalità politiche: insomma, le tipologie più preziose divennero di esclusivo uso dei regnanti.
Il panorama sopra descritto cominciò a mutare verso la metà del XVI secolo, quando l’influenza spagnola e la Controriforma introdussero nuovi stili di comportamento; si dava, infatti, una grande importanza alla modestia, la quale implicava un oscuramento delle linee corporee attraverso abiti meno attillati e fastosi. Naturalmente, non decadde l’uso di manifestare il proprio rango sociale, ma questa funzione fu affidata alla squisitezza degli ornamenti e dall’adeguarsi ad un più rapido cambiamento delle mode.
In questo periodo, il velluto si configura come un tessuto atto alla confezione di abiti invernali, spesso foderati con pellicce (vedi taccuino 1477). I nuovi modi di concepire l’abbigliamento avevano inoltre reso meno insistenti le leggi “antilusso”. Le tipologie più in voga erano quelle del velluto unito, del velluto a pelo tagliato e del velluto a pelo riccio (vedi 1478 ); nei velluti operati, i motivi divennero più piccoli e stilizzati, sempre raffiguranti melegrane o vasi fioriti. Proprio in questo periodo nasce un nuovo disegno, detto “a mazze” (vedi taccuino ), consistente in rigide barrette con due infiorescenze e disposti a scacchiera e con orientamento contrario. Questo disegno si evolve in una mandorla ad S oppure in un rametto con gambo arricciato.
I motivi di piccole dimensioni permisero la sperimentazione di nuovi effetti e la creazione di nuovi tipi di velluto, come quello detto “cesellato” , formato da anelli di pelo riccio associati a ciuffi di pelo tagliato. I tessitori davano una grande importanza a questi nuovi effetti, alla continua ricerca di variazioni di luminosità, soprattutto in coincidenza dei movimenti della persona.
La maggior attenzione verso la modestia, le forme meno frivole ed in generale un nuovo sistema di valori avevano ridotto l’utilizzo dell’oro. Si deve anche dire che la produzione di tessuti preziosi aveva perso di attrattiva per chi aveva capitali da investire, preferendo le grandi famiglie gli immobili come oggetto delle proprie attenzioni. Mancando i capitali necessari alla produzione dei velluti più raffinati, si idearono generi nuovi che abbinassero la massima apparenza al minimo costo: un risultato fu il velluto “impresso” (vedi taccuino 1476), che evitava i costosi ricami od i peli tagliati a diverse altezze, forme di velluto per le quali erano necessari telai complessi e lavorazioni difficoltose.
Fino agli anni 50 del XVII secolo, non vi era una particolare differenziazione tra abiti maschili e femminili. Successivamente, gli abiti femminili divennero più dolci e meno austeri, al contrario di quelli maschili, che, invece, incominciarono a mostrare linee diritte ed essenziali. A tale scopo erano necessari tessuti più consistenti. L’abito maschile, inoltre, fu codificato come un tre pezzi: una giubba o marsina, una sottoveste ed un paio di calzoni. Le sottovesti più belle erano realizzate con tessuti broccati in oro: si trattava, quindi, di capi di grande valore anche se solo in parte rivelati attraverso la marsina in velluto unito di seta. Gli abiti importanti, quelli per le grandi occasioni erano spesso ricamati con oro od argento, ricami molto diffusi nella moda maschile fino a quasi tutto il ‘700, quando i decori stessi diventarono asimmetrici e movimentati (vedi taccuino).
Le manifatture più importanti, grazie all’impulso dato da Luigi XIV, erano quelle di Lione, le quali dettarono legge in fatto di moda per molti anni a seguire. Furono, infatti, i telai di Lione a lanciare un’importante novità in quegli anni: il tessuto “a modello”. Si trattava di un tessuto i cui disegni erano disposti tenendo conto del capo da realizzare: il motivo era più ricco nella parte anteriore, in corrispondenza dei bottoni; seguiva la sagoma del collo stondato; prendeva la forma delle tasche e dei paramani. L’effetto complessivo era certamente di grande raffinatezza complessiva, senza essere appariscente come un ricamo d’oro.
Come abbiamo visto, il velluto è sempre appartenuto a re e regine ed alla loro corte, ma questo mondo stava subendo numerosi cambiamenti durante il ‘700. La rivoluzione industriale in Inghilterra aveva mutato gli assetti sociali, introducendo attività nuove ed in misura tale da modificare anche i costumi ed i modi di vivere: i commerci, l’industria, le attività finanziarie implicavano viaggi di lavoro, nuovi modi di condurre gli affari, dando quindi una maggiore importanza a valori come la dignità, la moralità, la modestia. Tutto ciò si è manifestato in un nuovo modo di vestire, caratterizzato da colori più opachi, spesso scuri, a da tessuti meno morbidi, matti, maggiormente adatti a rappresentare un uomo più dinamico ed attivo. Il mondo dei grandi monarchi ricevette inoltre un grande colpo dalla Rivoluzione Francese, la quale fece emergere ceti sociali prima compressi dalla grande forza dell’aristocrazia di corte. In questo contesto, a fine ‘700 il velluto perse le sue prerogative di tessuto nobile per eccellenza, quasi sparendo dall’abbigliamento maschile da città. Napoleone provò a rilanciarlo, quando, in occasione della sua incoronazione ad Imperatore, si presentò con un mantello di squisita fattura e di notevole impatto scenico (vedi taccuino ), ma si trattò di un’apparizione fugace, quasi il canto del cigno di un tessuto che per secoli aveva catalizzato l’attenzione di re e regine, papi e nobili, spesso immortalato dai più importanti artisti mentre vestiva i potenti di un mondo che inevitabilmente era destinato a finire.
In verità, il velluto non scomparve, semplicemente si trasformò. Mentre il suo forte fascino, oramai insito nel suo DNA, continuò ad avvolgere i corpi femminili, donandogli una voluttà che difficilmente altri tessuti sanno trasmettere, il velluto maschile, grazie alle nuove tecnologie, fu declinato in un modo assolutamente nuovo, quasi sportivo: il velluto a coste (vedi taccuino foto n.9). In realtà, anche questa tipologia di velluto ebbe nobili natali, come dimostra il suo nome internazionale: “corduroy”, tessuto per il re. Pare, infatti, che esso fu inventato nel 1782 per il re di Francia come tessuto per il tempo libero e la caccia in particolare, per via della sua riconosciuta robustezza e praticità, essendo realizzato in cotone.
Il corduroy ( vedi taccuino 1474)rimase di uso esclusivo della corte francese, fino a quando, nel 1801, non fu inventato un nuovo telaio, il quale lavorava con una trama supplementare, anziché un ordito addizionale. Grazie a questa innovazione, il taglio era effettuato dopo la tessitura con una lama introdotta sotto le slegature di trama, slegature che erano di diverse lunghezze: questo procedimento creava le coste che caratterizzano il corduroy. Questa tipologia ebbe, ed ha tuttora, un notevole successo grazie alle sue doti di solidità e robustezza, che lo rendeva ideale nelle attività all’aria aperta e durante i viaggi, togliendo, anche se per poche ore, quell’austerità che invece stava caratterizzando l’abbigliamento maschile ottocentesco.
Il velluto tradizionale continuò ad essere utilizzato per le uniformi di gala, le vesti da camera ed i gilet (vedi taccuino 1475): proprio a questi ultimi fu demandato il ruolo di colorare ed illuminare il rigido abbigliamento maschile. Questi gilet ebbero una tale importanza che, durante il XIX secolo, nacquero imprese specializzate nella produzione di velluti adatti a confezionare i panciotti: vi erano, infatti, colori diversi per il giorno e per la sera, per l’estate e per l’inverno; i disegni erano spesso geometrici e privi di figure (queste erano riservate al mondo femminile), finendo così per conferire una certa importanza agli effetti di luce che il velluto per gilet era in grado di mostrare. Nacquero in tal modo nuove lavorazioni, come il velluto “sans pareil”, che presentava pelo riccio e pelo tagliato alla stessa altezza, oppure quello “bombé”, caratterizzato da pelo rialzato in forme bombate.
La Francia verso la fine dell’800 aveva perso la sua leadership nella produzione dei velluti, contrastata dalla forza tessile dell’Inghilterra, dove, come è noto, la produzione di tessuti era stata una delle espressioni più importanti della rivoluzione industriale, e dall’Italia, ritornata finalmente dopo diversi secoli ai vertici della produzione mondiale di velluti. Nel frattempo, anche la stagione dei gilet colorati era destinata a finire: all’abbigliamento maschile non rimaneva che il velluto unito (talvolta utilizzato per confezionare smoking) e quello a coste, oramai d’utilizzo anche presso i ceti medi, grazie alla forte meccanizzazione che aveva permesso di abbassare notevolmente i costi di produzione e, quindi, i prezzi finali.
Oggi il corduroy è assai utilizzato nell’abbigliamento maschile, soprattutto per realizzare rustici ma morbidi abiti da campagna dei colori dell’autunno; dalle verdi terre agresti, il velluto a coste si è poi trasferito anche in città, dove se ne apprezza la calda eleganza e lo spirito dinamico ma non aggressivo.





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 30-03-2005
Cod. di rif: 1919
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Laboratorio d'Eleganza del 6 Aprile 2005
Commenti:



Bologna, 30 Marzo 2005



Nobilissimi Cavalieri,

con questo bando sono ad esortarvi e ad incoraggiarvi, a presenziare in cospicuo numero al prossimo Laboratorio d’Eleganza, che si terrà, come già annunciato dal Gran Maestro in questi giorni , presso la mia bottega di via Ugo Bassi 4/d in Bologna, a partire dalle ore 12.30 del 6 Aprile prossimo, anno 2005.

Il successo dello scorso Laboratorio parla da solo; pertanto, oltre a ringraziarvi in anticipo della Vostra partecipazione, Vi ricordo che gli insegnamenti sartoriali si apprendono con l’applicazione e la continuità.
A rivederci , dunque, per continuare il nostro laborioso lavoro di Cavalieri, Maestri, Sarti e Conoscitori dell’Eleganza maschile, lavoro che proseguiremo nei mesi a venire nelle note lavagne della Porta dell’Abbigliamento.
A presto, dunque, Cavalieri , lancia e conoscenza in resta.

Vi saluta Cavallerescamente il Rettore della Porta dell’Abbigliamento

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 09-04-2005
Cod. di rif: 1926
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Windsor wedding
Commenti:
Honourable knights of the Nine Doors,

in this very delicate and often troubled historical period, in which sometimes it seems that culture and tradition, feelings and taste have disappeared and vanished , I wish to tell You , as Rector Of the Clothing Door, my thoughts and my feeling , that reality can also be amazing, even more beautiful than imagination.
Indeed so it is, if we admire the perfection of choreography, the very beautiful style , which in my opinion really corresponds to a deep content and a sincere state of mind, of the Marriage Ceremony of Charles , His Royal Highness The Prince of Wales, with Mrs Camilla Parker Bowles, now Duchess of Cornwall.
The joyful event of today is the evidence that the never ending British Style is still alive.
Be happy for this and enjoy the show!


With my Courtly Regards

The Rector Dante De Paz






Onorabili Cavalieri delle Nove Porte,

in questo delicato e, sovente , travagliato momento storico, nel quale la storia sembra spesso comunicare l’inesorabile svanire delle tradizioni, dello stile , della cultura e del gusto, , in qualità di Rettore della Porta Dell’Abbigliamento , desidero dirvi il mio pensiero e le mie riflessioni, cioè che la realtà è talvolta davvero sorprendente, forse più bella ancora della fantasia e dell’immaginazione.
Ebbene sì, la perfezione coreografica , l’altissima forma, che a parer mio rispecchia un altrettanto profondo contenuto , della perfetta ed essenziale cerimonia, del matrimonio del Principe Carlo del Galles e della Signora Camilla Parker Bowles, da pochi minuti Duchessa di Cornovaglia, sono la prova tangibile che il British Style è vivo e presente e ancora una volta vincente.

Gioite dunque tutti dello spettacolo, abbiamo ancora molto da imparare dal British world.

Vi saluta Cavallerescamente Il Rettore della porta dell’Abbigliamento


Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 24-04-2005
Cod. di rif: 1940
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Considerazioni di Priamvera .
Commenti:






Considerazioni di Primavera.

No more real seasons. Sono sparite le mezze stagioni .


Non ci sono più le mezze stagioni , banale affermazione , assai di moda e per nulla British. Perché in Gran Bretagna è più di regola la mezza stagione che non quella canonica, lassù nell’isola è spesso mezza stagione .
No more real seasons, si direbbe all’inglese. Ma il tempo, quello atmosferico, è sempre stato, per gli inglesi “ A real subject of conversation”
E’ importante mantenere la calma ; l’abbigliamento, lo stile e il gusto, the Prince of Wales docet, non ha stagioni, e il classico internazionale è un abbigliamento senza stagioni. L’evoluzione dei tempi ha involgarito i costumi, ma le tradizioni resistono, a dispetto di molti.
Un cavaliere è un uomo per tutte le stagioni.
Guardiamoci intorno, a primavera: troppi capi su una stessa persona; colori sbagliati , stonati rispetto alla natura e anche al vivere civile; quando arriva la mezza stagione, quella di zefiro, da noi, nei paesi mediterranei si intende, c’è ovunque un rifiorire di manichini, di persone ingessate e imbalsamate, che con disorientamento cercano di rinnovare il guardaroba, a suon di tessuti gabardina e di cotoni, di pantaloni colorati, di strane giacche tecnico –sportive.
Le donne ritornano improvvisamente bambine –bomboniere, rivestite di finti shantung rosa e azzurrini, pizzi e frappe fuori posto, tacchi a spillo a prova di scheletro, senza calze , su gambe senza stile.
E’ sempre e solo una questione di cultura.
Prepariamoci a considerare il vestire , il vestire con gusto, un’ abitudine al di fuori delle stagioni, che sono effimere, ma al tempo stesso eterne. Lo stile, una volta acquisito, non lo si perde più, e il vestito fa il monaco, così come l’investitura fa il Cavaliere.


Cavallereschi saluti

Dante De Paz















-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 04-05-2005
Cod. di rif: 1961
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il Vestito Buono e la cultura italiana: Riflessioni del Rett
Commenti:




Il Vestito Buono nella cultura e nelle società italiane : riflessioni,

Ad alcuni giorni di distanza dall’ inizio dell’interessante dibattito , all’interno del Castello, sul tema del “ Vestito Buono”, scaturito dalle profonde considerazioni filosofiche del Nostro Gran Maestro, aggiungo ora volentieri le mie riflessioni, che verteranno soprattutto sugli aspetti storico-letterari e di cultura , che influenzano le scelte dell’uomo comune, anche in termini di abbigliamento.

In questi ultimi mesi è stato analizzato, in molte occasioni e sotto molteplici aspetti, il tema del classico internazionale come risposta alle mutate esigenze del vestire nella società di oggi.
L’analisi sociologica , che per altro vari autori e filosofi italiani e stranieri hanno sviluppato in questi anni, è sempre più concorde nel dire e nell’affermare che il fenomeno mediatico ha cambiato profondamente le scelte della gente. Ma c’è dell’altro.
Intanto, le dotte citazioni apparse nel Castello nelle ultime ore mi fanno ricordare l’insegnamento letterario dell’ultimo Calvino, il quale crea il concetto della levità, o leggerezza, come è stato citato, per indicare un nuovo e necessario atteggiamento da assumere nei confronti di tutto ciò che è contemporaneo, e che per l’appunto si muove su un piano nuovo, rispetto a quello dei secoli passati, in cui tutto , nella storia e dunque nella realtà, si muoveva più lentamente di quanto non accada oggi.
La leggerezza è la caratteristica di questi anni, poiché la società si muove alla velocità della luce. La riflessione calviniana partiva dalla letteratura, e ci induceva a riflettere sul fatto che , per essere al passo con i tempi , anche la comunicazione letteraria si deve muovere su di un piano diverso. Anche i temi di più profondo spessore richiedono un approccio leggero, il che naturalmente non è sinonimo di superficiale.
Ma andiamo con ordine: innanzitutto , le considerazioni sulla regia di Liliana Cavani, dello sceneggiato televisivo sul grande uomo politico e statista italiano Alcide De Gasperi. Non era mi era sfuggito il particolare dei Parlamentari in camicia: tuttavia, rispetto al tema che in quell’occasione veniva trattato, ( la costruzione della democrazia italiana e il profondo mutamento storico cui l’Italia stava andando incontro e le grandi difficoltà che essa avrebbe incontrato), mi hanno indotto a pensare che , se di svista o di errore si trattasse, esso avrebbe potuto , in una circostanza simile, essere certamente perdonato.
Vi sono circostanze della vita nelle quali l’uomo, o per meglio dire il cavaliere, infervorato e preso dal vortice delle passioni, della lotta e del duello, scelgono di non conservare la consueta imperturbabilità, e preferiscono lasciarsi andare ad una sorta di atteggiamento liberatorio, quasi a voler condurre e portare a termine il combattimento con una maggiore efficacia. Dunque, il togliere la giacca, gesto che non siamo abituati a ritenere abituale in occasioni veramente importanti ed ufficiali, apparterrebbe a questo momento liberatorio.

MI sia consentita anche un’altra breve e apparentemente banale osservazione di costume: Non è forse vero, che noi uomini, allorquando ci infervoriamo e ci cimentiamo con passione in un lavoro, o un discorso, o anche in un gioco, amiamo fare quel gesto a volte un po’ plateale e disinvolto, che consiste nello sfilare la giacca per sentirci più a nostro agio, e potere così combattere e duellare, con maggiore agilità? IL discorso è complesso e meriterebbe un ulteriore approfondimento. Mi sono qui limitato ad esprimere al nobile e saggio Gran Maestro, il quale ha in questi giorni così mirabilmente dialogato sulle nostre lavagne, e a tutti Voi, altrettanto nobili Cavalieri,le mie prime riflessioni in materia.

Ma torniamo al vestito buono , o vestito della festa, del quale con giusta analisi si è detto molto nel Castello.
Il costume italiano, nel corso del Novecento era rigoroso, le abitudini erano ben radicate tanto nell’uomo borghese e aristocratico, così come nella gente del popolo, nella classe contadina e nella classe operaia, e il cosiddetto “ vestito della festa “ si poteva considerare, ancor più che quello di tutti i giorni, un segno di discriminazione sociale, poiché sappiamo bene quanto la povera gente il più delle volte non fosse e non sia tuttora in grado, nonostante l’enorme e strepitosa evoluzione sociale realizzatasi negli ultimi decenni, di sposare i canoni dell’eleganza, non per mancanza di volontà , certo, ma per motivi di varia natura, che vanno dalla non disponibilità economica alla mancanza di cultura relativa al vestire, quest’ultima diretta conseguenza del primo aspetto, così come è altrettanto vero, che la medesima mancanza di cultura si è impadronita di una classe media emergente , anzi per la verità ormai del tutto emersa, la classe dei nuovi ricchi, o arricchiti , la quale ripone la soluzione a tutti i propri dubbi relativi all’eleganza, nell’acquisto “ in moneta sonante”, si sarebbe detto un tempo, ora si potrebbe dire “ a suon di euro”, di abiti non scelti , ma semplicemente “ comprati”. Il cattivo gusto, però, difficilmente si elimina “ a suon di dobloni” o “ berlinghe”. Se è congenito, esso resta, così come, dall’altra parte e simmetricamente, anche la classe, se c’è , è innata. Avete già realizzato l’elogio di Cary Grant , e su questo non mi dilungherò.
Nelle classi sociali povere dell’Italia degli anni 50, invece, la dignità e quel poco di istruzione elementare da esse appresa nelle scuole di allora , facevano sì che, insieme ad una saggia modestia e ad un generale e spesso innato rispetto del vivere civile, le suddette classi fossero in grado di trasformare in eleganza anche le scelte meno indovinate nel campo del vestire. Costume e atteggiamento, questo, ormai estinto, un patrimonio culturale dell’ Italia contadina e lavoratrice, una bella e antica abitudine che il boom economico ha quasi completamente cancellato.

Vi saluta Cavallerescamente il Rettore

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 04-05-2005
Cod. di rif: 1962
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rettifica Titolo e sottotitolo lavagna 1961
Commenti:
Nel titolo : rettifico, in quanto il nome è uscito incompleto: Riflessioni del Rettore.
Sottotitolo: Il vestito buono nella cultura e nella società italiane, non "nelle", società italiane.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-05-2005
Cod. di rif: 1965
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta al Cavaliere Villa sul "Costume invertito"
Commenti:


Carissimo Cavaliere Villa ,
il quesito che tu poni apre la porta del Castello a un dibattito che merita la dovuta e generosa articolazione.

Certamente oggi i tempi sono cambiati molto, rispetto ai lontani anni del Novecento, quando la gente aveva un grande rispetto del giorno festivo, seguendo usanze antiche, che ci riportano ai tempi anche pagani, quelli nei quali la distinzione tra giorni festivi e giorni lavorativi aveva un senso anche religioso, ora in parte, ma non completamente , perduto. Oggi la lotta contro il mutare dei canoni estetici, spesso rivolti verso un generalizzato cattivo gusto, è impari.
E tuttavia ricordiamoci che il tempo libero è sempre e con esso, il relativo e adeguato abbigliamento; inoltre, sottolineo, ma mi sembra che nello sviluppo del classico internazionale questo concetto fosse già abbastanza chiaro, che anche questa è un’usanza tipicamente British, quella cioè di abbandonare , per il fine settimana, o meglio per il week-end, l’abito da lavoro, la divisa della city, per indossare invece qualcosa di più pratico e dedicarsi così allo svago ed allo sport. Ripeto, abitudine, questa , molto borghese.
Ma per ritornare a noi, oggi il desiderio di stare in libertà nel fine settimana è rimasto, e non trovo che vi sia in esso nulla di male, a patto che, da Cavalieri quali siamo, inseguiamo e seguiamo ,come sempre ,i canoni e i dettami del buon gusto: adattiamo pertanto il nostro abbigliamento non lavorativo alle circostanze nelle quali ci troviamo: adeguatezza è una parola d’ordine: vestiamoci con shorts se siamo al mare, non abbandoniamo il decoro cittadino se siamo in città, e con giusta proprietà scopriamo o copriamo il corpo a seconda delle esigenze. Un vero Cavaliere , tuttavia, non espone mai troppo il proprio corpo, altrimenti che Cavaliere sarebbe? Sarebbe piuttosto un ginnasta dell’antica Grecia!
Spero con questa mia lavagna di essere stato sufficientemente esauriente e, sempre disponibile al dialogo e a ulteriori approfondimenti , Saluto Cavallerescamente il Cavaliere Villa , tutti i Cavalieri e i lettori di questa dotta Porta dell’Abbigliamento, che cresce sempre in quantità e qualità.

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 27-05-2005
Cod. di rif: 1988
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Sdegno per plagio
Commenti:

Al Nobile Gran Maestro, A tutti gli Stimabili Cavalieri,

quanto ha esposto il Gran Maestro ha immediatamente suscitato la mia indignazione .
Pertanto non ho potuto astenermi dallo scrivere e in calce trovate il testo delle mie parole al Direttore di Panorama.
Vi saluta Cavallerescamente il Rettore della Porta dell’Abbigliamento
Dante De Paz




Egregio Direttore,

lo scrivente è Dante De Paz, , uno dei soci fondatori del Cavalleresco Ordine delle Nove Porte, e attualmente Rettore della Porta dell'Abbigliamento, attento quindi a tutto quanto viene pubblicato in materia di costume e società.
Quanto abbiamo rilevato, e che Vi è stato già ampiamente esposto con sdegno dal Gran Maestro, cioè l’avere riportato sulla Vostra rivista on line parole scritte da uno dei nostri soci, senza nemmeno avere avuto il buon gusto di citare la fonte, ci è sembrato infantile, sciocco, di cattivo gusto e, quindi, deprecabile. E’ una bassezza, della quale non mi meraviglio, e che conferma la mia opinione sulla vostra rivista, che in materia di moda ha sempre avuto una qualità pessima, superficiale, forse solo adatta ad un’utenza completamente sprovveduta , alla quale vengono forniti insegnamenti scontati , adatti ad un pubblico privo di strumenti critici personali.
Pertanto non trovo corretto da parte Vostra l’appropriazione di parole, frasi o notizie che abbiamo messo in rete con cura ed attenzione.
Vogliate fornirci una spiegazione di questa malefatta, che va opportunamente chiarita .
Fatevene carico, garantendone l’irripetibilità.

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 05-06-2005
Cod. di rif: 1996
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto: MOD
Commenti:



Inizia con questa interessante voce una nuova serie di dizionarietti, che avranno nello stesso tempo una duplice funzione: quella di informare brevemente sul significato di una parola e quella di iniziare anche i non esperti ad un percorso, che nel castello non è nuovo, ma che verrà approfondito ulteriormente, sulla storia del costume, sempre seguendo l’idea del classico internazionale, da me creata un anno fa, ed ora in corso di ulteriore elaborazione.
Vi saluto cavallerescamente
Dante De Paz

Dizionarietto.
Mod.


Mod è l’abbreviazione di modernist, cioè degli amanti del modern jazz, che si diffuse negli anni ’50 e raccolse grande successo di pubblico tra i giovani e i meno giovani dell’Europa e di oltre Oceano.
Ma mod è anche un mondo do moda e di stile, che sempre in quei lontani Anni ’60 dettò e dettava legge, partendo dall’Inghilterra e diffondendosi poi nelle città di tutta l’Europa e dell’Italia.
Mod è infatti soprattutto uno stile cittadino , caratterizzato da semplicità, praticità ed eleganza al tempo stesso.

Si possono distinguere tre tipi principali di moda Mod: original mod, swinging mod e hard mod.



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-06-2005
Cod. di rif: 2001
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto: bavero, revers,
Commenti:



Dizionarietto Rever.

Termine francese. Descrive il collo di un qualsiasi capo spalla. Questo è il significato assunto in italiano.
Noi in italiano scriviamo spesso rever; in realtà, la corretta grafia è revers, poiché il sostantivo è francese e vuol dire rovescio. Infatti, in francese la parola significa sia rovescio che risvolto, poiché il termine indica quella parte dell' indumento dove il rovescio del tessuto viene risvoltato per mostrare il dritto. Quindi in francese sta sia per collo sia per risvolto .
Il suo sinonimo è bavero.


Bavero.

Termine risalente al sec. XVI, in dialetto si dice bavaro, a sua volta da bivero ( (perché il bavero era fatto di castoro) . Bivero, infatti, in italiano vuol dire castoro, e deriva dal latino bibrum , di origine celtica, e parallelo nuovamente al latino fiber, cioè bruno. E beaver è a sua volta , in inglese, il castoro. IL castoro poi è, come noto, bruno.
Dunque il bavero è il risvolto di un indumento (vestito, giacca, cappotto) intorno al collo. Di piccole o grandi dimensioni, a seconda della moda, può essere confezionato sia in tessuto sia in pelliccia.


Cavallereschi saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-06-2005
Cod. di rif: 2002
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Mod Style- Prima Puntata
Commenti:


Mod Style -Prima puntata-


Ecco un’altra pagina di storia del costume, che è stata da poco anticipata da un dizionarietto, nella lavagna 1996.
Forse avete già inteso come l’origine sociologica dei modi e dei comportamenti anche nell’abbigliamento sia importante, ai fini della comprensione degli stili di vita ai quali siamo abituati nella società post-moderna, quale è quella nella quale tutti noi viviamo.
Facciamo ora la genealogia dello stile mod.
Esso nacque all’inizio degli anni ’50 in Inghilterra, anzi per essere precisi , nel mondo anglosassone, in particolare quello americano, dal quale esso prese la prima vera ispirazione.
Il mod è comunque una moda cittadina, e il nome che la designa è un’abbreviazione di modernist, che sta per ammiratori della musica modern jazz, la musica metropolitana per eccellenza.
Immediatamente nacque poi il corrispondente stile nell’abbigliamento, un modo sobrio, raramente a colori forti , elegantissimo e molto curato nei particolari; è cosa nota ai cultori e agli studiosi della storia del costume, che esso era ispirato all'Ivy League look, il modo di vestire in voga nelle più prestigiose e importanti università americane( erano per l’esattezza le Otto più importanti Università degli Stati Uniti d’America).
Tanti film hanno immortalato questo stile: camicie botton-down, giacche a tre bottoni con revers stretti, pantaloni senza pences, cravattini fini, mocassini o brogues.
Il mod appariva allora sulla scena come uno stile assolutamente rivoluzionario, di rottura e di passaggio con quello che lo precedeva e che era per lo più caratterizzato da una grande abbondanza di tessuto nella confezione degli abiti maschili, quelli anni ‘40, con pantaloni assai larghi e giacche doppio-petto.
Fu all’inizio degli anni ’50 che il fenomeno fu evidente e manifesto e che il taglio sartoriale italiano cominciò in parte a soppiantare quello francese
Il mod fu dunque, in sostanza , una manifestazione di adeguamento alla società del secondo dopoguerra, al movimento di una civiltà rinascente e risorgente dalle macerie del conflitto mondiale, e che si sarebbe mostrata di lì a poco assai dinamica e in sviluppo. . Ma questa è storia, e la potete trovare un po’ ovunque, ( sarà mia premura fornire in corso d’opera anche una bibliografia).
Quello che mi interessa è, per il momento, impostare e fornire un metodo di studio e di lavoro, che consenta ai più di ritrovare le radici di una civiltà, attraverso la lettura di segnali che sono apparentemente effimeri e fugaci, quali quelli della moda, ma che in realtà sono indicatori di un profondo coinvolgimento dell’essere umano nelle vicende sociali ed economiche delle quali egli è protagonista e partecipe, manifestazioni esteriori che parlano dell’uomo nel suo apparire in mezzo ai suoi simili.

Il mod, anche se potrebbe sembrare , in prima istanza, un progenitore del classico internazionale, in realtà se ne discosta assai, perché è divenuto quasi subito uno stile molto marcato, e adottato da un numero abbastanza ristretto di amatori e di persone adatto a portarlo.
Certamente esso ebbe per un certo periodo uno straordinario successo, che poi si andò affievolendo, per poi riapparire ciclicamente nello scenario della moda e delle mode.

Leggiamo dunque la moda come segnale, messaggio, comunicazione, e troveremo coincidenze notevolissime con i dati dell’economia e della cultura di ciascun popolo e di ciascuna nazione.
La moda diventa in tal senso antropologia, sociologia , specchio dell’essere e non solo dell’apparire.

Questa di oggi vuole essere solo una breve introduzione ad un nuovo capitolo di sociologia delle mode, che mi accingo con modestia a redigere ne futuro prossimo.
Fine della prima puntata.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 10-06-2005
Cod. di rif: 2009
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo alla Signora Annalisa BIanchini
Commenti:
Gentilissima Signora Bianchini,
credo che il tessuto che rispo
nda nel modo più adatto alle sue esigenze, se ho ben compreso la sua richioesta , sia il cotone seersucher, quel tipo di tessuto che sembra sgualcito, e sta tra il gofffrato e , appunto, il leggermente sgualcito; è molto fresco, praticissimo, e proprio per la sua caratteristica, è sostanzialmente ingualcibile. Si porta benissimo già in quaesta stagione e rende molti bene in tipologia rigato sottile , e comunque non in tinta unita.
Le invio i miei più Cavallereschi Saluti

Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-06-2005
Cod. di rif: 2010
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Signor Pugliatti
Commenti:
Egregio Pugliatti,
avendo osservato il disegno del taccuino N. 1604, come da Lei richiestomi, disegno che per la verità non è chiarissimo, direi, anche in base alla dicitura, che si tratti di una worsted flannel, ossia di una flanella pettinata, crossbred, vale a dire a fili incrociati, e con disegno pinhead, in italiano punta-spillo, che dà quella classica idea puntinata; inoltre, il chiaro scuro mi suggerisce l'idea di un crossbred "fil a fil", cioè una lana pettinata leggera, incrociata , con fili alternati, uno chiaro e uno scuro.
La stampa del disegno non è nitida, pertanto potrebbe anche prestarsi a qualche equivoco interpretativo.

La Saluto Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-06-2005
Cod. di rif: 2016
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: rispondo alla Signora Bianchini
Commenti:
Gentilissima Signora Bianchini,
per rispondere a questo suo secondo quesito mi occorrono alcuni dettagli in più:per esempio , Lei intende pantaloni e giacca? O abito tipo tubino? O abito lungo?
Il primo tessuto che mi è venuto in mente per i pantaloni è lo shantung di seta, o, meglio ancora, perché più cadente, il cadì, sempre di seta; ma, come le ho detto, potrò essere più esauriente qualora Lei potesse meglio specificare sia l'occasione, in cui immaina i suopi abiti, sia l'uso che desidera fare di questi capi. Avrebbe anche uno schizzo, o un figurino di ciò che vuole realizzare?
La saluto con Cavallereschi ossequi
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-06-2005
Cod. di rif: 2017
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: risposta alla Signora Bianchini
Commenti:
Mi scuso con la Signora Bianchini e con i lettori e i Cavalieri se, nelle fretta del tempo tiranno, che per nulla è cavalleresco nelle sue inevitabili scansioni, mi sono sfuggiti alcuni errori di battitura. Sono certo che il Cavalleresco spirito perdonerà le mie sviste.
Leggansi, pertanto, " immmagina", "suoi".
Aggiungo,inoltre, che l'abito elegante da donna parte sempre dal concetto chiave della semplicità, associata all' accuratezza e alla bellezza del taglio, e all'adeguatezza del tessuto. Naturalmente, tutto quanto è sempre da personalizzare e adattare alla persona, al carattere, ai gusti, ai desideri, e a tutti quei principi estetici che ormai il nostro sito cavalleresco ha sposato da tempo.
Guardate ad esmpio gli abiti di Camilla , oppure quelli delle corti reali europee: anche le giovani esponenti delle case reali non sono mai troppo barocche e ricercate, negli abiti formali da giorno: pulizia ed equilibrio sono sempre, e da sempre ,le carte vincenti per la vera eleganza.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 15-06-2005
Cod. di rif: 2020
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto: cadì di seta
Commenti:
Dizionarietto

Cadì di seta

Il cadì è un giudice musulmano, unico e inappellabile, che esercita la giustizia soprattutto nell'ambito di controversie private.
Nella seta, il cadì è un particolare tipo di tramatura, che rende il tessuto da una parte lucido e dall’altra opaco , e che , come dice il nome, “ cade” particolarmente leggero e al tempo stesso pesante, particolarmente adatto per abiti da sera, soprattutto femminili.
Possianmo pensare che anche il cadì della seta detti in qualche modo una legge, quella dell'eleganza.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 18-06-2005
Cod. di rif: 2024
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Mod Style- Seconda Puntata
Commenti:
Mod Stile- Seconda Puntata


Nobili Cavalieri, eccoci alla seconda puntata del mod style.
Non è facile parlare di mod a tanti anni di distanza dal successo di questo stile e si rischiano facilmente errori di valutazione. Se non si è esperti e studiosi della materia , se non si appartiene alla a categoria degli stretti simpatizzanti, che ancora esistono in tutta Italia,si incorre nel pericolo di parlare di questo argomento restandone però estranei e dunque lontani.
Ho fatto alcune riflessioni , dopo le ultime osservazioni e gli scambi di vedute con il gentile Daniele Savarè, il quale si è inoltre prodigato in dotti taccuini e sono giunto a queste ulteriori riflessioni, che ora sottopongo all’attenzione di tutti i Cavalieri, ai lettori, amici e simpatizzanti delle nostre lavagne.
Al giorno d’oggi, il mod è , con un gioco di parole solo apparentemente banale, abbastanza fuori moda, e inoltre è piuttosto lontano dalle odierne ideologie. Di questo esiste a parer mio, una spiegazione di carattere storico.
Innanzitutto, il mod si basava, negli anni ’50 e ’60, su di una precisa scelta ideologica, che consisteva nel desiderio di volersi distinguere ed elevare a tutti i costi al di sopra della banalità quotidiana.
Per capirci, e per chi non lo sapesse, la moda, le fogge , il vestire con quei tagli particolari, così diversi da quelli che l’uomo della city degli anni ’40 era solito usare, erano motivati da un senso di ribellione , che in quegli anni particolari, in cui di ribellioni ve ne erano tante e diverse ,e nei quali per giunta le idee di contestazione, e a volte anche di “ rivoluzione “ da parte dei giovani, arrivavano alla ribalta del mondo e della politica, il mod si presentava al pubblico, alla società, ai mass media di allora, come una rivoluzione di carattere elitario, che aveva, come sfondo , il desiderio di impadronirsi di tutto ciò che di più bello, e di più costoso, il mercato potava allora offrire: moto, abiti, abitudini e modi di vita, nei circoli del jazz, nei club, nei pub, con una caratteristica comune a tutti gli aderenti: uno spirito di operosità assai basso. Diciamo, in parole povere, che la voglia di lavorare non è mai stata la caratteristica predominante dei mods, quasi che il problema dell’economia, della produttività e del guadagno fosse ad essi del tutto estraneo.
Una delle passioni dei mod era la musica , i cui generi erano vari, ma soprattutto erano prevalentemente metropolitani; non vorrei dilungarmi molto su questo aspetto, dal momento che si rivelerebbe assai dispersivo, e inoltre il mio interesse è soprattutto quello di considerare quanto del mod sia rimasto, se è rimasto, come eredità nella moda, nell’abbigliamento , nello stile di vita delle persone del nostro mondo globalizzato.
Ad esempio, come il nobile Savarè ha già esplicitato nei suoi taccuini, tra gli accessori ereditati dal mod, c’è il porkpie hat, che gli stilisti non hanno mai smesso di riproporre, tra i quali spicca uno dei grandi disegnatori del mondo contemporaneo, l’inglese, anzi per l’esattezza , l’irlandese Philip Treacy, il creatore di alcuni degli ultimi eccellenti copricapo di Camilla.
Egli ripropone infatti il porkpie addirittura con disegni di Andy Wharol, ma questo argomento fa parte già di un’altra puntata, o meglio di un altro studio monografico sull’abbigliamento della testa.

Ebbene, dicevo, la musica mod è una parte assai importante di quella cultura, e quando si dice mod music si dice jazz e si dice rythm and blues, prima di tutto nero e poi anche bianco.

L’Occidente europeo ha per ora in parte accantonato la moda mod, come fenomeno visibile quotidianamente. Ciò che è rimasto di essa lo si ritrova in una veste ormai profondamente metabolizzata e interiorizzata, nella modernità dei tagli degli abiti, soprattutto maschili, e soprattutto di quelli da businessamen.-imprenditori all’italiana, che nei loro impeccabili pantaloni stretti, diritti e spesso gessati( alla Agnelli giovane generazione, per intenderci, che per altro sono sempre un’intelligente miscela italo-britannica, o anglo-italiana, se preferite) tradiscono la nobile eredità degli anni ’50.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 29-06-2005
Cod. di rif: 2036
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Laboratori Scozzesi
Commenti:
Laboratori Scozzesi:
Gli ameni Scottish Borders , da me tante volte visitati, nelle sue stupende cittadine: Melrose, Jedburgh, Hawick, e tante altre, hanno sempre suscitato in me fascino e interesse, e mi hanno arricchito culturalmente e spiritualmente. Ma questa volta, devo dire, mi trovavo in una condizione diversa dalle precedenti, e quindi, perché no , di privilegio: Cavaliere in Scozia, nonché Rettore della Porta dell’Abbigliamento, e là, insieme con i prodi Cavalieri del Nostro Ordine, ho ricevuto un’accoglienza e un’ospitalità ineguagliabili.
Il primo ringraziamento va al Gran Maestro, che ha spianato la strada per il nostro cammino, e ha aperto per noi quasi paradossalmente il Peebelesshire. E proprio a Peebles , nel veder scorrere il fiume Tweed, le cui acque hanno permesso la produzione di esclusivissimi tessuti, famosi nel mondo, come gli Scottish Tweed, ho meditato e riflettuto con emozione, rivedendo telai, risentendo i rumori di quelle vecchie fabbriche, quegli odori , quei colori e la natura tipica che tanto ha ispirato poeti e pittori.

La precedente visita del Gran Maestro presso i famosi converters di tessuti dell’antichissima Holland & Sherry, a Peebles, ha creato un rapporto di profonda sostanza e una conseguente cordialità, gli stessi,devo dire, hanno compreso i valori del Gran Maestro e l’indotto conseguente al suo lavoro, tanto da potergli permettere di ritornare sul luogo insieme con le legioni dei Cavalieri e dare agli stessi un beneficio di ospitalità riservato forse a pochissimi: magnifici alloggi, cene con cibi preparati da qualificati chef e gite con ogni comfort.

GRAZIE GM

Il mio ringraziamento prosegue e si estende alla Signora Lindsay A. Taylor, Operations Director della Holland & Sherry, attentissima e premurosa, affinché tutto funzionasse per il meglio; ottimo il suo italiano, gradevoli il suo stile e la sua riservatezza .
Magnifici Stefano Meriggi e Antonio Lecce, della filiale italiana Holland & Sherry in Milano, là presenti per noi , coordinatori eccellenti, che hanno illustrato storia e particolari della mitica Azienda.
Superba poi la figura di Charles Stewart, vero manager, che porta sulle spalle la responsabilità di questa antica azienda internazionale , il quale ci ha trasmesso la sua grande esperienza e l’amore per la sua terra.
La sede di Peebles della Holland & Sherry è una emozionante fonte di cultura tessile, dove si respira la ricerca eseguita dai grandi converters : tessuti di ogni genere , qualificatissimi ed esclusivi, selezionati per la tradizione dell’alta sartoria.

La visita all’industria tessile Robert Noble , guidata dal titolare D. Roland Brett, si è rivelata estremamente istruttiva e abbiamo potuto apprezzare cicli di lavorazione e tanto altro.
E poi il whisky, acqua di vita. Sia sempre vita per noi e sempre forza per i Cavalieri, per raggiungere altri Castelli della mitica Scozia.

Vi saluta Cavallerescamente
Il Rettore della Porta dell’Abbigliamento

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-08-2005
Cod. di rif: 2088
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tight: Prima Puntata
Commenti:
Tight
Prima Puntata

Tempo fa , in occasione di uno dei miei studi monografici dedicato alla paddock jacket, mi soffermai sulla spiegazione dell’appartenenza dei capi di abbigliamento ad alcuni filoni di riferimento, utili a chiunque si accosti ad un capo specifico, per ricostruirne la storia e la genealogia, ( vedi lavagna 1772).Questi filoni o gruppi possono essere così riassunti: quello nobiliare di città, nobiliare di campagna, borghese di città e sportivo, sia professionale che hobbistico.
In sostanza, e riassumendo il concetto base, ogni capo di abbigliamento maschile tuttora in uso può essere ricondotto ad uno dei suddetti gruppi.
Si diceva, allora, che l’abbigliamento maschile contemporaneo ha i suoi antenati in alcune fogge e stili adottati prevalentemente dalle classi sociali inglesi nel corso dell’Ottocento, e in particolare dall’aristocrazia e dalla borghesia, (dato che la classe operaia poco aveva da offrire alla società, in materia di stile e abbigliamento, preoccupata e vessata dalle inumane condizioni di vita del tempo).
C’era dunque ,una volta, l’industria e c’erano imprenditori e borghesi che si occupavano della conduzione e dell’andamento delle nuove fabbriche, quelle che, nel Sud est dell’Inghilterra, prima, e nel centro della grande isola poi, avrebbero cambiato il volto del mondo occidentale.
La divisa quotidiana del gentleman era derivata, come è noto,dalle divise degli ufficiali dei grandi eserciti, con una variante non da poco: l’abolizione dei colori dei reggimenti. Giacche,redingote, cappotti , sono tutti capi, come abbiamo avuto occasione di scrivere in questo nobile sito sia nelle monografie sui capi spalla che nei singoli dizionarietti, derivati dal milieu militare.
Già a partire dal 700, rubacchiando idee alla nobiltà francese, i nobiluomini e le gentildonne inglesi si erano rifatti, per così dire, il guardaroba, sostituendo appunto alle divise, colorate e riccamente rifinite, giacche molto più sobrie, scure e con pantaloni in tinta, più adatti alla vita fumosa e grigia delle città.
L’Inghilterra non aveva in realtà bisogno di prendere a prestito idee dalla colorata e giacobina Francia, poiché la storia ci insegna che sui mari essa risultò poi vincente, ( vedi la Battaglia di Trafalgar, del 1805, con la quale gli Inglesi sancirono il loro predominio come potenza navale in Europa e della quale si sono da pochissimo conclusi i festeggiamenti per la ricorrenza dei 200 anni del glorioso evento) e tuttavia, per quanto riguarda una certa vivacità e frizzanteria, qualcosa alla ridente e sfarzosa Parigi la smoggy Londra delle cupe ciminiere doveva pur portare via.
Smoggy Londra, dicevo, la fumosa Londra; e non a caso ancora oggi una certa tonalità di grigio, specie quello delle lane pettinate adatte agli abiti maschili da giorno e da lavoro, si chiama fumo di Londra. Fumo dei camini, che tanto lustro ha dato alla caratteristica e storica figura degli spazzacamini; mestiere , quello dello spazzacamino , ( chimney sweep in inglese) che allora era assai richiesto. Quei lavoratori senz’altro coraggiosi , mal pagati e necessari, eroi delle case metropolitane e delle abitazioni borghesi , benefattori degli appartamenti cittadini, divennero poi caratteristici personaggi del cinematografo ( dai primi anni del Novecento ad oggi, ultimo famoso esempio dei quali fu Bert, il personaggio di successo interpretato dall’attore Dick Van Dike, in Mary Poppins, il film diretto da Robert Stevenson nel 1964.)
Così il mondo andava velocemente cambiando, e con esso la vita delle grandi città, e dei loro affaccendati abitanti.
Artigiani nelle botteghe sempre più ostacolati e messi in difficoltà dalla produzione in larga scala, che la fabbrica proponeva sul mercato a velocità fulminee, operai e lavoratori delle fabbriche che vivevano nei quartieri dormitorio, divenuti poi la grande suburb londinese, infine, nella famosa, fumosa e frenetica city, i signori della burocrazia e del commercio, che davano vita, in un vortice instancabile di nuove e lucrose attività, ad una moda maschile completamente nuova, e certo, per quei tempi, rivoluzionaria: abito grigio, bombetta, ombrello e borsa da ufficio.
Questi i signori del denaro, accanto ai quali ancora sopravvivevano, e in buona salute, i nobili, che mantenevano , anche se con qualche difficoltà, le loro abitudini consolidate da secoli di supremazia politica ed economica, un potere che ora si trovavano a dover necessariamente spartire o condividere con la prorompente classe borghese in ascesa.

Questo preambolo di carattere storico ,con il quale mi sono un po’ dilungato, ha come obiettivo quello di chiarire , per quanto possibile, nell’ingarbugliato mondo dei gusti e delle mode, così profondamente legati all’evoluzione della storia e delle storie, la genealogia del tight, dello smoking e dell’abito da giorno in generale.
Questa nuova ricerca si snoderà e articolerà in alcune puntate.
L’origine del tight, questo abito maschile il cui uso in Italia è per la verità alquanto circoscritto, l’abbiamo già accennata: la foggia del morning coat ( altro appellativo di questo elegante capo) deriva direttamente dalle marsine di carattere militare. Anch’esso rientra infatti in uno dei gruppi che abbiamo elencato e che sono in effetti il filo conduttore di tutti i nostri discorsi sulla moda e le mode dell’uomo contemporaneo, a partire dall’Ottocento ad oggi.
Il tipo di abito ha però molte varianti e sfumature, che rendono la sua trattazione e descrizione tutt’altro che semplice.
Innanzitutto partiamo dall’etimo, dal significato. In inglese l’aggettivo qualificativo tight significa stretto . Tight è però usato come aggettivo sostantivato, ossia come nome comune, per indicare un abito da giorno morning coat ), tilizzato oggi esclusivamente per occasioni molto formali, impegnative e di rappresentanza .Ad esempio: a) la famosa manifestazione , molto inglese, delle corse dei cavalli di Ascot, nella quale sia i signori che le signore devono seguire rigorose regole di etichetta del vestire: cappello obbligatorio per entrambi, guanti, bastone da passeggio; una manifestazione effettivamente snob, riservata a ristrettissimi circoli nobiliari della più tradizionale Inghilterra, ma che tuttavia è ancora un ottimo punto di riferimento per l’eleganza e per chi voglia chiarirsi un po’ le idee in materia , di tanto in tanto; b)una wedding ceremony, cioè un matrimonio molto elegante; ( ne abbiamo avuto esempi eclatanti in Italia con il matrimonio del giovane Agnelli, e in Inghilterra con il recentissimo ed impeccabilmente perfetto matrimonio di Sua Altezza reale il Principe di Galles;c) visite di Stato e diplomatiche, quando non sia richiesto addirittura lo smoking o l’abito da sera. d) funerali di stato o di un certo prestigio sociale e cerimonie religiose in genere.
Queste alcune delle più comuni occasioni nelle quali il tight è d’obbligo.
Questo abito si assestò e raggiunse il successo durante il periodo della grande industrializzazione. Per gli Inglesi esso, anche se elegante, è tuttavia di uso piuttosto frequente, e lo stesso dicasi per gli Americani.
In Italia, invece, come dicevamo, l’uso del tight segue regole un po’ diverse, che cercherò appunto di chiarire nel corso della trattazione e delle prossime puntate.
Per il momento, Cavalieri, sbizzarritevi e crogiolatevi nella curiosità di comprendere le differenze tra questi abiti eleganti da uomo: frock suit, frack, tight, morning coat, tuxedo Jacket Black e tuxedo jacket white.
Cavallerescamente Vi saluta il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 24-09-2005
Cod. di rif: 2149
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Scelte individuali e uniformità: riflessione
Commenti:




Nobile Gran Maestro, Notabili e valorosi Cavalieri del Castello, Valido Villa,

Mi associo con entusiasmo all’ interessante dibattito e alla riflessione filosofica sui concetti di uniformità, unità, collettività e generalità puntualizzati dal Gran Maestro nella Sua Posta del 23 Settembre ultimo scorso.
Molte cose in questi mesi sono state dette e scritte nelle lavagne del nostro Castello a proposito del gusto e delle scelte e a mio parere questa digressione, che il Gran Maestro ha puntualizzato con la doverosa profondità nella sua posta rientrano nel più ampio confronto tra la scelta dell’individuo e la sua partecipazione alle scelte ideologiche di parti della società nella quale egli è inserito.
Una collettività può imporre o indicare scelte di gusto, l’individuo si può uniformare o meno ai dettami di una maggioranza o anche a quelli di una minoranza, ma tutto è come al solito relativo e dipende in gran parte dal livello culturale e dalla capacità discrezionale di ciascuno di noi.

Più un individuo è consapevole delle proprie scelte, più alta è la sua capacità selettiva, più basso è il rischio di uniformarsi al gusto dei più.
Questa mi sento di fare come riflessione iniziale, in attesa anche di altri contributi sull’argomento.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-10-2005
Cod. di rif: 2177
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Sig. Zanin su Crombie e Chesterfield
Commenti:
Gentile Signor Zanin,
nel suo gesso n.2173 il Nobile Gran Maestro Giancarlo Maresca mi ha chiamato in causa , al fine di offrire altri particolari sui cappotti di cui Lei chiedeva delucidazioni sulla lavagna N. 2173 del 6 ottobre u.s.
In realtà, anche il Signor Daniele Savarè Le ha risposto in maniera direi alquanto esauriente.
Posso tutavia darle qualche indicazione in più, incoraggiandola a leggere la mia lavagna dell'anno passato, esattamente la N.1752, che si intitola per l'appunto il cappotto Chesterfield. Lì potrà trovare un po' di storia di questo bel capo classico.Per i particolari sul Crombie, il Gran Maestro Le ha risposto nel modo dovuto. Aggiungo però che l'origine del nome dei due cappotti è molto diversa, poiché, mentre il Chesterfield, come potrà leggere anche Lei, se lo vorrà,deriva iln nome dal nobile che per primo lo fece confezionare per sé , e quindi l'etimo è di origine nobiliare, e si rifa ad un illustre casato inglese, il Crombie è il nome di un fabbricante.
Entrambi sono diventati sinonimi di cappotti, ma il primo è più frequente del secondo.
In sintesi, si dice molto più sovente, mi faccio fare un Chestrefield , di quanto non si possa dire , mi faccio fare un Crombie, che sarebbe come dire " mi faccio fare un Burberry".
La saluto Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-10-2005
Cod. di rif: 2183
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dizionarietto:pantofola e giacca
Commenti:
Dizionarietto:


Pantofola.

Scarpa da casa per l’inverno, fatta di panno e foderata di pelo.

La derivazione non è del tutto certa; pare derivi da una radice francese patte, o provenzale “panta” , che vuol dire piede, e una desinenza provenzale- oufle, da cui si sarebbe formata anche la “ manopola”, o guanto della mano, quindi pantofola equivale a guanto del piede. Addirittura la radice –pat deriva dal sanscrito “pada” e poi dal greco:pous-podòs= piede.

Giacca.

Etimologia interessante. E’ un nome di oscura origine .Dobbiamo riferire questa parola al nome spagnolo jaco. Alcuni (Ducange, per esempio) lo fa riferire a Jacque ( Giacomo) Bonhomme, il capo della sollevazione dei contadini avvenuta nel nord della Francia nel 1358, la rivolta passata alla storia con il nome di Jacquerie. Venne infatti da allora chiamata Jacque, in tono di scherno, la veste dei contadini in rivolta.
Cavallereschi saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 30-10-2005
Cod. di rif: 2191
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto.
Commenti:
Dizionarietto.


Guanto.


Sostantivo maschile, dal provenzale “ ganz, o “ guanz”; antico francese : “guant”; moderno francese “gant”.
Le origini sono quantomeno variegate, .già nell’VIII secolo si trova in Beda, come “Vantus”, che poi ha un riscontro anche nello svedese e nel danese “vante” ( che naturalemnete deivano entrambi dall’antico scandinavo”votte”. Alcuni hanno trovato anche una radice celtica : “ can”, “gan”, “can”wand” che sta a significare tutto ciò che copre, avviluppa e contiene. Altri ancora, forse con maggior ragione, ne trovano la radice nell’antico alto tedesco “wand”, che vuol dire drappo , abito, che è connesso anche con il verbo winden= girare, avvolgere.

Dunque, la facile derivazione nel significato : la copertura o veste adattata alla forma della mano e delle dita.

Mutande.

Certamente qui la ricerca etimologica è assai più facile della precedente, in quanto morfologicamente mutanda è il plurale neutro del gerundivo latino: mutandus-mutanda-mutandum, dal verbo muto,. Che vuol dire mutare, quindi letteralmente “ che si deve cambiare”, ed in effetti il nome indica , almeno all’inizio, un tipo di brache di lino, o bambagia o lana, che si portano sulla carne e si cambiano spesso.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 06-11-2005
Cod. di rif: 2205
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo allo scudiero Carlo Zichittella
Commenti:
Gentile Scudiero Zichittella ,

non nascondo la mia soddisfazione nel rispondere a un giovane scudiero che promette la formazione di un guardaroba ben pensato inserendo giusti elementi valutandone prima di tutto la materia.

Mi riferisco alla sua lavagna 2199 del 3/11/2005.Noto la predisposizione al doppio petto; su questo non ho nulla da obiettare , anzi è un modello che crea compostezza, rigore, e abbiglia con la conseguente immissione di accessori necessariamente adeguati, inoltre per chi ha idonea corporatura questo stile è maggiormente adatto.
Per quanto riguarda i tessuti è molto ampia la scelta ,Lei ha già selezionato delle qualità per le quali non ho nulla da eccepire , salvo vederne il reale valore; questo vuol dire che c'è gabardine e gabardine , tre capi blu navy ritorti e tre capi blu navy ritorti, qui è indispensabile il parere di un onesto e competente drappiere, che possa farle toccare i tessuti in pezza, e no su campionari che negano la possibilità tattile.Inoltre sappia, giovane scudiero, che per ognuno di noi ci sono tessuti con i quali la nostra quotidianità si ritrova insieme all'adattamento epidermico, in sostanza ci sono dei tessuti tollerati e altri no, ma qui entriamo in un argomento molto personale.

Mi dice che l'ottimo ed espertissimo Cavalier Forni le ha parlato di Tropical, di Kid Mohair, di Lino e di Shantung. Qualche curiosità su questi tessuti la può trovare facendo un 'apposita ricerca sulle LAVAGNE, e ora le spiego come. Vada su Ricerca, in alto nella pagina della lavagna dell'Abbigliamento, che lei ovviamnete già conosce, e digiti la frase Classico internazionele, e faccia anche un pallino nell'apposito spazio, in cui c'è scritto " nel testo". Le apparirà immediatamente un mio scritto dall'omonimo titolo, ossia Classico internazionale. Con il medesimo nome troverà più di una lavagna.
Inoltre, sempre restando su "Ricerca", e cliccando i nomi " Lana Mohair" e " Tropical", le appariranno analogamente i successivi miei studi su questi tessuti.Le dò anche i codici di riferimento, che sono il N. 1844, e il N. 1313.
La ricerca è agile e Le dico anche che digitando una parola relativa ad altri tessuti, che senz'altro le verranno in mente, quasi sicuramente troverà il corrispondente studio, sempre a mio nome. Spesso una singola parola viene elencata e la si trova alla voce " Dizionarietto".
La sua ultima domanda rimane a mio avviso legata all'"adatto". Io ho avuto il piacere di conoscerla , ebbene tifo per il mohair.

Occasione ideale per salurala cavallerescamente.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-11-2005
Cod. di rif: 2218
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Complemento tecnico di risposta al Signor Di Giovanni
Commenti:
Gentile Signor Di Giovanni,
il Gran Maestro Giancarlo Maresca Le ha già correttamente risposto e penso abbia dissipato i suoi dubbi. Aggiungo solo che i Numeri di Riferimento delle Lavagne che le possono interessare , e che trattano della Paddock Jacket, della Waxed and shooting jacket e anche del cappotto Raglan sono i N. 1772, 1837, 1622. Queste contengono tre studi monografici da me fatti l'anno scorso. Spero saranno di suo gradimento, così come lo sono stati per altri visitatori del Castello-
La saluto Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 13-12-2005
Cod. di rif: 2256
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: driver cap e cappello : in short
Commenti:
Driver cap e cappello :

Approfitto della lavagna del Cavaliere Villa ( 2253 del 9/12) per tracciare alcuni appunti sul cappello, e per chiarire alcuni concetti, riflettendo e analizzando pensieri, osservazioni e studi che in questi ultimi tempi sono apparsi , ad opera del Gran Maestro e di altri Cavalieri e visitatori , sui taccuini.
Intanto, a proposito dei cappelli con visiera che potete trovare nel mio old shop, vorrei sottolineare che essi fanno parte di una collezione dedicata all’abbigliamento della testa, ché questa è la traduzione letterale della parola inglese headwear, proveniente dal filone borghese –sportivo. Dalla campagna inglese e dal relativo abbigliamento dell’alta borghesia britannica e della nobiltà di campagna, è poi passato al mercato dell’abbigliamento sportivo di una certa eleganza solo in tempi relativamente recenti, a Novecento inoltrato. Ricordate i filoni dell’abbigliamento da me citati più volte a proposito del classico internazionale? Ebbene, il copricapo è sicuramente uno degli indumenti più antichi mai usati e utilizzati dall’uomo per ripararsi dal freddo. Originariamente chiamato hood, ( cappuccio) in inglese, ma risalente ai Greci , e ancora più in là agli uomini primitivi, una specie di sacchetto rivoltato era il cappello dell’uomo fin dai primordi della storia.
Per circoscrivere queste prime mie osservazioni in materia, mi limito a dire ora che il cappello è sì un complemento essenziale dell’abbigliamento elegante, asserzione quasi banale e forse un po’scontata nelle stanze del Castello, e tuttavia sempre vera, ma che ha perso un po’ di smalto negli ultimi decenni del Novecento .Molti infatti lo usano solo in particolari occasioni, e non come abitudine quotidiana. Certo, le occasioni per essere veramente eleganti ed impeccabili sono meno frequenti di un tempo, e poi tutto è ovviamente relativo. Molti luoghi di lavoro non lo richiedono, l’abbigliamento invernale spesso è rifinito per l’appunto con un driver cap o hat, il panama estivo è abitudine non più consolidata, per non parlare dei complementi da cerimonia.
Il discorso è lungo e complesso. Il Gran Maestro ha inserito dei bellissimi taccuini , accompagnati da altrettanti bei commenti, a proposito di chapeau melon, e quindi le sue annotazioni sono e rimarranno preziose; aggiungo solo che l’eleganza borghese e raffinata degli anni ’30 , o quella di tipo artistico creativo, vigente nell’ambiente del cinema, o del teatro, o della moda, che ha sue regole un po’ fuori dagli schemi della società civile basata sul lavoro, ha imboccato una strada un po’ nuova, per quanto riguarda il cappello. Il mondo è cambiato in profondità, e con esso lo sono i costumi e le usanze della cosiddetta gente media. Nelle città italiane, lasciamo stare per il momento le piccole cittadine o i paesi, che hanno sovente ritmi e abitudini un po’ diversi da quelli delle grandi città, il cappello è prerogativa di fasce di età determinate e di classi sociali definite.
Ad una certa età lo si usa di più che nella mezza età come riparo per il freddo, l’abbigliamento giovanile fa razza a sé.
Per concludere la mia brevissima argomentazione, il succo del bando qui esposto in materia di cappello recita che l’eleganza più diffusa che fa sfoggio di cappello è quella sportiva elegante del classico internazionale. Di esso è un emblema anche il driver cap.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 18-12-2005
Cod. di rif: 2262
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dizionarietto: ULSTER
Commenti:
Dizionarietto



ULSTER (CAPPOTTO)



ul|ster: sostantivo maschile invariabile.
Ampio cappotto maschile da viaggio, con mantellina ( e senza mantellina, al giorno d'oggi), e grandi tasche applicate, in uso alla fine dell’Ottocento
Di etimo inglese (propr., ulster coat, soprabito di moda nell'Ulster) usato in italiano come sostantivo maschile. Di origine irlandese. E' soprattutto maschile, ma anche femminile, di linea diritta, lungo sino al ginocchio, a doppiopetto, stretto in vita da una cintura o con martingala. Ampi revers e tasche applicate a toppa o con aletta. Inoltre descrive un tessuto pesante per capispalla proveniente dalla omonima regione irlandese. (taccuini 2198 e 2199)
Cavallereschi Auguri
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-12-2005
Cod. di rif: 2279
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Ulster: rispondo al Forni
Commenti:

Rispondo al Cavaliere Forni


IL gesso 2277 del Cavalier Forni, del 24/12 riporta alla ribalta questioni legate all‘Ulster del quale si già detto in svariate occasioni e in vari gessi e dizionarietti. ( Lav. 1515 del 12/08/2004, 1522 del 13/08/04, 1524 del 14/08/2004, taccuini 926,927,928, fino alla recente lavagna del 18/12/2005, e inoltre indico il dizionarietto lavagna 1532 del 18/08/04, sul cappotto).Si disse allora, e giustamente, che l’Ulster è il padre di tutti i cappotti, le cui origini militari sono note. Le sue caratteristiche, con le tasche in mostra riportate, sono importanti e tutte le altre definizioni, toppa, mezza fodera e mostra, dipendono dal gergo utilizzato, ma non sono termini tecnici corretti.
Intanto guardate di nuovo i taccuini, nei quali troverete le caratteristiche base di questo paletot, una delle quali è il tipo di tessuto pesante, per rimanere in linea con la domanda del Cavaliere, che dà il nome al capo stesso e deriva dalla nordica Irlanda, con un tipo di tessitura particolare e pesante, adatta ai rigidi inverni militari.
Per il omento non ho altro da dire, nel senso he l’osservazione più giusta è quella di dedicare più tempo allo studio del capo denominato cappotto , e alle sue origini, che , come abbiamo sempre sottolineato, sono di due tipi : militare( quasi sempre) e di rappresentanza nobiliare ( dal giustacuore o marsina del ‘700).L’ULSTER è un parto del XX secolo, e dunque le sue origini sono piuttosto recenti.
Cavallereschi Auguri

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 01-01-2006
Cod. di rif: 2286
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: ULSTER: Rispondo al gesso 2281 del Vice Rettore Cavaliere
Commenti:
Rispondo al gesso 2281 del Vice Rettore e Cavaliere Franco Forni.

Il gesso 2281 del Vice Retttore e Cavaliere Franco Forni vuole indubbiamente precisazioni per un capo, l’ULSTER, che merita approfondimenti forse inesauribili.
Comunque al punto 1, viene chiesto se l’Ulster, nel modello classico, prevede l’interno sfoderato. A questa domanda si può rispondere che occorre sostanzialmente fermare la paramontura interna, o mostra che dir si voglia, con lo stesso tessuto o con la fodera. La parte centrale della schiena può essere sfoderata. La lavorazione deve essere fatta in maniera tale che la fonda possa avere la sua normale funzione, quindi sfoderata.
E’ vero comunque che il tipo di lavorazione interna dipende molto dall’interpretazione, che varia da sarto a sarto.
E’ fondamentale che non vengano modificati il petto ( REVERS) e il collo che, come più volte detto, deve chiudersi creando il tradizionale doppio uso, cioè aperto e chiuso.
Non c’è un canone specifico del paletot Ulster, o protocollo, come dice il Vice Rettore Franco Forni; il paletot Ulster di un sottufficiale può essere diverso da quello di un ufficiale , più ricco e con piega più fonda , o con mostrine diverse. Ecco che il protocollo varia.
Detto ciò, non mi resta che parlare di toppa, che non è altro che la tasca riportata.
Queste domande provocatorie, se vogliamo, di Franco Forni, stimolano molto e mi riportano ad idee espresse in varie riunioni.
Perché non protocollare i capi classici dell’abbigliamento con disegni illustrativi del davanti, del dietro, degli interni, affinché vi sia una vera scuola del Cavalleresco Ordine , con perfetti criteri, misure, “ leggi-regole”, di costume? In questo caso , ripeto, il disegno è fondamentale , forse ben più del figurino. Disegni del tipo già trasmesso su alcuni taccuini, vedi ad esempio il Raglan De Paz o l’Ulster De Paz , eccetera.
Con queste brevi chiose Vi saluto Cavallerescamente e Cavallerescamente auguro al Gran Maestro, al Vice Rettore, ai fedeli miei collaboratori e consiglieri, ai Cavalieri tutti, Scudieri e liberi cavalieri erranti , a tutti coloro che partecipano più o meno assiduamente e validamente contribuiscono ad arricchire questo glorioso e colto sito, a tutti i gentili lettori e visitatori, a coloro che inavvertitamente sto non elencando , a tutti gli amanti del buon gusto nella cultura e nell’arte della Cavalleria, un coraggioso, vivido e sano , sereno e se possibile anche felice Anno 2006.
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 01-01-2006
Cod. di rif: 2287
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rettifica titolo gesso 2286
Commenti:
Il titolo del mio gesso 2286 era , naturalmente, ULSTER, rispondo al gesso 2281 del Vice Rettore e Cavaliere, Franco Forni; forse in oggetto il titolo era troppo lungo e non è venuto battuto il nome Franco Forni.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 08-01-2006
Cod. di rif: 2299
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dizionarietto: Tasca
Commenti:

Tasca.

Sacchetto di tessuto, cucito all'interno o all'esterno dei capi d'abbigliamento, con relativa apertura, destinato ad accogliere vari oggetti. Può anche avere funzione solo ornamentale


Tasca a fessura ( sinonimo: tasca a filetto o tasca a filo)

Tipo di tasca con taglio bordato e rinforzato ai lati. Caratteristica dei pantaloni maschili e femminili di stile classico e delle gonne aderenti

Tasca con pattina.


Tasca dall'apertura nascosta da una pattina

Tasca a toppa.


Termine sartoriale, e specialmente nell’abbigliamento sportivo, indica una tasca applicata esternamente all’abito con impuntura a vista.


Sempre tasca a toppa seconda definizione.

Tipo di tasca cucita e applicata esternamente. Caratterizza capi sportivi come giacconi e cappotti.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 21-01-2006
Cod. di rif: 2318
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Sul'Eleganza. About Elegance
Commenti:

Sull’Eleganza –About Elegance.
Eletti Cavalieri, mi sento di intervenire con una breve chiosa di carattere etimologico nel contesto e all’interno dell’interessante dibattito sulla differenza tra eleganza e ben vestire che in questi giorni sta animando le stanze del nostro Castello.

Elegante, dal latino eligere = scegliere, è il participio presente del verbo, e quindi vuol dire letteralmente “ colui che sceglie”.

Legato al vestire l’aggettivo sta a significare colui che è in grado di scegliere l’abbigliamento adatto alla propria persona, e quindi è dotato di buon gusto, senza tuttavia ostentare ricercatezza.
E’ evidente, per quanto mi riguarda, che l’uomo elegante è colui che sceglie con intelligenza un modo di vestire adatto a sé, alle circostanze , alla professione, all’ambiente sociale nel quale vive ed è inserito.

Il concetto di eleganza, legato alla moda pura e semplice, è cambiato moltissimo negli ultimi anni, e tuttavia credo di rappresentare, senza alcuna presunzione, il pensiero di buona parte dei Cavalieri e anche dei visitatori della Porta dell’Abbigliamento, se dico che il concetto di Eleganza, qui al Castello, non è mai stato troppo legato a quello di moda in sé e per sé, e infatti non per nulla in questi anni abbiamo sempre parlato di Classico internazionale, ed io in prima persona sono stato, e mi ritengo tuttora, il portavoce di questa corrente di pensiero legato all’abbigliamento, che è nato proprio con l’obiettivo di definire un concetto nuovo e moderno di eleganza, che esca dagli schemi fissi della moda standardizzata.
In attesa di altre riflessioni da parte di tutti Voi e tutti noi, Cavallerescamente saluto e ringrazio tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo al Laboratorio di Eleganza di mercoledì scorso 18 gennaio a Bologna, e a quelli precedenti, ovviamente, e anche coloro che non sono potuti intervenire di persona ma che sono sempre presenti col pensiero, presso il mio negozio,e che hanno palesato il loro gradimento in queste lavagne con belle e significative parole di apprezzamento per il lavoro svolto.

Much more is going to be said. ( C’è ancora molto da dire). Thanks to all the Knights.
Il Rettore
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-02-2006
Cod. di rif: 2360
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Ringraziamenti
Commenti:

Laboratori d’ Eleganza
Il Gilet

Napoli 22 Febbraio 2006

Presso E. Marinella, Napoli, p.zza della Vittoria n. 282

A conclusione della prima sessione della nuova stagione dei lavori dei Laboratori d’Eleganza, inauguratasi in Napoli, addì 22 febbraio 2006, presso E. Marinella, nella nuova sede al primo piano, con lo stesso cuore con il quale Napoli ci ha accolti, giunga ogni mio elogio a tutti coloro che si sono adoperati per il successo indiscusso di questo stupendo pomeriggio- sera. Geniale l’idea del Gran Maestro di portare l’argomento del Gilet alla ribalta dello stile e di parlare di un indispensabile indumento, con secoli di storia, che tenderebbe ad essere accantonato; ma il rilancio è stato così grande che riporterà in auge, ne sono certo, il gilet nelle sue fogge, nei suoi momenti e nella sua storia.
Maurizio Marinella ha dato il meglio della sua generosità, nell’accogliente sede , attento a tutti gli ospiti:, un vero padrone di casa. Abbiamo incontrato Cavalieri , simpatizzanti , amici, giornalisti, fotografi, artisti della caratura di Renzo Arbore e Peppino di Capri , ci ha onorati la presenza del Governatore Bassolino, e tanto d’altro . La squisitezza dei cibi e l’abbinamento gilet- mozzarella non è stata una “bufala”, come simpaticamente ha detto Renzo Arbore. Ottimi i relatori del gilet, ottimi gli appassionati produttori delle mozzarelle .
Il Gran Maestro ha rivisitato con cognizioni giornalistiche un mio lavoro che avevo preparato per questa giornata, ed è stato distribuito ai presenti . Mi permetto di mandarlo in rete per quanti non abbiano potuto partecipare all’incontro.
Ricordo inoltre a tutti i lettori che è già in edicola la rivista Monsieur di marzo, con una magnifica dissertazione del Gran Maestro Giancarlo Maresca proprio sul gilet.

Cavallerescamente
Il Rettore della Porta dell’Abbigliamento
Dante de Paz

Come si può ben intuire, il testo apparirà in rete separato dalle immagini, che come tutti sappiamo non possono essere inserite nelle lavagne, ma hanno la loro sede idonea nei taccuini.



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-02-2006
Cod. di rif: 2361
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Laboratori d'Eleganza: IL Gilet.Bapoli: 22 Febbraio 2006
Commenti:
Laboratori d’Eleganza

Il Gilet
Mercoledì 22 febbraio 2006, dalle ore 18 alle ore 21
presso E. Marinella – Napoli, Piazza Vittoria N. 282
Note del Rettore della Porta dell’Abbigliamento
Etimologia

In questi ultimi anni la nostra Porta dell’Abbigliamento ha lavorato alla ricerca profonda delle radici profonde dei singoli capi di abbigliamento , mantenendo una linea etimoligico-sociologica . Quanto al Gilet, il Gran Maestro si è già pronunciato con parole illuminanti nel presentare questa stagione napoletana dei Laboratori. Desidero aggiungere qualche osservazione, con l’intento di accrescere all’argomento e suggerire alcuni principi metodologici utili allo studio del corredo espressivo dei capi.
Gilè, dal francese Gilet, è in origine la veste senza maniche che portavano i pagliacci detti Gilles. A sua volta Gille è l’alterazione del nome latino Egidius, che è poi passato, non sappiamo perché, a designare il buffone, l’imbecille. Questa è una prima interpretazione, che troviamo nel dizionario etimologico.Un’altra possibile spiegazione, non documentata in maniera convincente, è quella che fa derivare il nome da Gille, un fabbricante di Gilet. Altri ancora, come il famoso linguista Suchardt, pensano che la parola derivi dallo spagnolo gileco, o Jaleco ( in turco yelec), che rimanda in ultima istanza ad un’origine araba del nome, galika è la casacca dei galeotti. Il nome turco viene identificato per la prima volta nel 1786, ma vedremo come l’uso canonico del waistcoat( questa la parola inglese per gilet) si possa far risalire all’Inghilterra del 1660 circa.
Il termine indica la sottoveste senza maniche che nei secoli scorsi gli uomini portavano sotto la cosiddetta giubba. E chiaro che per noi oggi ,il gilet è un complemento dell’abbigliamento urbano, cittadino, abbastanza formale. Ma come dice, o talvolta sottintende, il Gran Maestro, tutta la formalità del gilet va in un certo senso rivista alla luce sia delle evoluzioni del ceppo classico che delle nuove feconde tipologie nate in ambito informale e nello sport. Negli ultimi 40 anni. molti uomini, dai più anziani ai più giovani, hanno indossato il gilet non solo come complemento dell’abito, ma anche in maniera del tutto informale. Talvolta in modo elegante, ma non necessariamente “impegnativo”. Si pensi ad esempio all’abbigliamento delle rock star, dagli anni 60 in poi. Gilets di damasco sgargiante, sete indiane e via dicendo. Nulla a che vedere con il serio abito della burocrazia della city.
La prima ed essenziale cosa da ricordare, per quanto riguarda la foggia, è che inizialmente, ossia nel ‘600, il gilet , non era propriamente un waist coat, parola inglese che vuol dire esattamente abito in vita(waist=vita). Non era affatto corto, e non copriva solo il busto fino alla vita , ma era lungo fino alle ginocchia. Chi non ricorda le perfette ricostruzioni di Ridley Scott nei Duellanti, la bellissima storia dei due ufficiali rivali dell’esercito napoleonico che si sfidano a duello ogniqualvolta uno dei due offende l’altro? I costumi del film sono strepitosi. Siamo nell’800, e il gilet ha già diversi anni di vita, almeno 150, ma si presenta ancora per lo più in forma di veste.
Dalle immagini ui riportate può vedere molto chiaramente quella che è stata l’evoluzione della foggia della “veste”, che poi sarebbe diventata , con successive e progressive modifiche , il gilet, o panciotto o waistcoat.Come tanti altri capi, il panciotto fu usato, nel ‘600, nelle divise militari. L’abbigliamento militare era caratterizzato, in Francia come in Inghilterra, da gilet molto decorati e spesso confezionati in tessuti sgargianti, come vistose erano le vesti della nobiltà di campagna e di città.

Ringraziamenti
Per documentare l’evoluzione del gilet ho scelto delle bellissime immagini e dei testi tratti da un importantissimo sito che si chiama : Museo del costume di Palermo di Raffaello Piraino. Il collezionista Raffaello Piraino ha alternato l’attività di pittore a quella di studioso e docente di Storia del Costume. Nel corso degli anni Raffaello Piraino ha scritto saggi sulla Storia del Costume, ha tenuto seminari per conto della Domus Aurea, e, con la casa editrice Epos di Palermo, ha pubblicato un volume sulla Storia del tessuto in Sicilia attraverso i secoli.
Per illustrare appunto l’evoluzione del gilet rimando i lettori ad una carrellata di immagini,sempre prese dal museo del Costume di Raffaello Piraino, che potete vedere nei taccuini.
(Si vedano a questo punto i taccuini: N. 2338,2330,2340,2341,2342,2343,2344,2345,2346 che riportano le immagini illustrative dell’evoluzione del gilet, tutte tratte dal Museo del Costume di Palermo, di Raffaello Piratino)

Carrellata Storica
Considerazioni tra storia e stile
Sin dai primi anni del XX secolo l’eleganza umbertina trionfò nei gilet bianchi, con il frac e anche con la giacca: D’Annunzio, con tono ammirato anche se leggermente ironico, ricorda nelle sue cronache mondane il meraviglioso gilet bianco del conte D’Arco che risplendeva come un plenilunio d’agosto. Per questa moda il popolo di Milano chiamava i grassi borghesi pancia di gesso. Sia il gilet sportivo che quello da cerimonia subirono piccole variazioni nel taglio, nella sciallatura, nell’abbottonatura e nei tessuti. L’abito maschile mantenne ancora un tono formale e solo la cravatta ingentilì tale rigore, visto che mostrava una grossa perla orientale vi si poteva riscontrare l’unica nota di colore consentita. La si fermava con una spilla nella cui capocchia era incastonata una grossa perla orientale, un diamante di molti carati o più semplicemente, le proprie iniziali ageminate con oro rosso su corallo nero. Dal 1904 in poi il gilet subì ancora delle trasformazioni: i revers si allargarono e il colore prescelto divenne più chiaro da quello del resto dell’abito. Il gilet del frac è di piquet di cotone bianco, sempre con i revers, ma può presentare un’abbottonatura semplice oppure doppia.Il cravattino o papillon, pur esso di piquet, è rigorosamente bianco, la camicia ha uno sparato pieghettato e il colletto inamidato ha le punte rivoltate. Il morning coat, tight in italiano, è nero, eccezionalmente grigio solo per lo sposo, ed esige un gilet mono o doppiopetto di colore grigio chiaro, oppure buff, una via di mezzo fra il giallo e il beige. La cravatta è lunga, di colore grigio-argento e non va mai indossato il cravattino. Alcuni nostalgici si ostinavano però a portare il plastron. Alcuni tipi di gilet sono imbottiti e trapuntati , altri, per un’uscita a cavallo o per la caccia alla volpe, sono in feltro di lana rosso, verde, giallo canarino; possono essere double-face e con la parte posteriore in tessuto quadrettato tattersall.






Entrato nella moda maschile alla fine del sec. XVII, abbiamo visto che il gilet era originariamente lungo sino al ginocchio, completamente abbottonato sul davanti, confezionato in tessuto pregiato e aveva le maniche. Nel sec. XVIII diventò più corto, oltrepassando di poco il punto di vita e terminando sul davanti con due punte. Nel corso dei secoli ha assunto molte fogge, perdendo le maniche alla fine del Settecento, acquistando talvolta il colletto e assumendo infine un dorso finto. Nell'abbigliamento odierno il g. è spesso dello stesso tessuto dell'abito.
Nel primo decennio del secolo il gilet subì ancora delle trasformazioni: i revers si allargarono e il colore prescelto divenne più chiaro da quello del resto dell’abito. Dal 1914 in poi l’interesse futurista per la riforma dell’abbigliamento,a aveva preso il via in modo determinante col manifesto di Balla. I gilets si colorarono ulteriormente e assieme alla cravatta ebbero il difficile compito di personalizzare l’eleganza maschile senza arrivare alle esagerazioni create da Depero. Dalla fine della seconda guerra mondiale il gilet non è più di rigore ed è caduto in disuso, per motivi esposti nella relazione introduttiva. all’evento, ripresentandosi però continuamente su scenari diversi da quello cittadino e formale .Indipendente dall’abito è il gilet di maglia, con o senza abbottonatura, scollato a punta, con o senza maniche.

Dieci cavalleresche regole per lo studio dei capi di abbigliamento.
Regola N. 1) Mai dare per scontato il significato di un termine e verificarne l’origine. .E’ questo il significato ed il valore della RICERCA ETIMOLOGICA: dietro al nome di un capo c’è sempre qualcosa ,di molto profondo e peculiare, che illumina tutta la sua storia;
Regola N 2) Immaginare ogni capo come versatile , (VEDI IL CONCETTO DI “CLASSICO INTERNAZIONALE,” esposto nelle nostre lavagne e negli eventi) ascoltando i consigli studiando le regole per poi disertale appena comprese.
Regola N 3) Lasciarsi consigliare da chi sa, tuttavia individuando e rispettando quei criteri autenticamente sentiti come importanti, che rispettino e forgino un gusto personale;
Regola N 4) Accettare i propri difetti e allenarsi allo studio estetico delle fogge relativamente alla persona. L’eleganza è più perfezionamento di quanto sia creazione.
Regola N. 5) Non consegnare la risoluzione di nostri problemi di abbigliamento al denaro, restando consapevoli che se di solito le cose belle di solito costano di più di quelle brutte, molto spesso quelle brutte sono altrettanto care di quelle belle.
Regola n. 6) Accettare l’importanza delle materie prime e con esse il fatto che difficilmente i bei tessuti, frutto di un’arte antica quanto l’uomo, sono poco costosi;
Regola n. 7: L’ assenza di cultura rende l’uomo sgraziato, decaduto nel gusto. Dunque coltivare l’intelletto e l’osservazione .Da questa deriva la regola 8.
Regola n: 8) il Cavaliere non è mai ignorante.
Regola N. 9) identificare i maestri;
Infine regola N. 10: Poiché nulla nasce per caso, ma tutto è frutto della ricerca umana, rispettare i maestri che vi si dedicano.
Seguendo queste semplici norme, possiamo comprendere meglio la funzione del gilet oggi, un capo superato solo dall’uomo dai piccoli orizzonti, che si smarrisce tra i mutamenti e i dettami, tra falsi miti , i falsi modelli e i falsi maestri della moda del momento.
Florilegio
"Il modo di vestirsi è la rappresentazione esteriore della nostra filosofia della vita"
Charles Baudelaire.
Questa citazione ben si adatta a quell’ approccio all’ abbigliamento che nel nostro sito e nei Laboratori abbiamo costantemente praticato, nel corso di questi anni.
A vestir bene s’impara, ma la vera eleganza è istintiva" .Ofelia Pra Falorin
La moda domina le provinciali, ma le parigine dominano la moda, ed ognuna di loro sa adattarla a proprio vantaggio. Le prime sono come degli amanuensi ignoranti e servili che copiano persino gli errori d’ortografia; le altre copiano da maestri, sapendo risistemarele l, le lezioni errate. J.Jacques Rousseau
Dopo tutto che cos'è la moda! Dal punto di vista artistico è in genere una forma di bruttezza così insopportabile da esser costretti a cambiarla ogni sei mesi. Oscar Wilde

Febbraio 2006
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-02-2006
Cod. di rif: 2363
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Errata corrige Napoli
Commenti:
Rettifico immediatamente, e mi scuso, l'errore di scrittura del nome Napoli , in ogetto alla lavagna 361, del quale solo ora mi sono accorto.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-02-2006
Cod. di rif: 2364
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rettifica nella rettifica
Commenti:
Evidentemente oggi l'ortografia non è cavalleresca : rettifico la scrittura di " oggetto" nella Lavagna precedente.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 05-03-2006
Cod. di rif: 2370
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Duffel Coat o Duffle Coat
Commenti:

Duffle coat

All’origine il dufflecoat era il mantello col cappuccio usato dai marinai per proteggersi dalle tempeste. Diviene popolare dopo la seconda guerra mondiale come cappotto per i ragazzi. Venne poi adottato anche come divisa in alcuni college inglesi. E’ usato moltissimo nei Paesi Bassi e in altri paesi d’Europa. E divenuto ancora più popolare e di moda a partire dagli anni 80 .

Il Duffle Coat, detto anche Duffel Coat, è un caldo soprabito confezionato con tessuto di lana spessa. Deriva il nome da dalla cittadina di Duffel, nella provincia di Antwerp in Belgio, da cui proviene il tessuto. E’ un capo di abbigliamento tradizionale inglese, la cui origine è databile al 1890, quando John Partridge, un fabricante di abbigliamento sportivo, cominciò a fabbricare cappotti con tessuto duffle . (vedi taccuini 2372 , 2373 e 2374).
Un duffle coat tradizionale inglese dovrebbe avere le seguenti caratteristiche :
• Tessuto tradizionale Duffel, foderato con tessuto di lana a disegno tartan;
• Cappuccio con attaccatura a collo sbottonabile;
• Quatro olivette di legno sul davanti per la chiusura (conosciute come"walrus teeth", ossia denti di tricheco), cond quattro anelle di pelle per l’aggancio;
• Due grandi tasche esterne con patte ribattute;.
• La lunghezza dovrebbe essere a tre-quarti;
Dopo la pioggia, il duffle coat emana il caratteristico odore un po’ affumicato.
Così come lo conosciamo , il duffle coat deve la sua popolarità alla marina navale inglese, che ne ordinò una variante color caramello come capo invernale durabnte la II Guerra Mondiale . Dopo la guerra grandi quantità di questi capi furono disponibili a pubblico a prezzi molto ragionevoli, e questo fu un segnale della popolarità di questo capo, a partire dagli anni ’50, e duante tutti gli anni 60.
Dalla stampa popolare il Duffle Coat era visto come capo di abbigliamento caratterizzante la sinistra usato per lo piùdai sostenitori dei partiri della sinistra, come il leader laburista Michael Foot.
Tra I più famosi indossatori di Duffle Coat ricordiamo l’attore Dudley Moore.
Potremmo definire il Duffle Coat, un capo abbastanza intelettuale, se possiamo concederci questa espressione, molto amato da una certa borghesia di buon gusto, un capo pratico e molto caldo, che in tempi recenti è assurto ancora a maggior popolarità, per la sua ada ttabilità a molte occasioni quotidiane della vita urbana , senza impegno, tanto sportivo e anche in un certo senso voluminoso, in modo da poter essere indossato sopra le giacche.
E’ comunque un capo solo ed esclusivamente sportivo, e comunque un cassico dell’abbigliamento maschile dei nostri giorni, un classico intenazionale a tutti gli effetti.
Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 06-03-2006
Cod. di rif: 2372
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Risposta al Cavaliere Marseglia
Commenti:
Gentilissimo Cavaliere Marseglia,
La ringrazio dell'osservazione acuta e per la sua domanda, che mi dà nel contempo l'occasione per ricordare anche ad altri gentili lettori, eventualmente interessati all'argomento, che effettivamente questo mio brevissimo scritto sul Duffle Coat voleva essere solo una chiosa ad un mio precedentemente studio, che approfondiva storicamente la genesi del Duffle Coat o, come giustamente Lei osserva, Montgomery. La rimando pertanto molto volentieri a quello studio, che potrà trovare nelle Lavagne, al N.1598 del 10/09/2004, dal titolo per l'appunto: Duffle Coat e Montgomery: dal Cavaliere medievale al Cavaliere Urbano.
Spero che la lettura sarà di suo gradimento e la ringrazio di nuovo per le Sue future osservazioni.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-03-2006
Cod. di rif: 2382
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto.: bretella
Commenti:



Approfitto della come sempre dotta dissertazione del Gran Maestro sulle bretelle, per aggiungere la mia solita noticina etimologica.
Nulla vuole essere infatti, il dizionarietto che segue, se non una chiarificazione dell’origine della parola, caso mai fosse sfuggita a qualcuno degli ormai esperti lettori del Castello.

Dizionarietto .

Bretella.

Il nome deriva dal francese “bretelle”, e questo a sua volta dall’antico alto tedesco “brettan”.L’origine è gotica, ed il significato è quello di : stringere, premere, intrecciare.
Da questa parola deriva anche lo spagnolo “ apretar”= stringere. Le “ brete” sono i ceppi per legare i piedi; “brete”, in provenzale e “ bet” nell’alto francese è il laccio per acchiappare gli uccelli.
Da qui .la derivazione dell’accessorio che serve a tenere bene in una posizione i pantaloni.
Già in uso nel '700, erano inizialmente realizzate in semplici strisce di cuoio, in corda o rete; dall'800 sono state confezionate invece anche in tessuto, cotone, velluto e persino in gomma. Le bretelle non appartengono solamente all’abbigliamento maschile, ma anche a quello femminile e infantile, per sorreggere sia i pantaloni che le gonne. Nel Novecento poi esse raggiungono il consueto modello a intreccio di fili di gomma e filati multicolori. Verso la fine degli anni '50 lasciano la ribalta alla cintura- meno visibile sotto le giacche rinnovate- fino a che una parentesi di fortuna le ripropone negli anni '70 per la moda unisex, con valenza di estroso accento moda.

Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-04-2006
Cod. di rif: 2404
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: british style: rispondo al Signor Sciarrone
Commenti:
Gentile Signor Sciarrone,
in qualità di Rettore della Porta dell'Abbigliamento rispondo alla sua richiesta di informazioni, ringraziandola innanzitutto per il suo interesse e la curiosità che cercano ausilio nel Nostro sito delle Nove Porte , che si è oramai ampiamente collaudato, in questi anni, sul piano della ricerca e degli studi in materia d fogge , stili, tessuti e tutto quanto è correlato alla materia abbigliamento, moda , costume: Lei avrà senz'altro già avuto modo di leggere i contributi di molti autori, dal Gran Maestro , in primis, a tutti i Cavalieri e visitatori , poi, che arricchiscono la Porta dell'Abbigliamento con i loro apporti culturali , tecnici e letterari.
Mi limito a suggerrile, per il momento, una chave di ulteriore ricerca: nella voce "ricerca", in alto , nella lavagna dell'Abbgliamento, Lei potrà inserire la voce "british Style" e cliccando poi l'opzione "nel testo" le appariranno immediatamente alcune brevi monografie su vari capi di abbigliamento, e tessuti, del classico internazionale e del British style, molte delle quali a nome del sottoscritto.
Se Lei poi navigherà sul taccuino, troverà tantissimi altri spunti, ricerche e studi, del nostro esperto e colto Gran Maestro, il quale come avrà notato è quotidianamente presente sul sito,e intanto potrà forse sciogliere ulteriormente alcuni, almeno così mi auguro , dei suoi dubbi. Allo stesso modo, ricercando sotto la voce "sartoria inglese", potrà avere altre notizie in merito a ciò che chiede.
Quanto alla richiesta di un compendio vero e proprio, come Lei desidera, direi che non è praticabile immediatamente, poiché la materia è talmente vasta che per l'appunto essa viene sempre analizzata e studiata con una metodologia di ricerca che ne richiede inevitabilemente la frammentazione.
Sempre disponibile ad eventuali ulteriori chiarimenti
La saluto Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-04-2006
Cod. di rif: 2409
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Dottor Longo sul Covert e covertcoat.
Commenti:
Gentilissimo Dottor Longo,

desidero innanzitutto ringraziarla per avermi interpellato a proposito del covertcoat, nella lavagna N. 2408 del 13 aprile.
Le sue osservazioni a proposito della relazione esistente tra il tipo e i colori del clima e i colori dell’abbigliamento, mi paiono quanto mai pertinenti. E’ vero che con il cielo spesso azzurro l’impermeabile tende a stonare, e in ogni caso i nostri italici cieli azzurri meritano volentieri anche di più di un gabardine, e tuttavia non mi sento di disapprovare questo capo, che ben si adatta a molte situazioni per la sua attuale ed internazionale classicità, come ho già avuto occasione di scrivere nelle lavagne relative, ad esempio, al trench. (Veda ad esempio a questo riguardo la Lavagna 1655 del 6/10/2004).
Vede, Dottore, in effetti anche per quanto riguarda il covert, e il covertcoat, me ne sono occupato trattando in modo prima generico e generale, e poi specifico, l’argomento del cappotto, (lav. 1563 del 1/09/2004), analizzando la serie dei capi appartenenti alla ormai nota categoria del classico internazionale, che lei giustamente ricorda nel suo interessante appunto.

Per entrare maggiormente nello specifico, desidero confermare che il covertcoat è un cappotto adatto alle mezze stagioni, e anche se l’ormai noto luogo comune di tendenza dice che queste non esistono più, come lei giustamente ricorda all’inizio del suo scritto, possiamo facilmente assentire sulla considerazione che questa lunga primavera italiana non va d’ accordo con il luogo comune.
Il covert, come lei senz’altro già sa, è un tipo di tessuto a trama twill, cioè a rigatura diagonale, che dà il nome al cappotto medesimo, ma covert può anche essere di per sé un tipo di cappotto, stile Chesterfield. ( vedi Lav. 1752, del 6/11/2004).
Stretto e corto: così è il Covert. Il nome deriva dal tessuto, un twill leggero che può essere indossato quasi tutto l'anno. Inoltre, esso è rifinito sui polsini e sull'orlo da quattro impunture parallele, dette railroading. Il colore classico è un marrone chiaro, leggermente mèlange, cui si accompagna spesso un collo di velluto marrone scuro. In origine si trattava di un cappotto da equitazione o da caccia e a questa funzione rimanda la grande tasca interna, cucita all'altezza della coscia sinistra, che serviva a contenere le munizioni (vedi taccuini 1006,1007,1008).
Il covert è dunque una variante del Chesterfield, come abbiamo detto, ma indubbiamente più corto e, di solito, con la bordatura in velluto al collo.
Io direi che il velluto è tranquillamente trascurabile, anche se, volendo adeguare il nostro classico internazionale alla sua genealogia quasi esclusivamente inglese, soprattutto nel suo lato meno formale, azzarderei che il colletto in velluto è abbastanza prediletto da alcuni maestri dell’eleganza , ad esempio da Carlo d’Inghilterra e dai suoi figli.
Il taglio del covert è piuttosto smilzo, e questo è spiegabile, come sopra accennato, dalle sue origini di riding coat, essendo cioè una versione allungata della giacca da cavallo.
Ciò che mi preme sottolineare è che, come in tutti i tagli dei capi di abbigliamento e dunque anche dei cappotti, quello che fa la differenza sono le giuste proporzioni, oltre alla qualità del tessuto.
Un bel twill è essenziale per un bel covert, ma un taglio troppo largo, o una lunghezza sbagliata, o addirittura un errato punto vita, rischiano in un battibaleno di trasformare un aggraziato e sportivo cappotto maschile da mezza stagione in un cappottino da bulletto o in una brutta imitazione di cappotto all’inglese.
Che cosa dunque possiamo chiedere noi italiani a un bel covertcoat?
Innanzitutto di tenere un po’caldo, ma non troppo, e poi, cosa che non guasta, di farci sentire a nostro agio al di fuori di un cappotto pesante o di un gabardine, se non addirittura di un Macintosch.( per quanto riguarda quest’ultimo classico internazionale vedi Lavagna 1675 del 10/10/2004).
Avvertenza: attenzione all’orlo dei pantaloni e alla loro lunghezza. Il covert è abbastanza difficile da proporzionare all’abito sottostante. Il colore originale è nei toni del beige, e la pesantezza del twill consente una qualche variante.
Cercherò, per quanto possibile, di accontentarla anche per quanto riguarda schizzi e taccuini, ma senz’altro potrà intanto navigare un po’ nel nostro bel sito e, se già non li ha trovati nel corso delle sue precedenti ricerche, potrà dare un’occhiatina ai taccuini del covert.
(naturalmenet sempre cliccando sulla voce covert o capotto nella voce di ricerca; i numeri dei taccuini specifici sono quelli da me ricordati).
Le auguro una buona lettura e un buon inizio di vera primavera
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-05-2006
Cod. di rif: 2453
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il "jeans": Classico Internazionale
Commenti:
Il Jeans: Classico Internazionale

Il jeans, “odiosamato” pantalone di molte generazioni, di cui sempre si parla e al quale recentemente sono stati dedicati studi speciali e musei. (Museo del Tessuto di Prato e Museo Levis Strauss in Bavaria). Ecco una breve storia del jeans, partendo dal tessuto di cui è da sempre fatto: il denim .

Ho già avuto occasione di sfiorare questo argomento, il jeans, il 27/05/04, nella lavagna 1284, con annesso taccuino 580. Proponevo allora la storia di un classico dei classici: il famoso pantalone jeans 501 della Levi’s Strauss. E ripropongo in questa occasione uno studio maggiormente allargato su questo pantalone che ha certamente segnato la storia dell’abbigliamento del ‘900, che ha modificato il vestire del tempo libero e dello sport di varie generazioni e classi sociali: il jeans, del marchio Levis, il padre di tutti i jeans e anche di un modo moderno di concepire l’imprenditoria e la produzione. Eccezionalmente in questo caso contravvengo a quello che è stato sempre uno dei principi da me seguiti nei precedenti studi, quello di non fare i nomi delle case produttrici, ma l’occasione è devo dire un po’ speciale, perché il jeans da 150 anni e più, con il tessuto denim, ha cavalcato l’onda del vestire casual contemporaneo.
Partiamo dal tessuto e da una breve carrellata etimologica.

Denim.

Il denim è una robusta stoffa in saglia, di cotone di consistente peso, all’incirca 15 ozs (450-500 gr. al metro) originariamente fabbricato in Francia, a Nimes, con ordito tinto in blu indigo (o marrone) e la trama in greggio, che fa effetto bicolore. La diagonale è da destra verso sinistra. Il nome, come tutti sanno, deriva dalla città di Nimes, nella Francia meridionale. Originariamente detto serge de Nimes, diventato poi colloquialmente denim. Questo tessuto è legato strettamente al nome jeans, che deriva a sua volta da “Genovese”, pare infatti che fossero i marinai genovesi ad indossare il denim sulle loro navi da carico. Ci sono tuttavia diverse scuole di pensiero sull’origine di questo nome, la più accreditata delle quali è quella appena citata. Il tessuto serge de Nimes ha le sue tracce in Francia addirittura prima del XVII secolo. Nello stesso periodo c’era anche un tessuto noto in Francia con il semplice nome di Nim. Il serge de Nimes era conosciuto in Inghilterra ancora prima del XVII secolo .A questo punto sorge la domanda: fu questo tessuto ad essere importato dalla Francia, oppure esisteva un tessuto inglese che aveva lo stesso nome? Spesso infatti tessuti che portavano il nome del luogo di fondazione venivano esportati altrove. Il nome veniva prestato per offrire una garanzia di originalità al tessuto quando veniva venduto. Per questo un serge de Nimes comprato in Inghilterra era molto probabilmente anche fabbricato in Inghilterra e non a Nimes, in Francia. Resta però da risolvere un altro problema: come è accaduto che la parola denim sia derivata da serge de Nimes? Il serge de Nimes era di lana e seta, mentre invece il denim è sempre stato di cotone. E inoltre questo legame tra tessuti lo si ritrova solamente nel nome, anche se entrambi i tessuti hanno una trama twill, cioè diagonale. Forse non sapremo mai come andarono realmente le cose, e non ci aiuteranno a chiarire il quesito le molte domande possibili: ad esempio, se la traduzione dal francese all’inglese sia stata fatta sulla base di serge de Nimes o su quella di serge de nim. In effetti a tutt’oggi non abbiamo la certezza della verità, e oltretutto, a complicare ulteriormente le cose, c’è un’altra storia: allo stesso tempo in cui il nim aveva successo sia in Francia che in Inghilterra, esisteva già un altro tessuto, conosciuto ai tempi come jean, un fustagno di cotone, lino, o misto lana, prodotto a Genova e da essa appunto chiamato jean, che era molto popolare e veniva esportato in Inghilterra fin dal XVI secolo, alla fine del quale il tessuto era già prodotto nel Lancashire. Alla fine del XVIII secolo il tessuto jean era già tutto in cotone, e usato per la confezione di abiti maschili, grazie alle sue qualità di resistenza e lunga durata dopo molti lavaggi. La popolarità del denim era tuttavia destinata a crescere e a superare in alcuni casi quella del jean. Nonostante i due tessuti fossero assai simili, c’era tra essi una differenza sostanziale: il denim consisteva in un filo colorato ed uno bianco, mentre il jean era il prodotto di due fili dello stesso colore. Il procedimento di tintura, nonché quello di finissaggio, sono molto importanti per raggiungere un risultato di qualità. E’ naturale che nel corso dei suoi 150 anni di vita il denim abbia fatto enormi progressi qualitativi, e tuttavia la sua storia, soprattutto quella della sua tintura, è davvero molto antica, poiché la pratica della tintura con l’indaco era già in uso nel Medio Evo, che utilizzava abitualmente il guado per questo tipo di lavorazione. La pianta del guado era considerata una tale ricchezza da essere denominata “oro blu”.
Non appena il denim arrivò in America verso la fine del XVIII secolo, le fabbriche tessili americane cominciarono a produrre il tessuto in scala ridotta, soprattutto per rendersi indipendenti dalle aziende produttrici dell’Inghilterra, il paese di provenienza. All’inizio i tessuti in cotone erano uno dei prodotti principali dell’industria tessile americana, e c’era una fabbrica del Massachussetts che era in grado di produrre sia jean che denim; nel 1789 fu onorata di una visita da parte dell’allora presidente degli Stati Uniti George Washington. E’ del medesimo anno la prima apparizione della parola denim su un quotidiano locale. Poco meno di cento anni dopo, nel 1864, un’azienda dell’East Coast pubblicizzava la produzione addirittura di 10 diversi tipi di tessuto denim , ed è dello stesso anno la prima apparizione della parola denim sul dizionario Webster della lingua inglese, che definiva il”denim” come” un tessuto grosso di cotone adatto per tute da lavoro e simili”. Possiamo dire che la diffusione su larga scala del tessuto denim e per abbigliamento non da lavoro cominciò alla metà del XIX secolo, o poco più tardi, ma il denim era già presente oltre oceano da più di cento anni. Dovranno però trascorrere circa altri cento anni per la nascita del blue jeans, il pantalone dei nostri tempi, la divisa dei giovani degli anni ’60, quella che segnò definitivamente il passaggio dal workwear dei primi anni al dailywear dei nostri giorni. Il workwear in denim era una divisa con la quale l’operaio manteneva tutta la sua dignità di lavoratore. Già a metà dell’Ottocento in America esistevano diverse fogge di pantaloni denim, la cui differenza consisteva nella modellatura: pantaloni di foggia più fine venivano offerti sul mercato a coloro che non erano impegnati in lavori manuali. Ma come è accaduto che un pantalone in tessuto denim sia poi stato chiamato jeans, se non era fatto di “jean”? La risposta è tutta nel cervello del famoso immigrato bavarese Levi (Loeb in origine) Strauss.
E veniamo ora alla storia del grande Levis Strauss jeans.
La Storia dei jeans.

Tra i molti che nel 1850 corsero a San Francisco per tentare la sorte e fare fortuna con la corsa all’oro c’era anche un ventenne immigrato bavarese, che, lasciata la Germania nel 1847 con la madre e due sorelle, se ne era andato in America dove aveva cominciato a vendere prodotti tessili di vario tipo. Per alcuni anni Loeb lavorò per i fratelli, poi nel 1850 cambiò il nome Loeb in Levi e nel 1853 ottenne la cittadinanza americana. Fu allora che decise di unirsi a coloro che a San Francisco cercavano la fortuna nella Corsa all’oro. Levi era andato là per impiantare una filiale della sua azienda e pensò di poter fare un po’ di soldi rifornendo gli scavatori con dei teloni di tessuto per ripararsi durante i lavori.. Ma ben presto si rese conto che gli operai e i cercatori erano in realtà molto più preoccupati per i loro pantaloni, che duravano poco tempo a causa delle dure condizioni ambientali e climatiche dei lavori di scavo. Così, per poter utilizzare il tessuto delle tende, egli trasformò quel materiale in tute da lavoro, i cosiddetti overalls”, in poche parole, una grande e larga tuta che poteva essere indossata sopra tutto il resto.. E i pantaloni resistenti furono venduti così bene che l’immigrato fu in grado di aprire un negozio al dettaglio, in cui cominciò a vendere i pantaloni sotto il suo stesso nome: Levi Strauss. La vera fortuna cominciò tuttavia nel 1873, quando un sarto del Nevada, Jacob Davis , ebbe la grande idea delle borchie per le tasche. Davis voleva brevettare quell’idea, ma non ne aveva le forze economiche e finanziarie, così scrisse a Levi, che vide in quell’occasione la grande opportunità per fare un sacco di soldi. Fu nel 1873 che i due ebbero la licenza per le chiusure a borchie delle tasche. Levi portò Davies a San Francisco a supervisionare la fabbrica dei loro primi“waist overalls”( questo fu il primo nome dei jeans”). Questi pantaloni erano fatti o di cotone marrone o di denim di colore blu; consapevoli del fatto che questi pantaloni erano perfetti da lavoro, Davis e Levis decisero di utilizzare il denim,invece che il jean, in quanto il denim era più resistente e adatto del jean per abiti da lavoro. Il denim per i pantaloni borchiati proveniva da Amoskeag Mill, una fabbrica di Manchester, nel New Hampshire, molto nota allora per l’alta qualità dei suoi tessuti. In seguito al terribile incendio che devastò San Francisco all’inizio del ‘900, l’archivio storico della Levis andò completamente distrutto. E la ricostruzione della vicenda fu per questo da allora in poi molto complessa. In ogni caso la produzione andava così bene e l’iniziativa ebbe così grande successo che il negozietto di Levis in Sacramento Street in soli dieci anni consentì al suo proprietario di ottenere profitti elevatissimi .Naturalmente la produzione si sviluppò anche a livello industriale.
Quando Levi Strauss morì, nel 1902, all’età di 73 anni, egli lasciò ai suoi quattro nipoti, Jacob, louis, Abraham e Sigmund Stern , un’azienda bene avviata, ma questi dovettero poi impegnarsi nella ricostruzione della fabbrica distrutta nel terribile incendio del 18 Aprile 1906. Negli anni ’20 i Levis erano i pantaloni più venduti da lavoro, e intorno agli anni’l 30 essi cominciarono ad ottenere una straordinaria pubblicità grazie al cinematografo, che catturò definitivamente la fantasia degli americani, e non solo. I cowboys indossavano Levis originali e gli attori famosi contribuirono a trasformare questi pantaloni in un vero e proprio mito. Il denim cominciava ad essere associato sempre meno ai lavoratori, e sempre più a vere e proprie leggende e miti dell’eroe americano, personificato da John Waine a Gary Cooper.Che differenza, dalla prime overalls dei cercatori d’oro! Un’altra grande svolta avvenne dopo la II Guerra Mondiale, la cui fine segnò anche l ‘inizio di una nuova epoca, nel campo dell’economia e dell’abbigliamento, e così il denim venne sempre di più associato al tempo libero , in una società alla ricerca del meritato benessere, dopo i tempi cupi e terribili della guerra appena finita. La Levi Strauss cominciò a vendere i suoi prodotti a livello nazionale nei primi anni ’50 e nel corso di questi dieci anni , dal 50 al 60, tutti gli americani, dall’Est all’Ovest, indossavano i Levis originali, e all’inizio degli anni 60 l’era del blue jeans era davvero cominciata. L’originale Levis, nel modello 501, divenne il simbolo dell’American way of life (stile di vita americano): dinamica, attiva, positiva ed ottimista.

Il 501 fu il primo modello di pantalone in denim , e le sue origini risalgono al 1890. Esso continua ad essere prodotto oggi in circa 108 taglie . Per un tipico 501 occorrono 1,3/4 yards di tessuto denim, 213 yards di filo, 5 bottoni e 6 rivetti. Ci sono ben 37 diverse operazioni di cucito per un solo pantalone 501.

La fine del proibizionismo riabilitò a tutti gli effetti questo capo, che negli ultimi anni ’50 divenne definitivamente un dailywear ( abbigliamento di tutti i giorni) aggraziato di modellatura ed elegante nella sua assoluta sportività, ed è in questa accezione che esso deve essere considerato un classico internazionale senza tempo. Fu Bob Dylan, l’intellettuale cantautore della contestazione giovanile americana, che lo rilanciò socialmente e ne fece quasi un simbolo, una specie di divisa di tutti gli studenti pacifisti, di tutti i giovani che cantavano e inneggiavano alla pace. E’ in questa versione che il jeans è da considearsi il più classico dei classici internazionali, soprattutto quando ad esso vennero abbinati, sempre nei mitici anni ’60, loafer, ( mocassini) soprattutto i weejun loafer, e con essi le giacche blazer blu, la camicia Oxford botton down, le magliette tennis, capi che hanno rigenerato l’abbigliamento casual del ‘900 e che hanno creato lo stile modernist, preceduto di una ventina di anni dal preppy style, ( abbreviazione di preparatory school), lo stile college sportivo-elegante delle scuole americane anglosassoni e protestanti, che sono state poi mutuate dai giovani europei.
E’ solo dopo il boom della produzione di massa, nel mondo così detto globale, con la grandissima espansione del mercato orientale, intorno al 1990, che il classico jeans, divenuto poco costoso e di mediocre qualità, si trasforma in un abbigliamento abusato, uno streetwear. Viene definito streetwear quel genere di abbigliamento prodotto nel mondo, soprattutto in paesi a basso costo di mano d’opera, acquistabile a quotazioni apprezzabilmente basse.
E’ questa tipologia di jeans che non rientra più nel classico internazionale, poiché ha perduto gran parte del fascino iniziale: la qualità del taglio, l’originalità del colore e delle lunghezze, le caratteristiche speciali ed uniche delle rifiniture (cuciture, borchie, forme delle tasche, altezza del punto vita, e proporzioni anatomiche in generale).

Questo tipo di pantalone è stato gettato sul mercato a milioni di pezzi e tutti lo possono acquistare, questo fenomeno ci fa assistere ad una massificazione del prodotto, intere classi sociali usano questi pantaloni con una totale mancanza di stile, specialmente la prima gioventù, che pensa di abbellirsi con “jeans” che non sono più tali, ma bensì delle tute nemmeno degne di tale nome, offensive anche per gli operai e che se fossero loro imposte, si ribellerebbero con grande ferocia. Questa è la bassa degenerazione del classico, ma vi è un’altra degenerazione, quella di voler portare i jeans nella fascia alta di mercato, “griffandola” col nome di stilisti, proponendo la degenerazione ad alti costi- Pertanto ritengo di affermare che i jeans del vero American style che ho citato col nome Levis e altri nomi storici che hanno prodotto con serietà e contraddizione, oramai posso dirlo dato che mi sono aperto, Lee, Rifle, Wrangler, sono da considerarsi jeans del classico internazionale.

Desidero comunque osservare, per un chiarimento, e consigliare che il jeans, pur essendo un classico internazionale, deve essere eventualmente usato da chi ha buon gusto, nella giusta maniera e con sobrietà, nei luoghi adeguati e alle ore adatte, e nelle modellature che abbiamo citato.

Molto altro si potrebbe scrivere ampliando lo studio sul grande “fenomeno jeans”, fenomeno di marketing , sociologico e di costume, tenendo presente che autorevoli enti, quali il Museo del Tessuto di Prato,coadiuvato da associazioni e anche Università, hanno già impostato questo tipo di lavoro, con esiti molto alti. Ne è un esempio la straordinaria “Mostra sul jeans”, rimasta aperta fino all’ ottobre 2005. Indirizzo Internet, per chi volesse visitare il sito: www.museodeltessuto.it.
Inoltre, esiste in Bavaria il Museo Levi Strauss.
Cavallereschi Saluti
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-06-2006
Cod. di rif: 2498
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Pantaloni: Laboratorio d'Eleganza tenutosi in Napoli il gior
Commenti:
Eletto Gran Maestro, Nobili Cavalieri e desiderosi di conoscenza, visitatori tutti e lettori della Lavagna dell'Abbigliamento, della quale sono orgogliosamente Rettore, ecco qui il testo disponibile per tutti coloro che abbiano delle curiosità in merito, della monografia sui pantaloni da me presentata allo scorso Laboratorio d'Eleganza, tenutosi in Napoli presso Marinella il 7 giugno u.s.
Vi rimando anche ai taccuini, ovvero alle molte immagini relative, che illustrano questo breve saggio . Buona cavalleresca lettura a tutti.
Dante De Paz

Il Cavalleresco Ordine dei
Guardiani delle Nove Porte

LABORATORI D’ELEGANZA


PANTALONI E PANTALONAI
Mercoledì 7 Giugno 2006, dalle ore 18.00 alle 21.00
presso E. MARINELLA - Napoli, Piazza Vittoria n. 282

NOTE SUI PANTALONI
A cura della Porta dell’Abbigliamento e del suo Rettore
DANTE DE PAZ

PANTALONI O PANTALONE?

Le vecchie grammatiche non lasciano scelta, la parola pantaloni avrebbe solo il plurale. Il singolare è però divenuto di uso comune e ci vogliono buoni motivi per dire a tante persone che stanno sbagliando. Se lo interpretiamo come una sineddoche, anche il singolare appare legittimo, se non addirittura aulico. Come dire “il cane è fedele”, piuttosto che “i cani sono fedeli”. “Lo spaghetto” al posto de “gli spaghetti” è altrettanto diffuso, ma non sempre suona altrettanto bene. Meno male che non tocca a noi occuparcene.

PANTALONI O CALZONI
Uomini e pantaloni in Occidente

Ci risulta difficile immaginare un uomo occidentale che non indossi i pantaloni, ma tanta gloria ha seguito un percorso tortuoso e numerosi mutamenti di fogge e di stili. Partiamo dunque da una breve narrazione storica, che ci aiuti a comprendere come siamo giunti, in Occidente appunto, a definire il pantalone come il capo senza il quale un uomo non può uscire per strada. Ho detto in Occidente, perché altrove il pantalone non è affatto scontato. Uomini di altre culture, come quelle medio orientali e orientali, anche quanto al vestire hanno abitudini diverse dalle nostre. Indossano, brache larghe, caftani, tuniche, con le dovute differenze secondo le classi sociali di appartenenza. Poveri e ricchi indossano abiti lunghi, re e sceicchi in prima fila. Prima della consueta carrellata etimologica sul termine pantalone, la prima delle curiosità: a chi dobbiamo questa rivoluzionaria invenzione dell’abbigliamento maschile? Chi ha dato origine ai pantaloni? Diamo a Cesare quel che è di Cesare: senza ombra di dubbio l’Inghilterra è la patria dei pantaloni moderni, ma la loro forma primigenia è invenzione dei popoli nordici. Furono infatti i Celti ad insegnare ai Britanni l’uso di pantaloni lunghi e larghi. Brachae erano i calzoni ampi di questo popolo guerriero, che usava abbigliarsi con colori vivaci. Alti, biondi, vestititi di colori sgargianti, così li descrivono gli storici contemporanei, come Diodoro Siculo. E fu nelle vaste e brumose campagne della Britannia che la piccola nobiltà di campagna, la potente classe sociale degli yeomen, inventò i pantaloni. Nel XVII secolo gli yeomen e la gentry erano una classe sociale assai importante. Piccoli signori di campagna, proprietari della loro terra, stavano lentamente minando l’egemonia della nobiltà. La moda cosiddetta all’inglese nacque proprio nel Settecento e andò a sostituire parzialmente la moda francese della Rivoluzione, che aveva fino allora dettato legge. Il primo pantalone arrivava fino alla caviglia, ma si restringeva in fondo per potere essere infilato nei Wellington boots. Era anche una reazione di insofferenza alla moda cicisbea allora in voga alla corte di Versailles. Gli Inglesi vollero dare della vita un’immagine più pratica, più vicina alla popolazione e anche più maschile. Anche la gentry, la media nobiltà terriera, diede un’impronta essenziale alle modificazioni dell’abbigliamento, applicando in città fogge e stili tipiche della vita di campagna.



ETIMOLOGIA

Pantalone: Il termine è usato più frequentemente al plurale, anche se nel linguaggio e nella parlata quotidiana la sineddoche (figura retorica tra le più comuni anche nel linguaggio della pubblicità) è molto frequente. Indumento maschile e femminile (in questi ultimi anni), che copre la persona dalla cintola in giù, realizzato in tessuti vari e in svariati modelli. I pantaloni derivano dalle “brachae” dei barbari, usate per ripararsi dai violenti freddi delle loro terre. Nel lungo periodo storico che seguì la loro prima comparsa, ebbero una continua evoluzione con fogge diversissime: lunghi e affusolati, corti e attillati, gonfi e ornati di nastri, a mezza gamba, alla zuava, larghi alla caviglia, ecc. Il pantalone vero e proprio nasce in Inghilterra verso il 1830, mentre diventa indumento anche femminile a partire dagli anni delle contestazioni studentesche, dopo il 1960. I calzoni possono essere: dritti, a zampa d’elefante, a sigaretta, pantalone-palazzo, alla cinese, arricciato in vita, all’odalisca, alla cavallerizza, fusò (fuseau), jeans, bermuda, corti o shorts. Pantalone era anche un nomignolo dato per scherzo ai veneziani, devotissimi di San Pantaleone. Di qui il nome dato dai Francesi a una specie di larghi calzoni, in uso presso i Veneziani. Indispensabile il collegamento con il greco. Pantaleone è alterato di Pantalemene = tutto misericordioso.

Braghe o brache: Con questo nome i Romani designavano un genere di pantaloni stretti, in uso presso le popolazioni orientali. In greco esisteva il sostantivo “brakai”. Il provenzale le definiva braya, l’antico francese braies, il latino braca e poi bragae; ma la stessa parola la si può ritrovare anche nelle lingue di ceppo germanico. Per esempio nell’antico scandinavo brok (svedese brok, danese brog), anglosassone broc, inglese breeches, frisone brok, olandese broek. Con questo termine i Romani designavano sia una specie di calzoni stretti e variopinti, in uso presso le nazioni orientali, che altri larghi e comodi usati dai popoli nordici e specialmente dai Germani. Questo tipo di abbigliamento era con giusta ragione disprezzato dai Romani, i quali erano orgogliosi delle loro toghe maestose. Le brache medievali erano di solito lunghe fino al ginocchio, in lino o cotone. Vi erano poi le calzebrache, lunghe alla caviglia e più aderenti lungo la gamba, che potevano essere senza piede o con piede.

Calzone: Accrescitivo di calceus, calzatura romana. Vestito da uomo che copre ciascuna gamba dal calcagno fino alla cintura.

STORIA
L’evoluzione delle brache fu lenta e costante. Il Rinascimento, la straordinaria stagione culturale e artistica che partendo dal nostro Paese influenzò l’intera Europa, vede costumi particolarmente ricchi, ma il pantalone non è ancora presente. Non possiamo trascurare, in questa sede, quello che era l’equipaggiamento del Cavaliere. Infatti sappiamo che la foggia dei pantaloni nasce quando i tessuti addosso alla figura maschile si allargano e si trasformano. In epoca medioevale prima, rinascimentale poi, il costume del Cavaliere, del nobiluomo, era costituito da molti pezzi sovrapposti di diversa foggia. Tra i vari elementi, in cui prevalevano le tuniche e le ricoperture delle parti superiori del corpo, facevano capolino tanti tipi di copri gambe a seconda delle necessità..

Le Brache erano generalmente di lino, molto larghe sulle gambe, con una tipica abbondanza di tessuto attorno alla vita, attorno alla quale passava una corda che fungeva da cintura. Sulle brache (o calzabrache ) potevano venire infilate protezioni in cotta di maglia, cosciali imbottiti allacciati ad una cintura e degli schinieri.

L’abbigliamento in Occidente dal Medioevo al Novecento
Convenzionalmente, si fa coincidere l’inizio del Medioevo con la caduta dell’impero romano d’Occidente, avvenuta nel 476 d.C. Nella storia dell’abbigliamento, come di ogni altro aspetto della vita sociale, la transizione tra le due ere fu progressiva. Mentre nell’impero bizantino la tunica restò il capo base per altri mille anni, in Occidente gli invasori provenienti dal Nord introdussero i pantaloni, le tuniche aderenti e i cappucci. Si dovettero tuttavia attendere circa trecento anni prima che i capi tipici delle civiltà dell’Europa settentrionale si imponessero sull’abbigliamento di tradizione tardo romana.
La tradizione Bizantina
A partire dal VI secolo, nelle regioni dell’impero bizantino gli ampi drappeggi dei vestiti furono sostituiti da stoffe ricamate, con frange e motivi orientali. Gli abiti di corte diventarono sempre più formali e rigidi. A metà tra l’usanza romana e quella orientale, le tipologie dell’abito bizantino inclusero la cappa latina semicircolare, fermata da una spilla alla spalla destra, il caffetano persiano e il vestito assiro a maniche lunghe: questi ultimi furono probabilmente i modelli degli abiti indossati presso la corte russa, rimasti pressoché immutati fino all’epoca di Pietro il Grande.
L’Alto Medioevo
In questa epoca, gli spostamenti delle popolazioni barbariche influenzarono certamente le abitudini dei popoli stanziati nelle diverse regioni europee, anche se nulla o quasi è rimasto a testimonianza dei cambiamenti nella vita quotidiana in fatto d’abbigliamento. Una novità consistette nell’introduzione da parte dei germanici dei pantaloni presso i romani. Dal canto loro, visigoti e ostrogoti adottarono capi romani, come già avevano fatto galli e bretoni. Fu solo dopo l’affermazione dei Carolingi e l’incoronazione di Carlo Magno, nell’800, che uno stile di vestiario relativamente uniforme sembrò imporsi in Europa. L’imperatore indossava nelle occasioni ufficiali abiti importati probabilmente da Costantinopoli, simili a quelli dell’imperatore bizantino. La sua tenuta quotidiana, descritta dai contemporanei, constava invece di una sottotunica, di una tunica orlata di seta colorata e di brache o pantaloni al ginocchio. Indossava inoltre un mantello fermato sulla spalla, foderato di pelliccia nella versione invernale, e un cappello di stoffa.
Il Periodo feudale e il Basso Medioevo
Le crociate e le invasioni moresche in Spagna e nella Francia sudoccidentale ebbero profonde ripercussioni nel modo di vestirsi in questi paesi. I crociati portarono con sé nuovi tessuti e introdussero stili esotici. Dall’Oriente giunsero la seta, il damasco, il velluto dai colori vivaci e con trama operata. Le brache sostituirono i pantaloni e gli abiti si arricchirono di gioielli, ricami e rifiniture di pelliccia.
L’abbigliamento maschile
Più in particolare, gli uomini ora indossavano calzabrache e brache, diverse per lunghezza e aderenza. Le calzamaglie che coprivano il tronco, nel Basso Medioevo diventarono così lunghe da far scomparire quasi del tutto le brache. Fino all’avvento della maglieria, praticamente sconosciuta nel Medioevo, le calzamaglie erano fatte di stoffa di lino o lana ed erano tagliate in modo da risultare aderenti. Nel XII secolo le calzamaglie arrivavano fino a metà coscia e coprivano le brache corte o mutandoni. In precedenza, le brache arrivavano fin sotto il ginocchio. Più strette se indossate da nobili e aristocratici, più larghe per popolani e contadini.

Tralasciando i particolari del resto dell’abbigliamento, che troppo tempo e spazio richiederebbero in questa sede che abbiamo dedicato ad un approfondimento sui pantaloni, ci limitiamo ad osservare che all’inizio del XII secolo gli abiti maschili si allungarono e alla tunica superiore si sostituì il bliaut, importato dall’Oriente. Tutto, comprese le maniche, era ampio e lungo fino a sfiorare il suolo. A partire dall’XI secolo e fino a tutto il XII secolo si avvicendarono vari stili con notevoli variazioni in fatto di lunghezza, ampiezza e ricchezza degli ornamenti.
Il Rinascimento
La moda del Rinascimento fu prima di tutto italiana. Si diffuse nel resto d’Europa in seguito alla discesa di Francesco VIII in Italia, nel 1494. Gli abiti si arricchirono di maniche a sbuffo e spacchi che lasciavano vedere la fodera, di colore diverso. Una delle più interessanti novità del Rinascimento fu l’uso, da parte di uomini e di donne, di camicie immacolate, che spuntavano dagli abiti, arricchite da merletti ai polsini e al collo, da gorgiere inamidate e da jabot. L’evoluzione del vestiario maschile fu segnata dall’allungarsi delle brache, di solito riccamente decorate.
Il Seicento
Nel XVII secolo gli abiti maschili subirono il mutamento più radicale di tutta la loro storia. Durante la prima metà del secolo, accanto alla tenuta medievale (doppia, calzamaglie, brache e mantello), apparve la casacca, in versione da viaggio o militare, composta di due parti davanti, due dietro e due ai lati. Il davanti e il dietro si abbottonavano a formare una specie di cappotto, mentre i pezzi delle spalle, una volta allacciati, davano luogo a vere e proprie maniche. In un primo tempo questa pratica innovazione venne adottata per l’equitazione; poi, all’inizio del XVIII secolo, la casacca assunse la forma dell’odierno cappotto e la doppia diventò un gilet. Fatta eccezione per le brache, sembra che le componenti essenziali dell’abbigliamento maschile moderno fossero già tutte a punto verso il 1680. Ai calzoncini corti e rotondi, a sbuffo, vennero aggiunti dei tubi di tessuto che arrivavano fino al ginocchio , detti “cannoni”. Le fogge spaziavano dallo sfarzo dei colori sgargianti del barocco spagnolo al rigore, sia pur lussuoso, dei paesi nordici. Di non secondaria importanza fu l’influenza dell’arte nelle modifiche alla foggia dei pantaloni. Fu un apporto in gran parte italiano, dovuto ai nostri attori che portavano in Francia i costumi della Commedia dell’Arte. A Parigi la nobiltà si innamorò dei larghi pantaloni della maschera di Pantalone, tanto che questo modello venne adottato dalla corte francese. E’ naturale che queste caratteristiche erano prerogativa delle classi elevate della società, che dettavano legge e canonizzavano i cambiamenti del gusto. Scoppia all’epoca lo scandalo del rehingrave, i pantaloncini a sbuffo che sembravano quasi una gonna .
In breve tempo il buon senso prevalse ed ecco che in Francia apparvero alla fine del XVII secolo le culottes,calzoni appena sotto il ginocchio fermati con bottoncini.Naturalmente vengono esportate anche in Inghilterra, dove si chiamano breeches. Sono molto aderenti e confezionati con ogni genere di tessuti.
Solo sul finire del XVIII secolo si iniziarono a sviluppare, nei diversi paesi europei, tendenze e mode particolari. In Francia l’abbigliamento divenne più elaborato e formale. In Inghilterra, al contrario, all’epoca della rivoluzione industriale, si impose tra le classi alte una tenuta pratica e comoda ispirata al vestiario del popolo e, mentre i francesi indossavano rigidi broccati, gli inglesi si volsero ai tessuti di lana.

L’Ottocento
I breeches caratterizzano anche l’inizio dell’Ottocento, secolo nel corso del quale si andarono definendo le caratteristiche del pantalone maschile dei nostri giorni. Nel primo Ottocento si portavano breeches ben tesi sull’addome e un po’ più comodi sul dietro, allacciati sul fianco e allungati fino ad entrare negli stivali alti e stretti. Rimaneva tuttavia visibile la fermatura con dei bottoncini al di sopra degli stivali. Questa foggia rimase pressoché inalterata per circa una decina d’anni, quando si comincio a sussurrare di certi pantaloni o trousers, sempre provenienti dalla madre Inghilterra. La sua borghesia industriale dettava ormai legge in tutti i campi: economico, politico e anche nel costume. I nuovi pantaloni arrivavano fino alla caviglia, dove erano fermati da bottoni e tesi da un sotto piede. Questo pantalone rivoluzionò la vita di tutti gli uomini borghesi e progressisti, mente i breeches continuavano a mantenere la loro postazione in ambito mondano e alle feste.
In Europa i primi pantaloni furono importati dai viaggiatori inglesi; dapprima hanno la cucitura esterna solo su una gamba e poco dopo su entrambe. Sono molto abbondanti nella parte superiore e la ricchezza viene tenuta stretta da una fascia.
A metà del secolo giungono sul mercato tessuti di vari generi, sia a righe che a quadri e scozzesi, destinati alle diverse occasioni della giornata, del lavoro o dei viaggi in carrozza. Anche qui siamo costretti ad essere superficiali, ma occorrerebbe aprire una parentesi sulla provenienza delle fogge e delle stoffe, sugli usi della nobiltà e della borghesia. Le classi sociali inferiori non potevano permettersi digressioni sui quadri o sulle righe e i loro abiti erano essenziali e dimessi nei tessuti. Siamo in piena età industriale e mentre la borghesia si attesta come classe egemone e leader anche nelle fenomenologie del benessere acquisito, la classe lavoratrice inglese è testimone delle forme di vita più misere e depresse.
Fu a metà del XIX secolo che il sarto Haumann ideò l’apertura centrale dei pantaloni. Se non per i pantaloni femminili, entrati nella moda nel XX secolo, non sarebbe stata mai più abbandonata. L’innovazione veanzi subito recepita da tutti i sarti e solo alla metà del XX secolo i bottoni saranno, in parte, sostituiti da una cerniera lampo.
E’ di questo periodo la nascita del famoso motto: i pantaloni non devono fare una grinza, a significare che il sarto deve prendere le misure del suo cliente con grandissima precisione. Le quattro misure che il pantalonaio prende sul corpo ed annota sono: lunghezza fuori gamba e lunghezza dentro gamba (la cui differenza è in pratica il cavallo); vita; bacino. Con questi dati, cui si aggiunge in genere il diametro del fondo, l’artigiano è in grado di ridisegnare la morfologia del corpo umano.
Il Novecento
E’ l’avvento di un’epoca nuova per la storia dell’Europa e della moda. In mezzo a tanti avvenimenti importanti, a tante tragedie, per prima la guerra con le sue distruzioni e genocidi, la società europea, all’alba di una nuova epoca, rivoluziona il costume e la moda. Mi soffermerò solo sugli aspetti di sociologia del costume, lasciando al lettore le curiosità di carattere storico
All’inizio del secolo si afferma come canone rigoroso l’unione imprescindibile dei tre pezzi: giacca, pantalone e gilet. I pantaloni, come si può vedere da illustrazioni e foto, continuano per un po’ a conservare le medesime caratteristiche degli ultimi anni dell’800. L’arbitro indiscusso dell’eleganza è in questi decenni il Re Edoardo VII d’Inghilterra. Fu lui a inventare il risvolto nei pantaloni, o comunque ad assumerlo e diffonderlo.
Il Novecento non è solamente il secolo dell’abbigliamento borghese della city, in cui prevalgono le tonalità dei grigi ed il nero. E’ altresì il momento in cui la passione e il rinnovato interesse per la vita sana, all’aria aperta, e per quanto possibile sportiva, diventano patrimonio di molti. Grazie all’aumentato benessere, un numero sempre maggiore di persone è in grado di dedicarsi a divagazioni all’aria aperta, a sport che prima erano patrimonio esclusivo della nobiltà, come ad esempio la caccia. Dall’Inghilterra giungono nuove intrusioni nel campo della moda. La giacca Norfolk, monopetto con allacciatura molto alta, piccoli revers e cintura. Riappaiono i breeches, ma in una nuova versione chiusa da una fascetta sotto il ginocchio: sono nati i knickerbockers. Essi derivano il loro nome da Dietrich Knickerbocker, pseudonimo con cui lo scrittore Washington Irving firmò il libro "Storia di New York", nel quale questo tipo di pantaloni appariva sulle illustrazioni indossato da immigrati olandesi. Fin dal settecento fanno parte del guardaroba maschile, ma sul finire del XIX secolo vengono adottati dalle donne per fare sport.
La grande guerra porta alla ribalta nuove fogge: pantaloni kaki, di stile coloniale, alla cavallerizza, pantaloni indiani, jodpur (il pantalone da cavallo dei soldati inglesi in India nei primi dieci anni del 900), alla zuava , eccetera.
Con i gloriosi e frizzanti anni 20, la cultura americana arriva in Europa. Le avanguardie artistico-letterarie aprono nuovi orizzonti all’uomo occidentale, angosciato dai recenti avvenimenti bellici i pantaloni conservano una linea quasi diritta, leggermente ristretta al fondo. Ovviamente senza risvolto quelli eleganti e da sera. Alcuni amano portare i pantaloni da passeggio con le ghette. Nascono in questi anni tre modelli di pantaloni che resteranno invariati per quasi cinquant’anni. Il più noto è il Pleated trousers, con le pinces al fianco, largo circa 56 cm. al ginocchio (22 inches per i sarti di Savile Row) e si restringe leggermente al fondo, che conclude l’orlo con 43 cm.


Oxford bags
Un caso interessante fu rappresentato dagli Oxford Bags, lanciati dagli studenti di Oxford negli anni Venti. Chiamati modello a scatola, raggiunsero dimensioni allarmanti. Molto ampi di gamba e con il risvolto, avevano all’orlo larghezze impressionanti. Il modello è stato ripreso varie volte dalla moda femminile, proponendolo anche negli ultimi anni. Larghi 60 cm. al fondo, si allargheranno esageratamente fino ad 81 cm (32 pollici), nel 1926. (potete attingere a queste notizie nel bellissimo libro di Vittoria De Buzzaccarini, Pantaloni & Co., Il Novecento: storie di moda, Zanfi Editore, 1989).
Un terzo tipo di pantalone, avvitato ed impeccabile, resisterà per oltre cinquant’anni agli assalti della moda: è il Peg Top. Ha taglio dritto, non a campana e termina con 23 cm. di giro. Ha piccole pieghe , appena visibili.

Novecento e presenza sartoriale artigianale
Mentre all’inizio del nuovo secolo l’Italia vive un difficile momento storico, tra l’inizio del Fascismo e la Prima Guerra Mondiale, i paesi europei in generale cercano di alleggerire il guardaroba maschile e di renderlo più attuale, più adatto alle esigenze di un nuovo stile di vita.
Industria ed artigianato crebbero insieme. Negli Stati Uniti cominciava, con un certo successo la confezione in serie. Ma negli stessi anni, molti di quelli che potevano permetterselo cominciavano ad andare dal sarto ed anzi a selezionare i migliori. In Europa si affermavano i grandi sarti di Parigi, Londra e Roma. I sarti di Savile Row, Creed, Caraceni, erano frequentatissimi da una ricca clientela internazionale, mentre a Milano la sartoria Prandoni continuava a vestire l’alta borghesia e la nobiltà italiane, in modo più serio e composto. Inevitabilmente veniva così a crearsi un rapporto di altissima fiducia tra sarto e cliente. L’atmosfera abbastanza serena di questi anni venne nuovamente interrotta dalla tragedia di un nuovo conflitto mondiale, e così, allo scoppio della Seconda Guerra, la moda civile dovette di nuovo sottomettersi ai dettami della moda militare. Si dovrà attendere il 1945, la fine del conflitto, per poter parlare nuovamente di moda.
Per i primi tempi, le fogge dei pantaloni non cambiarono di molto. La presenza degli Anglo-americani in Italia incoraggiò in maniera straordinaria lo studio della lingua inglese. Insieme con la lingua, che sostituì a tutti i livelli per popolarità quella francese, la gente apprezzava molto anche lo stile e l’abbigliamento, sia quello d’oltre Manica, sia quello d’oltre Oceano. Divise alleate, shorts militari inglesi in colore kaki, cappotti e giubbotti di origine militare erano i capi più ambiti.
Alla fine degli anno 40 il modello dei pantaloni tende ad accorciarsi e a stringersi leggermente. Anche quelli che accompagnano le giacche da sera, pur mantenendo un certo rigore compassato, si adeguano alle tendenze generali.

Anni ’40. Mutamento della foggia dei pantaloni
Ma la vera rivoluzione fu quella degli anni ’50, quando giunsero in Europa i pantaloni Jeans, ed il tessuto denim. La storia di questi pantaloni è così interessante, da tutti i punti di vista, che meriterebbe una trattazione a parte. Ecco qui una breve storia di questo pantalone e di questo tessuto che da 150 resistono inflessibili nella moda. E nell’abbigliamento di intere generazioni e classi sociali.

Il Jeans: Classico Internazionale

Il jeans, “odiosamato” pantalone di molte generazioni, di cui sempre si parla e al quale recentemente sono stati dedicati studi speciali e musei. (Museo del Tessuto di Prato e Museo Levis Strauss in Bavaria). Ecco una breve storia del jeans, partendo dal tessuto di cui è da sempre fatto: il denim .

Ho già avuto occasione di sfiorare questo argomento, il jeans, il 27/05/04, nel Gesso n. 1284 della Lavagna dell’Abbigliamento, con annesso Appunto n. 580 nel Taccuino della stessa Porta ( isistemi di ricerca del sito www.noveporte.it permetteranno di rintracciare facilmente questi testi). Proponevo allora la storia di un classico tra i classici: il 501 della Levi’s Strauss. In questa occasione vorrei approfondire lo studio di quel capo che ha segnato la storia dell’abbigliamento del ‘900, che ha modificato il vestire del tempo libero e dello sport di varie generazioni e classi sociali: il jeans ed in particolare i Levis. Questo è il marchio padre di tutti i jeans e anche di un modo moderno di concepire l’imprenditoria e la produzione. In via eccezionale contravvengo a uno dei principi da me sempre seguiti nei precedenti studi, quello di non fare i nomi delle case produttrici, ma l’occasione è devo dire un po’ speciale, perché il jeans da 150 anni e più, con il tessuto denim, ha cavalcato l’onda del vestire casual contemporaneo. Partiamo dunque dal tessuto e da una breve carrellata etimologica.

Denim

Il denim è una robusta stoffa in saglia, di cotone di consistente peso all’incirca 15 ozs (450-500 gr. al metro) originariamente fabbricato in Francia, a Nimes, con ordito tinto in blu indigo (o marrone) e la trama in greggio, che fa effetto bicolore. La diagonale è da destra verso sinistra. Il nome, come tutti sanno deriva dalla città di Nimes, nella Francia meridionale. Originariamente detto serge de Nimes, diventato poi colloquialmente denim. Questo tessuto è legato strettamente al nome jeans, che deriva a sua volta da “Genovese”, pare infatti che fossero i marinai genovesi ad indossare il denim sulle loro navi da carico. Ci sono tuttavia diverse scuole di pensiero sull’origine di questo, la più accreditata delle quali è quella appena citata. Il tessuto serge de Nimes ha le sue tracce in Francia addirittura prima del XVII secolo. Nello stesso periodo c’era anche un tessuto noto in Francia con il nome Nim. Il serge de Nimes era conosciuto in Inghilterra ancora prima del XVII secolo .A questo punto sorge la domanda: fu questo tessuto ad essere importato dalla Francia oppure esisteva un tessuto inglese che aveva lo stesso nome? Spesso infatti tessuti che portavano il nome del luogo di fondazione venivano esportati altrove. Il nome veniva prestato per offrire una garanzia di originalità al tessuto quando veniva venduto. Per questo un serge de Nimes comprato in Inghilterra era molto probabilmente anche fabbricato in Inghilterra e non a Nimes, in Francia. Resta però da risolvere un altro problema: come è accaduto che la parola denim sia derivata da serge de Nimes? Il serge de Nimes era di lana e seta, mentre invece il denim è sempre stato di cotone. E inoltre questo legame tra tessuti lo si ritrova solamente nel nome, anche se entrambi i tessuti hanno una trama twill, cioè diagonale. Forse non sapremo mai come andarono realmente le cose, nè ci aiuteranno a chiarire il quesito le molte domande possibili: ad esempio, se la traduzione dal francese all’inglese sia stata fatta sulla base di serge de Nimes o su quella di serge de nim. In effetti a tutt’oggi non abbiamo la certezza della verità, e oltretutto, a complicare ulteriormente le cose, c’è un’altra storia: allo stesso tempo in cui il nim aveva successo sia in Francia che in Inghilterra, esisteva già un altro tessuto, conosciuto ai tempi come jean, un fustagno di cotone, lino, o misto lana, prodotto a Genova e da essa appunto chiamato jean, che era molto popolare e veniva esportato in Inghilterra fin dal XVI secolo, alla fine del quale il tessuto era già prodotto nel Lancashire. Alla fine del XVIII secolo il tessuto jean era già tutto in cotone, e usato per la confezione di abiti maschili, grazie alle sue qualità di resistenza e lunga durata dopo molti lavaggi. La popolarità del denim era tuttavia destinata a crescere e a superare in alcuni casi quella del jean. Nonostante i due tessuti fossero assai simili, c’era tra essi una differenza sostanziale: il denim consisteva in un filo colorato ed uno bianco, mentre il jean era il prodotto di due fili dello stesso colore. Il procedimento di tintura, nonché quello di finissaggio, sono molto importanti per raggiungere un risultato di qualità. E’ naturale che nel corso dei suoi 150 anni di vita il denim abbia fatto enormi progressi qualitativi, e tuttavia la sua storia, soprattutto quella della sua tintura, è davvero molto antica, poiché la pratica della tintura con l’indaco era già in uso nel Medio Evo, che utilizzava abitualmente il guado per questo tipo di lavorazione. La pianta del guado era considerata una tale ricchezza da essere denominata “oro blu”.
Non appena il denim arrivò in America verso la fine del XVIII secolo, le fabbriche tessili americane cominciarono a produrre il tessuto in scala ridotta, soprattutto per rendersi indipendenti dalle aziende produttrici dell’Inghilterra, il paese di provenienza. All’inizio i tessuti in cotone erano uno dei prodotti principali dell’industria tessile americana, e c’era una fabbrica del Massachussetts che era in grado di produrre sia jean che denim; nel 1789 fu onorata di una visita da parte dell’allora presidente degli Stati Uniti George Washington. E’ del medesimo anno la prima apparizione della parola denim su un quotidiano locale. Poco meno di cento anni dopo, nel 1864, un’azienda dell’East Coast pubblicizzava la produzione addirittura di 10 diversi tipi di tessuto denim, ed è dello stesso anno la prima apparizione della parola denim sul dizionario Webster della lingua inglese, che definiva il”denim” come” un tessuto grosso di cotone adatto per tute da lavoro e simili”. Possiamo dire che la diffusione su larga scala del tessuto denim e per abbigliamento non da lavoro cominciò alla metà del XIX secolo, o poco più tardi, ma il denim era già presente oltre oceano da più di cento anni. Dovranno però trascorrere circa altri cento anni per la nascita del blue jeans, il pantalone dei nostri tempi, la divisa dei giovani degli anni ’60, quella che segnò definitivamente il passaggio dal workwear dei primi anni al daylywear dei nostri giorni. Il workwear in denim era una divisa con la quale l’operaio manteneva tutta la sua dignità di lavoratore. Già a metà dell’Ottocento in America esistevano diverse fogge di pantaloni denim, la cui differenza consisteva nella modellatura: pantaloni di foggia più fine venivano offerti sul mercato a coloro che non erano impegnati in lavori manuali. Ma come è accaduto che un pantalone in tessuto denim sia poi stato chiamato jeans, se non era fatto di “jean”? La risposta è tutta nel cervello di un immigrato bavarese, Levi (Loeb in origine) Strauss. Veniamo quindi alla sua storia ed a quella del Levi’s Strauss jeans.


La Storia dei jeans



Levi Strauss ( 1829-1902), il bavarese inventore e creatore dei jeans.

Tra i molti che nel 1850 corsero a San Francisco per tentare la sorte e fare fortuna con la corsa all’oro c’era anche un ventenne immigrato bavarese, che, lasciata la Germania nel 1847 con la madre e due sorelle, se ne era andato in America dove aveva cominciato a vendere prodotti tessili di vario tipo. Per alcuni anni Loeb lavorò per i fratelli, poi nel 1850 cambiò il nome Loeb in Levi e nel 1853 ottenne la cittadinanza americana. Fu allora che decise di unirsi a coloro che a San Francisco cercavano la fortuna nella Corsa all’oro. Levi era andato là per impiantare una filiale della sua azienda e pensò di poter fare un po’ di soldi rifornendo gli scavatori con dei teloni di tessuto per ripararsi durante i lavori. Ma ben presto si rese conto che gli operai e i cercatori erano in realtà molto più preoccupati per i loro pantaloni, che duravano poco tempo a causa delle dure condizioni ambientali e climatiche dei lavori di scavo. Così, per poter utilizzare il tessuto delle tende, egli trasformò quel materiale in tute da lavoro, i cosiddetti overalls”, in poche parole, una grande e larga tuta che poteva essere indossata sopra tutto il resto.. E i pantaloni resistenti furono venduti così bene che l’immigrato fu in grado di aprire un negozio al dettaglio, in cui cominciò a vendere i pantaloni sotto il suo stesso nome: Levi Strauss. La vera fortuna cominciò tuttavia nel 1873, quando un sarto del Nevada, Jacob Davis , ebbe la grande idea delle borchie per le tasche. Davis voleva brevettare quella idea, ma non ne aveva le forze economiche e finanziarie, così scrisse a Levi, che vide in quell’occasione la grande opportunità per fare un sacco di soldi. Fu nel 1873 che i due ebbero la licenza per le chiusure a borchie delle tasche. Levi portò Davies a San Francisco a supervisionare la fabbrica dei loro primi“waist overalls”(questo fu il primo nome dei jeans”). Questi pantaloni erano fatti o di cotone marrone o di denim di colore blu; consapevoli del fatto che questi pantaloni erano perfetti da lavoro, Davis e Levis decisero di utilizzare il denim, invece che il jean, in quanto il denim era più resistente e adatto del jean per abiti da lavoro. Il denim per i pantaloni borchiati proveniva da Amoskeag Mill, una fabbrica di Manchester, nel New Hampshire, molto nota allora per l’alta qualità dei suoi tessuti. In seguito al terribile incendio che devastò San Francisco all’inizio del ‘900, l’archivio storico della Levis andò completamente distrutto. E la ricostruzione della vicenda fu per questo molto complessa. In ogni caso la produzione andava così bene e l’iniziativa ebbe così grande successo che il negozietto di Levis in Sacramento Street in soli dieci anni consentì al suo proprietario di ottenere profitti elevatissimi .Naturalmente la produzione si sviluppò anche a livello industriale.

Quando Levi’ Strauss morì, nel 1902, all’età di 73 anni, egli lasciò ai suoi quattro nipoti, Jacob, louis, Abraham e Sigmund Stern, un’azienda bene avviata, ma dovettero poi impegnarsi nella ricostruzione della fabbrica distrutta nel terribile incendio del 18 Aprile 1906. Negli anni ’20 i Levis erano i pantaloni più venduti da lavoro, e intorno agli anni’l 30 essi cominciarono ad ottenere una straordinaria pubblicità grazie al cinematografo, che catturò definitivamente la fantasia degli americani, e non solo. I cowboys indossavano Levis originali e gli attori famosi contribuirono a trasformare questi pantaloni in un vero e proprio mito. Il denim cominciava ad essere associato sempre meno ai lavoratori, e sempre più a vere e proprie leggende e miti dell’eroe americano, personificato da John Waine a Gary Cooper.Che differenza, dalla prime overalls dei cercatori d’oro! Un’altra grande svolta avvenne dopo la II Guerra Mondiale, la cui fine segnò anche l‘inizio di una nuova epoca, nel campo dell’economia e dell’abbigliamento, e così il denim venne sempre di più associato al tempo libero , in una società alla ricerca del meritato benessere, dopo i tempi cupi e terribili della guerra appena finita. La Levi Strauss cominciò a vendere i suoi prodotti a livello nazionale nei primi anni ’50 e nel corso di questi dieci anni , dal 50 al 60, tutti gli americani, dall’Est all’Ovest, indossavano i Levis originali, e all’inizio degli anni 60 l’era del blue jeans era davvero cominciata. L’originale Levis, nel modello 501, divenne il simbolo dell’American way of life (stile di vita americano): dinamica, attiva, positiva ed ottimista.

Il 501 fu il primo modello di pantalone in denim e le sue origini risalgono al 1890. Esso continua ad essere prodotto oggi in circa 108 taglie. Per un tipico 501 occorrono 1,3/4 yards di tessuto denim, 213 yards di filo, 5 bottoni e 6 rivetti. Ci sono ben 37 diverse operazioni di cucito per un solo pantalone 501.



Etichetta originale del marchio Levi Strauss

La fine del proibizionismo riabilitò a tutti gli effetti questo capo, che negli ultimi anni ’50 divenne definitivamente un daylywear (abbigliamento di tutti i giorni) aggraziato di modellatura ed elegante nella sua assoluta sportività, ed è in questa accezione che esso deve essere considerato un classico internazionale senza tempo. Fu Bob Dylan, l’intellettuale cantautore della contestazione giovanile americana, che lo rilanciò socialmente e ne fece quasi un simbolo, una specie di divisa di tutti gli studenti pacifisti, di tutti i giovani che cantavano e inneggiavano alla pace. E’ in questa versione che il jeans è da considearsi il più classico dei classici internazionali, soprattutto quando ad esso vennero abbinati, sempre nei mitici anni ’60, loafer, (mocassini) soprattutto i weejun loafer, e con essi le giacche blazer blu, la camicia Oxford botton down, le magliette tennis, capi che hanno rigenerato l’abbigliamento casual del ‘900 e che hanno creato lo stile modernist, preceduto di una ventina di anni dal preppy style, (abbreviazione di preparatory school), lo stile college sportivo-elegante delle scuole americane anglosassoni e protestanti, che sono state poi mutuate dai giovani europei.
E’ solo dopo il boom della produzione di massa, nel mondo così detto globale, con la grandissima espansione del mercato orientale, intorno al 1990, che il classico jeans, divenuto poco costoso e di mediocre qualità, si trasforma in un abbigliamento abusato, uno streetwear. Viene definito streetwear quel genere di abbigliamento prodotto soprattutto in paesi a basso costo di mano d’opera, acquistabile dappertutto a quotazioni apprezzabilmente basse.

Questa tipologia di jeans non rientra più nel classico internazionale, poiché ha perduto gran parte del fascino iniziale: la qualità del taglio, l’originalità del colore e delle lunghezze, le caratteristiche speciali ed uniche delle rifiniture (cuciture, borchie, forme delle tasche, altezza del punto vita, e proporzioni anatomiche in generale).

Questo tipo di pantalone è stato gettato sul mercato a milioni di pezzi e tutti lo possono acquistare, questo fenomeno ci fa assistere ad una massificazione del prodotto, intere classi sociali usano questi pantaloni con una totale mancanza di stile, specialmente la prima gioventù, che pensa di abbellirsi con “jeans” che non sono più tali, ma bensì delle tute nemmeno degne di tale nome, offensive anche per gli operai e che se fossero loro imposte, si ribellerebbero con grande ferocia. Questa è la bassa degenerazione del classico, ma vi è un’altra degenerazione, quella di voler portare i jeans nella fascia alta di mercato, “griffandola” col nome di stilisti, proponendo la degenerazione ad alti costi- Pertanto ritengo di affermare che i jeans del vero American style che ho citato col nome Levis e altri nomi storici che hanno prodotto con serietà e contraddizione, oramai posso dirlo dato che mi sono aperto, Lee, Rifle, Wrangler, sono da considerarsi jeans del classico internazionale.

Nei primi anni ’50 i pantaloni si restringono.
Anni ’50 e ’60: Nuovi cambiamenti
La bellezza di un capo è solo in piccola parte autonoma. Il suo ruolo, soprattutto nelle lavorazioni artigianali, è quello di valorizzare l’uomo che la indosserà. I sarti hanno quindi un compito molto delicato: quello di occuparsi con grande attenzione delle proporzioni, armonizzando le parti tra loro e con il tutto. Ciò vale ancora più per il pantalonaio, colui che veste le gambe. Nella figura maschile esse sono sinonimo di virilità e di bel portamento. Ci guidano nel cammino e ci sorreggono, in senso sia reale che metaforico. Hanno, insomma, un elevato valore simbolico.
Sarti, modellisti, stilisti, grandi laboratori e industria sembrano oggi riproporre pantaloni rivisitati dallo stile di questi ultimi anni. Eccone alcuni esempi: i mods degli anni ’50, i pantaloni alla marinara, larghi in fondo e più comunemente chiamati a zampa d’elefante, oltre a moltissimi altri stili.
I Chinos

Gli anni ’50 prima e gli anni ’60 poi hanno visto un semplificarsi dello stile italiano e anche un introduzione di molte fogge legate non solo al militare, ma anche all’etnico. Un cenno speciale va fatto al Chinos, che rientra nel pantalone appartenente alla categoria delle uniformi. Rimando il lettore alla pregevole opera di Elena Bertacchini “CHINOS”, la storia e l’originale percorso culturale di un capo di abbigliamento americano - Lupetti Editori di Comunicazione, Milano. In questo bellissimo libro, anche graficamente molto accattivante, l’autrice parla della storia del chinos partendo dalla fortuna del khaki e dell’uniforme militare.





La storia del chinos è legata alla storia delle uniformi americane, in particolare al passaggio dalle divise colorate a quelle di colore kaki. Il kaki è il filo conduttore che ci fa comprendere la nascita del chinos, la cui etimologia è evidentemente legata al nome Cina, la terra dalla quale gli Americani cominciarono a rifornirsi di cotone colore kaki adatto ai loro combattimenti in terre calde. Questo cambiamento è riconducibile alla cosiddetta svolta di Cuba e risale alla guerra ispano–americana del 1898. In quel tempo, infatti, gli Americani abbandonarono per la prima volta le uniformi colorate di evocazione patriottica per sostituirle con divise dal colore mimetico, più adatte al deserto, al caldo, al sole cocente. In realtà il problema fu abbastanza complesso da risolvere, in quanto si presentò la necessità di una produzione in massa di uniformi color kaki e per questo l’esercito, dopo avere valutato le diverse offerte dell’industria tessile, stipulò nel 1898 un contratto per 50.000 uniformi di quel colore. Se ne resero disponibili solamente 5.000, che furono destinate al 5° Battaglione in partenza per Cuba. Molti soldati furono costretti a combattere ancora con le divise di lana blu, inadeguate al clima torrido, calde, e facilmente stingibili dopo pochi lavaggi. Per un certo periodo l’esercito americano dovette rivolgersi al mercato inglese, dal quale era costretto a rifornirsi per i tessuti per le proprie divise. Gli Americani non volevano per nessun motivo rinunciare alla loro eleganza e ci fu l’esigenza di conciliare le esigenze militari con alcuni effetti di carattere sartoriale. Questo principio non fu mai abbandonato, seppure per un certo periodo il kaki fu abbandonato in favore del colore grigio verde, il famoso olive drab, molto più semplice da ottenere e quindi produrre in grande quantità. Ci fu una sospensione del kaki per alcuni anni. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l’introduzione di nuove armi, il problema si fece scottante. Il kaki fu ripristinato, dopo che l’esercito ebbe fatto ricorso alla consulenza di un’altissima scuola sartoriale di tradizione. I tessuti e i colori per il soldato venivano selezionati con grandissima cura. Per le divise invernali veniva utilizzato il serge di lana pettinato color grigio verde, assai confortevole, mentre per quelle estive ecco che si affaccia sulla scena il twill di cotone del peso di 8,2/8,5 once, che venne prodotto prima nel colore tradizionale kaki, il cosiddetto Khaki Shade N. 1, per poi dare spazio ad altre varianti e tonalità, che nel 1944 vennero codificate con precise istruzioni per l’esercito. Ed ecco che arriviamo all’origine e alla diffusione del Chinos vero e proprio.

La fanteria americana in Cina viveva in condizioni abbastanza agevoli e confortevoli e dedicava molto tempo alla vita cameratesca e alla manutenzione delle uniformi, alle quali era dedicata una tale cura che esse divennero ben presto invidiate da tutto i resto dell’esercito. Poiché la manifattura di queste uniformi costava relativamente poco in Cina, esse divennero alla portata di molti reparti e schieramenti Nel 1948 fu introdotta l’uniformità delle divise per tutto l’esercito americano, grazie all’abolizione del sistema delle caste. L’uniforme kaki di cotone, con pantaloni e camicia in puro twill 100% cotone, fu la divisa estiva, con una tonalità tra il beige e il marrone che evocava un caldo giorno d’estate. Il tessuto twill richiedeva una manutenzione quotidiana, con una frequente inamidatura. La squisita fattura e la cura di queste divise divennero ben presto un simbolo e nell’immaginario collettivo rappresentavano non solamente l’efficienza militare, ma anche il benessere e la sicurezza di un’intera nazione. Fu così che alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’uniforme kaki cessò il suo compito combattivo, essa passò dal campo militare a quello civile, rivestendosi di un glamour tutto particolare, quello dello stile casual. Nasce una nuova icona di eleganza sportiva.

La parola Chinos rinvia immediatamente alla regione nella quale l’esercito si riforniva, ma allo stesso tempo ci rimanda a tempi più lontani, alla guerra messicana, nella quale il colore del deserto si identificava contemporaneamente con il caldo torrido e con un che di “tostato”, colore tipico della sabbia rovente ed assolata. Col tempo, il termine Chinos si è diffuso a tal punto da venire a coniugarsi con tutto ciò che è informale, con un vero motto di simpatia nei confronti di questi pantaloni, al punto che oggi si identifica sotto questa voce una grande varietà di pantaloni di cotone. Come per molte altre fogge, per non dire tutte quelle molto diffuse, non esiste un paradigma del chinos che ci dica cosa è giusto e cosa è sbagliato. Come per i jeans, ciò che li rende espressivi è un certo rispetto della loro storia o di una parte di essa, il riconoscimento dei significati di cui è o è stato portatore, la capacità di citare momenti o personaggi che ne hanno determinato la gloria. Tendenzialmente porta le cuciture laterali interne come i pantaloni classici (non sovrapposte come i jeans), la patta a bottoni, niente risvolti, le tasche nella cucitura, il passante centrale posteriore, un colore dal burro al nocciola chiaro, un taschino anteriore e spesso due tasche posteriori asimmetriche: una con la pattina ed una senza. Eppure, se la sagoma è corretta ed essenziale, un Chino può avere il giusto sapore e fregiarsi degnamente di tale nome anche se gli manca qualcuna di queste caratteristiche.
Nuovi colori e nuove proporzioni.

Il modernist
Testo: Chiedo scusa se attingo agli archivi di questi imprescindibili Taccuini, ma questa immagine riassume alcune delle influenze estetiche che contribuirono a formare e definire l'immagine Mod. Il modello sulla destra, con il suo impeccabile tre bottoni in mohair e con il suo atteggiamento un po' spavaldo esemplifica il tipo umano a cui gli originatori dello stile si ispirarono. Foto come queste, film come La Dolce Vita, o i film della Nouvelle Vague francese, con le loro colonne sonore a base di cool jazz, costituirono alcune tra le basi di un immaginario fatto di "coolness" in tutte le sue declinazioni, che i giovani Modernisti riuscirono a tradurre in uno stile di vita reale.
Testo: Desidero ringraziare l'esimio Rettore De Paz ed il Signor Savarè per l esauriente galleria sui "modernist" Inglesi.A prima vista occuparsi di un movimento giovanile Britannico sorto a cavallo degli ultimi anni 50 e sviluppatosi nella prima metà dei 60 potrebbe sembrare fuori tema,così non è in realtà.I Mods sono gli ultimi giovani del XX secolo ad aderire totalmente ed entusiasticamente allo stile maschile classico "giacca e cravatta",che ha il suo tempio nella sartoria artigiana,ed a creare all interno di questo mondo un propio linguaggio felice sintesi della tradizione Britannica e delle nuove suggestioni Italiane.Forse non è un caso che questo "estate di San Martino" si sviluppi propio in Inghilterra.Per l ultima volta (forse) un gruppo di ragazzi si sottopongono a prove maniacali davanti al propio sarto, alla ricerca della giusta caduta dei pantaloni sulla scarpa,o del più aereo rollare dei revers del tre bottoni.Parafrasando Luigi XV potremmo dire "Après Mods le deluge.Dal 1967 un mondo finisce ed un altro,fatto di stracci e pidocchi,o di pret à porter senz' anima inizia.
I Pantaloni oggi
Moltissime sono le fogge e le varianti possibili, ma noi ne mostreremo qui solamente alcune, poiché il Cavaliere deve mantenere salda la propria filosofia e il proprio stile, per evitare di cadere nel banale e nella massa caotica delle mille forme diverse. La produzione massiccia e l’altrettanto massiccia immissione nel mercato distingue un abbigliamento dozzinale, il cosiddetto streetwear, dall’ internazionalmente classico, o classicamente. internazionale,che invece è lo stile dell’uomo razionale e di gusto, del quale il Cavalleresco Ordine è il portavoce.
Diamo qui alcuni esempi di pantaloni. Si tratta di modelli che a mio avviso, se realizzati secondo l’appropriata conformazione ed una rigorosa modellatura, mantengono classicità ed eleganza. Il lavoro della sartoria o del pantalonaio è importantissimo nel determinare le differenze tra pantalone e pantalone. Senza dubbio una buona intesa tra sarto e cliente facilita il buon esito delle operazioni di confezione. Come sempre, per ottenere bisogna sapere bene cosa si desidera e la conoscenza di alcune nozioni di tecnica e stile è indispensabile a svolgere quel ruolo creativo che spetta al committente
Abbiamo detto, nel corso della trattazione, che nel primo ventennio del Novecento i bottoni vengono in parte sostituiti dalla cerniera lampo. Ora aggiungo che il pantalone di sartoria prevede i bottoni, e che anch’essi hanno subito tante evoluzioni nel corso degli ultimi settant’anni. Oggi il pantalone sartoriale prevede bottoni, tirapancia, tasche sulla cucitura e pinces di vario genere. Su questo argomento sono state fatte varie dissertazioni sul sito del Nostro Ordine da parte di Cavalieri, visitatori, esperti. Ad esempio, c’è chi ama la pinces alla British, chi invece preferisce la tradizione italiana. Personalmente propendo per la scuola italiana, delle due pinces.
A proposito di pinces, dalla nostra Lavagna dell’Abbigliamento cito un dialogo del Gran Maestro con il Cavaliere Villa, gessi nn. 320 e 322 rispettivamente del 24 e del 26.06.2003.
Villa:” …nel calzone la tradizione italiana è quasi esclusivamente dominata dalle due pinces, quella anglosassone da una o addirittura nessuna. Esistono situazioni ovvero peculiarità fisiche in cui sia meglio preferire una tipologia piuttosto che l’altra?”
Maresca: “Pinces. Gli inglesi le portano rivolte all'interno, noi all'esterno. Possono essere una, due o tre coppie, ma la seconda soluzione è la più usata. Le pinces rendono più ampio il "grembiule" ed evitano, o dovrebbero evitare, che nel piegarsi, sedersi, alzare il ginocchio, una gamba troppo stretta dia fastidio sfregando sulla coscia. Dico dovrebbero perché molto gioca il taglio del pantalone, che deve scendere libero e nascondere le gambe così bene e con tanta disinvoltura che esse non devono più nemmeno immaginarsi. Naturalmente chi è di fisico magro potrà vestire con un flat-front senza avere i problemi che avrebbe un soggetto la cui circonferenza della vita e della coscia è molto superiore. Quanto agli abbinamenti, credo che l'abito completo vada con le pinces. Due è il numero normale, ma la pince singola non è male e contribuisce a creare un'aria executive di uomo sicuro e determinato. E' consigliabile l'uso di una sola pince su tessuti pesantissimi, da 30 once per intenderci, dove la pince piccola esterna resterebbe un po’ legnosa.

Bastano pochi schizzi per notare quanto sia delicata l’opera del sarto nel porre rimedio ad alcuni difetti piuttosto comuni in fatto di posture e dimensioni. Non tutti abbiamo quelle dei bronzi di Riace, ma uno per uno possiamo essere ri-proporzionati da un intervento su-misura. Ma prima di giungere alle conclusioni generali di questo studio vorrei dire che un’altra decade fu molto importante per la foggia dei pantaloni: quella degli anni ’70 del Novecento, quando il vessillo della moda viene imbracciato da uomini nuovi, coi quali prende l’avvio una grande avventura imprenditoriale: gli stilisti. Mentre la sartoria artigianale continua il suo lodevole cammino nell’assestamento delle forme e delle fogge, per i pantaloni da città e da tempo libero molti personaggi della moda propongono a livello industriale canoni più moderni. Alla fine sarti e stilisti si attestano sulle quattro pinces (o due che dir si voglia). La vita può essere più o meno alta a seconda dei gusti. L’uomo del duemila veste pantaloni rivisitati rispetto agli anni ’50, ma ancora sostanzialmente classici. Le quattro pinces sono molto frequenti e, come abbiamo detto poco fa, caratterizzano la sartoria italiana. Ma altri ritornano verso il British Style, ad una pince oppure ad una pinces verso l’interno.
Intendiamo ribadire un concetto fondamentale: la moderazione e la giusta valutazione dei modi e dei tempi sono essenziali per scegliere il giusto capo, in questo caso il giusto paio di pantaloni. Ciascuno ha i suoi gusti ed il proprio stile, ma non sempre ciò che piace al primo sguardo è corretto. Come la donna che più ci attira non è per forza quella giusta, così il colore o la foggia che ci hanno incantato in una vetrina non per questo saranno quello più adatti alla nostra personalità ed al fisico. Ma se resta scollegato da noi, un capo esprimerà se stesso e non ciò che volevamo e potevamo dire. Una regola che guidi l’occhio non è quindi una limitazione, ma una lente che permette di vedere cose che altri non vedono, di distinguere differenze sottili, di trovare ciò che è adatto o di crearlo. Tra tutte, la norma più alta e più generale è quella di rimanere nelle proporzioni e nella misura. Rispettare, anche non accettandola supinamente, la tradizione depositata nelle fogge e negli stili, accettare gli insegnamenti tecnici che per secoli sarti e pantalonai hanno affinato e si sono tramandati, non è una schiavitù, ma un dominio. Cercare, guardare, ascoltare. La Bellezza ed il Piacere, compreso quello di vestire, sono alla portata di tutti, ma questo non significa che siano facili e disponibili, che basti desiderarli per raggiungerli.
DANTE DE PAZ
E LA GUARDIANIA DELLA PORTA DELL’ABBIGLIAMENTO




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 09-07-2006
Cod. di rif: 2516
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Chapeau Melon : taccuino 2397.
Commenti:

A Napoli, in quella calda serata del 7 luglio, nell’ospitale casa del Gran Maestro, caldo, fumo, condizionatore,champagne, importanti disquisizioni, siamo stati allietati dal padrone di casa da una stupenda lettura di una parte del Suo formidabile lavoro” Chapeau Melon”; esattamente ci ha letto con la giusta intonazione di voce e modulazione, e con il ritmo adeguato la parte riguardante il taccuino 2397, del 17/03/2006.
E’ questo un invito a tutti voi, Cavalieri, Scudieri, lettori e visitatori del Castello , a rileggere questo poetico taccuino, augurandovi di provare voi stessi le emozioni dei presenti; noterete con quale acutezza il Gran Maestro abbia interpretato questa figura , in fin dei conti che potrebbe sembrare nulla, uno dei tanti a passeggio per le vie di Londra, eppure di questa immagine è stata data una lettura stratificata a varie dimensioni, ogni mossa e gesto del protagonista è stato fatto oggetto di una breve descrizione lirica, ed è questo che come sempre è in grado di smuovere e commuovere gli animi.
Grazie, Gran Maestro, per quanto continui a darci.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 19-07-2006
Cod. di rif: 2529
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Croquet dizionarietto
Commenti:
Dizionarietto croquet.
Il CROQUET
In questi tempi di bellissimi dibattiti su bottoni di valore, tradizionali e meno storici, di camicie e splendidi abbinamenti, mi è venuto il desiderio di interrompere, scherzosamente ben inteso, il colto dibattito, con un intermezzo sportivo e di porre a tutti i lettori un quesito: siete voi a conoscenza dello stretto legame esistente tra il croquet e il preppy style?
Piccola provocazione, per saggiare l’interesse del Cavaliere e del visitatore su di uno stile non molto pubblicizzato ma molto conosciuto e amato: quello stile sportivo che ha fatto la linea sportiva elegante del nostro modo di vestire casuale nel corso degli ultimi 40 anni.
Sapete tutti che cos ‘è il croquet? E’ un gioco ricreativo di antica tradizione, risalente addirittura all’Italia medievale, laddove si chiamava pallamaglio. Il croquet si gioca con delle palle e delle mazze, con un abbigliamento sportivo molto semplice, è un gioco adatto a tutti e a tutte le età, e si è diffuso a l solo negli anni ’80.
Il gioco del Croquet è una battaglia tattica in cui ogni giocatore manovra sia le proprie palle che quelle dell'avversario in modo da segnare punti e, allo stesso tempo, ridurre le possibilità dell'avversario di fare altrettanto mediante un accorto posizionamento delle palle alla fine del turno.
Mi raccomando non confondiamolo con il cricket, che è un gioco di squadra assai diverso e senz’altro più conosciuto.
L’origine della parola è purtroppo ancora sconosciuta.
Intatto assaggiate qualche curiosa immagine sui taccuini.
Cavalleresca lettura
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-07-2006
Cod. di rif: 2533
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Preppy look
Commenti:

Mi ricollego alla lavagna 2529 sul croquet per cominciare una breve storia del preppy look o preppy style. In effetti quel gesso era per me il pretesto per parlare di questo stile di abbigliamento, divenuto estremamente di moda prima negli USA e poi in Europa negli anni'40,'50,'60, soprattutto tra la gente "bene", che fu vestita con questo stile anche nel cinema. Bast pensare ad esempio a gioventù bruciata , con James Dean, del 1955 , e alla tipicamente opreppy Nnatalie Wood.
Ma veniamo al dunque e leggiamo il nostro dizionarietto.

Preppy style

Preppy o anche preppie, è un aggettivo prevalentemente americano, usato anche come sostantivo, che caratterizza gli WASP, White Anglo-Saxon Protestants, che frequentano le scuole medie negli Stati Uniti d’America, le cosiddette prearatory schools .
La parola preppie definisce infatti le persone appartenenti ad una certa classe sociale , in particolare le famiglie wasp della regione del New England. Più genericamente i preppies sono persone che hanno frequentato scuole particolari

Lo stile preppy è stato a lungo associato ai depositari di uno stile di vita agiato e dunque specifico di classi sociali elevate. Sinonimo spesso di club aristocratici, proprietari di yatchs e giocatori di croquet, il tipico look preppy è fatto essenzialmente di un abbigliamento dai colori delicati, soprattutto il Khaki e i colori pastello. Un caratteristico abbigliamento maschile preppy è composto di solito di pantaloni con pinces, in tinta unita e di una polo sempre nei colori chiari, soprattutto pastello. Nello stile preppy è comunque abbastanza comune l’uso del rosa, del giallo e del corallo anche per gli uomini, oltre che per le donne. E per la donna il look è molto simile.
Le donne infatti indossano, o meglio indossavano, bermuda color khaki, oppure una gonna, a pieghe o diritta, magliette polo adeguate oppure magliette a maniche corte, e per il fresco, un cardigan leggero gettato sulle spalle.
Le scarpe erano quasi sempre tennis bianche per l’uomo, e leggeri sandali per la donna.
Il look preppy ha una parola d’ordine: nitidezza.
La semplicità non è la parola adatta al preppy, infatti accanto alla nitidezza e alla pulizia delle linee, il tipico preppy look conserva in sé anche qualcosa di atletico.

Cavallereschi saluti
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-07-2006
Cod. di rif: 2534
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Corrige al preppy look.
Commenti:
Mi scuso con i lettori per gli errori di battitura dell'introduzione alla lavagna sul preppy: assenza di maiscole, Naalie Wood scritto con due N, eccetera. Scherzi del caldo torrido, almeno spero!
Dante de Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-08-2006
Cod. di rif: 2551
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Preppy Style :seconda puntata.
Commenti:
Preppy seconda puntata.
Lo stile preppy, come dicevamo nella lavagna 2533 dello scorso 25/07/2006, nacque negli anni ’40 del Novecento come stile prevalentemente sportivo, ma poi, con l’andare del tempo, pur rimanendo intatte le fogge originarie, gli stilisti hanno fatto di questo stile casual sportivo, uno stile cittadino, che a buon diritto rientra, in questa versione rivisitata, nel classico internazionale.
Ecco quali sono in questa accezione i capi base dai quali partire per abbigliarsi secondo la versione moderna e cittadina del preppy:
•pantaloni khaki
short bermuda
• shirts modello polo
• cardigan
• gonne floreali
• sandali leggeri e delicati
• camicie Oxford maniche corte con colletto botton down
• Maglioni e pullover scollatura a V
• jeans

Tutti i capi sopra menzionati appartengono al Classico internazionale, il cui cavallo cavalchiamo ormai da anni in questo nostro sito.
Tutti possiamo vestire preppy, senza timore di essere inadeguati alle circostanze. Dobbiamo avere però l’accortezza di farci consigliare bene i colori delle camicie, in quanto, essendo le tonalità pastello un colore dominante, non sempre siamo in grado di scegliere da soli quello più donante per il nostro incarnato.
Andiamo dunque in un buon negozio, stimato, di fiducia e bene accreditata o nella professionalità, e chiediamo una camicia botton down da indossare con jeans o pantaloni khaki. Un negozio semplicemente sportivo non è detto che sia adatto alla nostra occorrenza.
Cominciate a riflettere, Cavalieri, visitatori e lettori, su questo stile che tutti crediamo di conoscere e che però sovente sottovalutiamo. Scoprirete dei begli interrogativi ai quali cercheremo di rispondere.

Cavalleresca lettura
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 17-08-2006
Cod. di rif: 2553
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Al Gran Maestro ancora sul Preppy Style
Commenti:
Egregio e Nobile Gran Maestro,
Grazie!Come al solito la tua comprensione degli scritti è immediata e profonda e le tue relative osservazioni contribuiscono ad arricchire immediately la riflessione sull'argomento. E così, anche questa volta, quanto è emerso dalle tue parole sulla donna e dai bellissimi taccuini sul Preppy Grace Style , devo dire, sottolineare ed ammettere che era proprio il pensiero che sottintendevo : il preppy è nato molto al femminile, perché in quegli anni, con il mondo che stava cambiando rapidissimamente, la nuova immagine della donna doveva passare, e anche velocemente, attraverso un nuovo modo di vestire. E dunque la moda femminile si rivoluziona, più di quanto non lo abbia fatto quella maschile, che già abbastanza era cambiata nella decade '20/'30 e anche in quella '30/40.
Gran Maestro, Grazie. Hai incoraggiato ulteriormente la riflessione e il dibattito.
Ora incoraggio nuovamente i nostri amati Cavalieri e Visitatori a porre domande e quesiti sul preppy e ad interrogarsi essi stessi. Quali capi preppy hanno, o avete, nel vostro armadio o guardaroba, senza che ne siate effettivamente consci? Forse davvero più di quanti non immaginiate.
Cavallerescamente vi esorta
Il rettore Della Porta dell'Abbigliamento
Dante de Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 19-08-2006
Cod. di rif: 2556
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavaliere Villa: preppy man style
Commenti:
Gentilissimo Cavaliere Villa,
per non lasciarla nel dubbio completo durante il fine settimana, le do una prima risposta, che, anche se parziale, le sarà tuttavia utile per inquadrare il problema.
Come avrà letto, il preppy nasce come stile college, essendo l'etimo del nome l'abbreviazione di Preparatory school. Dunque, andiamo per gradi. Il preppy nasce come abbigliamento dei ragazzi e delle ragazzze delle upper classes del New England. Lei può immaginare che un ragazzo e una ragazza che frequentano il college avranno un abbigliamento pratico ed elegante. La giacca è prevista inizialmente solo come giacca college blu, e la cravatta ammessa è quella dei club sportivi.
Giustamente lei parla del British Style sportivo, ma anch'esso nasce dai famosi circoli universitari e le cravatte regimental che hanno fatto storia sono quelle dei Colleges delle Università di Cambridge e Oxford.
Provi dunque, Caro Cavaliere, a pensarla per ora in questo modo: il preppy style è quasi, dico quasi, una divisa scolastica.
La sua rivisitazione, quella che a noi interessa nell'ambito del Classico Internazionale, rimane legata al primo imprinting, ma è evidente che qualche modificazione è ammessa: non siamo tutti , anzi lo siamo in pochissimi, frequentatori adulti delle Università.

Mi premeva rispondereLe subito, anche se, come sempre avviene nei nostri dibattiti culturali, il discorso vene approfondito e ampliato lavagna dopo lavagna.
Le Auguro un cavalleresco fine settimana in attesa dei suoi ulteriori quesiti e degli eventuali vari contributi che vi si aggiungeranno
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-10-2006
Cod. di rif: 2610
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto.: collo e bottone
Commenti:
Mi complimento con gli ultimi interventi, del Gran Maestro, dei Cavalieri e di altri visitatori del Castello, sui colli delle camicie.
Dopo una piacevole lettura delle belle lavagne ,mi è parso utile, anche forse dilettevole, inserirmi furtivamente con due brevi ma interessanti dizionarietti, che come al solito ci rimandano allo studio dell'etimo , come nostro antico costune cavalleresco.
Nella ricerca sociologica del costume un po' di filologia in pillole stuzzica la curiosità e arricchisce lo studio.


Dizionarietto


Collo:
francese col o cou, dal latino collo, parallelo al gotico halsa, e all’alto tedesco hals, a cui gli antichi dettero lo stesso etimo di columna, da cui colonna.
Altri( Fick o Duden) , volentieri farebbero riferimento alla radice kar, o kvar, da cui il greco “kilios”= curvo, e “kilio”= io volgo attorno.
Quindi il collo è sia qualcosa che sta in alto nella parte alta del busto, sia qualcosa che avvolge e sta intorno.



Bottone.

La parola,dal provenzale e spagnolo “boton”, dal basso latino “botonus”, ha a che fare con qualche cosa che spinge fuori, come un monticello di terra o simili. In francese bouton, portoghese botao; confronta ancora il francese butte= monticello.
Nei linguaggi germanici e celtici emerge una radice but, o bot, e così in molte parlate alto tedesche.
Tutto fa pensare a qualcosa di protuberante o anche ottuso.





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 15-10-2006
Cod. di rif: 2626
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Osservazioni del Rettore
Commenti:
Alcune riflessioni sull’onda delle ultime cavalleresche lavagne del Gran Maestro e dei Cavalieri


Desidero cogliere e raccogliere una bella e significativa frase del Gran Maestro a proposito del rapporto conoscenza-possibilità-vocabolario estetico e rilanciare un dibattito a proposito delle scelte, del gusto, e dell’approccio con la sartoria. Desidero inoltre sottolineare, sempre in sintonia con il Gran Maestro, che il Cavaliere non è solito mal giudicare le scelte, altrui, se mai preferisce parlare bene di alcuni indirizzi e modalità di vita e di approccio estetico al vestire.
Ma tornando all’argomento, penso che il Gran Maestro abbia come al solito colto il centro e il fulcro di tutta l’argomentazione intorno alla quale ci muoviamo qui al Castello da anni, con un contributo il più possibile onesto anche da parte mia, epistemologicamente si intende.
Ora, evidentemente questa materia è ancora un oggetto di curiosità e la rosa ha sempre le sue spine.
Cogliamo la rosa ed evitiamo le spine per godere della bellezza del fiore, e semmai anche una piccola puntuta di spina val bene il piacere della bellezza del fiore.
Fuor di metafora, la rosa è il bello, il giusto , la natura e l’onesto. Le spine sono le difficoltà e le fatiche della conoscenza.
E’ chiaro che il vestire con tanto denaro non è sinonimo di eleganza o di una buona riuscita.
Questo dovrebbe essere ormai acquisito e metabolizzato dai più.
Come procedere allora nella strada della sartoria o del pronto?
Ecco le spine.
Inevitabilmente qui sta la difficoltà della scelta del Cavaliere, così come di tutti i lettori che desiderino muoversi con decoro nella vulcanica sociètà dei nostri tempi.
Un po’ di studio è inevitabile. Noi qui al Castello cerchiamo di dare sempre il meglio, in termini di consigli e di linee guida, per tutto ciò che riguarda il vastissimo raggio delle scelte delle fogge , di tessuti, degli stili, degli abbinamenti di volta in volta adeguati alle differenti occasioni della quotidianità, e alle opportunità varie che di volta in volta la vita ci offre.
Sta però al soggetto, all’individuo, il singolo, operare una selezione . che consideri e valuti i diversi fattori: tasche, convenienza, scelta personale, la propria natura e il proprio aspetto fisico, il ruolo sociale, la professione, la religione, l’etica e la morale in genere.
A suo tempo indicammo, sempre qui al Castello, uno stile che abbiamo chiamato Classico Internazionale e che aveva per l’appunto come scopo quello di facilitare il dipanamento dell’ingarbugliato gomitolo delle enormi opportunità che ad ognuno di noi il mercato offre.
Linee base e sempre valide, per tutte le tasche e per tutte le stagioni, al di fuori delle mode esasperate, dei nomi, grandi o piccoli, delle terribili influenza mass-mediatiche.
Abbiamo cercato di facilitare, in questo modo e con questa nostra creazione, il compito di tutti e di creare anche un gusto del Castello, all’interno di esso, ma non solo per i Cavalieri, che già hanno sposato la causa, bensì per tutti.
E’ con questo dictat che desideriamo procedere, e ringrazio di nuovo il Gran Maestro per le belle parole a me rivolte, parole che io ricambio, e anzi sottolineo la Sua grande dote di essere in grado sempre di riportare il filo conduttore del discorso sul sentiero della logica, per non disperdere al vento le fatiche passate.
Sartoria, alta o bassa, pronto o su misura, non importa, ogni scelta è buona e diventa bella, se per dirla con un famoso pensiero che da secoli di storia riaccompagna:” bello e buono” sono due concetti eticamente inseparabili.
La mia cultura non si può definire propriamente classica, ma non posso non far mio questo pensiero che da millenni influenza la filosofia dell’Occidente.
E ancora la lavagna 2624 del Gran Maestro propone di soffermarsi sul rapporto quantità qualità, per ritrovare la strada della fiducia.
Ultimamente i Cavalieri si sono soffermati molto, a mio avviso, su dettagli e particolari importanti, ma a volte estrapolati dal contesto più ampio, quello dell’etica del vestire, e mi pare che anche il Gran Maestro abbia voluto, con i suoi ultimi interventi, raddrizzare, per così dire,sempre con una metafora, il timone della nave Cavalleresca, dove il buon condottiero è anche colui che “impone”, mi sia consentito il termine, la rotta di marcia .
Io propongo, come Rettore di questa Porta dell’Abbigliamento, di continuare con l’ idea della fiducia, di proseguire sulla strada della ricerca, tenendo sempre alto il vessillo Cavalleresco.
Con queste Cavalleresche riflessioni mi congedo
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 15-10-2006
Cod. di rif: 2627
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dizionarietto.: stivale
Commenti:
Dizionarietto:

Stivale
Provenzale: estival; antico spagnolo: estibal; forse dal basso latino: aestivale,= estivo, sottinteso calceamentum, ossia “calzamento”, calzatura”;propriamente calzatura di pelle leggera da estate.
In latino: ocreae aestivae.

Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 29-10-2006
Cod. di rif: 2656
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tuxedo o dinner jacket: American Style o British style? Brit
Commenti:
Nobili Cavalieri,
nella mia lavagna del 20/08/2005, codice di riferimento 2088, parlavo, a proposito del tight e delle sue varianti nella serie abbigliamento elegante da sera, di tuxedo jacket black e di tuxedo jacket white, e incoraggiavo tutti i curiosi a ricercare le differenze tra i vari tipi di dinner jacket a disposizione dell’uomo elegante.
Nei mesi a seguire, svariati taccuini si sono succeduti, con belle immagini degli uomini eleganti che di volta in volta fanno sognare l’uomo comune, ma anche, doveroso ammetterlo, sperando di non offendere nessuno, il cavaliere un po’ inesperto in materia di eleganza.
E’ proprio per ovviare a questa inesperienza che ritengo ora importante riportare alla ribalta il dibattito sulla Tuxedo o dinner jacket, in merito alla quale sarò a disposizione per chiarimenti e consigli a qualsivoglia Cavaliere o lettore che vorrà interpellarmi.
Orbene, si parla spesso di smoking, e quasi mai, se non tra gli esperti, di tuxedo.
La parola è abbastanza incriminata ne campo dell’intramontabile rivalità anglo-americana in materia di invenzioni nel campo dell'abbigliamento e non solo.
Gli americani, come ben spiega il noto scrittore, giornalista ed esperto di anglicità Beppe Severgnini, in un vecchio ma non superato articolo su La Repubblica di qualche tempo fa, vantano la creazione originale di questa bella dinner jacket, che sarebbe stata creata, secondo i più, in favore del Principe di Galles Edoardo VII. ( Edoardo della Casa di Hannover, 1841-1910, figlio della Regina Vittoria e futuro Edoardo VII).
La scusa era che dal momento che a cena dal Principe era rigoroso l’abito da sera, il frac era tuttavia troppo scomodo per stare comodamente seduti e quindi la creazione della dinner jacket sarebbe stata, pare, inevitabile.

La diatriba si concluderebbe a favore degli inglesi, dal momento che una tale sobrietà, secondo i più, non appartiene agli Americani, come riferisce Severgnini. Ma gli Americani naturalmente si arrogano la priorità della conquista, poiché fu un visitatore americano del Principe di Galles che pare ordinò dal sarto di Savile Row la famosa giacca.
In realtà, e alla luce dei dati che possiamo facilmente raccogliere anche interpellando direttamente i creatori, possiamo essere anche un po’ più precisi,al punto da poter asserire, con una certa aderenza ai fatti, l’origine british della dinner jacket.
Ma veniamo ai fatti, appunto, e cerchiamo di ricostruire con ordine la storia di questa giacca, che a mio giudizio prima o poi dovrà far parte del guardaroba del gentleman, o se preferite dell’uomo elegante in genere.

Prima di chiamarsi così, nell’ultima fase della sua origine, La tuxedo, o dinner jacket in Inghilterra, non era altro che lo smoking, la giacca da casa e da fumo che i signori borghesi usavano indossare nell’800 sopra l’abbigliamento per non intridersi di odor di fumo.
Nel lontano 1865, secondo alcuni , una dinner jacket fu richiesta da Edoardo, allora Principe del Galles, alla sartoria Henry Poole & Co. di Savile Row. Poole avrebbe ideato una "giacca corta da fumo",tagliando le code di rondine da un frac. Henry Poole confezionò quindi una corta giacca da sera, smoking, per il Principe di Galles, che la doveva indossare nelle cene informali nella tenuta di Sandringham.
Nel 1886, Mr. James Potter di Tuxedo Park, New York nel corso di una visita nella capitale inglese fu invitato dal Principe dei Galles a trascorrere un week end a Sandringham. Così gli fu gentilmente consigliato di farsi fare una giacca da smoking dal medesimo sarto di Savile Row.
Quando I Potters fecero ritorno a New York, Mr. Potter indossò orogliosamente la sua nuova smoking jacket al Tuxedo Park Club e così di lì a poco anche gli altri soci e amici del club richiesero giacche simili su misura per indossarle nel corso di cene informali per soli uomini, come divisa, al Tuxedo Club.
Ecco la storia del nome Tuxedo abbinato alla giacca, chiamata anche amichevolmente dagli americani “tux”.

Dunque molti elementi sarebbero a favore dell’origine del tutto britannica della tuxedo , anche se poi la sua grande popolarità la dobbiamo senza dubbio a molti personaggi famosi del cinema non solo americano, che la indossarono in molteplici occasioni mondane, sullo schermo e nella vita privata, facendo sognare gli amanti e le amanti dell’eleganza maschile.
Indimenticabili i Sean Connery o Clerk Gable, per citare solo due tra i più famosi indossatori di dinner jacket del grande schermo e anche più volte ricordati e immortalati nei nostri taccuini. Ma anche Gianni Agnelli o il Principe Carlo d’Inghilterra, che fanno poi degli accessori e del loro personalissimo modo di indossare la dinner jacket un costume personale divenuto nel tempo moda da imitare e classico internazionale davvero intramontabile.
Ma che dire?
Volete una bella giacca da sera’ una giacca elegente al di fuori della moda e delle mode, da usare per cene importanti, divertenti o serie?
Affidatevi a un buon sarto, lasciatevi consigliare da un buon intenditore o esperto della materia, e credo che anche la vostra presenza nell’occasione importante ne trarrà giovamento.
Dopo questa breve gitarella fuori porta,nei due paesi del bel mondo dell'eleganza, incoraggio di nuovo l'approfondimento del tema, in attesa di suggerimenti e quesiti, ai quali ognuno è invitato caldamente a rispondere con contributi sempre utili.
Buona lettura
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 31-10-2006
Cod. di rif: 2658
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Answer to the Knight Lorenzo Villa about Dinner Jacket
Commenti:
Nobile Cavaliere Villa,
come al solito complimenti per l'osservazione e l'interesse. Pensavo che il rapporto e la stretta relazione tra Dinner Jacket e Smoking Jacket si evincesse dalla mia lavagna sull'argomento.
La smoking Jacket era un indumento nobiliare-borghese, molto adatto a serate di fumo tra signori, ma la dinner jacket fu per l'appunto la giacca corta , ottenuta tagliando le code del frac, per essere eleganti a cena dal Principe di Galles. Così almeno dicono le testimonianze sartoriali.
Quindi torniamo a Londra.
Per quanto riguarda gli accessori, la dinner jacket non necessariamente richiede pumps di velluto.
E' una giacca oggi molto indossata sia nelle occasioni mondane dello spettacolo(ES. la notte degli Oscar), sia nelle situazioni eleganti dell'alta società, ma le scarpe nere non sono solo pumps.
Il soprabito è solitamente nero, mentre la foggia( monopetto, doppio petto e varietà di revers9, sono lasciate alla scelta e al gusto personali.
Cercherò taccuini eloquenti prossimamente.

Grazie del contributo.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 31-10-2006
Cod. di rif: 2660
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavaliere Villa: dinner jacket shoes e confront
Commenti:
Nobile Cavaliere Villa,

nuovamente una breve risposta.
Ebbene sì, il passato è ormai d'obbligo, nel senso che chi mai , oggi, usa in casa una smoking jacket proprio all'uopo? Cioè solo per fumare? Chi poi, anche in società, volendo ritirarsi in appositi ambienti, si atteggia alla Burt LAncaster ne Il Gattopardo di Luchino Visconti? Ahimé ! pochi, direi anzi nessuno.
Quindi è inevitabile parlare di dinner jacket come giacca da sera e le scarpe? chiaramente quelle canoniche sarebbero le pump di vernice, ma secondo Lei in una serata di Gala , mondana, poichè le feste a Castello sono sempre più rare, sono più frequentemente indossate le pump di vernice o le classiche Oxford stringate lucidissime?
Un taccuino potrà essere di aiuto.
Stringata di vernice , classica, liscia, senza fronzoli. E' una scelta elegantissima.
Le pump di vernice sono ormai qualsi solo court shoes, cioè scarpe da Corte, molto speciali, certamente bellisssime, ma anche assai difficii da indossare.
Un Cavaliere, in ogni caso, può sempre e comunque osare.

Cavallerescamente come sempre
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 21-11-2006
Cod. di rif: 2705
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: District Checks e dubbi sul vestire
Commenti:
Il Cavaliere Granata mi ha citato a proposito dei district check, e dunque rispondo al Signor Caprari, confermando il mio interesse per la materia e rimandandolo alla lavagna 1351, del 15/06/04, nella quale ho proposto la genealogia degli scozzesi, i famosi district check, cugini dei tartan, che molto hanno da insegnarci a proposito di tradizioni storiche della popolazione e dei suoi mestieri legati all'arte della tessitura, e che poi hanno fatto storia nella moda contemporanea.
Ho io stesso, in my old shop, una vasta scelta di questi tessuti, e quindi si può dire che Bologna sia un po'all'avanguardia in questo campo.
Una moda non moda, un gusto understated, che ho sempre amato e consigliato a tutti i Cavalieri dai quali sono stato interpellato per consigli sul gusto e sull'abbigliarsi in generale.
un district check va scelto in base alla propria carnagione, e non andrà mai giù di moda, un po' come il chalk striped fabric,è un classico immortale insieme al Prince if Wales e alle sue varie colorazioni, tessuti intramontabili , adatti ad ogni occasione semplicemente elegante, che tolgono qualsiasi imbarazzo al dubbioso.
Non importa arrovellarsi tanto, per vestirsi con eleganza e classe.
Chiedete e sarò proud di darvi preziosi consigli, o Cavalieri.
MI pare infatti che ultimamente vi siano, all'interno delle lavagne, alcuni dubbi irrisolti sui modi del vestire quotidiano.
Con Cavalleresca disponibilità
Il Rettore
Dante De Paz














-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-11-2006
Cod. di rif: 2749
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dipaniamo i dubbi su Tartans, Checks, Tweeds and so on
Commenti:
Un ringraziamento al Gran Maestro per avermi spianato la strada con nobili parole. Egregio Signor Caprari, Cavalieri, Lettori, Curiosi di passaggio,

mi accingo a rispondere, se pur brevemente, e come assaggio di qualche ulteriore prossimo approfondimento, come il Gran Maestro ha anticipato, e in parte per la verità assai correttamente risposto,ai suoi quesiti sui Tartan, i District Checks e i Tweed.
Spero con questo di contribuire a dissipare e chiarire un po’ di confusione creatasi ultimamente .
Sulla genealogia dei Tartan e dei District non è possibile avere dubbi, dal momento che la loro nascita è legata alla storia stessa e in particolare a quella della Scozia.
Qui riassumerò , aggiungendo però parecchi nuovi dettagli, e ulteriori curiosità, quanto da me scritto e pubblicato su queste lavagne nel giugno 2004 e pertanto nel frattempo consiglio di leggere la lavagna 1351 del 15/06/2004, proprio a proposito della Scozia e dei suoi distretti.

Ma partiamo di concetti chiave:primo, quello di clan. Il clan è l’unità sociale che sta alla base dell’antica società tribale scozzese, e che caratterizzava per l’appunto, la Scozia medievale.
Il clan era una sorta di tribù, e l’origine della parola la medesima del nome children, come lei potrà anche leggere nella lavagna sopra citata.
I clan avevano una forte struttura patriarcale e si distinguevano per il loro abbigliamento veramente unico, soprattutto per i loro scialli che ricoprivano le spalle e abbracciavano la vita. Le prime tribù celtiche vennero notate dagli scrittori romani per la qualità e il colore dei loro capi di abbigliamento di lana, che sono rimasti parte dell’abbigliamento scozzese di ogni giorno. Tra gli Scoti delle Highlands l’uso del tartan si sviluppò a tal punto da diventare un importate simbolo di appartenenza al clan.

Secondo:tartan. Per comprendere questo dobbiamo conoscere,come sempre, il significato della parola. L’origine più accreditata è quella dall’antico francese tertaine, che indicava un tipo di stoffa, e si accosta alla parola tartarin, un ricco tessuto che fu per la prima volta importato dall’Oriente, attraverso l’antica regione della Tartaria.
Quasi tutti conoscono i tartan ,ma spesso si tende a confondere i tartan con i district checks.
Entrambi, infatti, servono a identificare un gruppo di persone, ma mentre i tartan identificano membri di una stessa famiglia indipendentemente dal luogo nel quale vivono, al contrario i district checks identificano persone che vivono e lavorano nella medesima area, indipendentemente dal fatto che tra di loro vi sia un legame di parentela.
Per quanto riguarda il tweed, poi, attenzione, o Cavalieri, per cortesia.
La parola appartiene ad un campo semantico lievemente diverso: si passa direttamente ad un tipo di tessuto e di filato.
Anche i checks, voi direte, sono un tessuto. Ma la parola tweed è strettamente connessa a quella di twil cioè doppio filo.
Insomma, come avrete capito, le sfumature sono assai importanti. Può esistere un tartan in tweed, così come anche un check in tweed, ma quello che è più importante è che nascono prima i tartan e poi i checks, e secondariamente i colori e i disegni dei tessuti hanno scopi distintivi e siolo secondariamente commerciali.
Nel caso del tweed invece la partenza è commerciale.
La storia d’origine è importante. E’ dunque indispensabile partire dall’inizio, per l’esatta comprensione del risultato. Sembra una tautologia, partire dall’inizio, una banalità, voi direte, ma in realtà non è così, c’è quasi sempre un capo del filo,e in questo caso il capo sono le origini.
Prima nascono i tartans,poi si passa al nome district check, che però è un’acquisizione abbastanza recente e comunque la differenza non sta tanto nel tipo di tessuto, quanto nella ragione del loro uso, nelle differenze storiche nelle modalità dell’indossare, nei cambiamenti storici, economici e sociali, in questo caso nel passaggio dalla società feudale scozzese a quella dell’età moderna borghese dell’Inghilterra.
I tweed dei distretti furono inizialmente un fenomeno squisitamente scozzese, poi si diffusero dalla Scozia in altri paesi. Essi sono in realtà alquanto moderni, o recenti, poiché il primo tweed fu creato intorno agli anni ’40 dell’Ottocento.
Io spero per il momento di avere disciolto alcuni misunderstanding e di avere chiarito la genealogia di questi importanti tessuti.
Pensiamo alla storia e tutto si chiarirà.
Buona meditazione e storici cavallereschi saluti
Il Rettore
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 29-11-2006
Cod. di rif: 2753
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavaliere Villa sul cruciale quesito del trasfer
Commenti:
Onorabile Cavaliere Villa,
la sua cruciale domanda, o meglio , il suo cruciale quesito, è più che lecito, ma mi permetto di suggerirle di leggere con un po' di accortezza in più le osservazioni di carattere storico, poiché sono certo che in tal caso, con le sue conoscenze acquisite, non le necessiterebbero nemmeno le mie chiarificazioni.Non sminuisca, la prego, le sue qualità e doti critiche e analitiche e la sua autonomia di giudizio.
Non abbiamo forse detto che il check è un'affermazione della nuova economia, che succede a quella feudale?
Orbene, se con i Tartans era il feudatario che sceglieva il segno distintivo per la propria tribù, e se il feudatario è tale proprio perché ha al suo servizio vassalli minori, che difendono il corpo e l'anima del loro signore, è evidente, storicamente parlando, che ogni propietario feudatario difendesse i propri colori e le proprie insegne onorevoli.
trattandosi poi di una società fortemente tribale con profondo senso della comunità, è altrettanto evidente che il feudatario dovesse mantenere salda la propria originalità.
Ma quamdo la storia dà il cambio del potere, diciamo al passaggio delle consegne del potere economico e politico, allora può avvenire un maggiore scambio, in senso non solo economico ma anche culturale.
Dunque nel XIX secolo lo scambio dei district era un fenomeno naturale, in quanto il feudalesimo non era più ormai la forma economica e sociale dominante. Dunque i district cominciano ad essere una moda borghese.
Pensa che io abbia risposto alla sua giusta e crucialis quaestio?
Knightly Greetings
Dante de Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 30-11-2006
Cod. di rif: 2758
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Cavaliere Villa
Commenti:
Nobile Cavaliere Villa,

dalle sue parole evinco che lei ha interpretato il mio incoraggiamento come un appunto al suo approccio ai testi. Non era certo mia intenzione metterla in crisi, semplicemente volevo sottolineare il fatto che in tutte le cose che scriviamo esiste una continità logica, grazie alla quale spesso è possibile fare collegamenti anche senza conoscere gli argomenti in modo approfondito, e questo vale per tutti noi, naturalmente.

Quanto lei riporta a proposito della mia lavagna sui district checks è assolutanente corretto, ma le ricordo che quella lavagna non conteneva certo tutto l'esistente in materia di evoluzione dei district.
Il discorso dell'appartenenza alla regione geografica, e dunque la scelta dei checks in relazione alla terra di insediamento è legato al momento delle origini, di questi disegni scozzesi e tweeds. Poi, in un arco di tempo relativamente berve, il discorso del'appartenenza non è rimasta una tassativa regola sociale, infatti la gente ha cominciato a muoversi molto di più, poiché le ragioni economiche lo esigevano, e quindi la distinzione di carattere originario è rimasta, ma acquisito una certa mobilità.

In conclusione il nome di un check non cancella la sua origine e in ogni regione o distretto della Scozia nelle occasioni e manifestazioni di carattere popolare è evidente che la gente comune sfoggerà il disegno distintivo, un po' come i costumi tradizionali delle regioni italiane, per intenderci, ma poi nella vita di tutti i giorni o nel commercio, il movimento e lo scambio sono parole d'ordine.
Immagino comunque che continueremo il dialogo su questo argomento nelle prossime lavagne.
Con Cavalleresca stima
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-12-2006
Cod. di rif: 2804
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il Rettore: Auguri Cavallereschi
Commenti:



Un vero Cavaliere non sente il tempo, né lo teme, anzi, lo cavalca, un vero cavaliere non teme i nemici, e non ne ha quasi mai; o se ne ha , li combatte con onore.Noi, veri Cavalieri di questo sito, che anno dopo anno si arricchisce e si ingrandisce con nuove conquiste, sentiamo di continuare l’impresa, smussando i lati spigolosi di un cammino non sempre facile.
Ma, ancora una volta il desiderio della conquista ci incoraggia continuare, nella ricerca dell’onore, che in questo caso è e consiste nella cultura di un tempo onesto e valido, in un mondo troppo spesso disonesto e di poco conto.
Alla fine di un altro anno, alla sera di un’altra impresa, auguro a tutti i Cavalieri, i lettori, i validi collaboratori, e in primis alla mente illuminata di una guida terrena saggia e confortante, quella del Gran Maestro, ispiratore di questo sito incoraggiante, di continuare a lavorare con la medesima solerzia di questi ultimi recentissimi anni, in cui l’impresa cavalleresca, travestita da una sensata e intelligente metafora,per l’appunto al di fuori del tempo, ha consentito a tutti di crescere, nella comune condivisione di nuovi valori, alla luce nuove conquiste, ideali e culturali, e del cammino cavalleresco della ricerca, all’interno del Castello e attraverso le Porte che lo caratterizzano.
Per quanto riguarda, poi, la porta dell’Abbigliamento, della quale sono stato nominato tempo fa Rettore, e che con Cavalleresca e amorevole cura, intervallata a volte da momenti di fisiologica stanchezza ma riflessiva meditazione, coltivo e alimento, aiutato da Cavalieri, Scudieri e Amici, io spero che Essa contini a crescere, in ricchezza culturale e metodo della ricerca, per approfondire temi e argomenti che al di fuori del tempo non devono restare.
Che lo studio e la ricerca, con serietà e liberi da futili e inutili polemiche, continuino a illuminare il Nostro Cavalleresco Cammino, in un futuro prospero e per tutti gravido di copiosi e fortunati doni.
Cavallerescamente andiamo incontro con serena baldanza ad un copioso 2007.
Per tutti noi, per tutti voi, Auguri!
Dante De Paz
Rettore della Porta della’Abbigliamento


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-02-2007
Cod. di rif: 2892
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: cavalleresche osservazioni spazio/abitative dei nostri capi
Commenti:


I recenti contributi a proposito della cabina armadio mi incoraggiano a porre qui qualche osservazione, premettendo come di consueto una breve chiosa di carattere etimologico sulla parola che va oggi tanto di moda in relazione ad una uova tipologia di armadi: cabina.
I Cavalieri si sono espressi con calore sia sull’ipotesi della conservazione del tradizionale armadio ai piedi del letto, sia su quella dell’adozione della più moderna soluzione in materia di ordine, quella, appunto, della cabina.
Leggo con curiosità l’attenzione e la cura che il Gran Maestro rivela di avere scrupolosamente riposto nella progettazione della sua personale cabina armadio.
Le testimonianze diverse indicano la favorevole possibilità di una pacifica coesistenza di entrambe le forme di ordine, due stili di vita legati forse a due differenti filosofie o a diversi adattamenti delle modificazione degli spazi domestici di oggi.

Etimologia.
Dal Francese Cabin e dall’inglese cabin, la cabina è una piccola camera, o forse ancor più esattamente una specie di capanna. Deriva probabilmente dal latino cavus, donde anche la voce gabbia.
Ma come mai è entrata a far parte delle nostre camere da letto o delle nostre case un’altra camera più piccola, nella quale riporre gli abiti che tradizionalmente venivano accuratamente alloggiati nei tradizionali armadi?Forse gli armadi non vanno più di moda? Non è così.
Diciamo che, forse, un cavaliere dovrebbe essere in grado di sistemare le proprie divise ovunque e che, in realtà, non occorrerebbe nemmeno tanto spazio per sistemare divise, per quanto numerose esse siano.
Direi piuttosto che quella della cabina è un’abitudine abbastanza recente, legata alla necessità di usare la “home” e i suoi spazi in modo più razionale. Accogliere abiti, camicie, pantaloni e accessori nella cabina armadio è molto allettante.
Essa infatti è un esito della moderna concezione dello spazio abitativo, libero e accogliente, dove nulla è racchiuso in uno spazio asfittico, e dunque anche gli abiti reclamano la propria esigenza di respirare meglio e di offrirsi ben disposti al cavaliere e alla Dama che devono scegliere cosa indossare, senza mostrare la sofferenza di una disposizione asfittica all’interno di un luogo che spesso è affollato e claustrofobico.
Ma non dimentichiamo che tutto, ancora una volta , è legato alla possibilità di ciascuno, e che anche un tradizionale armadio può essere un luogo accogliente per gli abiti del cavaliere, qualora essi siano comunque sempre ben curati.
Infatti io credo che le difficoltà maggiore sia da trovarsi nella cura dei propri capi di abbigliamento, piuttosto che nel loro habitat, e che per l’appunto l’arte della conservazione è tutta racchiusa nell’antica abilità e maestria della protezione dei tessuti, nella loro preservazione della polvere e dagli animaletti nocivi, nel lavaggio e nella stiratura accurati, nel sapersi destreggiare con pieghe e fogge, nel non rovinare con errate temperature le antiche fibre, che possono di volta in volta riprendere vita e lucentezza da un appropriato trattamento di pulizia, così come, al contrario, possono essere irrimediabilmente danneggiate da un’errata valutazione delle modalità di pulizia e lavaggio.
Queste sono le preoccupazioni più serie per quanto riguarda la bella presentazione e la carezzevole accoglienza dei nostri abiti. Che devono dare di noi l’impressione che noi vogliamo dare agli altri.
L’abito fa l’essere sociale, questo è un motto da tenere in considerazione.-
Lustrare l’armatura prima del combattimento è il motto del Cavaliere e una cotta arrugginita è quanto di peggio ci possiamo immaginare, così come una divisa abbottonata male, o una bustina male indossata, o un colletto stropicciato , o una stiratura con le grinzette o le pieghe dei pantaloni a doppia sfumatura visibile sono tristemente deprecabili.
Credo che tutto sommato questi siano i particolari da non trascurare nelle presentazione dei nostri capi.
Per quanto riguarda poi le modalità di riporli, beato colui che abbia una bella e confortevole stanza guardaroba, una bella e ariosa cabina, nella quale le distanze di sicurezza siano mantenute senza difficoltà.
Per chi , invece non possa usufruire di questa fortunata possibilità, di nuovo un consiglio: cura estrema della conservazione e cura dei singoli capi.
A future e prossime osservazioni spazio –abitative
Cavallerescamente
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-03-2007
Cod. di rif: 2929
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Primavera Cavalleresca
Commenti:
Primavera Cavalleresca
Stimato Gran Maestro, Cavalieri tutti e visitatori, ecco qualche riflessione primaverile

Gabriele D’annunzio, uno degli uomini più eleganti dell’Italia umbertina, pubblicò a soli sedici anni, nel 1879,grazie all’aiuto economico del padre, la sua prima raccolta poetica: “Primo Vere”, con la quale subito si distinse per essere un promettente poeta, un genio della poesia e poi un grande innovatore della prosa. La sua eleganza e la sua arte lo resero ben presto famoso.
Il giovane collegiale fu poi l’arbiter elegantiarum dell’età decadente.
Con questo ricordo di un grande poeta, che spesso in questo nostro sito viene citato per il suo estremo gusto estetico, desidero augurare a tutti i Cavalieri e ai lettori e visitatori abituali e occasionali un buon inizio di primavera, che ieri ha finalmente fatto il suo ufficiale ingresso astronomico, dopo un inverno che , in verità, si è fatto molto desiderare.
Nonostante dunque forse qualche freddo fuori programma possa fare capolino tra il tepore della prima età, certamente la nostra mente è rivolta al bello, alle lunghe giornate, all’attesa di qualche pioggia ristoratrice,della quale i campi e la terra hanno estremo bisogno.
Le lavagne degli ultimi tempi, per quanto come sempre interessanti e proficue, mi sia lecito dire sono parse ancora un po’ assonnate ed in letargo.
Dal giusto sonno e dalla pigrizia invernali è però ora opportuno risvegliarsi e dedicarsi con maggiore slancio allo studio e alle attività che si addicono alla stagione dei risvegli.
Incoraggio tutti coloro che lo desiderino a trovare nuovi spunti di riflessione sui tessuti della bella stagione, sulle fogge che meglio si addicono alla quotidianità di una nuova e differente temperatura, su tutto quanto possa essere di stimolo al risveglio del gusto e della strategia comunicativa che esso si porta con sé.
Che cosa dunque preferiscono i Cavalieri?
Leggere lane worsted, che si sposano con gessati e tinte unite, Principe di Galles delicati per abiti sempre indossabili, oppure giacche di leggero tweed dalla foggia sportiva, che gli inglesi indossano per le loro sortite campagnole, insieme con verdi waxed, e che noi imitiamo così volentieri?
Ritornano i gilet, che lasciano di nuovo i parte respirare il corpo chiuso nell’umidità invernale, i pullover a V con leggere tinte sfumate stile preppy, mocassini weejun e blazer blu, che come sappiamo è l’antonomasia della primavera, come dire : un blazer blu fa sempre primavera.
E come lo gradiamo? Con bottoni di quale colore? Dorati alla marinara? Fa un po’ Cary Grant !Classici ? Con foggia stile college o rivisitato da eleganza cittadina?
Ecco alcuni spunti, stimati cavalieri, per nuove riflessioni di questo mese di marzo, che chi sa quali sorprese atmosferiche ci porterà.
Buona lettura e buon lavoro a tutti, con il proposito di quotidianamente aggiornarci sulle esigenze di ciascuno.
Anche delle dame, perché no?
Non è forse in primavera che il gusto delle cortesi creature si risveglia ai tepori dei colori più delicati delle antiche arti della tessitura e della tintura? Certamente i Cavalieri gradiranno per loro qualche fresco pensiero( sempre di dannunziana memoria). Non c’è che l’imbarazzo della scelta, nei fiori delle parole e dei colori, che l’uomo ha sempre saputo con saggezza e maestria riprodurre dalla natura ai suoi manufatti, per abbellire la vita di tutti noi.
Cavallerescamente
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 05-03-2007
Cod. di rif: 2944
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Al Cavaliere Longo:pesi misure e colori: un 'oncia non fa l
Commenti:
Pregiato Cavaliere Longo,
la incoraggio immediatamente con questa risposta, premettendo comunque che dovrei meglio conoscere le caratteristiche sue peculiari come Cavaliere, al fine di consigliarla in modo più adeguato a proposito del suo vestire primaverile.Tuttavia ecco il mio pensiero in proposito : vede , la pesantezza, il colore , il tessuto, sono oggettivi solo in parte, perché in realtà la soggettività anche nella consistenza di ciò che indossiamo la fa da padrona. Il modo di percepire temperature e vestibilità sono diversi per ognumo di noi, per non parlare poi della sensibilità al colore, una delle cose che più caratterizza le differenze del gusto.
Se Lei non si sente ancora pronto per i colori primaverili non li indossi, va benissimo ancora un po'' di marrone, dato che le giornate sono un po' altalenanti:ieri pareva estate , almeno qui nella landa dei Cavalieri petroniani, ed oggi invece la temperatura è tornata fresca e l'aria un poi' nebbiosa, ma è vero che, in realtà, la luce tende al bello. E poi il bruciato è un colore che ben si addice all'estate , con i colori caldi della sabbia e dei deserti.
Dato che, in effetti, il grigio, l'azzurro, i pastello e il bellissimo blu, classicamente internazionale, sono i re delle sferzate zefiro vestpertine, la incoraggerei ad orientasi verso una di queste combinazioni cromatiche.
Certo, tutto è condizionato anche dal tipo di abito: se intero, una light worsted wool è bellissima e molto adatta, in tutte le tionalità del grigio e anche del blu( con le infinite sfumature dei cieli), così come è benvenuto l'intarmontabile PRINCE OF wALES.
Se diversamente il Cavaliere desidera spezzare l'unità, può sempre ancora indirizzarsi alle fantasie dei quadri, con le belle sfumature pastello e marroni ancora intrecciate tra di loro, o su dei leggeri puntinati birds eyes( leggasi occhio di pernice) , ma un po' rivisitato, con qualche piccolo punto di colore che illumini lo sfondo.
Le possibilità sono infinite, e incoraggianti; si può sempre osare, prestando grande attenzione alle scarpe, che ancora nel marrone scuro saranno le preferite.La cravatta sgargiante può sempre reonverdire una situazione di luce ancora nascosta, leggermente ammiccante dai lucidi filati di un bel pettinato satinato. Sì un pettinato leggero, anche se scuro, è molto luminoso. I consigli che vorri darle sono ancora molti , ma preferisco attendere qualche indicazione in più da parte dei suoi desideri.Pensi istintivamente a ciò che vorrebbe indossare qui ed ora , e certo l'operazione di unire soggettività ed oggettività sarà più facile anche per me, e per chi desideri contribuire all'opera di consulenza.
In attesa Cavallerescamente la saluto
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 05-03-2007
Cod. di rif: 2946
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: tessuti e primavera: esplicitazione titolo
Commenti:
Spiego il titolo della mia precedente lavagna 2944. Un'oncia non fa primavera, che non è venuto scritto per intero a causa dell'eccessiva lunghezza, non accolta dallo spazio dell'oggetto. Mi riferivo con questo alla preoccupazione del Cavaliere LOngo a proposito della pesantezza dei tessuti. Un'oncia non è così importante quanto la gradevolezza el tessuto , così come percepito da chi lo indossa.
Esercizio per tutti i Cavalieri:riflettere sulla relazione tra temperatura esterna e temmperatura corporea, al fine di individuare la scelta giusta della pesantezza adatta alle proprie esigenze del momento.
Buona esercitazone
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-03-2007
Cod. di rif: 2959
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il tabacco o delle stagioni: magia di un colore
Commenti:

Un tempo , all'inizio del XX secolo, l'eleganza maschile era basata essenzialmente sul tre pezzi grigio scuro : completo giacca pantaloni e gilet. L'abito borghese per eccellenza eccolo qui, nato sulle orme delle marsine prima rivisitate e poi accorciate, con la decorazione del gilet che lascia il posto all'austero complemento cittadino.
Di decade in decade il gilet, o panciotto, è diventato poi prerogativa non di molti , a seconda delle professioni svolte.
Un'eleganza quotidiana che debba essere anche pratica fa fatica ad esigere questo bel complemento dell'eleganza.
Così, soprattutto a partire dagli anni '50 in avanti, l'uomo ben vestito viene per lo più identificato con il completo, blu scuro, grigio scuro o grigio chiaro, Principe di Galles o gessato, nelle varie tonalità dei grigi, meno usate quelle dei marroni.
Oggi, come si sa, c'è un po' di tutto.
Il gilet, indispensabile con tenute formali, è altrettanto gradito per rifinire un abbigliamento quotidiano senza tempo.
La mia a digressione, che inevitabilmente parte dalle fogge, poiché è da queste che si distingue e si discerne il gusto dell' "indossante", vuole per lo più arrivare ad alcune osservazioni sui colori, che mi pare preoccupino abbastanza i cavalieri, i questi ultimi tempi.
Come si può notare dal modesto esempio del taccuino mandato in onda solo a scopo esemplificativo, ( N. 3141) il tono del tabacco ha incuriosito le riflessioni.
Può un simile colore della natura, che solitamente si assoocia all'autunno e all'estate, far parte delle gamme cromatiche primaverili?
Non esistono regole canoniche inviolabili, tuttavia potremmo azzardare a dire che in effetti un bel color calodo tabacco, caffé e nocciola, si sposa meglio con gli aridi orizzonti delle estati calde, ma non solo.
Senza dubbio l'agiato tabacco, il gustoso caffé, le gamme dei sabbia, dei kaki e dei bruciati, stanno molto beni con i bianchi, i panna e gli avorio dei bellissimi lini estivi, ma... c'è sempre un ma.
I colori non sono mai solo solitari( mi si consenta il pastiche ) , sono invece spesso abbinati e miscelati, e quindi, prendendo ad esempio e guida il magistero dei famosi checks, o quadri, che l'intramontabile eleganza inglese accoglie per disegni di qualsiasi stagione, proviamo a pensare a quanti bellissimi quadri sfumati, nei toni pastello e nelle sfumature del verde, del giallo chiaro, del marrone chiaro , possiamo combinare per confezionare una splendida giacca.
Pensiamo ad tabacco caldo per la nostra giacca cittadine, per un caban più sportivo, per una riga di check, che si confonda su di una basa complessivamente chiara.
Se andiamo a studiare i district classici, vedremo che i primi ed originali di essi, a parte lo shepherd iniziale, nato sulle tonalità del bianco e nero, sono tutti i quasi giocati sui toni marroni, bruciati, rossastri e verde brughiera, e poiché i toni della brughiera variano proprio tra i range di queste sfumature, per le sue peculiari caratteristiche bio-ambientali, non dobbiamo meravigliarci se poi anche gli stilisti continuano ad utilizzare queste tonalità.
E' evidente poi che l'etnia e la cultura giocano un altra importantissime parte.
Nella storia, consideriamo prima la genealogia dei checks e il classicissimo lovat, padre di tutti i colori neutri: lo scopo era quello della mimesi, dell'imitazione della natura per confondersi con essa e ingannare gli animali.
Da questo inganno iniziale nacque poi lo scopo numero due, che era quello di identificare, da parte dei proprietari, una tenuta e l'appartenenza ad essa.
Un po' riassunta, ma la storia è andata veramente così.
Dunque, tornando al concetto di etnia, quando attraversiamo la Manica, l'imperioso e burrascoso Channel che ci riporta con i piedi per terra sul continente, ecco che dobbiamo fare i conti con battaglieri francesi e gli spensierati italiani, che cominciano a modificare i colori a seconda di differenti esigenze culturali. I blu e i grigi cominciano a dominare sulla quotidianità cittadina del continente e spianano la strada per una moda un po' più glamour, si direbbe oggi.
Questo è quanto.
Non dimentichiamo di ritornare alle origini, ogniqualvolta desideriamo fare delle scelte.
Buona riflessione Cavalleresca e storia al tempo stesso


Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 19-03-2007
Cod. di rif: 2971
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Trame di primavera
Commenti:
Primavera nelle trame

Leggendo i gessi del Gran Maestro di questi ultimi giorni e qualche altro , tra cui quelli del Cavaliere Longo e del Cavaliere Villa, mi viene spontanea una riflessione, sul rapporto tra zefiro e le trame .
Zefiro è l’amico vento di primavera, quella leggera, frizzante aria, con u sapore e un odore del tutto nuovi, che ci avvisa che è Primavera e che è giunta l’ora ora di cambiar la pesantezza dei tessuti intorno al corpo.
Sì, perché, prima ancora che di colori, o forse direi contemporaneamente ad essi, è bene che parliamo di tatto dei tessuti, di trame leggeri che alleggeriscono al contempo il corpo che esce dalle brume dell’inverno che chiama a raccolta i pettinati lucidi e leggeri, i titolo alti delle filature di primavera.
Quando è caldo il pantalone, quando soffriamo se non togliamo il cappotto, che viviamo ormai come un’incongruenza rispetto alla stagione, ecco che il cambio del guardaroba ci chiama e perentoriamente ci invita alla vacchetta da spianare.
Scarpe, camicie, pantaloni, cravatte, giacche e veri abiti interi, tutti pure wool pettinata a titolo alto, col grigio se volete ancora imperante e il bleu che cerca il suo spazio, ebbene sì, è primavera!
La lana chiama, e il ferro da stiro anche!
Incoraggiamo le trame leggere a vestirci come si deve e chiediamo consigli ai maestri, maestri sarti, maestri intenditori, fabbricanti e lavoranti.
Rimarrà con noi per tutto il mese di marzo ed anche per quello di aprile il leggero zefiro che induce il cavaliere ad alleggerire l’armatura, ma non necessariamente ad indossare tutti i colori dell’arcobaleno.
Buona Cavalcata
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 06-04-2007
Cod. di rif: 3023
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il Sarto: etimologia e storia di un'arte, quella del tagliar
Commenti:
Sarto: etimologia
Prologo.
Chiamo prologo l’introduzione all’argomento, un tema importante e mai abbastanza approfondito, quello delle arti e dei mestieri, che sono gli avi della moda e dello stile di oggi.
La moda altro non è che l’arte dei tessuti applicata alla necessità e all’estetica del vestirsi umano.
E’ nel Medioevo che con la rinascita delle città e dei commerci, fece capolino e si ampliò enormemente tutta quella fittissima rete di arti e mestieri che ruotavano intorno al commercio delle stoffe, che aveva i suoi fertilissimi centri nelle città italiane e in quelle delle Fiandre.
Fu in questa bellissima età, della quale incoraggio vivamente lo studio e l’approfondimento sulle nostre Lavagne che il mondo dell’abbigliamento prese forma, nei modi e nei contenuti, e si concretizzò poi i una vera e propria industria , che nel corso di altri sette secoli è giunta ad essere quell’enorme business che oggi chiamiamo genericamente la moda.
Ma poiché questo è il tempo della primavera, rinascita delle stagioni, insieme con l’erba e con i fiori io auspico la rinascita dello studio, verso lidi ricchi di scoperte e di ritrovamenti, i siti archeologici del nostro modo di abbigliarci, delle arti che hanno reso più gradevole il corpo delle donne e anche , in una qualche misura , degli uomini. E dunque è dal sarto che voglio partire, da quella figura senza la quale cammineremmo ancora nudi o semi nudi , come nell’antica Grecia o nella Roma dei Cesari.
Sarto:dal latino sartor, da sartus, participio perfetto del verbo sarcio, che per la verità significa rammendare e solo con il tempo ha acquisito il significato di colui che cuce le pezze, soprattutto nel Medioevo.
Il tagliare era allora un’ arte, deputata al dolo maestro , mentre il cucire e il rifinire erano alte arti che potevano essere svolte anche da lavoranti di grado inferiore al maestro.
E’ qui che mi voglio fermare e da qui desidero ripartire, con un approfondimento delle antiche origini della maestria e dell’arte del sarto.
(Prima piccola parte)
Cavallerescamente con arte
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-04-2007
Cod. di rif: 3025
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: New Edwardians
Commenti:
NEW EDWARDIANS


Tempo di riflessioni sullo stile edoardiano e sulle sue modificazioni nel tempo
New Edwardians Ted
I teddy boys, o Nuovi Edoardiani, affollavano le strade di Londra negli anni ’50 e il nome, diminutivo di Edward, designava soprattutto una fascia giovanile che desiderava identificarsi attraverso un rinnovamento della moda, quella moda lussuosa diventata famosa in Europa grazie al contributo di Edoardo VII, RE di Inghilterra dal 1901 al 1910.
I Cavalieri, interessati da questo fenomeno culturale e di costume, si sono soffermati in questi ultimi giorni su questi aspetti dell’abbigliamento, e mi pare una bella idea.
Tuttavia mi sorgono continuamente dubbi su quanto sia stato effettivamente chiarito, a proposito dei meccanismi economici e sociologici che si intersecano con le modificazioni del costume e del gusto nelle prime decadi del Novecento.
Mi pare occorra una sintassi più ricca, laddove per sintassi si intenda un’argomentazione che fughi ogni malinteso nella fitta rete delle informazioni che con il contributo di tutti attraversano le stanze del Castello.
Propongo pertanto altri suggerimenti e spunti per continuare la ricerca e la definizione delle categorie.
I teddy boys, oltre a riproporre alcuni capi dei primi del Novecento rivisitati, aggiunsero un tocco di american style alle loro divise, e così modernizzarono le primitive fogge.
Questo stile era prevalentemente unisex e faceva leva sulla redingote al ginocchio con i fianchi attillati, resi ancora più smilzi dai colori che erano o scuri, oppure, all’opposto, sgargianti e brillanti: mauve, rosso, giallo, verde acceso.
La redingote era abbottonata alta con piccoli rever in velluto.
Veniva indossata con preziosi gilet ricamati, camicie e jabot svolazzanti, fermati al collo da stringhe o cravatte sottili, stile cowboys. I pantaloni,prevalentemente diritti e stretti, sono i cosiddetti "drain pip.I capelli sono lunghi, con u taglio quasi femminile, e spesso con basette esagerate. Anche questa moda non durò più di un decennio sulle scene europee, ma molti giovani ne furono vittime, chi più chi meno, chi gon gusto, chi invece con esasperazioni kitch. Questa moda ebbe un’importantissima evoluzione , rappresentava in ogni modo una ripresa di uno stile un po’ aristocratico, almeno nella mente dei suoi ideatori, che volevano riprendere un po’ della perduta follia aristocratica inglese.
Il movimento New Edwardians ha avuto molta importanza, soprattutto nell’evoluzione dello street style degli anni seguenti.
Cavalleresche riflessioni pasquali
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 10-04-2007
Cod. di rif: 3035
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il sarto, seconda piccola parte
Commenti:
Continuo, o Cavalieri, la carrellata, o meglio la cavalcata , sulla storia e la genealogia del mestiere del sarto, che presuppone la comprensione di quel fenomeno legato all'abbigliamento che si chiama adattamento delle vesti al corpo umano.
Per questo la trattazione dell'argomento in oggetto richiederà varie brevi o meno brevi puntate, sulle quali prego il lettore di soffermarsi con attenzione, al fine di non farsi sfuggire i passaggi necessari ad una corretta interpretazione.
Continuiamo allora la storia del mestiere per eccellenza legato all’abbigliamento e al costume: il mestiere del sarto.
Per noi è oggi naturale pensare che esistano i sarti e le sarte, ma c’era un tempo in cui le persone non usavano questa abilità in modo tale da renderla un mestiere vero e proprio: per esempio nella preistoria i sarti non esistevano.
Quando diciamo sarto diciamo arte e artigianato, in un contesto prevalentemente industrializzato, vale a dire il sarto è l’alternativa al confezionato, al pronto .
Partiamo pur dunque dal presupposto che nei nistri paesi dell'emisfero boreale il vestire è una necessità, ma le fogge, i modi, le mode, sono variati nel tempo, e nel corso della storia le classi sociali hanno scandito con il diverso modo di vestire la differenza di possibilità economiche e di stili di vita.
I mestieri e le professioni hanno dato un notevole impulso alla differenziazione e alla distinzione delle fogge, dei tagli, dei tessuti utilizzati per confezionare vestiti.
Per gli uomini , ad esempio, la veste, la camicia, la toga erano abiti solenni, che ben si adattavano al tipo di movimenti e di posture di coloro che li indossavano.
Al contrario, le brache, i pantaloni, i calzoni erano e sono tuttora adatti a coloro che compiono movimenti veloci e spesso collegati con azioni lavorative di tipo manuale.
E’ questa la medesima distinzione, se ci pensiamo , che esiste al giorno d’oggi tra l’abito del professionista, sia medico, avvocato, notaio, professore, e quello dell’operaio o del manovale.Come dissi già nella prima puntata, ma come ben si sa ripetere è utile, quando si dice sarto si dice MedioEvo.
Fu infatti alora che le pezze di stoffa, pregiate e meno pregiate che l'Italia scambiava con le città del Nord Europa , e le lussuose metrature che avevano cominciato ad entrare nelle case dei ricchi grazie ai commerci delle vie della seta, furono a poco apoco trasformate in abiti decorati e modellati per gli esponenti dlle classi aristocratiche del Nord e del Centro Italia.
Il sarto è un mestiere molto in auge gia nel Duecento, insieme a molti latri mestieri collegatoi con l'abbigliamento e si colloca al secondo grado della scala professionale medievale, insieme ai gioiellieri-orafi e ai fabbri.
Strettamente collegta con il mestiere del sarto è un 'altra arte molto fiorente nel Duecento e nel Trecento in Italia e in Francia: la drapperia.
Di quest'arte, di cui la mia famiglia ed io siamo partecipi da generazioni, (e mi scuso se per la prima volta alludo ad un po' di vita personale legata alla professione) conosco ogni angolo recondito.

Il collegamento tra sartoria e drapperia è strettissimo, poiché allora, vale a dire nel Medioevo, la scelta delle stoffe, la loro preparazione, l'adattamento alla persona che le aveva ordinate, il coordinamento delle persone che lavoravano per il maestro sarto , rendevano la lavorazione un complesso lavoro di equipe.
Immaginiamo dunque quale fermento ci fosse in quelle belle città nel momento del fiorire dei commerci.
E finisco questa breve ma intensa seconda puntata con un chiarimento importante: solo il sarto era deputato al taglio.
Cavalieri sarti unitevi!
Cavallerescamente incoraggio a conservare l'arte del taglio e lancio il quesito:
Che cos'era la cioppa?
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-04-2007
Cod. di rif: 3038
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Replica al Cavaliere Bellucco: nota sulla cioppa
Commenti:
Egregio Cavaliere Stefano Bellucco,
la ringrazio per la prontezza del suo interesse e per la dotta annotazione sulla cioppa.
Senz'altro non le sarà sfuggita anche la nota etimologica di questa parola, che in italiano risale all'Alto Medio Evo e che parrebbe tuttavia di origine germanica.
Senza dubbio quanto Lei scrive risponde al vero; una breve osservazione: anche se la cioppa risulta come utilizzo pratico e pare fosse confezionata inizialmente con tessuti modesti, abbiamo fogge di cioppa anche un po' più eaborate.
Mi complimento con Lei per la bella citazione letteraria del Ninfale boccaccesco, e senza meno la cioppa era un capo di uso molto comune nel Medio Evo e poi anche in epoca rinascimentale.

Lancio ora un altro quiz:che cosa vi dice la ciclavica?
Cavallereschi complimenti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 19-04-2007
Cod. di rif: 3066
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Polo di primavera: rispondo al Signor Bondi
Commenti:
Egregio Signor Bondi,

rispondo volentieri alla Sua richiesta di informazioni in merito alla Polo e alle esigenze della stagione nuova entrante, anche se in verità alcune risposte Le ha già ricevute.
Innanzitutto non dimentichiamo che la Polo fa parte del cosiddetto abbigliamento classico internazionale, filo conduttore di molte nostre lavagne degli ultimi anni, uno stile e un gusto del vestire intramontabile, che parte da capi storici e classici rivisitati alla luce di alcune inevitabili modificazioni dovute alle esigenze dei nostri tempi.
In ogni caso ecco il mio pensiero, e la mia spontanea risposta.
Non mi baserei di certo, per soddisfare la sua curiosità e risolvere il suo quesito, sui nomi ricorrenti sul mercato e produttori di polo, ma piuttosto su di un'analisi attenta delle qualità tessili tessili con cui vengono confezionate le maglie.
Molto consigliati pertanto sono il Sea Island Cotton, la cui storia potrà leggere sulla Lavagna N 1484 del 29/07/2004, e sulla cui qualità potrà sapere parecchie notizie, il Filo Scozia, per il quale veda la Lavagna N. 1458 del 13/07/2004, e poi il piquet nido d’ape , ora molto richiesto, consigliabile in una buona finezza, possibilmente tinto in filo. Quanto al modello, la polo sarebbe meglio un po’ più lunga dietro.
Occorrerebbe poi che il negozio di fiducia, oltre al marchio, fosse in grado di presentare al cliente la qualità offerta.
Le ricordo che sono a disposizione per rispondere a domande e curiosità e la saluto Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 19-04-2007
Cod. di rif: 3068
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: polo: titolo tintura e filato, rispondo al Cavaliere Villa
Commenti:
Egregio Cavaliere Villa,
come Lei avrà notato non sono mi stato amante, nelle mie lavagne e quindi anche nelle risposte a Lei rivolte, dei nomi, delle marche e delle case, e questo non certo per una ragione di simpatia o antipatia, o di preferenza e quindi selezione , ma piuttosto per un rigore di metodo che intendo seguire,
Mi spiego: a i filati, le stoffe, i tessuti, hanno una loro storia , che l’anonimato rende ancora più vera.
Parlano le fibte, le tecniche , il lavoro e l’arte dell’uomo, senza i quali la natura prima, e la scienza poi non avrebbero dato gli altissimi esiti in campo di industria tessile, che hanno invece raggiunto.
E quindi un nome o un altro poco importano, anche perchè una volta conosciuti e resi noti e popolari i segreti della qualità risulterà poi molto più semplice la scelta della marca preferita.
Al di là delle titolazioni, le aziende fanno cambiamenti stagionali,e possono a loro discrezione usare tessutidiversi di volta in volta, a seconda dei richiami della moda e delle mode.
Possono scegliere un piquet di titolo 30 /1 o di titolazioni anche più alte, o altissime, come il Filo Scozia, ad esempio, o il meraviglioso Sea Island Cotton, o l’eccellente Supima, che è il cotone più bello del mondo.
La tintura è una scelta aziendale, che non inficia la qualità, o per lo meno solo in parte, del filato usato.
Se è vero che il Sea Island usa esclusivamente il tinto in filo, io mi preoccuperei piuttosto di sapere il tipo di fibra usata per il capo che amiamo, e la tintura verrà di conseguenza.
So di non avere esauditola sua richiesta , ma per il momento mi sento di offrire questo taglio di approccio, per rimanere fedele alla mia impostazione metodologica e agevolare poi nel tempo una sicura scelta dei suoi capi di abbigliamento, compresa la polo.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 21-04-2007
Cod. di rif: 3072
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tintura dei tessuti : polo e dintorni
Commenti:
Egregio Cavaliere Villa,
Le rispondo brevemente, in merito alla Sua curiosità, che a dire il vero pensavo di avere dipanato. E' evidente che il discorsoi sulla tintura e sulla sua resa è così' complesso e lungo che mertiterebbe ben altro che due o tre lavagne. Tuttavia, per il momento mi limito a dirLe che nel caso delle polo, un certezza la possiamo avere: qualora esse presentino il classico effetto melange, possiamo essere certi che siano tinte in filo, mentre nei colori uniti di solito, se il titolo non è molto alto, per intenderci un nido d'ape di media grossezza, abbiamo spesso il tinto in pezza.
Naturalmente le qualità più alte, e quindi più costose, mantengono il tinto in filo a qualunque tonalità e colore.
Come Lei sa tutto dipende dalla storia e dalla specializzazione dell'azienda, nonché dai suoi mezzi.
Nel tinto in filo tecnicamente avviene che uno dei due fili, durante la tessitura, è già tinto.
La tecnica del tinto in filo è abbastanza costosa, poiché richiede al giorno d’oggi macchine elettroniche specializzate e altamente tecnologiche.
E’ evidente che la tintura in filo dà la possibilità di disporre molti colori diversi, a volontà e secondo la discrezione naturalmente, sul tessuto finale.
Per essere più preciso nel rispondere alla sua domanda, vorrei dire che in realtà la tipologia della tintura dipende, come ho già detto, dalla specificità della singola azienda, e quindi come la solito, al momento dell'acquisto, il venditore o il negoziante dovrebbe essere in grado di illustrare al cliente il capo che sta acquistando e farne anche un po' la storia.
Abbiamo imparato molto in questi anni su queste lavagne, della genealogia dei tessuti e della loro costruzione.
Quindi siamo in grado di fare noi stessi una scelta anche in base alla tipologia, nazionalità, qualità note e meno note dei capi che acquistiamo.
Tutto è logico e in proporzione.
Di solito il rapporto qualità prezzo non sbaglia, perché nel caso delle belle tinture solitamente i capi sono abbastanza costosi.
La bellezza dei tessuti dipende molto dall'esperienza di chi li fa.
Senza esperienza e arte applicate alla tecnologia si va poco avanti.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 24-04-2007
Cod. di rif: 3080
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Edoardiani non più
Commenti:
Non siamo più edoardiani.
Questa affermazione sembrerà a molti incongruente dal momento che pochissimo tempo fa, nella lavagna 3025 del 7/04/2007, avevo scritto alcune osservazioni sullo stile edoardiano che facevano presupporre la sussistenza tuttavia di un modello di eleganza sopravvissuto alle sferzate della modernità e messo al mondo dal Re Edoardo VII d’Inghilterra ormai un secolo fa.

Sono convinto di questa mia affermazione e la dimostrerò con semplicità.
Quando all’inizio del XX secolo la moda maschile fu rivoluzionata dal gusto dell'allora sovrano del Regno Unito, che aveva portato alla ribalta molti capi di suo gradimento, dalla tenuta per la caccia, alla giacca da camera, alle giacche e al completo da città, alle divise in alta uniforme trasformate in abiti di gala, il mondo proveniva dalla moda napoleonica, da uno stile ottocentesco quasi ancora proiettato all’indietro. I borghesi e i nobili cominciarono a far propri il gusto del re e l’industria tessile e dell’abbigliamento si organizzarono per sfruttare nel modo migliore queste belle idee di un uomo elegante che aveva la prerogativa e forse la fortuna , o sfortuna, di essere un sovrano.
Quindi ecco la proliferazione degli abiti scuri interi , intervallati da tenute di tweed per le uscite sportive, e poi ancora le giacche con martingala, e poi i morning coat e i cappotti con il collo di pelliccia. Il lusso era la parola chiave,
All’uscita dall’austero regime vittoriano, si poteva cominciare ad avere un aspetto più galante.
Noi abbiamo osannato più volte questo stile come sinonimo di eleganza e di abbigliamento nuovo e sempre di moda allo stesso tempo, molto nobile ma anche contemporaneamente borghese, con una grande qualità nei materiali e nelle stoffe in generale, in cui le grandi aziende si sbizzarrivano a dominare il mercato con novità tessili di ogni tipo.
E oggi? Che resta di tutto questo lusso?
Ebbene, oggi è tutto cambiato, perché i tempi sono quelli della tecnologia, e la mentalità del signore di un tempo è anch’essa molto diversa.
Con la mia affermazione non siamo più edoardiani voglio dire che molti di noi non hanno più la cultura per esserlo e spesso siamo solo dei grandi imitatori e non degli interpreti personali di quel gusto e di quella cultura.

Cavallerescamente Riflettendo
IL Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-04-2007
Cod. di rif: 3084
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Esperidi: risondo al Signor Caroggio
Commenti:
Egregio Signor Caroggio,

rispondo ora al suo quesito del 23 /03 ultimo scorso, a proposito del tessuto Esperidi.
E' un tessuto di lana finissima, che misura 12,8 micron, quindi ancora più sottile del finissimo Kashmir.
E' utilizzato in numero di "copie", se così si può dire, dato che in questo caso si può parlare di vera epropria arte,limitatissimo, non più di cento, e il cui costo elevatissimo, circa infatti 10.000 euro a capo finito, euro più euro meno, è dato proprio dalla complessità della preparazione e dalla rarità del vello. E' un tessuto ricavato da un filato di lana australiana di eccezionale rarità e finezza.
Abiti da uomo confezionati con questo tessuto sono il lusso vero.
Spero di avere soddisfatto, almeno in parte la sua curiosità e le auguro , se lo desidera, di potere indossare questo eccezionale vestimento.
Il filato della lana Esperidi è più sottile dei capelli dei neonati. Delicatezza, dunque, e molti Cavallereschi auguri
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 29-04-2007
Cod. di rif: 3094
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Riflessioni sul pensiero di Mister CArmelo Pugliatti
Commenti:

DEar Mister Carmelo Pugliatti,
I would like to congratulate with You for Your words on the well known British expression” The Shape of Things to come”.
Actually the words mentioned above are the title of a novel written by the British author H.C. Wells, (1866-1946) who was one of the most important writers of science fiction in the XXth century.
I wonder why You mention this title, but maybe You have been fascinated by that.
I must say that I am going to think about the idea of Your theory in the next days.
I just like to remember to those who know my thinking, which many times a I Have expressed clearly in these blackboards, that I am not very willing to make strict assertions, concerning the definition of tendencies; on the contrary I usually prefer to think that people are free to chose, following their desires and tastes. Therefore I do not know if I will be able to agree with Mr. Pugliatti ‘s thinking, but I wish to thank him anyway, for giving me the opportunity of making new reflections.
Knightly Greetings
Dante De Paz
Egregio Mister Carmelo Pugliatti,
Desidero congratularmi con Lei, per le sue belle parole a proposito della nota espressione inglese “The Shape of the things to come”.
In realtà queste sono il titolo di un noto lavoro dello scrittore inglese H.G. Wells , uno dei più importanti scrittori inglesi di fantascienza, che scrisse molto negli anni intorno alla seconda Guerra Mondiale.
Per la verità mi chiedo come mai Lei, Mister Pugliatti, abbia scelto questa espressione per parlare di soglie da varcare, ma i suoi concetti sono senz’altro validi.
Tuttavia mi riservo di riflettere nei prossimi giorni sulla sua interessante teoria.
Chi conosce il mio pensiero, sempre esplicitato in queste lavagne da tempo, sa però che in generale sono abbastanza refrattario all’idea di dare delle definizioni categoriche a proposito della stabilizzazione delle tendenze, poiché sono propenso a ritenere che le persone siano libere di scegliere sempre, al di là delle tendenze medesime; e quindi non so se potrò ritenermi del tutto d’accordo con Lei, e tuttavia lo ringrazio molto per avermi offerto l’opportunità di questa riflessione.
A più profonde considerazioni
Cavallerescamente Auguro Buone Idee a tutti i visitatori e lettori
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 26-05-2007
Cod. di rif: 3165
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Lane super 's e loro storia
Commenti:
Già da giorni volevo farlo, ma il tempo è tiranno.
Il fatto , intendo, di tradurre l'articolo citato dall'illustre Cavaliere BArone nella sua lavagna del 19/05 a proposito delle controversie sulle lane Super 's.
Ne do ai Cavalieri e ai lettori un piccolo assaggio, poiché in effetti l'articolo è abbastanza lungo. Continueremo a giorni e intanto tuffatevi nell'interesse.
Cavallerescamente
Dante De Paz
The Controversy Over Super Wool

Anche se è un dato di fatto incontestabile che un miglioramento delle tecniche di allevamento degli animali e I progressi nella tecnologia dei telai hanno fatto sì che I tessuti ottenuti per la confezione di abiti da uomo siano più fini, soffici e confortevoli., tuttavia Nicholas Antongiavanni si chiede se essi siano effettivamnete migliori.
Nel salottino di prova di un grande magazzino di Manhattan un socio di una importante società americana di avvocati si sente davvero a disagio davanti allo specchio.Il suo abito appena fatto su misura non pare giusto per niente , non va bene. L’uomo ha portato con sé per un consiglio un giovane collega. Il capo senz’altro sarà più bravo nelle aringhe, ma certo ha un calo di fiducia quando gli capita di confrontarsi con I misteri della sartoria.
Il collega, al contrario, è un cliente fisso e affezionato della famosissima Sarporia Henry Poole di Savile Roe, a Londra , la seconda sartoria al mondo per anzianità.

Che ne pensi? – chiede il socio.
“ Allora, il collettto spunta di un paio di centimetri buoni dal collo, anche le spalle sporgono da ogni lato di circa 2 centimetri e il dietro è un vero disastro.
Davvero troppo per il venditore, che sbotta:” Ma è un abito nuovo di zecca, appena uscito dalle mani del sarto, completamente fatto a mano e su misura!”


“ Capisco,“ e la cucitura è buona, bellissima, dice il socio, ma la giacca non va assolutamente bene, non sta bene addosso. “ E sono anche sicuro che le modifiche non saranno sufficienti a renderla giusta e a farla stare bene.”
Questo tira e molla tra cliente e commesso va avanti ancora per un po’ senza che nessuna delle due parti si arrenda, fino a che ad un certo punto, alla fine, il commesso esasperato afferra il braccio del cliente e sollevandolo in aria tira la manica della giacca urlando trionfante: Senta un po’ qui, “ Questo è un Super 150’s!|
Sì, la carta vincente! Super 150s! Che cosa vuole di più?
Molto di più! Le ricerghe di mercato e l’ottima pubblicità hanno convinto troppe persone, troppi uomini, che il numero Super sia indice non solamente di un’ottima lana, ma anche di una grande arte sartoriale. Entrambe le asserzioni sono false, o per meglio dire non del tutto corrette.
Per di più, la definizione di Super ‘S è probabilmente stata creata per favorire la grande industria, che aveva bisogno di sostegno. Vi sono dei segnali, piccoli tuttavia, che l’industria dell’abbigliamento si sta forse svegliando dal pericolo del mostro creato dalla regola Super ‘S.
Ma altri segnali suggeriscono invece che probabilmente è troppo tardi.
Nel frattempo I dettaglianti continuano a dire che mentre nell’epoca del business del casual essi vendono meno abiti di un tempo, ogni vestito che essi confezionano evemdono è molto più caro. Per molti uomini l’abito intero è passato dall’essere una divisa quotidiana ad un articolo di lusso.
E’ naturale che gli acquirenti abbiano delle aspettative alte in relazione ai tessuti nei quali desiderano entrare. Questo è il fenomeno Super ‘s.
Quasi ogni abito venduto oggi è fatto per lo più con lana tosata da pecore chhe discendono da appena due arieti e quattro agnelle.
Nel 1789, il re Carlo IV di Spagna diede questi sei animali ad un certo colonnello della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, il quale le portò in Sud Africa, dove esse si svilupparono emoltiplicarono vigorosamente. Sei anni più tardi un intraprendente ed audace immigrato inglese in Australia chiamato John Macarthur comprò 26 pecore dalla vedova del colonnello e le trasportò a Botany Bay.
Queste 26 pecore divennero le capostipiti di una della grande industria asutraliana della lana, il cui numero ammonta ora a circa 120 milioni di capi.
L’indusitria ustraliana della lana crea oggi ogni anno circa 2.5 miliardi di Dollari americani di esportazione ed è un fatto assai significativo per l’economia australiana che il ritratto d John Macarthur sia apparso su una banconota da due dollari — ovviamente accanto ad una pecora.
L’Australia, paese vastissimo, non tesse lana, la cresce solamente.
Per trasformare un filo di pecora in un abito le fibre devono essere prima filate in un filato, e auesto poi si trasformate tessuto con l’abile arte della tessitura.
Il posto più famoso al mondo per questa attività industriale è la contea dello Yorkshire, in Inghilterra, dove la città di Huddersfield ha dominato il commercio mondiale della lana per oltre 150 anni. Asnche se è ancora un centro molto importante, tuttavia le sue quotazioni sul mercato si sono abbassate in modo precioitoso s e stanno continuando a calare.
Nonostante tutto, le tecniche di Huddersfield e il nome di questa località controllano tuttora l’industria mondiale e il mercato dela lana. E l’ideazione del Super ‘s ha avuto proprio qui la sua origine.
Nel mercato laniero dello Yorkshire, prima dell’avvento della moderna tecnologia, la qualità veniva giudicata in base alla quantità di filato che poteva essere estratta da una libbra di materia grezza.



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 18-06-2007
Cod. di rif: 3218
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: DRESS CODE: Apertura dei LAvori
Commenti:

DRESS CODE: APERTURA DEI LAVORI

Dizionarietto: codice

In tempo di importanti riflessioni e di nuove aperture intellettuali,dò il via all’analisi sul dress code, cominciando come al solito dall’etimo della parola che guiderà i nostri prossimi incontri: CODE , ossia codice.
Il Dress Code, codice dell’eleganza, ha il suo antesignano linguistico nella parola latina che ha donato la radice alla parola inglese code: caudex, o codex.

Codice: dal latino codex, ceppo, piede dell’albero; ha la medesima radice di cauda, che vuol dire coda. Potrebbe anche derivare da caulis, che indica genericamente lo stelo di tutte le piante erbacee . Questo fa pensare alla tradizione romana di incidere le tavole di cera con lo stilo, consuetudine a tutti nota.
Noi scriviamo con una bella penna, ma gli antichi Romani non ebbero altri mezzi che quelli naturali , per molto tempo. In seguito, la riunione di tutte le tavolette fece pensare ad un ceppo, e quindi ecco che apparve la parole caudex con il significato di blocco, che lentamente assunse il significato di libro o quaderno dei conti.
Ancora, e questo ci piace ancora di più, nel contesto del nostro grande amore per le leggi che in qualche modo regolano gusto e l’eleganza, il codice significò “ collezione di leggi”, e il caudex fu, dopo la scomparsa delle tavolette, l’insieme delle pergamene che trattenevano i conti.
IL codice ha tanti significati e valori, ma uno è superiore a tutti gli altri: quello di insieme e principi che regolano una determinata materia, ed è in questa accezione che noi lo tratteremo.
Il nostro dress code, o codice del vestire, sarà allora l’insieme d quelle regole e di quei principi che fanno autorità nella materia del vestire.
Autorità vuol dire guida, autorevolezza che parla senza creare confusione.
L’insieme delle leggi del vestire, la guida per il conseguimento di un vestire elegante e giusto.
Ecco dunque che il code, o codice, si sposa perfettamente con quello che il Gran Maestro ha già anticipato nella Locandina degli inviti del 29 Giugno, parlando di valori condivisi.
I valori condivisi, per essere rispettati, hanno anche bisogno di essere seguiti.
Il codice delle leggi del vestire incute rispetto e reverenza, una sorta di stima interiore, che ciascun Cavaliere dovrà avere per rispettare ed essere rispettato nella sua presentazione in società enella comunicazione spirituale e intellettuale. .

Dichiaro pertanto ufficialmente aperta la riflessione sul Dress Code, e ringrazio il Gran Maestro per avere già indicato le linee guida della medesima.

Invito dunque tutti i Cavalieri a partecipare a questa comune Cavalcata Culturale, molto più importante e significativa delle precedenti, proprio perché d’ora in avanti le regole saranno codificate, ma anche condivise.
Nulla sarà approssimativo, oppure, anche se approssimativo, che come ben si sa vuol dire in ogni caso abbastanza vicino al giusto, dovrà anche essere un po’ temuto, così come lo sono tutti gli insegnamenti dei buoni maestri.
Buon inizio dei Lavori a tutti i Cavalieri e con il motto: raggiungiamo le vette migliori anche attraverso le erte salite, continuiamo i lavori Cavallereschi, sotto l’Egida del Gran Maestro e modestamente anche sotto la mia Guida.
Il Rettore della Porta dell’Abbigliamento
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 26-06-2007
Cod. di rif: 3240
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dress Code: Risposta al Gran Maestro e prime riflessioni
Commenti:
Nobile Gran Maestro,
le tue parole incoraggiano qualsiasi riflessione.

La metafora degli invasori ben spiega la situazione di incertezza nella quale ci troviamo oggi, di fronte alle scelte del vestire. Il saccheggio non c'è stato, ma la mescolanza, questo sì, mescolanza e confusione dettate dall’ignoranza.
Una delle domande alle quali ci proponiamo di dare una risposta, almeno in parte soddisfacente, è : quando si può parlare di classico e quando ci discostiamo dal classico?
Per rispondere, mi ispiro alle tante e profonde riflessioni da te fatte, nelle lavagne e nei taccuini, sulla relazione esistente tra architettura e abbigliamento.
Nelle innumerevoli confutazioni sull’argomento, è emerso chiaro e luminoso un pensiero che possiamo definire conduttore: la proporzione e la misura sono concetti che appartengono all’arte, soprattutto classica, ma dato che le medesime parole sono tra le più usate nel vestire, nella tecnica sartoriale, nella confezione, nell’artigianato dell’abbigliamento, seguendo la tua nobile indicazione a proposito della lingua e del linguaggio, oso dire che le parole che definiscono l’arte e l’architettura classica sono le medesime che usiamo per indicare tutto ciò che di bello e di adeguato l’uomo ha creato nell’abbigliamento, nelle tecniche ad esso collegate e in tutto ciò che ha contribuito a definire il canone estetico.
Da qui vorrei partire per la mia riflessione, sul abbigliamento, foggia, stile, eleganza, e infine, dress code.
Ricominciamo da capo: dress code, codice del vestire.
E’ indubbio che un codice esiste, ci piaccia oppure no. Il problema è: seguirlo o non seguirlo? Crearne un altro diverso? Che cosa mantenere del vecchio codice e che cosa invece rifiutare e in nome di che cosa?
Partiamo dal classico. Che cos’è?
IL classico è connaturato con l’arte. L’arte classica è l’inizio della cultura occidentale: in letteratura,scultura , pittura.
Il codice classico è quello dell’immutabilità e della perfezione? Ma allora qui nasce la prima contraddizione, se vogliamo parlare di immutabilità a proposito dell’abbigliamento.
E’possibile che nulla cambi, una volta definito che qualcosa è giusto?
La vita è mutamento, quindi tutto ciò che è umano è anche mutevole.
Da questo spunto, della mutevolezza e del divenire, vorrei partire per il nostro viaggio Cavalleresco e Culturale.
Cavallerescamente a presto
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 26-06-2007
Cod. di rif: 3242
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Osservazioni sul Classico
Commenti:







Nobile Cavaliere Rizzoli,


gradita giunge la sua osservazione sul Classico , e tuttavia mi sento di aggiungere una chiosa d carattere etimologico, al fine di dissipare alcuni equivoci ed eventuali dubbi sul significato di questa parola tanto usata e così differentemente interpretata.

Classicus deriva naturalmente, come è facile intuire, dalla parola latina classis, che oltre a flotta vuol dire anche classe , divisione dei cittadini romani.
Nell’antica Roma, i cittadini furono divisi in categorie, o classi, a seconda degli assi posseduti. Stiamo parlando ancora del periodo monarchico; classico era allora il cittadino che apparteneva alla classe più facoltosa, poiché gli altri si chiamavano “ infra classem”, cioè al di sotto della classe, la classe per eccellenza, si intende, quella superiore.
Dunque proviamo a dare alla parola classico anche un significato attinente a questo concetto di elevazione e superiorità: classico è tutto ciò che è distinguibile, e quindi in un certo senso serve di modello.
Per quanto riguarda poi il Suo suggerimento sulla disamina di come la borghesia osserva il Classico oggi, che pure apprezzo e appoggio, consiglierei di stare guardinghi, poiché tutto rischia di essere confuso da una generale massificazione, dovuta all’intervento livellatore dei mass media e dalla veloce diffusione delle informazioni dei nostri tempi.
Con questa osservazione incoraggio ancora una volta a riflettere sul concetto di modello, che ci servirà poi per approfondire quello del dress code. Cavallerescamente
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-06-2007
Cod. di rif: 3245
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: dizionarietto
Commenti:

In attesa del dibattito del 29 giugno prossimo invio un dizionarietto etimologico su termini che già il Gran Maestro aveva consigliato di analizzare:

dizionarietto


elegante: deriva da eligere= scegliere; quindi elegante è colui che sceglie, in particolare, che sa scegliere, abiti adatti alla sua persona e personalità;


Moda: dal latino modus= misura, maniera; nella moda si associa a qualcosa che si usa e che è entrato nell’abitudine quotidiana; la moda cambia così come cambiano le abitudini;


Gusto: ha varie radici, tra cui quella greca e, e vuol dire essenzialmente assaggiare;


Stile: equivale a stilo, che era in origine una colonna e poi con la stessa parola era indicata quella verghetta acuminata di vario materiale ( metallo, osso, avorio), che gli antichi usavano per scrivere su tavolette di cera; passò poi a significare il modo di scrivere degli autori, e da qui il significato è passato a quello di modo o maniera nell’arte; in senso più allargato,è l’insieme delle qualità di un artista; i suoi modi, le sue scelte; una persona che ha stile è una persona che sa scegliere per sé e che si distingue per questo dagli altri;

foggia deriva dal latino fovea che vuol dire fossa, una cava che serviva da forma per i metalli; da qui il significato di dare forma;

Cavallerescamente
Dante De Paz





-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-07-2007
Cod. di rif: 3257
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: degrado del costume e risparmio energetico
Commenti:
HARD TIMES- TEMPI DIFFICILI


Nel 1854 usciva Londra Hard Times, il famoso romanzo di Charles Dickens, che anticipava e preannunciava il realismo italiano nella descrizione delle condizioni di vita delle nuove classi emergenti di una società in grande espansione dopo la seconda rivoluzione Industriale.
La lavagna del visitatore Spadaro mi fa riflettere e aggiungo, come richiesto, alcune osservazioni.
Nella opulenta società borghese dell’Inghilterra di fine Ottocento le scoperte e le innovazioni tecnologiche apportarono grandi novità nella produzione industriale, e non solo dell’Inghilterra, anche se a questo paese va il primato dello sconvolgimento delle abitudini di vita della popolazione delle metropoli.
Ma perché Dickens, ci si chiederà?
Perché la situazione illustrata saggiamente dal lettore Spadaro mi ha fatto pensare all’inizio di un’epoca, tempi difficili, tempi duri, l’epoca della produzione industriale della grande fabbrica, che ora, modificatasi almeno altre cento volte, rischia di non essere più efficiente ed efficace a causa dello spreco energetico e del problema energia.
In Italia siamo in scacco dei paesi grandi produttori di energia, come la Francia, la Germania, gli Stati Uniti , il Canada e la Russia, e ora cerchiamo soluzioni, a mio avviso non risolutive e comunque ben lontane da giusto metodo, per ovviare a questi enormi inconvenienti e guai del presente e del futuro.
Al di là delle giustissime osservazioni a proposito dell’incapacità imprenditoriale di alcuni membri delle grandi famiglie industriali italiane, che hanno perso il carisma dei loro nonni, e qui mi esonero dal ripetere nomi già fatti, vorrei esprimere la preoccupazione per questi nuovi tempi difficili, tempi duri per l’appunto, a difficili al contrario oserei dire.
Se infatti ai tempi di Dickens la difficoltà era data dalle condizioni di disagio della nuova classe lavoratrice, nata sulle ceneri della vecchia manifattura, e dalla durezza dei tempi in cui l’energia elettrica era una novità, e il freddo a la mancanza di igiene erano ancora una dura realtà,ora invece direi che la difficoltà risiede nella difficile gestione di processi produttivi che la telematica e la robotizzazione hanno sconvolto sempre più, creando incomprensioni e incapacità imprenditoriali che ben mostrano la loro fragilità davanti e i n presenza dello scacco energetico.
Ma quale proposta da parte delle aziende per far fronte alla carenza di energia!E’ una questione anche di costume, che a dire il vero è già abbastanza degradato. L’infierire ulteriormente aumenta ancora di più la predisposizione alla trascuratezza , con il conseguente imbarbarimento delle usanze e la diminuzione dei consumi nel settore dell’abbigliamento classico e di distinzione;e ogniqualvolta si diminuiscono i consumi si perde anche la gioia di assaporare il nuovo e il bello e si indebolisce l’incentivazione alla produzione. E’ chiaro dunque come il problema sia complesso: decadenza dei costumi e aumento di inutili consumi sviano le buone abitudini. IL non portare la cravatta non giova a nessuno: né all’uomo elegante né tanto meno all’industria produttrice di cravatte, che sono da oltre un secolo la tradizione del bel vestire in Occidente.
Qui il problema si fa ben più serio! Metà del pianeta rischia di rimanere senz’acqua, milioni e milioni di persone soffrono la mancanza di lavoro per la sussistenza! Qui si tratta di creare una nuova categoria imprenditoriale, che come ben si sa non può più essere slegata dalla politica dei governi.

E’ da tempo ormai che nei paesi industrializzati anche il ruolo dello stato è cambiato, come afferma il famoso storico inglese Eric Hobsbawm, che nel suo saggio importantissimo “Il secolo breve “ ha già chiarito come gli equilibri tra l’economia e la politica siano stati sconvolti nel corso del XX secolo.
Che fare per risparmiare energia?
Il problema è un altro: che fare per produrre di più e dare a tutti una possibilità di vita?
Per rimanere nel nostro orticello, in Italia lo squilibrio tra le grandi possibilità di una casta economica e politica di privilegiati rischia di togliere ossigeno alla potenzialità e maestria artigianale del nostro paese.
Cavalleresche riflessioni
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 08-08-2007
Cod. di rif: 3350
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Modernità della tradizione: un esempio di cavalleria:Sean C
Commenti:
Provocazione estetica
Etica ed estetica della tradizione: un esempio di classe innata: Sean Connery

Ultimamente i lettori si sono soffermati su osservazioni e consigli, che il Gran Maestro Giancarlo Maresca ha come al solito profuso con saggezza ed esperienza, a proposito della sartoria e della confezione di abiti adatti alla bella stagione.
Io vorrei come al solito rilanciare il dibattito sulla forza estetica ed etica della tradizione, in collegamento con l’importanza delle fogge e dei tessuti in relazione alla personalità di chi li indossa, e per fare ciò mi sono proposto di attuare una piccola provocazione, lanciando nei taccuini immagini del famoso attore Sean Conery, in costume tradizionale scozzese.

I Cavalieri sono sempre preoccupati di mantenere alto il codice dell’eleganza e di conservare tradizioni imperiture per non disperdere l’esperienza e la conoscenza degli avi e dei maestri.
Con il grande attore inglese, passato alla gloria per le memorabili interpretazioni di James Bond, abbiamo però anche un esempio di come, al di là della modernità, dell’evoluzione dei tempi e del mestiere che ciascuno di noi fa, il Cavaliere può e deve sempre conservare l’impronta delle proprie origini. L’attore scozzese non manca mai di rinnovare l’abbigliamento tradizionale della sua terra, in occasioni ufficiali e in manifestazioni culturali e folcloristiche alle quali venga invitato a presenziare.
Ecco allora che, accanto al classico smoking del gentleman, l’eleganza può passare anche attraverso un abbigliamento guerriero di antica data.
Stoffe e colori della terra e del mare sono un esempio di come l’uomo abbia sempre voluto imitare non solo i suoi simili ma anche e spesso la natura.
Questo lo dicemmo parecchio tempo fa, quando facemmo la storia dei district checks e degli scozzesi di Scozia e di Inghilterra, nonché dei tartan( si veda lavagna 1351 del 15/06/2004).
E potrei portare decine di altri esempi di come la moda attinga sempre in un certo senso alla tradizione popolare, dagli stilisti agli artisti, ai musicisti anche rock e pop dei nostri giorni.( Ad esempio il famoso cantante rock inglese Rod Stuart ama spesso indossare il tartan su sfondo rosso, più che altro in pantaloni e gilet)
Visto che il dibattito sul dress code è stato appena avviato all’inizio dell’estate, ecco qui un altro elemento per la riflessione: che parte ha la tradizione nella codificazione degli stili? Si guardino bene i taccuini : un kilt indossato da Sean Connery ha certamente un carisma diverso da quello che potrebbe avere uno sconosciuto cavaliere delle nostre professioni, e tuttavia sempre un esempio ed un modello di come la classe la nobiltà, sia di corpo che di anima, non possano esistere senza l’ausilio della tradizione.
E’ evidente che alla maggiore parte di noi sarà alquanto difficile se non impossibile fare bella figura vestito come Sean Connery, e tuttavia prendere spunto dalla classicità e dalla tradizione per essere sempre al passo con i tempi e no dare mai nulla per scontato è un bell’insegnamento a mio parere da seguire.
Folcloristicamente e Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-08-2007
Cod. di rif: 3509
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Diana del Galles: Commemorazione cavalleresca
Commenti:
Diana Principessa del Galles, Candela nel vento (Candle in the Wind): omaggio Cavalleresco


Quale migliore occasione per parlare di cavalleria ! Sembrerà strano, sulla lavagna dell’abbigliamento , parlare di Diana del Galles, eppure anche a Lei noi Cavalieri dobbiamo qualcosa. Sono , tra due giorni, dieci anni dalla scomparsa della triste ex principessa del Galles, alla quale un’infelice ed anche in parte oscura sorte ha strappato la bellezza dei migliori anni, una donna fragile e forte, una principessa amata da mezzo mondo e odiata , forse, da alcuni.
Ma perché, vi chiederete, il Rettore sceglie di fare una commemorazione di Diana del Galles, tutto sommato una figura da lasciare nel verde bosco , tra gli alberi della sua Althorp, senza disturbarne la quiete.
Perché troppe volte, questa è la mia risposta, troppe volte i Cavalieri sembrano dimenticare le dame, che non sempre sono le guide forti che noi tutti vorremmo, sono spesso fragili fuscelli in balia dei Cavalieri stessi, che a volte si muovono con corazze pesanti e non si accorgono dei cristalli che calpestano.
Diana è stata amata e criticata , emulata e spesso biasimata, per la sua mancanza di rigore, per le sue cadute di stile non sempre regali( si ricordi la famosa intervista alla televisione del 1995 o forse 1994,) quando aprì il suo cuore al pubblico di mezzo mondo, mettendo letteralmente in piazza tuta la sua fragilità e la consapevolezza di non essere all’altezza di un ipotetico ruolo di futura regina.
E poi, quell’orribile incidente e quella meravigliosa musica di Elton John, nella cerimonia funebre di Westminster, nella quale tutti potemmo ammirare la perfezione dell’ambientazione coreografica nella quale gli uomini della famiglia Windsor, Carlo, Prince of Wales, il vedovo, il fratello,il figli, l’algido Principe Filippo, che si dice per Diana non provasse gran simpatia, e poi tutto quel nero e tutto quel bianco delle piccole rose sulla bara, con il bigliettino dei figli con su scritto Mummy; tutti allora, versammo almeno una lacrima, e oggi? Perché no? Perchè non unirci ad una commemorazione che ancora una volta, grazie alla sapiente elaborazione dei figli William e Harry, che già il 1 luglio scorso, in occasione di quello che sarebbe statoli 46 esimo compleanno di diana, hanno commemorato egregiamente la loro mamma con un bellissimo concerto rock, sarà un fatto di costume, un evento mediatico ma anche affettivo, dal quale possiamo sempre imparare qualcosa.
In fin dei conti Diana è stata una fragile dama, con tanti Cavalieri intorno , e ha fatto forse l’unico errore che una futura Regina, secondo le regole, non dovrebbe mai fare/Elizabeth the II docet: lasciarsi andare ai sentimenti e trascurare la ragione di Stato.
Eppure Diana ha privilegiato il contatto con le persone, consapevole della propria fragilità e della forza altrui.
E allora perché non riflettere un poco sul nostro ruolo di Cavalieri, e non commuoverci ancora un po’, per stare vicino alle nostre dame con maggiore forza e coraggio e dare loro quello che, a volte non hanno?
Questa mia riflessione, che ripeto, sembrerà a molti un po’ fuori tema, in atmosfera di dress code, desidera aprire la nuova stagione, che io vorrei chiamare: The New Knightly Season.
E con queste riflessioni quasi autunnali mi congedo dal consesso Cavalleresco, auspicando nuove belle sensibili cavalleresche idee,
Il Rettore della Porta dell’Abbigliamento
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 30-08-2007
Cod. di rif: 3514
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Diana del Galles: dolcezza e rigore. Riflessioni pedagogiche
Commenti:
Dolcezza e rigore, un abbinamento che non c’ è più.


E’ ancora con Diana che vorrei riprendere un tema a me caro: l’educazione;non a caso, nel taccuino 3504 sottolineavo un particolare della foto: lo sguardo.
Gli occhi sono il veicolo del pensiero e dei sentimenti, negli occhi si legge l’anima delle persone, gli occhi non possono mentire.
Dolcezza e rigore è un abbinamento ormai raro, che la scuola dovrebbe mantenere saldo, nel difficile compito dell' educazione dei nostri ragazzi.
Dolcezza, perché il mondo contemporaneo è duro e crudele come pietra dolomia, e rigore perché con la disciplina si ottiene molto: ordine formale e di contenuto, amore per la bellezza della convivenza civile, un senso dell’armonia che senza fermezza non è raggiungibile.
I principini entrano a scuola, la mamma li osserva e li protegge. Non è retorica,così come non lo è l’ammirazione per quelle semplici divise, che sono ormai un lontano ricordo, per noi , e per i nostri ragazzi? Per loro è roba preistorica, non sanno nemmeno che cosa sia, o,se lo sanno, certamente lo abbinano a qualche cosa di orribile, repressivo e punitivo al tempo stesso , lesivo dell’individualità e della personalità di ciascuno.
Questo è un pensiero pedagogico legato ad un concetto di bellezza delle forme del vestire e del portamento, che non è necessariamente, credo, repressivo e riduttivo.
Uguaglianza per tutti, democrazia anche nel vestire, un ordine che forse , se all’inizi poi o può sembrare solo esteriore, può ritornare ad essere indice di educazione, di belle maniere, di rispetto per il corpo e per la mente.
IL discorso sembrerà un po’ severo, pericolosamente forte; è invece, in parte una reazione alle brutture estetiche del vestire dei nostri tempi, giovanile e degli adulti.
E quindi, che cosa rimane delle belle scolaresche, nelle quali nulla all’allegria toglieva la monotona divisa della scuola? Sono forse meglio le altrettanto terrifiche divise dei ragazzi di oggi? Pantaloni sotto il cavallo per i maschi, pantaloni a livello del pube per le femmine: è questa la libertà di espressione che noi genitori desideriamo coltivare nei nostri ragazzi? O non è forse la libera creazione della mente quella che dobbiamo coltivare, che non si nasconde dietro l’uniformità esteriore, ma può essere altrettanto riccamente accresciuta anche in presenza di giacchette e berrettini, di cravatte e cartelle per i libri, di gonne per la ragazze. Ci sarà poi sempre tempo per la ribellione e per la libera scelta. Ora purtroppo l’eccesso dell’ incultura e dell’ignoranza ha portato alla devastazione estetica a livello della più banale quotidianità, ed è per questo che l’uscita delle scolaresche da scuola assomiglia al giorno d’oggi più ad una uscita selvaggia di bufali nelle praterie che ad una gioiosa riconciliazione di ragazzi con il mondo della società e delle famiglie.
E allora, perché lasciare allo sbando i nostri ragazzi? Perché mollare i freni dell’istinto senza una guida morale e intellettuale? Dolcezza e rigore, un principio pedagogico antico migliaia di anni, ed ora da molti abbandonato.
Dolcezza e rigore nel vestire, saranno una bella conseguenza di una buona educazione.
Questo discorso si può allargare all’orribile visione quotidiana degli uomini nelle città, con pantaloni corti e ciabatte infradito.
Questo è il frutto di una mancata educazione a monte, educazione che dovrebbe arrivare in primo luogo dalle famiglie, ma, dal momento che queste sono sempre più assenti e inadempienti in questo ruolo, da una maggior guida da parte dello stato. Una più seria fiducia nelle Istituzioni e nel Ministero deputato all’Educazione dei nostri figli è la migliore salvaguardia contro l’imbarbarimento quotidiano, che noi, Cavalieri non solo del bel vestire, ma anche e soprattutto del vivere civile, dobbiamo incoraggiare con ogni nostra azione, anche culturale, in questo sito, che sempre più importante è divenuto con gli anni e con l’esperienza.
Cavalieri! auspico pertanto contributi culturali che, anche scaturendo da scelte esteriori, arrivino al profondo di ognuno di noi ed arricchiscano la sede delle nostre testimonianze quotidiane.
Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 01-09-2007
Cod. di rif: 3519
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Diana: Cavallerescamente memori
Commenti:
Un taccuino per ricordare. L'immagine 3511 mostra un giovane uomo, che dieci anni fa, il 31 agosto 1997, era poco più che un bambino: Harry di Inghilterra, il figlio minore della Principessa Diana, il quale oggi , a dieci anni dalla morte della mamma , ha fatto un discorso commemorativo che ha commosso tutti.
Non retorica, ma anche se ce ne fosse un po' la retorica ha fatto fare molta strada a molte persone, e di retorica è meglio nutrirsi piuttosto che di cattive bevande o pessimi cibi.
La parola ha plasmato la mente umana, e qui ora noi , diciamo a gran voce, poche chiacchiere e molta retorica, nel senso di : diciamo solo cose belle perché attraverso il bello nasce il buono e viceversa. Parafrasando un po' l'antico detto occidentale che è alla base della nostra cultura.
Grazie Harry e grazie William.
Certo, come ho già detto nel taccuino, certamente è privilegio di pochissimi commemorare la propria mamma in un simile fasto , ma da molto gusto estetico possiamo trarre qualche consiglio per eliminare il più possibile di quanto di brutto esiste nel nostro mondo e questo è giusto che lo facciamo qui l Castello.
Poche chiacchiere e molta retorica, nel senso, ripeto, di molte parole giuste dette al momento giusto.
Parliamo a ragion veduta, documentando le nostre affermazioni ed insegniamo ai nostri figli a are altrettanto, con un po' di coraggio e qualche volta anche di innocua e lieve spavalderia. Meglio certo dell'ignavia.
Non incoraggiamo le debolezze dei ostri ragazzi ma diamo loro la sicurezza della quale hanno bisogno.
Studiamo e parliamo, non supponiamo.
Questo principio deve valere per tutti noi Cavalieri, i difesa dei principi etici ai quali sempre ci appelliamo.
Qualcuno potrà forse dire che i è voluta la commemorazione di Diana del Galles per riprendere un discorso pedagogico, ebbene riconosciamo anche a noi Cavalieri qualche debolezza: in fin dei conti il cuore dl Cavaliere è sempre stato governato da una dama, così insegna la tradizione ,una dama ispiratrice di buone idee e buoni sentimenti, una guida alla quale ispirarsi per la scalata delle vette migliori.
Tutti noi ne abbiamo una e questa occasione ha risvegliato in molti lo stesso pensiero.
L'essere umano non è esclusivo, basta risvegliare in lui l'alta sensibilità della mente.
Lo spunto a questa riflessione mi è stato dato dalle foto dei ragazzi di Diana che parlano, uomini fatti, di quanto e come Diana sia stata così pubblica per molti e così mamma per loro.
Continuiamo a riflettere.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 04-10-2007
Cod. di rif: 3561
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: mitico shetland
Commenti:
Rispondo al signor Caprari sullo shetland, la mitica lana dalle origini antiche , incoraggiandolo prima di tutto a rileggere, qualora non l’avesse già fatto, la mia lavagna N.1318,del 9/06/2004, dal titolo per l’appunto LANA SHETLAND, nella quale c’è anche una breve descrizione della pecora da cui proviene il bel vello. Vedrà poi dai taccuini che la pecora shetland produce diversi colori di vello.
Anche originali sono sempre belli.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-10-2007
Cod. di rif: 3564
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Shetland: tecnica e tradizione
Commenti:
Rispondo ugualmente alla domanda del Cavaliere Villa, nonostante il Gran Maestro abbia già dato una anticipazione di risposta.
Vorrei tuttavia fare una precisazione, anzi una chiarificazione ulteriore.
La ruvidezza dell’esito dello shetland è data da due fattori essenziali:primo, la caratteristica endogena della lana Shetland, che è grezza in natura, e secondo, per quanto riguarda la differenza della maglieria rispetto alla drapperia, da due procedimenti distintivi: quello della cardatura e quello della pettinatura del filato e del tessuto.
Si sa che filati e tessuti subiscono particolari processi di trattamento.
Il filato cardato possiede fibre disposte irregolarmente, più lunghe e più corte all’occorrenza.
Il filato pettinato ha invece fibre di lunghezza uniforme, e quindi il risultato è di una maggiore levigatezza.
Infine, quanto noi possiamo toccare e saggiare in drapperia, è evidente che dipende dalla lavorazione della pettinatura, la cui scelta dipende dal fabbricante,concetto questo già espresso dal Gran Maestro, alle cui asserzioni vorrei aggiungere ancora qualcosa.
Il fatto che noi amiamo lo Shetland dipende dalla tradizione e dalla straordinaria diffusione di questo filato a partire dalla seconda Rivoluzione Industriale.
Evidentemente la maglieria in Shetland ha sempre sposato la causa della sportività. Ma in natura la lana shetland non è solo ruvida, anzi diciamo che è essenzialmente soffice; la scelta della lavorazione e del disegno, nonché della tintura, fa sì che essa cambi al tatto e di consistenza.
La lunghissima tradizione dell’allevamento delle Isole Shetland,di cui dicemmo anche in parte nella lavagna dedicata alla maglieria e al jersey( lavagna 1475), fa sì che questa lana abbia dato il via anche ad una particolare diffusione di diversi tipi di lavorazione della medesima. Consideriamo anche che la diffusione dei macchinari ha contribuito moltissimo alla modificazione dell’aspetto e del tatto dei tessuti.
Il tessuto cardato sarà soffice, rigonfio, ma anche un po’ ruvido, mentre quello pettinato sarà morbido, liscio e compatto. Le lane merino sono destinate alla filatura pettinata, mentre le lane incrociate sono più usate nella filatura cardata.
Il tessuto lo accettiamo come esso è nel risultato finale adatto al confezionamento di un particolare capo.
La conoscenza dei procedimenti è a monte, e non è necessaria a chi compra , bensì indispensabile al drappiere che vende le sue stoffe.
Un maestro drappiere non potrà mai essere disconfermato nella sua esperienza, poiché in questo campo, cos’ come in molti altri, le bugie hanno le gambe corte.
Questo per dire che in materia di tessuti l’inganno al compratore è da evitare, pena lo smascheramento immediato dall’esperto e dal conoscitore che sul mercato e nell’imprenditoria seria sono sempre e tuttora esistenti.
Non per vanteria, ma per amore della mia esperienza di una vita di lavoro nella drapperia, vorrei dire a tutti i Cavalieri e lettori di questo importante sito di divulgazione culturale in materia di abbigliamento, stile e conoscenza del campo dell’artigianato tessile e della confezione, che tutto quanto da me affermato è frutto non solo di esperienza personale e di cavalleresco lavoro sul campo, bensì di studi e consultazioni libreschi, nonché umani , di esperti a loro volta e di studiosi e amatori della materia storica, e che quindi i consigli e le definizioni in materia tessile e della sartoria, sono sempre validi e utili, poiché validi e utili al sottoscritto nella vita quotidiana nella trincea della drapperia bolognese.
Questa precisazione è doverosa dal momento che nel nostro glorioso sito si sono fatte cavalcate per le boscaglie impervie dell’artigianato tessile, dell’industria e della confezione, e che molte volte la soggettività tende a prendere il sopravvento sulla oggettività.
Amando questo lavoro quasi sopra ogni cosa, tenevo a chiarire la mia posizione in merito alle risposte da me date di volta in volta.
In poche parole, mi ritengo un Cavaliere al di sopra di ogni sospetto, e questo proprio perché la drapperia è una di quelle attività lavorative grazie alle quali la civiltà occidentale è progredita in massima misura e che non morirà a dispetto della tecnologia avanzata. Fino a che le pecore daranno la lana, fino a che esisteranno le comunità degli allevatori e dei pastori, la globalizzazione non avrà la meglio, ma sarà essa stessa un valido ausilio per la diffusione e il mantenimento del gusto della scelta, nell’ amore per la tradizione e per la civiltà dei costumi, e non dei consumi.
Per quanto riguarda poi questi ultimi, un buon consumo è utile alla comunità e alla sua crescita, un cattivo consumo è il frutto di una cattiva educazione.
Ritornando alle Shetland, l’arcipelago britannico non ha perso la sua forza e ne avremo delle belle da scoprire.
Con Cavalleresca esperienza
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 08-10-2007
Cod. di rif: 3565
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Questioni di metodo
Commenti:
Nobili Cavalieri, fedeli visitatori,
avendo letto con gioia ed entusiasmo le ultime lavagne e gli ultimi taccuini, che tanto dialogo hanno apportato alla nostra cavalcata nella foresta della tradizioni culturali e storiche, mi permetto tuttavia di dare un consiglio di metodo, dal momento che ho notato che alcuni studi si riallacciano ad argomenti già affrontati e approfonditi in questa sede negli ultimi quattro anni e anche prima.
Consiglio infatti di utilizzare la chiave e la voce della ricerca, sempre in questa lavagna dell'abbigliamento, prima di cominciare gli studi,al fine di non specare energie preziose. Il metodo della ricerca è auspicabile anche per incrementare ulteriormente il dialogo e l'approfondimento in queste lavagne, così come sono gradite critiche e osservazioni.
Con fedele e cavalleresca collaborazione
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-10-2007
Cod. di rif: 3567
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Regimental: dalla storia degli eserciti alla cravatta
Commenti:
Questo studio non pretende di essere un lavoro esaustivo sulla cravatta, ma si propone senza presunzione come semplice guida per tutti coloro che desiderino affacciarsi all'affascinante finestra della cravatta regimental, o indumento militare dalle antiche origini, per comprenderne la vera genealogia e dissiparne gli equivici e le definizioni di insipida superficialità che albergano nelle nostre sedi usuali.
Noi tutti usiamo o abbiamo usato, o vediamo indossate le famose cravatte regimental, e sembra una ovvietà dire che tutti i cavalieri che si rispettino ne abbiano indossata una almeno una volta nella vita.
Ma, tutti i Cavalieri che si rispettino, sono consapevoli del fatto che dietro una Regimental si nasconde la storia e la creazione dell'Europa moderna?
Non credo di sbagliare di molto se rispondo negativamente.
Durante la Guerra dei Trent' Anni (1608-1648), che dilaniò l’Europa nelle prime decadi del XVII secolo, i soldati croati a cavallo già avevano fatto la loro apparizione sui campi di combattimento di tutta Europa. Il modo di combattere di questi soldati particolarmente cruento e il fatto che fossero dei mercenari al servizio degli eserciti delle monarchie europee ,li ha resi famosi nel mondo occidentale e la loro abitudine di indossare fazzoletti sgargianti dei più vari colori intorno al collo ha fatto sì che noi possiamo ancora oggi rivivere la tradizione in uno dei capi più importanti dell'abbigliamento maschile: la cravatta.
Gli Ussari sono un unità di cavalleria leggera e il loro nome,di etimologia incerta e controversa, potrebbe derivare dall'ungherese Huszár ,che significa "ventesimo"; nel periodo rinascimentale una recluta su venti dell'esercito ungherese veniva destinata alla cavalleria. Secondo altre teorie il termine deriverebbe, attraverso il serbo, dal turco Gussar, a sua volta derivato dal latino Cursarius, che indicava l'appartenente a una banda di predoni od incursori (ed è, peraltro, all'origine del termine corsaro).
La Gran Bretagna si servì degli ussari provenienti dall'Assia durante la Guerra di indipendenza americana.
La storia della cravatta dunque è affascinante tanto quanto quella delle guerre per la formazione degli stati dell’Età moderna in Europa.
E’ infatti a questo periodo che dobbiamo far risalire le origini di questo curioso e variopinto indumento.
Nella divisa Regimental le combinazioni dei colori hanno un significato altamente filosofico e metaforico, oltre che una valenza storica inesprimibile.
Siamo abituati ad apprezzare, senza troppi approfondimenti, i colori rosso e blu della bandiera inglese,( cheè,com sappiamo, mescolato con il bianco, simbolo di una delle rose della più famosa guerra inglese) e di quella francese, il cui significato base è lo stesso: il sangue blu della nobiltà mescolato con quello rosso dei “comuni mortali”.
A voi tutte le personali considerazioni di carattere ideologico, ma la storia è storia,e anche se la Rivoluzione abbatté le barriere tra la nobiltà la borghesia, una parte delle motivazioni di quei colori sono rimaste nei simboli.
Intanto ecco un primo indizio per rintracciare la genealogia delle innumerevoli varietà di combinazioni che andranno a creare le varianti delle strisce delle cravatte, quando le cravatte cominceranno ad esistere.
Ma ora siamo ancora agli inizi della storia.Chi non conosce l’esistenza del Queen’s Own Hussar Regiment non può conoscere la vera origine della Regimental tie.Il Queen's Royal Hussars (Queen's Own and Royal Irish) è nato il 1 Settembre 1993. Il Reggimento getta le sue gloriose radici nel 1685 e negli ultimi 300 anni è stato insignito al valor militare con 172 medaglie per altrettante battaglie vinte sul campo.
Dalla formazione dello Standing Army, cioè l’esercito stanziale nel 1685, il Reggimento e i suoi predecessori hanno combattuto con distinzione in quasi tutte le campagne condotte dall’esercito britannico. Il Reggimento è stato incaricato di condurre la Guerra di Crimea, ha combattuto con il Generale Wellington a Waterloo. Ha combattuto nella Guerra contro i Boeri in Sud Africa e ha sopportato tutte le atroci sofferenze della Guerra di Trincea durante la Grande Guerra, in Francia e nelle Fiandre.
IL passaggio dal cavallo al carro armato negli anni ’30 ha comunque garantito il fatto che il reggimento abbia potuto giocare un ruolo determinante nella conduzione delle moderne strategie di guerra, dai deserti del Nord, alle giungle dell’India (Burma), fino alle spiagge della Normandia.
In tempi più recenti il Reggimento si è distinto nella Guerra di Corea e anche nella Guerra del Golfo. Il Queen’s Royal Hussar è stato poi il primo ad impiegare i carri in Bosnia e a lasciare sangue sul campo.
Il regginmeto glorioso, gloria della monarchia inglese dal lontano 1500. rivive dunque nella nostra quotidianità e ad esso dobbiamo rispetto.
(Fine della Prima Puntata)
Knightly Memories
Dante de Paz







-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 24-10-2007
Cod. di rif: 3571
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Aran Sweater
Commenti:
Rispondo volentieri al Signor Alec Caprari a proposito degli Arran, o Aran, che mi sono stati sempre a cuore , come Lei potrà verificare se vorrà leggere o rileggere, qualora lo avesse già fatto , la mia lavagna N. 1810 del 4/12/2004.
La storia di questi bei maglioni è importante e interessante tanto quella dei Tartan o dei District Check, poiché essi, i maglioni intendo dire, erano il segno distintivo, solo secondo alcuni però, fin dal lontano 1400, delle famiglie delle innumerevoli isole disseminate nell’Arcipelago britannico. Il nome deriva appunto dalle isole Aran.
La tradizione vuole che furono le donne delle isole a cominciare a cucire maglie calde di lana per i loto marinali e per gli impervi viaggi nei freddi mari del Nord.
La tradizione è poi passata attraverso varie e evoluzioni e la specializzazione della variante degli Aran è diventata altrettanto importante di quella degli Scozzesi dei Tartan.
La storia egli Aran è legata in origine alla caratteristica manifattura della lana grezza, delle isole Aran, una lana che veniva utilizzata allo stadio davvero grezzo, senza la pulitura e e la sgrossatura che viene abitualmente fatta, ma lasciando intatta tutta la lanolina contenuta nella fibra naturale, al fine di rendere questi capi resistenti all’acqua, del mare per l’appunto, visto che essi erano usati prevalentemente dai marinai.
Entrambe queste teorie, quelle dell'uso marinaro e della appartenenza a clan, stanno ora perdendo un po’ di smalto, e pare siano più legate alla leggenda che alla storia.
Alcuni sostengono infatti che la durezza e la rozzezza della lana avrebbero impedito i movimenti dei marinai e allo stesso tempo non siamo del tutto certi della definizione di Aran sweater come emblema significativo e distintivo di particolari famiglie di abitanti delle isole.
Entrambi i miti sussistono tuttavia e anche la unicità dei disegni degli Aran è pur sempre una realtà.
E’ tutto per il momento, ma non tutto certamente, solo una breve risposta che spero abbia almeno in parte esaudito qualche desiderio di conoscenza.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 24-10-2007
Cod. di rif: 3572
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Abbigliamento da casa
Commenti:
Un'attenzione particolare richiede, da parte di tutti i Cavalieri e i lettori del sito che desiderino contribuire alla crescita culturale del Castello, la domanda, o meglio il quesito, del Signor Bertinelli, a proposito dell'abbigliamento da casa, argomento di importanza rilevante all'interno del nostro dibattito sulla codificazione dei generi di abbigliamento, o code.
Sto preparando alcune tavole riassuntive, ma l'avventura è aperta a tutti coloro che siano interessati a portare nuova luce su questa pagina importante della storia del costume.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 24-10-2007
Cod. di rif: 3573
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Donegal Tweed
Commenti:
La poetica lavagna del Cavaliere Albergo Longo non può restare inascoltata.
Il Donegal è poetico in quanto poetica è la stessa verde Irlanda, che con la sua malinconica brughiera ha ispirato alcune delle pagine più belle della letteratura europea contemporanea,ma anche con le sue fumose cittadelle oepraie e manifatturiere.
Quando James Joyce scriveva Gente di Dublino, non pensava certamente al Donegal Tweed, ma noi vogliamo leggere anche le pagine dell'artigianato e viaggiare un po' nei meandri della storia dell'antica terra dei Danesi.

Nel Donegal tweed un pezzo di storia d'Irlanda. Questo tweed ha affascinato milioni di persone in Europa e nel mondo, con il suo classico puntino, che ha fatto desiderare a molti uomini una giacca sportiva dal tocco intramontabile.
E ' nella Contea di Donegal, Ulster, che dobbiamo rintracciare il fascino di questo tessuto del quale esistono tuttora antiche manifatture. Non solo in grigio, lo si può trovare anche nei toni del marrone e del tortora. Nella stessa cittadina di Donegal i fabbricanti sono rinomati all over the world.
Resti dell'antica dominazione danese e di quella , ancor più antica, romana, Donegal è antica in tutti i sensi , ma noi ne assaporiamo il profumo tessile nelle giacche che portiamo.
Intorno alla cittadina di Donegal possiamo vedere testimonianze risalenti alla preistoria : resti di fortini e altre costruzioni i pietra.


Vi sono anche resti dell’antica dominazione danese , che pare abbia dato il nome alla cittadina e alla contea. La stessa cittadina di Donegal è famosa per essere stata la patria del clan degli O’ Donnel, che hanno rappresentato la maggiore opposizione degli Irlandesi alla colonizzazione dell’Inghilterra.
Nella cittadina è conservato il Castello di Donegal, un’antica abbazia francescana, che risale al XVI secolo. Il Castello e l’abbazia vennero poi ceduti al Capitano inglese Brooke, che si occupò di tutti i lavori di restauro e di ricostruzione.
L’impresa più importante della cittadina di Donegal è quella di una nota famiglia di imprenditori che hanno avuto per molto tempo il monopolio del fabbricazione dell’abbigliamento di tweed, del quale ancora oggi si possono vedere alcune importanti lavorazioni fatte a mano. La manifattura del tweed ha avuto qui la sua storia importante, anche se, come è noto a tutti, l’Irlanda ha spesso attraversato profonde crisi economiche.
Il donegal tweed viene ancora prodotto in quantità, ma la stessa grande famiglia ne detiene quasi il monopolio dal 1800.
Sulla lavorazione esistono varie teorie e pratiche, sulle cui caratteristiche incoraggio i più esperti a intervenire , non trascurando la specificità del tweed in quanto tale, indipendentemente dalla regione irlandese dalla quale il rustico elegante puntinato proviene.
Riflettendo in merito
Dante De Paz






-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-11-2007
Cod. di rif: 3576
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Weaving in Donegal
Commenti:
All'Ardara Heritage Centre possiamo conoscere tutto quanto vi è di conoscibile sull'antica arte della tessitura nella Contea di Donegal, nel Nord Ovest dell'Irlanda..
questa abilità è tradizione nel paese da centinaia di anni e , come dice Mr. Colm Sweeney, " Comprare un filo di Donegal tweed non è acquistare un semplice filo di lana , ma un pezzo di storia di Irlanda.
Mr. Sweeney ha imparato a filare a 13 anni, dalle mani e nell'azienda di suo padre, il quale a sua volta aveva imparato da suo padre e così via per generazioni.
Il bisnonno allevava pecore per la lana e l'arte del telaio a mano era più o meno simile a quanto si narra nella Bibbia.
Prima dell'invenzione del telaio meccanico le operazioni sono rimaste intatte per secoli.
Quindi quando indossiamo una giacca di Donegal indossiamo un capo biblico.

Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 19-11-2007
Cod. di rif: 3583
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Diamond wedding: God bless the Queen!!!
Commenti:
Cavalieri,
Impariamo dagli inglesi vi prego! Si celebrano oggi, ma la data vera in realtà è domani, 20 novembre, le nozze di Diamante di Elizabeth II e del suo consorte , Filippo di Edinburgo Mountbatten. Quanta storia e quante dicerie, su questo longevo e inossidabile matrimonio!
I mezzi di comunicazione hanno oggi fatto il riassunto di questa coppia, felice o non felice, è volgare dirlo o pensarlo, non sta a noi giudicare. Quanto alla forma , dobbiamo solo tacere e inchinarci a tanta squisita e raffinata eleganza. Basta leggere quanto riferiscono le fonti ufficiali inglesi e le modalità di comunicazione a proposito dei festeggiamenti dei 60 anni di matrimonio di Elisabetta II e Filippo, non si può non apprendere lo stile; nel chiamare black tie dinner c’è tutta la storia della forma che , vorrà ancora dire anche la sostanza? Abito da sera? Smoking? Eleganza, come mi vesto? Black tie dinner, cena in cravatta nera e basta, poche storie, chi c’è c’è, e chi non c’ non c’è.
E nelle foto dei taccuini c’è tutta la sicurezza di secoli di status e di maestria nell’arte della forma e del cerimoniale , senza smancerie e sdolcinatezze, senza fasti dorati, ma con un fasto understated. British makes sense.
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-12-2007
Cod. di rif: 3587
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Questioni di etica: artigianalità italiana e maestri
Commenti:
Questioni di etica:Made in Italy: salviamo il made in Italy e l’artigianalità italiana

Molte volte abbiamo scritto sull’etica cavalleresca e tempo fa si parlò molto anche del made in Italy e delle maestria e imprenditorialità italiane.
E’ ora giunto il momento di cavalcare un’altra volta il cavallo dell’attualità, e di ripercorrere la strada della riflessione su quella che è una delle nostre maggiori ricchezze e dunque indirettamente anche la forza del nostro lavoro di Cavalieri, all’interno del sito e della sua opera di divulgazione culturale.
E’ di questi giorni il dibattito sull’etica imprenditoriale, argomento scottante sia economicamente che moralmente.
Anche nell’imprenditoria, e cioè in quel tipo di attività lavorativa che fa del profitto la propria fonte di vita, è possibile anzi doveroso adottare una deontologia e un’etica, che contraddistinguano i Cavalieri lavoratori e imprenditori, di se stessi così come di altri, da coloro, e non sono pochi, i quali con comportamenti non del tutto trasparenti,screditano il lavoro di molte irreprensibili e oneste persone,
Nel settore della moda e dell’abbigliamento, di cui questa porta è in un certo senso il portavoce culturale, molti operatori vengono accusati di lavorare senza rispettare le regole e le leggi.
Non ci occuperemo di questo, poiché altri già lo fanno:mezzi di comunicazione,. Magistratura, e tutte le persone deputate alla divulgazione dell’onesta informazione. Ciò che invece mi preme è ricordare a tutti i Cavalieri e ai generosi lettori è che dietro alle belle creazioni che fanno di un abito un bell’abito, di un accessorio una fonte di desiderio, di una cravatta o di un cappello un segno distintivo di eleganza, buon gusto e stile, pullula e vive un mondo ricchissimo di artigianalità italiana e di maestria professionale, che associazioni apposite da alcuni anni difendono, per mantenere viva e alta la tradizione artigianale che fa dell’Italia un modello nel mondo, un esempio che tutti desiderano emulare .
Il made in Italy si avvale di grandi esperti artigiani e di imprenditori che da sempre eseguono operazioni meticolose che, anche se affiancate dalla tecnologia, mantengono tuttavia vive le abilità manuali di sempre.
Nel nostro amore per i tessuti, nel nostro grande desiderio di conoscenza, si nasconde un’antica innata predisposizione per tutto ciò che è autentico.
E pertanto, oltre ad apprezzare tutto quanto l’innovazione ci porta e ci porterà di buono, insieme ai grandi europei esperti di stile e dei eleganza, gli Inglesi, che così spesso prendiamo giustamente a modello , come mastri della classicità internazionale del bel vestire, insieme all’estro e alla variegata fantasia dei francesi, continuiamo a salvaguardare le abilità italiane della sartoria, che con il contributo degli altri sopra citati, e insieme all’esperienza secolare, danno vita a straordinari prodotti mai eguagliati .
Buona riflessione
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 10-12-2007
Cod. di rif: 3594
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Regimental tie History
Commenti:
Nella mia lavagna dell' 11/10/2007 parlavo della storica importanza della regimental tie, come segno distintivo di un abbigliamento maschile di derivazione militare che ha in seguito avuto un enorme successo nel nostro quotidiano modo di vestire.
Consideriamo poi che, mentre in Italia si parla delle regimental un po’ a caso, senza fare poi grande attenzione alle tipologie di stripes che le contraddistinguono e a quanto si cela dietro un colore piuttosto che ad un altro, pensiamo invece che in Inghilterra c’è tutto un mercato che sta prendendo sempre più piede anche in Europa Europa, che parla delle Regimental in senso specifico e che pone attenzione non solamente agli accostamenti cromatici ma anche al simbolico significato nascosto dietro quelle storiche righe.
La storia delle cravatte regimental, , come già dicevo, è molto lunga, poiché se le righe hanno una genealogia militare, nel corso del XIX secolo sono nate tante diverse tipologie di cravatte a righe , che segnano le distinzioni dei collages inglesi e americani, e altri settori della vita sociale, come i Club sportivi e culturali.
Pongo come semplice inizio una Regimental tie molto gettonata, quella che porta colori blu, giallo e rosso, della Royal Academy di Sandhurst, ( taccuinio N. 3725) l’Accademia militare Reale Inglese, nata nel 1947, nella quale prestano servizio i giovani membri della Famiglia Reale Inglese .
Sembra banale , ma non è così.
Esistono centinaia di combinazioni diverse di colori e, come i Tartan segnano l’appartenenza alle famiglie storiche della Scozia, così anche le Regimental tie segnano la storia dell’Europa, anche se in maniera meno eclatante e se la moda ha attinto da esse in tono minore.

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-12-2007
Cod. di rif: 3601
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: hacking jacket
Commenti:
Il didascalico taccuino 3728 del Gran Maestro sulla Hacking Jacket, con foto emblematiche sulle diverse tipologie di questa storica giacca, mi hanno indotto a fare alcune considerazionidul'eleganza e ca riportare alla luce alcuni dettagli di questa giacca sportiva, che non troppo spesso viene evocata come un capo formidabile dell'abbigliamentio classico tradizionale, che a onor del vero non riscuote in Italia il vero elogio e il plauso che meriterebbe.Questa porta non è il luogo propriamente deputato a parlare di elegnaza femminile, dal momento che per questo abbiamo nel nostro sito l'apposita porta delle Donne, che invito i lettori e i cavalieri a sfogliare, e tuttavia penso che sia ugualmente importante fare alcune osservazioni in questa sede, poiché la hacking jacket è un capo che solo le donne davvero eleganti sono in grado di riconoscere.
La storia della moda ha già dedicato ampie pagine all' evoluzione dell'abbigliamento sportivo dall'800 in poi e alla rivoluzione che la tecnologia e la cultura hanno poratto nella moda sportiva femminile.

Tra i tanti capi di abbilgliamento, che come innumerevoli volte abbiamo studiato ed elencato nelle nostre lavagne, la hacking jacket è quello che ha subito il minor numero di modifiche per trasformarsi da capo sportivo a capo cittadino.Anzi, è un capo che può permettersi di mantenere i canoni originari , e forse cambiare solo nel tessuto , e mantenere allo stesso temp l'aura di eleganza che lo contraddistingue.
E' difficile fare della giacca un capo femminile per eccellenza e tutti sappiamo che alcuni grandi diisegnatori di moda sono riusciti nel corso del XX secolo in questa operazione.
Ma... la hacking jacket aveva già al suo interno, nel suo taglio originario, quella linea altamente femminile che molte giacche firmate di oggi vantano come originale.
Osservate i taccuini da me inseriti.
senza far pubblicità, secondo quello che è il nostro abittuale costume, dirò solo che il taglio di questa giacca, di uno specialissimo atelier londinese, non ha nulla di diverso dalla vita altissima e attillata che contraddistingue la giacca della Principessa Anna di Inghilterra inserita dal Gran Maestro nel suo taccuino 3728.
Eppure vedete, il tessuto cittadino, in una delle due immagini, e la grazia della donna che la indossa, fanno di questa giacca un capo di altissima classe, degna di essere annoverata nel più rigoroso dei dress code.
Tante volte abbiamo citato il British style, ma non abbiamo altrettante volte parlato di Hacking Jacket poiché in effetti siamo molto proiettati in Italia, a codificare il nostro abbigliamento nelle caselle dei ruoli. LA Hacking è una giacca che va desiderata, sia dalle donne che dagli uomini, e va portata con un discreto senso dell’understatement, senza l’ostentata ricerca dell’esibizione e del lusso.
Diana del galles la indossava e così come Lei anche altri membri della Famiglia Reale inglese.
Ma noi non abbiamo intenzione di fare dell’abbigliamento e della moda qualcosa di regale e di esclusivo; al contrario, il nostro desiderio e il nostro obiettivo sono quelli di contribuire al ritorno di un’eleganza quotidiana troppo spesso evanescente e a volte anche sporcata dall’eccessiva ricercatezza.
Lo dicemmo nel lontano 2004, ai temi della creazione e della fondazione del classico Internazionale, che esso è appunto quello stile che non tramonta mai a e che fa dell’unione di moda e understatement qualcosa che contribuisce alla conservazione della vera eleganza e del buon gusto.
Forse non è facile rendere chiaro questo concetto di invisibilità dell'eleganza, al quale vorrei guidare il lettore, approfittando di questo spunto concessomi dal Gran Maestro, e tuttavia penso che riflettendo su alcune parole chiave, tale concetto possa essere assimiliato dalla maggior parte di noi.
Sotto tono, semplicità, linearità, sfumature e nuances, pastelli e luminosità, revers e stondature, attillatezza e proporzione: queste parole, tutte, sono inseribili nella foggia della hacking jacket.
Riflettiamo.Se poi volete maggiori dettagli sartoriali, il Gran Maestro ha già risposto, e anche io, per quanto possibile, potrò porre la mia esperienza al servizio di lettori e Cavalieri.
Il Rettore
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-12-2007
Cod. di rif: 3616
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tartan Story: A luxurious History of Tartan
Commenti:
Tartan history

Molto antica è la storia Del tessuto tartan e del suo uso, attestato già prima dell’arrivo di Giulio Cesare in Britannia. Abbiamo notizie del modo di indossare tessuti quadrettati tra le popolazioni celtiche. La tessitura dei Tartan è una vera e propria arte. Al tempo di Giulio Cesare tuttavia i Celti non avevano un nome particolare e specifico per identificare i quadri che oggi sono noti a tutti noi col nome di tartan.
Studi archeologici recenti hanno testimoniato che al tempo di Tutankamon i Tartan esistevano già e di questo prova ne è il ritrovamento delle sepolture cinesi scoperte dall’esploratore svedese Sven Heden, che nelle tombe cinesi scoperte nel XX secolo nel cuore dell’Asia ha dato modo di vedere come queste mummie dal volto caucasoide e dal naso schiacciato avessero nelle loro tombe dei tessuti bellissimi di lana, perfettamente realizzati, dei complicatissimi e veri tartan.
Poi l’arte parve scomparire nel nulla e dobbiamo attendere il 1600 per ritrovare una testimonianza attendibile dell’esistenza dei tartan, e la ritroviamo su di un albero intagliato della Germania del 1631, nel quale si possono vedere dei soldati tedeschi di Gustavo Adolfo che indossano il caratteristici kilt.
E poi ancora un’altra importante testimonianza è quella della battaglia di Culloden nel 1745, ultima grande battaglia sul suolo inglese tra Charles Stuart, Bonnie Prince Charlie, e il Duca di Cumberland.

L’esercito dello Stuart era composto da Highlanders, schierati in Reggimenti e vestiti con il classico Kilt.
Ora il Tartan rimane come tessuto sia militare che etnico. Nel primo caso distingue i Reggimenti Scozzesi delle ‘Esercito di Sua Maestà, e come abbigliamento folcloristico continua d essere distintivo delle centinaia e centinaia dei famiglie e clan della Scozia.
L’ingresso del tartan nel mercato della moda risale al XX secolo, quando il classico tessuto scozzese è stato adottato anche dal settore femminile dell’abbigliamento e reso sempre più aggraziato nelle fogge e urbanizzato grazie alla mano di abili stilisti e sarti.
Oggi esistono apposite associazioni che pubblicizzano e sponsorizzano il Tartan come elemento di distinzione della tessitura , per mantenere vive la tradizione e l’industria tessile, accanto all’incremento dell’imprenditoria.
Ancora una volta artigianato e industria dimostrano la possibilità di una pacifica convivenza.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-01-2008
Cod. di rif: 3620
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Covert Coat
Commenti:
Rispondo volentieri al Signor Paolo Tarulli, che sovente interviene con contributi sul nostro sito, a proposito del Covert Coat e delle sue origine. Dunque, come Lei avrà già letto, e infatti lo ricorda nel suo taccuino 379, molte cose sono state dette su questo bel cappotto, dalle origini militari e sportive insieme.
Il Covert Coat è infatti il discendente delle marsine settecentesche, da qui la sua caratteristica lunghezza che lo fa somigliare a un sette ottavi. Inoltre la sua foggia è di derivazione equestre, nel senso che in origine era un soprabito militare da cavallo. Da qui la sua linea smilza, che lo rende tanto moderno e agreable.
In ogni caso può anche rileggere, se lo desidera, la lavagna 1753 del 7/11/2004, nella quale troverà qualche notizia su due importanti cappotti: il Chesterfield e il Covert Coat.
Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-01-2008
Cod. di rif: 3622
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Covert Coat
Commenti:
Dear Mr Tarulli,
Grazie a Lei della risposta. Non c'è nulla di male a parlare di cose sempre vive , e poi ho risposto solo in parte, mi riservo di soddisfarla maggiormente a breve.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 23-01-2008
Cod. di rif: 3639
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Brogue History
Commenti:
Un brogue è un forte accento dialettale, che si trova soprattutto nei dialetti irlandesi dell’inglese.
Deriva dalla parola irlandese( gaelica) “brog”, che significa scarpa. Si dice che il termine sia stato coniato da un inglese che , incontrando un irlandese, mentre quello parlava gli disse che il suo accento era così rozzo che sembrava parlasse con una scarpa in bocca ( a shoe in his mouth). Altri dicono che la parola brogue sia associata con i lavoratori irlandesi, che usavano scarpe grosse e rozze.
La Brogue è caratterizzata dall'inconfondibile disegno con la punta a coda di rondine .Le semibrogues hanno meno decorazioni e non hanno punta a coda di rondine.
Spesso nelle nostre lavagne sono apparse dissertazioni sulle brogue, ad opera del Gran Maestro e di Cavalieri e visitatori. L'accento è stato spesso posto sull'armonia delle brogue anni '30, che le rese poi famose tra gli attori di Holliwood, anche in bianco e nero.
Oggi è forse giunto il momento di smitizzare il mito, per rendere l'eleganza un po' più leggera e anche un po' più up to date.
Questa è la riflessione che propongo in un momento di considerazioni sul classico e sui codici, anche quella sulla leggerezza.
Lightly knightly
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 23-01-2008
Cod. di rif: 3640
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dibattito sulla leggerezza
Commenti:
Cavalieri, lettori, ascoltatori e visitatori,

la leggerezza contraddistingue ogni foglia nuova, ogni nuovo verde, verde speranza e verde primavera, che aleggia nell’aria, in fredde giornate a volte intiepidite da un timido sole, quasi forte nei momenti centrali del giorno. E’ ancor presto per la nuova stagione, ma in realtà essa arriverà in fretta . E come la primavera annuncia, con boccioli nuovi e sempre visti ma ogni volta rinati, la leggerezza della nuova vita, così anche noi è bene che annunciamo una nuova era, quella della leggerezza nei temi sempre usati e sempre nuovi, una leggerezza mentale con la quale affrontare le scelte in termini di gusto, una leggerezza che sfrondi le nostre pesantezze autunnali e invernali, una leggerezza della mente che renda i Cavalieri e i lettori un po’ meno ancorati a tante regole inossidabili e pietrificate, che inevitabilmente appesantiscono i corpi e i movimenti, poiché il corpo è l’espressione della mente.
La leggerezza agevolerà i nostri movimenti primaverili, le nostre scelte negli acquisti, le nostre difficoltà davanti alle incertezze.
Avvio questa riflessione con leggero anticipo sulla nuova stagione, perché ultimamente ho notato che anche nel sito si appesantiscono i dibattiti, e questo non è estetico, è contro il tempo, contro i nostri tempi.
La leggerezza è anche modernità.
I creatori sono sempre leggeri, perché leggere sono le nuove scelte.
Alleggeriamo il guardaroba, ma anche i nostri pensieri, e sarà più facile avere buon gusto in tante situazioni della vita.
Lightly Knightly
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-02-2008
Cod. di rif: 3661
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: A proposito di prezzi e qualità
Commenti:


Cavalieri, Lettori, Visitatori,

Approfitto della lavagna di Tiziano Grandi per fare alcune considerazioni sul delicato e interessante problema del prezzo, del denaro e del rapporto qualità prezzo, ampiamente dibattuto e approfondito a Roma.
E' gesto comune, quotidiano, di ognuno di noi chiedere di qualsivoglia oggetto acquistiamo : quanto costa?
Quanto costa a volte è una frase dettata dal riflesso condizionato, dall'abitudine, ma altre volte, soprattutto quando ci accingiamo ad acquistare un bene di considerevole valore, o che mette a dura prova il nostro portafogli, il nostro pensiero è dettato dal desiderio di valutare se il bene vale veramente quanto stiamo per spendere.
Non sempre il prezzo alto equivale ad una qualità alta, e molto spesso è importante il nostro conoscere il valore delle cose, il senso di un capo di abbigliamento che pur non griffato contiene in sé una bellezza consolidata nei tempi.
Il valore dell'artigianato e della tradizione manifatturiera, poi passata alla lavorazione industriale rimane grande. Importante è fidarsi di un percorso storico della lavorazione, della confezione e della finitura e foggia dei capi, perché in questo modo difficilmente si sbaglia un acquisto.
Ovviamente la scelta di un capo storico non è detto che garantisca la buona riuscita una volta indossato da noi, perché a questo punto entrano in gioco altri fattori, quali la nostra corporatura, le nostre fattezze e i nostri colori naturali. Abbiamo varcato in questo momento la soglia della soggettività.

Il prezzo è il valore economico di un bene o servizio espresso in moneta corrente in un dato tempo che varia in base a modificazioni della domanda e dell'offerta. Nel prezzo si concentra tutta l'informazione a disposizione degli agenti economici.
La moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per il suo valore intrinseco ma per le cose che consente di acquistare.
Il prezzo di un bene comprende molti fattori, non ultimo quello del tempo di lavorazione, della forza lavoro impiegata per produrre quel determinato bene, il guadagno del produttore e i vari passaggi che il bene deve fare per passare dalla fabbrica o dal luogo di produzione , al distributore, al mercato e infine al cliente.
Il prezzo i di un bene dipende in grandissima misura dalla domanda che di quel bene esiste in un determinato momento storico.
Il modo di produzione dei beni è molto cambiato nel corso del XX secolo, e ora , che siamo da un po’ entrati nel ventunesimo, assistiamo a nuovi cambiamenti dovuti anche senza dubbio al cosiddetto mercato globale.
Un bene può essere prodotto in una qualsivoglia parte del mondo, poiché è il produttore che sceglie il luogo di produzione in base al costo della mano d’opera a lui più conveniente. Più la mano d’opera è a buon mercato e più il produttore sceglie di cambiare il luogo di produzione del suo bene.
Accanto alle leggi della produzione , vi sono quelle della domanda e dell’offerta e cioè le esigenze del mercato.
Ma, allora è lecita la domanda: “Quali sono oggi queste leggi?” Che cos’è che determina effettivamente il prezzo di un bene sul mercato?
Al giorno d’oggi le leggi del mercato sono molto cambiate, soprattutto in paesi industrializzati come l’Italia, nei quali il potere d’acquisto dei salari è diminuito, causando un calo della domanda e modificazioni nell’offerta.
Il ricorso alla moneta è il passaggio successivo allo scambio di merci tramite il baratto, caratteristico solo di società molto primitive.
La moneta, una parola che ha le sue origini nella lingua latina derivando dal verbo monere, che vuol dire avvisare. IL suo nome è legato al famoso episodio delle oche del Campidoglio, che con il loro improvviso starnazzare e gridare nel cuore di una notte del 396 a.C., salvarono la città di Roma dall’invasione dei Galli di Brenno, e poiché allora sul colle del Campidoglio, uno de famosi sette colli della Roma antica, esisteva un tempio dedicato a Giunone e le oche erano sacre alla Dea , da allora Giunone venne chiamata moneta, poiché sembrava avere dato l’avviso del pericolo. Un centinaio di anni più tardi, lì vicino venne istituita la Zecca, che venne posta sotto la protezione della dea Moneta, e anche nel linguaggio popolare la parola moneta entrò nell’uso comune per indicare il denaro di scambio.
Il denario
Il denario venne introdotto abbastanza tardi a Roma, dove l'inizio della monetazione avvenne grazie all'asse ed al suo sistema basato sul bronzo. L'espansione dei commerci verso la Magna Grecia e l'oriente, però, imponeva l'uso di monete con valore intrinseco maggiore e quindi in argento.
La prima moneta d'argento derivata dal sistema monetario romano basato sull'asse fu il denario, con un valore pari a 10 assi ed un peso di circa 4.5 grammi (1/72 di una libbra Romana). Il suo nome, infatti, deriva da "deni" che significa "per dieci", valore indicato sul fronte della moneta dalla marca "X".

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz









-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 15-02-2008
Cod. di rif: 3663
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo al Lettore Oddone Marconi
Commenti:

Gentile Lettore e visitatore Oddone Marconi,
la ringrazio dell’attenzione e mi accingo a risponderLe.
Come Lei avrà visto le mie lavagne sono tutte pervase e permeate da un filo conduttore, al quale da alcuni anni sono fedele. L’indagine sull’abbigliamento è sempre stata da me accostata a quella storica e sociologia dullo svolgersi lento ma inesorabile dei meccanismi dell’economia, della politica industriale e aziendale, dell’artigianato tradizionale.
I miei studi sono indirizzati sempre a riscoprire di volta in volta la genealogia dei capi di abbigliamento, senza lesinare tempo alle digressioni culturali.
Noto nella sua l attenta osservazione una punta di velato sarcasmo, a proposito della fedele riproduzione dei passi di Wikipedia.
Raramente ci avvaliamo dell’ausilio di Internet, per altro in certi casi molto prezioso per il risparmio di tempo tiranno, e questo avviene quando, su argomenti ovvi e ben noti a persone di media cultura, quali siamo in gran parte, abbiamo la necessità di riassumere per sommi capi temi che servono solo da trait d’union tra un argomento vecchio e uno nuovo. In questo caso l’argomento vecchio era il costo delle cose belle, quello nuovo, ma non del tutto, il ricordare ai lettori che la soggettività delle scelte e l’unicità delle persone è spesso in grado di mettere in crisi la teoria estetica dei capi di abbigliamento.
La definizione di prezzo e costo non la si può ricreare con originalità perché quella è, e quindi va bene riproporla da manuale.
Spesso è indispensabile ricordare in fretta alcune idee e teorie, utili a chi legge, per poi dedicare maggior tempo all’originalità delle ricerche in corso.
In questo caso il messaggio era quello di continuare con il metodo da me introdotto nell’indagine sociologica dell’evoluzione dei capi di abbigliamento. Le riassumerò qui il messaggio che volevo dare e la motivazione per quale ho fatto questo riassunto. Il messaggio era che non è così importante insistere sul concetto che un bel capo vale bene un bel prezzo, quanto capire che il prezzo non è sempre sinonimo della bella eleganza , e a volte persino della qualità. Per non cadere nei luoghi comuni, ovviamente. Troppa enfasi sul lusso, argomento per altro assai profondamente dibattuto nel convegno culturale di Roma recentemente conclusosi, nella quotidianità svia dalla realtà delle cose.
E soprattutto frenare gli istinti è sempre un buon metodo, che ci può aiutare anche a non provare compiacimento e soddisfazione a spendere molto ad ogni costo.
Ma questo è un dibattito da approfondire con calma e riflessione.
Sempre grazie della collaborazione .
Buona Cavalleresca Lettura
Dante De Paz








-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-03-2008
Cod. di rif: 3702
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Cufflinks
Commenti:
Lo sapevate che queste preziose opere in miniatura precedono la nascita della camicia.? Ne sono stae trovate infatti delle testimonianze addirittura nelle antiche tombe egiziane.
Gli attuali gemelli (cufflinks in inglese) oggi in uso hanno una origine ben più recente e infatti furono usati pwer la prima volta nei primi anni del 1700.
In realtà non si sa con esattezza la data di inzio dell’uso di questa speciale decorazione maschile, soprattutto in Occidente. La prima testimonianza scritta risale al 1788.
Un po’ di tempo prima di questa data si erano cominciate a vedere delle decorazioni e dei gioielli maschili per le camicie che avevano sostituito I classici nastri e le sete stampate.
E’ altresì evidente che quando alla metà del 1700 gli abiti maschili introdussero la gioielleria nelle decorazioni , vi fu un aumento del fasto delle stesse camicie e questa fu una esclusiva prerogativa delle classi agiate e nobiliari, che sole potevano permettersi questo lusso. I primi gemelli erano infatti lavorati a mano ed erano preziosi e costosissimi e incastonati spesso con gemme e pietre preziose.
Fu solo alla metà del 1700, con l’invenzione della macchina a vapore, la rivoluzione industriale e la velocizzazione della produzione, che i gemelli furono alla portata di un numero maggiore di persone.In particolare poi con l'invenzione grandiosa della macchina da incisione "Guilloché ", dal nome delll'ingegnere francese Guillot che ne fu l'inventore,l'incremento della diffusione dei gemelli fu enorme, perché con questa nuova tecnica fu possibile fare belle incisioni in un tempo molto più rapido di quello degli incisori del Rinascimento.
Questa tecnica è nota per lo più per la sua grandissima diffusione nelle scatole e nelle decorazioni di suppelettili molto preziose, quali vasi , più o meno grandi, ma ma anche pareti, piccole superfici parietali, e contenitori di varia specie.
Nei gemelli essa fu fondamentale per la decorazione a smalto sui metalli. Ecco perché troviamo tanti gemelli smaltati finemente con disegni splendidi e miniaturizzati.
Cavallerescamente in enamel
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 01-04-2008
Cod. di rif: 3729
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dressing gown: abito da casa ed eleganza dei costumi
Commenti:

La dressing gown è un comodo abito ampio e informale che cominciò ad essere usato nel XVIII secolo in America e in Europa dai gentlemen ed aveva ispirazione orientale.
Diverse le sue denominazioni: morning gown, nightgown o robe de chambre .
In realtà il vero antenato della dressing gown e il nome originario è banyan, ed era di solito usato in casa sopra le brache e la camicia, aveva il collo sciallato o a chimono,accompagnato spesso da un cappello o da un turbante .
Nell’umido clima coloniale della Virginia il banyan era usato in strada, ma poi divenne una comune veste per gli intellettuali, poiché si diceva che l’abbigliamento comodo e largo favoriva l’attività cerebrale.
L’uomo è sempre molto preoccupato dell’apparire quando è visibile in società, ma non è forse altrettanto importante l’apparire decorosamente tra le mura domestiche?
Ecco allora la tradizione della veste da camera, la dressing gown, il robe che abbiamo avuto l’abitudine a vedere spesso nei film di costume .
Al giorno d’oggi la società è molto occupata a pubblicizzare abbigliamento per ogni situazione e la biancheria da casa per le occasioni più intime e deliziose, ma esistono mille altre occasioni nelle quali è , o sarebbe opportuno, mantenere un atteggiamento e un abbigliamento decorosi .
Gown è un nome molto British, eppure la sua etimologia è latina: gunna.
Gown è la veste formale delle onorificenze, è la veste da camera indossata sia dagli uomini che dalle donne, è una veste che fin dal Medio Evo era utilizzata per coprirsi in modo confortevole anche rimanendo tra le mura domestiche.
Gown è veste da ballo, da giudice, da signora in abito da sera e infine anche da clergyman.
Ma… la veste da camera? L’abbigliamento che magistralmente il Gran Maestro ha illustrato e ordinato nel suo articolo culturale sulla rivista Monsieur non trascura particolari, eppure a noi resta una curiosità: quella di sapere se oggi la vestaglia indossata dall’uomo in casa e nei momenti di riposo o di relax corrisponda effettivamente a uno stile moderato ed elegante, in una parola classico, che è poi la preparazione del gentleman a presentarsi in società con decoro e dignità.
Il mondo di oggi ci offre mille esempi di sciatteria quotidiana , e stiamo certi che se una persona è sciatta nel mondo del lavoro o per la strada, tra le mura di casa sua sarà addirittura impresentabile, e viceversa.
Il buon costume dunque comincia in casa propria, la decenza, l’educazione e il rispetto di sé stessi sono abitudini che rispecchiano il nostro livello di civiltà.
Non importa oggi indossare vesti preziose, come nel ‘700, per farsi ritrarre nella biblioteca di casa, o in tribunale , o all’Università: un abbigliamento consono e un adeguato ricambio di abiti quando si cambiano i ruoli, da quello sociale a quello familiare e viceversa, garantiscono il benessere e la buona convivenza.
Certo che i tempi sono cambiati, e difficilmente prima di sera, quando si ritorna dal lavoro, se si riesce a fare una pausa dal lavoro a metà giornata, privilegio sempre più raro di pochi eletti che da casa al luogo di lavoro non impiegano tempo e mezzi di trasporto, prima di sera dicevo, si riesce a cambiare di abito, a togliersi di dosso divise e abiti formali, che ci limitano nella spontaneità e nel comfort.
Eppure c’è di nuovo oggi un forte richiamo alle buone abitudini di un tempo, richiamo che mi sento di incoraggiare tra i Cavalieri, affinché l’esempio dei quali siamo da tempo portatori sia non solo relativo ai code della quotidianità socializzante, ma anche a quello dell’intimità discreta e riflessiva delle mura domestiche.
Ringrazio pertanto il Gran Maestro per avermi dato lo spunto per una nuova riflessione, alla quale invito quanti cavalchino le nostre lavagne.
Discretamente e Cavallerescamente
Il Rettore
Dante De Paz










-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 08-04-2008
Cod. di rif: 3751
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dressing gown code and curiosities
Commenti:
Vorrei brevemente rispondere alle domande del Cavaliere Villa sul codice della dressing gown, ringraziandolo per le sue attenzioni e anticipando che notizie sul codice del dressing da casa arriveranno a partire dalle prossime lavagne; alcune interessanti annotazioni sono già state fatte dal Cavaliere Longo, altre sto rintracciandole nella storia del costume di questa nostra contraddittoria età contemporanea.
Certo è più difficile codificare un ‘abitudine che appartiene in particolare ad una sola parte della società, molto influenzata anche dallo spettacolo, l’alta borghesia e la nobiltà.
Abitudini che appartengono alla categoria del lusso, se pensiamo ai tessuti, all’educazione e alla stima di se stessi se invece consideriamo il modo di vivre la casa, indipendentemente dal capo che indossiamo.
Come sempre dobbiamo fare appello alla nostra cultura e alla nostra intelligenza, affrontando questi temi che sembrano di semplice acquisizione e che invece semplici non sono.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 08-04-2008
Cod. di rif: 3753
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dressing gown: notes and thoughts
Commenti:
Nobile cavaliere Longo,
nel complimentarmi con Lei per la bellissima lavagna che con ammirazione ho letto, sono felice che anche Lei incoraggi a continuare l’analisi sull’abbigliamento da casa e a proseguire la ricerca da me iniziata nella porta in questi giorni.
Vorrei però fare alcune precisazioni in merito e richiamare l’attenzione su alcuni particolari della sociologia dell’abbigliamento domestico, che Lei ha cominciato correttamente a descrivere; ma come ben si sa, le precisazioni non sono mai troppe, e sono quanto mai gradite quando ci si imbatte in argomenti delicati come questo, lo stile casalingo, che è stato una delle caratteristiche distintive della nobiltà europea del Settecento, Ottocento e Novecento.
Citerò ad esempio di ciò la magistrale ricostruzione della nobiltà siciliana dell’Ottocento fatta Luchino Visconti nel Gattopardo, il bellissimo film del 1963 tratto dal romanzo omonimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ricrea con magistrale senso estetico i costumi della famiglia Salina,e in particolare del suo capofamiglia, il principe Fabrizio Salina, che dà prova di una storica e paradigmatica eleganza, nella figura indimenticabile dell’attore Burt Lancaster.
Possiamo ammirare nel film i cambi di abbigliamento del protagonista nei diversi momenti della giornata, una giornata da Principe.
Le distinzioni da Lei ricordate, Cavaliere Longo, tra dressing gown , smoking jacket e le rispettive varianti, sono reali dimostrazioni di quanto diversa fosse la quotidianità delle persone un centinaio di anni fa o poco più.
La smoking jacket, che nulla ha a che vedere con la dressing gown, era una giacca molto salottiera, mentre la dressing gown, nata come giacca da passeggio all’orientale, è passata in pochi anni ad essere abbigliamento tipicamente casalingo e per nulla outdoor clothing.
Come ho già anticipato nella annotazione da me fatta a proposito del quesito del Cavaliere Villa, ripeto che , a mio giudizio, è difficile caratterizzare e codificare un capo che si è distinto per essere un’abitudine prevalentemente aristocratica.

L’educazione invece può appartenere a tutti noi; se la possediamo, la applichiamo, se al contrario non abbiamo questo dono la possiamo imparare attraverso lo studio, l’applicazione e la modestia nel seguire il consiglio e gli insegnamenti dei maestri.

Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-04-2008
Cod. di rif: 3779
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Accappatoio
Commenti:

Ecco alcune pillole di conoscenze e curiosità, in tema di avvolgimento corporeo.
Il termine accappatoio deriva da accappare, cioè chiudere nella cappa.
La cappa era un tempo un lungo abito o sopraveste con il cappuccio, prevalentemente per ornamento.
Ora il termine si è allargato e si è evoluto, fino a significare una veste lunga e poi ad indicare il capo per eccellenza della camera intima della casa: il bagno.
In tema di abbigliamento da casa il raccoglimento è un pensiero d'obbligo, almeno in questo giro.
Prendere, accappare; la cappa è qualcosa che avvolge.
E che cosa avvolge un essere umano più della propria casa, più dell'involucro che da secoli, anzi da millenni si è sostituito alla natura nella protezione della "fragile fibra dell'universo?( indovinate da chi, anzi da quale poeta è la citazione).
Nell’universo contemporaneo del lavoro i tempi sono frenetici e l’avvolgenza della casa è un valore profondo ed essenziale, da recuperare con rispetto e profonda fede nel valore della persona.
Dalle capanne nelle quali i gruppi umani si difendevano da intemperie e pericoli, alle nostre confortevoli abitazioni dei paesi del benessere, il cammino fatto è molto grande, ma spesso dimentichiamo il valore di questa conquista, che pertanto va ora invece evocato e recuperato, per esser protetto dalle cattive abitudini dei nostri tempi.
Recentemente ho parlato della dressing gown, la giacca da casa che tanti nobili erano soliti indossare nei momenti particolari della giornata, adatti al riposo e alla cura della persona.
L’accappatoio è proprio l’abito che avvolge, asciuga e riscalda il corpo refrigerato.
Guardiamo la spugna, il lino o il cotone, e apprezziamo momenti importanti da condividere solo con noi stessi.E che cosa può esservi di più caldo e rassicurante della stanza nella quale dedichiamo attenzioni e cure alla persona, al corpo, al benessere fisico, dopo il lavoro, l’impegno, la socialità?
Ho letto le lavagne del Cavaliere Villa e le sue preoccupazioni sulla decorazione dell’accappatoio.
Io non mi preoccuperei tanto di questo, quanto piuttosto di vedere, come già abbiamo fatto recentemente con le riflessioni sulla vita casalinga , o meglio domestica, di vedere dicevo quali momenti della giornata e in che modo siano essi da dedicare alla propria intima solitudine e alla riflessione sul recupero delle tante energie fisiche dedicate agli altri nella giornata lavorativa .
Il cavaliere è spesso esposto alle fredde avventure della vita, ma il caldo delle mura domestiche è in grado di lenire le fatiche e i disagi della vita quotidiana.
Le cure e le premure adatte al Cavaliere, che una dama ben conosce, sono a volte coscientemente interrotte, per lasciare spazio e luogo alla solitaria riflessione per il recupero delle forze perdute.
L’accappatoio è sovente il compagno migliore di questi momenti.
Knightly and Homely
Dante De Paz








-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 29-04-2008
Cod. di rif: 3781
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Accappatoio ancora
Commenti:
Illustre Cavaliere Villa,
la sua risposta mi lusinga, ma spero di non offenderla se faccio alcune precisazioni a proposito della solitudine.
Vede, il Cavaliere non è molto abile nello stare da solo, quello medievale, per lo meno, così abituato al duello, che come dice la parola stessa, non è fatto per l’uomo solo. Nell’accappatoio dei nostri giorni, invece, la solitudine è buona cosa per riflettere sulla volgarità della socializzazione, per lo meno a quella delle situazioni lavorative più comuni.
In realtà non è proprio da generalizzare questo pensiero: infatti vi sono luoghi per nulla volgari e persone niente affatto tali.
Purtroppo invece la moda, sovente, utilizza capi storici e belli per il proprio tornaconto di immagine, e quindi le belle abitudini vengono poi trasformate in atteggiamenti modaioli.
Basti osservare le pubblicità maschili. Uomini seminudi che provano fragranze e profumi o si lisciano il mento, il viso e il collo per provare creme antirughe.
Questa non è certamente immagine cavalleresca, tutt’altro , essa è femminea e offensiva per la categoria degli eroi cavallereschi , letterari e storici.
Anche se, poi, anche tra i Cavalieri antichi non erano assenti le vanità .
Ma, bando alle ciance, in realtà il monito che viene da alcune buone abitudini di rispetto casalingo è il seguente: comportati fuori con lo stesso rispetto con cui ti muovi tra le mura domestiche.
Insomma, alla fine dei conti, approvo il suo amore per il decoro e le decorazioni, e non era mia intenzione minimizzare il suo afflato verso alcuni particolari adottati per personalizzare i suoi capi; solo desideravo consigliare tutti quanti si interessino dei nostri argomenti di osservare molte altre cose oltre ai particolari; induzione dal generale al particolare: questo ci aiuterà molto a ricostruire il reticolo delle conoscenze intorno ad una eleganza a volte dimenticata.
Buona decorazione, dunque, e riflettiamo ancora sul valore di accappatoio e abbigliamento domestico: pigiama, pantofole, fazzoletti, accessori da toeletta e… momenti di silenzio da dedicare alle nostre letture e alla nostra educazione sentimentale.
La cultura non è mai interruzione ma sempre e solo continuità.
Questa è, a mia veduta , una certezza, se di certezze si può osare parlare in questo lacunoso mondo del nostro modesto sapere in costruzione.

Buona Primavera dal Rettorato
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-05-2008
Cod. di rif: 3798
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: ACCESSORIO
Commenti:
Accessorio: dal latino accessus, da accedere, che vuol dire accostare.
In attesa dei prossimi appuntamenti e in particolare di quello più vicino del 23 maggio prossimo, intendo fare qualche piccola chiarificazione a quanto già detto , per la verità poco, sugli accessori.
Come ho appena riassunto nella definizione iniziale, l’accessorio è quello che si accosta , che sta accanto al capo principale, e quindi è secondario, e non è cosa che si aggiunge; c’è infatti tra le due accezioni una sottile differenza di significato.

Per accostare si seguono criteri ben precisi; non si va a caso, e la conseguenza della casualità è spesso il cattivo gusto.
In questo i codici possono essere di aiuto.
Ora vorrei che tutti riflettessimo su questo concetto dell'accostamento, che da sempre è stato sinonimo di estetica e di abbellimento nell'abbigliamento, delle classi nobilari e aristocratiche, e poi di quuelle borghesi.
Oggi accostamento vuol dire scelta dei colori, dei materiali e degli stili.
Ne abbiamo sempre incoraggiato lo studio, ma ora l'appuntamento ravvicinato ci intima di procedere con magggiore celerità.
A questo proposito invito tutti i lettori e i visitatori a tenete d'occhio un appuntamento mondano che in fatto di stile ci insegnerà molto: il matrimonio reale che avrà luogo domani a Windsor, e che vedrà protagonisti il nipote maggiore della Regina Elisabetta d'Inghilterra, Peter Phillips, e la sua fidanzata, ancora per poche ore, Autumn Kelly.
Non sarà sempre una priorità del nostro quotidiano , seguire un avvenimento così lontano dalle nostre realtà, e tuttavia sono certo che sarà un bel vedere.
Cavallereschi incoraggiamenti
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-05-2008
Cod. di rif: 3800
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Accostamenti: un giorno perfetto di primavera
Commenti:
Alcuni giorni fa facemmo delle osservazioni sull’accessorio e avevo anche anticipato che, in occasione del matrimonio reale del nipote della Regina Elisabetta, Peter Phillips , e della bella fidanzata canadese, ne avremmo viste delle belle, in fatto di gusto, stile e accostamenti; non devo smentirmi; così è stato. Sabato scorso, nella Cappella di St. George, a Windsor, il British apparato della Famiglia Reale, non ha deluso le nostre aspettative: una cerimonia all’insegna della delicatezza e dell’armonia dei colori, all’insegna del verde, quasi e richiamare le tendenze ecologiste e di rispetto della natura mostrate in più occasioni dal Principe Carlo.
Per chi avesse avuto l’occasione di guardare qualche foto della cerimonia, e a tutti gli interessati, incoraggio una riflessione sul bel delicato e finissimo verde salvia degli abiti delle damigelle, che ben si sposava, mi si consenta il gioco di parole, con la decorazione floreale all’esterno della chiesa e con il colore delle cravatte di seta degli uomini, in understated tight.
Tutto a posto, nulla fuori posto, everything davvero o.k.
Niente di stonato, nulla di troppo fastoso, a parte la Bentley reale, o di troppo colorato: solo verde primavera e il bianco dell’abito della sposa, una bella creazione della British Fulham Road Sassy Holford Maison, un abito di seta bianco classico con finiture e bolero di pizzo chantilly, une vera chicca di eleganza, per nulla smodata, ma con un diadema gentile di diamanti da far sognare molte ragazze.
La bella Autumn, la sposa canadese di Peter Phillips, ha davvero fatto centro: non troppo alla moda, non sfolgorante di bellezza, ma veramente elegante, giusta nei colori, nei capelli, nell’acconciatura e nel sorriso. Occhi non grandi , ma sprizzanti la gioia del giorno più bello. Innamorati e scelti, Dio li fa poi li accompagna, il valido vecchio detto popolare si è concretizzato in questa giovane coppia di reali, sorridenti nella loro radiosa felicità di prorompenti trentenni, disinteressati ai molti, inviluppati nella loro realizzazione.
Questo è ciò che traspariva, per non parlare pi della Regina Elisabetta: un capolavoro di stile, ma ormai la conosciamo.
Un cappotto di un pallido azzurrino cielo con belle decorazioni oro-argentate, e quello che più conta, in capo non il solito bel cappello. E per chi non lo sapesse, negli ultimi quattro anni la casa reale ha completamente rinnovato lo styling della testa, affidandosi in toto , per ciascuna occasione, all’infallibile ed ineguagliabile milliner Philip Treacy, che veste le teste di tutti i reali, anche dei giovanissimi) e appunto dicevo, la Regina era radiosa, con la decorazione di foglioline azzurre e oro tra i capelli, modernissima nei suoi ottantadue anni benissimo portati. E cos’ le damigelle, con abiti di chiffon verde salvia, stile impero, delicate e rose tra i capelli, scarpe bianchissime col tacco alto; verde e bianco, i colori della giornata , insieme con il grigio del tight degli uomini e il panna o il grigio chiaro del panciotto dei ragazzi. Un tripudio di stile.
Ma, si dirà , come mai il Rettore si sofferma di più sulle figure femminili , nella lavagna dell’Abbigliamento e non in quello delle donne? Insomma, facile no? Il giorno del matrimonio è il giorno della sposa, la bellezza è della dama, è lei che abbellisce il suo uomo e che lo rende elegante nel suo giorno più felice, e poi , anche le altre ragazze non devono sovrapporsi alla protagonista della giornata, tanto è vero che, altra lezione di stile, per non disturbare la gioia della sposa e non distrarre l’attenzione dei fotografi sulla sua persona, le due più gettonate altre donne della casa reale, della quale per la verità non fanno ancora parte a tutti gli effetti, vale a dire le fidanzate dei Principino William e Harry, Kate Middleton e Chelsey Davy, al momento delle foto fuori della chiesa se la sono svignata da una porta laterale. Così ha scritto la stampa, ma sarà vero o semplicemente non c’erano? In ogni caso è trapelata qualche indiscrezione sui colori indossati da Kate.
Non importa: il giorno era della sposa e gli uomini erano tutti uguali, eleganti ma quasi invisibili con le loro tenui cravatte di seta verde chiaro.
Spiccava tra tutti, a parte l’ormai storico Principe Carlo, con i suo colletto bianco che conosciamo, Il giovane Harry, con un gilet di una bellezza incredibile e un sorriso gioioso.
Concludo dicendo che, in questa occasione, il colore era l’accessorio.
Colore: elemento fondamentale per lo stile di se stessi, cioè conoscersi e sapersi accessoriare, con garbo e raffinatezza, cioè accostarsi a se stessi con precise cognizioni.
Buona Lettura di Primavera
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-06-2008
Cod. di rif: 3834
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Accessori e colori per generazioni diverse: alcune rifless
Commenti:

L’accostamento è un concetto classico. L'accostare con gusto accesori ad abiti è un'operazione non facile, ma con un po' di studio si può superare l'ostacolo della scelta.
Dalle ultime immagini del matrimonio reale di Inghilterra, tra il rampollo reale, il nipote della Regina Elisabetta, e la sua fidanzata canadese, abbiamo potuto vedere come il gusto per l'accostamento si possa tramandare di generazione in generazione e con quanta disinvoltura i giovani di casa Windsor siano in grado di dare lezione di eleganza alle generazioni dei seniores.
Dallo sposo, Peter Phillips, al giovane Principe Harry, armonia di colori e di accessori sono stati il dictat della cerimonia.
Per seguire il Consiglio del Gran Maestro, sul concetto dei dress code più volte ripetuto, mi sento di dire che spesso si pensa che l’accostamento sia caratteristica delle generazioni degli adulti.
In Italia il costume del ben vestire è ultimamente limitato alle classi sociali benestanti e con una certa cultura, dato che lo street wear si è impossessato ormai di gran parte delle persone e della loro quotidianità, soprattutto di quella dei giovani.
Noi non abbiamo molte occasioni adatte ad indossare un panciotto, eppure a volte siamo in imbarazzo sul modo di vestire; questo si evince dai quesiti che sovente appaiono sul nostro sito e nella lavagna dell’ Abbigliamento.
Troppo imbarazzo spesso crea danni e guai.
Io lancio un appello molto semplice ma al contempo audace: credo che sia giunto il momento di rivalutare il grigio: grigio di giorno, grigio doppio petto, grigio anche per i venticinquenni e i trentenni.
Spezzato giacca blu sempre, ma blu marina; cravatta regimental, sempre, anche per i giovani:
Con questa immagine forse spiazzerò i più, perché quando si dice regimental si pensa sempre a un classico tradizionale molto classico; regimental è invece un codice intramontabile, modernissimo e bello, anche per i giovani .Ma vi chiederete: come mai questa nuova apologia del grigio? Ebbene, proprio perché ho notato che c'è sempre più confusione , ultimamente , nella ricerca dell'eleganza: pochi semplici passi aiutano a sciogliere i nodi delle scelte.
Striped Greetings
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-06-2008
Cod. di rif: 3837
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Grigio giovane
Commenti:
Dear Mister Lamanna,
le rispondo per ora brevemente ringraziandola per l'attenzione con la quale ha letto la ia lavagna.Con essa io intendevo a tutti gli effetti rilanciare il grigio anche tra i giovani, e senza alcuna ironia.
Per altro la Sua osservazione è assai pertinente. E' naturale, le differenze cromatiche tra colorito e colorito, tra incarnato e incarnato, sono proprio quelle che rendono più difficili gli accostamenti; ora, è evidente che io dovei vederla per poterLe dare dei consigli oculati e assennati, adatti alla sua persona e, anzi piuttosto, alla sua personalità, al fine di valorizzare e dare, come lei giustamente dice, luce alla persona, caratteristica di ogni abito che si rispetti; non potendo fare ciò, Le dico per il momento che un certo grigio antracite , quindi non chiaro, dona molto comunque, se indossato poi con camicia azzurra e adeguata cravatta.
Non pensi dunque a un'unica tipologia di grigio. Il grigio valorizza più di quanto non si pensi l'aspetto giovanile, proprio perché è abbastanza neutro e si abbina bene a molti altri colori delle camicie, delle cravatte, dei colletti. Quindi non si scoraggi affatto, anzi prvi a indossare grigi e azzurri delle camicie abbinati, fino a che non avrà trovato la tonalità che Le piace e che meglio si adatta al colore della sua carnagione.
Non sarà difficile, poiché Lei è giovane, fortuna sua.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 10-06-2008
Cod. di rif: 3842
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Ringraziamenti
Commenti:
Nobile Venanzio D’Agostino,

la Sua Cavalleria mi onora e mi meraviglia. Non è da tutti rispettare i ruoli in modo così attento; lungi da me l’offendermi o simili,mai con Lei, e comunque la ringrazio per la continua attenzione.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 13-06-2008
Cod. di rif: 3857
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Accostamenti: risposta al Nobile Paolo Tarulli
Commenti:
Egregio Paolo Tarulli,
replico volentieri al Suo gesso 3851, che per la verità mi meraviglia e mi sorprende nei toni, più che nei contenuti. La soggettività gioca infatti un ruolo importantissimo in ambiti di scelte e gusto, a dispetto, a volte, delle regole e dei canoni convenuti, che sono sempre apprezzati e guide preziose. I suoi toni mi paiono per la verità severi oltre misura.
Quando ammiro con entusiasmo gli accostamenti dei membri della Casa Reale Inglese lo faccio in effetti a ragion veduta.
Ciò che Lei giudica normale è in verità ai miei occhi qualche cosda di speciale, con un tono apprezzabile di understatement.
Ciò che a Lei pare molto scontato io credo che in verità per molte persone, certamente meno attente di Lei nella scelta dei capi e nei relativi accostamenti, non lo sia altrettanto. Credo infatti che tanti di noi abbiano bisogno di guide semplici e chiare. Pochi e semplici passi per non sbagliare.
E' vero che quadri e stripes da molti sono condiderati out of rule, ma proprio in questo in effetti si contraddistingue il British Style.
Mi pareva di avere anticipato quanto Lei effettivamenteb apostrofa , con le sue osservazioni.
Io non credo che sia esagerato apprezzare questo osare britannico; ma lungi da me il violare la legge del libero arbitrio.Io sono sempre stato e contiuo ad essere un pervicace sostenitore del concetto British di eleganza, quell'insieme di classico e di bizzarro che scombina sovente le regole estetiche.
Mi permetto anche di farle notare un'altra cosa: magari fosse così normale , come Lei dice, un accostamento come quello che facevo notare nel taccuino del Principe William.
Le confesso che non sono tante le persone, ma forse Lei è più fortunato di me in questo, che mi capita di incontrare nella quotidianità , vestite così normalmente. Magari!
Apprezzo in ogni caso la Sua sincerità; la lavagna Cavalleresca è la sede del dialogo, a volte anche della diatriba accesa, meno però quello dei toni polemici.
Penso che anche il concetto di "normalità" sia importante da analizzare e per questo il Suo contributo è stato e sarà prezioso.
Continueremo il nostro Cavalleresco scambio di punti vista e mi auguro che altri Cavalieri e visitatori vorranno partecipare alle nostre cavalcate culturali.
Cavallerescamente
Il Rettore
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 05-07-2008
Cod. di rif: 3873
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tradizione italiana:primi appunti
Commenti:
Tradizione italiana: popolo e sovranità

L’evento di Ascot, l’appuntamento reale che dall’Inghilterra approda ai lidi del nostro bel paese per farci sognare di una eleganza esclusiva dalla quale attingere, ha dato esito ad alcuni interessanti interventi sulle nostre lavagne.
Ammetto che il Gran Maestro ha fatto una delle sue più dotte digressioni sul concetto di Folklore e tradizione, di nobiltà inglese e tradizione popolare italiana. Mi sia consentito fare alcune osservazioni e scrivere di getto alcuni appunti.
E’ pur vero che il nostro popolo non ha la storia della nobiltà europea, che nei secolo si è poi concretizzata in sovranità illuminata.
Sono stati tanti i passaggi della storia attraverso i quali la sovranità assoluta si è trasformata prima in governo illuminato e poi in moderna forma dello stato.
La nostra storia è diversa; molti secoli in più rispetto agli altri paesi d’Europa sono occorsi prima che il nostro paese raggiungesse la propria unità e sovranità nazionale.
Ora, a proposito di nobiltà e tradizione unite a regalità, l’Italia non si è fatta portatrice di alcun modello: la nostra casa reale non è mai stata un esempio di governo liberale efficiente; in varie epoche della storia contemporanea i nostri Re sono stati più dì impaccio che di aiuto.
E quindi, nessuna tradizione da imitare, nessuna manifestazione culturale e sportiva da esempio per il resto d’Europa, alcun modello di eleganza da imitare, almeno fino alla metà del XX secolo.
E dunque lasciamo volentieri Ascot agli inglesi e accettiamo il fatto che l’eleganza contemporanea sia nata in Italia alla metà degli anni ’50. Ma le cose stanno davvero solo così?
Mi sorge in proposito qualche dubbio.
Come dice il Gran Maestro è vero che sovente l’aspetto antropologico prevale su tutto e l’appariscente Italia della commedia dell’arte ha la meglio sugli altri aspetti culturali della nostra tradizione.
Vorrei però ricordare, o Cavalieri erranti e istituzionali, che l’Italia è il paese della rinascita delle arti e delle lettere, nonché la patria della politica rinascimentale. E’ il paese dei drappi e delle sete, degli architetti e dei musicisti, dei poeti che fecero della vita un’opera completa. La nostra nobiltà è stata spesso sinonimo di corruzione, è stata anche frammentata e debole, ma a volte forte ed esemplare nella elaborazione delle teorie politiche.
Parliamo d alcuni secoli fa, ma lo stile dell’Italia rinascimentale ha lasciato il segno in molte delle discendenze, ed è per questo che vorrei spezzare una lancia favore della tradizione italica , dalla quale abbiamo attinto modelli imperituri di stile e di eleganza.
Il lascito fiorentino, veneto o napoletano è grande, nella moda , nel costume e nei modi. Se oggi indossiamo gilet lo dobbiamo anche al costume settecentesco di Maria Teresa d’Austria.
Abitudini settecentesche che dopo Napoleone hanno dato impronte indelebili alla moda europea dei due secoli seguenti.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 13-07-2008
Cod. di rif: 3875
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rinascimento e Umanesimo
Commenti:
Nobile Cavaliere Lorenzo Villa,

replico volentieri alla lavagna nella quale emergono le riflessioni sulle tendenze italiane nei confroni delle usanze straniere.
Ammiro i pensieri e i concetti, anche se in realtà non mi trovo con essi del tutto d'accordo.
In effetti, Umanesimo e Rinascimento, che occupano tanta parte delle arti e delle lettere dell'Età Moderna, sono stati fenomeni coevi e importantissimi, in parte autonomi dalle culture dell'Europa, in parte ad esse strettamente legati, e che hanno , invece, influenzato moltissimo paesi a noi vicini, così come culture lontane. Per questa enorme creatività noi Italiani siamo sempre stati famosi nel mondo.
E' vero poi gli italiani con quella sorta di deferenza che li contraddistingue, hanno sempre mutuato il meglio dagli altri paesi.

Credo pertanto che anche nell'abbigliamento, che ormai di aristocratico non ha quasi più nulla, l'Italia abbia dettato legge nell'Età Moderna, per poi assimilare e rielaborare molti altri spunti, provenienti dalle più varie parti: Inghilterra, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Stati Uniti d'America e infine , paesi orientali e medio- orientali.
Il nostro eclettismo è bello in sé, la staticità non è mai una buona cosa, perché è segno di mancanza di ritmo e di armonia nei confronti di tutto ciò che di bello c'è nella vita.
Incoraggio su questo nuove rflesssioni e altri contributi.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 06-10-2008
Cod. di rif: 3904
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dress Code:What's British inside us.
Commenti:
DRESS CODE: quanto di British c’ è in ognuno di noi
Consapevolezza e inconsapevolezza.


Onorati Cavalieri e avventurosi lettori,

Non tutti siamo consapevoli di quanto di Inglese è rimasto dentro di noi, nonostante le rotture dirompenti degli stilisti del centro Europa e dell’Italia negli anni 80 del Novecento e in seguito.
Molto di più di quanto non pensiamo.
Ad esempio: la giacca, da giorno e da business, , la giacca con le spalle di nuovo dimensionate, l’amore per il vestito di colore unito, ma allo stesso tempo l’amore per lo spezzato sportivo: tutto parla inglese, ai nostri tempi, tutto, ma con un tocco di italiano e di francese.
L’argomentazione sui capi spalla, fatta in modi vari e interessanti, durante la bella e illuminante sessione del Dress code, nella giornata gloriosa bolognese del 20 settembre ultimo scorso, ha chiarito tanti dubbi.
E’ bello lasciarsi cullare sull’onda del classico inglese e del moderno British.
Gioco di parole ? Ma no, è solo un gioco sottile di concetti.
Ho qualche idea in proposito, soprattutto osservando come si vestono, negli ultimi tempi, i rampolli della Casa Reale inglese.
Tessuti grigio blu finemente pettinati, con molta moderazione negli accostamenti.
In tempi di crisi, la moderazione è di buon gusto, obbligatoria e conveniente.

La moda deve essere cambiata, oggi.
Penso che sia tempo di una svolta: aggiungere moderazione, credo sia giusto.
Pertanto meglio un bel tessuto , molto bello, e poco stravagante, piuttosto che varie scelte,tanto guardaroba, molte frivolezze, a volte belle, ma adatte a pochi.
Lavoriamo e riflettiamo , su questo concetto.
La crisi finanziaria di questi giorni mi ha fatto ripensare a quella storica crisi della Borsa, che tanta influenza ebbe, come dicemmo due settimane fa, sulla moda degli anni 30.
Cavallerescamente
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-11-2008
Cod. di rif: 3919
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: ANNI '50 FOREVER
Commenti:
Non sono mai passati di moda gli anni 50; crediamo che la moda e gli stili siano di anno in anno rivoluzionati dal mercato e dagli stilisti, ma , a parte alcune modifiche che ingannano l’occhio inesperto, il grande passaggio e la vera rivoluzione del vestire maschile non ha mai lasciato il passo ad ulteriori altrettante significative modifiche; ad esempio il pantalone stretto e non più largo come negli anni ’30 e ’40, non è mai stato più allargato; sono state apportate delle modifiche, ma l’uomo moderno ha privilegiato la praticità e l’essenzialità adatte al lavoro.
Quando alla fine degli anni ’50 scoppiò il successo di attori quali Glenn Ford, che spopolava sugli schermi di Stati uniti ed Europa, questo fatto avvenne in queste proporzioni e dimensioni perché? Perché la gente comune si identificava con quel modello di uomo: lavoratore, professionista, in un certo senso abbastanza comune.
Il processo di identificazione era tuttavia reale: tutti negli anni ’50 pensavano a lavorare e ricostruire l’Occidente uscito distrutto da due guerre mondiali, e la nuova moda era anche l’ideale positivo della ricostruzione, quello che faceva rinascere la speranza di potere vivere serenamente e con un certo benessere dopo anni e anni di distruzioni e di miserie.La camicia bianca era sinonimo di positività, pulizia e semplicità oltre che di una certa eleganza.
E con la camicia bianca nasce anche l’ideologia della tecnologia e della produzione industriale in larga scala.
Elettrodomestici a iosa. Sembra un gioco , ma non lo è, il ferro da stiro fu uno degli elettrodomestici più venduti in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.
Tutti desiderano avere il ferro da stiro la lavabiancheria, il frigorifero.
L’uomo dalla camicia bianca e dal bel pantalone grigio di lana pettinata è sinonimo di rettitudine e correttezza professionale: l’apparenza inganna , ma non sempre.
Lavoro e produzione, attività manageriali in genere sono alla base della ricostruzione degli anni ’50, quella produttività contro la quale si scatenerà poi la contestazione giovanile degli anni ’60.
Riflettiamo sull'introduzione i larga scala sul mercato delle lane pettinate, soprattutto il grigio, nel disegno del principe di Galles ma anche puntinato e canna di fucile.
Una novità.
Il colore solo nell'abbigliamento sportivo.
Una nuova filosofia di vita.
Friendly Knightly and with a modern touch
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-11-2008
Cod. di rif: 3922
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Royal Elegance
Commenti:
Diamanti, Blu e nero: potere e sentimento nel connubio con l’eleganza.

Diamante è la brillantezza ma anche la freddezza. Con il blu lo possiamo riscaldare?
No, nemmeno con il blu l’arido diamante potrà essere riscaldato, a meno che al diamante non si unisca l’orgoglio di un sorriso.
Quando sorride, l’uomo lo fa per sé la donna per l’uomo.
Le donne attirano la conveniente attenzione del cavaliere con il sorriso e con le gioie.
Nella storia dell’eleganza maschile e femminile, la donna è sempre stata raffigurata con monili e gioielli, fin dai tempi più remoti, e d’altra parte l’uomo e la sua eleganza sono sempre stati abbinati al potere, potere politico ed economico, potere culturale, ma negli ultimi decenni qualcosa è cambiato.
Il potere è ancora quasi sempre prerogativa maschile, con alcune eccezioni, si intende, ma la bellezza è ancora patrimonio del mondo femminile.
Diamante e lucentezza : un binomio inscindibile. Lucentezza e semplicità.
In un mondo sull’orlo della recessione, è ancora possibile parlare di diamanti e semplicità? O non è questo piuttosto un punto di vista eccessivamente aristocratico?
Noi, in queste lavagne, facciamo spesso della filosofia e le questioni legate all’arte a volte si discostano, ma solo momentaneamente, dal mondo reale della quotidianità.
Ma il concetto di arte e di eleganza è un concetto che va spesso adattato alle circostanze.
Questa riflessione è nata sull’onda di un senso estetico che non può fare a meno di osservare con occhio disincantato anche quel mondo ancora oggi esistente, che è il mondo del potere , del danaro e delle grandi ricchezze, patrimonio di pochi.
Questo preambolo per parlare di quanto, ancora oggi, la vera eleganza sia ancora nella semplicità e nella luminosità, di un diamante è la semplicità, di un diamante la lucentezza, del blu e del nero per l’uomo il simbolo dell’eleganza serale, mentre il potere è ancora abbinato alle uniformi militari. E ancora vorrei giustificare questa mia digressione con quel desiderio e quella curiosità che mi contraddistinguono per un evento che ha suscitato in me il desiderio di fare queste brevi considerazioni e che è il seguente:
In questi giorni i reali di tutta Europa fanno amicizia a Londra: a Buckingham Palace si festeggiano infatti oggi i 60 anni di Carlo d’Inghilterra e la sua sposa ha preparato per lui una festa con 600 invitati e 60 pacchi dono, uno per ogni anno della vita del marito. Fatto un tantino kitch. Non lo si può negare, ma osservando le prime foto dell’evento mondano ho notato quanto ancora sfarzose siano le abitudini di molte persone. Forse qui la parola semplicità non è di casa. Forse avremmo preferito un maggiore understatement e una maggiore discrezione, ma , dal momento che ciò non è stato , ecco allora che l’occhio cade sui saloni di Buckingham e sull’eleganza dei signori e delle signore, mi scusino le signore se le nomino per seconde. Qui, nella lavagna dell’abbigliamento, di solito parliamo di eleganza maschile,
E allora oro e rosso, nero e oro, per l’occasione della festa, e se andate a scrutare le gioie delle dame ? Tutti diamanti, solo diamanti, o diamanti e perle. E per i colori: malva, rosso, azzurro, ciclamino e forse un po’ di nero.
Nulla a che fare con lo sfarzo dello spettacolo e del mondo delle scene. E per gli uomini? Nero, nero e solo nero, nero smoking per giovani e anziani, camicie nivee e farfalle lucide.
Che dire? Se vogliamo essere eleganti imitiamo un po’ questi signori, abbiamo sempre tanto da imparare.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 09-12-2008
Cod. di rif: 3936
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Coerenza ed eleganza
Commenti:
Coerenza ed eleganza

Eleganza e coerenza, scelta intelligente ed equilibrio tra le molteplici possibilità offerte all’uomo nell’atto del vestire,
Abbiamo detto in varie occasioni che eleganza è sinonimo di intelligenza, poiché per vestire bene è necessario scegliere bene, eleggere il capo che meglio si adatta alla nostra personalità, al nostro corpo e alla nostra anima.
Ecco allora che una nuova unione può crearsi sulla base di questa elezione, quella tra eleganza e coerenza. Nella lingua latina cohaerere vuol dire stare insieme, essere unito, coesistere.
Se applichiamo questo concetto a tutti quei pensieri che abbiamo sempre espresso a proposito delle scelta, della selezione dei capi che a ciascuno di noi meglio si adattano, ecco il sommario del concetto: la coerenza, in termini di scelta dell’abbigliamento, consiste nella coesistenza armoniosa e nello stare insieme di pensiero e forma, forma e sostanza: semplicità di pensiero: semplicità di vestire, estrosità di pensiero: estrosità di vestire. Eleganza è sempre sinonimo di scelta, e l’eleganza si sposa con l’intelligenza, ossia con la comprensione.
L’eleganza innata di alcune persone, non è necessariamente abbinata al concetto di cultura o di status quo sociale: persone umili sono sovente più eleganti di tante persone facoltose ma poco sensibili nei confronti della realtà che li circonda e contemporaneamente sono anche incapaci di fare una scelta intelligente dei capi che meglio si adattano alla loro persona: la coerenza manca, è assente, proprio perché il danaro separato, non coeso dalla propria personalità, abbina le cose e gli oggetti senza la comprensione della loro adattabilità.

La coerenza è accettazione della propria personalità e armoniosa convivenza con essa.
E’ per questo spesso la nostra società è così volgare: perché qualcuno ha fatto intravvedere ai più il miraggio del benessere abbinato al possesso, senza calcolare che la comprensione dei fatti è fondamentale per essere coerenti con la realtà nella quale viviamo.

Knightly Greetings
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 31-12-2008
Cod. di rif: 3948
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Cavallereschi Auguri Di Buona prosperità per un Valoroso 200
Commenti:
E’ con vero piacere che leggo le ultime pagine di queste nostre lavagne, nelle quali visitatori nuovi e meno nuovi ruotano intorno ai concetti che da anni andiamo analizzando e percepisco un nuovo interesse e una nuova meraviglia per le nostre riflessioni.
Il Gran Maestro poi ha riportato alla luce concetti idee e teorie dell’arte e del vestire che da tempo non si trattavano nel nostro sito.
Il futurismo ,come tutte le Avanguardie , osò molto e creò molto e i concetti sul colore e sulla leggerezza dei tessuti, forieri di una nuova vigoria del corpo, sono apprezzabili e si inseriscono nelle precedenti riflessioni intorno alla moda anni ’50, che non molto tempo fa avevo proposto, quale rivisitazione dei nostri tempi alla luce delle nuoce abitudini e dei buoni costumi, consigliabili n tempi di crisi come questo.
I colori futuristi furono allora una rottura con grigie con i neri di quell ’epoca buia, ma oggi la storia è diversa, se di novità si può parlare, in realtà non dobbiamo rompere con il passato, bensì adattarci ai nuovi tempi.
Con il XX secolo la moda occidentale ha attraversato tutte le fasi : grigio e nero di inizio secolo, colori avanguardisti, tessuti pesanti dell’immediato secondo dopoguerra e poi :cambiamenti e rivoluzioni, coincidenti con le grandi modificazioni del modo di produzione in larga scala e del mercato.
Dicemmo poche settimane fa, il 9 dicembre 2008 che la coerenza va a passo con la capacità di scegliere.
Ora , nei nostri tempi spesso violenti, la parola semplicità dovrebbe apparire molto spesso nei nostri guardaroba. Lo sfoggio non è mai stato così tanto di cattivo gusto come ora. Questo non significa abbandono dell’eleganza: tutt’altro, significa però scegliere sempre più con intelligenza quali capi indossare e perché.
Intanto riflettiamo su di un nuovo anno, il 2009, che Auguro a Tutti, ma veramente tutti, Gran Maestro, Cavalieri, visitatori e Lettori, foriero di buone e belle cose, nutrite di perle di saggezza e di buona validità del corpo e della mente , in attesa di una nuova bellissima e ricca stagione, fortunata per noi tutti e immersa nella pace.
Un Cavalleresco e Nobile Augurio di Prosperità e Buona Fortuna per tempi Felici e che molti nuovi Cavalieri si uniscano alle nostre cavalcate!
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 04-01-2009
Cod. di rif: 3949
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tartan Royal Stewart
Commenti:
Questo tradizionale tartan, risalente al 1700, e indossato sia dalla famiglia reale inglese che da molti ordini militari dell’esercito britannico, ci aiuta a continuare il discorso sul tartan, in un contesto di riflessione sulla scelta nella tradizione.
Non indossiamo il Tartan colorati quotidianamente, ma molti invece sono i quadri che amiamo indossare sovente.
La giacca scozzese a tinte tenui, verde, marrone, beige, ocra chiara, leggero azzurro, sono un capo tradizionale, che indossato su pantaloni sportivi rendono elegante l’abbigliamento di tutti i giorni.
Tradizione? Semplicità? Italianità o British Style? Coerenza uguale scelta intelligente.
Gli inglesi sono i soli maestri dell’eleganza? No, non solo, anche gli Italiani hanno dato un gran bell’esempio di eleganza e capacità di adattamento alle situazioni.
Abbiamo parlato di recente di coerenza ed eleganza.
Il tartan Royal Stewart è a nostro avviso il punto di congiunzione tra innovazione e tradizione.
Quindi è il simbolo della capacità di scelta, in un difficile percorso di rinnovamento della moda.
Nato nel 700 e, come abbiamo già ricordato, assurto a simbolo della monarchia inglese insieme con altre icone, quali la Bandiera , i leoni, le strisce dei Dragoons, fu rilanciato alla metà degli anni '70 del 900 dal grande cantante rock Rod Stewart, che lo indossa spesso nelle occasioni ufficiali, anche in forma di kilt.
E' un esempio di come un capo molto tradizionale e folk possa mantenere una valenza attuale.
Oggi il metodo è lo stesso, quello che è bene seguire quando dobbiamo di necessità modificare le nostre abitudini. Il che significa che, se è evidente che noi non si possa vestire con un Royal Stewart, tuttavia possiamo continuare con disinvoltura ad indossare bei tessuti scozzesi classici senza timore di passare di moda.
Abitudini da cambiare e tradizioni da mantenere.
Filosofia innovativa? no, intelligente adattamento ai tempi.
Traditionally changing
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 21-01-2009
Cod. di rif: 3955
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: La storia: al di là dell'Oceano
Commenti:
Al di là dell’Oceano e in tutto il mondo, oggi la storia segna una svolta epocale: la fine dell’era Bush dà inizio all’era Obama.
Nel sito siamo sempre stati attenti osservatori delle cose del mondo e oggi il Cavaliere non è da meno. Al là delle ideologie, dei colori e delle idee, oggi è un giorno importante.
IL Cavaliere lotta per l’onestà , la lealtà e la fedeltà.
Il Gran Maestro ha moltissime volte ricordato il valore delle scelte, del metodo e della coerenza.
Oggi il mondo osserva il cambio della guardia.

Noi continuiamo con umiltà nel nostro lavoro di riflessione e di studio.

La storia ci ha insegnato a percorrere sentieri di dibattito culturale, nei campi a noi consentiti.
Credo che molto avremo da studiare e da creare, nel sito Cavalleresco.
L’invito a riflette sui passaggi della storia porterà certamente buone idee anche per la nostra nazione Cavalleresca.
Cavallerescamente
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 27-01-2009
Cod. di rif: 3958
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Classico internazionale americano: una conferma, non una nov
Commenti:
Classico Internazionale americano: non una novità, ma una conferma
Lusingato dalle parole del Gran Maestro, lo ringrazio per l’attenzione con la quale non solo ha letto le mie parole, ma anche ha voluto interpretare i significati understated di alcune lavagne e taccuini, facendo davvero centro .
Le sue osservazione sul Royal Tartan mi hanno commosso, poiché temevo che non venisse colto il senso profondo di quell ‘usato disegno.
Ed ecco alcune riflessioni su un argomento non del tutto esaurito: Il Classico Internazionale, che nella sua elaborazione americana ha trovato in questi giorni la sua conferma, risvegliando i popoli del buon gusto con una nuova ventata di freschezza stilistica.
Non è certamente la prima volta che nei nostri taccuini parliamo di classico internazionale; non altrettanto spesso è stato affrontato e volto il tema del classico internazionale americano.
Ne parlammo ai tempi delle eredità degli anni '50, che il mondo americano aveva ereditato negli anni '50 dall'Europa aveva poi rivisitato con una certa originalità.
Ora, con Barack Obama, non è che si apra una porta sul mondo della novità, perché da sempre la oda americana ha rivisitato a modo suo quello che noi chiamammo e continuiamo a chiamare il classico internazionale.

Ora come non mai è chiara la differenza tra la moda British classic e la International American Classic.
Le nostre antenne sono sempre vigili e per questo vogliamo chiarire e studiare le scelte e le mode di nostri fratelli degli Stati Uniti d'America.
A noi interessa la cultura e queste osservazioni rientrano nelle nostre ricerche di cultura e di costume.
gli Americani hanno sempre amato, più degli inglesi, ad esempio, la camicia bianca, la cravatta un po' sgargiante, il nero e il blu scuro , anch'essi un po'' cangianti, dato , il cangiante, dai pettinati preziosi.
Una essenzialità molto moderna adagiata su tessuti pregiati.
Questo è solo un accenno, a ricordar che troppo spesso noi italiani ed Europei, ma di più noi Italiani, non riflettiamo su diversi tipi di eleganza e tentiamo di stare avvinghiati come paguri al guscio rassicurante di un pur sempre intramontabile British Style.
Mister President e la moglie, Lady Michelle, stanno dando esempio di grandissima classe, al passo con i tempi , e su questo mi propongo di riflettere assai nei giorni a venire,

God bless our souls.
Cavallerescamente
Dante De Paz




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-02-2009
Cod. di rif: 3984
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Correnti e Dress Code: fluire e defluire
Commenti:
Nobile Gran Maestro, Egregio Signor Masci,

sento entusiasta e coinvolto nella elaborazione di questo pensiero sul metodo. Così come ancora una volta il Gran Maestro ha chiarito, da tempo, da anni ormai in queste lavagne, abbiamo dibattuto la morte e la rinascita di mode e fogge, ma le mode sono, come si sa, correnti, e come le correnti artistiche nulla muore e nulla si perde del tutto, .definitivamente, questo non avviene mai, come dice la parola stessa, “corrente”, che corre e quindi tutt’al più scorre, per poi confluire nel mare del rinnovamento e della ripresa.

Correre, scorrere: moda e gusti, un andirivieni gradevole e vitale. Dress code come guida delle insicurezze, ma per questo non ci dobbiamo preoccupare: infatti che c’è di meglio che lasciare spazio alla libera creatività, che può poi essere ricondotta su binari più sicuri?
Quando, alla fine dell’800 si parlò della fine di un’epoca, l’epoca delle certezze, che avrebbero lasciato posto a tante incertezze, così anche oggi assistiamo ad alcuni sbandamenti nelle scelte di gusto e di vestire e per questo dibattiamo spesso sul Classico, e ancora sulla sua morte oppure sulla sua persistente vitalità.
I fiumi confluiscono in altri fiumi o in laghi oppure sfociano nel mare.
Allo stesso modo le correnti vitali della moda lasciano il posto a molti affluenti, che portano acqua nel grande mare del gusto.
L’importante è non prendere il largo quando il mare è troppo mosso , per non correre il rischio di naufragare nella tempesta dell’incertezza o delle scelte sbagliate.
Buona navigazione
Happy journey on the sea
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-03-2009
Cod. di rif: 3993
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: A proposito di eleganza
Commenti:
Nobili Lettori,
mi associo volentieri alla bella riflessione del Cavaliere Longo, a proposito dell’eleganza del Principe Carlo e delle differenze tra Carlo e Obama.
Al di là delle graduatorie che vengono riportate dal cavaliere a proposito dell’eleganza maschile e del relativo sondaggio della rivista Esquire, in base al quale pare che l’uomo più elegante al mondo sia HRH il Principe Carlo d’Inghilterra, vorrei continuare , seppur in modo sintetico, la bella dissertazione del nobile Longo.
Le osservazioni su Carlo sono quanto mai pertinenti, soprattutto quella che sottolineare il fatto che al di là dell’eleganza di Charles non vi è nulla, nel senso che essa è veramente innata, del tutto finr a sé stesa, non mira a raggiungere obiettivi particolari, essendo l’uomo assai di potere, per lo meno autorevole d esponente di una categorie di persone che hanno l’eleganza nel sangue.
Quindi a parola chiave del Principe Carlo potrebbe essere naturalezza, innata creatività nel vestire, tradizione .
Io credo tuttavia che sia giusto mettere ancora n evidenza il fatto che Obama è il rappresentante di una eleganza americana, che sì, certamente è meno appariscente, nella sua semplice perfezione, di quella inglese, la capostipite di tutte le successive forme di eleganza.
Giusto dire che Obama è il rappresentante di un’eleganza soft e altrettanto giusto però dire che l’America ha una sua storia, anche in fatto di eleganza, che i suoi ritmi di vita sono stati, da un certo punto in avanti, molto più veloci di quelli del vecchio continente e che la semplicità dell’eleganza americana , la vera eleganza americana, quella che è assurta al trono di classico americano,, si è sempre dovuta confrontare con un concetto, un valore e un ruolo, quello di Stato più potente del mondo e quindi anche di uomo più potente del mondo.
Mi capita oggi di leggere un interessantissimo articolo di Ugo Volli sulla repubblica delle donne, nel quale lo scrittore e saggista parla del concetto di eleganza in termini rigorosi e simili a quelli che spesso sono stati adottati nelle nostre lavagne. Eleganza come scelta e capacità, in base alla scelta , di trovare il modo giusto e adatto per presentaci al mondo nella nostra immagine pubblica.
La vera eleganza ha per forza delle costrizioni, dei canoni, ai quali a volte è possibile e consentito trasgredire, ma solo quando detti canoni sono state conosciuti.
Non si può infatti trasgredire alle regole se non si conoscono le medesime.
Una delle osservazioni più interessanti di Volli riguarda il nostro cambiamento, il fatto che oggi siamo irrimediabilmente cambiati, e che tutto ciò che nacque e fiorì nel XX secolo, i favolosi anni della semplicità chic, gli anni ’60, sono così passati che noi li possiamo guardare , vivere e scegliere solo come revival. E dunque rimpiangiamo qualcosa di quella bella eleganza che ci ha tanto coinvolti nel Novecento? Sì, certo,abbiamo dei rimpianti, ma la nostra maggior e difficoltà oggi ad essere eleganti davvero, la nostra timidezza nelle scelte, il nostro continuo bisogno di conferme, non derivano forse dal questo radicale cambiamento? Sì, ma non possiamo far tornare indietro la storia, e allora? A quale conclusione portano tutte queste considerazioni? Al fatto che dobbiamo accettare il cambiamento, tenere presente che Carlo appartiene pur sempre ad una “casta “ privilegiata, che forse in misura assai minore di altre classi e caste ha percepito il radicale cambiamento di questo duro XXI secolo, greve a volte rozzo, e che Obama incarna la semplicità di uomo più potente del mondo.
E ancora , la scelta dell’abbigliamento, rappresenta anche il controllo del corpo, il controllo delle forme e dei colori, la ricerca del giusto. Giusto e gusto.
La riflessione di Volli è molto profonda: parte dall’etimologia del termine e arriva al contenuto di una forma ,.
Pertanto alla domanda e al dubbiose sia più elegante Carlo o se lo sia Obama, noi rispondiamo che lo sono entrambi, proprio perché entrambi sanno scegliere, sono in grado di presentarsi al mondo pubblicamente nel loro “vestito”.

With a knightly love for choice
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-04-2009
Cod. di rif: 4026
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Donegal Tweed
Commenti:
Sono riprese ultimamente le riflessioni sui tessuti classici inglesi, irlandesi, tradizionali, sportivi; sono di nuovo apparsi dubbi e anche richieste sulle metodiche e sulle tipologie delle tessiture e delle combinazioni dei colori.
Ricordo che un po' di tempo fa scambiammo , con alcuni cavalieri, opinioni e pensieri su alcuni tessuti intramontabili e sella loro storia.
Uno di questi è il Donegal Tweed.
Ripropongo le riflessioni di allora, con alcune modifiche, per rilanciare la genealogia delle tessiture storiche delle Isole Britanniche.
Uno volta sancite e istituzionalizzate, dobbiamo ammettere che esse non hanno poi subito grandi modificazioni, soprattutto nei colori , non tanto nelle tecniche, che col tempo invece migliorano e si velocizzano.
All'Ardara Heritage Centre possiamo conoscere tutto quanto vi è di conoscibile sull'antica arte della tessitura nella Contea di Donegal, nel Nord Ovest dell'Irlanda..
Questa abilità è tradizione nel paese da centinaia di anni e , come dice Mr. Colm Sweeney, " Comprare un filo di Donegal tweed non è acquistare un semplice filo di lana , ma un pezzo di storia di Irlanda.
Mr. Sweeney ha imparato a filare a 13 anni, dalle mani e nell'azienda di suo padre, il quale a sua volta aveva imparato da suo padre e così via per generazioni.
Il bisnonno allevava pecore per la lana e l'arte del telaio a mano era più o meno simile a quanto si narra nella Bibbia.
Prima dell'invenzione del telaio meccanico le operazioni sono rimaste intatte per secoli.
Quindi quando indossiamo una giacca di Donegal indossiamo un capo biblico.
Donegal Tweed.

Il Donegal è poetico in quanto poetica è la stessa verde Irlanda, che con la sua malinconica brughiera ha ispirato alcune delle pagine più belle della letteratura europea contemporanea,ma anche con le sue fumose cittadelle operaie e manifatturiere.
Quando James Joyce scrisse “Gente di Dublino”, non pensava al Donegal Tweed, ma noi vogliamo leggere anche le pagine dell'artigianato e viaggiare un po' nei meandri della storia dell'antica terra dei Danesi.

Nel Donegal tweed c’è un pezzo di storia d'Irlanda.
Questo tweed ha affascinato milioni di persone in Europa e nel mondo, con il suo classico puntino, che ha fatto desiderare a molti uomini una giacca sportiva dal tocco intramontabile.

E ' nella Contea di Donegal, Ulster, che dobbiamo rintracciare il fascino di questo tessuto del quale esistono tuttora antiche manifatture. Non solo in grigio, lo si può trovare anche nei toni del marrone e del tortora. Nella stessa cittadina di Donegal i fabbricanti sono rinomati in tutto il mondo.
Resti dell'antica dominazione danese e di quella , ancor più antica, romana, Donegal è antica in tutti i sensi , ma noi ne assaporiamo il profumo tessile nelle giacche che portiamo.
Intorno alla cittadina di Donegal possiamo vedere testimonianze risalenti alla preistoria : resti di fortini e altre costruzioni in pietra.
Vi sono anche resti dell’antica dominazione danese, che pare abbia dato il nome alla cittadina e alla contea. La stessa cittadina di Donegal è famosa per essere stata la patria del clan degli O’ Donnel, che hanno rappresentato la maggiore opposizione degli Irlandesi alla colonizzazione dell’Inghilterra.

Nella cittadina è conservato il Castello di Donegal, un’antica abbazia francescana, che risale al XVI secolo. Il Castello e l’abbazia vennero poi ceduti al Capitano inglese Brooke, che si occupò di tutti i lavori di restauro e di ricostruzione.
L’impresa più importante della cittadina di Donegal è quella di una nota famiglia di imprenditori che hanno avuto per molto tempo il monopolio del fabbricazione dell’abbigliamento di tweed, del quale ancora oggi si possono vedere alcune importanti lavorazioni fatte a mano. La manifattura del tweed ha avuto qui la sua storia importante, anche se, come è noto a tutti, l’Irlanda ha spesso attraversato profonde crisi economiche.
Il donegal tweed viene ancora prodotto in quantità, ma la stessa grande famiglia ne detiene quasi il monopolio dal 1800.
Sulla lavorazione esistono varie teorie e pratiche, sulle cui caratteristiche incoraggio i più esperti a intervenire , non trascurando la specificità del tweed in quanto tale, indipendentemente dalla regione irlandese dalla proviene il classico elegante puntinato.
Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 14-10-2009
Cod. di rif: 4185
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Rispondo alla Lavagna N. del
Commenti:
Rispondo alla lavagna numero 4180 del Cavaliere Villa, in merito al paletot Ulster navy blu.L'ideale per seguire una regola originale, nel senso di come nasce, sarebbe bene un tessuto melton, quindi un panno rigido di 25/30 once; ma questo limiterebbe senz'altro la portabilità del capo, dato che gli inverni di oggi sono meno rigidi di quelli di un tempo.
Ci si può quindi sbizzarrire con tessuti più leggeri e anche più morbidi; l'importante è che il modello sia originale, con le caratteristiche militari, che abbiamo più volte citato.
Per il modello , ricordo che volendo, sono inseriti i taccuini N. 926 e 928 del 14/08/2004 e N.2198 e 2199 del del 18/12/2005, nei quali si possono osservare le linee originali del davanti e del dietro del classico Ulster.
Qualche noticina utile si trova poi nella lavagna N.2262, del 18/12/2005.
Cavallerescamente
Il Rettore
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 21-10-2009
Cod. di rif: 4188
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: bottone Ulster
Commenti:
In risposta ala Cavaliere Villa, confermo che il bottone sotto il bavero dell'ULSTER cela il dopio uso.
Grazie cavallerescamente per i complmenti.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 02-02-2010
Cod. di rif: 4263
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Morte del classico?
Commenti:
E' con onore che intervengo, in qualità di Rettore della Porta dell'Abbigliamento , in merito all'importante dibattito sulla morte del classico, così magistralmente aperto dal Cavaliere Masci, nella sua lavagna del 28/01/2010.
E' questo un argomento davvero affascinante e fondante del pensiero relativo all'etica dell'abbigliamento e alla storia del costume in generale.
Ora vorrei dire brevemente ciò che penso in merito, riassumendo i punti centrali del mio pensiero e soffermandomi sui concetti sui quali mi trovo in accordo o in disaccordo con il Cavaliere Masci.
Il costume nasce prima di tutto con la civiltà storica in generale.
Infatti non potremmo definire costume, o vero e proprio abbigliamento, il modo di coprirsi dell’uomo preistorico.
Quindi i concetti di costume e abbigliamento con le relative categorie di appartenenza quali sono stati definiti dal Cavaliere mi trovano in linea di massima d'accordo, poiché non posso non confermare le ricerche e le indagini fatte dalla storia e dalla sociologia del costume nel corso del Novecento.
E' indubbio che tutto quanto è costume è sociologico e storico al tempo stesso.

Poi , nei successivi anni di storia , diciamo dall'Anno zero più o meno, o per prendere come punto di riferimento la civiltà degli antichi Egizi, dal 2500 a. C. all'incirca in poi, troppe cose sono successe , per pensare di esaurire l’argomento in una sola lavagna.
guerre, rivoluzioni, epoche storiche con l'alternanza delle classi sociali la potere, evoluzione della tecnologia e delle industrie, genocidi, troppe cose che hanno posto il loro segno indelebile anche nell'abbigliamento.
Quindi ci vorrà tempo per trattare tutto.
Vorrei anticipare un pensiero che non mi consente di essere d’accordo con il Cavaliere Masci, sulla morte del Classico e sulle date da lui riportate.

Tutto vero: ciò che è successo nella sartoria, nel cinema, tra gli stilisti negli Anni ’70 e ’80.

Del resto, è noto che gli anni ’70 e 80 del Novecento hanno visto la nascita di fenomeni di costume importantissimi quali: il Punk, il punk rock, la destrutturazione delle giacche degli stilisti, già citata dal cavaliere Masci, la nascita dello street wear, l’abbigliamento popolare delle periferie delle grandi città, la diffusione dell’abbigliamento tecnico da indossare anche in città, e tante altre brutte cose ma… c’è un ma: in mezzo a tanto stravolgimento delle linee classiche, non posso non dissentire sull’affermare che il classico è morto; non facciamo funerali ai vivi!
Infatti, come possiamo notare assaggiando il mercato dell’abbigliamento, il vestire tradizionale, le giacche, i tessuti di buona qualità, tweed inglesi,raffinate lane italiane, gli abiti di sartoria , la maglieria di qualità da alternare all’abito da lavoro, tutto ciò esiste ancora oggi e non è mai scomparso.
Lo vediamo nelle strade, nei luoghi di lavoro, ovunque possiamo ancora assaporare colori, tessuti e fattezze tradizionali.
La gente è stanca di tante brutture, e così, se è vero che ancora negli anni 70 e 80 lo stile inglese resisteva e imperversava, senza demordere, oggi ancora più grande è il desiderio di riportarlo alla luce più vivo e più forte , per dare sicurezza e stabilità in un'epoca nella quale il crollo dei valori è caratteristica inconfutabile.
Che ne pensate?
Ciò che asserisco non è frutto della mia fantasia, ma di lunghi studi e ricerche di questi anni, incoraggiati anche dal mio mestiere, ma non solo.
In queste lavagne da anni ormai analizziamo fenomeni di costume e culturali legati al campo del vestire e con il contributo mio e di tutti i cavalieri e i lettori e visitatori, abbiamo creato un bel baule di conoscenze, relative proprio alla resistenza di un vestire classico in mezzo alle tante tempeste e trasformazioni che l’abbigliamento ha subito e superato negli ultimi 50 anni.
Incoraggio davvero il contributo di tutti a questo dibattito.
Certo se esiste un dress code, esiste anche la possibilità di destrutturarlo secondo i propri gusti.
in questo freddo inverno ritorniamo ad assaporare i colori delle brughiere scozzesi e saremo più vicini alla natura e con essa allo spirito del'uomo, che anche nella scelta di come vestire, oltre che nelle scelte importanti della vita, ha una parte pregnante e insostituibile.

Cavallerescamente invernale

Il Rettore Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 17-02-2010
Cod. di rif: 4271
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Un po’ di storia del Castello e questioni di metodo
Commenti:
In risposta ad alcuni interventi e sull’onda di alcuni interventi recenti.
Colgo l’occasione delle osservazioni del Cavaliere Villa sulla sua lavagna del 12/02/2010, per continuare alcune riflessioni che avevo fatto a proposito della morte del classico; ma prima di entrare nel merito della questione, desidero chiarire alcuni pensieri sulla vita del Castello e sull’inesauribile fucina di idee di cui esso è contenitore e diffusore.
Questo per chiarire questioni di metodo e di studio che forse non a tutti, soprattutto tra i nuovi visitatori che non conoscono la nostra storia, sono chiari e noti.
La Porta dell’ abbigliamento fin dalla sua nascita, ha avuto come obiettivo quello di portare a conoscenza di tutti coloro che si interessano di costume, di storia dell’abbigliamento, cultura e storia in generale, alcune pillole di scienza e di conoscenza.

Sono molti anni che studiamo, con il contributo di tanti, Il Gran Maestro prima di tutti, poi il sottoscritto, in qualità di Rettore della Porta, e poi Cavalieri, visitatori, fondatori, che studiamo , dicevo, fenomeni di costume, stili, genealogia e nascita di capi con la loro storia il loro significato, l’arte e il lavoro dell’uomo che stanno dietro giacche , stoffe, tessuti, filati, prodotti, manufatti , eccetera.
Quindi l‘ultima lavagna del Cavaliere Villa è eloquente, perché è il segnale di un giusto e comprensibile malessere.
Infatti negli ultimi tempi sono state sempre più frequenti le lavagne che, anche se da un lato ponevano giusti quesiti su tanti aspetti della storia e del costume e dei singoli capi di abbigliamento,dall’altro tuttavia è come se, da queste lavagne, si evincesse che gli autori delle medesime non sono a conoscenza di tutto il lavoro che sta dentro e con il Castello; tanti quesiti trovano risposta negli studi passati, di questi ultimi anni.
Nella cronologia della sezione ricerca potete infatti trovare moltissime informazioni e altrettanti studi su una vastissima serie di argomenti, che vanno dalla sartoria italiana e inglese, alla storia della coltivazione del lino dai tempi antichi ad oggi, dalla nascita dei capi spalla dell’uomo moderno( giacche, cappotti, pantaloni) all’industria della maglieria o alla lavorazione a mano delle maglie dei pescatori irlandesi.
Tante notizie, tante storie, tanto impegno.
Un glossario e dizionarietto che, brevemente e succintamente, vi dice che cos’è un gauge o una golden bale.
E tanto altro ancora.
In moltissime occasioni ci siamo domandati da che cosa siano nati i modi e le fogge del Novecento, ci siamo chiesti se il classico esista ancora, abbiamo utilizzato etimologie, letteratura , filosofia , arte e scienza, sempre in clima sereno , anche se a volte vivace, di collaborazione e condivisione dei pensieri, variamente argomentati.
Perché dunque ora trascurare e fare come se tutto questo non esistesse?
Tutto questo esiste, e ancora vive , all’interno del Castello, ed è doloroso percepire che qualcuno non sa o non consideri che dietro qualche breve botta e risposta palpitano anime e intelligenze.
Ora io incoraggio tutti, il Gran Maestro prima di tutti, e poi Cavalieri , visitatori, lettori, nuovi e vecchi collaboratori, a far rivivere tutto ciò che si cela dietro alle varie disquisizioni quotidiane, a rispettare il metodo cavalleresco, che ha sempre fatto prevalere squisita educazione a polemica e inutile rivalsa o desiderio di primeggiare, che ha dato alla conoscenza e alle riflessioni personali e agli approfondimenti uno spazio tutto speciale,.
Un Cavalleresco Grazie al creatore di questo Castello e di queste porte, il Gran Maestro, e a tutti coloro che vorranno cogliere il messaggio che sta dietro queste mie accorate parole.
Con Cavalleresca Stima il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-02-2010
Cod. di rif: 4288
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Castello e studio
Commenti:

Nobili Visitatori,
Il Gran Maestro ha fatto la storia dell'anima del Castello e di questo lo ringrazio di cuore.
Io vorrei aggiungere solo alcune chiose relative al lavoro degli ultimi tempi.
E' noto che nelle modalità della creazione delle opere d'arte, a periodi di grande fertilità, che fanno scaturire i capolavori espressivi, sono soliti seguire momenti di pausa e di stanca, perché la linfa vitale e creatrice si è in un certo senso esaurita e per forza occorre un certo periodo di tempo affinché le forze si restaurino, si rinvigoriscano e prendano nuova energia , foriera di nuove creazioni.
E' sotto questa luce che i leggo le pause di alcuni scrittori del nostro sito, compreso il sottoscritto, e invece i costruttivi interventi delle new entry.
Però l'artista e il creatore sono sempre dietro l’angolo e non hanno mai perduto il filo conduttore di tutti gli studi e di tutte le ricerche, tutte quante belle e profonde, che sono state fatte negli ultimi anni.
Mai e poi mai sono caduti nell’oblio i raccordi tra le opinioni e i pensieri di quanti si sono legati da scambi di vedute sul costume, la moda, l’abbigliamento, l’economia , le strutture e le industrie, mai si è pensato che le lavagne fossero qualche cosa di temporaneo da lasciare e dar per perse una volta pubblicate.
Ho cercato di contribuire alla produzione di materiale degno di essere letto, cercando originalità; evidentemente la letteratura nel campo è gia immensa e per questo molti spunti di riflessione li ho desunti dai tanti lavori prodotti dagli studiosi, storici, sociologi e filosofi, e non ultima la Bibbia e l’Antico testamento, nel quale possiamo trovare gli antiche semi di usanze e di mestieri che si sono sviluppati e perfezionati fino ai nostri giorni.
Rinnovo la preghiera che quanti si accostassero in questi giorni alla lettura delle nostre pagine abbiano un occhio di riguardo nei confronti di tutto il materiale prodotto e soprattutto ai profondi legami che abbiamo sempre detto esistere tra i materiali usati dall’uomo per coprirsi e i fenomeni che hanno poi dato origine ai diversi capi.
Il vestire è un taglio di stoffa che nasce da una precisa esigenza dell’uomo in un particolare momento: se c’è la guerra ed è inverno, L’esigenza è quella di coprirsi dal freddo e di muoversi con agilità al tempo stesso; se è caldo e combattiamo nel deserto, le esigenze sono quelle di ripararsi dal anno dei raggi del sole; se dobbiamo navigare e sfidare le tempeste, le lane e i tessuti impermeabili fanno nascere un’industria nuova, se siamo ricchi e governiamo il paese dobbiamo farci rispettare, se siamo poveri e lavoriamo nei campi non abbiamo latra scelta che vestirci con poco e ringraziare Dio per ciò che ci ha donato.
Allora, elencando il classico internazionale, tutto questo fu detto.
Questo è solo un piccolo esempio di come ci siamo sempre accostati allo studio per la comprensione dei fenomeni ed è per questo che siamo così gelosi dei lavori passati: non per non accogliere il nuovo con favore e assumere un atteggiamento inutilmente conservatore, ma per preservare dalla rovina e dalla corruzione principi nei quali crediamo moltissimo e con convinzione.
Cavallerescamente grato
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 24-03-2010
Cod. di rif: 4306
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Morte del classico? Viva il Principe di Galles( il tessuto)
Commenti:



Cavalieri, lettori, visitatori,

a proposito di morte del Classico, mi sento di riproporre un classico; non è un gioco di parole, ma quasi.

E' chiaro che il mercato e la società offrono molte possibilità alternative al classico ma poi alla fin fine molte persone, giovani e meno giovani, si rifugiano nelle belle certezze.

Sul Principe di Galles, il più classico tra i checks, molto abbiamo scritto nelle lavagne di questa Porta dell'Abbigliamento; io credo che questo tipo di scozzese, impropriamente così chiamato,in quanto check dei distretti, è ancora uno dei pezzi forti dell'industria dell'abbigliamento, in una worsted flannel magistrale rende elegante il meno elegante degli uomini.

E' poco estroso, moderato e aggraziato, bello a vedersi e confortevole.

Va bene a tutti , soprattutto in doppio petto.

E ' chiaro che il Principe Carlo, che ho presentato nel taccuino N.5175, lo porta in modo esemplare, sembra quasi tutto suo, ma vi assicuro che il più "normale " e tranquillo di noi lo può portare con disinvoltura, facendo sempre una bellissima figura.

Quindi: viva il tessuto Principe di galles.

Se volete saperne di più, sulla sua origine, sui colori, sulla possibilità di realizzazione nelle diverse pesantezze,( non molte varianti per la verità) sarò onorato di rispondere alle voste domande, alle vostre curiosità, ai vostri quesiti.

Cavallerescamente

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 16-04-2010
Cod. di rif: 4329
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Osservazioni
Commenti:
Osservazoni


Nobili Cavalieri e lettori, costanti e di passaggio
Ho taciuto fino ad oggi in merito alle considerazioni del Cavaliere Giovanni Pollicelli al quale voglio esprimere ogni mio elogio per le sincere, accorate e stimolanti considerazioni dettate dalla necessità del suo buon gusto, persona attenta preparata con un senso innato nel saper distinguere materiali.
Non mi stupisco pertanto del disagio che può trovare sull’attuale mercato del tessile, dove si ripetono nella stragrande maggioranza dei fabbricanti medesime qualità di tessuti anche con elevate finezze, ma privi di quel carattere antico, prive di quei pesi ai quali eravamo abituati ancora non molti anni fa.E tanto altro.
Non voglio parlare di me, ma pensate quanti tessuti possa io avere visto e quanta nostalgia provo nel sapere che nulla viene più riprodotto. Oppure, sì, forse qualcosa si potrebbe riprodurre, ma non è così semplice. Ho spiegato le difficoltà che si possono incontrare verbalmente all’Avvocato Pollicelli. Alcuni fabbricanti potrebbero impegnarsi alla riproduzione di certi tessuti storici per i quali posseggo anche un notevole archivio, ma il vero problema sono le quantità delle metrature che il fabbricante richiede. Inoltre l’immagazzinamento di queste merci può essere problematico e anche l’impegno oneroso. Credo sia dunque bene valutare con molto equilibrio quello che si vuole fare .
Mi ritengo disponibile, spero di incontrare presto esclusivamente per questo il Gran Maestro e puntualizzare il quadro per questa eventuale iniziativa, alla quale sarei disposto per grande passione e amore ai tessuti di pregio investire capitali, esperienza, tempo e altro.
Cavalieri Carissimi , riguardate ad esempio nella cronologia della Ricerca.Cinque o sei anni fa elencai quasi tutte le tipologie dei tessuti che ci appartengono: con questa scaletta possiamo lavorare e fare uno studio meticoloso.
In attesa di ascoltare le Vostre nobili richieste e proposte vi saluto Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 26-04-2010
Cod. di rif: 4339
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tessuti di alto pregio e DRESS CODE
Commenti:
Illuminato Gran Maestro,
è con grande gioia che leggo le parole con le quali parli di tessuti non riproducibili, il significato recondito è che possiamo mantenere nei nostri cuori e nella nostra mente la tradizione e il suo valore.
E’ vero, infatti, che certe opere d’arte della tessitura sono ormai improponibili poiché è il mercato che le rigetta, poiché il loro costo è inadatto alle masse impoverite dalla crisi economica, ma questo non vuol dire che la bella arte dell’uomo, antica quanto i nostri padri , la tessitura, e che lo studio delle fogge e dell’adattabilità dell’abbigliamento ai tempi non possano essere oggetto di studio e di ricerca, ed è con questo sentimento di continuità del nostro spirito e della nostra intelligenza che ci accingiamo, spero tutti, a porre nuovi quesiti e nuove domande in vista del nostro prossimo grande appuntamento di ottobre.
Io desidero continuare con i miei contributi e, qualora sollecitato dai vostri quesiti e dalle vostre curiosità, mi attiverò per esporre quanto di mia pertinenza e di mio interesse specifico.
Per esempio, vorrei ricordare a tutti la tradizione tessile dell’800. sia inglese che italiana.
In varie lavagne degli ultimi anni abbiamo fatto la storia di questa tecnica e per quanto ri guarda la finezza dei tessuti abbiamo detto parecchie cose, certo poche rispetto a quanto si sarebbe potuto, si potrebbe e si potrà ancora dire.
Per esempio: perché così poco uso della worsted flannel nei classici disegni, quali il Principe di Galles , o il grigio piombo?
Il Gran Maestro nella sua ultima lavagna ha dato un’ottima risposta sulla impossibilità di riprodurre tessuti di alto pregio, ma ve ne sono alcuni, non altrettanto pregiati, che potrebbero essere utilizzati con maggiore coscienza e rilanciati sul mercato.
Vi chiedo di cominciare a porre nuovi quesiti, per camminare insieme verso la meta di ottobre.
Cavallerescamente ringrazio e saluto

Il Rettore
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 22-06-2010
Cod. di rif: 4362
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Il ritardo di Pitti uomo
Commenti:
Il ritardo di Pitti uomo


Cavalieri, nobili, italici ed erranti,


ecco la curiosità di oggi: avete ascoltato le notizie su Pitti uomo a Firenze, avete udito le dame della televisione che riportano le novelle delle sfilate?
Udite udite!
Che cosa è accaduto? E’ accaduto che esattamente con sei anni di ritardo rispetto alle nostre elaborazioni sul classico internazionale, qualche stilista si è accorto che per l’uomo è sempre meglio mantenere una base di sicurezza e che questa base di sicurezza si chiama classico, e per di più internazionalità del classico.
Come lo avevamo definito noi, anche nei nostri laboratori sull’abbigliamento?
Il classico internazionale.
Ora, non per critica a quanti lavorano nel settore , che tutti quanti ci sostiene, ma sarebbe meglio riflettere veramente sull’importanza di sostenere le aziende, i lavori, i maestri, gli artigiani, che ancora fanno del Made in Italy e della fabbrica del tessuto e dello stile un settore vivo e portatore di benessere nell’economia.
Anche il gusto ne guadagna; gira e rigira, come si direbbe in modo popolare, nella cosiddetta parlata di tutti i giorni, meglio tornare a casa; torna a casa Lessie.
Torna a casa classico, certo rivisitato,semplificato e reso più moderno e attuale, ma mai miglior eleganza non fu mai vista che quella rispettosa della propria tradizione e della propria cultura.
Coraggiosi esponenti della nostra italianità, letterati e lavoratori, artigiani professionisti, è aperto il bando della tenzone: quale classico per il 2010?
Ne Medio Evo si chiamava tenzone d’amore, e ora , la vogliamo chiamare tenzone di stile?
Vinca il migliore!

Il Banditore

Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 09-08-2010
Cod. di rif: 4390
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Questioni stagionali e sociologia
Commenti:
Questioni stagionali

Rispondo e rifletto: La lavagna del Gran Maestro 4 Agosto me ne dà l’opportunità.
Questioni stagionali, temi dibattuti negli ultimi anni, da quando ci concentrammo sui colori e sulle pesantezze dei tessuti.

Aggiungo volentieri alcune osservazioni, nell’ottica del dress code prossimo venturo e dei futuri studi, che dalla morte del classico ci porteranno ad una sorta di ridefinizione dei codici.
Secondo me la questione stagionale è una tematica classista, nel senso che il problema delle pesantezze in relazione alle stagioni, al caldo e alla durata del giorno si lega fin ai tempi antichi alle classi sociali che si potevano permettere una scelta e un questionare sulle tipologie e i cambi dell’abbigliamento, dunque un a questione sociologica, come del resto lo è tutto il tema dell’abbigliamento: almeno per me, questo è infatti il taglio che ho voluto sempre dare in questi anni alle mie lavagne ai miei studi.
E non solo socialmente classista tale tema , ma anche storicamente delimitante. Delimitante del lavoro, dell’economia, dell’imprenditorialità, della creatività, dell’inventiva, della produttività, della messa in gioco dei fattori dello sviluppo e del sottosviluppo.
Questo è un tema che mi sta molto a cuore, dal momento che senza questa ottica non riusciremmo e non riusciremo a dare un po’ di spiegazione al tema del cambiamento del costume.

L’eleganza è una questione e di anima e poi di portafogli, ma non di portafogli senz’anima.
Che ne diciamo? Ne diciamo e ne deduciamo che l’imbarbarimento dei costumi dei giorni d’oggi è dovuto alla caduta verminosa delle conoscenze, della cultura, del circolo del denaro, insomma al crollo dell’economia, ma anche quello della spiritualità e della riflessione, senza le quali le stagioni non verrebbero nemmeno percepite nella lroro essenzialità.
Con spirituale cavalleria
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 09-08-2010
Cod. di rif: 4391
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: ERRATA CORRIGE E SCUSE
Commenti:
Dal Rettore
Chiedo scusa , nella foga dell scrivere e nella fretta della comunicazione, ho fatto un banale ma sgradevole errore: ho scritto, nella mia ultima lavagna, "verminosa", ma volevo scrivere " vertiginosa".
Cavalleresche scuse
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 10-08-2010
Cod. di rif: 4392
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Questioni stagionali 2
Commenti:
Questioni stagionali 2

Harris Tweed: stagione del tepore;
Worsted flannel e pettinato: stagione del fresco;
Lino e cotone: stagione del caldo;

Attraversando epoche, paesi e climi, fin dai tempi dei tempi, ecco un comune denominatore. Filati semplici, che l’uomo da millenni ha ricavato dalla natura.
Ho citato per primo l’harris tweed solo perché i lettori di solito,hanno più familiarità con le marche, ma percorrendo la storia dell’arte dell’uomo in campo di vestire, la datazione deve dare credito e ragione alla prima apparizione nel mondo dell’abbigliamento di un filato che anche nelle antiche sacre scritture viene citato: il lino.
Se percorrete e scorrete la cronologia della ricerca , in alto nelle nostre lavagne e scrivete lino, troverete il mio studio , che feci esattamente 6 anni fa , l’11 agosto del 2004, Lavagna N. 1514, dal titolo Lino prima parte.

Una scorsa alla storia delle fibra più antica renderà poi più semplice gli argomenti che svilupperemo in questi giorni, prima del nostro incontro di ottobre; sì, perché a partire dal concetto della morte del classico, di strada ne è stata fatta, e adesso siamo al bivio: per esempio: che posto occupa il lino oggi?
Quanti e chi sono coloro che ancora acquistano e apprezzano abiti confezionati con questo tessuto?
E ancora: quando e per quanto vestiamo il lino?
Se ci fate caso, nelle nostre regioni, per quanto mediterraneo sia il clima, questo tessuto “va”per pochissimi giorni all’anno; meglio è per il pettinato, si intende la lana pettinata sottile, che fino al mese di maggio è adattissima a qualsiasi abbigliamento quotidiano da lavoro,; ho detto maggio, ma anche oltre; infatti, quando poi il caldo diventa molto forte, il casual sportivo ha il sopravvento sull’abito, a parte occasioni davvero serie ; e tuttavia l’uomo elegante è sempre meglio vesta in giacca e pantaloni, anche con il caldo; non è la giacca che fa male; si può certamente soprassedere sulla cravatta; scrivo un po’ random per dare l’idea del filo conduttore che frulla nella mia mente; è un filo ancora non teso, perché le idee sono molte.
Lino e cotone, lana e tweed; finezza e gauge; le pesantezze fanno l’ampiezza della scelta, ma come dicevo, la scelta non è per tutti e da tutti.
Mi verrebbe quasi da dire che siamo in una fase di obbligo e di non scelta; perché la cultura è tanto cambiata oggi, e anche la scuola si fa carico della rivoluzione mentale della comunicazione e della cultura.
Questo assaggio per il pomeriggio che prelude alla caduta della stelle: oggi è infatti il 10 agosto: tradizionalmente questa sera saremo tutti con il naso all’in su.
Cavallerescamente stellare

Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 28-09-2010
Cod. di rif: 4416
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dress Code: un appuntamento storico per le nuove e le vec
Commenti:
Nobili e Accorati Cavalieri,

lettori vecchi e nuovi di queste lavagne d'ardesia, come qualcuno le ha chiamate in questi giorni, Vi aspetto tutti con un fremito di curiosità alla mia bottega di drappiere in Bologna, per parlare e insieme ragionar sul tema della morte del classico e della sua rinascita, tema nel quale semplicemente affiancherò l’insuperabile esperto di tale argomento, il Nostro Gran Maestro Avvocato Giancarlo Maresca.
In quella occasione sarà mia premura sottoporvi umilmente alcune idee maturate in questi mesi di intensissimo lavoro, che mi ha ostacolato non poco nel tempo da dedicare ai miei usuali interventi su queste lavagne.
Lo dico con una punta di rammarico, ma il tempo è sempre troppo poco, per fare le cose manuali e intellettuali contemporaneamente.
Nella pratica quotidiana e nell'osservazione del genere umano, delle persone, tutte, donne e uomini che attraversano e sostano nel mio negozio, spero con sempre rinnovato gusto, ho avuto modo di capire meglio , pur restando in silenzio, quante cose siano cambiate sotto il sole e sotto il cielo dell'abbigliamento.
I quesiti e le richieste di consiglio sull'abbigliamento sono così diversi da quelli di un tempo, più imbarazzati e incerti, di sicuro.
Le persone non hanno più i punti di riferimento che noi consideriamo classici, e sentono sempre più la necessità di rassicurazioni sul vestire, sul modo di bene spendere il proprio denaro e di farlo fruttare in un serio nonché consistente acquisto che resti nel tempo che valga la spesa.
Io spero sempre di riuscire a sollevare le persone dai dubbi e dalle incertezze, e ammetto che ultimamente ho dovuto rivedere molti dei miei paletti di riferimento, per andare incontro al nuovo pubblico e alla nuova utenza, che vive ogni giorno la nostra città, il nostro paese, la nostra Europa.
In magri tempi di crisi non ai è perso tuttavia il desiderio di apparire giustamente vestiti e anche eleganti, e questo è possibile, anche contenendo la spesa.
Ma … tutto rimando al 7 Ottobre prossimo, giornata di amichevole fratellanza nel pensiero e nei corpi; incontrarsi è sempre bello e la rinnovata amicizia resa intensa dal riflettere su temi comuni ci riporta alla nostra storica colta e dotta città, non lontano dai luoghi in cui “ le donne gentili danzavano in piazza e co' i re vinti i consoli tornavano.

Con Cavalleresca trepidazione
Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-10-2010
Cod. di rif: 4432
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Tessuti storici: worsted flannel
Commenti:
A proposito di antichi tessuti del tempo che fu

Colgo l’occasione delle ultime lavagne che i cavalieri e i lettori hanno pubblicato dopo il nostro ultimo incontro del Dress Code per ribadire il mio pensiero a proposito dei tessuti storici che secondo alcuni sono difficilmente riproponibili.
Primo:è vero che è più difficile pubblicizzarli, ma non impossibile venderli;
Secondo: credo che sia in parte un abbaglio il pensare che sia difficile trovarli; e il diffondere la loro conoscenza sta a noi che abbiamo maggiore esperienza nel settore.
L’abitudine crea abitudine e l’uomo educato alla scelta si accosterà ancora una volta alle buone usanze, in modo nuovo e più moderno di prima.
Per quanto mi riguarda, oltre all’Harris Tweed, che mi preme assai, come tessuto cavalleresco, ce n’è anche un altro che mi sta moltissimo a cuore e d è la worsted flannel, cioè la leggera lana pettinata, finissima e adattissima a molteplici usi.

La worsted flannel è grandemente in auge, per la sua versatilità, finezza e adattabilità a molte temperature intermedie e a situazioni di vario genere, con una sua propria eleganza e modernità
Come sempre leggo volentieri e con interesse le opinioni di quanti vorranno contribuire ad approfondire questa tematica e questo tessuto.
Soprattutto in questi giorni ancora soleggiati il vestire in worsted- pettinato grigio o blu gessato penso sia una bella idea.

Cavallerescamente
Dante De Paz



-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 22-11-2010
Cod. di rif: 4451
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: A Royal Engagement
Commenti:
A Royal engagement

Nobili Cavalieri, Italiani Europei ed internazionali, ne avevamo bisogno!

Di che cosa ? Di un’altra lezione di gusto eleganza e stile,; all’inglese, direte voi , sempre all’inglese; eh sì, ma questa volta, miei cavalieri, è molto diverso, perché si tratta del fidanzamento ufficiale di un giovane, di un forse futuro re, un King to be di soli 28 anni, William, il figlio d Carlo e della bella e compianta Diana del Galles, ha annunciato ufficialmente il fidanzamento con la ragazza che è al suo fianco da otto anni, una giovane borghese, una commoner senza una goccia di sangue blu nelle vene, una milionaria del Berkshire, che ha conquistato con la sua intraprendenza il cuore del rampollo di Sua Maestà Elisabetta II.
Ha forse qualcuno di voi visto sul web, sul sito ufficiale della British Monarchy, o su U Tube o su Facebook della Casa reale l’intervista e la cerimonia dell’Engagement?
Se non lo avete visto ve lo dico io: modernità, classe intelligenza giovinezza e bele e simpatiche maniere si sposano in un cerimoniale di rigorosa regalità, e se ne vedranno delle belle, da qui alla primavera o Estate , prima estate del 2011, quando i due giovani coetanei, incontratisi sui banchi della St. Andrew's University ,convoleranno a nozze.
L’abito del Principe, l’abito della futura principessa, l’anello della futura sposa , tutto nel blu zaffiro che Diana ha lasciato in eredità.
Un abito blu sul quale spicca il bianco di una classica camicia, la postura, la disinvoltura, l’eleganza innata che non ha nulla di antiquato o di superato, proprio un’occasione per dire davvero, ma davvero: il classico è morto viva il Classico!!
Knightly and Classical British Greetings
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 22-11-2010
Cod. di rif: 4452
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Facile Massaua
Commenti:
Nobili Cavalieri e Visitatori,
per chi avesse bisogno di cotone Massaua, può interpellarmi.
Il Rettore
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 07-01-2011
Cod. di rif: 4462
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Auguri Cavallereschi
Commenti:
Nobile Gran Maestro, Fedeli Cavalieri e Affezionati Visitatori,
auguro a tutti un anno 2011 foriero di buone cose , salute e prosperità, e che esso sia per noi tutti generoso, così come spero lo saremo noi tutti del Castello reciprocamente e con coloro che vi si affacciano e vi si affacceranno, alla ricerca di cose nuove e che ad esse daranno il loro contributo di crescita.
Colgo la festosa occasione per ringraziare il Gran Maestro, i Prefetti , i Cavalieri tutti, i fornitori e quanti in questi anni si sono prodigati con zelo per difendere e abbellire il nostro Castello .
Buon Anno a tutti dal Rettore della Porta dell'Abbigliamento
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 27-01-2011
Cod. di rif: 4466
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: La storia di Mister Tartan e Doctor Blue: una favola moderna
Commenti:


La storia di Mister Tartan and Doctor Blue: una favola moderna

Prima puntata

Mister Tartan aveva acquistato una piccola estate nelle Highlands e viveva nel modesto e graziodo paese di Cavenagh, circondato da colline e laghetti, che seguivano nelle stagioni i colori della natura e rispecchiavano nel cielo le nubi e le stelle.

Mister Tartan faceva il commerciante di Tessuti e aveva aperto da alcuni anni una piccola attività molto redditizia, nel centro del paese, accanto alla farmacia e all’emporio della frutta e della verdura e al Grocer.
Inoltre aveva un piccolo bistrot, nel quale era solito intrattenere i giovani e i meno giovani del paese nelle pause del lavoro e la sera gli anziani che avevano nel piccolo pub un punto di aggregazione e di ritrovo, tanto d’estate che d’inverno.
La caratteristica di Mister Tartan era la seguente:; per fare acquistare i tessuti che lui stesso cercava un po’ in lungo e in largo in Inghilterra e nel suo stesso paese, la Scozia, era solito usare abiti che riproducevano e rispecchiavano i colori delle stagioni e quindi adattava giacche pantaloni e gilet alla natura e alle sue esigenze cromatiche.
D’inverno pesanti giacche di tweed che abbinava a pantaloni di fustagno e a grosse scarpe da passeggiata stile desert boot, in primavera e d’estate giacche a quadri più legger , con bellissimi checks a sfondo chiaro, abbinate a bei pantaloni di lana worsted o di fustagno o di velluto.
Il tutto accompagnato da bei mocassini sportivi.
La cosa più bella di Mister Tartan era che aveva adottato il metodo del noleggio giacche, con il quale permetteva ai suoi potenziali clienti di provare per un po’ ciò che forse avrebbero acquistato secondo il loro gradimento.
Mister Tartan era in negozio la mattina presto, una bottega molto graziosa, tutta di legno e vetro, sulla strada principale, prima della curva dalla quale si vedeva il campanile della piccola chiesa bretone.
Apriva prima che impiegati, bottegai,medici e bancari cominciassero la loro giornata, cosicché, trovandosi lungo la strada principale, attirava tutti quanti con un bene augurante saluto e offriva la scelta della giacca del giorno.
Se la giacca andava bene, poi poteva essere acquistata, se non andava bene, veniva restituita alla fine della matti e il successivo acquirente l’avrebbe avuta con un piccolo sconto.
Così tutti i giorni tutti gli abitanti del paese vedevano i loro uomini indossare giacche e tessuti diversi di Mister Tartan , il noleggiatore gentile.
Il paese di Cavenagh era antico ma anche moderno e c 'era un collegamento wi-fi’ gratuito per tutti.
Bastava mettersi in piazza e navigare o andare al pub e navigare col PC per essere rapidamente collegati con tutta l’Inghilterra.
Molto poco importava ai Cavenaghesi del lusso londinese: a Londra potevano arrivare in 6 ore di treno veloce; un bel viaggetto, sì, però molto proficuo e mai a vuoto perché la peculiarità dei cavenaghesi era quella del basso consumo, dell’assenza di sprechi, dell’amore per gli animali, per gli incontri comunitari nella piazza, nella chiesetta o nel cinema del paese.
Gli animali avevano un loro parco nel quale giocare correre e sfogare le loro grandi energie.

Cavalleresca lettura
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 21-04-2011
Cod. di rif: 4487
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Camicia bianca e camicia azzurra
Commenti:




Camicia bianca e camicia azzurra


Egregi Cavalieri,
non posso non concordare con la lavagna del Gran Maestro e con le sue considerazioni sulla camicia bianca e sulla camicia azzurra, e sullo stile della sera.

Aggiungo però volentieri alcune considerazioni, soprattutto qualche ricordo a proposito della genealogia della camicia.

Noi Cavalieri, a partire dalle ultime sessioni del Dress Code, abbiamo sposato la linea ideale che recita: il Classico è morto, Evviva il Classico, seguendo quella moderna e contemporanea idea , per la quale un capo classico va sì adattato ai nostri tempi , alle esigenze e agli stili di vita di ciascuno.
La camicia è una conquista relativamente recente; agli inizi del Novecento, infatti, vigeva ancora la oda della camicia con il colletto tondo inamidato, e rigorosamente bianca; agli inizi del Novecento, non c’era nemmeno da porsi il problema di quale colore indossare, anche perché la moda maschile era ancora molto legata a quella Ottocentesca.
Fu solo intorno agli anni ‘40 e soprattutto negli Anni 50, che con lo stile college gli Americani rivisitarono le fogge e i colori delle camicie.

Quella degli ani ’50 fu una vera e propria rivoluzione nell’abbigliamento maschile .
Io credo che la camicia bianca sia ancora un oggetto importante nelle serate di gala, mentre tutti gli altri colori sono ammessi nelle più svariate occasioni.
La scelta della camicia non è facile e non è indifferente al completamento dell’abbigliamento.
Io azzardo tuttavia un consiglio: se non si è certi del colore, meglio sempre sposare il bianco.
Per il giorno, il colore è chiaramente condizionato dall’abito, dai tessuti, dalla stagione, dal colore della pelle, dal tipo di occasione.
Il bianco era, è stato ed è, un colore che non sbaglia, soprattutto nelle grandi occasioni, è il colore del garbo e della moderazione, è un colore che illumina il volto , è il colore che dà onore e rispetto al luogo che si raggiunge.
In attesa di sentirvi ancora su questo argomento, Nobile Gran Maestro e cavalieri tutti, il mio più cavalleresco augurio di un buon periodo festivo.

Il Rettore
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 29-04-2011
Cod. di rif: 4489
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: bianco rosso e blu: a proposito di eleganza
Commenti:


Anche noi vogliamo festeggiare un po', e che cosa? L'eleganza, che con il matrimonio reale che si è celebrato oggi, tra il Principe William, nipote della Regina Elisabetta II d'Inghilterra, e la bella Catherine, due nomi, una garanzia( William the Conqueror e Caterina), ci ha dato una lezione sopraffina di stile.
Per non parlare poi del tocco dell'ineguagliabile e inarrivabile Elisabetta che con il suo giallo ginestra ha colorito il panorama ricordando l'oro dei dipinti di Westminster Abbey.-
Ma il titolo di questa lavagna ci fa riflettere sui quei tre colori, che belli sono nell'arte e altrettanto belli sono per noi: bianco della gioia, rosso dell'amore e blu dei cieli.
In questi giorni si è parlato di nuovo di colori, a proposito delle camicie, ma basta guardare gli inglesi, che con il loro classico senza sfumature sfidano ogni altro tentativo di rompere il protocollo delle tabelle colori per avere un po' più di sicurezza nelle nostre scelte.
Partire dai colori decisi è sempre un buon punto di riferimento, e poi si può passare alle sfumature; il bianco dona a tutti, il blu dona a tutti, il rosso è il colore della cavalleria, del coraggio militare, della forza vitale della natura.
Io mi inchino a tanta eleganza; da qui una nuova puntata del nostro osare, è vero che non possiamo dare tocchi troppo forti nell'abbigliamento quotidiano, ma possiamo imparare che certi colori, se bene assemblati, sono una porta aperta all'eleganza senza imbarazzi: il bianco con il blu, il bianco con il rosso,il rosso con il blu, da qualunque parte li giriamo non possiamo sbagliare e quindi... buona cavalcata tra i colori e auguri ai novelli sposi.
Cavalleresche considerazioni
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 11-08-2011
Cod. di rif: 4518
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Dalla Regina e dalla lana bouclè una lezione anche per no
Commenti:
Lana e tessuto bouclé
Nobili Cavalieri e affezionati Lettori vecchi e nuovi,
è’ da tempo che desideravo analizzare di nuovo la maestria e l’esperienza dei britannici in materia di moda e di tessuti e le ultime occasioni festose della monarchia inglese me ne danno ora una bella opportunità.
Parto addirittura da Sua Maestà, la Regina Elisabetta, il cui nome a fatica scrivo in italiano, perché è per molti, e anche per me, Queen Elizabeth, una icona di stile e classe regali.
E lo spunto mi giunge dall’avere osservato ieri, mentre navigavo nel sito Ufficiale della British Monarchy, il suo tailleur di vera lana bouclé, la preferita di Coco Chanel, per intenderci, e che qui è rivisitata, da Sua maestà, con una classe senza pari.
Questa non è la porta adatta per parlare di classe femminile, ma per parlare di tessuti e di fibre è invece proprio questo il luogo più adatto.
Intanto volevo ricordare a tutti gli affezionati lettori che cosa sia il bouclè; è quel tessuto di lana inanellata , traduzione appunto della parola bouclè, che dà quel gradevole e gioioso effetto di lana calda e leggera e viene utilizzata soprattutto per giacche cappotti e tailleur femminili.
L’avere visto l’uso che ne ha fatto la Regina e il gradevolissimo effetto per i nostri occhi mentre Sua Maestà passa in rassegna le guardie scozzesi a Balmoral, ( la divisa delle quali meriterebbe da sola un libro), mi ha fatto riflettere ancora una volta su quanto gli inglesi siano superiori al resto di noi europei in classe e under statement, perché sì, è vero che noi Italiani e i nostri cugini francesi, abbiamo il primato del gusto, del design e del senso artistico, ma è anche vero che a volte esageriamo un po’, con quell’avere scambiato la moda per tutto ciò che è eccesso e sfarzo. Sì cari lettori, l’arte italiana è insuperabile, ma l’arte , e non sono più convinto che lo sia anche la moda, così come quella francese, che poi tra l’altro si avvale sempre di più della mano e dei marchi italiani.
Lo sfarzo e il gusto rinascimentali ci appartengono, i fini tessuti e le fibre di lana e di seta anch, e tuttavia c’è un ma … e il ma consiste nel fatto che non siamo in grado, almeno in questo momento, di utilizzare la nostra arte e la nostra maestria e la nostra artigianalità in modo adeguato ai tempi di crisi.
Parliamo e parliamo, ma poi alla fine andiamo sempre più spesso alla ricerca di cose strane, siamo in fondo degli spacconi e degli sciuponi, e lasciamo che siano poi gli inglesi stessi, come abbiamo potuto ben constatare nel recente matrimonio di William & Kate, che ci rubano l’arte fiorentina, lo stile e la classe delle nostre linee rinascimentali ( e alludo qui al bellissimo abito da sposa della neo Duchessa di Cambridge), che abilmente mescolate con l’arte del merletto britannico hanno avuto come esito uno sbocciare di splendore e di bellezza, una bellezza tutta femminile che ben si è poi sposata con lo stile e la classe della divisa dello sposo, con quell’impareggiabile e insuperabile rosso della giacca del Principe William, agghindato a festa nell’Uniforme a Colonnello delle Guardie irlandesi di Sua Maestà, una visione davvero astonishing, direbbero i sudditi di sua maestà.
Ecco, ero partito dalla lana bouclè perché proprio osservando la piccola o grande modifica che la Regina Elisabetta ha fatto dello stile Chanel ho pensato che questa era ancora una volta una lezione di stile, che potremmo ancora una volta seguire come considerazione generica anche allorquando ci interroghiamo su quale foggia e quale tessuto maschile utilizzare per mantenere quella classe intramontabile del bel vestire che non sempre deve essere legata alla tradizione.
Troppe domande, cari lettori e nobili visitatori vecchie nuovi del nostro sito cavalleresco.
Semplicità, tradizione e qualità sono tre linee guida che non sbagliano mai.
Aggiungo ai taccuini l’immagine dalla quale sono partito per scrivere questa lavagna, e non me ne vogliano i nobili Cavalieri se sono “fuori porta”, penso che ne valga la pena.
Buona lettura estivamente cavalleresca , cavallerescamente estiva

Il Rettore
Dante De Paz .


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 23-09-2011
Cod. di rif: 4530
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Smoking e dinner jacket
Commenti:
Nobilissimi Cavalieri e dotti lettori,
leggo con piacere in questi giorni che è stato rilanciato con interesse un dibattito sullo smoking e sulla dinner jacket, argomento che alcuni anni fa fu molto analizzato e dibattuto sulle nostre lavagne.
Vi rimando volentieri ai N. di riferiment0 2656 e 2660, per rinfrescare un poco quelle amene conversazioni che a questo punto riprenderemo.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 01-10-2011
Cod. di rif: 4531
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: eleganza e smoking tra le giovani generazioni
Commenti:
Nobili Cavalieri e visitatori,
avevo accennato alcuni giorni fa alla nuova passione per la dinner jacket e lo smoking..
Ora penso c che possiamo fare alcune altre osservazioni a proposito dell’uso disinvolto i questo capo privilegiato.
Lo smoking è spesso considerato un capo difficile da indossare , ma non dovrebbe essere così.
Infatti essere eleganti in speciali occasioni e indossare qualcosa di speciale fa parte non solo dell’eleganza ma anche del’educazione e del rispetto per le varie occasioni.
Il vestito della festa è sempre e esistito e così mi piacerebbe fosse considerato anche lo smoking, capo da indossare spesso e volentieri senza troppa preoccupazioni quando abbiamo l’opportunità o la necessità di essere eleganti.
La vita di oggi, così diversa negli ultimi anni da quella di pochi anni or son, così intrecciata di corse e di tempi streti legati al lavoro, ai trasporti, aglispostaenti, non ci offre tante occasioni,per noi uomini del XXI secolo, così spesso impegnati nel lavoro affaticati e in fretta e tuttavia le occasioni a volte si presentano improvvise, in famiglia o con gli amici, ed è in quelle occasioni che lo smoking mette insieme eleganza ed allegria: una festa , un compleanno, una serata di matrimonio, un raduno di colleghi in festa con le mogli, tante riunioni dei Cavalieri del nostro storico sito, hanno acclamato sovente lo smoking come il re degli abiti eleganti.
Io chiedo un'opnione in proposito ai più giovani dei nostri lettori e visitatori.
Sono curioso infatti di conoscere il parere delle nuove generazioni su questo abito non consueto tra i trentenni delle nostre medie classi sociali, ma che mi è capitato di vedere in feste di giovani ed eleganti studenti
Che ne pensate giovani uomini del domani, giovani eleganti del nostro futuro?
Sarò lieto di ricevere le vostre risposte e rispondere ai votri eventuali quesiti.
Cavallerescamente

Il Rettore della Porta dell'Abbigliamneto
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 20-10-2011
Cod. di rif: 4536
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Don't Forget Savile Row
Commenti:
Don’t forget Savile Row


Nel mondo disordinato di oggi la spiritualità ci aiuta a superare le difficoltà quotidiane; accanto ad essa a volte anche l'amore per cose belle fatte dall ' uomo è un incoraggiamento a non perdersi in inutili e dannose fantasie.
Così mi è parso buono ricordare a tutti Savile Row.
Voi direte: e il made in Italy?
Il made in Italy è sempiterno, ma Savile Row, in u gagliardo Ordine come il ostro, è una pietra miliare da non dimenticare.
Il link è:www.savilerowbespoke.com;
per ora basta una cavalcatina, ma a mano a mano che vi cavalcherete dentro vi accorgerete di quanto sia interessante e avventuroso inoltrasi nel bel bosco del British Bespoke.
Cavalleresca audacia a tutti voi
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 30-12-2011
Cod. di rif: 4554
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Auguri
Commenti:
Nobile Gran Maestro,Illustri Cavalieri tutti, validi Visitatori abituali e occasionali,
leggo gli ultimi interessanti interventi sull'eleganza e le relazioni tra la stessa e la morale cattolica e la Chiesa.
Ora il mio intervento è puramente augurale.
Queste festività siano per tutti momento di riposo , rispetto e riflesione sul mondo in cui viviamo, ciascuno nel rispetto delle virtù e delle idee altrui e che il 2012 sia foriero di pace,serenità, e buoni propositi, di prosperità e di salute.
Al nuovo anno demando le mie riflessioni sugli argomenti tracciati.
Auguri Cavallereschi dal Rettore della Porta dell'Abbigliamento
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-03-2012
Cod. di rif: 4582
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Riprendiamoci la primavera
Commenti:
Primavera nell’aria
Nobili Cavalieri, lettori e visitatori

Riprendiamoci la primavera! Ecco, l’inverno sta uscendo e con esso entra il tepore, che da tempo attendevamo con spirito di paziente sopportazione.
Questo di oggi è un sole primaverile, timido, ma primaverile.
Le stagioni esistono ancora , non c’è dubbio.
Eleganza equivale a scelta e infatti, eccoci qui, all’ingresso e all’annuncio di una nuova verde primavera, a seguire il richiamo del desiderio di novità, che nel nostro campo, l’abbigliamento, vuol dire desiderio di nuove leggerezze e tessuti atti a farci apprezzare con dolce accondiscendenza le gradevolezze della nuova stagione.
Con coerenza e adesione al nostro gusto, alla nostra forma fisica e anche alle nostre possibilità economiche, accostiamoci dunque alle nuove pesantezze , o meglio leggerezze, dei fini worsted e dei cotoni leggeri, riflettendo ancora una volta sull’importanza delle relazioni tra l’uomo e la natura e la natura e il tessuto che può vestire l’uomo, con ogni comfort e a dispetto di ogni denigrazione del buon gusto.
Corriamo all’azzurro e al grigio leggero e lasciamoci guidare dal nostro naturale istinto.
Più difficilmente che in altro modo sbaglieremo a vestirci.
Cavallerescamente primaverile
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: dante de paz
Data: 25-06-2012
Cod. di rif: 4615
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Trasandatezza cittadina:vecchi e nuovi valori
Commenti:


Che dire? Sul nostro sito sono apparse migliaia di bellissime lavagne sui tessuti, la loro storia, la genealogia di tanti capi di abbigliamento.
Oggi è come se fosse però giunto il momento di mettere i puntini sulle i, che sono poi i puntini della riflessione.
Tante belle divise, tante belle stoffe, tante belle giacche, ma la gente, mediamente come si veste? E la nostra città, le nostre città, che occasioni ci offrono, sempre mediamente per ben vestirci?
La crisi, le tasse, la ricerca della ricetta perduta per un benessere che non c'è più,, hanno fatto sì che molti abbiano perso, oltre che il lume della ragione, anche il rispetto per la cultura e la capacità di scegliere e di porsi come modello.
La società è molto cambiata in questi cinque anni e non in meglio; solo pochi possono permettersi vestiti dai bei tagli e belle combinazioni, ma questo è tanto più grave quanto più assistiamo all’inesorabile decadenza, per esempio, della bella lingua italiana, all’esproprio della cultura da parte della politica, all’arroganza, al rumore, al disordine, all’arraffa arraffa di certi ceti nuovi che non sanno più che cosa voglia dire il vivere civile.
E di questo tutti , chi più che meno, paghiamo le conseguenze.
Esorto invece tutti quanti a non lasciarsi incastrare dal finto abbaglio di un falso divertimento quotidiano, basato su chiassose riunioni, e invece a rimanere saldi nelle proprie antiche convinzioni, che sono poi quelle che solo una o due generazioni fa hanno fatto, fecero, dell’Italia, il bel paese del boom economico e la patria del bel gusto.
Difendiamo i nostri valori, e difenderemo le nostre aziende la nostra produzione, il nostro artigianato, il nostro buon gusto, con buoni esiti per il futuro.

Con un briciolo di cavalleresca malinconia
Il Rettore della Porta dell'Abbigliamento
Dante De Paz


-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 24-04-2014
Cod. di rif: 4857
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: pochette
Commenti:
Egregio Signor Gian Mirko,
considero la pochette fantasia come un fiore e come tale non l'ho mai abbinata né a camicia né a cravatta.
Fa eccezione la pochette bianca, che merita di essere trattata nel contesto dell' abito più formale.

Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 29-04-2014
Cod. di rif: 4861
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: La Grande Mela
Commenti:
Egregio Signor Di Monte,
la Grande Mela è piena di bei posti, molti, a mia memoria. Dovrei guardare, Le farò sapere.
Cavallereschi Saluti
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 08-06-2014
Cod. di rif: 4870
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Cavalcare con Una rinnovata curiosità
Commenti:
E ‘ capitato a tutti di alzarsi la mattina e non sapere cosa indossare, anche se effettivamente questo è un atteggiamento più femminile che maschile.
Eppure, camminando nelle nostre strade, osservando attentamente come spesso gli uomini siano abbigliati in uno stile poco ascrivibile a una moda conosciuta, possiamo pensare che le persone davvero non sappiano più che cosa indossare.
Colori uniformi, tecnicismo imperante nelle calzature, forme dei pantaloni inesistenti.
Tante volte sul queste lavagne, abbiamo parlato di eleganza ed i scelta, da anni ci occupiamo del gusto e d ella personalità, e ora urge di nuovo, secondo me, rivisitare, alla luce delle nuove incertezze del mondo contemporaneo, le scelte dell’abbigliamento maschile.
La possibilità di essere eleganti e di dare un segnale di gusto, moderazione e stile, esiste ancora, anche se il mondo in questi ultimi anni è cambiato così velocemente da dubitare che tante cose che fino a poco tempo fa sembravano orami accreditate come certe siano ancora accettabili e vere .
Mi complimento con il Gran Maestro per la bella rinnovata rassegna sul Taccuino, un gradevole riassunto di date storiche di capi a noi noti, ma dei quali non tutti conosciamo l’origine.
Gli stili, i colori, le fogge, gli abiti: ce n’ è per tutti i gusti, no lasciamoci andare al dubbio su ciò che dubbioso non è.
In questo scorcio d’estate invito quindi tutti, visitatori e cavalieri, a fare una bella cavalcata nella contemporaneità e ad aprire la mente ad ogni sorta di curiosità e d quesiti.
Cercheremo di sciogliere le incertezze, per quanto a noi possibile.

Con rinnovata curiosità
Il Rettore
Dante De PAz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 11-09-2014
Cod. di rif: 4880
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Worsted Flannel
Commenti:
Settembre, brume autunnali; fresco ma non freddo, nebbia e un po' di pioggia con qualche sprazzo di sole:questa è la stagione ideale per la worsted flannel o lana pettinata, quel fine tessuto adatto ad abiti snelli ed eleganti ma anche semplicemente informali, adatti ad ogni camicia , ottimi con la cravatta, ma soprattutto confortevoli alla testura e alla vestibilità.I colori sono tanti, le sfumature di grigio bellissime; un abito di worsted flannel vi toglie da ogni imbarazzo e renderà la vostra giornata gradevole oltre misura.
Buon settembre a tutti i Visitatori e Cavalieri.
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2014
Cod. di rif: 4895
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: La moda maschile: osservazioni e quesiti
Commenti:
Nobili Cavalieri, Scudieri, visitatori frequentatori e lettori del Castello e di questa nostra porta,desidero sottoporre alla vostra nobile e squisita attenzione uno scritto dell'architetto austriaco Adolf Loos, alla fine del secolo XIX, scriveva considerazioni di notevole rilievo sulla moda maschile, su alcune abitudini in voga nella piccola e media borghesia berlinese e sulla moda britannica e le sue relazioni con quella tedesca , o meglio sul rapporto di quella tedesca con quella britannica.
Vi chiedo se per caso desideraste leggere, con un po' di tempo e di pazienza, questo scritto del 1898.Che c'è in esso, secondo voi, di attuale o di superato e inattuale? Ritenete che le considerazioni di Loos siano ancora attendibili e fruibili da parte nostra, a distanza di più di un secolo.
Io leggendolo mi sono molto incuriosito e per parte mia penso vi siano considerazioni ancora valide per noi.
Mi farebbe molto piacere aprire un dibattito sugli spunti interessanti di questo saggio che si intitola la moda Maschile, contenuto nel libro Parole nel vuoto.
Cavallerescamente
Il Rettore
Dante De Paz















Cosa può servire l’intelligenza se non si è in grado di imporla alla considerazione degli altri, presentandosi ben vestiti?Gli iNglesi e gli Americani esigono infatti che tutti siano vestiti bene.
I Tedeschi invece vogliono qualcosa di più. Vogliono chei vestiti siano anche belli.se gli iNglesi indosssano pantaloni larghi , essi vogliono subito dimostrare








Preziosa stoffa per i pantaloni o di cravatte in stile secession.

Londra. Ma anche qui può capitare di trovarsi, per esempio se si fa una passeggiata, in una zona che si discosta notevolmente dal nostro ambiente abituale. Dovremmo quindi praticamente cambiare giacca a ogni incrocio.E questo francamente non va. E allora possiamo completare la nostra regola nel modo seguente: un capo di abbigliamento è moderno se, quando lo indossiamo in una determinata occasione-
i gagà hanno un aspetto differente. Ciò che ad a fa una grande impressione, a B ha già perduto il suo fascino.Chi viene ammirato a Berlino rischia di apparire ridicolo a Vienna. Il pubblico più raffinato adotta in genere, in fatto di moda, quelle trasformazioni che me-

Ta una serie di queste rare case di moda , lo dobbiamo soltanto alla felice circostanza che la nostra aristocrazia frequenta normalmente il salotto della regina d’Inghilterra e ha avuto quindi occasione di servirsi da sarti inglesi, riuscendo così a introdurre a Vienna quel particolare tono di distinzione nell’abbigliamento che ha consentito all’arte del taglio di raggiungere un altissimo livello.Si può quindi tranquillamete sostenere che nel continente le diecimila persone di condizione
Mi di corte e uniformi da cerimonia. Questi abiti devono essere veramente di ottima qualità se questa casa di moda riesce a mantenere tanto alungo il primato in questo campo.franz bubacek ha presentato all’esposizione gli abiti sportivi dell’imperatore. Il taglio della giacca Norfolk e nuovo e corretto. Nell’esporla il signor bubacek dimostra molto coraggio, no teme l’imitazione. Lo stesso si può osservare a

Questo sabba infernale. Anton Adam lavora bene, però la scollatura ei suoi gilè è troppo ampia.
Alexander Deutsch presenta un bel paltò invernale, Joseph Hummel un buon cappotto a doppiopetto, P Kroupa purtroppo rovina, con l’aggiunta dii una martingala, il suo soprabito, che per tutto il resto è corretto.
Avrei nominato volentieri anche un’altra casa che ha presentato al pubblico le sue creazioni.Quando però nella loro giacca Norfolk, ho provato a sollevare un poco la piega che serve a dare più ampia libertà di movimento al braccio, grazie alla maggiore quantità di stoffa , non ci sono riuscito. Era falsa.
( 22 maggio 1898)












-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2014
Cod. di rif: 4896
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: parole nel vuoto: La moda Maschile
Commenti:







Essere vestito bene-chi non lo vorrebbe?il nostro secolo ha fatto piazza pulita di ogni gerarchia obbligatoria nel vestiario e ognuno ha oggi il diritto di vestirsi come il re. Si può misurare il livello culturale di un paese dal numero dei suoi abitanti che fanno uso di tale conquista della libertà.In Inghilterra e in America tutti, nei paesi balcanici soltanto le diecimila persone di condizione più elevata. e in Austria?non ho il coraggio di rispondere a questa domanda.
un filosofo americano afferma da qualche parte: un giovane è ricco quando possiede intelligenza nella testa e un buon vestito nell'armadio. Questo filosofo è uno che la sa lunga.Conosce la sua gente.
A cosa può servire l’intelligenza se non si è in grado di imporla alla considerazione degli altri, presentandosi ben vestiti?Gli Inglesi e gli Americani esigono infatti che tutti siano vestiti bene.
I Tedeschi invece vogliono qualcosa di più. Vogliono che i vestiti siano anche belli.se gli Inglesi indossano pantaloni larghi , essi vogliono subito dimostrare loro- non so se con l'aiuto del vecchio Vischer o della sezione aurea- che sono anti estetici e che bello può dirsi soltanto il pantalone stretto.Ogni anno però, pur strepitando, imprecando maledicendo, si fanno allargare un pochino i pantaloni.Si lamentano:la moda è una vera tiranna. ma che cosa capita tutt' a un tratto?e' l'inizio di una trasvalutazione dei valori?Gli inglesi portano di nuovo i pantaloni stretti e di nuovo, esattamente alla stessa maniera, si oppone come unico canone di bellezza,il pantalone largo.Chi ci si raccapezza più!
naturalmente gli inglesi ridono dei Tedeschi e della loro sete di bellezza. La Venere de' Medici, il pantheon, un quadro di Botticelli, una canzone di Burns , questo sì che è bello!Ma i pantaloni!? o il fatto che la giacca abbia tre oppure quattro bottoni? che il gilè abbia il taglio alto oppure basso!?Non so, ma provo sempre un grande sgomento a sentir parlare di bellezza a proposito di queste cose. mi vengono regolarmente i nervi quando qualcuno, a proposito di un capo di abbigliamento, mi chiede con maligna soddisfazione."E' bello questo qui?"
I tedesche della migliore società stanno dalla parte degli Inglesi. Sono soddisfatti quando sono vestiti bene. rinunciano alla bellezza.Il grande poeta, il grande pittore , il grande architetto vestono come gli Inglesi. il poetastro, l'imbrattatele e l'architetto-artista, invece, fanno del loro corpo un altare dove si sacrifica la bellezza sotto la specie di un bavero di velluto,di una preziosa stoffa per i pantaloni o di cravatte in stile Secession.
(Prima parte)

-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2014
Cod. di rif: 4897
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: Parole nel vuoto: La moda maschile, parte seconda;
Commenti:
essere ben vestiti, che cosa significa: essere vestiti in modo corretto.
Essere vestiti in modo corretto! Ecco svelato in poche parole il istero nel quale era avvolta finora la nostra moda. Ci si è voluti avvicinare alla moda servendosi di aggettivi come bello, chic, elegante, disinvolto e audace.Ma non è questo il punto. Il punto è, invece, di vestire in modo da dare il meno possibile nell'occhio. Un frac rosso in una sala da ballo è vistoso. Di conseguenza il frac rosso in una sala da ballo è antiquato. Un cilindro in un campo da pattinaggio è vistoso. Di conseguenza il cilindro in un campo da pattinaggio è antiquato.Tutto ciò che dà troppo nell'occhio viene considerato sconveniente dalla buona società.
Questo principio però on è applicabile sempre Una giacca che può passare inosservata ad Hyde Park può invece attirare l'attenzione a Pechino, a Zanzibar o nella Stephansplatz. si tratta appunto di un principio europeo. Non si può pretendere da chi ha raggiunto il culmine della civiltà che si vesta a Pechino come un cinese, a Zanzibar come uno dell'Africa o nella Stephanpslatz come un viennese!Questa regola ha quindi una validità molto limitata. Per essere vestiti in modo corretto, non si deve dare nell'occhio se ci si trova nel punto centrale della civiltà.
Oggi il punto centrale della civiltà occidentale è Londra. Ma anche qui può capitare di trovarsi, per esempio se si fa una passeggiata, in una zona che si discosta notevolmente dal nostro ambiente abituale. Dovremmo quindi praticamente cambiare giacca a ogni incrocio.E questo francamente non va. E allora possiamo completare la nostra regola nel modo seguente: un capo di abbigliamento è moderno se, quando lo indossiamo in una determinata occasione trovandoci nel centro della civiltà e nella migliore società, si dà il meno possibile nell'occhio.
Questo principio inglese, che dovrebbe essere accettato da chiunque possieda una certa sensibilità, incontra invece viva ostilità da parte dei tedeschi della media e piccola borghesia. In nessun popolo esistono tanto gagà come tra i Tedeschi.Un gagà è una persona a cui il vestito serve anzitutto per distinguersi. E vengono chiamate in causa ora l'etica, ora l'igiene, ora l'estetica per tentare di spiegare questo comportamento da pagliaccio. Tra il maestro Diefenbach e il Professor Jager, tra i poetucoli moderni e il figlio di papà viennese esiste un legame che li unisce tutti spiritual. Eppure non si sopportano a vicenda.. Nessun gagà ammette di essere tale.un gagà si beffa dell'altro e con il pretesto di estirpare il gagarismo si commettono sempre nuove gagarie. Il gagà moderno o più semplicemente il gagà in generale non è che una sottospecie di una famiglia dalle molte ramificazioni.
I Tedeschi sospettano che sia proprio il gagà a determinare la moda. Ma questo onore non spetta certo a una creatura così inoffensiva. Da quanto abbiamo detto appare chiaro infatti che il gagà non veste neppure in modo moderno.Ma dir questo non è sufficiente. In realtà il gagà indossa sempre ciò che è ritenuto moderno nel suo ambiente.
E questo non corrisponde forse al moderno? No, nel modo più assoluto. Ed è per questo che in ogni città i gagà hanno un aspetto differente .Ciò che ad A fa una grande impressione, a B ha già perduto il suo fascino.Chi viene ammirato a Berlino rischia di apparire ridicolo a Vienna. Il pubblico più raffinato adotta in genere, in fatto di moda, quelle trasformazioni che meno vengono percepite dalle classi medie.Non c'è più quella protezione che dava la gerarchia obbligatoria nel vestiario e non è certo piacevole il fatto di poter essere copiati da chiunque il giorno dopo .In tal caso si dovrebbe dar da fare per trovare subito un'alternativa. Al fine di evitare questa eterna caccia a stoffe nuove e a nuovi tagli si adotta quindi il sistema della massima discrezione. Per anni la nuova forma viene gelosamente custodita dai grandi sarti coma un segreto, fin quando no viene spifferato da una rivista di moda.Poi trascorrono ancora un paio d'anni finché anche l'ultima persona del paese ne è venuta a conoscenza. Solo a questo punto viene il turno dei gagà che si appropriamo della faccenda. Nel corso di questo lungo pellegrinaggio la forma originale ha però subito considerevoli trasformazioni, adattandosi anche alle diverse situazioni geografiche.
Nel mondo intero i grandi sarti in grado di vestire una persona a regola d'arte si possono contare sulle dita.Vi sono in europa città di milioni di abitanti che non ne possiedono neppure uno.Persino a Berlino non ve n'era alcuno , finché un maestro viennese, E. Ebenstein,non vi aprì una filiale.Prima di questo avvenimento, la corte berlinese era costretta a farsi confezionare buona parte del guardaroba da Poole a Londra. Il fatto che noi a Vienna possediamo tutta una serie di queste rare case di moda, lo dobbiamo soltanto alla felice circostanza che la nostra aristocrazia frequenta normalmente il salotto della regina d’Inghilterra e ha avuto quindi occasione di servirsi da sarti inglesi, riuscendo così a introdurre a Vienna quel particolare tono di distinzione nell’ abbigliamento che ha consentito all’ arte del taglio viennese di raggiungere un altissimo livello.Si può quindi tranquillamente sostenere che nel continente le diecimila persone di condizione più elevata di Vienna sono le meglio vestite;e questo grazie al fatto che anche gli altri sarti, avendo subito l'influenza delle bradi sartorie di cui si diceva, hanno elevato il loro livello di produzione. (Parte Seconda)




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2014
Cod. di rif: 4898
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: La moda maschile, parole nel Vuoto, Parte Terza
Commenti:
Le grandi sartorie e quelle che le seguono più da vicino hanno un a caratteristica comune:il timore della pubblicità. esse limitano la massimo il numero dei clienti. forse non sono tanto esclusive quanto certe case di moda londinesi che sono accessibili soltanto su raccomandazione del Principe di Galles .Comunque no amano nessuna specie di ostentazione. La direzione dell'Esposizione ha avuto molte difficoltà a convincere alcuni tra i sarti migliori perché esponessero le loro creazioni. Dobbiamo riconoscere che costoro si so cavati d'impaccio con grande abilità, mostrando in pubblico unicamente quei capi che si sottraggono a ogni possibile imitazione.il più abile è stato Ebenstein. egli presenta un demidress( da noi erroneamente definito smoking) per i Tropici!, una giacca da caccia, una uniforme femminile prussiana da colonnello e una divisa da cocchiere con bottoni di madreperla, in cui ogni singolo bottone è una vera opera d'arte.A. Keller, accanto a uniformi stupende, presenta un frock coat completato dai tradizionali pantaloni grigi, con cui si potrebbe partire dall'Inghilterra assolutamente tranquilli. assai ben fatta sembra anche la giacca Norfolk. Uzel e Figlio presentano la specialità del loro laboratorio. uniformi di corte e uniformi da cerimonia.Questi abiti devono essere veramente di ottima qualità se questa casa di moda riesce a mantenere tanto a lungo il primato in questo campo. Franz bubacek ha presentato all’Esposizione gli abiti sportivi dell’imperatore. Il taglio della giacca Norfolk è nuovo e corretto. Nell’ esporla il signor Bubacek dimostra molto coraggio, nno teme l’imitazione. Lo stesso si può osservare a proposito di Goldman
& Salatsch, che presentano la loro specialità, le uniformi per equipaggio da yacht.
E a questo punto avrei esaurito gli elogi incondizionati.L'esposizione collettiva dell'associazione dei sarti di Vienna non li merita.Quando si lavora su commissione , capita spesso di dover chiudere tutti e due gli occhi, perché il cliente,imponendo quello che vuole lui, è spesso responsabile di cose di cattivo gusto. In quest'occasione però gli artigiani avevano la possibilità di dimostrare che , se viene data loro la libertà di azione e di scelta , sono superiori alla loro clientela e perfettamente in grado di accettare il confronto con le maggiori sartorie. Per la maggior parte , invece, si sono lasciati sfuggire questa occasione.La loro scarsa competenza si rivela già dalla scelta delle stoffe. Con il covercoat fanno dei paltò, con le stoffe da paltò dei covercoats. Con la stoffa da giacca Norfolk fanno abiti a sacco, col pettinato fanno redingotes.
Le cose non vanno meglio per quanto riguarda il taglio. Ben pochi sono partiti da presupposto di fare un lavoro fine, mentre la maggior parte si è rivolta ai gagà. Qui essi possono sguazzare nelle giacche a doppiopetto, negli abiti quadrettati con baveri di velluto! una di queste sartorie arriva al punto di munire una giacca di risvolti di velluto blu! Certo, se non è moderno questo...
Cito ora il nome di alcuni che si discostano da questo sabba infernale.Anton Adam lavora bene, però la scollatura dei suoi gilè è troppo ampia.Alexander Deutsch presenta un bel paltò invernale, Joseph Hummel un buon cappotto a doppiopetto, P kroupa purtroppo rovina, con l’aggiunta dii una martingala, il suo soprabito, che per tutto il resto è corretto.
Avrei nominato volentieri anche un’altra casa che ha presentato al pubblico le sue creazioni. Quando però nella loro giacca Norfolk, ho provato a sollevare un poco la piega che serve a dare più ampia libertà di movimento al braccio, grazie alla maggiore quantità di stoffa , non ci sono riuscito. Era falsa.
( 22 maggio 1898)




-----------------------------------------------------------------------------------------------------


Nome: Dante De Paz
Data: 16-11-2014
Cod. di rif: 4899
E-mail: dantedepaz@hotmail.com
Oggetto: La moda maschile: osservazioni e quesiti
Commenti:
Nobili Cavalieri visitatori e lettori tutti, come vedrete il saggio da me proposto è stato suddiviso in tre brevi puntate per ragioni squisitamente tecniche.
Ho cercato di dividere i testo in tre paragrafi, nei quali si isolano e si evidenziano i concetti principali, quasi fossero delle sequenze.
Spero gradiate la lettura e che essa inciti alla discussione, al dibattito e alla crescita comune su concetti fondamentali del bel vestire e del vestire corretto.
Cavallerescamente
Dante De Paz

-----------------------------------------------------------------------------------------------------