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Nome: Franco Forni
Data:
Cod. di rif: 10
E-mail: GONFAL@TIN.IT
Oggetto: ASSIMETRIE DELL'INFORMAZIONE
Commenti:
A proposito di articoli d'abbigliamento,un tempo di uso comune ed ora introvabili, mi viene da riportare la teoria delle "assimetrie dell'informazione" messa a punto dal prof. George Ackelof dell'Università di California che ha vinto l'ultimo premio Nobel per l'economia.
In breve la teoria recita:"se un acquirente non può giudicare le reali condizioni di un determinato oggetto che non conosce a fondo semplicemente guardandolo,allora il prezzo del mercato rifletterà la qualità media degli oggetti in vendita.
I venditori che sanno di avere oggetti analoghi migliori della media li toglieranno dal mercato, in quanto non sono in grado di trovare compratori in grado di capirne il vero valore.
Ne risulta che qualità e prezzo di quegli specifici oggetti scenderanno sempre di più, fino al collasso del mercato"
E' quello che purtroppo è accaduto e accadrà sempre di più se coloro che ancora conservano la memoria storica di queste conoscenze non riusciranno a trasmettere,ai compratori il "senso della ricerca",ed ai venditori la missione di "educare" il cliente.
Non a caso gli artigiani-massime i sarti-molto più di tanti libri o corsi dedicati,sono grandi educatori e vengono chiamati Maestri.


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Nome: Franco Forni
Data:
Cod. di rif: 15
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Virtù della scarpa lucida e della camicia bianca
Commenti:

Non ho mai posseduto un paio di scarpe che non mi fosse stato fatto su misura eccettuato qualche paio di splendide Lotus "penny loafter": A quei tempi, e mi riferisco ai primi anni sessanta, non appena arrivavi in collegio in Inghilterra era quasi d'obbligo averne un paio. E poi erano belle, pesanti, e indistruttibili. Ci infilavo dentro un penny vero e dovevamo domarle; avevo solo sedici anni.
Poi, frequentando ciabattini, ex calzolai, fabbriche - dai Magli ai Romagnoli, tutti miei amci - ho capito: la scarpa deve essere pesante, avere i lacci, essere foderata e, soprattutto, ben manutenuta. Sono divento grande.
Sono andato a scuola da loro: di alcune cose ho fatto tesoro, di altre no, perchè è proprio vero che se uno è ciabattino e lo rimane c'è un motivo.
Allora mi muovevo spesso tra Roma e Milano: mi sono servito presso l'ultimo lucidascarpe in via Belsiana ed ho fatto scorta - parlo di venticinque anni fa - della mitica cera Griffith. Il sabato, a Bologna, prima dell'aperitivo in centro, trascorrevo un paio d'ore a pulire qualche paio di scarpe come Dio comanda.
Vorrei segnalare a Soci e Visitatori un negozio di Milano che importa per tutta l'Italia le cere della Avel, secondo me in assoluto le migliori in commercio:
F.lli Santovito s.nc. dal 1938 - Corso di Porta Vigentina, 38 20122 Milano - tel. 02 58314951.
Qui la scarpa è cultura. Fateci una visita, citando uno di Bologna che fa parte di un gruppo di amatori. Potrebbe divenire un fornitore del C.O.

Altro argomento: la camicia bianca.
Leggendo l'intervento del Gran Maestro sulla camicia nella presente Porta dell'Abbigliamento sono rimasto francamente un po' deluso.
L'ho trovato troppo blando e accondiscendente verso la camicia azzurra verso la quale, pur possedendone alcune, ho molte riserve:
1° E' un capo troppo facile e si presta a troppe mediazioni: un gentiluomo deve conoscere le regole e, solo conoscendole, - fra l'altro anche parole tue - può ad esse trasgredire. La camicia azzurra spesso è il "refugium peccatorum" di chi non vuole o, più spesso non sa o può osare. Come lo splendido blazer. Andiamo avanti.
2° Ritengo che la camicia bianca costituisca un fulgido segno dell'affermazione maschile, perché costituisce un netto distinguo dai colori intermedi prediletti dalle donne che vogliono vestire i mariti.
3° Dà sempre un senso di pulito, non può venire portata due volte di seguito e tradisce la scarsa cura dedicata alla persona se non viene cambiata spesso. Io no, ma mio padre che venne ritratto in completo grigio fumo di Londra con tanto di pochette sulla cabinovia del Cristallo, ne cambiava tre al giorno. Ti rammento quel delizioso volumetto di Domenico Rea, che ricorda il momento in cui ordinò camicie azzurre ed il suo camiciaio gli chiese se doveva emigare? Ebbene noi non emigriamo. Ancora una volta un mastro sartore si è rivelato censore di facili costumi. Bravo.
4° L'abbigliamento sta toccando il suo punto più basso, e alcuni di Noi rappresentano al momento la memoria storica. Ricordate la teoria di Akeloff (citata più avanti - n.d.G.M.)? Certamente si. Ebbene con il vino sono riusciti ad invertire la tendenza, con il cibo ci stanno provando (con il servizio in sala invece no, in Italia siamo ai minimi),così il Gran Maestro dovrebbe diventare, spero meno corrotto, ma altrettanto combattivo e geniale, il Veronelli dell'abbigliamento, ma senza camicie azzurre per carità.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 08-10-2002
Cod. di rif: 46
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Minamae non curat praetor
Commenti:
Eccellentissimo Gran Maestro,
solo pochi giorni fa ho preso visione del corposo dossier intercorso tra il Cavaliere Villa
e te. E' intervenuto, verso la fine, un altro personaggio che sosteneva l'opportunità di un vestirsi attraverso fornitori che fornivano ottime giacche su taglia e con tutti gli accessori su misura etc. etc.

A questo signore rispondevi punto per punto,


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Nome: Franco Forni
Data: 18-11-2002
Cod. di rif: 110
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Giacca di tweed
Commenti:
Caro scudiero Villa,
ho letto quanto il Gran Maestro Le ha illustrato sulle caratteristiche che una giacca di tweed deve avere per adempiere al meglio il suo compito istituzionale:essere indossata in occasioni campestri e senza cappotto.
Aggiungerei un altro particolare che il Gran Mestro conosce - ne sono certo perché ne abbiamo parlato una volta -: il retro del colletto dovrebbe essere dello stesso tessuto della giacca e corredato da un bottoncino nascosto, in corno, in modo che, in caso di freddo si possa alzare il bavero e chiuderlo, rovesciando il colletto.
Complimenti per il suo desiderio di apprendere: nel Cavalleresco Ordine ha trovato pane per i Sui denti.
Mi permetto un altro consiglio: commetta qualche sbaglio; dai Suoi errori nascerà un consapevolezza diversa e più profonda.
Cavallereschi saluti,
Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 07-12-2002
Cod. di rif: 127
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: scarpe bicolori
Commenti:
Desidero innanzitutto congratularmi con il sig. Chiusa per la Sua bellissima lettera:trasmette amore, emozioni, sogni e fantasie ed infine l'inevitabile cedimento alla dolce violenza di una passione troppo a lungo repressa.
L'Uomo di Buon Gusto è uso a questi cedimenti.
Chi scrive su questi argomenti sui giornali - non il Gran Maestro che di passioni e cedimenti del genere ne ha fin troppi - dovrebbe riuscire, oltre al resto, a suscitare sentimenti analoghi in chi lo legge.
Veniamo alle Spectator: anch'io per anni ne sono stato tentato e non ho mai avuto il coraggio di procedere all'acquisto, per gli stessi motivi del sig. Chiusa.
Un giorno ho preso il toro per le corna e me ne sono fatte confezionare un paio in tela bianca e pelle blu con il fiore. Sportive dunque, estive con un tocco vagamente marino; non certo da lavoro, come giustamente riassume il nostro G. M..
Le occasioni per indossarle erano troppo poche perché con pantaloni di lino e camicia erano troppo pesanti, visto i lacci ed una suola 3A che in questo tipo di scarpa si impone; non troppo adatte per una passeggiata su un lungo mare che non fosse la costiera amalfitana.
Anni fa partecipai ad una bella festa estiva a porto Santo Stefano: molti in fumo di Londra (orrore d'estate, all'aperto, in riva al mare; ma molti erano politici) altri in blu (quorum ego), ed il Principe Corsini con un doppiopetto di lino bianco e bicolori lisce bianche e marrone chiaro.
Noi non siamo dei Principi Corsini ed allora ho saccheggiato le più belle canape del vecchio corredo di mia moglie (consenziente) e mi sono fatto confezionare dal mio sarto - un genio detto il Primario perchè taglia, cuce e costa molto - un abito completamente sfoderato con tre tasche applicate, fesse sotto le ascelle, doppio pantalone ed altri piccoli particolari in tono. Ha presente il film Novecento parte prima? Bene il vecchio padrone che andava nella stalla in mezzo allo strame con la giovanissima mungitrice mi riporta la sensazione di un abito simile.
Con questo abito, che laviamo in casa immergendolo in una vasca colma di acqua insaponata, porto le mie bicolori a feste e cene che si tengono in campagna.
In città no, non ancora, non sarebbe giusto; come Lei è abbastanza giovane per farlo, io non sono abbastanza vecchio.
A questo punto vorrei stimolare l'estro e la cultura del Nostro perché non sono convinto che l'uso della scarpa bicolore finisca qui.
Do un "incipit": abito di thornproof o ruvido cheviot, fors'anche un Donegal tweed, tutti sul marrone del bosco, completamente sfoderati ed una o due fonde sul di dietro (tali da consentire di imbracciare un fucile), tasche applicate ecc. Tutto questo non potrebbe forse sopportare una bicolore sportiva, una brogue bianca e marrone?
Se poi andiamo sulle Nothumberland ed i pantaloni alla zuava, quasi si impone.
Grande Maestro, elaboriamo, spremiamo le meningi, resciuscitiamo questo splendido capo senza essere ridicoli! Sono certo che riuscirai ad inventare qualcosa.
Franco Forni
P.S.
Ed il Primo Sorvegliante cosa ne pensa in merito?

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Nome: Franco Forni
Data: 29-01-2003
Cod. di rif: 157
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Maglieria: calze e maglioni
Commenti:
Caro Scudiero Villa,
la sua ultima risposta al Gran Maestro sulla maglieria mi riempie di una gioia che credevo non poter provare mai più.
Sentire parlare di maglieria a mano, di maniche, collo e bastonetto “calati” e cuciti a mano mi fanno tornare ad un tempo non troppo lontano in cui tutto questo era possibile, quasi normale e suscitano in me un’ondata di emozioni e di ricordi legati alla mia giovinezza.
Amo lo shetland e sono uso indossare maglioni Robertson a treccia che erano appunto confezionati con la “calata” e cuciti a mano.
Qualche anno fa, due, tre, non tanti, mi sono recato dal mio solito fornitore per acquistarne uno. Ebbene i commessi non sapevano nemmeno più di cosa parlassi, mi proponevano improbabili oggetti con attaccati scudetti di cuoio riportanti il marchio. Solo il titolare, a volte, ricordava tristemente i bei prodotti che fino a poco prima aveva tenuto e che ora non teneva perché nessuno li richiedeva più.
Ricorda la teoria del Nobel Ackeloff ? In pochi campi credo abbia avuto più rapida ed esemplare applicazione.
Ho fatto ricerche su Internet, ho intrattenuto una fitta corrispondenza con produttori dello Shetland e sa quale è stata la risposta? Di rivolgermi ad un certo De Paz di Bologna, Italia, che forse aveva ancora qualcosa di simile…
C’è un mondo di cultura e di emozioni dietro la maglieria ed io ho avuto la fortuna di viverne una buona parte.
Ricordo una foto del Principe di Galles in pantaloni alla zuava con pull over a rombi e calzettoni uguali, una meraviglia, una splendida sintesi di eleganza sportiva.
Avevo individuato una signora che in Umbria faceva calzettoni a mano, ho conservato l’indirizzo, ma è passato tanto tempo.
Purtroppo non si può prendere dappertutto, amico mio. A presto.
Cavallerescamente suo,
Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 29-01-2003
Cod. di rif: 158
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Amarcord Anglomania
Commenti:
Quando ero piccolo mi capitava a volte di accompagnare i mie genitori al cinema e, più che capire la trama, ascoltavo con orecchi aguzzi i loro commenti sui nostri attori che mi apparivano come ombre sfocate dei loro archetipi di oltremanica, il frustrante surrogato di ciò che si sarebbe veramente voluto possedere, indossare, ballare. Sentivo infatti mia madre sussurrare a mio padre: “ domani vado a vedere se De Paz (ancora lui, il padre, però) ha un tessuto come quello”.
Più tardi, imparato a leggere, invece che soffermarsi su Defoe o Dickens, la mia attenzione si cristallizzò su P. G. Wodehouse, Somerset Maugham, Edgar Wallace ed i loro personaggi. Nelle loro pagine scoprivo a poco a poco quanto fosse diversa, incantatrice, superiore la vita inglese: le tavole apparecchiate di tutto punto per la colazione al mattino, la complessa cerimonia del tè (altre porcellane, altro Sheffield) nel pomeriggio, i cortili di Oxford e Cambridge, la folla dei teatri del West End, il Ritz.
A me venivano date uova al prosciutto la mattina, con disapprovazione della nonna e meraviglia della cameriera che ci considerava degli originali. Mio padre, che mangiava caffelatte ristabiliva l’equilibrio. La guerra era finita da poco e non c’era ancora la televisione. Solo dalle fotografie dei settimanali illustrati riverberava la compiutezza degli archetipi: Anthony Eden, il colonnello divorziato Peter Townsend, lo “scudiero” e sfortunato amore – in quanto divorziato - della Principessa Margaret, Lawrence Olivier e Vivien Leight fasciati nei loro Burberry sotto la pioggia. Allora il trench era veramente per pochi e noi, che vivevamo a Bologna dotata di portici, portavamo solo cappotti.
Alle medie, con gli amici, abbiamo cominciato a fare sul serio; quante cose c’erano da imparare, studiando con il giusto trasporto quelle foto. La misura degli spacchi laterali di una giacca sportiva, i bottoni di un blazer, la sovrana arditezza di una camicia a righe sotto un vestito a righe.
Al liceo poi, il più della conversazione, avvolta nei fumi delle Senior Service o Craven A rubate ai genitori e fumate di nascosto nei gabinetti della scuola, verteva sul “vestire all’inglese”. I tessuti, i modelli delle scarpe Lobb (con accese discussioni tra chi sosteneva e chi negava che la derby di Lobb avesse sul didietro lo “sperone” anche se poi andavamo da Roveri o Cavazza dove negavano addirittura l’esistenza dei ferretti ), le lane e le marche dei pullover, gli impermeabili e gli ombrelli, i cravattai di Jermin Street, le calze Argyll (quelli si, tanti, sempre da De Paz) e i calzettoni Donegal visti solo in foto, il “sea island cotton” per le magliette estive, il lino irlandese per i fazzoletti, i “pin-stripes” e i “chalk-strikes”, l’intesa tra Edoardo Windsor e il sarto Sholte che tuttora ignoro chi sia, la lobbia di Lock che Oliver portava in Rebecca, i colli delle camice di David Niven per i quali tormentavamo le camiciaie, anziane già allora.
Una vera scienza, costruita a migliaia di chilometri di distanza, forse qua e là fallosa ma sempre ardente di passione. Sinché, alla fine dei Cinquanta non cominciarono i primi viaggi in Inghilterra dei compagni più grandi. Erano viaggi per gli apprendisti anglomani, stupendi e felici, ma il vero tripudio stava nel ritorno. Nell’arrivare a scuola o al Circolo Tennis con la cravatta delle Coldstrem Guards o del Clare College. Nell’esibire le scarpe scamosciate di Foster & Sons, il foulard di Tremmer o di Holland & Holland, le magliette di Allen & Solly, i cardigan in cammello naturale di Harrods, le calze di Thurnbull & Asser. E, soprattutto nel raccontare per ore i tesori d’arte visti nelle vetrine di Londra, i soli musei cui fossimo veramente interessati. La prima volta che venni mandato in collegio in Inghilterra – avevo 16 anni -, in una gita a Londra spesi tutto tra la Scotch House e Harrods e per fortuna che il ritorno era pagato.
Questa si, era anglomania. E infatti sconfinava nello scimmiottamento in un overacting nient’affatto inglese. Ma aveva di buono l’essere una specie di opera aperta, un continuo accrescersi delle conoscenze, una stratificazione infinita di nomi, strade, negozi, marche. Anche perché dopo il viaggio in Inghilterra veniva quello in Scozia e in Irlanda, dunque nuovi tipi di tweed, altri plaid e pullover, altri berretti e ombrelli per il golf, in un’ulteriore accensione dell’idea fissa. Nel 1983, ben istruito da Dante De Paz tornai con 11 colli e 88 chili di bagaglio.
Sinchè ad un certo punto la passione declinò bruscamente, e poi si spense. Fu alla fine degli anni sessanta, al tempo dei Beatles, di Mary Quant, dei film di James Bond. Un mondo intero incominciava così a decomporsi.
La società che aveva messo tanto puntiglio, una generazione dopo l’altra, ad imitare se stessa, stava facendo “harakiri”. Niente più ministri vestiti come Harold MacMillan o Douglas Home, il Ritz e Harrods in mano agli arabi, Jermin Street invasa dai coreani.
Ma noi anglomani di provincia che recepiamo le novità sempre con un certo ritardo abbiamo voluto insistere. Ancora negli anni ‘ 70 ai primi di ottobre formavano “gruppi di acquisto” che finanziavano il viaggio verso Livigno dove, dalla Giuseppina Mottini, arrivavano i nuovi Ballantyne a rombi con la mosca e, in misura più ridotta, i mitici Robertson dai quadretti piccolissimi al netto dell’IVA del 35%. Si partiva con una valigia vuota ed un paio di sci per non destare sospetti nei doganieri ed al ritorno si passava dalla Svizzera, via S. Moritz.
Se questo non è amore, anche per la maglieria …
Franco Forni
Bologna 29 gennaio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 13-05-2003
Cod. di rif: 258
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Clima, abbigliamento e virilità
Commenti:
Caro Gran Maestro,
colgo sempre più spesso nei tuoi scritti, come anche nell'ultimo su tessuti e clima, qualche accenno all'eleganza virile: non posso che approvare e proporre di approfondire il tema del Ruolo dell'Uomo, ruolo cui l'uomo ha rinunciato da tempo.
L'anno scorso, in giugno quando venne quella spaventosa ondata di caldo, presiedevo una cena in abito scuro a Bologna a Palazzo Isolani, dove si tenne la prima Adunanza Cavalleresca:era un via vai continuo al mio tavolo per chiedermi se ci si poteva togliere la giacca e la mia risposta era invariabilmente no! Venni guardato male dagli uomini, ma apprezzato dalle signore.
Molti uomini, anche di cinquant'anni,preferiscono indossare una giacca blu perchè intimiditi dal completo scuro, ritenuto "troppo impegnativo"; quasi nessuno porta più il cappello nel timore di apparire vecchio e ridicolo, come se il fatto di essere giovani rendesse automaticamente seri e affascinanti; per non parlare dei guanti ("non ho freddo alle mani", "tanto li perdo sempre" e se ci sono sono gialli) e degli ombrelli interi; tralascio i cappotti, sempre più spesso sostituiti da giacconi di plastica su sollecitazione delle mogli che vogliono un marito di settant'anni giovanile e sportivo.
Il tuo splendido articolo sulle valigie - complimenti di cuore - mi fa ricordare le orrende valigette in plastica e rotelle: che diamine, un gentiluomo non riesce più a trasportare una ventiquattr'ore di pelle dal binario al taxi?
Non si vede più un prete vestito da prete, un soldato con l'uniforme, un operaio con la divisa da falegname o da elettricista: nessun orgoglio della propria identità e del proprio ruolo, così come nessun coraggio o spirito di sacrificio: l'importante è confondersi nella massa, delle sagliette per gli "eleganti", dei jeans per gli "sportivi disinvolti".
Ovviamente il discorso è molto più profondo, ma che ne diresti intanto di incominciarlo?
Numquam servavi.

Franco Forni

Bologna, 12 Maggio 2003

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Nome: Franco Forni
Data: 13-05-2003
Cod. di rif: 260
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Punto cruciale 2
Commenti:
Caro Gran Maestro,
non appena inviata la lettera, mi sono accorto che la Lavagna dell'Abbigliamento non era la sede più adatta: il posto giusto era la Scrivania del Gran Maestro.
Mi ripromettevo di scusarmi e di proporti il trasferimento; come accade un po' troppo spesso ultimamente, mi hai letto nel pensiero e preceduto nell'azione.
Grazie ancora.
Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 19-05-2003
Cod. di rif: 271
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Camicie button down e cravatta
Commenti:
Caro Scudiero Villa,
Scudiero ancora per poco, se ben ricordo la Sua scheda.
Questa volta non sono d'accordo con Lei: i personaggi che porta ad esempio, ai quali aggiungerei Maurizio Marinella che ha la stessa abitudine, fanno storia a sè con la loro personalità e i loro vezzi.
Ritengo la camicia button down un capo già abbastanza informale di suo, che non abbisogna di ulteriori enfatizzazioni; anzi, dal momento che in genere è di un tessuto a righe o quadretti e abitualmente la si indossa con giacche sportive (almeno io la vedo così), credo che un tocco di rigore costituisca un piacevole contrasto.
Personalmente utilizzo colletti button down con camicie di flanella o di oxford pesante, anche di lino irlandese qualche volta, e tengo i bottoni allacciati, perché mi sento meglio così, non perché esista una regola: se esistesse, forse li slaccerei.
Nel rinnovarLe la mia stima e simpatia, cavallerescamente La saluto

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 20-05-2003
Cod. di rif: 273
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Camicie Brooks Brothers
Commenti:
Carissimo Scudiero Villa,
continui pure a sognare la Fifth Avenue, ma lasci pure tranquillamente perdere Brooks Brothers.
Nel 1996 durante un viaggio nel New England ad un certo rimasi senza camicie. Poiché tutti i capi dopo dopo essere stati un paio di volte nelle lavanderie degli alberghi americani assumono una identica tinta grigiastra ed una consistenza vagamente lanosa, a Boston ne acquistai due da Brooks Brothers.
Ebbene, queste sono di gran lunga le peggiori camicie, come fattura e come tessuto, che abbia mai posseduto, pari, forse, a quelle di Thurnbull&Hasser acquistate da Bardelli a Milano una volta che, causa un felice incontro, non tornai a casa per il fine settimana.
Però in quel caso il gioco valeva la candela...
Se può consolarla, hanno invece dei graziosi tubetti che contengono stecche di celluloide di tutte le misure con inciso in oro il loro marchio, ma qui si sta parlando di souvenir, non di camicie.
Adesso mi risulta che il rampollo di una grossa famiglia italiana abbia acquistato Brooks Brothers con l'intento di migliorarne la qualità.
Ci vuole poco.
La saluto cordialmente e continui così.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 22-05-2003
Cod. di rif: 283
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: O gran virtù dei Cavalieri antiqui!
Commenti:
Cinquant'anni fa, nel 1953, Giannino Marzotto vinceva su Ferrari la Mille e Miglia. Il Conte Marzotto tagliò vittoriosamente il traguardo indossando un pullover di cachemire; dal baule del coupé estrasse la giacca doppiopetto grigio fumo di Londra e a chi gli chiedeva conto di quella mise rispose "Avrei potuto ritirarmi ed allora sarei dovuto salire su un treno. Dovevo portarmi un abbigliamento consono".
Da "Il Resto del Carlino" 22.05.03

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Nome: Franco Forni
Data: 06-06-2003
Cod. di rif: 298
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: La dura milizia del matrimonio
Commenti:
Sacrosante parole quelle del nostro Gran Maestro!
Mi sono sposato tardi, dopo i cinquant'anni e credevo di essere abbastanza risoluto nel difendere i miei spazi in un guardaroba che una volta bastava a una famiglia di cinque persone.
Avevo anche una guardarobiera, fedelissima, che tre pomeriggi alla settimana si dedicava al mio abbigliamento e lo proteggeva da ogni intrusione.
Niente di tutto questo è bastato: un'osservazione un giorno, una supplica un altro, una dolce richiesta il terzo, e le mie giacche nelle stagioni morte riposano strette come sardine negli astucci aperti in fondo.
A questo punto uso l'accorgimento di mettere gli abiti all'aria qualche giorno prima e sfumarli con il vapore ad ogni cambio di stagione.
Per la pulizia degli abiti estivi non c'é problema: faccio mettere a bagno in acqua bollente le fodere ed il tessuto prima di portarli dal sarto e poi li faccio lavare in casa con acqua e sapone dalla fida guardarobiera.
Per le giacche invernali, si consoli il Gran Maestro, non è il solo a farsi rifare il collo!
Tempo fa scrissi su questa lavagna che se avessi potuto con la bacchetta magica avere un abito perfetto, non l'avrei voluto; adesso aggiungo che con quella bacchetta farei rivoltare i cappotti.

Franco Forni

Bologna, 6 giugno 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 28-06-2003
Cod. di rif: 323
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Pinces
Commenti:
Caro Magnus Magister,
di ritorno da una breve vacanza ho letto la tua risposta.
Fino ad una ventina di anni fa, se ben ricordo, si vedevano, ancorché rari, pantaloni con tre pinces; io stesso ne ho fatto uso quando il tessuto lo permetteva e volevo dare all'abito quel che di antiquato e desueto da sembrare ereditato dal nonno. Anche Indro Montanelli mi pare le portasse così.
Adesso che antiquato e desueto lo sono io, l'eliminazione della terza pince mi ha consentito di allargare i pantaloni e recuperare qualche vestito.
Qual'è la tua opinione in merito?
Con affetto.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 06-07-2003
Cod. di rif: 333
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Abito Bianco
Commenti:
Caro Gran Maestro,
Estate. Abiti chiari di shantung, cotone e lino e una domanda: in occasione di feste, incontri formali - non cerimonie ovviamente - è lecito indossare un doppiopetto di lino bianco? O, meglio, è equiparabile ad un abito scuro?
Fino a una ventina di anni fa, quando in luglio accompagnavo mia madre all’Arena di Verona, le signore, soprattutto straniere, indossavano abiti lunghi ed i loro accompagnatori erano vestiti di bianco e ad una festa molto elegante tenutasi a Porto S. Stefano il principe Corsini indossava un doppiopetto di lino bianco con scarpe bicolori marrone (boh…) e così via in tante altre occasioni.
L’abito bianco in città richiede coraggio, disinvoltura onde non sembrare un fazendero brasiliano e devozione perché si sporca facilmente, ma il risultato è impagabile.
Il Gentiluomo, abbandonato per una volta l’understatement, si staglia sulla massa e rivela al mondo che lui può: può indossare abiti bianchi senza sembrare un gelataio come spesso insinuano mogli e fidanzate che lo vorrebbero vestito come un cremino; può reggere pieghe e stazzonature che, anzi, danno quell’aria di vissuto che i managerini, leccati nei loro tasmanian fumo di Londra temono come la peste e, soprattutto, è suo agio con la giacca perché il suo abbigliamento è in sintonia con la stagione.
In questo mondo, in cui esiste un’armonia prestabilita, un accordo sinfonico unisce uomini e cose: tutto corrisponde a tutto e credo che il ciclo stagionale, nel suo significato reale e simbolico, stia alla base anche del vestirsi: come nella vita, in natura e nella storia, ogni periodo è regolato da forze specifiche, tutte indispensabili e diversamente distribuite che corrispondono ad una tappa di questo ciclo.
Ero partito con una domanda ed ho terminato con una divagazione.
Numquam servavi.

Franco Forni

Bologna, 6 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 06-07-2003
Cod. di rif: 337
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Smoking estivo
Commenti:
Caro Gran Maestro,
sarei intenzionato a farmi confezionare uno smoking estivo (intero) con in aggiunta una giacca bianca e colgo l’occasione dell’intervento del sig. Lupo per rivolgerti a mia volta qualche domanda.
1. Nero o blu midnight? So che quest’ultimo non incontra i tuoi gusti e nemmeno i miei, ma il blu in estate dà un idea di fresco…
2. La giacca bianca. Il mio sarto racconta di un lino satin, scomparso da decenni e sconosciuto ai più; in un tuo gesso tu parli di lino raso e lino prunella: sono solo per donna o potrebbero andar bene? In alternativa c’è lo shantung, forse troppo pesante. Comunque dove si potrebbero trovare?
3. Revers sciallati. Non mi piacciono, mi ricordano un arbitro di boxe; sono validi i revers a lancia con il gros grain anziché il raso?
4. Fascia. Con lo smoking invernale porto il gilet, quello sì con il collo sciallato, ma per l’estate occorre la fascia, e quelle in giro sono orribili. Scrivesti una volta che è possibile farle fare su misura: a Napoli forse Halston, ma altrove?
Come tu ben sai il piacere di un vestito è tutto qui. Nasce da un’idea; visto con la fantasia, viene elaborato con l’immaginazione; prosegue con la ricerca del tessuto; con i dubbi e le macerazioni che ogni scelta comporta: occorre vincere le lusinghe dell’abile venditore che ci propone panni che al momento non servono, ma ci piacciono e non è facile resistere, perché siamo deboli ed usi a cedere alla dolce violenza di un astuto mercante come una bella donna di fronte ad un maliardo seduttore; continua con il Maestro Sarto, grande educatore, al quale chiediamo la perfezione pur sapendo che mai ci soddisferà del tutto; e non appena tutto è pronto, via con nuove idee, nuovi progetti e relative difficoltà.
Sì, direi proprio che il farsi un abito è una scuola di vita e che solo dopo molti vestiti si può affrontare il matrimonio.
Numquam servavi.

Franco Forni

Bologna, 6 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 06-07-2003
Cod. di rif: 339
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Smoking estivo
Commenti:
Caro signor Pugliatti,
Le sono grato per il Suo intervento e per i consigli elargiti con tanta franchezza e competenza in questo luogo di incontro e di lavoro.
I miei ricordi di smoking estivi risalgono alla Riccione degli anni ‘50 e primi ’60; da allora il nulla, almeno a Bologna, dove da maggio a ottobre cessano gli eventi mondani.
Nelle mie fantasie avevo pensato alla giacca bianca ed allo smoking blu midnight senza riflettere sull’accostamento giacca-pantalone, che è veramente orribile; per quanto riguarda i revers si tratta di ignoranza vera e propria.
Come vede, anche dopo la Sua risposta i dubbi sono tanti: mi piacerebbe lo shantung e mi piacerebbe il doppiopetto a quattro bottoni, ma temo che l’uno e l’altro rendano la mise un po’ pesante; rimane inoltre il non facile problema del reperimento del tessuto.
La ringrazio ancora e, vista la Sua esperienza in merito, mi piacerebbe conoscere il Suo parere sull’utilizzo dell’abito bianco in occasioni formali.
Cavallereschi saluti,

Franco Forni

Bologna, 6 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 07-07-2003
Cod. di rif: 343
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: L'abito formale estivo
Commenti:
Egregio signor Pugliatti,
altro che tediarmi, con i Suoi consigli mi illumina! Ho letto anch’io a suo tempo “Vestiti e usciamo” di Luigi Settembrini e forse da lì proveniva la mia propensione per il lino, specie se avvolto da un manto di mistero come quello satin ricordato dal Maestro sarto.
Concordo con Lei: per una giacca bianca è meglio qualcosa di più rigido del lino ed il gabardine è troppo pesante; la tela di lana usata dai Principi della Chiesa in Africa mi sembra perfetta: il clero raramente sbaglia e inoltre il tessuto ben si adatta a quello del pantalone.
La decisione è dunque presa: doppiopetto a quattro bottoni nella stoffa dei Monsignori; la caccia è aperta.
Per quanto riguarda l’abito di lino blu, non le nascondo qualche perplessità: associo questo meraviglioso tessuto all’Egitto, alle tuniche dei sacerdoti, ad un sole abbacinante; nei colori scuri mi da l’idea di qualcosa di polveroso, che assorbe la luce e stinge. L’ideale sarebbe lo shantung, che, come detto, non si trova più.
Approfitto della Sua disponibilità per attingere al Suo sapere su un’altra tenuta estiva che ho avuto modo di ammirare l’anno scorso. Ad una festa di matrimonio, di sera sul mare, un gentiluomo napoletano indossava pantaloni bianchi senza risvolto ed una giacca nera da smoking; ho visto un’analoga “mise” in un figurino del 1935.
La Sua profonda competenza e l’originalità delle soluzioni che propone mi spingono a rivolgermi a Lei ancora una volta.
Mi rallegro di averLa incontrata e rinnovo i miei cavallereschi saluti.

Franco Forni

Bologna, 7 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 09-07-2003
Cod. di rif: 363
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Il viaggio
Commenti:
Caro sig. Pugliatti,
gemme preziose sgorgano dalla Sua sapienza a formare un tesoro al quale l’appassionato si accosta con voluttà, faticando però a discernere le pietre di cui adornarsi alla bisogna; proverò pertanto a risponderLe con ordine.
Curiosamente tutto è nato da una diatriba proprio con l’amico De Paz (che tra l’altro è uno dei fondatori del Cavalleresco Ordine) che, di fronte a un vecchio lino da lui vendutomi tanti anni fa, sosteneva l’opportunità di confezionarlo doppiopetto con tre tasche applicate e doppia impuntura, onde evitare la banalità del solito abito bianco. A questo punto sono stato preso dal desiderio di affrontare in maniera organica l’argomento dell’abito formale estivo e in questa ricerca gli interventi Suoi e del Gran Maestro, specie per l’approfondimento storico che reputo la base per ogni ricerca seria, hanno grandemente contribuito a chiarirmi le idee.
Dunque niente pantaloni bianchi con giacca da smoking nera, anche se l’insieme è estremamente affascinante; niente shantung, perché il sommo Dante, più a suo agio con tessuti rustici e gessati, non ne trova più, tanto meno di pesante e fiammato; niente gabardine, troppo “stiff” e niente lino. Anche per la giacca bianca a questo punto sono perplesso, ma l’idea del tessuto per ecclesiastici in missione africana mi tenta moltissimo, fosse solo per la ricerca che comporta.
Lascerò decidere al caso: se trovo questa “benedetta” stoffa, smoking intero nero da alternare con la giacca bianca, altrimenti solo dinner jacket blu midnight; in ogni caso doppiopetto bianco a sei bottoni con tasche tagliate.
La ringrazio e cavallerescamente La saluto con questi versi di Kafavis, poeta molto amato anche dal nostro Gran Maestro:
“Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze “…”
Soprattutto non affrettare il viaggio;
fai che duri a lungo, per anni e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare”.

Franco Forni

Bologna, 9 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 16-07-2003
Cod. di rif: 387
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Mocassini e scarpe con stringhe
Commenti:
Carissimo Gran Maestro,
quando ti assenti per il mondo la tua mancanza si sente, eccome.
Per una volta però non sono d'accordo sull'utilizzo del mocassino.
Secondo me il mocassino, o meglio la pantofola perché il mocassino ha una fattura completamente diversa, è un capo assolutamente sportivo anche se foderato come tutte le calzature dovrebbero essere.
Certo, può essere indossato con un completo - purché sia di taglio sportivo e d'estate - soprattutto da un giovane come lo scudiero Chiusa, ma la Scarpa prevede le stringhe, la suola più o meno grossa e deve brillare.
Il tuo dettato, apre inoltre la porta a dubbi avventurismi che purtroppo sono già in atto. Tre anni fa ad un matrimonio veramente importante, con lo sposo in tight e tutto il resto, ho dovuto assistere al poco edificante spettacolo di numerosi invitati di una certa età che indossavano pantofole sotto un impeccabile abito scuro.
D'accordo, tu ne hai escluso l'utilizzo in caso di cerimonie et similia, ma accettarlo con l'abito seminformale crea un pericoloso quanto errato precedente.
Potrò sembrare troppo rigoroso e anacronistico, ma l'aspetto e il simbolo ritrovano precisi riferimenti e stimoli nell'abbigliamento e nei segni. L'uso di adottare un determinato codice costituisce infatti un sistema di segni ed anche in questo aspetto si manifesta la radice cavalleresca del nostro Ordine.
Il Cavaliere rappresenta non solo se stesso, ma un ruolo, una funzione; sente, quasi per induzione, che ripete e perpetua un senso ereditato da una tradizione antica; in questa accezione, l'anacronismo è funzionale a questa consapevolezza, ha una forte capacità di evocare il legame con essa, e di portare a riflettere sul senso reale delle apparenze, sulla necessità di ricuperarne ogni volta la radice più autentica.
In sintesi, l’abbigliamento aiuta il Cavaliere a capire chi, come e dove è, riportandolo alla sua natura e funzione senza staccarlo dal proprio quotidiano.
Ti saluto con affetto, ci sei mancato.

Franco Forni

Bologna, 15 luglio 2003


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Nome: Franco forni
Data: 16-07-2003
Cod. di rif: 388
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Finollo
Commenti:
Per quanto riguarda Finollo, mi duole ammettere che hai ragione su tutto, mi meraviglia solo che non abbia già venduto da qualche anno.
Il fatto è che grazie a Luca, che più che un commesso è un direttore - tiene in piedi il negozio con un tratto ed una cortesia di altri tempi, fa le prove con la tela e con il tessuto, intrattiene i clienti (siamo stati anche a pranzo insieme), telefona per invitarti a Milano eccetera - gode ancora dei favori di una clientela ricchissima ed internazionale che fa ordini telefonici di una dozzina di camicie per ogni colore. Ho sentito con le mie orecchie l'ordine di cinque dozzine di camicie da parte di un Agnelli (non l'Avvocato). Sono sempre sessantasei milioni di vecchie lire in cinque minuti.
Quando i ricchi cominceranno a comportarsi da signori per loro sarà la fine.

Franco Forni

Bologna, 16 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 18-07-2003
Cod. di rif: 401
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: De sitibus
Commenti:
Cari Cavalieri,
sono laureato in ingegneria elettrotecnica e telefonia, ma dal 1983 mi occupo di informatica, non come tecnico però, ma come gestore di tecnici o come consulente di acquisto. Parecchi conoscenti mi hanno chiesto consiglio per i loro siti, presentandomi progetti fatti da ditte specializzate o da tecnici.
Lasciando per un attimo da parte i tecnici, che in fondo sono tenuti a realizzare al meglio quanto viene ordinato, non potete immaginare - forse solo il Gran Maestro, giurista e progettista di uno dei MIGLIORI SITI DEL MONDO, DICO DEL MONDO e in più tecnico che morirà umanista, ne ha una idea - di quanto siano sofisticati i loro modi di agire.
Queste aziende si presentano bene, con ottime referenze, prodotti tecnicamente ben costruiti e prezzi tutto sommato abbordabili e congrui; vanno dai clienti con fotografi preparati e si occupano anche di presentazioni e brochure. Quello che c'è dietro sono i contratti, con foro competente Londra o qualche località degli Stati Uniti, spesso oscuri anche ad un legale, che consentono loro di godere degli effetti collaterali del marchio per moltissimi anni, di raccogliere "cookies", biscottini con tutte le caratteristiche del consultatore, compreso gli indirizzi, e “least but not last”, di impadronirsi in pratica nel mondo anche se in un tempo abbastanza lungo, del marchio della ditta alla quale hanno venduto il servizio. Il “business” è di molte decine di volte il fatturato delle ditte in questione, fa paura.
La loro promessa è far vendere di più, ed ogni commerciante, anche il più puro, rimane affascinato dalla prospettiva. Il risultato è di snaturarle, globalizzarle, schiacciarle.
Con l’avv. Maresca abbiamo discusso più volte sulla materia e devo confessare che non so dare né un parere né una soluzione; posso dire che, come cliente, gli unici siti che mi danno una moderata soddisfazione sono quelli degli alberghi austriaci e delle Ferrovie svizzere.
I siti di cui stiamo dibattendo non sono orientati al cliente che li ha fatti grandi, ma al potenziale cliente generico, quello che li ucciderà. I sarti di Saville Row sono l’esempio.
A questo punto i signori Marinella, Rubinacci ed altri, dovrebbero rivolgersi, anziché ad un esperto di marketing o di siti, prima di tutto a se stessi per sapere quale sono gli obiettivi di vita loro e della loro azienda, poi ai clienti, quindi a un sociologo per definirli, quindi a degli umanisti con competenze tecniche. Stese le specifiche con la consulenza di un tecnico ben guidato, si potrà procedere alle gare di appalto e alla commessa. Credo che basti un centinaio di milioni in più.
L’alternativa di non apparire, a suo tempo prospettata dal Gran Maestro, ha una forte valenza etica ed è in gran parte condivisibile; forse ha ragione; personalmente non so quanta vita possa avere una ditta artigiana senza apparire su internet, per certo di più di quanto durerà con siti di questo genere. Faccio un esempio: volevo far confezionare al maestro Talarico un ombrello da montagna in tela di loden; ho consultato il sito di Homburg, ditta di Salisburgo che so produrre una stoffa atta a questo scopo: ebbene mi hanno proposto di tutto, mi hanno mandato una serie di depliant e mi hanno indirizzato ad uno show room di Milano; ci sono andato: inaccessibile ai privati, eppure la stoffa c’è, esiste.
Attenzione a questi discorsi! Il Nostro potrebbe abbandonarci e, in qualità di tecnico-umanista, dedicarsi alla ben più remunerativa attività di progettatore di siti.
Numquam servavi.
Franco Forni
Bologna, 18 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 18-07-2003
Cod. di rif: 402
E-mail: Gonfal@Tin.it
Oggetto: Superior stabat lupus, longeque inferior agnus
Commenti:
Caro Giancarlo,
Eh no, è troppo! Stavo scrivendo un ponderoso gesso sui siti e tu, lupus, mi hai preceduto con gli ombrelli.
Ebbene l'agnus questa volta si ribella, solo un poco, però.
In marzo a Cortina, reduce dall'incidente, ho comprato in un negozietto un bastone in bambù a cannocchiale dal quale si può estrarre un sottilissimo ombrello in seta che ha qualche buchetto. Dopo il tuo annuncio ritengo sarà tuo dovere morale convincere Talarico a cambiare la seta del mio ombrello. Così vedremo se riuscirà a farla entrare nel cavo al posto di quella vecchia.
Facile sfidare i Briggs con la loro grossima tela, vediamo con quella dei vecchi setaioli comaschi.
Con affetto,
Franco


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Nome: Franco Forni
Data: 18-07-2003
Cod. di rif: 403
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: La buona vita
Commenti:
Caro signor Grassetto,
In quanto semplice Cavaliere vorrei risponderLe in maniera meno diplomatica del Gran Maestro e sgombrare gli equivoci una volta per tutte.
Non mi nasconderò dietro l’ipocrisia che è sufficiente un sigaro al mese, una grande bottiglia all’anno ed un bel vestito ogni tre; quest’assunto risulta veritiero solo per chi culturalmente accetta il concetto dell’apprendistato e della selezione, e non mi pare il suo caso.
Un detto spagnolo recita: “la buona vita è cara; ne esiste un'altra più a buon mercato, ma non è vita”. E chi di noi può, cerca di perseguire una buona vita, non lunga, non di lusso, ma intensa e raffinata; senza rimorsi e senza ipocrisie.
La buona tavola costa, i buoni sigari hanno un prezzo elevato, così come l’abbigliamento e i buoni alberghi e le belle auto (ho detto belle, non potenti), anche i libri; ed è evidente che tutti questi piaceri, concessi contemporaneamente e in qualità illimitata, non sono per tutti, anzi per pochissimi.
Noi non siamo di destra o di sinistra, abbiamo dei valori, ma sono individuali e ce li teniamo per noi; ci piacciono le differenze, gli odori, i sapori, le scelte autonome ancorché controcorrente e anacronistiche; non siamo democratici e ci siamo dati una struttura gerarchica e piramidale che ci piace e che desideriamo continui.
In sintesi non siamo buoni né buonisti.
Per quanto La riguarda tutto dipende da quelli che sono i Suoi obiettivi di vita e da come intende realizzarli, al di là del contesto nel quale il suo reddito si colloca.
Il fatto è che fino a qualche anno fa, i primissimi ’90 per l’esattezza, esisteva in Italia la possibilità del lusso a buon mercato: un ossimoro reso possibile da una situazione anomala che ha violentato ogni regola economica instillando il concetto di diritto tralasciando quello di dovere.
Per esempio lei non ha nessun diritto di pretendere di vestire in un certo modo o di gustare un puro dell’Avana: se non vuole spendere vada a funghi che non costa nulla.
Le ripeto quanto ho già avuto modo di dire più volte in altra sede: il nostro è un Ordine Iniziatico, Cavalleresco, e Monastico in cui è giusto che ognuno provi ad entrare e, se non si trova a suo agio, se ne possa tranquillamente andare.
- Ordine perché l'Ordine è una regola a cui gli uomini si sottomettono volontariamente per libera scelta per uno scopo comune; l'Ordine è anche l'organizzazione di questi uomini liberi.
- Iniziatico perché accetta e dà la possibilità ed aiuta ad arrivare alla conoscenza.
- Cavalleresco perché formato da uomini elevati esclusivamente per le loro potenzialità e meriti, nobili non per diritto di nascita, ma per personale investitura di un titolo non trasmissibile.
- Monastico perché, pur nel rapporto del comune sentire, strumento di stimolo e aiuto, ciascuno è solo nella sua ricerca, come ciascuno è solo nella sua crescita.
Nel medio evo gli scudieri percorrevano un lungo apprendistato fatto di sacrifici e di rinunce per poter divenire cavalieri e permettersi un cavallo, uno scudo ed una spada; lo stesso i Moschettieri del Re e i cadetti dell’otto-novecento e Lei?
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

Bologna, 18 luglio 2003


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Nome: Franco Forni
Data: 29-07-2003
Cod. di rif: 448
E-mail: Gonfal@tin.it
Oggetto: Giacca Maremmana
Commenti:
Egregio Scudiero Villa,
la cravatta va sempre, dico sempre, messa nelle occasioni campestri che prevedono la giacca.
A caccia, a pesca, al tirassegno e in passegiata, quando si indossa una giacca occorre la cravatta.
Esistono precisi codici in merito: pensi solo che il disegno del tessuto da camicie per queste occasioni, il Tattersall, prevede addirittura un finestrato per la caccia, uno diverso per lo "shot", un altro per la camminata e così via. Si figuri il resto.
Quanto alla giacca penso che il fustagno marrone scuro sia il più adatto.
In materia naturalmente De Paz sa tutto.
Pronto ad essere smentito, Cavallerescamente Suo,

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 05-10-2003
Cod. di rif: 574
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: abiti formali per matrimonio
Commenti:
Quando lessi la richiesta di consigli del signor Boeri non avevo dubbi sulla risposta che gli sarebbe giunta dal nostro Gran Maestro: abito grigio scuro fumo di Londra; camicia bianca eventualmente con gemelli; scarpe nere allacciate; cravatta grigia a pallini bianchi e una bella dissertazione sull’inopportunità di qualunque deroga.
Nel gennaio di dieci anni fa mi rifiutai di fare il testimone ad un amico carissimo che, sull’onta del risparmio, pretendeva di indossare un abito blu; la sposa, d’accordo con me, si oppose al matrimonio con un uomo in blu e l’amico, piuttosto che spendere, indossò uno scurissimo fumo di Londra estivo. Sono vivi entrambi e il matrimonio è felice.
La risposta del Nostro, così possibilista verso altre forme di esternazione, mi lasciò perplesso ma tacqui, non per dubbio ma per rispetto.
Il coraggioso gesso del Cav. Marseglia ha incrinato un muro che, nella mia vigliaccheria, non avevo osato sfondare.
Le citazioni, la risposta in attesa di un “Supremo Giudizio” di non si sa di quale arbitro e delle sue motivazioni mi sembravano un inutile orpello, ma ho taciuto ancora perché in Ordine Cavalleresco esiste la regola dell’affidamento riferita al Gran Maestro.
Ora il “Supremo Giudizio” è arrivato, le motivazioni anche: NO all’abito blu in occasione di cerimonie mattutine.
Ma, dal momento che l´assoggettamento al Gran Maestro non è meramente passivo ed opera all´interno di una gerarchia non soltanto formale, ma sostanziale, di contenuto, mi si consenta di citare lo Stesso nel riferimento N. 14 di questa lavagna: “ La distruzione sistematica di ogni codice mira, consciamente o inconsciamente, all'abbattimento del vivere civile… A prescindere dal piacere estetico che si ricava dall'indossare e/o dal vedere un abito di qualità ben abbinato, a prescindere dalla simbologia di una tenuta formale … ad un matrimonio o ad un esame si partecipa aderendo coscientemente ad una storia della quale, se si vuole far parte, è necessario riconoscere le norme”.
Personalmente alle cerimonie indosso, a seconda delle stagioni, tre abiti grigi scurissimi, “disegno non disegno” , con giacca due bottoni e pantaloni senza risvolti.

Bologna, 4 ottobre 2003

Franco Forni



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Nome: Franco Forni
Data: 03-11-2003
Cod. di rif: 710
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Il gentiluomo in British warmer
Commenti:
Il giorno dopo un Laboratorio d'Eleganza, insieme con il Gran Mestro e Dante De Paz ci stavamo dirigendo verso London House, quando uno dei rari negozi che vendono solo tessuti attrasse la nostra attenzione.
Un po' per curiosità e un po' nell'eterna speranza di scovare qualche cosa di particolare, entrammo. All'interno c'era un gentiluomo che ripeteva ossessivamente: "Opsack, mi faccia vedere un opsack!" mentre il commesso gli sottoponeva ogni sorta di tessuto, ma non quello giusto.
De Paz non resistette: saltò dall'altra parte del bancone, estrasse dallo scaffale la pezza di opsack e cominciò a decantarne i pregi tentando addirittura di vendergliene un taglio.
Il gentiluomo non fece una piega, riconobbe il vero Opsack, e , non trovando il colore che cercava, ringraziò e scomparve.
Lo ritrovammo pochi minuti dopo nell'atelier di Mariano Rubinacci dai cui sarti era andato a farsi cucire un bottone della giacca che si era staccato.
Ad andar per tessuti succede anche questo...

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 09-11-2003
Cod. di rif: 730
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Traduzione
Commenti:
L'asta del guardaroba del Duca di Windsor mi aveva sempre affascinato, così, quando ho letto l'articolo riportato dal "segugio" Cav. Marseglia, mi è venuta voglia di tradurlo.
Come al solito il Gran Maestro mi ha preceduto con il commento.
" “Fashion’s Royal Inspiration, Fit for a King”
by William Kissel
Robb Report - January 2001

Edoardo VIII, Duca di Windsor, morì nel 1972 a 77 anni e lasciò un guardaroba ed una collezione di gioielli tra i più ambiti del mondo. Quando nel 1998 questi vennero messi all’asta da Sotheby’s, tra i partecipanti si scatenò una vera e propria battaglia che fruttò 23,5 milioni di dollari, destinati a beneficenza.
La maggior parte degli abiti del Duca, confezionati in Saville Row, se la aggiudicarono i fabbricanti italiani Brioni e Kiton; quest’ultimo creò poi una collezione basata sugli abiti del Duca, compresi i pantaloncini corti con boxer incorporati.
La gioielleria – quasi 400 pezzi – venne acquistata dagli imprenditori Sam Bargad e Barry Peel che la chiamarono “Collezione Windsor” e la rivendettero a pezzi tramite i dettaglianti Neiman Marcus, Wilkes Bashford a San Francisco e Fred Segal a Los Angeles.
Si possono comprare i suoi vestiti, portare i suoi anelli e i suoi orologi, ma il massimo del piacere si prova ad infilarsi in qualcosa del Duca: la sua veste da camera. La sua vestaglia cremisi e blu navy, molto usata, andò al produttore di abbigliamento da casa di Savile Row, Derek Rose, che sborsò parecchie centinaia di sterline per aggiudicarsela.
All’inizio Rose intendeva tenerla come souvenir; poi si chiese se altri gentiluomini nati per una vita di agi potessero desiderare di condividere l’impeccabile stile di vita casalingo del Duca e disegnò una versione della veste da camera di Edward, completa di nappine e cintura di seta e la mise in vendita da Sacks della Quinta Avenue a $ 600.
“L’originale aveva un sacco di buchi provocati dalle sigarette del Duca” racconta Rose, uno snello gentiluomo brizzolato che ha trascorso gran parte della sua vita a produrre vestaglie e pigiami. L’abbigliamento da casa di Derek Rose, come gli abiti di Andersen&Sheperd e le camicie di Turnbull&Asser costituisce la prima scelta del Principe Carlo e dei suoi figli, mentre su questo lato dell’Atlantico viene indossato da un altro genere di reali, le stelle di Hollywood.
La veste da camera del Duca venne confezionata da Hawes&Curtis di Londra, ora scomparso, intorno al 1945, in occasione del suo primo ritorno in Inghilterra dopo l’abdicazione del 1936 e la indossò a Marlborough durante la visita a sua madre, Queen Mary. Il monogramma, costituito dalla lettera E (Edward) sormontata dalla corona gentilizia con il simbolo reale, è posto sul taschino.
Rose l’ha abilmente riprodotta sotto la sua etichetta per gli altri regnanti in carica, ha venduto tutte le vesti da camera ed ha una lunga lista d’attesa di altri nobili.
Un futuro re costituisce il motivo ispiratore per la sua collezione primavera 2001: ha creato una serie di pigiami di raso a righe regimental simili a quelle del berretto e della cravatta del Cricket Club di Eton, dove l’anno scorso si è diplomato il Principe William.
Viene prodotta anche una collezione di pigiami di cotone a righe i cui disegni sono ripresi dai nastrini delle medaglie al valore assegnate durante la guerra di Crimea. Ogni pigiama viene fornito con un nastrino e la sua storia. Rose però assicura che i questi pigiami sono disegnati per aiutare chi li indossa a fare l’amore, non la guerra…"


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Nome: Franco Forni
Data: 13-11-2003
Cod. di rif: 737
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Traduzione articolo di Bruce Boyer
Commenti:
“Fare come il Duca?
Bruce Boyer, 27.07.1998

"Se dicono che mischiare scacchi e righe è grave come indossare calzini bianchi con scarpe sportive e abito blu, dicono una cosa sbagliata; basta sfogliare una qualunque rivista di moda maschile e ci si vede proporre combinazioni che erano considerate un orrore solo dieci anni fa: un gessato doppiopetto con camicia a righe e cravatta pied de poule; una camicia a scacchi con una cravatta a righe sotto una giacca sportiva di tessuto scozzese, magari il tutto indossato con scarpe scamosciate e maglioni fantasia.
Lo strano è che tutto ciò non è una novità e non è sbucato fuori dal nulla: è arrivato dall’Inghilterra più di sessant’anni fa, frutto dell’estro e della creatività di un gentiluomo: Edoardo, Duca di Winsdor.
Potrà essere stato un monarca fallito e un politico poco accorto, ma Edoardo influì sull’abbigliamento maschile di questo secolo più di qualunque altro. E lo fa ancora.
In una foto dell famoso Horst apparsa su Vogue del 1964, il Duca appare così attuale che si stenta a credere che siano passati 34 anni: è in piedi e indossa un completo di tweed blue marine con un audace finestrato bianco, una camicia azzurro pallido con colletto alla francese e una cravatta scozzese di seta; se stesse camminando per la strada sarebbe lo specchio della moda del giorno d’oggi.
Tra le ultime “invenzioni” uscite dall’armadio del Duca si annoverano la ripresa delle camicie con colletto alla francese e le scarpe scamosciate indossate con un completo blu o grigio, ma ce ne sono molte altre: si devono a lui i maglioni delle Fair Isle; i tartan; lo smoking blu midnight (che ebbe un grande successo perché sotto la luce artificiale l’occhio lo percepisce più nero del nero); i gilet formali molto scollati dietro; le calze argyle e le cravatte regimental a righe.
Nei tardi anni venti i gentiluomini imitavano il Duca e ne erano pienamente consapevoli: era universalmente considerato uno di giovani meglio vestiti del mondo e tutti avrebbero voluto che i loro sarti copiassero ogni indumento con il quale era stato fotografato.
Un gentiluomo di Chicago ordinò al sarto del Duca di Windsor di riprodurre qualunque abito questi ordinasse. Edoardo era il golden boy dell’era del jazz, il Primo Venditore dell’Impero Britannico: ancor oggi rimane la fonte d’ispirazione per la maggior parte dei disegnatori di tessuti da uomo e dei produttori di abbigliamento maschile: Ralph Lauren ha fatto fortuna imitandolo, e tutti, da Armani a Zegna, gli hanno reso omaggio.
Lo scorso febbraio, quando gli oggetti del Duca vennero messi all’asta, i rilanci furono particolarmente pesanti; Crit Rawlings, presidente di Oxford Clothes, arrivò a $ 12.650 per un abito di seta e in tutto i venticinque completi del Duca, le giacche sportive e gli abiti formali fruttarono $ 773.145.”


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Nome: Franco Forni
Data: 23-11-2003
Cod. di rif: 776
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Kalòs kai agathòs
Commenti:
Caro Giancarlo,
sebben rapito dagli splendidi bottoni di Conti&Bej, avevo notato che durante l'ultimo Laboratorio d’Eleganza tenutosi da De Paz avevi cambiato giacca.
Non avevo fatto caso invece alla cravatta e all’insolito nodo che l’inesorabile Cavalier Villa non ha mancato di rilevare.
“Ma come sei venuto bene in quella foto!” si direbbe a Bologna a colui che risulta particolarmente fotogenico.
La realtà è diversa: lo spirito del Cavalleresco Ordine delle Nove Porte, che ormai completamente ti impregna ha reso bello fuori, “kalòs”, colui che è buono e valoroso dentro, “agathòs”.
Che fortuna la nostra!
Franco

P.S. Che si tengano 1, 10, 1000 Laboratori d'Eleganza sulla cravatta e i nodi, anche se poi nessuno di noi potrà più andare in TV dove il colletto aperto è d'ordinanza.


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Nome: Franco Forni
Data: 27-01-2004
Cod. di rif: 873
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Trench per il Cavaliere Villa
Commenti:
Caro Cavaliere,
vista la Sua giusta ammirazione per i Burberry's "d'antan" Le segnalo un indirizzo interessante: "dgp èlite vintage - via Scurreria, 8r - 16123 Genova - tel. 010.247.3418".


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Nome: Franco Forni
Data: 27-01-2004
Cod. di rif: 874
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Trench per il Cavaliere Villa - continua
Commenti:
Si tratta di uno storico grande negozio, Pescetto, che ha riservato un reparto ai capi, vecchi ma non usati, di venti, trenta ed anche cinquanta anni fa che teneva in magazzino. L'estate scorsa ho trovato uno stupendo trench Burberry's del 1945 (spesso c'è anche la data) e diversi Watro di quel sottilissimo cotone egiziano cerato, purtroppo nessuno della mia misura.
I prezzi sono di oggi, se capita a Genova Le consiglio di farci una capatina.
Cavallerescamente Suo

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 28-01-2004
Cod. di rif: 878
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Risposta al Prof. Pugliatti
Commenti:
Caro Professore,
sono venuto a conoscenza che Pescetto ha un reparto dedicato all'abbigliamento NUOVO)d'epoca quest'estate a Cortina, dove avevano allestito uno stand in una manifestazione dedicata al vintage.
Ci sono molti capispalla, anni '50 e '60, Burberry's, Aquascutum, Watro e Rodex, impermeabili e cappotti, da uomo e da donna, uno più bello dell'altro; cravatte in lana, sfoderate, strette, ma niente di speciale; sciarpe di lana; giacche di colori improbabili; qualche cappello da impermeabile (stupendo)e, strano, qualche calzino in lana.
La maggior parte dei capi importanti ha un talloncino con il prezzo e la data.
La nipote del titolare, che era presente, mi ha detto che a Genova hanno un assortimento vastissimo, specialmente per la donna: Roberta da Camerino, Hermes, Chanel, eccetera.
Attenzione i prezzi sono pari al nuovo di adesso.
Buona fortuna per le Sue ricerche.
Numquam servavi,

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 14-02-2004
Cod. di rif: 921
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Grazie
Commenti:
Appena rientrato dall’ospedale dopo un piccolo intervento, ho letto della “cerimonia degli undici paladini” e mi sono un po’ commosso.
Ho ricevuto molto dal Cavalleresco Ordine e dal suo Gran Maestro che ha ci trasmesso il suo sapere non con libri o lezioni: ci ha guidato in una crescita che è avvenuta in noi e attraverso di noi, portandoci ad una presa di coscienza che non ci più ha fatto sentire soli nella nostra ricerca.
Grazie Giancarlo, grazie Maurizio.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 20-02-2004
Cod. di rif: 953
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Abiti in lino
Commenti:
Caro Gran Maestro,
il tuo suggerimento di riportare in vita il colore celeste nell'abito in lino mi ha aperto il cuore e infuso nuovo coraggio nelle vene.
Venticinque anni fa, approfittando della chiusura di un vecchio negozio di drapperia, acquistai per poco un taglio di lino di quel colore e mi feci confezionare un abito, proprio con le caratteristiche che tu hai suggerito.
Il celeste era già desueto allora, figuriamoci a Bologna e nei torbidi anni '70 quando l'abbigliamento maschile e il vivere civile - concordo in pieno con il prof. Pugliatti - toccarono il loro punto più basso; fatto sta che non ebbi il coraggio di osare fino in fondo e, invece che andare dal Primario, mi rivolsi a un sartino che, come si dice a Bologna, "si accontentava".
Ne uscì un abito "normale", di una tristezza infinita, che ricordava gli impiegati statali del primo dopoguerra con lo stipendio distrutto dall'inflazione: l'avrebbe indossato volentieri "Umberto D".
Provai a indossare solo i pantaloni, niente; lo regalai a un vecchietto e devo dire che non gli stava male.
Adesso mi hai fatto venir voglia di ritentare, a costo di infrangere (l'ho fatto tante volte, fin quasi a ribaltarla) la prima e fondamentale legge del Maresca: ma, parlando seriamente, quando lo metto?
Cavallerescamente tuo

Franco Forni
Bologna, 20 febbraio 2004

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Nome: Franco Forni
Data: 04-03-2004
Cod. di rif: 997
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Al M.o Ambrosi - Moda e battitacco nei pantaloni
Commenti:
Egregio Maestro,
mi unisco al Cav. Villa ed al nostro Gran Maestro nel piacere di averLa tra gli interlocutori della nostra lavagna alla quale fornisce contributi di un valore tecnico inestimabile. E aggiungo: era ora che qualcuno dei tanti Maestri e Fornitori fatti conoscere e ben promossi dal C.O. prendesse carta e penna per partecipare.
Nel frequentare noi Cavalieri e leggendo questi gessi avrà sicuramente compreso l'importanza che noi attribuiamo alla differenza tra Moda, Eleganza e Stile.
Ci siamo personalmente conosciuti; il 10 marzo mi verrà consegnato un paio di pantaloni da Lei stesso misurato, provato e confezionato: perfetti e tradizionali: sono alto 1,82, ho il 41 1/2 di scarpe e porto i pantaloni con il fondo da 25 cm. da quarant'anni. Crede che lo faccia per amore della tradizione, per paura di sbagliare, per rispetto al Cav. Parisi?
Anch'io, nei cupi anni '70, mi feci confezionare qualche paio che arrivava a 30 cm., ma avevo vent'anni e non ne vado fiero.
Lei, nel Suo laboratorio, confezioni pure al meglio quel che Le porta da prosperare, ma, quando entra in questo Sito, Lei entra da Maestro, e, quando impugna la penna, sappia che molti La ascoltano, da Lei apprendono e potrebbero, se distorti, seguirLa: ci vede il mondo qui, mica TeleCasamicciola.
Non scriva più, La prego, che pantaloni stretti e corti che, avvoltolati come bisce intorno alla gamba per mostrare scarponi di pelle maiale spazzolato con un falso guardolo di 3 cm. sono "di moda" e pertanto non necessitano di "battitacco.
Il pantalone deve far vedere la scarpa, ma non la caviglia; ritengo il pantalone corto e stretto una forzatura in senso estetico e un provinciale esibizionismo - tra l'altro abilmente sfruttato dai confezionisti - da parte di chi li indossa.
Non importa ricorrere al prof. Pugliatti (che è Cassazione e saprebbe fornirLe ogni documentazione in merito - anzi lo invito a farlo per spazzare una volta per sempre, documentandoli e mettendoli agli atti, falsi miti di moda ed eleganza), basta prendere ad esempio i Gentiluomini ben vestiti - che ancora esistono - per vedere che non si abbigliano con fasce attorcinate alla gamba a livello del malleolo.
Un Artigiano - e lo scrivo con la A maiuscola - del Suo livello e con i Suoi precedecessori, è e deve essere un "Grande Educatore": noi, la Committenza, abbiamo appreso, nel tempo e nella consuetudine, da Voi a vestirci; i libri o le sapienti risposte del Gran Maestro ci hanno aiutato in un percorso etico e culturale, a volte tecnico, ma sempre da Voi appreso.
Attenzione, dunque.

Franco Forni
Bologna, 3 marzo 2004


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Nome: Franco Forni
Data: 04-03-2004
Cod. di rif: 1000
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Forse un ritorno
Commenti:
Fino a qualche anno fa, non moltissimi, non c'era gentiluomo che indossasse pantaloni di cover coat o di velluto senza un pullover che fosse di ruvido shetland.
I più belli erano i Robertson a treccia e i Drumhor con uno strano disegno che non era un vero pied de poule, sembrava un biscottino. Naturalmente non avevano cuciture ma la "calata" e, come tutte le cose belle e ben fatte, sono scomparsi; addirittura i commessi non sanno più cosa siano. E parlo di sei o sette anni fa: una mia lunga ricerca su Internet nel '99 mi portò a... De Paz. Anni dopo un'analoga ricerca svolta dal Cav. Villa, espertissimo in materia, portò allo stesso risultato.
Adesso marchio e fabbrica sono stati rilevati da tre signori italiani: Luigi Giulini, di Milano, che per trent'anni ha curato la distribuzione; Luigi Ciocca, di Brescia, proprietario dell'omologo calzificio (16 milioni di paia solo in in Italia, ahi... ahi...)e Armando Poggio di Genova, già titolare di Gentry Portofino (i maglioni in cashmire girocollo a cannetta inglese color corallo che si vendevano a Portofino ancora nel '94 - '95).
Per ora ricominciano con gli shetland. Vedremo.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 05-03-2004
Cod. di rif: 1005
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Lucido da scarpe
Commenti:
Egregio signor Meneghini,
Le trasmetto l'indirizzo per il lucido da scarpe:
F.lli Santovito s.nc. dal 1938 - Corso di Porta Vigentina, 38 20122 Milano - tel. 02 58314951.
Là la scarpa è cultura; può fare il mio nome, specificando che sono di Bologna.
Attenzione ci sono tre tipi di lucido Saphir: quello in tubetto, il più comodo e meno pregiato;
quello in scatola, medio; e quello in vasetto, il migliore, ma purtoppo in poche varietà di colore e in contenitore troppo grande. Scelga Lei.
Si faccia anche consigliare una crema per detergere la scarpa prima della lucidura.
Nella speranza di esserLe stato di utilità, La saluto cordialmente.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 24-04-2004
Cod. di rif: 1112
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Lettera a un Maestro
Commenti:
Dante carissimo, Maestro di vita, sommo Educatore,
Finalmente una ventata di aria fresca in una lavagna che sempre più riporta osservazioni su centimetri, grammature e storie di giacche di personaggi e figurini che nulla aggiungono a chi ama semplicemente indossare un abito ben fatto che lo faccia sentire a suo agio.
Così come nella Porta della Gola - inspirati nella ideologia dal Gran Maestro ed aiutati (molto) nella pratica dal Rettore della Gola Luca Gargano - si è definitivamente affermato il concetto che il “Cavaliere Beve e deve poter bere bene e a un prezzo giusto” (belli erano i tempi quando il vino era sincero ed i trattori erano onesti...) e non schiavo delle mode e dei sommellier annusa, assaggia e degusta girando per le enoteche con la guida in mano, lo stesso deve avvenire per quanto riguarda l’abbigliamento.
“L'abbigliamento come linguaggio non si esprime solo sul piano estetico, ma anche su quello sociale e culturale. Comprendere l'aspetto costruttivo delle norme di comportamento richiede una mentalità civile. La distruzione sistematica di ogni codice mira, consciamente o inconsciamente, all'abbattimento di questa mentalità. A prescindere dal piacere estetico che si ricava dall'indossare e/o dal vedere un abito di qualità ben abbinato, a prescindere dalla simbologia di una tenuta formale..., vestirsi significa partecipare aderendo coscientemente ad una storia della quale, se si vuole far parte, è necessario riconoscere le norme”. (Cfr. Maresca “L’abito e il Monaco”)
L'uso di adottare un modo di abbigliarsi in una determinata maniera costituisce un sistema di segni che – con precise differenze - definisce un grado iniziatico del sapere o aspetto nel quale si manifesta anche la radice cavalleresca del nostro Ordine. Il proprio codice di abbigliamento - questo è il succo del tuo discorso - svolge anche il compito di ricordare che il Cavaliere, anche nella quotidianità, adotta, non solo simbolicamente, un habitus differente.
Marca il fatto che, dal momento in cui inizia questo percorso, Cavaliere tra Cavalieri che intendono intimamente i suoi segni e le sue parole, un gentiluomo vive un momento non ordinario della vita: è all'interno di un rito: l'essere tenuto ad una veste simbolica gli ricorda che rappresenta non solo se stesso, ma un ruolo, una funzione; lo porta a sentire, quasi per induzione, che ripete e perpetua un senso ereditato da una tradizione.
In questa accezione, l'apparente anacronismo degli elementi e degli emblemi adottati è funzionale a questa consapevolezza, ha una forte capacità di evocare il legame con essa, e di portare a riflettere sulla relatività del tempo, sul senso reale delle apparenze, sulla necessità di ricuperarne ogni volta la propria radice più autentica.
In sintesi, l’abbigliamento serve per capire chi, come e dove si è staccandosi dal proprio quotidiano.
E’ così possibile così affermare che il segno del vestire è elemento di stimolo al lavorare per simboli.
Ed è lì, caro Dante, che inizia, anzi è iniziato, il tuo processo di formazione.
Con affetto,

Franco Forni

Bologna, 24 aprile 2004


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Nome: Franco Forni
Data: 24-04-2004
Cod. di rif: 1115
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Domenico Rea
Commenti:
Devo ancora ringraziare il Prof. Pugliatti per il suo excursus storico-estetico su Domenico Rea.
Condivido appieno quanto afferma, però, nella sua plebea visceralità su due punti il Rea, a mio avviso, aveva colto nel segno:
1. Respirare "l'aria dei sarti" qualche ora al mese: a far l'amore non s'impara sui libri;
2. La camicia bianca, che, al di là dell'aspetto estetico, nel suo nitore riafferma il concetto di "ruolo virile" così desueto da parte del maschio.

Franco forni

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Nome: Franco Forni
Data: 03-05-2004
Cod. di rif: 1138
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Vecchi film
Commenti:
Caro prof. Pugliatti,
negli ultimi tempi ho avuto, chiamiamoli così, diversi "incidenti di percorso" che mi hanno obbligato a stare a letto.
Ho approfittato dell'occasione per vedere parecchi film degli anni '40 e '50 che trasmettono in TV ad ore impossibili. Molti sono solo filmetti dall'esile trama e dalla scarna sceneggiatura, ma che abiti; che donnine dalla vita sottile "fianchi ad anfora carezza lunga"; che macchine e che gusto e disinvoltura nell'accendersi un sigaro o una sigaretta!
La ringrazio per la segnalazione che, secondo me, andrebbe riportata sulle lavagne de "La Donna", "Il Fumo", "I motori", "L'Arte" ed anche in quella de "I Piaceri ignoti", perché non si può non provare un po' di nostalgia per il ruolo ricoperto dal maschio in tempi che non sono poi così lontani.
Grazie ancora,
Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 12-05-2004
Cod. di rif: 1188
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Tropici - al Cav. Carnà
Commenti:
Egregio Cavaliere,
mi permetto aggiungere due piccoli consigli a quanto esposto dal dottissimo signor Pugliatti.
I bermuda se li faccia confezionare in "cotton drill", il tessuto usato dalle truppe coloniali inglesi. De Paz lo tiene abitualmente. Quanto alle camicie di lino, attenzione a non farle lavare in albergo: le ridurebbero ad una poltiglia di colore "can che fugge" qualunque sia la tinta iniziale.
Cavallerescamente Le auguro buon viaggio.
Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 01-06-2004
Cod. di rif: 1302
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto:
Commenti:
Caro Cav. Carnà,
sono certo che, quando sarà completata la mappatura del genoma umano, risulterà in maniera inequivocabile che l'uomo è più simile al gorilla che alla donna.
Chi riuscirà ad introiettare questo concetto abbastanza in profondità da provvedere al proprio abbigliamento senza, non dico l'ausilio, ma anche la presenza di qualsiasi essere femminile, potrà aspirare a ricoprire un ruolo virile presupposto primo dell'eleganza maschile.
Cavallereschi saluti,

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 28-06-2004
Cod. di rif: 1388
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Al sig. T. D'Ambrosio
Commenti:
Caro signor D'Ambrosio,
un solo suggerimento mi permetto di offrirLe in aggiunta alle parole del nostro Gran Maestro: l'artigiano, così come il libero professionista, deve "affrontare" il mercato, non "seguire" il mercato. Il piccolo produttore che segue il mercato viene presto coinvolto in una battaglia che lo costringe ad abbassare la qualità senza essere competitivo in temini di prezzi, di rete commerciale e di comunicazione.
Ciò detto cavallescamente Le auguro buona fortuna e La saluto.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 02-07-2004
Cod. di rif: 1411
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: La regola dell'affidamento
Commenti:
Mi permetto di intervenire non certo a sostegno al Gran Maestro - che non ne ha bisogno - e tantomeno della ditta Borrelli - dalla quale non comprerei uno spillo, visto che nel 1999 venni trattato con uno stile da jeanseria - ma per riaffermare un concetto a me particolarmente caro: “la regola dell’affidamento”.
In un Ordine Cavalleresco gli adepti vengono introdotti gradualmente a nuove forme di conoscenza sotto la guida di un Maestro al quale si sono affidati perché li guidi con disciplina ed armonia in una crescita che deve avvenire “in” loro e solo “attraverso” di loro.
L’assoggettamento al “Maestro” non è passivo, dal momento che opera all’interno di una gerarchia non soltanto formale, ma sostanziale, di contenuto; la conformità alle disposizioni non è semplicemente “quia jussum”, ma anche “quia justum”: l’adepto adegua le informazioni ricevute dall’alto alla situazione operativa concreta, secondo un processo circolare.
Si tratta dunque di un atteggiamento attivo e costruttivo basato sulla reciproca fiducia e sulla condivisione di valori: chi “ascolta”, non è un ascoltatore passivo, ed “ascolta” perché ha fiducia in chi lo guida, garantendo così il delicato equilibrio fra lealtà gerarchica e libertà di giudizio.
Stiamo partecipando ad una operazione culturale di dimensioni enormi e ritengo questa regola uno dei pilastri del nostro castello.
Numquam servavi.

Franco Forni
Bologna, 2 luglio 2004


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Nome: Franco Forni
Data: 04-07-2004
Cod. di rif: 1418
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: De profundis
Commenti:
Ben detto, Gran Maestro!

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 11-09-2004
Cod. di rif: 1600
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Dante De Paz
Commenti:
Mi permetto, senza protervia alcuna, di integrare il commento del nostro amatissimo Gran Maestro.
Saggio, non sapiente, sebbene la sua scienza sia utile. Erudito in qualche materia potrà, occorrendo, farci approfittare delle sue cognizioni. Ma non è questo il nostro obiettivo: il Cavalleresco Ordine non è un circolo di studi scientifici, ma una Scuola.
Cavallereschi saluti,

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 11-09-2004
Cod. di rif: 1601
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Giacche a due bottoni
Commenti:
Ringrazio il Cav. Carnà per aver ricordato questa tipologia di giacca apparentemente desueta ed il sig. Pugliatti per i suoi dotti interventi.
A quindici anni, nei primisimi '60 dunque, venni ritenuto degno dei pantaloni lunghi (al ginnasio ero costretto a portare quelli al ginocchio, tipo Lord Fauntleroy per i quali mi vergognavo moltissimo con le poche compagne che mi invitavano alle loro festicciole)e venni portato dal sarto di mio padre, Romano Corticelli, tutt'ora in attività.
Mi confezionò due abiti: un Principe di Galles tre bottoni e pantaloni con risvolti per il giorno ed uno di shantung blu scuro due bottoni senza risvolti nei pantaloni per le feste.
Con quelli, anni dopo andai in a Cambdridge nel '63 e, terminato il collegio, attraversai l'Europa in autostop passando per la Danimarca, dove mi guadagnai da vivere attaccando etichette in un supemercato, Amburgo dove in compagnia di un elettricista francese e di un soldato americano in licenza scaricammo cassette di frutta, Amsterdam dove fui ospite di una signora socia del Soroptimist - Club di mia madre - e Bruxelles, dove, finiti i soldi, mi gustai un bel pasto in un grande ristorante, comprai un grande sigaro e presi un biglietto di prima classe per Bologna.
Con le ultime 50 lire presi l'autobus e, arrivato a casa verso l'ora di cena, chiesi alla nonna due tagliatelline in brodo e un po' di prosciutto crudo.
Da allora uso abiti con giacche a tre bottoni e pantaloni con risvolto di mattina e pomeriggio; due bottoni e pantaloni senza risvolto alla sera.
Senza baci e abbracci, ma con Cavallereschi saluti.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 12-09-2004
Cod. di rif: 1604
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Correzione rif. 1600 - Dante De Paz
Commenti:
Mi accorgo di essermi espresso male:il concetto appare involuto e oscuro. Il senso del mio gesso è:
“Dante è Saggio, oltre che sapiente. La sua scienza è utile: erudito nella sua materia potrà farci approfittare delle sue cognizioni, ma soprattutto contribuire alla nostra crescita, perché il Cavalleresco Ordine non è un circolo di studi scientifici, ma una Scuola”.
Chiedo scusa a tutti, al Cav. De Paz per primo.
Cavallereschi saluti.
Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 07-10-2004
Cod. di rif: 1657
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: trench coat
Commenti:
O sommo Dante, magnifico Rettore,
mi hai fatto venire voglia di autunno e di pioggia con il tuo splendido scritto!
Hai risvegliato in me emozioni e ricordi e, tra questi, affiora una parola che mi riporta alle prime lezioni di inglese di quando ero bambino: "MacIntosh". Che cosa è esattamente?
Poi mi sembra di ricordare che i trench esistessero anche in gabardine di lana impermeabilizzata. E' possibile?
Grazie ancora e cavallereschi saluti

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 08-10-2004
Cod. di rif: 1663
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Ricerca e cultura
Commenti:
Che bello scritto, caro Gran Maestro, che bel concetto che hai espresso!
Dovremo leggerlo tutti più e più volte applicandolo a tutte le nove Porte e a tutti i paesi.
Questa è la vera ricerca, la cultura sedimento dell'erudizione.
Mi auguro che questa perla divenga un manifesto del il nostro Ordine.
Con Cavalleresca stima,

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 10-10-2004
Cod. di rif: 1676
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Macintosh
Commenti:
Caro Dante, posso ancora chiamarti così dopo l'alta carica cui sei assurto?
Grazie, è proprio quello che ricordavo nebulosamente e l'insegnante per farci comprendere la differenza tra "macintosh" e "overcoat" ci mostrava le immagini che tu hai inserito nei figurini.
Intanto qui è piovuto e domani, se continua, indosserò il macintosh; se invece torna il sole, lo spolverino.
Grazie anche al Cavalier Rizzoli.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 30-10-2004
Cod. di rif: 1729
E-mail: gohfal@tin.it
Oggetto: Al signor Frattocchi - Cifre sulla camicia
Commenti:
Egregio signor Frattocchi,
Alcuni sono usi far ricamare le proprie iniziali nella camicia, altri no. Personalmente le metto, rigorosamente in stampatello, a sinistra, a 11,5 cm. dall’apertura e 36 cm. dalla cucitura della spalla. Se la camicia ha un taschino, sotto il taschino, sempre a 11, 5 cm.; ovviamente dipende dalla corporatura, comunque sempre tra il terzo e il quarto bottone dopo quello del colletto. Per quanto riguarda i colori prediligo il grigio perla per il popelin bianco e il blu per quello azzurro; il rosso per il lino bianco e il seppia per quello avorio; se il tessuto è a righe cerco di riprendere il colore della riga più scura, sulla stessa tonalità; se la camicia è colorata, tinta su tinta. Sempre senza ombreggiature o, Dio non voglia, due colori.
Mi piace far ricamare anche la data della confezione: più piccola, in rosso, con il mese in numeri romani e l’anno in cifre arabe (ad. es. ottobre 2004 = X 04), rimane nascosta nel parte sinistra della camicia, a destra in fondo.
Rivivo così ogni volta la storia del capo che indosso.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni



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Nome: Franco Forni
Data: 01-11-2004
Cod. di rif: 1737
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Al signor Fratocchi - Cifre sulla camicia - Parte II
Commenti:
Egregio signor Fratocchi,
è vero, le cifre sulla camicia meritano un approfondimento: spesso, si fa cenno ad elementi adottati nell'abbigliamento come a oggetti anacronistici mentre in essi l'aspetto simbolico ritrova precisi riferimenti e stimoli.
La prima chiave di lettura che mi viene in mente è che le cifre rappresentano il degno coronamento di un’opera unica che l’abile artigiano ha dedicato a me, e non ad altri.
C’è poi il fatto che ogni mio capo rappresenta innanzitutto il frutto di una ricerca: l’esigenza nasce da un soffio, da un film, da una passeggiata in centro; prosegue con la ricerca del tessuto che spesso si conclude con l’acquisto di uno diverso che ci piace di più e di fronte al quale abbiamo all’istante avvertito che non avremmo mai potuto farne a meno; continua con il “trattamento Forni”, che consiste in un bagno in acqua fredda e aceto bianco per togliere l’appretto senza perdere il colore, nel lavaggio a 40° con detersivo e ammorbidente e infine nella bollitura per cinque minuti; c’è poi l’incontro con la maestra camiciaia per scegliere i fusti e definire il modello della camicia , del collo e dei polsi. A questo punto mi sembra ovvio di mettere le mie iniziali.
Ma credo che il motivo principale sia dovuto al fatto che, quando ero piccolo, mio padre aveva le cifre ricamate sulla camicia mentre io non ne avevo diritto. Appena ho potuto l’ho fatto anch’io e da allora ho continuato con piacere e convinzione.
Cavallereschi saluti,

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 07-11-2004
Cod. di rif: 1754
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Domanda sul Chesterfield al Rettore
Commenti:
Caro Dante,
con le tue suggestive descrizioni mi hai ingolosito e non so se rallegrarmi di possedere già questi cappotti o rattristarmi perché non devo più farmene fare.
Comunque la domanda è questa: anni fa il Primario mi confezionò un Chesterfield monopetto, nero, per la sera. Insieme decidemmo di non coprire i bottoni, perché "faceva un po' prete". Con tutto il rispetto dovuto al clero, fu un grave errore e non posso dire di "indossare un classico Chesterfield", o è una variante ammessa?
Ti ringrazio per la cultura che con grazia e levità ci stai trasmettendo e cavallerescamente ti saluto.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 23-11-2004
Cod. di rif: 1783
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Camicia rosa
Commenti:
Magnifico Rettore,
premetto a chi non conosca le usanze dell'Università di Bologna, Alma Mater Studiorum, che l'appellativo di Magnifico è comunemente usato nei confronti del Rettore della nostra Università, che comunemente viene chiamato Magnifico.
Il sommo Dante merita questo aggettivo per i suoi meriti, ma l'appellativo per noi, Almae Matris Alumni, costituisce doverosa norma.
Tempo fa, passando per il centro, ho incontrato un anziano signore - era ancora caldo - con uno splendido vestito di seta grigio chiaro a righe to"ton sur ton" e camicia rosa. Era uno splendido connubio e mi ha fatto ricordare che mio padre, uomo di una eleganza non certo ricercata - tu lo sai, lo avete servito per anni (remember le stoffe che alle due e mezzo, prima di andare in ditta venivi a sottoporgli alla giusta luce del nostro bowindoiw?) - aveva sei camicie rosa che alternava con sei azzurre.
Cinquant'anni di storia bastano per farne un classico internazionale?
Come la pensi e in che tessuti, nelle varie occasioni la suggerisci?
Cavallerescamente ti saluto e ringrazio,

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 01-12-2004
Cod. di rif: 1804
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Cappellai a Londra
Commenti:
Accolgo con gioia la costituzione de "La bottega del cappello", perché questo capo, insieme con i guanti e l'ombrello intero, è caduto quasi in disuso presso il genere maschile, tutto teso a ricoprire qualunque ruolo purché non sia "virile".
Mi permetto di aggiungere alla lista del dottissimo Nostro un indirizzo londinese di sicuro interesse:
Bate's Hatters - 21, Jermin Street - London -
E' un negozio che ricorda la Londra di Dickens e, almeno nel '96 quando lo visitai l'ultima volta, era ancora gestito dal nipote del fondatore.
Vende ogni tipo di cappelli con prezzi più abbordabili e soprattutto molta più cura per il Cliente di Lock's, che, secondo me è ormai solo un marchio.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 01-12-2004
Cod. di rif: 1805
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Herbert Johnson e De Paz
Commenti:
A proposito di Herbert Johnson, che non vende solo cappelli, mi viene in mente un curioso episodio accadutomi nel 1990.
A quei tempi la lira era molto "forte" e in gennaio avevo l'abitudine di passare qualche giorno a Londra dove le liquidazioni sono veramente tali e potevo acquistare qualche capo il cui costo altrimenti sarebbe stato per me proibitivo.
Il mio albergo era in New Bond Street, proprio accanto a Herbert Johnson, dove entravo quotidianamente per studiare, imparare ed eventualmente comprare. E' un negozio molto piccolo e, dopo qualche giorno, ero entrato in confidenza con il capo commesso con il quale scambiavo qualche chiacchera.
Una volta mi chiese dove abitavo in Italia ed io risposi che ero di Bologna. A questo punto fece un largo sorriso ed esclamò: "Ah Bologna! De Paz!"
Il nostro Rettore e Amico era arrivato anche lì e da molto tempo...
Cavallereschi saluti.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 23-01-2005
Cod. di rif: 1872
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Tasmanian e Loro Piana
Commenti:
Caro Rettore,
colgo l'occasione del gesso del signor Nanni Poggio per chiederti un aiuto.
Da un po' di tempo, tutta una serie di comuni conoscenti mi chiedono consiglio sulla scelta di un tessuto da farsi confezionare da un sartino di ultima o di un abito da comprare in liquidazione.
Gran parte di questi personaggi li conosci, come me, da tanti anni, come ben conosci la Bologna degli anni '90: la prima domanda è quanto costa, la seconda è "dove lo posso trovare a meno". Il vanto non è quello di avere un buon abito, è quello di averlo pagato meno.
Potresti fornirmi un argomento, tecnico, ma facilmente comprensibile e dimostrabile a chi, non dico ignora - perché una volta erano consci che la qualità aveva un prezzo - ma godono a pagare poco?
Non è difficile mostrare che un tessuto è pessimo, ma quando si va sul medio- basso o medio è per me impossibile. Quando questo si chiama poi Loro Piana non so più cosa dire.
Sbilanciati un pò, Dante, in termini di prestazioni, durata, fruibilità.
Non lasciare il tuo Vice Rettore nell'ignoranza, fai brutta figura anche tu.
Con affetto,ti saluto cavallerescamente.

Franco Forni

Come tu ben sai molti di questi

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Nome: Franco Forni
Data: 23-01-2005
Cod. di rif: 1873
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Oxford e Twill
Commenti:
Magnifico Rettore, caro Dante
Tanti anni fa, quando il vino era sincero ed i trattori erano onesti, si usava iniziare gli adolescenti alla Sartoria maschile e alle camicie da uomo.
I tessuti, dopo il classico Blazer - che mia madre mai mi volle comperare - erano il Principe di Galles per il giorno e lo shantung blu -doppio pantalone perché doveva servire anche sotto un pullover (che belli allora, ti ricordi i Robertson Pavesina?) - per feste cerimonie e tutto il resto.
Le camicie erano di Oxford o di Twill.
Ora l'Oxford lo capisco, lo cerco e lo rimpiango,
ma il Twill che fine ha fatto?
Ci fu un momento nei primi anni settanta che tornò in auge, ma allora andava di moda Manuel Riz Pipò ed ero sempre troppo impegnato con l'Università, l'alcol e gli amori per accorgermene.
Esiste ancora? In che occasioni e con che colori andrebbe usato?
Mi ricordo che costava poco.

Cavallereschi saluti

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 30-01-2005
Cod. di rif: 1891
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Sconto del 50%?
Commenti:
Caro Dante, Magnifico Rettore,
ecco perché da un po' di tempo te ne stavi zitto zitto...
Lo sconto vale anche per il cotton drill che ti avevo ordinato mesi fa?
Grazie per le risposte, ma sta di fatto che da qualche tempo vedo poche camicie di twill in giro.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 26-04-2005
Cod. di rif: 1943
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: L'abito e il monaco - Al Magnifico Rettore
Commenti:
Grande Rettore!
L'abito fa il monaco in quanto è elemento costitutivo del suo sentimento di identità e dell'identità che gli altri gli attribuiscono e nella quale egli si identifica. Gioco di specchi.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 26-04-2005
Cod. di rif: 1945
E-mail: g
Oggetto: Rito e Dignità
Commenti:
Caro Gran Maestro,
proprio in questi giorni ci sono state le celebrazioni per la Resistenza e le tue parole mi hanno fatto venire in mente i cortei degli anni ’50 ai quali assistevo quando andavo a trovare mia zia che abitava in Piazza Maggiore.
Braccianti, operai, pensionati, sfilavano col “vestito buono”: in quell’occasione erano all’interno di un rito nel quale rappresentavano non solo se stessi e le loro idee, ma un Ruolo, una Funzione.
Sentivo, quasi per induzione, che ripetevano e perpetuavano un senso ereditato da una tradizione antica ed io, bambino, provavo Rispetto.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 29-06-2005
Cod. di rif: 2038
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Scozia ed Utopia
Commenti:
Recita un proverbio magrebino: "Le carovane non raggiungeranno l'utopia, ma è l'utopia che fa andare le carovane".
Ebbene al Gran Maestro è riuscito l'impossibile:ha dato vita ad un sogno e ha portato la carovana dei Cavalieri in Scozia, ai confini con l'Utopia.
Grazie Giancarlo.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 02-08-2005
Cod. di rif: 2067
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: In montagna - Al Cavaliere Zaccaro
Commenti:
Caro Cavaliere Zaccaro,
rispondo volentieri all’invito del Gran Maestro per parlare un po’ dell’abbigliamento montano, distinguendo fin dall’inizio quello “da passeggiata” da quello “da riposo”.
In entrambi i casi escludiamo subito i jeans e le scarpe da ginnastica che, quando non sono indossati da un ventenne per andare in discoteca, rivelano immediatamente il cialtrone “giornaliero” e proseguiamo.
Per le passeggiate il discorso è semplice: pedule, se possibile in pelle se no in goretex, ai piedi; grossi calzettoni cannettati in cotone o, meglio, in lana; calzoni in cotton drill (rif. 1198, del 13/05/2004) al ginocchio e polo in piquè se fa molto caldo, pantaloni alla zuava in velluto a righe o fustagno (meglio se elasticizzati) e camicia a scacchi o finestrato tattersall di viyella se è più fresco; maglione girocollo di shetland e kway arrotolati in cintura. I colori “giusti” sono il verde bosco, il marrone, il beige ed anche il grigio per i pantaloni; il rosso, il giallo e ancora il verde bosco o il grigio melange per i calzettoni ed il pullover. Il bianco e il blu lo teniamo per il mare o per lo sci da fondo che nasce in Norvegia, paese di ghiacci e nevi eterne.
Può sembrare una divisa, e in parte lo è, ma il tutto risponde a delle precise esigenze: la pedula, in pelle o goretex per traspirare, con la sua spessa suola impedisce di farsi male posando il piede su un sasso acuminato; il calzettone, grosso, assorbe il sudore e protegge la punta in discesa; alto fino al ginocchio, tiene al riparo dai graffi dei cespugli e dalle abrasioni delle rocce; i pantaloni corti o alla zuava consentono di piegare bene la gamba; il pullover e il kway sono la salvezza quando viene a piovere all’improvviso (cioè quasi sempre).
Tralasciamo i settantenni vestiti da “Schutzen” tirolesi che passeggiano accompagnati da coetanee che coi loro “dindli” sembrano attempate Fate Turchine e passiamo all’abbigliamento del gentiluomo “a riposo”.
Anche qui pantaloni di velluto a righe o di fustagno, se è molto caldo in gabardine; benissimo le Chukka boots (taccuino N. 599) scamosciate, ma attenzione, piove spesso, e quindi meglio ancora le “polacchine” in pelle oppure i Loafer (taccuino N. 592) cuciti a guardolo; camicie di oxford e pullover a v, molto intonato all’ambiente se rosso o giallo, sulle spalle. Un classico è il giubbetto scamosciato che però andrebbe potato con la cravatta.
Se poi fa freddo potrà indossare una “paddock jacket”, una comoda giacca trapunta, preferibilmente in colore brughiera, verde o marrone (taccuini 1304, 1305, 1306,1307) o, meglio, un giaccone oleato, denominato “storm-proof shooting jacket of oiled cotton” (taccuino N. 560) o una “Waxed jacket” (taccuino N. 1361), una giacca tradizionalmente di colore verde oliva, di cotone cerato, per l’appunto “waxed” (cera in inglese= wax), con interno in flanella, zip sul davanti, lunghezza a metà coscia, grandi tasconi con patta a doppio bottone, sempre sul davanti, collo preferibilmente in velluto a coste tono su tono nella versione “border coat” o in quella “Beaufort jacket” (taccuino 1362), leggermente più corta.
Non mi dilungherò a ripetere che la vera eleganza non è fatta di regole e regolette: penne di ben altro spessore hanno intinto l’inchiostro per parlare dell’argomento con i toni più alti: mi limiterò ad avvertirLa che se mi capiterà d’incontrarLa in montagna vestito di lino nei toni del blu, mi sentirò autorizzato a spararLe a vista.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

Bologna, 2 agosto 2005


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Nome: Franco Forni
Data: 23-09-2005
Cod. di rif: 2144
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Sul gilet - Al Cavaliere Villa
Commenti:
Caro Lorenzo,
come ha ben detto il Gran Maestro, il gilet, insieme con i guanti, il cappello e l'ombrello ad asta intera non è "giovanile". Meglio quindi un pullover da quattrocento euro che un gilet da 200 sotto la giacca!
Questo infatti è il prezzo che un buon sarto richiede per un gilet fatto a regola d'arte. Ma qui, nel tuo caso, cadiamo nel conflitto di interessi...
Alle caratteristiche che ha elencato il Gran Maestro aggiungerei, anche perché è meno ovvio di quel che potrebbe sembrare, che non devono spuntare le bretelle.
Il gilet rende l'abito tre bottoni da mattina o pomeriggio incomparabilmente più completo; se portato sotto un doppio petto, ridona al gessato quella dignità e quel brio che l'etichetta di "uniforme da lavoro" gli ha tolto, banalizzandolo; se indossato, sempre sotto un doppiopetto di tweed o adddirittura di shantung, raggiunge vette di sublime bellezza.
Quando ero un ragazzo veniva dal mio sarto un giocatore professionista, che trascorreva lunghi periodi a Montecarlo e si faceva confezionare con questo tessuto tre o quattro abiti alla volta, tutti doppiopetto con gilet: lo guardavo a bocca aperta e sognavo di quando sarebbe venuto il mio momento...
Molto interessante e fruibile uno "cheviottone" tre bottoni e gilet doppiopetto con i rever sciallati. E qui si "parrà infine la valenza" del Maestro sartore e del Cliente: non è da tutti saperlo fare; non è da tutti saperlo pretendere.
Cavallereschi saluti, amico mio

Franco Forni



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Nome: Franco Forni
Data: 24-09-2005
Cod. di rif: 2146
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: shantung
Commenti:
Egregio professor Pugliatti,
pensi che, adolescente e quindi secondo mia madre non ancora degno di portare una giacca, i miei pantaloni furono di shantung blu; il mio primo abito intero elegante di shantung blu ed il mio primo abito da giorno di Principe di Galles. Credo fosse un costume abbastanza comune perché non ero certo l'unico.


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Nome: Franco Forni
Data: 24-09-2005
Cod. di rif: 2147
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Shantung e Principe di Galles
Commenti:
Egregio professor Pugliatti,
pensi che, adolescente e quindi secondo mia madre non ancora degno di portare una giacca, i miei primi pantaloni lunghi furono di shantung blu; il mio primo abito intero elegante di shantung blu e il mio primo abito da giorno di Principe di Galles.
Non mi è mai mancato un abito di Saxony in disegni Principe di Galles e adesso, finalmente reperito il tessuto a prezzi folli e dopo quattro anni di ricerche, lo vorrei far confezionare monopetto con rever a lancia e gilet.
Vorrei raccontare a proposito di questo tessuto e di come i tempi siano cambiati un piccolo anneddoto.
Circa venti, ventidue anni fa mi feci confezionare un abito due pezzi con un saxony acquistato da De Paz. Circa dieci anni dopo mi venne voglia di un gilet per renderlo a tre pezzi: come se fosse una cosa normale mi recai nel negozio con il campione: c'era ancora la pezza e ne acquistai un metro. Lo richiesi monopetto con i rever: il sarto dovette solo cambiare i bottoni.
Ah, belli erano i tempi in cui i trattori erano onesti, il vino sincero, i Maestri veramente tali e i drappieri acquistavano pezze intere che duravano degli anni!
Per quanto riguarda Bocchese e un altro produttore di shantung, sempre di Vicenza, di cui non ricordo il nome, sarebbe nostra intenzione organizzare una spedizione guidata da Dante De Paz. Si tratterebbe di un piccolo Laboratorio di Eleganza, sul tipo di quello effettuato in maggio dai Pellettieri di Tolentino. Il periodo giusto sarebbe gennaio o febbraio.
La ringrazio per il distillato di sapienza che trasmette a tutti noi e cavallerescamente Le porgo i miei saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 07-12-2005
Cod. di rif: 2249
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Guanti all'esterno
Commenti:
Caro signor Bonaiti,
fino a qualche anno il servizio militare iniziava al C.A.R., Centro Addestramento Reclute, dove appunto venivano impartite le prime istruzioni sulla vita militare.
Una delle mie prime libere uscite - era inverno e si indossava il cappotto - mi presentai all'ufficiale di picchetto con un solo guanto, perché avevo perso l'altro. Non ci fu nulla da fare: venni rispedito indietro e trascorsi la sera in caserma.
Morale: con qualunque tipo di soprabito si devono indossare cappello e guanti, che sono invece facoltativi quando si è in giacca e cravatta.
Potrebbe apparire una regola troppo rigida, ma due mani nude che fuoriescono da un soprabito sembrano appartenere a un'altra persona, non a quell'armonico insieme costituito da un gentiluomo completamente abbigliato.
Cavallereschi saluti.

Farnco Forni

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Nome: Franco Fornig
Data: 15-12-2005
Cod. di rif: 2258
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Luca di Montezemolo
Commenti:
Bologna è piccola. Luca di Montezemolo è di Bologna e siamo coetanei. Non sono un suo amico e nemmeno un conoscente, anche se siamo soci dello stesso Circolo: da quarant'anni ci incontriamo qua e là a tra Cortina e Bologna e devo dire che ho sempre ammirato il suo modo di vestire e la proprietà del suo abbigliamento.
Polo senza marchietti e niente jeans - tanto amati da alcuni in questo sito - in passeggiata; blazer quando ci voleva il blazer; gessati doppiopetto con scarpe marroni sul lavoro; abito blu alle feste; tight grigio su camicia bianca di piquet con cravatta a grigia a pallini bianchi ai matrimoni (siamo in Italia!)e così via.
In certi anni non era facile, ci voleva un certo coraggio.
Non sono un dandy: non ne ho il talento: sono semplicemente il frutto della media borghesia, nato negli ormai lontani anni quaranta.
Come tali, fin da piccoli, mio fratello ed io abbiamo avuto abiti su misura: prima tale Pinchini che ci costringeva ad odiose e lunghissime prove, poi il sarto di nostro padre, il Maestro Corticelli tutt'ora attivo, bravissimo, ma da me incompreso: durante le prove sbrirciavo le sue lavoranti, una delle quali, piccola e formosissima, suscitava i miei più bestiali istinti.
Poi la pletora dei sartini per risparmiare ed infine ecco Lui, il Primario che taglia, fa cucire gli altri e costa molto.
La scelta dei tessuti era complessa e non starò qui a raccontarla, ma vigeva una regola - per una volta valida per uomini e donne -: "le mezze tinte
non vanno mai accostate".
Piccole regole per piccoli uomini di provincia.
A cinquattott'anni, all'estro che Montezemolo non ha mai avuto, preferisco lo chic che da sempre è suo.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni




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Nome: Franco Forni
Data: 24-12-2005
Cod. di rif: 2277
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Ulster - Richiesta di approfondimenti
Commenti:
Caro Rettore,
sembrava che me lo sentissi qualche settimana fa, quando, di ritorno dalla visita ad un vecchio sarto bolognese, ti ho chiesto chiarimenti sulla "toppa" interna dell'Ulster.
Il Maestro in questione sosteneva - e tu me lo hai in parte confermato - che il "vero Ulster" deve essere parzialmente sfoderato e avere le "toppe" all'interno, all'altezza delle tasche.
Il tempo era tiranno quel giorno, giacché, in vista del Natale, i potenziali Clienti si accalcavano nella tua Bottega, e non è stato possibile approfondire.
Saresti così gentile di farlo in questa sede, per spiegare a me e a coloro che - come me - non sanno, la differenza tra "toppa", "mostra", mezza "fodera", e stabilire il "protocollo" - diciamo così - del vero Ulster?
Ti ringrazio e colgo l'occasione per porgere al Gran Maestro, ai membri del Gran Consiglio, a tutti i Prefetti ed ai Rettori delle varie Porte i miei voti augurali.
Brindiamo dunque a tutti Noi e a ciascuno di Noi!

Cavallereschi saluti,

Franco Forni



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Nome: Franco Forni
Data: 31-12-2005
Cod. di rif: 2281
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Ulster - Domande e risposte
Commenti:
Carissimo Dante, Magnifico Rettore,
Ti ringrazio della pronta risposta alla mia richiesta di approfondimenti sull’Ulster, “padre di tutti i cappotti”, come Tu hai fatto acutamente osservare nel gesso 1515 del 12.08. 2004 e che riporto nelle Tue definizioni essenziali: ”Doppio petto con incrocio, revers e collo di misura standard, in quanto esso si abbottona completamente sotto il collo. Le maniche sono a giro e il terminale della manica prevede un risvolto chiamato paramano; le tasche sono a bustina , cioè rirportate con pattina . Nel dietro c'è la tradizionale fonda, che parte dal centro schiena con bottoncini sbottonabili nella parte terminale, 6/7 bottoni, di lineato 24; la martingala è sbottonabile.”; nel gesso 1522 del 13.08.2004 semplicemente sconsigli Signor Poerio, l’uso del velluto per un Ulster “faccio seguito al Suo gesso 1518.Innanzitutto Le dico che devo contraddirmi sull'utilizzo totale dei tessuti, in quanto non avevo mai pensato che un paletot Ulster potesse essere confezionato in velluto. Comunque lo sconsiglio con decisione.Troppe asole nella lavorazione . Inoltre il velluto nel doppiopetto non ha scorrevolezza”; mentre nel gesso 1524 del 14.08.2004 al signor Poerio fai riferimento ai Taccuini 924, 927, 928 e ne ribadisci l’uso e la storia “Come promesso invio disegno di un paletot Ulster. (vedi taccuini n. 926,927,928). E' quanto si iniziò a fare in Italia attorno agli anni '30. Ancora oggi alcune sartorie confezionano il paletot in questa maniera: doppio petto-doppio uso( chiudibile al collo), dico alcune perché, come ho già detto, non è così facile conoscere questo tipo di taglio; non certo è un paletot superato perché , come ho già detto, e lo ribadisco, è il padre e la base di tutti i paletot.”
Quanto ai Taccuini: il 926 riporta uno splendido schizzo di un davanti; il 927 mostra una fonda “comme il faut” con sette bottoni e l’ultimo; il 928, rappresenta un approfondimento, se non una copia, del 927.
Il Dizionaretto, poi, alla lavagna 1532 del 18.08.04 è appunto un dizionarietto e porge semplicemente le definizioni di : “Cappotto; Cappottino; Redingote; Soprabito”.
Schematizzando al massimo, le mie domande erano:
1) l’Ulster, nel modello classico, prevede l’interno sfoderato?
2) se si, mezza fodera e in che misura mezza fodera?
3) mi risulta che esistano diverse fogge di mezza fodera: è vero?
4) Ogni foggia ha un nome - certamente non “tecnico corretto”, come sapientemente elargisci Tu, mai noi non siamo periti tessili o mastri sartori, semplicemente "Clienti che non si accontentano" come invece vorrebbero alcuni pseudo sarti - . Quali sono le diverse fogge, ammesso che ne esista più di una?
5) E, sempre fatti salvi i presupposti di cui ai paragrafi 3 e 4, quali fogge, in base al Tuo sapere sarebbero quelle – diciamo così – “istituzionali” o comunque preferibili?
Come ben ricorderai, possiedo un Ulster da quasi vent’anni, confezionato dal Primario - quando Pino era ancora Pino! – e da Lui rimesso a modello proprio l’anno scorso e non sono quindi del tutto a digiuno della materia, anche perché il Maestro Alleva - a differenza di tanti ex lavoranti che s’improvvisano sarti - era un grande educatore.
Oltre al Nostro – eccellentissimo – mi onoro dir far parte anche di altri Ordini Cavallereschi nei quali la disciplina e la gerarchie sono rigorosamente rispettate: mai mi sarei dunque permesso di rivolgere una richiesta alla quale già era stata data risposta.
Le mie domande erano per capire meglio e, soprattutto, per meglio far capire a coloro che leggono: i Maestri non hanno mai finito di insegnare e gli Apprendisti mai finito di apprendere
E le mie domande, che per chiarezza di pensiero riporto: “Saresti così gentile di farlo in questa sede, per spiegare a me e a coloro che - come me - non sanno, la differenza tra "toppa", "mostra", mezza "fodera", e stabilire il "protocollo" - diciamo così - del vero Ulster?” ...., ritengo non abbiano avuto risposta.
Io, che Apprendista sarò per tutta la vita, ho avuto modo di ripassare una lezione che hai porto una volta sola. Grazie.

Cavallereschi saluti.

Franco Forni

Bologna, 30 dicembre 2005


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Nome: Franco Forni
Data: 31-12-2005
Cod. di rif: 2282
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: I veri Maestri
Commenti:
"Lugete, o Veneres Cupidinesque,
et quantum est hominum uenustiorum":
il Primario è andato in pensione. E con lui se ne andata la possibilità di avere gli abiti estivi, senza fusti e senza fodere che tanto amo.


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Nome: Franco Forni
Data: 31-12-2005
Cod. di rif: 2283
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Scuse
Commenti:
Avevo scritto un testo in omaggio alla professionalità del Maestro Pirozzi.
E' andato perduto e mi dispiace.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 05-01-2006
Cod. di rif: 2294
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: ULSTER - Ringraziamento al Magnifico Rettore Cavaliere Dante
Commenti:
Carissimo Dante, Magnifico Rettore,
ti ringrazio innanzitutto per l’esaustiva risposta alle domande che, forse troppo puntigliosamente, avevo sottoposto alla Tua illuminata attenzione nel mio gesso 2281 del 30.12.2005.
E’ vero, c’era una punta di bonaria provocazione nella mia richiesta di precisazioni: credo infatti che nel nostro Castello si debba mirare ad una forma di conoscenza non erudita, ma assimilativa: frutto di un sapere non solo calato dall’alto, ma reso vivo dall’interattività, ripetuto ed integrato a seconda delle circostanze e delle situazioni.
Il risultato è quello di una conoscenza non deduttiva, ma in qualche modo intuitiva, analogica e sintetica: tanto più efficace e introiettabile quanto più sarà stata emozionale.
In quest’ottica e con questo spirito, aderisco con entusiasmo alla Tua proposta di creare una vera “Scuola del Cavalleresco Ordine”, operazione che peraltro Tu e il Gran Maestro avete già iniziato da tempo con grande lungimiranza e dedizione.
Nella speranza di ottenere la Tua benevola comprensione per quanto mi sono permesso di esporti, Ti invio i miei più affettuosi Saluti Cavallereschi.

Franco Forni
Bologna, 5 gennaio 2006


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Nome: Franco Forni
Data: 20-01-2006
Cod. di rif: 2315
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Laboratorio di Eleganza a Bologna
Commenti:
Un passante vide tre uomini che stavano lavorando in un cantiere. "Cosa state facendo?" - chiese al primo - "Sto guadagnandomi da mangiare" questi rispose. "E tu?" - si rivolse al secondo -"Sto lavorando delle pietre". Alla stessa domanda il terzo affermò: "Sto costruendo una cattedrale".
Il Maestro Pirozzi ha costruito una Cattedrale.
Non a tutti è dato il privilegio di poter assistere a un tale avvenimento.
A me è stato concesso e per questo ringrazio, insieme con lui, il Gran Maestro, il Rettore della Porta dell'Abbigliamento Dante De Paz e i Cavalieri tutti.
Con gratitudine, Cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 30-04-2006
Cod. di rif: 2419
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Jeas
Commenti:
In grazia dell'ora e dell'età, complice un'abbondante dose del sublime Calvadòs di Druein, mi tolgo un peso: non ho mai amato i Jeans, pur avendoli indossati, quando, alla fine degli anni '50, ci venvano proibiti dai genitori, in quanto abbigliamento dei "teddy boys". La mia anziana insegnante di grammatica inglese, - sì, l'inglese prevede una grammatica complessa - mi spiegava che "Teddy" derivava dal diminutivo dato agli amici di Edoardo, il gaudente figlio della Regina Vittoria, che, arrivato sessantacinquenne al trono, si rivelò ottimo re.


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Nome: Franco Forni
Data: 30-04-2006
Cod. di rif: 2420
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Contro i Jeas
Commenti:
Fredddi d'inverno e caldi d'estate, avevano un molti pregi: potevano andare in lavatrice ed uscirne più morbidi, costavano poco e, fattore importante in tempi in cui la parsimonia era un valore, potevano venire a allungati quando e come si cresceva.
Erano per questo appannaggio delle classi inferiori: nessuno al Liceo - dove si andava in giacca e cravatta, le ragazze indosssavano il grembiule nero e si fumava nei cessi durante l'intervallo - avrebbe mai pensato di indossare quegli scomodi indumenti.
Al liceo non era ancora entrato il concetto di "praticità": grazie a Dio esisteva ancora il concetto di "servitù".
Università: sessantotto: contestatori: jeans. Abbiamo superato anche quello.
Ma negli anni settanta è stato un incubo: ragazze con Rolex, jeans a zampa d'elefante zeppe e pelliccia di marmotta, periti industriali con con giacche coor mattone (il prof. Pugliatti confermerà). Inespugnabili.
Anni ottanta: Preppy: finalmente un respiro:banale finché si vuole, ma un respiro: tornavano ad essere noi: elegantini.
E i jeans per gli ultimi "borazzi"
Anni '90 - 2000
"Venite a cena da noi stasera?" "Venite pure i jeans!" Dicono le signore che si vestiranno a tono, con tubino e tacchi alti.
Basta: io ci vado in giacca e cravatta e li metto tutti a disagio questi cialtroni in pullover a sessantanni.
E le donne apprezzano.
Il Cavaliere deve cercare la Morte, non la morte fisica, ovviamente, ma la Morte da un mondo che non gli appartiene più.
In questo caso i jeans.

Franco Forni.

Bologn, 30 aprile 2006


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Nome: Franco Forni
Data: 06-05-2006
Cod. di rif: 2429
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Contro i Jeans - mditata risposta al sig. Mattioli
Commenti:
Egregio signor Mattioli,
il signor Pugliatti mi ha preceduto nella risposta al Suo gesso con argomentazioni che, in parte, sarebbero state le mie. C’è del vero in quanto Lei afferma: a volte alcuni di noi – ed io in particolare – indulgiamo nella “laudatio temporis acti”, mentre, come Lei fa giustamente notare, c’è del buono anche in quelli attuali.
Cercherò pertanto di darLe una risposta non banale e frutto di una serie di considerazioni che non Le chiedo di condividere, ma solo di prendere in considerazione.
Inizio, come Lei con i Suoi perché, con una domanda: “che senso ha l’esistenza?” Domanda vecchia quanto il mondo alla quale Lei tenta di dare una risposta di tipo “tecnologico” nel senso che la tecnica è in grado di rimuovere ogni senso che non si risolva nella pura funzionalità ed efficienza dei suoi apparati. Per dirla con parole diverse dal sig. Pugliatti, mi sembra che le sue tecniche non abbiano altro scopo se non il proprio autopotenziamento: per cui se una volta la vita non aveva senso in quanto miserevole, nella la Sua concezione priva di ogni concezione del dolore – che “deve” pur far parte della vita - essa appare miserevole in quanto priva di senso.
Di fronte a questa diagnosi non si esce con una presa di distanza individuale dal vuoto di senso, come sembra fare Lei, ma mettendo in questione il mondo, che oggi si identifica con la tecnica, nella quale sono da reperire molte origini dell’insensatezza.
Da questo disagio – che non origina dall’individuo, ma dall’essere questi inserito in uno scenario, quello tecnico, di cui gli sfugge la comprensione – nasce la necessità di strumenti idonei per orientarsi in un mondo il cui senso sta facendosi sempre più recondito e nascosto.
Questo è il senso della nostra ricerca, che non esito a definire umanistica in quanto mette l’Uomo al suo centro e che ci fa sentire ben vivi, altro ché “morti dentro a qualche capo decrepito del nonno”.
A questa ponderosa riflessione, che La ringrazio di avere sollecitato con le Sue osservazioni, mi per metto di aggiungere un altro concetto per quanto riguarda il riferirsi alla “querelle des anciens et de moderns” che da sempre è all’insegna di una lotta simmetrica (U. Eco): non c’è bisogno di ricorrere ad una psicoanalisi d’accatto per ricordare che da sempre i figli cercano di “uccidere i padri” attraverso il ricorso a un antenato, riconosciuto migliore del padre che si tenta di uccidere, e a cui ci si rifà.
Da sempre, nel linguaggio, nella cultura e nella storia, l’elogio degli antichi è il gesto attraverso cui gli innovatori vanno a cercare le ragioni della propria innovazione in una tradizione che i padri hanno dimenticato: Bernardo da Chartres diceva che: “noi siamo dei nani che cercano di salire sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro, non a causa della nostra statura o dell’acutezza della nostra vista, ma perché – stando sulle loro spalle – stiamo più in alto di loro”.
Detto questo, mi sembra ci sia poco altro da aggiungere se non che, spesso, si fa riferimento ad elementi dell'abbigliamento adottato come a oggetti anacronistici: il codice di abbigliamento svolge anche il compito di ricordare la funzione ed il ruolo che in quel momento si è chiamati a svolgere; che in quel momento non si rappresenta solo se stessi, ma che si è portati a sentire, quasi per induzione, che si ripete e perpetua un senso ereditato dalla Tradizione.
In questa accezione, l'anacronismo degli elementi adottati è funzionale a questa consapevolezza: ha la capacità di evocare il legame con essa e di portare a riflettere sul senso reale delle apparenze, sulla necessità di ricuperarne ogni volta la radice più autentica.
Ecco perché preferisco lo chic e ci sono donne di ogni razza colore e religione che lo riconoscono e apprezzano.
La ringrazio sinceramente per avere espresso in maniera così civile e motivata la Sua opinione che ha sollecitato un dibattito, sempre proficuo quando diverse idee si confrontano.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

Bologna, 6 maggio 2006



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Nome: Franco Forni
Data: 24-05-2006
Cod. di rif: 2467
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Contro i jeans - costume e ruoli
Commenti:
La dotta e documentata esposizione del Magnifico Rettore della Porta dell’Abbigliamento Cavaliere De Paz sulla storia dei jeans e del motivo per il quale vadano iscritti – beninteso nei limiti da Lui chiaramente enunciati - nel Classico internazionale, credo che chiudano il discorso sul jeans come capo di abbigliamento, ma che lascino qualche spiraglio su alcuni approfondimenti per quanto riguarda il costume e il ruolo che ricopre, o crede di ricoprire colui che indossa questo capo.
E sull’Uniforme borghese
Il Gran Maestro nelle Sue accorate rimembranze ne ha fatto un splendida commemorazione che chiude il discorso dal lato affettivo-sentimentale e di costume di un epoca; il prof. Pugliatti ha, da “uniformologo” qual’é, ne ha tratteggiato la storia; il Cavaliere Villa ne ha definito le funzioni. Altri - escluso un frequentatore del sito che, privatamente, ha definito “vergognosa” la mia prima presa di posizione sul tema in quanto infarcita da errori di ortografia (vero) dovuta all’ebbrezza (vero), trascurando il fatto che è meglio essere ubriachi che stupidi perché dura di meno (vero ) - hanno espresso le loro civili opinioni.
Riassumendo: il jeans nasce come “work wear”; diventa “daily wear”; a fine anni ottanta diventa “street wear”.
Sul “work wear” nulla da dire, ci mancherebbe: nulla di meglio i lavori manuali.
Sul “daily wear” cominciano le mie obbiezioni: il fatto che lo indossasse Giovanni Agnelli (il mito) non significa nulla: in quegli anni si faceva calare dall’elicottero sulla spiaggetta del Covo di Nord Est di Paraggi e noi lo guardavamo di lontano e allora?. Però è vero, cominciavano le prime contaminazioni: De Andrè, Tenco (che peraltro teneva i concerti in pantaloni grigi, pullover a V e camicia bianca), Gunter Sachs Von Opel e Gigi Rizzi ed altri indossavano i jeans. La scelta tra abito e jeans a quei tempi e a tutti i livelli sociali era fatta da persone consapevoli, che sapevano quando indossare l’abito giusto al momento giusto. Cosa non di oggi. L’indossavano anche i contestatori e gli hippies, ma avevano fatto almeno un liceo.
E veniamo allo “street wear”, un capo il cui valore va dai due ai dieci euro. E lo dico con coscienza di causa perché per venti anni ho venduto computer e programmi per lo sviluppo taglie a confezionisti, tra i quali i produttori di jeans. Il costume dei drogati, dei punkabbestia, di coloro che non possono permetterselo o non sanno che cosa è un paio di pantaloni, di quelli che si sono lasciati andare, di quelli che non c’è nessuno che mi stira le braghe, di quelli che tanto con un paio di jeans si è sempre a posto, di quelli che l’ultimo dell’anno tutti in jeans e poi glialtri sono in smoking. Di quelli che..., come diceva Jannacci, “fanno l’amore in piedi credendo di essere in un pied a terre”.
No! No! No! E in questa sede mi domando e chiedo: perché la borghesia, media o medio alta che sia, ha abdicato al suo Ruolo? perché colui che può permetterselo si veste come uno straccione qualsiasi? perché un signore educato e benestante come il signor Tal dei Tali, grande amatore in grazia del suo adeguarsi all’andazzo dei tempi (pur di scopare l’abbiamo fatto tutti, non si preoccupi), non cerca di innalzarsi al di sopra della plebe?
Questo è il quesito che pongo ed al quale non so dare risposta se non rivolgendomi a coloro che già la sanno. Questo è l’incontro e propongo in questo sito come oggetto di analisi, dibattito e discussione.
Ecco perché ritengo che il Cavalleresco Ordine nulla possa insegnare se non risvegliare gli animi di coloro che già, in potenza, sanno.

Bologna, 24 maggio 2006

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 24-05-2006
Cod. di rif: 2471
E-mail: g
Oggetto: Bottoni in galattite
Commenti:
Carissimo Rettore, sommo Dante,
nel continuo pellegrinaggio al quale negli ultimi anni sono costretto per procurarmi fodere e bottoni decenti, ho incontrato un vecchio merciaio che mi ha mostrato dei vecchi bottoni bianchi che ha dichiarato essere di "galattite". Mi ha spiegato che derivano dai cascami del latte e che una volta erano molto costosi, ma adesso che tutti - quorum ego, lo confesso - ne ignorano l'esistenza valgono poco. Si usavano sugli abiti di lino, mi ha detto.
Puoi aiutarmi a squarciare le tenebre (scusa l'ossimoro) che circondano la galattite?
Grazie e cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 13-08-2006
Cod. di rif: 2549
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Bottoni in corno - Rif. 2538
Commenti:
Caro Lorenzo,
mi permetto di aggiungere a quanto dottamente esposto dal nostro insuperabile Gran Maestro che puoi telefonare al signor Maurizio di "Tutto per la sarta" di Milano e fare il mio nome: ti comunicherà la disponibilità di quanto chiedi e ti applicherà anche un piccolo sconto.
Il cavaliere Alberto Longo mi ha segnalato che sono disponibili i bottoni da bretella in corozo nei colori blu, nero, bianco e avana: ne ho comprato un buon numero e li ho mostrati al nostro Magnifico Rettore che li ha giudicati molto belli.
Nello stesso negozio sono inoltre diponibili i bottoni in cuoio con l'attacco in cuoio: li trovo perfetti per una giacca di velluto o un cappotto British Warmer.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 16-04-2007
Cod. di rif: 3052
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Mezzi media e mezzucci
Commenti:
Chiedo scusa: "Magno cum gaudio". Che errore! Che vergogna!

Franco Forni

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Nome: Franco Forni
Data: 15-04-2007
Cod. di rif: 3047
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Mezzi media e mezzucci
Commenti:
MEZZI MEDIA E MEZZUCCI

Scrive Mc Luhan: “Il messaggio è il media”:
Ieri, in motorino, ho incrociato un amico in giacca e senza cravatta.
Lo conosco da quando aveva ventiquattro anni e mi passava a prendere per giocare insieme a bridge. Adorava le Vivax , le strizzava e rendeva al massimo l’elegante drappeggio quello che dovrebbe essere il primo dovere di ogni gentiluomo.
I casi della vita l’hanno portato ad essere prima uno dei maggiori dirigenti Fininvest e poi deputato di Forza Italia. Perché non fare nomi? Si tratta di una persona onorevole ed onorata, che io stimo ed alla quale voglio bene. Non lo faccio per un solo motivo: perchè mi auguro che questo sia stato un momento di debolezza.
Ma, pensiamoci un attimo, debolezza di cosa? Di stare più fresco? No: siamo al 13 di aprile; di essere “a la page”? Non credo: è un uomo che non ha mai fatto mistero di essere di quelli che, pur nella “modernità” che certe situazioni impongono, preferisce riferirsi ai modelli di una tradizione virile.
Si tratta dunque di un adagiarsi, di un ritirarsi, di un lasciarsi andare?
Ebbene, credo proprio e purtroppo di sì.
E su questo e contro questo credo e propongo debba impostarsi una campagna, condotta da chi è più competente, nella materia e nella parola. L’argomento, a mio avviso tutt’affatto banale, andrà trattato in sede magistrale quando se e come il nostro amato Gran Maestro lo riterrà.
Questo “cahier de doleance” va invece sulla lavagna dell’abbigliamento perché denuncia una incongruenza estetica che si accompagna ad una mancanza di coraggio.
Sissignori, perché andare con la giacca senza cravatta è un mezzuccio: un mezzuccio per fingere di sentirsi più freschi, un mezzuccio per apparire più disinvolti, un mezzuccio per non esporsi più di tanto: ci vado, ma non metto la cravatta che “fa tanto formale”. Noi non siamo formali, ci raccontano, siamo come voi.
Voi chi? Voi sarete voi, io sono Lei, non siamo né parenti né compagni di scuola, né busoni. Come per la camicia bianca, uguale: noi ci laviamo, ci cambiamo e ci piace che “risponda per essi la forza e virtù”.
“Questo è il lago dove è annegato Gasparo,
L’acqua salata gli avea’ salato il bischero;
donne vendetela ché la te ne te a far?
Viene l’autunno e rischia di appassire,
Viene l’inverno e rischia di congelare,
vien la primavera e rischia di germogliare,
viene l’estate e puzza di baccalà.
Ragazzi in camera, la bionda è libera...”

Magnum cum gaudio,

Franco Forni.

Bologna, 15 aprile 2007
















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Nome: Franco Forni
Data: 02-06-2007
Cod. di rif: 3173
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Al signor Occhelli - riferimento al gesso 3169
Commenti:
Caro signor Occhelli,
letto il Suo gesso, le mani sono corse alla penna, pardon alla tastiera, per cercar di dare dei consigli. Vecchio vizio nel quale il signor Tarulli con il suo intervento ha evitato che cadessi.
Il nostro Cavaliere Giosi Campanino di San Giovanni, Prefetto di Napoli, ha definito l’eleganza: “l’abito adeguato portato con disinvoltura”.
Spesso si fa riferimento ad elementi dell'abbigliamento adottato come ad oggetti anacronistici. Invece il codice di abbigliamento svolge anche il compito di ricordare la funzione ed il ruolo che in quel momento si è chiamati a svolgere; che in quel momento non si rappresenta solo se stessi, ma che si è portati a sentire, quasi per induzione, che si ripete e perpetua un senso ereditato dalla tradizione.
In questa accezione, l'anacronismo degli elementi adottati è funzionale a questa consapevolezza: ha una forte capacità di evocare il legame con essa, e di portare a riflettere sulla relatività del tempo, sul senso reale delle apparenze, sulla necessità di ricuperarne ogni volta la radice più autentica.
Il mondo della sartoria artigianale (e per essa intendo a mano e su misura, altrimenti siamo sul su-ordinazione) è completamente diverso da quello degli stilisti e compagnia cantante.
Il piacere di un vestito nasce da un soffio, da un film, da una passeggiata in centro, da una strana esigenza nata per soddisfare uno stimolo interno; prosegue con la ricerca di un tessuto che sentivamo che ci serviva, e invece ne abbiamo incontrato un altro che ci piaceva di più e di fronte al quale abbiamo all’istante avvertito che non avremmo mai potuto farne a meno: siamo deboli e siamo usi a cedere alla dolce violenza di un abile venditore. Come una bella donna di fronte a un maliardo seduttore: crediamo di non avere bisogno di niente ed abbiamo bisogno di tutto. Continua il nostro discorso con il Mastro sartore, portatore di un antica sapienza, del quale conosciamo i limiti e che conosce i nostri, al quale chiediamo, pur sapendo che mai ci soddisferà al completo.
Siamo dilaniati dai dubbi: il pantalone di velluto sta meglio con il risvolto o senza? Spesso, vigliaccamente, ne facciamo fare uno e uno; e ai pantaloni degli abiti ad un petto, che ci piacerebbe portare con bretelle, facciamo mettere i passanti o no? Si sa, eliminare i passanti è una scelta forte, che, inoltre, priva del piacere di una cintura, magari in tinta, magari ordinata allo stesso artigiano che ci fornisce le calzature, magari fatte su misura.
Praticando le botteghe artigiane, luoghi dove si trasmette conoscenza, sia arriva ad una forma di sapere non erudito, ma assimilativo; in qualche modo intuitivo, analogico e sintetico, tanto più efficace e introiettabile quanto più sarà stato emozionale.
Tutto nasce da un atto d’amore: se con un colpo di bacchetta magica potessi avere un abito che mi vesta alla perfezione del tessuto che ho sempre desiderato, non lo vorrei: userei la stessa bacchetta per far rivoltare un mio vecchio cappotto.
Ma tre regole esistono, eccome:
1. mai farsi consigliare da una donna, sorella, figlia, moglie, fidanzata o amante: la faranno vestire come un cremino con flaccidi tessuti di Loro Piana;
2. mai farsi confezionare un abito appena si è dimagriti: la vanità ha un limite nel principio dell’incomprimibilità dei corpi;
3. mai ordinare più di un abito alla volta: anche i sarti sono esseri umani e se ne approfitterebbero.

Cavallereschi saluti e buon lavoro.

Franco Forni
Bologna, 2 giugno 2007

P. S.
Mi par di capire che viva a Milano. Per la manutenzione delle Sue calzature si rivolga a mio nome a: F.lli Santovito s.n.c. dal 1938 - Corso di Porta Vigentina, 38 - 20122 Milano - tel. 02 58314951. E’ un luogo dove la scarpa è cultura.



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Nome: Franco Forni
Data: 06-06-2007
Cod. di rif: 3183
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Tessuti
Commenti:
Caro signor Occhelli,
vedo che si segue con attenzione così, come con attenzione segue i suoi acquisti. Bene.
La devo però mettere in guardia da facili sicurezze anche se basate su grandi nomi.
Vede, signor Occhielli, anche il miglior Maestro sarto o il miglio drappiere cercheranno di proporLe quello che a loro maggior conviene: il drappiere (anche il migliore, anche il più onesto, e questo è un ossimoro) cercherà di contrabandarLe il su nisura per il "fatto a mano e su misura; il sarto, non il Maestro, ma anche il pseudo Maestro le proporrà il solito tre bottoni, un gilet a ascellare e pantaloni con la zip.



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Nome: Franco Forni
Data: 06-06-2007
Cod. di rif: 3184
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Tigelle
Commenti:
Caro signor Occhelli,
vedo che ci segue con attenzione così come con attenzione segue i suoi acquisti. Bene.
La devo però mettere in guardia da facili sicurezze anche se basate su grandi nomi.
Vede, signor Occhielli, anche il miglior Maestro sarto o il miglior drappiere cercheranno di proporLe quello che a loro maggior conviene; il drappiere (anche il più onesto, il che è un ossimoro) cercherà di contrabandarLe il su misura per il "fatto a mano e su misura.
In ogni caso Le proporranno dei tessuti "facili", i Loro Piana della situazione, vedi Dormeuil et similia; il sarto, non il Maestro, ma anche il pseudo Maestro Le proporrà il solito tre bottoni, e, se proprio Lo vuole, un gilet ascellare dal quale escono le bretelle e pantaloni con la zip SENZA BAGNARE I TESSUTI, raccontandoLe che così deve essere.
Le racconteranno di tutto, specie che non è possibile quello che Lei richiede. E che invece possibilissimo, in quanto realizzato da altri, migliori Maestri: sta a Lei imporglielo.
Il fatto è che questi signori (?) non hanno pantalonaie e gilettaie all'altezza e cercano clienti che si accontentano. Sono il CONAD del su misura. Dei poveri lavoranti che hanno la pretesa di mettersi in proprio perché conoscono le "regole" dell'abbigliamento in quanto hanno cucito per altri. Non hanno mai visto un Signore ben vestito, come i sigarai di Cuba non sono mai entrati in un Club.
Miserabili, solo dei miserabili.
Non si meravigli, è capitato anche a me, presentato da un amico carissimo che molto più di me ne capisce di tessuti e sartoria che non poteva immaginare a quali bassezze potesse scendere l'ignoranza unita alla stupida avidità.
L'affetto e la stima che, immutati, porto al mio amico di sempre, unita alla Sua generosità fece sì che alla fine mi fosse portato un abito tutto sommato ben fatto ma che non porto mai. E' un abito estivo con fodere pesanti: il poveretto non aveva capito nulla in quaranta anni di subalterna
attività.
"Superior stabat lupus, longeque agnus"
In conclusione: i sartini non esistono più; tutti quelli bravi Le proporranno dei tessuti che le migliori ditte obbligano loro di proporre (e, le assicuro, è vincolante); i drappieri Le proporranno un falso "su misura". Lei non ha altra difesa che studiare, confrontarsi, e, mi raccomando lo faccia, SBAGLIARE.
Quando lo avrà fatto sarà entrato in un altro mondo, quello del Libero Pensiero.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni
Bologna, 6 giugno 2007






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Nome: Franco Forni
Data: 06-06-2007
Cod. di rif: 3186
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Il Libero Pensiero
Commenti:
Caro signor Occhelli,
credo di non essermi espresso bene quando parlo di un movimento emotivo quando esso conduce ad un sarto pittosto che ad un coltivatore di pomodori o a un falegname.



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Nome: Franco Forni
Data: 06-06-2007
Cod. di rif: 3188
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Il Libero Pensiero
Commenti:
Caro signor Occhelli,
non ci siamo capiti: forse non mi sono espresso bene quando parlo di un movimento emotivo che conduce ad un sarto piuttosto che ad un coltivatore di pomodori o a un falegname.
Scommetto che Lei, quando si reca ad un supermecato, il miglore, tipo l'Esselunga, crede di essere capace di trovare l'eccellenza.
Invece no. Lei è solo uno dei tanti che va uno in uno dei tanti luoghi di globalizzazione del nulla, dove una massa di ignoranti cerca il prezzo più basso, non il migliore rapporto prezzo qualità.
Niente di male in tutto ciò, ma questo non rappresenta certo l'eccellenza. Perché dove c'è massa NON può esserci eccellenza.
Lei ammira le cravatte di Hermes (peraltro eccellentissime) e cerca di comperarle su internet. Crede di diventare elegante comprando in maniera totalmente asettica quello che tutti con un clic e 150 euro potrebbero comperare? Non potrà mai crescere in questo modo: mai provato, proprio con Hermes, il contatto con l'Eccellenza?
Il vero Hermes è un altro mondo: si confronti con esso e di lì si "parrà la sua virtude".
Cavallereschi saluti.

Franco Forni


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Nome: Franco Forni
Data: 01-09-2007
Cod. di rif: 3518
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Lady Diana
Commenti:
Carissimo Dante, Magnifico Rettore, mio Maestro e amico,
Pace ed armonia sono le colonne su cui si regge un Ordine Cavalleresco ed al cuore e sentimento che tu hai messo nella Tua proposizione iniziale mi permetto di aggiungere qualche considerazione che aggiunge razionalità e rigore alla costruzione che tutti noi contribuiamo ad erigere.
“No complain, no explain”, “Non lamentarti e non spiegare” insegnavano alle ragazze di buona famiglia i buoni collegi. La principessa Diana Spencer e futura Regina non ha fatto né l’uno né l’altro.
Fino agli albori della società moderna ogni attività umana era sentita e vissuta come partecipazione ai principi informatori dell’ordine cosmico ed il ruolo del Re, motivato e quindi consacrato e collegato al divino, costituiva il substrato normale al quale si rivolgeva ognuno.
Venuta a cessare l’atmosfera di quei tempi, pervasa dal senso del divino in ogni momento della giornata in cui tutte le espressioni della vita quotidiana erano assolte come un vero e proprio rituale sacro, il rapporto con il divino ha perso la sua continuità temporale e si è venuta così a manifestare una vera e propria dissociazione operativa.
Questa dissociazione rende necessaria l’assunzione dell’istituzione regale a simbolo (un re che va a lavorare in tram come in Svezia non ha senso) e come tale non accessibile.
Ad un Re si chiede di elevarsi al di sopra del popolo, non di essere popolare; di essere incomprensibile, non di essere capito. Solo così potrà essere Re.
A chi si unisce ad un erede al trono si chiedono due cose: avere dei figli e comportarsi da Regina. Diana ha assolto al primo compito, non ha ottemperato al secondo asseverando i commenti di una tuttologa da quattro soldi come la “psicologa” Maria Rita Parsi che non riesce a capire perché gli uomini vadano con le prostitute e che infesta con commenti come: “ Si tratta di una povera donna che ha colpito l’immaginario collettivo reagendo alle proprie vicissitudini personali con instabilità comportamentali, dolore e rabbia, abbattendo i filtri dell’aplomb regale...” Ma ci faccia un piacere...
Il Principe Filippo di Mountbatten, l’algido Filippo come lo definisci tu, altrettanto stupido come Diana, che aveva un solo vestito ma quello giusto quando, giovane ufficiale di marina sposò Elisabetta, ha commesso molti errori, ma sempre rispettato il suo Ruolo e, con esso, l’Istituzione: quando morirà avrà la fortuna di non essere commemorato da rock star omosessuali con canzoni rimasticate e dalle varie Marie Rite Parsi.
Ma Tu, Grande Saggio, tutto questo lo sapevi gia...
La Tua commossa partecipazione alla scomparsa di una donna, tu dici fragile e forte, io dico solo fragile senza nulla con questo togliere alla “Donna”, che ai Cavalieri piace fragile, porta invece il giusto accento alla figura delle Dame, figura da sempre al centro della storia della Via Cavalleresca.
La donna aveva un ruolo fondamentale nella preparazione della cerimonia di investitura cavalleresca e nel suo svolgimento: vestiva l’armatura al suo Cavaliere, gli calzava gli speroni d’oro e gli cingeva la spada.
E’ con il pensiero a Lei che il Cavaliere si raccomandava nelle più perigliose avventure.
La “donna” cui l’aristocrazia cavalleresca giura fedeltà non è una donna fisica, ma è una figurazione della “Sapienza Santa”, l’“intelligenza” in senso trascendente è cioè una personificazione di una spiritualità trasfigurante e del principio di una vita non mista a morte.
Nella tradizione indo-ariana viene detto “Non per l’amore della qualità del guerriero, ma per l’amore dell’atma (del principio “tutto luce” tutto immortalità dell’Io) è caro lo stato di guerriero...”.
Esattamente questo è lo sfondo necessario per comprendere il lato esoterico della Cavalleria.
In occidente la Sapienza - Sophia - hanno come una rappresentazione una donna regale; in Egitto donne divine porgono ai re il loto, simbolo di rinascita, e la “chiave della vita”; a Roma c’era Venus Victrix, tra i Celti donne sovrannaturali rapivano gli eroi in isole misteriose rendendoli immortali con il loro amore.
Eva secondo un’etimologia vuol dire Vita, la Vivente. Donna dunque è una forza vivificante e trasfigurante, attraverso la quale può prodursi il superamento della condizione umana.
Il Tuo illuminato Consiglio giunge quindi a proposito, e il Gran Maestro, che tutto vede e a tutto sembra preveda e, “si parva licet componere magnis” il Gran Consiglio, già hanno messo programma di mettere la Donna al centro delle nostre prossime iniziative: il Cavaliere Pinetti, grande intenditor di donne e di lingerie sta scaldando i muscoli ...
Ecco dunque che due espressioni di pensiero, apparentemente divergenti, grazie alle Tue proposizioni, mirabilmente si uniscono a formare una trabeazione atta a sostenere nuovi edifici, non attraverso una dia-lettica, ma attraverso una serie di proposizioni che portano ad una “reductio ad unum” atta a ritrovare nell’Io il Sè.
Grazie Dante.
Cavallereschi saluti,
Franco Forni
Bologna,
1° settembre 2007








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Nome: Franco Forni
Data: 19-12-2007
Cod. di rif: 3607
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Pumps e pantaloni - quesito
Commenti:
Caro Gran Maestro, caro Rettore,
condivido e approvo quanto scritto sulle pumps, di vernice e scamosciate.
Quelle di vernice sono d'obbligo con il frak e desuete con la dinner jacket, mentre quelle scamosciate si portano in casa, preferibilmente con la smocking jacket. Siamo tutti d'accordo.
Io non possiedo una smocking jacket(ci fu un progetto, anni fa e conservo il bello schizzo fatto dal nostro Rettore di conserva con il Primario, ma desistetti per il costo eccessivo rispetto all'uso), ma mi piace ricevere gli ospiti con una camicia bianca, un cardigan nero e pantaloni fumo di Londra. Il padrone di casa deve essere sempre un gradino al di sotto degli ospiti, mi insegnavano in casa.
Ed ecco la domanda: In questo caso i pantaloni debbono avere o no il risvolto?
Cavallereschi saluti.

Franco Forni





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Nome: Franco Forni
Data: 08-02-2009
Cod. di rif: 3974
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Democrazia e consumo
Commenti:
Cari Cavalieri,
Qualunque raggruppamento umano studiato dagli antropologi culturali, anche il più arretrato, ha sempre disposto di oggetti, riti, forme di vita collettiva in cui venivano soddisfatti bisogni simbolici non riconducibili al puro sostentamento. Qualunque società, pur schiacciata dai bisogni primari, ha sempre riservato all’immaginazione uno spazio vitale, concretamente visibile in oggetti, forme, colori che trascendono la materialità.
Nella società attuale questi bisogni si esprimono attraverso i consumi, con la differenza, rispetto al passato, che questo sogno non è più riservato alle elites, è divenuto democratico perché, con una somma relativamente modesta di denaro, è diventato possibile per (quasi) tutti appagare la dimensione del desiderio e dell’immaginazione.
Si potrebbe allora definire il consumismo come la forma specifica con cui la maggioranza può aspirare ad un tenore di vita che in passato era appannaggio solo di una ristretta minoranza. Il consumo è tutt’uno con la democrazia e quando si affida il danaro a chi non lo ha mai avuto, questi lo caccia via. E il classico muore.
Cavallereschi saluti.
Franco Forni.
Bologna, 8 febbraio 2009


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Nome: Franco Forni
Data: 18-02-2010
Cod. di rif: 4273
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: La via cavalleresca verso la conoscenza
Commenti:
A suo tempo il compianto Giosi Campanino di San Giovanni così definì l’eleganza: “L’abito adeguato portato con disinvoltura”.
Mi identifico in toto in questo concetto e ritengo che un Ordine Cavalleresco debba mirare a una forma di comprensione non erudita, ma assimilativa. Il risultato è quello di una conoscenza non deduttiva, ma in qualche modo intuitiva, analogica e sintetica, tanto più efficace e introiettabile quanto più sarà stata emozionale.
Un Ordine è una regola a cui gli uomini si sottomettono volontariamente per libera scelta per uno scopo comune; l'Ordine è anche l'organizzazione di questi uomini liberi. Esso accetta e dà la possibilità ed aiuta ad arrivare alla conoscenza.
Ognuno, pur nel rapporto del comune sentire, strumento di stimolo e aiuto, è solo nella sua ricerca, come è solo nella sua crescita che deve avvenire in lui e solo attraverso di lui, adeguando le informazioni ricevute dai maestri alla situazione operativa concreta, secondo un processo circolare.
L’uomo elegante si forma in sartoria, il gourmet frequentando bei ristoranti, il fumatore gustando buoni sigari e così via, condividendo queste emozioni con altri gentiluomini uniti dal fil rouge dell’Amore: per il Bello, per il Giusto, per il Vero.
A far l’amore non si impara sui libri.
Cavallereschi saluti
Franco Forni

Bologna, 18 febbraio 2010


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Nome: Franco Forni
Data: 26-03-2013
Cod. di rif: 4722
E-mail: gonfal@tin.it
Oggetto: Summa del vestire
Commenti:

Caro signor Gigante,
una Summa sull’Abbigliamento il Gran Maestro non la scriverà mai: perché non può scriverla, perché è un segreto.
Nel mondo ci sono decine di migliaia di articoli sull’Abbigliamento, solo la bibliografia italiana conta innumerevoli titoli, per non parlare di internet. Ci sono case editrici specializzate ed è possibile acquistare qualsiasi volume riferito ai tessuti, alle fogge, ai documenti storici, alle inchieste, al pensiero e alle azioni relativi all’Abbigliamento italiano e mondiale: sono tutti coperti dalla disinformazione, o, peggio, dalla contro informazione. E’ anche attivo un Centro Italiano della Sartoria (o un nome simile, non ricordo bene) e si studia la Storia della Abbigliamento, ma tutto ciò non serve a nulla per capire qualcosa, perché c’è un segreto, un segreto quasi inespugnabile.
Il termine "Segreto" deriva da “secernere”, e sottende la necessità di separare, scegliere. E quello del vestirsi è un segreto-mistero che non si può trasmettere, che non si può insegnare; parte integrante della vita elegante, lo si apprende, o meglio lo si comprende, vivendo un’esperienza di scambio con gli artigiani che, con la pìetà della loro opera, compiono, insieme con il committente, un atto d’amore creativo. A questo punto avviene un processo di maturazione che porta con sé un segreto che quindi non si riesce a svelare e che non si può tradire.
Questo metodo è graduale, per successive esperienze, ed ha come traguardo il possesso di un arte il cui segreto si scopre lavorando su se stessi e confrontandosi con gli altri al fine di una realizzazione estetica e ad una trasformazione personale che non è comunicabile. Non è quindi un segreto assoluto, ma è intrinseco ad una via quasi iniziatica e non è peculiare all’Abbigliamento, ma comune alla maggioranza dei movimenti che si pongono al di fuori del conformismo culturale, sociale o politico. Un segreto quindi precario, violabile, modificabile nella sua interpretazione e nella sua attuazione, ma non trasmissibile a chi già non faccia parte di un gruppo di persone idealmente unite in un progetto comune: un Ordine, appunto. Portare al di fuori forme e contenuti da chi li comprende o, meglio, chi compresi li ha già, li snaturerebbe. Potrebbe togliere loro senso, o peggio, travisarlo.
Cavallereschi saluti.

Franco Forni
Bologna, 26 marzo 2013


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