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Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-02-2014 Cod. di rif: 4844 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blazer e scarpe: questione di fede - Risp. al Gesso n. 4831 Commenti: Egregio signor Cattani, nel suo Manuale di eleganza maschile, Tatiana Tolstoi dedica il suo brano più bello ad una perorazione ad alta emotività e senza riserve della scarpa color cuoio come unica soluzione possibile col blazer. Non vengono indicati motivi tecnici o estetici, se non un’adesione totale ad una tradizione consolidata, eppure chi abbia letto quelle pagine difficilmente potrà poi calzare sotto il blazer una scarpa nera. Aderire a questa scelta, che è squisitamente ideale, non è cosa da poco. Significa appartenere ad un gruppo trasversale che non ha nome, i cui membri si riconoscono per un dettaglio. Anche io, sebbene non ricordi più quale sia stata, ho appreso da fonte autorevole che non si poteva fare altrimenti. E volutamente dico non si può invece di non si deve, perché si tratta di un assunto che si può far proprio solo considerandolo cogente, incontrovertibile, indiscutibile. E per una cosa che abbia queste caratteristiche un nome c’è eccome: il sacro. Poiché dal rispetto di una sacralità condivisa nasce un’identità comune, a tal proposito parlo di una comunità. Il primo problema è storico. La comprensione dell'abbigliamento maschile non può prescindere da luoghi, periodi, intenzioni, circostanze e ambienti in cui nascono i suoi principali elementi, cioè fogge e tessuti. L'approccio storico ed etimologico è la base del metodo cavalleresco di ricerca, e forse proprio per questo è il caso di ritagliare uno spazio sull'argomento. La ricerca delle origini dei capi e dei loro nomi non è diversa dallo studio della letteratura, della pittura o della musica. A chi sostenesse trattarsi di curiosità applicata alla vanità risponderemo che ha proprio ragione, ma anche che non è cosa da poco governare insieme i due motori senza i quali l’umanità vivrebbe ancora nelle grotte. Dai tic estetici dei diversi periodi si traggono indicazioni insostituibili su ciò che l’uomo desidera essere, avere ed apparire. Tali valori si evolvono, eppure nelle più solenni dichiarazioni politiche, come nelle chiacchiere da pizzeria, vengono presentati come immutati anche quando sono già cambiati da tempo. Per emergere come volontà manifesta, il desiderio di interi popoli può impiegare una generazione. Limitandosi alla produzione verbale, non si riesce a leggere lo spirito di un’epoca. Per captarlo occorre ascoltare i linguaggi che verbali non sono. Se non fosse una semplificazione rischiosa, potremmo dire che l’uomo parla come pensa di essere e veste come vuol far credere agli altri di essere, solo che non ci può riuscire e inesorabilmente veste così come è. L’abbigliamento non è banale civetteria, perché possiede la complessità di un linguaggio autonomo. Quale forma di espressione assume la dignità di arte e in quanto tale si giova della critica e della storiografia, purché indipendenti. Risalendo i fiumi dello stile senza una rotta già decisa a tavolino, solo seguendo il loro capriccioso tracciato, si incontrano i paesaggi più sorprendenti. Anche l’esploratore che non abbia trovato le sorgenti che cercava torna a casa con qualcosa di nuovo. Se voleva comprendere il fiume, c’è comunque riuscito. Esso infatti è nell’ambiente che nutre e che a sua volta ne determina il ritmo ed il tracciato, nelle valli che attraversa, non nella pozza da cui nasce. Auguriamoci che vada così anche ora che partiamo alla ricerca della fonte dell’eterna giovinezza: il blazer. La più antica tra le giacche sportive, sempre uguale e sempre moderna, sarà l’ultima a morire, se questo dovesse essere il destino della giacca. Mi scusi per la digressione, torno subito in argomento. Possiamo cominciare col dire che conosciamo tre tipi principali di blazer. Il più antico è quello da cricket, nato alla fine del XIX secolo. Si tratta di una giacca bordata in gros grain che nelle versioni più vicine allo spirito ed alla foggia originari è corta e molto aperta anteriormente, grazie ad un’abbottonatura ridotta al minimo. Nel 1925 gli student del Saint John’s, il più antico college di Cambridge, fondarono il Lady Margaret Boat Club, dandosi come divisa una giacca rossa con le insegne al taschino. Nacque così il blazer dei circoli del remo, che si è evoluto adottando e creando una grande varietà di quei tessuti a grandi righe verticali che fino a qualche tempo fa distinguevano anche gli operatori della borsa londinese. Secondo una nota leggenda, cui è bello credere perché credere a qualcosa è già bello di per sé, il blazer nautico proviene invece dal clamore suscitato dalle giacche che il capitano della HMS Blazer fece confezionare in occasione dell’eccezionale visita della ancor giovane regina Vittoria. Non vi sono, o almeno non sono ancora stati trovati, documenti che dimostrino i materiali con cui vennero effettivamente realizzate le uniformi. C’è accordo nel ritenere che fossero a doppio petto e portassero i bottoni d’oro, mentre riguardo al tessuto alcuni sostengono che fosse a righe verticali bianche e blu, altri in tinta unita blu navy. Se un giorno venisse fuori una giacca originale sarebbe come trovare l’Arca Perduta, nel frattempo nessuno ci vieta di pensare salomonicamente che gli ufficiali avessero la giacca in un modo ed i marinai in un altro, concentrandoci sul fatto che anche nell’incertezza la storia chiarisce molto. Il gene militare non può scomparire dal DNA del blazer blu ed aiuta ad inquadrare gli archetipi da cui non può allontanarsi. Sorge però un secondo problema, anzi una contraddizione. Le divise militari favoriscono per le scarpe il nero, con l’eccezione del bianco per la marina. Il color cuoio è servito probabilmente ai gentiluomini, soci di yacht club e spesso con un passato nella marina, a marcare la natura civile e non militare del capo che indossavano al circolo. Un ulteriore tema da affrontare è l'origine ed il significato del termine, sulla quale non c'è accordo tra gli studiosi. La scuola con un maggior numero di seguaci fa risalire il nome alla nave comandata capitano John Middleton Waugh Walsh che si chiamava appunto Blazer. La seconda, non priva di fondamento, non trova giusto fermarsi a questo punto e si chiede da dove venisse questo lemma, perché la stessa radice del nome della nave potrebbe essere quella della giacca. Secondo questo orientamento blazer potrebbe provenire da "ablaze", termine che significa fiammeggiante, infuocato, ma anche eccitato o per meglio dire incazzato nero. La parola potrebbe quindi essere stata ispirata non già direttamente dalla nave, ma dal colore delle giacche del Lady Margaret Boat Club, che come abbiamo visto erano rosse e vivacissime. L’ultimo cruccio che deve porsi la critica del vestire così come la pratichiamo qui al castello è individuare cosa significhi blazer. Ebbene, ciò che lo distingue da una giacca sportiva è l’astratta attitudine a dimostrare un’appartenenza, come del resto accade con le uniformi. Nei blazer da cricket o remo l’identificazione è già nei colori dei tessuti e/o delle bordure. In quello nautico, che non può che essere blu, il bottone in metallo, che rechi o meno le insegne del club, è essenziale al blazer quanto il guanciale all’amatriciana. Certo, si può usare la pancetta, ma allora perché non il salame o il cocco? Poiché la sostanza più importante è proprio quella di cui è fatto il bottone, in quanto essa rivela l’intenzione che costituisce il fondamento distintivo del capo, qualsiasi giacca in tinta unita con i bottoni in metallo ha diritto a questa denominazione. Se ha colori identificativi, sarà un blazer anche senza bottoni in metallo, mentre solo le giacche blu con bottoni in metallo possono essere chiamate blazer nautico. Quelle senza dei bottoni metallici, che almeno astrattamente possano recare delle insegne, non sono che giacche blu e pertante con esse non si pone il problema delle scarpe. Abbiamo visto recentemente nei Taccuini dei blazer di colori fantasiosi e di materiali rustici ben degni del loro nome, ma non possiamo certo pensare ad essi come blazer nautici, perché questi rappresentano una tipologia autonoma basata sul blu, mentre colori diversi evocano sport, ambienti o scopi diversi. Esattamente al centro del “disciplinare” del blazer da yacht club c’è il blu navy nei tessuti militari, primo tra tutti la saglia, ma anche hopsack, tele e flanelle vanno considerate valide, purché restino entro sfumature del blu. La foggia che fu all’origine di tutto fu con tutta probabilità l’ampia e calda reefer jacket, o peacot, il corto giaccone da marinaio dai grandi bottoni scuri. Fu questo modello, ma opportunamente accorciato e decorato con bottoni da parata, a ispirare le giacche della HMS Blazer e poi generare i blazer da circolo. Alla loro nascita è ragionevole presumere che fossero a sei bottoni dorati in colonna, bottoni alle maniche non sovrapposti, dorso senza spacchi, tasche tagliate chiuse da pattine e nessuna impuntura visibile. Le tasche a toppa, utili a cucire sul taschino il patch con le insegne del proprio club, sono successive. In centoottanta anni di lavoro in ogni situazione, il blazer blu ha guadagnato una certa libertà ed accumulato un repertorio espressivo vastissimo, al punto che oggi sta al guardaroba maschile come il sonetto alla poesia. Va dal lirico al disimpegnato, dal contemplativo al descrittivo. Un doppiopetto è sempre più solenne del petto singolo, mentre per i bottoni vale un principio basato sulla divisione del classico nei tre grandi registri del formale, informale e sportivo. Il corno, il corozo e la madreperla scuri, quindi a basso contrasto col tessuto, per la loro tranquillità sono adatti a situazioni formali ed anche alla scarpa nera, in quanto con essi la giacca perde la natura di blazer. Il bottone in metallo bianco è tra l´informale e lo sportivo e va bene sia in situazioni di lavoro non troppo impegnative che nei contesti informali, sino a quelli sportivi. Il bottone d´oro è decisamente sportivo, in quanto legato all´idea del circolo. Si compiace di uscire nei fine settimana, nel tempo libero, in viaggio per turismo. In merito ai bottoni, c’è però qualcos’altro da dire. Mi dispiace trattenerLa così a lungo, ma l’argomento è così importante e così mal trattato dalla sciatteria dei critici e dei blogger che vale la pena mettere dei punti fermi che distinguano il castello da altri ambienti dove l’abbigliamento è visto come una semplice passione e non come una leva di visione e conoscenza dell’uomo e del mondo. Dobbiamo tornare un attimo indietro, ai tortuosi e stretti fiumi inglesi lungo i quali nacquero i club del remo e tuttora si sfidano le principali università nelle poche gare che ancora conservano il sapore e lo spirito dell’autentico sport. Oxford e Cambridge si prefiggevano di primeggiare nelle bumps races, gare la cui formula richiede un attimo di attenzione che spero di riuscire a premiare con qualche ulteriore passo verso la comprensione del blazer. Come tutte le cose squisitamente inglesi, le bumps races sono preparate con una complicata miscela di ingenua praticità ed iperbolica astrattezza, il cui risultato è incomprensibile senza considerare una terza faccenda: la tradizione. Alla partenza di queste regate i grandi armi a otto sono disposti in fila indiana, ad intervalli regolari. Per tenersi fermi, i timonieri impugnano ciascuno una cima che pende dalla banchina. In testa c’è l’Head of the River, il vincitore dell’edizione precedente. E’ un po’ la lepre che scappa, inseguita da tutti gli altri. Lo scopo è infatti quello di raggiungere la barca che precede senza essere raggiunti da quella che segue. Quando una prua raggiunge e supera la poppa avversaria, ovvero la tocca, la barca conquista un bump, che vale una posizione migliore nella regata seguente e così via, per alcuni giorni e sino alla finale. Ancor oggi, mentre le Federazioni sportive esercitano una dittatura che non sembra avere eccezioni, questo tipo di competizioni è nelle mani dei Club. Proprio per questo conservano il loro fascino e le loro usanze. I giovani del St John’s agognavano dunque a dominare coi loro remi sul fiume Cam, quello da cui prende il nome la città di Cambridge. In effetti, i bumps sono nati e sopravvissuti tra Cambridge ed Oxford, dove i fiumi sono troppo stretti e tortuosi per farvi correre più imbarcazioni affiancate. Le più importanti regate con tale formula erano e sono tuttora i May Bumps, in Giugno. Di poco meno prestigiosi i Lents, che si disputano tra la fine di Febbraio e l’inizio di Marzo. La prassi del Lady Margaret Boat Club prevede che i vogatori con i First May Colours, ovvero che abbiano guadagnato almeno una posizione al giorno durante i May Bumps, possano portare i bottoni d’oro. I membri coi “Second May Colours”, ovvero che si siano distinti nei Lents, hanno diritto di ornare il loro blazer coi bottoni d’argento. Per tutti gli altri, bottoni bianchi a volontà. Dunque i bottoni di un blazer, a differenza di quelli di qualsiasi altra giacca, sono particolarmente importanti perché oltre alle indicazioni estetiche che provengono dal materiale possono contenere particolari significati simbolici. I criteri teorici generali sono questi, ma quelli definitivi li fissa il singolo. Qui non enunciamo mai degli imperativi categorici, cerchiamo piuttosto di rintracciare nella storia qualche buona ragione su cui fondare la propria legge. Parte del piacere del blazer è proprio nel creargli intorno un codice personale, per poi rispettarlo meticolosamente. In esso contano molto la sfumatura di colore, la luminosità ed il peso del tessuto, nonché le scarpe, la camicia, la cravatta ed i pantaloni abbinati. E’ ovvio che camicia bianca, scarpa nera, pantaloni grigi e cravatta a piccoli disegni daranno la maggiore solennità, mentre l’inserimento di contrasti, valori cromatici e righe regimental sposterà l’asse verso la disinvoltura e la creatività. Siamo partiti aderendo all’ipotesi che col blazer non si possano calzare mai scarpe nere, ma in fin dei conti si sono visti troppi ammirevoli esempi di contravvenzione per indicarla come una soluzione valida per tutti. Si tratta di un atto di fede e la fede non si consiglia né si prescrive, si sceglie e si segue. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 4 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Teoria e storia del "bombarozzo" Commenti: Egregio signor Clerici, eccoci all'argomento a Lei caro. Da lunga pezza faccio confezionare molte delle mie camicie a Roma, presso il laboratorio della signora Sabatini, in Via Flaminia n. 111. Questa gentilissima artigiana vanta al suo attivo una dote rarissima nella categoria delle camiciaie: non è isterica. Al contrario, è sempre disponibile alle innovazioni e a rispondere a quelle esigenze particolari che fanno parte dell'inevitabile bagaglio di tic dell'Uomo abituato a farsi confezionare ogni capo sulla misura non solo del corpo, ma dello spirito. Trovandomi a Roma, insieme all'impeccabile nostro Primo Guardiano marchese Salvatore Parisi, coautore di questo nomignolo, abbiamo affidato alla storia col nome romanesco di "bombarozzo" la finitura in rilievo del collo e dei polsi. Potrà vedere l'immagine del divino marchese ritratta in copertina dell'evento "Scegliere gli Avana", nella galleria di Eventi pubblicata nel nostro sito. Il dettaglio in oggetto conferisce al collo una particolare carnosità, che distacca la camicia da tutte le altre. Tecnicamente, si tratta di una finitura rovesciata, applicabile con successo solo a tessuti rigorosamente non trasparenti. Il rimesso interno al bordo impunturato, sempre presente nei colli lavorati a mano, non viene rivolto verso il basso, ma verso l'alto. Nei polsi, occorre invece farlo appositamente, rivoltando un piccolissimo lembo di tessuto perché si determini un leggerissimo rilievo. Questo dettaglio è la croce delle stiratrici, e cagiona una durata del capo molto inferiore, in quanto il ferro consuma gli spigoli molto più facilmente. Pertanto, occorre acquistare qualche decina di centimetri in più, prevedendo che lungo la vita della camicia si applicheranno un nuovo collo e nuovi polsi almeno un paio di volte. A presto. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 6 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il sublime del subliminale Commenti: Carissimo, nelle occasioni professionali ci giova un clima di fiducia, che a sua volta è favorito dalla stabilità e dalla trasparenza. Niente meglio del bianco simboleggia queste qualità. Anche le donne, forse proprio per farsi meglio credere, si fanno sposare con questo colore. Onestà, equilibrio, assenza voluta di colore che sottintende ferma rinuncia agli eccessi. Questo vuol dire un colletto candido, meglio se circondato da grigi e blu senza aree di colore, destinate ad attirare l'attenzione in modo particolare. Ovviamente tra uno squallido promotore finanziario ed un uomo di successo ricco di personalità c'è qualche millimetro meglio distribuito, un dettaglio che parla ai pochi, un gesto che qualifica il tutto. L'abbigliamento maschile è dopotutto un linguaggio raffinato e sottile, le cui altezze sono praticabili e interpretabili solo dagli esegeti più abili e consumati. Il celeste è il colore del cielo e del mare, infinito definito. Su di esso la tavolozza dei colori, necessario complemento, articola un verso più romantico. La creatività, negli affari spesso utile strumento quanto dannosa premessa, è un'aspettativa legittima in amore. Di qui l'opportunità dell'azzurro nelle occasioni galanti. Io ovviamente dico quello che sento, e che la mia esperienza mi insegna. Altre sensibilità ed altri vissuti potranno giungere a diverse conseguenze. Purché le spieghino meglio di me, sono disposto ad ascoltarle e a farmi convincere. Tenga sempre d'occhio il notro sito, che cresce inesorabilmente e continuamente. Cavallerescamente La saluto e La rimando alla prossima occasione. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 8 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sito sulla camicia Commenti: Egregio scudiero, instancabile ricercatore, seppur partecipando del Suo stesso scetticismo, ho voluto visitare il sito che ha segnalato nel Suo ultimo intervento. Devo solo correggere l'indirizzo che mi ha fornito: la pagina si apre digitando www.cammisella.it con due emme e non con una. Ad un napoletano non c'è voluto molto a capire dov'era l'errore. Il sito è molto garbato, e si sforza di dare la sensazione di avere dei contenuti. In realtà, trattandosi di una pagina commerciale, ogni discorso resta in superficie. La grafica e l'impostazione sono però curati,tecnicamente ed esteticamente ineccepibili. La scelta della camicia è impostata in modo pratico e divertente, ma manca una descrizione di cose importanti: i tessuti, prima di tutto, o gli interni dei colli. I prezzi mi sembrano equi in raporto ad una qualità che, visto il biglietto da visita comunque incoraggiante, non si ha motivo di dubitare che sia di ottimo livello. Resta anche a me la perplessità che La animava. La scelta in rete può essere un rimedio per chi, già conoscendo la ditta, il prodotto e i materiali utilizzati, vuole risparmiare tempo. Il problema è che l'Uomo di Gusto, per diventare e restare tale, deve concedersi proprio quest'estremo lusso: tempo per se stesso. Certo di rileggerLa presto, su questa lavagna o altrove, cavallerescamente La saluto. Il G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 9 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Della cravatta. Commenti: Dal disordinato archivio della corrispondenza magistrale traggo la lettera che in calce ricopio e incollo. E'la replica a una mail di un giovane Socio, uno dei pochi che non abbia mai incontrato di persona. Per motivi di riservatezza manterrò il suo anonimato, così potrò dirvi che si tratta di una persona sraordinariamente sensibile. Sono oltre tre anni che intratteniamo un rapporto epistolare, e da poco meno di due anni il suo nome si è aggiunto al nostro Libro Soci. Poiché la sua attività lo mantiene quasi sempre lontano dal nostro paese, non ha mai partecipato a nostri eventi. Il suo è quindi il più tipico esempio di Cavaliere solitario, ma la freuqenza dei suoi interventi lo rende veramente partecipe del nostro spirito. In questa occasione, mi diceva della spiacevole sensazione che aveva riportato nell'osservare un uomo che indossava una cravatta la cui gamba era più corta della gambetta. La sua mail è andata perduta, ma resta questa risposta, datata 16 novembre 2000. La appunto su questa lavagna, il cui scopo è appunto quello di rendere pubblica, come in un forum permanente, la corrispondenza sui vari temi ed oggetti di interesse cavalleresco. " Quello che l' ha infastidita non era certo la lunghezza della gamba rispetto alla gambetta. Chiariamo una cosa: nell' aspetto di un Uomo quello che conta è l' immagine complessiva. Essa è infatti responsabile della valutazione immediata, quella che più conta, e che può poi essere scomposta nei dettagli. A questo punto, molti particolari che possono essere penalizzanti per uno, diventeranno un punto di forza per altri. Esistono certo delle abiezioni assolute, ma non annovererei tra queste la lunghezza della cravatta, che ha un ampio margine di libertà. Quando il pantalone è a vita piuttosto bassa,in linea di massima è bene che la cravatta sfiori appena la cintura. Diversamente, è concesso uno sforamento di alcuni centimetri che equilibra la figura. Anche questa non è una regola assoluta, perché bisogna tenere in conto la larghezza della base e del nodo, il taglio della giacca e tanti altri parametri che influiscono sull' Armonia. Molto spesso una lunghezza ardimentosa in un senso o nell' altro può ottenere un effetto espressivo che in sé non è sgradevole, se compiutamente sviluppato nell' immagine complessiva. Il personaggio della Sua vicenda aveva certamente fuori posto ben altro che la cravatta, altrimenti Lei non l' avrebbe trovato così grottesco. Capisco che in un momento di stizza Lei abbia voluto trovare appiglio in un esempio fisicamente misurabile per colpire il nemico con maggior forza, ma mi permetto di consigliarLe di non scendere facilmente in questi dettagli con la plebe, perché essa è facile a convincersi che esistano delle formule. Questi discorsi vanno fatto solo con gente del Suo rango, che ne comprenda la natura e soprattutto i presupposti. Non voglio usare parole grosse come "Eleganza", nome divino che va sussurrato solo tra gli incensi della vera fede. Parlerò quindi di Aspetto. Bene, essere artefici del proprio aspetto è cosa che coinvolge insieme l'esercizio sofisticato del sapere e della sensibilità. Molti dettagli hanno un aspetto tecnico/scientifico, come il modo di annodare la cravatta. Saperla portare è questione di sensibilità. Essa deve essere piuttosto nuova, ben intonata, deve evitare ogni disegno che non sia pura geometria. Fiori di prato, personaggi dei fumetti, selle equestri, olandesine o pipe sono quello che chiamo perversione autolesionista. Inammissibili. La cravatta è lunga abbastanza per drappeggiare, ma quando l' uomo si siede non deve superare la parte media dell' inguine. Se arriva quasi alla sedia, o la tocca, ecco di nuovo l' abiezione. Un consiglio del G.M.: pettini di tanto in tanto la Sua cravatta con le mani, facendola scorrere sotto il pollice e sopra le altre dita della sinistra: questo gesto può indirizzare lampi significativi al Suo interlocutore sull' affermazione del Suo pensiero e sul tempo che Le sta facendo perdere. A questo serve la cravatta. Molti la portano, pochi sanno come si suona. Spiacente di non aver potuto rispondere con maggior certezza al quesito che mi poneva, cionondimeno cavallerescamente La saluta il Suo incrollabile Gran Maestro " ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 11 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Moda, Eleganza e Stile, con postille sul Fascino Commenti: L'Eleganza è insieme Tecnica ed Arte: ad un uomo occorrono almeno quindici anni per apprendere tutto ciò che c'è da sapere e altrettanti per dimenticarlo. Nella prima fase conta la disciplina, nella seconda il talento. Quando la sapienza è divenuta naturalezza, la crisalide dell'Uomo ben vestito si è trasformata nella rara farfalla dell'Uomo Elegante. Questi, dopo aver tutto cercato e poi consegnato all'oblio, ritorna se stesso. Si dice spesso che l'Eleganza sia quella che non si nota. In questa sentenza che si spara a casaccio al solo scopo di consigliare un eterno grigio scuro, risiede una verità nascosta. Per renderla evidente, va così riformulata: L'Eleganza è tale quando ciò che si nota non è l'abito, ma l'Uomo. La Moda è un criterio di selezione deputato a terzi. Un sistema di omologazione basato sulla convinzione infantile di essere i primi ad aver messo la tal cosa, l'unico a possederla in originale o - questa è bella perché gabba anche quelli che si sentono furbi - quello che l'ha pagata meno. Il risultato è che a una discoteca o in un ristorante "alla moda" tutti, ad uno sguardo oggettivo esterno, risultano evidentemente vestiti allo stesso modo. Soggettivamente, invece, ciascuno è certo di essere originale. Lo Stile è il codice segreto dell'Eleganza. Quando questa si esprime, attraverso un Uomo o una Donna, la sua evidenza è quasi divina. Eppure è impossibile comprenderla o descriverla, perché agisce appunto attraverso un linguaggio cifrato intrasmissibile e proprio di ciascun individuo. Come abbiamo visto L'Eleganza presuppone un apprendimento, a volte maturato individualmente a volte dalla famiglia. Lo Stile invece non si acquisisce se non da se stessi. Può essere affinato, ma non trasmesso. Con l'età, l'Uomo ha la possibilità - invero da pochi messa a frutto - di comprendere chi sia, come senta e cosa voglia veramente, al di là delle imposizioni sociali. Quando attraverso questa comprensione delle proprie debolezze le si trasforma in forza e viceversa, lo Stile giunge alla sua più alta eloquenza e diviene Fascino o Carisma. Coltivare il proprio Stile, vestire alla Moda o accedere al supremo raggiungimento dell'Eleganza presuppongono un utilizzo più o meno cosciente, più o meno abile, più o meno lecito della Vanità. Perdoniamo una volta per sempre a tutti ed a noi stessi questo innocuo sistema di autogratificazione, ma nel farlo dobbiamo sapere che esso è fonte di un piacere che non si trasmette. L'Uomo alla Moda segue la corrente per prevenire le critiche e affermarsi, l'Uomo elegante è ammirato, solo l'Uomo di fascino è seguìto. Il Fascino e la sua forma più autorevole, il Carisma, sono automatismi che influenzano gli altri e possono rendere memorabili e convincenti al di là di ogni palese difetto. Ad un'attenta analisi, che li isoli da altre componenti del carattere, esse non rivelano nemmeno in minima misura l'ingrediente dell'autocompiacimento. Essi non appartengono a chi usi una maschera, ma a chi è in grado di offrire una potente, immediata rappresentazione della propria storia ad ogni semplice stretta di mano. Sono attributo di chi sa essere se stesso, di quanti abbiano raggiunto una serena consapevolezza delle proprie debolezze e della propria forza. In questo contano molto gli anni vissuti e la riflessione, perché conoscersi è cosa così difficile da essere raggiunta da pochi e comunque sempre in età matura . Per giungere a questo stadio occorre una sincera comprensione della diversità delle cose, degli uomini e delle situazioni, laddove tale diversità viene sempre più affermata in teoria e negata in pratica nel nostro sistema globalizzato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 14 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'abito ed il monaco Commenti: Gentilissimo signor Clerici, con immenso piacere sono chiaato a commentare il Suo opportuno intervento su questa Lavagna. Al di là di una semplicità apparente, il Suo racconto introduce un argomento di importanza planetaria. Partiamo dall'abbigliamento: come linguaggio esso non si esprime solo sul piano estetico, ma anche su quello sociale e culturale. Facciamo un piccolo esempio. Come socio del Reale Yacht Club Canottieri Savoia, istituzione che entrerà il 15 Luglio prossimo nel centodecimo anno di ininterrotta attività, dall'ora del the in poi all'interno della sede sociale sono obbligato a portare la giacca e la cravatta. Fortunatamente il Savoia ammette come soci solo i maschi, altrimenti la straordinaria apertura mentale di ragazze come quelle di cui ci racconta avrebbe liberato prima il Savoia dall'obbligo della giacca, poi il mondo dal Savoia e infine, non è escluso, gli uomini dal fastidio del mondo. Per menti così approssimative una regola corrisponde sempre ad una vessazione. Comprendere l'aspetto costruttivo delle norme di comportamento richiede una mentalità civile. La distruzione sistematica di ogni codice mira, consciamente o inconsciamente, all'abbattimento del vivere civile. A prescindere dal piacere estetico che si ricava dall'indossare e/o dal vedere un abito di qualità ben abbinato, a prescindere dalla simbologia di una tenuta formale e quindi dal problema della priorità di nascita dell'uovo e della gallina o dell'abito e del monaco, ad un matrimonio o ad un esame si partecipa aderendo coscientemente ad una storia della quale, se si vuole far parte, è necessario riconoscere le norme. Non dubito che le signorine dedite alla fila in sgreteria, se divenute di colpo affermate accademiche, avrebbero apprezzato e richiesto un certo tono agli esaminandi. Di questo passo, altrimenti, sarebbe giusto accettare di sostenere l'esame in romanesco o in pugliese. Dedotta l'inutilità dei linguaggi non verbali, perché non liberalizzare quelli verbali? Si intravvede molto bene a questo punto il limite cui tende questa formula: l'abbattimento di quelle gerarchie di valori sui quali via via sono stati fondati gli Stati nazionali e le loro costituzioni, le letterature e le imprese, l'arte e la solidarietà umana. Continui ad indossare la Sua giacca e si troverà, al momento dello scontro finale, dalla parte giusta della barricata. Con l'affetto di un Suo vecchio corrispondente. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 17 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Su misura e su ordinazione Commenti: Gentilissimo signor Villa, mi compiaccio non poco nel sapere che Lei vesta su misura. Non si stupisca di vedere dal Suo sarto anche clienti molto giovani. Da quando un Dio vendicatore ha cominciato a falciare gli stilisti, la domanda di abbigliamento su ordinazione è molto aumentata. La morte violenta di Versace, Gucci, Trussardi, è il simbolo della fine di un ciclo. Solo pochissimi anni fa si vedevano persone di ceto e cultura elevate indossare giacche firmate in modo appariscente. Credo che oggi un dirgente o un avvocato, ma anche un ciclista o un calciatore, preferirebbero scomparire piuttosto che farsi vedere con un abito dai bottoni griffati. Ovviamente la creazione di una nuova domanda ha attirato molti tra imbonitori, cialtroni e truffatori. In tantissimi spacciano come su-misura capi che al più potrebbero essere definiti su-ordinazione. I Kiton, gli Attolini e altri, hanno utilizzato per definirsi la parola "sartoriale", facendo così credere che il loro sia un prodotto di sartoria. Questo non è vero. Il loro è un ottimo prodotto, ma avendo caratteristiche industriali non va confuso o fatto volutamente confondere con quello di un laboratorio artigianale. Vedo che è un assiduo frequentatore di MONSIEUR e appassionato di sigari. In considerazione di queste Sue qualità, La informo che anche Andrea Grignaffini, direttore di Torpedo e nostro Socio, è un suo concittadino. Cavallereschi saluti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 19 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: De sartoribus Commenti: Egregio signor Villa, il suo generoso salvataggio di Giorgio Armani trova certo giustificazione nella qualità del personaggio. In quest'ottica andrebbero però salvati senz'altro anche Ciro Paone (Kiton), Borrelli e Attolini, come uomini e soprattutto come imprenditori tutti degni della massima considerazione. Noi però dobbiamo sapere che il nemico si nasconde sempre molto vicino e sotto apparenze suadenti. L'azione di queste ditte ha avuto una fase meritoria nel rilanciare una linea più sobria e virile, lontana dalle ispirazioni deliranti dello stilismo. Oggi però, per acquisire nuove fette di mercato in Italia e soprattutto all'estero, confondono il pubblico presentando come "sartoriale" un prodotto che non ha nulla di artigianale. Chiariamo che in questi capi, almeno nelle linee più prestigiose, l'intervento manuale è vasto. Questo non fa venir meno il carattere industriale del prodotto. Valgono infatti due considerazioni: 1 - Un oggetto è artigianale quando esce da una bottega artigiana, cioè da mani che compiono o almeno controllano l'intero processo di produzione. Dalle assi al mobile, dalla sbarra di ferro alla cancellata, dal taglio di stoffa alla giacca. In uno stabilimento come quello della Sartoria Partenopea, di Kiton o altri, il lavoro è completamente parcellizzato. Per un'esatta definizione in termini di economia aziendale, a questo punto non conta che le varie fasi siano condotte a mano o a macchina. Anche un sigaro avana di alta gamma è confezionato totalmente a mano, ma nessuno si è mai sognato di definirlo per questo un prodotto artigianale. Gli stabilimenti produttivi inalberano da un secolo e mezzo il nome di "Fabrica de tabacos torcido". Non taller, quindi, ma fabrica. 2 - Riferendosi specificamente all'abbigliamento, un capospalla può definirsi artigianale e "confezionato su misura" quando viene prodotto su cartoni specifici del cliente e non su taglia. Inoltre l'intervento decisivo è quello del ferro da stiro, che dona ai punti chiave della giacca i suoi volumi. Queste fasi vengono sostituite in fabbrica da un mangano che con una semplice pressione gonfia le forme di petto, ma lo fa su una sagoma uguale per tutti. Inoltre in sartoria le fodere vengono applicate pezzo per pezzo, mentre nelle confezioni spacciate per "sartoriali" vengono cucite tutte insieme alla fine. In definitiva, possiamo dire che il sarto lavora con ferro ed ago, la fabbrica con computer e mangano. Come mai troviamo così poco lino e cotone nelle collezioni industriali? Come mai si lavora quasi solo lana e comunque stoffa con armatura a batavia (saglie, spacciate sotto vari nomi di fantasia, tra cui l'esecranda Tasmania), tralasciando le tele? Ciò accade perché queste tipologie richiedono un maggiore intervento umano per domarne il nervo ribelle. In questi casi la morbidezza dei tessuti non serve ad altro che a mascherare la rigidità della costruzione, incatenata da cuciture meccaniche e da interni troppo strutturati. L'azione oscurantista della confezione sotto mentite spoglie priva i deboli artigiani del futuro, rubando loro da una parte i clienti e dall'altra i lavoranti, attirati da una posizione previdenziale più sicura. Il discorso a questo punto si fa complesso e non si può ridurre ad una petizione di principio o ad un'esaltazione acritica del passato e della tradizione. Occorrerebbe una presa di coscienza bilaterale, della categoria dei sarti da un lato e delle istituzioni dall'altro, per indirizzare in molte mani e molte botteghe la ricchezza determinata dall'apertura di mercati forti come America e Giappone. Solo in tal modo si potrebbe salvare l'arte sutoria, che oggi è al di sotto di quel livello di riproducibilità che zoologicamente conosciamo come soglia di estinzione. Solo una concatenzaione tra un museo della sartoria napoletana, una scuola ad esso collegata e un marchio sostenuto da un disciplinare di produzione e diffuso da un consorzio risponderebbe a quest'esigenza. In verità ne ho in mente il progetto in ogni minimo dettaglio, ma non so se mi dedicherò mai a quest'altra lotta contro i mulini a vento. Sono molto abile nel convincere gli uomini, ma dubito che i politici appartengano alla categoria. Cavallerescamente Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 21 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: tasmania & Co. Commenti: Egregio signor Villa, non si senta minimamente frainteso. La mia replica non voleva essere polemica, ma solo puntualizzare che la validità di un'impresa e/o degli uomini va valutata a livello di risultati economici, ma la loro azione va considerata anche sul piano degli effetti sull'ecologia del pianeta-gusto. In questo mondo sono tante e tali le specie in via di estinzione da richiedere la massima vigilanza da parte di chi sia dotato di un certo discernimento. Quanto alla Tasmania, si tratta di un esempio dello strapotere mediatico. Per anni il cliente meno competente si è sentito gratificato dall'utilizzo di un tessuto poco confortevole, ancor meno durevole e assolutamente inadatto alla moderna attività di viaggi e giornate fuori casa. L'antiestetico groppo di pieghe al cavallo dei pantaloni dopo un paio d'ore d'aereo o di auto sembravano invisibili, ma sembra che oggi sia già tutto rientrato. La spiegazione di questo sproporzionato successo va anche ricercata nel suadente effetto dei finissaggi estremi di questo tipo di tessuti, che al momento dell'acquisto li rende convincenti. Il suo preciso richiamo ai tessuti inglesi sposta l'attenzione su un mondo di mani asciutte, filati ritorti, lane poco brillanti, destinate a vestire e non a restare appese nel guardaroba come cimeli. Avrà notato che nel nostro ciclo dei Laboratori d'Eleganza (vedi pagina Eventi), quando si è trattato di affrontare il mondo della drapperia abbiamo discusso solo di Tessuti Inglesi. Mi compiaccio per il Suo intervento sulla Lavagna dell'Abbigliamento. Apprezzando il Suo stile espositivo, Le suggerisco di intervenire anche nei Taccuini di Viaggio, descrivendoci magari una Sua giornata in sartoria, se possibile con una foto (ne può allegare una, non di peso elevato). Cavallerescamente arrisentirci su questa lavagna. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 23 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti e sartorie Commenti: Egregio signor Villa, l'organismo sartoriale di tipo britannico è più longevo per costituzione. Non è questione di lingua o di luogo, ma di organizzazione. A Londra esistono sartorie, a Napoli (in Italia) sarti, botteghe. La differenza sta nel fatto che una sartoria è retta da un imprenditore, una bottega da un artigiano. Il primo è un uomo di capitali ed investe nel futuro dell'azienda, il secondo acquista appartamenti, per sua formazione culturale pensa alla stabilità economica propria e dei figli, ma inesorabilmente mantiene l'azienda sempre ad un livello minimo. Così a Savile Row esistono molti marchi secolari, mentre a Napoli nomi brillantissimi come De Nicola, Gallo, Schiraldi, Blasi, pur avendo dominato il loro tempo, non hanno lasciato eredi. A Roma, a Firenze, a Milano è stato lo stesso. Il prodotto di bottega è spesso superiore, ma quello di sartoria è presentato meglio ed è più gratificante in termini di qualità apparente. Un imprenditore è più pronto e più flessibile di un artigiano, più capace di adeguarsi ai clienti, più abile a procurarsi nuovi mercati. Per questo motivo la struttura più duratura è quella, da Lei stesso definita imprenditoriale, formata da un capo che sa governare la cassa e da una squadra che sa usare l'ago. Il primo deve però essere anche stilista, comunicatore. E' il caso di Rubinacci, l'unica vera sartoria d'Italia, non a caso un nome oggi presente anche a Milano, a Tokio e tra meno di un mese a Roma. Non si può dire che la giacca di Rubinacci sia superiore a quella di Solito, ma il mestiere e la storia di Mariano fanno in modo che da molti essa venga percepita in tal modo. Alla morte di Vincenzo Rubinacci non vi sono stati scossoni nel passaggio a Mariano, ed anch'egli troverà nei figli eredi veramente formati, che sapranno gestire l'azienda nella direzione più consona. Il nome di Gennaro Solito, nonostante Luigi possa in qualche modo proseguire l'attività paterna, è destinato alla sua morte a decadere. Attenzione, non sto facendo valutazioni qualitative, ma pratiche. Occorre comprendere i meccanismi forti per sapere cosa sia fatto per durare e cosa no. Un pappagallo campa settant'anni ed un canarino sette, ma nulla dall'esterno lo farebbe supporre. Nelle nostre italiche voliere, non vedrà però nascere nuovi pappagalli e questo per due motivi: 1 - Al sarto è preclusa ogni possibilità di divenire imprenditore. Glielo impediscono la sua formazione schiva, la dedizione al lavoro che gli sottrae tempo per le relazioni pubbliche, l'inesorabile spinta ad acquistare la casa alla figlia piuttosto che locare uno spazio in centro. 2 - All'imprenditore non è facile mettere su una sartoria ex novo. E' un mestiere difficile e si possono trovare alternative più facili per impiegare denaro. La soluzione di cui Le parlavo, di un marchio di tipo imprenditoriale gestito con criterio cosortile e sostenuto da Enti Pubblici, è praticabile perché la struttura imprenditoriale nascerebbe con l'intervento della P.A. Il progetto funzionerebbe solo se la Presidenza del consorzio fosse affidata ad un competente di queste cose, ma non ad un politico nè ancor meno ad un sarto, il che sinceramente è molto difficile. E' per questo motivo che sono restio a parlarne con chi di dovere. Lei mi ha di gran lunga battuto. Ho posseduto il mio primo paio su misura a trentasei anni. Si trattava di quel paio che si vede anche nell'ultimo numero della rivista, quando si parla del Club MONSIEUR a Pitti. Cavallereschi saluti Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 25 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Futuro della sartoria Commenti: Egregio signor Villa, quanto alla domanda sul futuro della sartoria, credo che esso si possa così riassumere: 1 - La sartoria non morirà finché l'uomo vestirà in giacca. Non sappiamo quanto ancora potrà durare questo capo, che dura da cento anni e negli ultimi settanta è restato praticamente inalterato. Forse un giorno non lontano si verificherà una rivoluzione come quella nelle calzature, che in pochissimi anni - a parte una nicchia di tradizione - si sono completamente trasformate. 2 - Considerando come presupposto che la giacca continui ad essere il capo formale per eccellenza, la sartoria va incontro ad una radicale modificazione. 3 - Modificazione nelle dimensioni. A meno di lavorare a nero, le piccolissime sartorie, con un maestro interno e lavoranti solo esterni o al massimo un aiutante, non potranno superare la crisi che avverrà tra quattro anni, quando secondo i miei calcoli rientrerà questo momento di vacche particolarmente grasse. Saranno sempre più necessari ampi spazi espositivi e di accoglienza. 4 - Modificazione nei sistemi di lavorazione. Addio tele dei colli e baveri punteggiate a mano. Addio crini naturali, vergolino alle asole. Molte di queste cose sono già un ricordo in molte città, ma tra cinque anni saranno estinte dapperutto, se non a Napoli. La mia città, quella che oggi veste il mondo, resterà quindici anni indietro agli altri. 5 - Modificazioni tecniche. La modellistica si avvicinerà leggermente a quella della confezione. In particolare verrà favorito un giro manica più ampio e una modellatura più rigida della spalla. 6 - Modificazione nelle persone. L'artigiano non proverrà più dalla bottega, ma avrà un'istruzione media superiore. non si formerà a partire dagli otto-dieci anni, ma da diciotto in poi. Sarà spinto verso la sartoria dalle possibilità di guadagno e pertanto svilupperà più facilmente una mentalità imprenditoriale. La mancanza di una mortificazione in gioventù, la tara di quasi tutti i sarti odierni, permetterà a questa nuova categoria di portare la testa più alta e di comprendere meglio il cliente. Quello che si perderà in pura tecnica non lo si recupererà più, ma forse il cliente troverà maggiore attenzione. Questo "sarto colto" comprenderà - dopo secoli - che quando il cliente gli chiede di applicare una determinata fodera o un taschino così e cosà, quella è la prima cosa che deve fare, fosse anche l'unica che faccia bene. I maestri odierni non capiscono certi vezzi e li trascurano o addirittura li avversano, da un lato orgogliosi della propria arte e dall'altro convinti che il cliente si conquisti solo con una giacca che vesta bene. 7 - Modifica nei clienti. Con un processo alimentato da questa nuova categoria di sarti che verrà, più aperti alle innovazioni e capaci di sfruttare le debolezze e le esigenze del cliente, la sartoria diverrà il circolo di coloro che esigono personalizzazione, più che la palestra di chi si eserciti nell'eleganza. C'est tout. Cavallerescamente. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 27 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nessuna paura Commenti: Egregio signor Villa, rispondo nell'ordine alle Sue perplessità. La Sua preoccupazione è anche la mia, ma c'è poco da fare. 3 - Si. La caduta del capo firmato come status symbol non ha modificato il meccanismo del mercato. Occorreranno quattro anni ancora ai Kiton e similia per prendere il posto che fu di Versace & Co. Nel frattempo la domanda di stile ha trovato risposta anche nelle sartorie e le ha rese più frequentate. Non durerà a lungo, o almeno non per i piccoli. 4 - Il fatto a mano e veramente su misura non morirà. Come ho già detto, non fino a quando ci saranno uomini che desidereranno vestire in giacca. Scompariranno solo alcuni sistemi di lavorazione, quelli che potremmo dire a basso rendimento. Le perdite di tempo non compensate da un adeguato aumento del valore aggiunto sul capo finito. L'aumento di valore di una tela lavorata a mano è scarsa quanto la sua conoscenza. Poichè è evidente che la cultura vera, la capacità di riconoscere la qualità autonomamente, si sta esaurendo, secondo la teoria di Ackeloff (vedi sito, lavagna Abbigliamento, intervento di Franco Forni)) non ci sarà alcuna possibilità del permanere di criteri o materiali non retributivi. Non sarà quindi fatto tutto a macchina, ma sarà fatto a mano solo quello che verrà facilmente riconosciuto come tale. 5 - Non c'è dubbio. 6/7 - Questo nuovo sarto non sostituirà il vecchio da un giorno all'altro, ma ci sarà. Ne riparleremo nel 2006-2007. Non rappresenterà un danno totale, il male assoluto, perché il cliente veramente di gusto, come certamente Lei ed i suoi amici, saprà trovare il giusto artigiano ed indirizzarlo. Peraltro questo nuovo sarto ci farà trovare un buon whisky di malto, che a quello attuale deve sembrare troppo costoso. In conclusione, non si preoccupi e vesta in giacca. Finché saremo in tanti a farlo, troveremo di che sfamarci. Lei è giovane, non abbia paura del futuro e contribuisca anzi a guidarlo. Parola del Gran Maestro G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: Cod. di rif: 29 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: De sartoribus novis Commenti: Egregio signor Villa, non confonda le Sue paure con le mie tesi. Se rileggerà con attenzione i miei appunti vedrà che non ho mai nemmeno accennato a quel lavoro di "agenzia" cui Lei fa riferimento e che giustamente tanto Le ripugna. Ribadisco che il sarto che immagino nel futuro resterà artigiano, solo che sarà un artigiano di seconda generazione, con le caratteristiche che ho già descritto. Comunque produrrà il capo all'interno del laboratorio ed anzi sopravviveranno solo quelli che potranno lavorare in questo modo. Trascurerà alcuni procedimenti, quelli meno remunerativi, e ne assimilerà alcuni dalla confezione, ma continuerà a produrre in sede un capo veramente su misura. Quelle di "mediazione", i negozi dove si sceglie il tessuto che viene lavorato altrove, sono attività già esistenti ed affermate, che guadagneranno ulteriori margini sino a quando il mercato non si consoliderà tra le tre figure: il sarto, la confezione pura, la confezione su ordinazione. Il sarto, non potendo più contare su una differenza così netta dalla confezione come in passato, potenzierà la presa sul cliente elargendogli quello che quest'ultimo ha sempre voluto e che nella vecchia sartoria non veniva alimentato per i motivi cui ho già accennato: la personalizzazione. Non prenda troppo sul serio queste mie "divinazioni". Sono un esperto della materia, ma lo sono diventato per passione e la passione stessa potrebbe accecarmi. In ogni caso non mi tiro indietro quando si tratta di fare delle previsioni e mi sembra di essermi spinto a una visione suffiecientemente dettagliata. Non resta che aspettarlo, questo futuro, e vedere se avrò visto giusto. Cavallerescamente La saluto. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Scognamiglio Data: 12-09-2002 Cod. di rif: 33 E-mail: giorgioscognamiglio@jumpy.it Oggetto: Commenti: Protagora di Abdera: l'uomo è la misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono. Questa visione egocentrica della vita, tuttavia assolutamente democratica, intendo anche e soprattutto riguardo al concetto di arte e di non arte per cui un'opera d'arte è tale per chiunque la intenda tale, è forse stata superata da un'accezione più categorica, più elitaria: un'opera d'arte riconosciuta resta un'opera d'arte comunque, aprioristicamente, a prescindere cioè dal giudizio di chicchessia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-09-2002 Cod. di rif: 34 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: W.Bill Commenti: Egregio signor Villa, W.Bill (non Bills) è un antico ed apprezzato converter londinese, ancora attivo ed indipendente. La precisazione è necessaria, perché il mondo tessile inglese vive una situazione di profonda crisi e molte aziende hanno dovuto cessare la propria attività o sono state assorbite. E' il caso di Hunt & Winterbotham - John G. Hardy, altro celebre converter, recentemente acquisito dal gruppo produttore Martin. Per converter si intende un'impresa che non possiede telai propri, ma commissiona prodotti, spesso in esclusiva, presso aziende terze. Dante De Paz, che mi ha fornito queste notizie e di W.Bill è cliente storico, mi comunica anche i suoi recapiti: W.Bill LTD 16/A Dufours Place (off Broadwick Street) London W1F7SP ENGLAND Tel: +44-20-74376226 / 77341199 Fax: +44-20-7942655 / 72875324 Cavallereschi saluti a Lei ed agli altri frequentatori di queste Lavagne. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-09-2002 Cod. di rif: 38 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Su-misura e su-ordinazione. Commenti: Spero che tra i lettori di questa lavagna figuri, oggi o domani, il signore che discuteva col nostro assiduo ospite ed accanito simpatizzante sugli argomenti di cui all'appunto precedente. Non riuscirò a chiarire meglio del giovane signor Villa quanto ha già provato ad esprimere a tu per tu con l'interlocutore, ma a beneficio suo e dialtri potrò forse offrire un chiarimento sulla distanza tra i due mondi che si fronteggiavano, quello dei capi su-ordinazione e quello del su-misura. Resta fuori il terzo polo, cioè la confezione pura. Per intenderci, si tratta di quella che non ci prende le misure. Ecco alcune differenze: DIFFERENZE MACROECONOMICHE Il su-ordinazione o "sartoriale" impiega a tutti gli effetti strutture industriali. Anche se si effettuano molte lavorazioni manuali, non può essere revocata in dubbio la natura industriale di stabilimenti come quello di Kiton e delle varie Sartorie e Vere Sartorie sorte come pomodori (la nostra non è area di funghi). La natura industriale è rivelata da: elevato impiego di capitali, impiego di macchinari costosi, programmazione, promozione pubblicitaria e soprattutto parcellizzazione del lavoro. Il mondo del su-misura abita in laboratori artigianali, a volte ricchi e vasti, anche sontuosi, ma dove si impiega solo la macchina per cucire e molti tra gli operai sono in grado di seguire l'intero processo produttivo. DIFFERENZE TECNICHE I lettori di queste pagine avranno forse già chiari i punti tecnici che differenziano i due articoli. Nel caso delle vere sartorie la costruzione non è su taglia, ma su modello specifico. L'applicazione delle fodere è sul singolo pezzo e non a costruzione finita. La stiratura è fatta pezzo per pezzo a mano e non col mangano. Prima della consegna, viene poi effettuata in sartoria una lunga e faticosa stiratura, che nei tempi andati poteva occupare anche molte ore. Vi fornisco una legge semplice semplice: la costruzione industriale evita ogni lavorazione manuale che non sia immediatamente riconoscibile come tale. Chiaro, no? Bindelle, impunture delle tele, stirature, molte lavorazioni che non lasciano un segno evidente o vengono coperte dalle fodere non trovano più cittadinanza nel mondo industriale. Esso si traveste dietro l'equivoco termine "sartoriale", che non vuol dire nulla. Visto che sono in casa mia e posso proprio dirla tutta, evitate ogni cosa che porti questa dicitura. Almeno finché non si faccia chiarezza su questi punti. Io non ho nulla in contrario alla produzione di serie ed anzi le riconosco molti meriti, ma essa non ha il diritto di portare titoli che non le competono allo scopo di far credere di essere quello che non è. Il mondo del tessile si dividerà col tempo in aree ben precise, ma per questo rimando ad un recente carteggio col signor Villa, pubblicato tra gli interventi precedenti. DIFFERENZE ESTETICHE Da un punto di vista estetico, il capo su-ordinazione propone in genere un'offerta di tessuti e di modelli che cambiano velocemente negli anni. Essa cerca la bellezza, che è cosa mutevole. Spesso la trova e la vende, ma se non la trova ha i mezzi per convincere che l'abbia trovata. I clienti di sartoria cercano l'ELEGANZA, che è cosa molto più lenta a evolversi e difficile a conseguirsi. Anche se in verità sono pochissimi a trovarla, questa nobile aspirazione - come altre - può sostenere l'uomo per tutta la vita. Quello che resta è un maggiore immobilismo nella scelta dei tessuti e dei modelli, poiché è dimostrato che è il cambio di un decimo di grado nell'alzo, e non lo spostamento di dieci kilometri dei pezzi di artiglieria, che migliora le possibilità di colpire un bersaglio lontano come quella cosa di cui parlavamo. Il suo nome è così sacro che non va pronunciato più volte di seguito. Non volgio dilungarmi oltre. Se qualcuno ha qualche osservazione o richiede che si vada avanti, potrà farlo da questa lavagna. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-09-2002 Cod. di rif: 39 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ray-Ban Commenti: Mi rivolgo in particolar al signor Vecchiato, ringraziandolo per il suo stupendo e illuminante intervento sui Ray-Ban americani. Quanto al Fondaco delle Spezie rare, ne ha capito benissimo gli scopi ed anzi attendiamo qualche altro contributo. AvendoLa incontrata in occasione della seconda sessione della Alcohol Academy, mi dispiace di non aver colto l'opportunità per affrontare l'argomento in oggetto, ma non avevo ancora letto il Suo scritto sulla presente Lavagna. Saluti a Lei ed ai frequentatori che abbiano trovato interessante lo spunto "oculistico". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-10-2002 Cod. di rif: 42 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una garbata polemica. Ci voleva! Commenti: Gentilissimo signor Vandelli, il tono della Sua replica è deciso e allo stesso tempo corretto e garbato come si conviene al nostro Castello. Mi permetta quindi di porgerLe il benvenuto sulle nostre modeste Lavagne. Qualche dissenso giunge opportuno. Immagino che avrà scorso un pò tutta la corrispondenza qui riportata. Mi sembra che in nessun punto di essa io abbia voluto discreditare l'OPERA di quanti lavorano col sistema che io definisco su-ordinazione. Io addito al pubblico giudizio un ATTEGGIAMENTO ambiguo dal punto di vista della comunicazione e contesto il diritto di queste ditte a far credere che il loro capo sia artigianale. Artigianato è concentrazione del lavoro in mani idonee a seguire interamente o quasi il ciclo di produzione, con l'uso di meccanismi semplici e comunque tradizionali. Questo non accade nell'industria del su-ordinazione, che parcellizza il lavoro all'estremo (chi applica le tasche, chi i colli, chi le fodere, etc.) ed utilizza macchinari sofisticati come laser, computer, mangani. Ho già detto che essa fa largo impiego di lavorazioni manuali, ma i criteri economici, costruttivi e relazionali che applica sono radicalmente diversi dall'artigianato vero e proprio. In definitiva io condanno l'uso della parola "sartoriale" in quanto, in abbinamento con lo sbandieramento degli interventi manuali e delle personalizzazioni, tende a presentare una costruzione su taglia come una su modello specifico, un prodotto industriale come uno artigianale. Quanto alle lavorazioni manuali non visibili da Lei riscontrate, mi piacerebbe che Lei chiarisse di quali si tratta. Io del resto sono stato precisissimo e chi mi contraddice dovrebbe esserlo altrettanto. Lasciamo le vaghezze ai giornalisti e parliamo come parliamo qui dai Cavalieri: chiaro. Riscontri come esempio la manualità delle impunture dei baveri e del collo, chieda come vengano stirate le Sue giacche. La manualità di questa operazione è infatti fondamentale all'adattamento specifico di certi volumi, come le "forme di petto". In merito al confronto tra i risultati, certamente un capo su-ordinazione si presenta composto e uno di sartoria può rivelarsi un fiasco clamoroso. Anche molti sigari cubani non tirano, eppure tra le molte polemiche restano al vertice della categoria da secoli. Qualcosa cambierà sia nei sigari che nella sartoria ed io stesso ho indicato in qualche punto dei miei tanti interventi che entro pochi anni nascerà una nuova generazione di artigiani che conserveranno il controllo artigianale del prodotto, ma applicheranno una nuova mentalità imprenditoriale, più vicina al criterio di quello che oggi ama farsi definire "sartoriale". Migliorerà immensamente il "custom care" rinunciando a qualche lavorazione tradizionale a scarso valore aggiunto. Ancor oggi la sartoria artigianale può comunque rispondere ad esigenze individuali che non sono solo di una personalizzazione, ma attengono alla linea ed allo stile del capo. Per ottenere un determinato effetto, posso far cucire al mio sarto un collo che rimonti altissimo o mantenerlo basso. Posso chiedergli di lavorarmi i quarti anteriori in modo che chiudano più o meno in tutti i sensi: come angolatura dell'apertura tra il destro ed il sinistro, come curvatura dei lembi inferiori. Cosa rilevantissima da un punto di vista stilistico, posso chiedere che il giro manica resti alto a disegnare due mezzelune sulla parte alta dell'attaccatura o sia tenuto basso e scivoli sul braccio. Lei può chiedere altrettanto? In finale introduco un argomento ancora poco dibattuto: la confezione e il su-ordinazione tendono a lavorare solo certi tipi di tessuti, oscurandone altri di antica gloria, di grande durata, di estremo fascino. Queste realtà veloci, cui conviene in particolar modo lavorare lane di medio-basso peso, possibilmente con armature a batavia, sono responsabili ad esempio di uno spostamento dell'attenzione sulla finezza della lana, piuttosto che sul suo "stile". Pochissimi sanno cosa sia lo "stile della lana". Lo chieda a qualcuno delle persone che Lei ritiene competenti di questo mondo, interpelli ditte e fabbriche di Sua fiducia e sappia che è esso che determina il costo di una balla più che il valore micrometrico medio. Se non avrà risolto l'enigma o se vuole riscontro, il Gran Maestro è qui pronto ad assumersi ogni responsabilità delle proprie dichiarazioni e a svelare quest'arcano. A mio giudizio, la corsa ai super 100 degli anni 80, sorpassati dai super 120 e oggi surclassati da una raffica di super 150 e super 180 è stata innescata da opportunità commerciali ed hanno defraudato in tal modo il mondo tessile di molta parte del suo fascino. Le misure citate rappresentano un parametro, peraltro molto poco chiaro, da sfoggiare in cimosa, ma confondono le idee su cosa valga veramente, su quali siano gli scopi primari dell'abito. La saluto sperando che Lei non mi consideri un Suo avversario. A prescindere dal fatto che ne ho già troppi, Lei non mi sorprenderà mai nel tentativo di sopraffarLa o di convincerLa di alcunché. Lei ha esposto le Sue idee, che ho trovato interessanti e ben esposte, io ho esposto le mie. La tribuna è aperta, divertiamoci. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-10-2002 Cod. di rif: 45 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ciascuno all'ombra del suo fico Commenti: Egregi corrispondenti, al signor Villa azzardai una volta un consiglio, ma solo dopo voluminosa corrispondenza. Non si ripeterà mai più, ma ricordo che nell'occasione mi scusavo, sottolineando che fornirne di non richiesti rappresenta una caduta in tentazione e non mai un esempio di saggezza. Pur essendo con lui un condannato a vita della sartoria artigianale, non ne condivido il tono didattico. Ciascuno all'ombra del suo fico! Per quanto mi riguarda, l'argomento che mi sta a cuore è quello della differenza tra i due mondi dei quali parliamo e non la loro gerarchia. Non accetto che il su-ordinazione ad economia e scala industriale si appropri della gloria, della storia e degli stili del su-misura artigianale per poi criticarlo. Poiché questi prodotti sono in sé validi - e a quanto leggo dal signor Vandelli anche la clientela - facciano la loro strada senza ricorrere a millanterie. Poiché fortunatamente non si può trovare una soluzione ideale e assoluta, ciascuno scelga secondo le proprie inclinazioni ed esperienze. I produttori su taglia si astengano però da qualsiasi capziosa ambiguità. Mi rivolgo infine al signor Vandelli. Le confesso di non aver ricontrato nei grandi laboratori da me visitati la lavorazione a mano delle tele. Posso fare l' esempio di P.Sabino, brillantissimo stilista ed imprenditore, tra i primi a capire le nuove tendenze del mercato ed oggi fornitore di personaggi notissimi come M.Costanzo. Il suo abito veste a meraviglia, ma fa a meno di questo dettaglio. Evidentemente non ho visto tutto ciò che offre il mercato ed oggi apprendo che esiste qualcosa che non conoscevo. Purtroppo Lei è avaro di dati e quindi non potrò sapere con chi congratularmi per tanto meticoloso rispetto della tradizione. Mi rammarico e mi scuso con Lei e con eventuali lettori se ho contribuito in qualche modo a spostare il discorso su una china polemica. Io non voglio convincerLa di una superiorità dogmatica della sartoria e non tirerò fuori pericolosi discorsi sull'Eleganza. Sono ben convinto che la sartoria abbia dato anche ad altri le delusioni che ha dato a Lei e mi pongo tranquillamente tra questi. Fatto sta che un difetto ad una spalla mi sembra a volte quasi una medaglia e se proprio mi resta sullo stomaco, questo non intacca la mia convinta adesione al lavoro artigianale. Una parola infine sui tessuti. Io non ho detto che la scelta sia limitata o la qualità scadente. A quanto vedo, aziende come Kiton e simili ne lavorano anzi della migliore qualità. Quello che volevo dire è che le necessità commerciali e operative di queste strutture e della confezione hanno influenzato in modo determinante i lanifici. I tessuti che oggi maneggia erano molto diversi dieci anni fa, arrivando a pesi ben maggiori e ad un offerta più varia. Solo in termini di tipologie, sia chiaro, in quanto la povertà in termini di varietà e stata sostituita da una ricchezza in termini di fantasie. Questa caratteristica è stata venduta come un vantaggio, ma per il sottoscritto resta un abominio, cui non si sarebbe andati incontro se la confezione e la recente nuova categoria del su-ordinazione non avessero premuto su nuovi standard. I sarti sono sempre stati ben felici di lavorare tessuti pesanti. Visiti il laboratorio milanese di Caraceni a Via Fatebenefratelli e sarà salutato da un vero battaglione ben schierato di flanelle e di saxony pesantissimi. Ovviamente dei "se" e dei "ma" sono piene le fosse, ma mi piace analizzare il fenomeno storico. Non si può contestare il ruolo dei nuovi fenomeni economici nell'omogeinizzazione dell'offerta tessile. Alcune tipologie, come solo ad esempio il cheviot, lo shantung, il gabardine, tendono addirittura a scomparire o a mutare radicalmente. Saluto cordialmente entrambe gli interlocutori. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-10-2002 Cod. di rif: 48 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Arroganza e pubblicità ingannevole. Commenti: Proprio ieri a Napoli, Palazzo Reale, si celebrava un matrimonio che non condivido. Nell'ambito di una manifestazione chiamata Napoli, Made in Italy, si procedeva ad un gemellaggio tra Milano città della moda e Napoli città della sartoria. Volete sapere chi figurava tra i sarti: Monetti, che è nato come cappellaio, ha proseguito come commerciante e probabilmente non sa nemmeno da quale parte punge l'ago. Isaia, un imprenditore puro. Kiton, stesso discorso. L'arroganza con il quale il mondo industriale si appropria di titoli artigiani ha portato in breve tempo alla maturazione dei miei timori, peraltro con un tempismo straordinario rispetto ai testi di questa Lavagna. Peccato che il celebrante non abbia formulato la frase una volta di rito: chi ha qualcosa contro questo matrimonio lo dica subito o taccia per sempre. Io mi sarei alzato per dire la mia e poichè non l'ho potuto fare in questo contesto, lo farò in questa ed in altre sedi. La stampa, che si è molto interessata all'argomento, si è prodigata nel parlare di queste ditte chiamandole sartorie e citando i loro patron come sarti. Da questo momento chiedo a chi, come me, sia contrario a questa confusione, di raccogliere e inviarmi materiale pubblicitario che definisca "sarti" e "sartorie" persone e società a carattere industriale. Sarto è colui che è iscritto alla Cassa Artigiani sotto questa categoria e l'utilizzo improprio rileva a mio parere in sede di ricorso al Garante per la Pubblicità. Poiché ritengo che la comunicazione del settore stia prendendo una china che la porta verso una pubblicità ingannevole, sono propenso a ricorrere in sede giudiziaria a nome personale e dell'Ordine che rappresento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-10-2002 Cod. di rif: 51 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un pò di pazienza Commenti: Sono sommamente gratificato dal tono di collaborazione e comprensione che il discorso va ora prendendo. Salvarsi da un nemico potente ed affascinante quale è il demone della polemica non era cosa facile. Non ho avuto immediatamente il tempo per fornire una risposta adeguata all'ultimo intervento del sig. Vandelli, nè ne dispongo ora. M.me Olga Berluti ha ieri dichiarato di aver accettato l'invito del Cavalleresco Ordine, che Le chiedeva di tenere una seduta di cirage a Napoli. Si tratta ora di organizzare ogni dettaglio, dai fiori in camera ai candelabri, dallo champagne agli spostamenti e - cruccio tra i più gravi - creare un gruppo di quaranta gentiluomini dagli spiriti forti e dagli occhi acuti. Non dimenticherò questa Lavagna, e prometto che effettuerò entro Sabato notte quell'intervento chiarificatore che mi è stato richiesto dal gent.mo sig. Vandelli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-10-2002 Cod. di rif: 52 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Differenze Commenti: Agli amici lettori di queste Lavagne ed in perticolar modo a coloro che vi scrivono, vincendo quell'inerzia che l'universale scusa della mancanza di tempo di giorno in giorno sempre più giustifica ed alimenta, a Voi mi rivolgo in questo momento di febbrile attività per l'organizzazione della cerimonia che il 28 Ottobre vedrà Olga Berluti a Napoli. Fino a due anni fa, non avrei mai sperato di poter aspirare ad un simile riconoscimento ed ora che come Cavalieri lo abbiamo ottenuto, dobbiamo lavorare perchè l'altissima spiritualità dell'occasione venga incanalata nel modo più corretto. Madame Olga è di per sé una particella ad alta energia, ma tocca al nostro sincrotrone accelerarla alla giusta velocità perché possa attraversare il piombo delle coscienze. Quella notte non dovrà mai essere dimenticata. Bene, veniamo alle richieste del signor Vandelli. Dopo aver lungamente disquisito di temi tecnici, è il momento di scendere alle profondità culturali, ai significati, a quello che vogliamo che il nostro abito dica a noi ed agli altri. Le differenze principali tra un capo confezionato su misura ed uno su ordinazione sono nell'intervento fondamentale che il committente ha nel primo caso. Il contatto tra uomo e prodotto inizia dalla scelta del tessuto, che in questo caso è spesso fornito dallo stesso cliente o scelto tra selezioni particolari e permette così l'accesso a tipologie lontanissime dalle proposte stagionali (tecnicamente validissime) delle tirelle o tagli commerciali. Continua con le prove, minimo due. Si perfeziona con la consegna, cui spesso segue qualche piccola refazione ad una delle maniche o delle gambe dei pantaloni, alla cucitura di un bottone etc. In questo modo l'abito si carica di una storia personale che comprenderà anche gli inevitabili difetti e spesso li giustificherà. Come diceva un Uomo di Gusto come l'ingegnere Forni, nostro Socio che certo non ha mai posseduto e mai prenderà in considerazione abiti di confezione o su ordinazione, se il cliente di sartoria potesse avere la bacchetta magica che gli promette l'abito perfetto direttamente a casa, egli vi rinuncerebbe come ad un'apostasìa. E' l'atmosfera di sartoria, il ritmo delle promesse e degli appuntamenti, delle attese e delle aspettative, che crea l'incanto che poi portiamo indosso. A prescindere da dettagli tecnici, un abito su ordinazione o anche di buona confezione può essere corretto, indosso ad un uomo di stile potrà anche essere elegante, ma resterà uno strumento. Il cliente di sartoria vede invece nell'abito uno scopo ed un avvenimento. Quando, alla mia età, ci si è costituiti un guardaroba, a meno di scarti di taglia dovuti al peso non si va dal sarto tutti i giorni e nemmeno tutti gli anni. Se c'è qualche zona difettosa, si attende volentieri che il tempo passi su di essa per trasformarla in un pregio. Questa dunque è la vera differenza: nata dal connubio, dalla tensione, dalla collaborazione tra sarto e committente, l'abito artigianale è una cosa viva. Naturalmente occorre trovare il laboratorio e l'artigiano con il quale si crei il giusto feeling e questo causa grande impiego di tempo e denaro. Solo chi è disposto a questo sacrificio coglierà i fiori più profumati, anche se sarà il solo a goderne le sfumature. Infatti l'uomo veramente esigente vive e veste per sé stesso e non per il pubblico. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-10-2002 Cod. di rif: 55 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dormeuil Commenti: Mi riservo di rispondere al dr. Monzani, la cui raffica di domande richiede maggiore cautela e passo a dirLe qualcosa di Dormeuil. Non so di quale, tra i tantissimi tessuti proposti, stia cadendo la Sua scelta. Si tratta del più grande converter inglese o almeno il più noto in Italia. La qualità dei tessuti, di cui mi servo anch'io, non si discute. Il capolavoro immortale fatto produrre da questa casa resta lo SPORTEX, del quale oggi resta solo il nome. Conservo nel mio archivio personale un taglio del tessuto originale, il cui peso era di circa 550 gr/mt. Oggi è sceso sotto i 400, si è ridotto di torsione e quindi ammorbidito. In ogni caso è stato un caposcuola, imitato da tutti nella tessitura e nel nome. per abbeverarsi ad una fonte inesauribile di scienza, Le consiglio, quando avrà tempo, una visita dal nostro Fornitore Dante De Paz, Via Ugo Bassi n. 4/D in Bologna, che Le potrà illustrare le tipologie dei tessuti inglesi meglio di qualsiasi altro in Italia. Saluti cavallereschi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-10-2002 Cod. di rif: 58 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tweed ed altre delizie Commenti: L'ottimo Rolando Monzani mi chiedeva qualcosa a proposito di quattro nomi inglesi che cimosano tweed: Reid & Taylor - Robert Noble - Scottish Enterprise - Holland & Sherry, nonché un mio parere sui tessuti migliori per le camicie. Prima di rispondere ho atteso qualche tempo per consultare il nostro maggior esperto di tessuti inglesi, Socio Fondatore e Fornitore dell'Ordine. il grandissimo Dante De Paz. Il tweed è una tipologia che individua tessuti da filati ritorti, prodotti con lane secche, di pecore autoctone. Esistono due famiglie di tweed: quella irlandese e quella scozzese. La prima è caratterizzata da quei puntini in tinta contrastante, tessitura a tela piuttosto larga. ottimo pr giacche e cappotti, i più coraggiosi lo utilizzano per abiti completi. Il tweed prende il nome dall'omonimo fiume, la cui acqua abbondante è sempre stata utilizzata per il lavaggio delle lane locali. Della nobile famiglia abbiamo in Scozia due specie: scottish e Harris. Quest'ultima viene dalle Ebridi, la prima dai Border. Sono tessuti ad altezza di 70 cm, eccezionalmente evocativi per i colori spenti, l'assorbimento totale della luce, la grana grossa e maschile. Sono dotati a mio giudizio di un igroscopicità che - abbinata alla confezione sartoriale che evita ogni collante e interno sintetico - raggiunge il massimo livello possibile di comfort per una giacca invernale. Un uomo che veste in tweed vive un pò più a lungo e comunque senz'altro meglio. Io la chiamo "la giacca della salute". I nomi che Monzani indica sono, quanto a Robert Noble e Scottish Enterprise, di scarso interesse assoluto. Gli altri sono converter che etichettano tweed così come altri tessuti da essi commercializzati, ma non prodotti. I veri tweed sono prodotti da piccoli telai locali e importati da pochissimi "nasi". Consiglio una visita a Dante De Paz a Bologna o a Guenzati a Milano. De Paz è da tre generazioni un esploratore di queste realtà minori ed ancor oggi è in grado di fornire tessuti per l'uomo che voglia conoscere cosa sia il vero tweed. In ogni caso, sono da evitare i cosiddetti tweed "mano morbida". Dovrebbe esserci una legge contro questi efferati delitti contro il diritto dell'umanità alla verità ed alla bellezza. Per quanto riguarda la camicia, rimando a quanto detto nell'ultima parte di un mio intervento presente nella posta del Gran Maestro, in risposta ad una richiesta di Francesco De Martino. Il nostro tipo di forum permette risposte separate a ramificazione, sicché il tutto si trova sotto la voce "Inizi", lettera spedita da Enrico Marangoni. In questo testo non si parla della seta, che boccio a piè pari. Si potrà cercare una seta matta a tela, ma è comunque poco confortevole. Aggiungo qualche nome di produttori, rimandandola all'indirizzo indicato per le tipologìe. Albini, Oltolina, Testa, Monti. Riva è la casa che produce i tessuti più pregiati. La qualità dei filati e la tecnica dei telai, che ho personalmente visitato, è senza paragoni al mondo. Il peso dei tessuti generalmente è eccessivamente leggero per un Cavaliere, ma va bene per chi non la pensi come noi. Volendo godere dell'inimitabile sensazione che si prova a contatto con questi tessuti principeschi, consiglio la scelta delle tipologie meno trasparenti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-10-2002 Cod. di rif: 59 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualche problema di reperibilità Commenti: Egregio signor Conforti, come professionista della vanità mi dichiaro entusiasta dei Suoi complimenti e come Gran Maestro mi compiaccio per la Sua inclinazione alla sartoria. Poiché l'unico piacere cui il mio ministero mi condanna ad astenermi è quello di dare risposte a casaccio, prendo un pò di tempo per raccogliere tramite i canali cavallereschi i dati idonei a rispondere alla Sua domanda. Ho provato a trasmetterLe personalmente questa comunicazione, ma l'indirizzo da Lei fornito non è attivo. Poiché ciò integra una violazione delle nostre regole, contrarie ad ogni tipo di anonimato, non potrò risponderLe sino a quando non avrà comunicato un indirizzo valido. Può anche darsi che sia il mio apparecchio a sbagliarsi: in tal caso anticipo le mie scuse, ma vorrei che mi confermasse i dati inseriti. A presto sulla Lavagna. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-10-2002 Cod. di rif: 61 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Soluzione personalizzata Commenti: Egregio signor Conforti, mi sono consultato con Dante De Paz, erede di tre generazioni di drappieri e talent scout del tessuto inglese. Si tratta di una persona dal gusto, dalla sensibilità e dalla profondità fuori del comune. Poiché la sua attività ha sede in Bologna e gli permette di godere da anni di un punto di osservazione privilegiato su tutti i movimenti del settore, specialmente nella Vostra regione, la cosa migliore è che si metta in contatto con lo stesso Dante. Lui è già stato avvertito ed abbiamo concordato che, allo scopo di trovare una risposta personalizzata al Suo quesito, nulla avrebbe potuto sostituire una conversazione diretta sull'argomento. Lo chiami ad orari di magazzino al 051.231354 e dopo mi faccia sapere. Buon divertimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-10-2002 Cod. di rif: 63 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria napoletana Commenti: Egregio signor Liberati, quello che mi chiede è un vero e proprio trattato. Prima o poi lo leggerà, perché ho intenzione di redigerlo, in forma di guida Generale alla Sartoria Napoletana. Poiché è un pò che ne sto parlando, qualcuno mi copierà o proverà a farlo. Per nulla intimorito da qualche altra imitazione (ci sono abituato), i miei doveri mi chiamano a darLe una risposta. Cercherò di riassumere. La Giacca Napoletana si distingue su tre livelli: l'impostazione stilistica, quella tecnica e quella costruttiva. Stilisticamente essa è sciolta, con spalla naturale, punto vita piuttosto alto, accollatura definita e un effetto di apertura dei quarti anteriori che, come diciamo noi "corrono dietro". Tecnicamente essa rispetta all'estremo il comfort, con ampie forme di petto, manica a giro stretto e tromba larga. Da un punto di vista della costruzione, essa vanta dei dettagli tipici, come la pince lunga sul davanti, baveri importanti, collo alto sul dietro, manica che finisce piuttosto stretta sul polso. Quanto ai sarti che Lei cita, Gennaro Solito è il mio sarto di fiducia. Di lui può leggere nell'articolo su Napoli riportato nella nostra Rassegna Stampa. Antonio Panico è un grande a livello planetraio, con fedelissimi clienti di tutto il mondo. Formatosi nell'atelier di Mariano rubinacci, costruisce una giacca molto versatile, capace di mantenere un aspetto "napoletano" nel rispetto di una compostezza rigorosa. Ciardi è un vero personaggio, simpaticissimo e bravissimo nel cogliere le esigenze personali del cliente. Con lui lavorano anche due figli, che garantiscono la durata della sua arte. Sabino è ai confini della produzione seriale, avendo un laboratorio con oltre venti dipendenti. E' stato tra i primi a cogliere il momento favorevole per la nostra sartoria e a saperlo interpretare con una produzione che, rispettando l'impostazione stilistica, manca di alcuni dettagli della tradizione pura. Ideale per chi ama i tessuti molto leggeri, soprattutto le saglie in filati sottili, che si avvantaggiano di questo tipo di costruzione. Al Suo elenco mancano il papa dei sarti napoletani: Rubinacci, ed alcuni importanti diaconi, come il giovane e promettente Gianni Marigliano, Giovanni Volpe, Biagio Mazzuoccolo, Gino Cimmino (vedi sito www.sartorianapoletana.it), Antonio Formosa, Ciro Albino ed altri. Napoli è insomma ancora una miniera di artigiani veri e all'appassionato si presenta l'imbarazzo della scelta. Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti e mi scuso con quanti ho dimenticato di citare. E non saranno pochi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-10-2002 Cod. di rif: 66 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risposta al signor Ferrari Commenti: Egregio signor Ferrari, La ringrazio per i complimenti e Le do il benvenuto sulle nostre Lavagne. Passo ad esaminare i punti che sottopone al vaglio dell'esperienza cavalleresca in questa materia. 1 - La Sartoria Partenopea è tra gli esempi di spicco di quella tipologia che io chiamo su-ordinazione. Le ditte di questo tipo che operano in Campania attingono all'inesauribile serbatoio dello stile napoletano, che su scala planetaria è oggi il riferimento per il vestire classico. La produzione ha caratteristiche industriali, seppure si lasci spazio a personalizzazioni e vi siano vasti interventi manuali. Valgono quello che costano, come una Mercedes. Sono di soddisfazione sicura, come un vino filtrato. Hanno le misure giuste, come una donna uscita dal bisturi del chirurgo estetico. Restano comunque un prodotto destinato ad una clientela che rinuncia in partenza alle sfide più sanguinose ed accetta le facili vittorie, quelle senza alcuna gloria. Ne abbiamo parlato in passate corrispondenze, qui riportate. Poco o punto abbiamo accennato ad un dettaglio esemplare: queste ditte propongono una piramide qualitativa al vertice della quale sono il cachemire e le fibre ad alta finezza. Questo ammiccamento tende a fissare una scala di valori falsata ed ancora la raffinatezza al pregio della materia prima, piuttosto che alla profondità del linguaggio dei tessuti, dell'adeguatezza alla tradizione ed alla situazione sociale e personale. Se quindi il prodotto è valido in termini assoluti, le conseguenze dell'affermazione di un gusto "facilitato" sono deplorevoli dal punto di vista della nostra associazione e mio personale. La confezione ed il su-ordinazione stnno infatti riducendo l'offerta in termini di tipologie tessili, con un abbattimento delle differenze reali che io condanno ed il Cavalleresco Ordine combatte. 2 - Se fossi Dante troverei nel più profondo dei gironi infernali un bel posticino per il Suo fradolento consigliere, quello che sostiene la superiorità estetica dell'asola a macchina. Credo però che lo stesso Lucifero lo troverebbe indigesto. Le dirò come la penso in merito. Nella camiceria, sartoria, valigeria, astucceria, tappezzeria, finanche nella veleria, insomma dovunque sia utilizzata la materia tessile, il nemico da combattere senza pietà è il pelo. E' peggiore del gas nervino: la sua presenza basta a sterminare ogni forma di vita. Parlo di quel capo di cotone o di seta, a volte lungo come un serpente ed a volte piccolo come un parassita, che scompone qualsiasi insieme facendo capolino dall'asola, dall'attaccatura di un bottone, da una cucitura. Le cuciture a macchina, per la loro stessa natura, lasciano all'inizio o alla fine un residuo di questo tipo. Quando non si appalesa subito, si rivela in un seocndo momento. Questo piccolo granello inceppa qualsiasi meccanismo, questo peccato condanna qualsiasi sforzo di elevazione. Ebbene, solo l'asola e la cucitura fatta a mano esorcizzano questo demone. Un'asola deve essere quindi cucita a mano, con il suo specifico punto. Recherà ad entrambe i capi un travetto orizzontale, che se ben fitto e serrato determinerà due pieghettine verticali, dannazione delle stiratrici e paradiso degli esteti. Quanto più il punto sarà denso, tanto più remota sarà la possibilità che dagli abissi si liberi l'orribile, l'innominabile pelo. Stesso dicasi per l'attaccatura del bottone, che va eseguita a mano, con qualche giro di sicurezza intorno al piede. Ci sono molte camicerìe che dichiarano di produrre artigianalmente e su misura, ma propongono o meglio impongono l'asola a macchina. Se Le capita una situazione del genere, abbandoni ogni dialogo. Non c'è alcuna speranza che si tratti di una manifattura che possa comprendere le esigenze di un Uomo di Gusto. Come diceva Totò in Miseria e Nobiltà: desista. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 31-10-2002 Cod. di rif: 67 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Calzature cucite a guardolo Commenti: Illustre Gran Maestro e nobili Cavalieri, anzitutto mi compliemnto con Voi per la qualità del sito. Chiedo umilmente spazio tra le interessanti e profonde discussioni della lavagna per sottoporvi alcuni semplici quanto per me amletici dilemmi. Tralasciando la calzatura "su misura", di cui ho avuto modo di apprezzare la qualità eccelsa e inarrivabile e valutando le meno nobili realizzazioni presenti negli scaffali delle botteghe specializzate, quali sono a Vostro parere le Case che offono maggiori soddisfazioni?Io sono da anni un soddisfatto cliente Edward Green,Church's,Tricker's e Alden, oltre a fiero possesore di una Berluti (non su misura) come le giudicate? Non sono stato ugualmente soddisfatto di una John Lobb (William) non su misura recentemnte acquistata. Ringrazio Voi, nobili cavalieri per le risposte che saprete fornirmi. Cavallereschi saluti Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-10-2002 Cod. di rif: 69 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Rubinacci, Attolini, Sabino & C. Commenti: Egregio signor Liberati, noto che ha letto con vera attenzione quanto ho scritto in materia di sartoria. Ebbene, quando mi riferisco all'attività di Sabino parlo di produzione ai limiti del seriale non per la quantità , ma per l'organizzazione del suo personale e perché egli utilizza macchinari e sistemi di tipo industriale. Tra quelli da Lei citati, è ad esempio l'unico che cucia a macchina le tele dei baveri. L'orientamento che ho individuato è comprovato dal fatto che egli produca nello stesso stabilimento anche alcuni capi dichiaratamente su taglia, come la sua giacca-pullover senza interni. Nessun dubbio sull'identità artigianale di Rubinacci, sia quello napoletano che quello milanese, anche se lo stesso Mariano ha ora una linea pronta su taglia. Non parlavo di lui come dell'unica sartoria italiana, ma napoletana. Qui ovviamente va fatta la differenza tra "sartoria" con organizzazione inglese e "laboratorio di sartoria", di cui ho detto in altra occasione. Anderson & Sheppard e Caraceni restano esempi di purezza artigianale e sono delle vere sartorie. Quanto ad Attolini, la figura di Vincenzo (da me citato nell'articolo LORO DI NAPOLI, vedi rassegna stampa, brano su Rubinacci) è quella di un grande dalla statura inarrivabile. Effettivamente egli definì negli anni 30 la tipologia della giacca napoletana: sciolta, comoda in modo quasi sfrontato, drammatica nei volumi quanto confidenziale nelle linee e nei dettagli. Tra i figli, Cesare ha scelto la strada del su-ordinazione ed ha una società a Grumo Nevano. Come i suoi colleghi, si sforza insieme al giovane e capacissimo figlio Giuseppe di far apparire ai clienti uno stabilimento come una vera sartoria. Secondo me non è vero, ma questo non toglie nulla all'inventiva di una produzione veramente bella, i cui limiti sono quelli che ho già più volte espresso e che sono soprattutto nella mancanza di chiarezza. Esiste anche una sartoria Attolini "vera", fino a poco tempo fa in mano al fratello Claudio e che mi risulta sia stata oggi rilevata da Cesare. L'operazione servirà probabilmente a dare una maggiore credibilità all'atteggiamento "sartoriale" di un gruppo che oggi produce sotto tre diversi marchi e con questo quattro. Verificherò questa informazione, ma se è esatta è comunque un bene, perché Cesare è comunque un figlio d'arte, un vero sarto ed un uomo capace, mentre il fratello mi era sempre sembrato non essere all'altezza del nome di famiglia. Proprio per questo non lo avevo citato prima. Nulla so attualemente del terzo fratello, Tullio, ma mi informerò. Mi compiaccio per il livello delle Sue letture. Robb Report è una rivista importante. Non la leggo più da quando, nel best of the best del giugno scorso, riconobbe in Kiton il n° 1 della sartoria su misura. In passato questo numero era stato imparziale, colto, preciso. Non cogliendo la vera natura dell'attività di Kiton mi ha dimostrato di essere arretrata o troppo avanzata, in ogni caso parziale. Resta comunque una campana dalla voce autorevole, che dovrebbe essere più conosciuta in Italia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-11-2002 Cod. di rif: 70 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scarpe Commenti: Egregio signor Chiusa, lo spazio su queste lavagne è riservato proprio a persone come Lei: frequentatori del nostro castello, assetati di bellezza ancorché non Cavalieri. Non deve quindi chiedere alcun permesso per indirizzarci domande e nemmeno critiche o commenti. Veniamo alla scarpa. Lei ha già citato alcune di quelle a più alto contenuto. Berluti è un pianeta a parte, capace di dare un'"identità immediata" (parole di Olga) a chi la sappia indossare e curare. Inoltre i contenuti tecnici e ortopedici di questa calzatura sono i più elevati in assoluto. Come sa, come associazione abbiamo recentemente avuto l'onore di ospitare Olga Berluti a Napoli, dove abbiamo organizzato una serata di cirage (vedi colonna degli Eventi). Splendida a mio avviso la produzione di Alden, che in questo momento sta fornendo al Cavalleresco Ordine alcune culatte di shell cordovan dalla tripla A. Ovviamente saranno riservate ai soli Soci, che potranno così avere una calzatura su misura realizzata con un materiale che prima d'ora non era stato mai disponibile in questo settore. Infatti l'unica conceria che lo produce riserva quest'estrema qualità solo ad Alden. La derby liscia in cordovano di Alden è semplice, comoda, bella, durevole, ricca di tradizione, efficace nell'utilizzo. Un cult. Edward Green è estremamente originale nelle forme e nella concia. Scarpa molto leggera e comoda, è destinata a chi ami lo stile squisitamente inglese, di cui è ora il campione assoluto. John Lobb, infatti, diventato francese, ha perso buona parte del suo fascino. Gli italiani offrono nella calzatura di serie molto meno di quanto sembri. Le case sbagliano troppo e mi sembrano disorientate. Sempre ad inseguire una modernità che non è alla loro portata, rinunciando ad una tradizione che invece esisteva. Per farmi capire Le faccio un esempio pratico. Se dico Berluti, Alden ovvero Edward Green, insomma i tre nomi che abbiamo pronunciato per primi, immediatamente Le viene in mente un prodotto cardine, uno stile. Se dico StefanoB, Mantellassi o Rossetti, non Le viene in mente un fico secco. Rifletta su questo e ne tragga qualche conclusione. Finiranno tutte, o sono gia finite, per produrre scarpe da ciclista. Bene Tanino Crisci, che ancora resta integralmente nel classico e del quale aspetto però di vedere i prossimi anni. Al momento mi sembra che la nostra produzione non abbia sufficiente orgoglio e ripeta suggestioni ad orecchio, senza un supporto stilistico suffcientemente autorevole. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-11-2002 Cod. di rif: 71 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cucitura a guardolo? No prego. Commenti: Non ho ben compreso le motivazioni del titolo dell'ultima lettera del signor Chiusa. Non mi risulta che nessuna delle case da lui citate produca calzature con cucitura a guardolo. Berluti ha una linea su misura, dai costi apocalittici, che può vantare questa costruzione. Gli altri lavorano coi normali sistemi industriali: a black o goodyear. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-11-2002 Cod. di rif: 73 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria bolognese Commenti: Egregio signor Ferrari, i nomi migliori della sartoria bolognese, in verità non molto ricca di talenti, sono quelli di Alleva-Spina (che non ha un atelier e si serve per le prove del bellissimo spazio di Dante De Paz), di Di Donato (un pò promiscuo, avendo una vetrina che propone anche la confezione), di Montaguti (il decano), Cremonini (ottima fattura, terribili però per il nostro punto di vista cavalleresco le fodere stampate con il suo nome) e Bosi (il più autorevole ed il più caro). Tra questi si iscrive senz'altro anche Finarelli, con un buon rapporto qualità-prezzo. Quella di Osvaldo Finarelli, ancorché egli non sia figlio d'arte, è una sartoria dal lungo curriculum, molto tradizionale e senz'altro competente nelle regole del vestire classico corretto. Per il mio gusto napoletano la sua giacca è un pò sostenuta: lo considero quindi un Maestro da abito grigio, da blazer blu, da gessato, piuttosto che da giacca a quadri. Non so cosa intenda precisamente quando dice che vuole commissionare una giacca sportiva, ma eviterei con Finarelli, almeno al primo tentativo, le fantasie complesse. Quando avrà instaurato un rapporto più solido, quello che permette al sarto di capire meglio le esigenze del cliente ed al cliente di amare del proprio sarto anche i difetti, andrà avanti con le richieste più "sportive". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2002 Cod. di rif: 75 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La giacca "sostenuta" Commenti: Egregio signor Ferrari, chieda al Suo amico quante giacche ha fatto confezionare a Finarelli prima di quelle che Le sono e gli sono tanto piaciute. Se si tratta delle prime, mi sono sbagliato, se invece si tratta di richieste e risultati successivi al primo approccio, rileggendo la mia avrà modo di darmi ragione. La prego di rispondermi su questo punto, perché se ho preso una cantonata è giusto che lo sappiano anche gli altri lettori. La mia posizione su Finarelli penso sia chiara sin dal mio primo intervento. Avendo saputo qualcosa da suoi clienti e concittadini, ho l'impressione che la morbidezza napoletana non sia nelle sue corde naturali e che egli se la imponga in quanto oggi molto richiesta. Per questo ho pensato che egli non cucisse in questo modo al primo tentativo, andando prima su quello che è il suo terreno. Per sostenuta intendo una giacca che non ruoti molto. Solo per trovare un'immagine pertinente, guardi le belle giacche di Gerry Scotti (ahimé, questi esempi dello spettacolo sono a volte utili per comprendersi). Gli stanno molto bene e sono di eccellente fattura, ma danno l'impressione che i quarti anteriori siano un pò troppo sostenuti dalle spalle, troppo appesi e non cadano naturalmente. Mi viene in mente un'immagine nuovissima, che fa qui la sua prima apparizione: la giacca morbida alla napoletana fa apparire i davanti come fossero incernierati ai lati, mentre in quella "sostenuta", di tipo più internazionale, essi appaiono sospesi alle spalle, in alto. Non saprei su due piedi che dire della camiceria nella Sua regione. In realtà in questo settore ci sono troppe chiacchiere e pochi fatti. Difficile trovare vera soddisfazione, ma in questo le colpe in parte concorrono, perché occorre molta vigilanza e scienza da parte dello stesso cliente, il quale crede di poter intervenire solo al momento di ritirare il capo. Interverrò successivamente in materia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2002 Cod. di rif: 77 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bando agli indugi! Commenti: Egregio signor Ferrari, vorrei buttare un pò d'acqua sul fuoco della Sua perplessità. Non indugi oltre: dalle giacche del Suo amico Uzbeko ha già visto nella costruzione di Finarelli quelle caratteristiche dello stile napoletano che Lei cerca. Vista la documentazione agli atti, La invito a cercare la strada difficile, quella che potrà darLe vera soddisfazione. Non si rivolga alla Sartoria Partenopea, faccia in modo che le Sue risorse di tempo e denaro vengano utili alla causa dei deboli, quella del vero artigianato. Si fidi di Finarelli ed ancor più si fidi di sè stesso. Gli faccia capire con parole Sue come vuole la giacca, si chiarisca bene le idee e non ceda su alcun punto. I sarti vanno guidati in modo preciso e deciso. La cosa più importante per ottenere un "pronto-effetto" alla napoletana sono la morbidezza della spalla, la tornitura della manica e quel cran alto che Lei ha già ritrovato nell'opera del maestro Finarelli. Buon divertimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2002 Cod. di rif: 78 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Soluzione n° 2 Commenti: Egregio signor Ferrari, aggiungo qualcosa alla mia precedente. Un'alternativa - a meglio pensare - ci sarebbe. Contatti il nostro pilastro Dante De Paz in Via Ugo Bassi 4/D (tel. 051231354) e chieda tramitre lui un appuntamento con Alleva, che qualche tempo fa lavorava alle Sue dipendenze. Stampi questa Lavagna (ricordando che i caratteri sono bianchi e per vederli, una volta copiati, dovrà passarli in nero) e chieda a mio nome allo stesso Dante di farLe da consulente. Con una simile guida avrà il massimo e potrà fare in poco tempo passi da gigante nella conoscenza dei tessuti e degli stili. A scanso di equivoci, va detto che non esiste alcuna convenzione economica tra me o il C.O. e De Paz o altre realtà commerciali. Egli è un Fondatore del Cavalleresco Ordine e ricorre spesso in queste pagine per il suo valore, quale persona tra le più competenti in Italia nel settore del vestire maschile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-11-2002 Cod. di rif: 80 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Punti fermi Commenti: Egregio signor Ferrari, proceda spavaldo verso il laboratorio di Finarelli, dove non so se lavori anche il figlio. Tra poco me lo saprà dire. Quanto alle caratteristiche base da tenere sotto controllo, sono quelle in calce alla mia penultima a Lei indirizzata. La spalla morbida, la manica tornita (abbondante al braccio, dove presenta qualche piega verticale) ed il cran piuttosto alto. Importantissimo un particolare che avevo taciuto in quest'occasione, ma più volte segnalato in precedenza: il punto vita. Esso deve trovarsi non al di sotto della mezzeria della lunghezza ottica della giacca. Si concentri su questo dettaglio sin dall'ordinazione e lo riscontri alla prima prova. Dopo sarebbe troppo tardi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-11-2002 Cod. di rif: 82 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Punto vita e suoi derivati Commenti: Egregio signor Ferrari, il punto vita è il punto più stretto della clessidra ideale che in genere disegna una giacca, vista di fronte e di lato. La parte centrale della clessidra può essere secca e definita come nella sartoria iglese classica (veda i vecchi film di Bond, in particolare la giacca sportiva a spacco centrale che porta in Missione Goldfinger) ovvero allungata come nel caso napoletano. Il punto vita divide quindi due tronchi di cono: uno che si allunga verso l'alto ed uno verso il basso. La strozzatura massima, che in genere è in corrispondenza del bottone che si tiene abbottonato o poco più su, deve corrispondere secondo la mia teoria al centro ottico della giacca. Parlo di centro ottico perché questo punto non va collocato col metro in mano, ma tenendo presente la reale conformazione che la giacca assume una volta indossata. La perfezione si raggiunge quando essa lascia al di sotto un volume impercettibilmente superiore a quello che lascia sopra. In termini di proporzioni architettoniche, quest'altezzad della vita corrisponde simmetricamente alla maggiore altezza dello spacco tra collo e bavero che distingue la guacca napoletana dalle altre. alla Ovviamente, alzare il punto vita della giacca comporta che si alzi anche quello dei pantaloni. Non segua quindi la moda del momento e porti un pò in alto la cintura. In sede di prova controlli che l'effetto sia di Suo gradimento ed effettui le necessarie modifiche. Guardi qualche mia foto e vedrà come porto io i pantaloni: praticamente a giro collo. Non lo consiglio ad altri, ma nell'insieme vedrà che per distinguere questo particolare deve farci un pò attenzione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2002 Cod. di rif: 87 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al signor Paolo Liberati Commenti: Egregio signor Liberati, trasferisco la Sua ultima nella Posta del Gran Maestro. La risposta che intendo fornire è particolarmente elaborata, sicché preferisco parlarne nel mio studio privato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-11-2002 Cod. di rif: 88 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lattanzi, scritte a mano e scarpe a macchina Commenti: Egregio signor Villa, Scudiero nostro dilettissimo, avevo un pò tremato di fronte a quella doppia zeta di "correzzione", ma vedo che si è ripreso. La Sua ultima mi dà anzi lo spunto per un paragone: in quale altro sito un utente si sarebbe preoccupato dell'ortografia? Il rispetto che queste mura impongono per la cura estetica, anche nello scrivere, è esattamente lo scopo per cui furono erette. Dal tono della Sua disperazione possiamo arguire di averlo colto. Passo a commentare l'opera di Lattanzi, secondo le Sue richieste. A questo proposito Lei cade nella trappola predisposta abilmente da questo signore, il quale cerca di far capire di lavorare su misura. Orbene, come nella sartoria, anche nella calzoleria esiste un su-misura ed un su-ordinazione. In entrambi i casi, la differenza sta nel fatto che nel primo si lavora su un modello specifico del cliente (in questo caso le sue forme)e nel secondo su taglia, ovviamente adattata alle esigenze dichiarate al momento dell'ordinazione. Lattanzi usa scrivere tutte quelle belle cosette nelle sue scarpe e le scritte a mano vogliono suggerire la manualità dell'opera e la Sua destinazione specifica. Ovviamente vi è parecchia manualità in una calzatura di elevato livello qualitativo quale è quella del Lattanzi, ma a me non piace questo trucchetto delle scritte, che trovo tra l'altro un pò effeminato. In ogni caso il prodotto Lattanzi è un prodotto di serie. La possibilità di interventi su-ordinazione come quello che descrivevo nel mio rapporto con la Tanino Crisci (vedi Florilegio) non comporta che si sia di fronte ad una ditta artigiana. Cancelli quindi questo appellativo quando si riferisce al Lattanzi, così come lo cancellerebbe parlando di un Kiton o di un Attolini (linea "sartoriale"). Se qualcuno Le dice che Lattanzi lo ha calzato su misura, gli chieda quello che chiedo ora a Lei: "Ha eseguito o visto eseguire una prova della scarpa, ancora imbastita?". In mancanza di almeno una prova, non si tratta di un su-misura e tutte le altre considerazioni sono balle. E' anche possibile che Lattanzi abbia un laboratorio di vero su-misura, ma stia tranquillo che i prezzi saranno molto differenti da quelli del pronto. Quando si calza su misura, ad un differente modello può corrispondere una nuova forma, anche per lo stesso cliente. Di fronte ad un simile lavoro non si può restare sui costi della concorrenza e produrre in grandi numeri una scarpa su misura. Solo un artigiano che lavori in proprio - ed oggi in Italia ce ne sono pochissimi - può cucire una scarpa su misura e mantenersi su prezzi inferiori ai 1000,00 Euro. Lattanzi può quindi scrivere tutto quello che vuole sui sottopiedi delle sue scarpe, frasi d'amore e saggi di geofisica, ma non commuoverà in tal modo il duro cuore e la lunga esperienza del Gran Maestro. Non mi pronuncio sulle doti estetiche, perché occorrerebbe un preambolo stilistico che prima o poi si renderà necessario e riproporrà la possibilità di parlarne. Le rivelerò infine, poichè Lei è nostro Socio, che di recente è intervenuto un motivo specifico di cavalleresco dissenso con il signor Lattanzi. Poichè si tratta di cose che riguardano direttamente il nostro pensiero ed il nostro gruppo, lo farò nell'area riservata ai Cavalieri. Lo legga tra qualche giorno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-11-2002 Cod. di rif: 90 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al signor Villa Commenti: Scudiero nostro dilettissimo, i casi recentemente esaminati l'hanno già indotta a riflettere sulla capziosità di certe atmosfere create al limite della truffa per far capire - senza dire - che un prodotto ha una storia e natura artigianale, mentre in realtà si tratta di un articolo industriale. In futuro starà molto attento a valutare le credenziali di quanti abbiano filiali in varie città d'Italia e del mondo eppure vantino una fattura artigianale o su-misura. Addirittura la FIAT ed altre case automobilistiche ci provano di tanto in tanto, vantando per alcuni modelli una limited-edition. Naturalmente a questa balla qui è più difficile crederci, ma magari qualcuno c'è riuscito. Mi rincrescerebbe però che si cada nell'errore opposto e cioè di giungere ad una sentenza di "lesa artigianalità" basandosi su elementi insufficienti. Le notizie e testimonianze che ho raccolto sulla sartoria Finarelli non sono recentissime, ma ho motivo di ritenere che questo laboratorio continui un'attività artigianale pura. La presenza di giacche lavorate a macchina nei laboratori artigiani è sempre più diffusa, in quanto riesce a soddisfare la clientela più frettolosa. Finché non ci sia qualcuno che sostenga trattarsi di un prodotto artigianale e/o su-misura, si tratta di un commercio più che lecito. Giungiamo dunque dopo tante chiacchiere ad un criterio: quello che noi come Cavalleresco Ordine cerchiamo di mettere in chiaro è l'ambiguità delle operazioni commerciali con cui si spaccia un prodotto industriale per artigianale. Noi non siamo contrari allo sviluppo della confezione, del su-ordinazione e di qualsiasi altra cosa. Quello che non ci sta bene è la menzogna, nociva in questo caso per la parte che non ha dalla sua l'accesso ai grandi mezzi di comunicazione. La correttezza non va quindi valutata sulla base della presenza o meno di dettagli o capi meccanici, ma sulle dichiarazioni di chi li propone. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Alfieri Data: 10-11-2002 Cod. di rif: 91 E-mail: giovannialfieri@tiscalinet.it Oggetto: "Tempo libero" Commenti: Egregio Gran Maestro, vorrei proporLe un argomento di discussione,forse un pò ampio,ma penso interessante :"quale abbigliamento adottare per il tempo libero". Ritengo che in questo settore ricorrano gli errori-orrori più imperdonabili ! Cordiali saluti Giovanni Alfieri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-11-2002 Cod. di rif: 92 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il tempo libero. Commenti: Egregio signor Alfieri, Lei ha partecipato ai lavori in corso a Milano per la nostra Alcohol Academy e conosce direttamente lo stile del Cavalleresco Ordine. Mi permetto quindi una sottile, innocua osservazione sul Suo intervento in Lavagna. Quando parla degli errori ed orrori sembra che pensi o comunque che possa far pensare alla nostra attività come quella di persone che si crogiolano nel loro sapere, utilizzandolo per stigmatizzare alcuni comportamenti e suggerirne altri. Il nostro Statuto ed il nostro stile non prevedono quest'atteggiamento. Noi non lavoriamo per criticare gli errori altrui, ma per soddisfare la sete di quanti siano curiosi di conoscere e tra questi di noi stessi. Mi perdoni questa puntualizzazione, che Lei certo non merita, ma per evitare confusione il confine tra il saputello ed il sapiente va continuamente sorvegliato. L'argomento da Lei introdotto è quanto mai vasto. Vanno immediatamente individuati due grandi campi: tempo libero in città e tempo libero tout court, sportivo o vacanziero. Nel primo caso andrà conservata un'adesione al proprio stile generale. Un amante del vestire classico, che tutti i giorni indossa con piacere e profitto la giacca e la cravatta, si manterrà nella tradizione anche per il tempo libero. I giubbini, le scarpe, le camicie, saranno scelte in materiali e colori tradizionali. In molte occasioni, come ad esempio al proprio circolo o per uscite con ospiti, si manterrà la giacca e la cravatta, ma scegliendo un blazer. Magari con bottoni oro e pantalone chiaro per il giorno e pantalone grigio per il pomeriggio-sera. Niente scritte, nessuna concessione alle mode troppo giovanili, a meno di non essere giovani anche sulla carta d'identità. Per le occasioni sportive si sceglieranno capi di elevata qualità, consoni alla situazione ed al proprio livello agonistico, di preparazione e di frequentazoni. Anche in questi casi, ed anzi a maggior ragione, un capo consunto sarà una bandiera di cui andare orgogliosi. Proprio per questo motivo occorre orientarsi su materiali che invecchno bene. Cotoni e pellami pregiati, modelli rigorosi e funzionali. Queste sono le leggi generali, che vanno modificate sul proprio stile, sul proprio fisico e sulle proprie abitudini. Come sempre esiste un principio generale che governa l'estetica: quello dell'Armonia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-11-2002 Cod. di rif: 94 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scomunica Commenti: Resto basito dall'avventura del signor Ferrari, descritta poc'anzi dallo stesso protagonista. Nonostante Lorenzo Villa ci avesse messi tutti sull'avviso, credevo che l'esposizione di capi di confezione presso Finarelli fosse un esempio di una promiscuità, oggi abbastanza diffusa, tra confezione e sartoria. Anche un grande come Rubinacci tiene giacche della linea industriale nello stesso luogo dove conserva tessuti d'epoca e prova gli abiti su misura. La dichiarazione dell'ex maestro - oggi commerciante - sulla superiorità delle asole fatte a macchina è micidiale. Lei sa come la penso in materia, essendomi espresso da poco e proprio in Lavagna sull'argomento. Qui a Napoli abbiamo ancora molte bucaie e nessuno azzarda in sartoria simili fandonie, che si ascoltano solo in camiceria. Avviene anzi a volte che si veda un'asola a mano su un capo industriale. Pronuncio la mia magistrale scomunica al Finarelli, che passa nella black-list degli eretici. Mi auguro e attendo che la macchina americana di cui è tanto orgoglioso si inceppi in modo definitivo, ma so che questo non servirà a molto. Dobbiamo difenderci con altri sistemi, tra cui la vera conoscenza e l'assoluta intransigenza. Spero che queste pagine siano d'aiuto a svilupparle entrambe. Per risolvere la situazione, percorra la seconda soluzione che Le avevo proposto. Si rechi da Dante De Paz, ma come ci si reca da un amico. Gli spieghi la situazione, gli parli di questa corrispondenza e della Sua esperienza e in piena confidenza gli chieda se Alleva fosse disponibile a confezionarLe una giacca dalle caratteristiche napoletane. Si fidi di me. In De Paz troverà comprensione e competenza al massimo livello. Lui stesso potrà farLe da consulente. Parli liberamente di prezzi e di ogni dettaglio. Dante conosce bene gli appassionati, perché li serve dalla nascita. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Sergio Di Filippo Data: 11-11-2002 Cod. di rif: 95 E-mail: sergio.difilippo@libero.it Oggetto: Sartoria Napoletana e Tessuti Commenti: Egregio Gran Maestro, La ormai quotidiana lettura delle Sue illuminate dissertazioni in merito alla scuola sartoriale napoletana è per me, Le assicuro, un vero piacere oltre ad essere fonte di spunti molto importanti. Vorrei intrattenerLa ulteriormente sull’argomento, sperando di non abusare della sua grande disponibilità, per alcuni chiarimenti, in particolare: 1. Lei scrive che le “spalle” delle Sue giacche sono totalmente prive di ovatta e del "rollino". Dalle fotografie mi parrebbero sensibilmente più ampie della Sua spalla naturale (specialmente negli abiti a doppio petto), quale tecnica viene dunque adottata per sostenerle? 2. avendo io le spalle un po’ spioventi quale tecnica dovrebbe essere adottata per compensare questo inconveniente? 3. ho molte volte notato che la cucitura “napoletana” sopra le spalle è “sormontata” e “obliqua” (la cucitura dei quarti anteriori e posteriori), esiste una particolare regola? 4. il bottone centrale di norma a che altezza viene collocato (prendendo come riferimento l’ombellico)? Qual è di norma la distanza fra i singoli bottoni (per una persona di media statura, 1,75 cm.) e a quanti centimetri dal fondo giacca viene “tagliata” la tasca? 5. Qual è la lunghezza che Lei consiglia per la giacca, con riferimento doverosamente alle natiche? 6. di quanti centimetri Lei consiglia l’ampiezza dei baveri? E l’ampiezza che diparte dal terzo bottone, deve partire appena “pronunciata” ovvero “importante” fin dall’inizio? 7. Gli spacchi laterali sono previsti nello stile napoletano puro, e se si qual è la loro altezza? 8. esiste anche una tecnica particolare per far aderire bene alla camicia un “cran” alto? 9. per quanto attiene alle camicie mi potrebbe indicare alcune marche di tessuto di qualità e potrebbe spiegarmi in cosa consiste il collo a “bombarozzo” (mi pare almeno di aver letto da qualche parte questa Sua definizione) 10. Cosa ne pensa della giacca “3 bottoni stirata a 2” che a me piace tanto ma fino ad oggi di quelle che mi sono fatto realizzare non ho avuto grosse soddisfazione, esiste anche in questo caso qualche accorgimento particolare, specialmente per quanto attiene al telame interno e dei baveri e della restante struttura? 11. per quanto riguarda i tessuti mi pare che io debba imparare ancora molto. Ho l’impressione che se Le dicessi “Loro Piana, anche se super 150” (del quale ho qualche taglio di riserva) non riuscirei a persuaderLa ad approvare la mia scelta. Oltre ai tagli di cui sopra ho anche qualche taglio di una manifattura inglese “Huddersfield” ed un vecchio Royal Flannel di Gabello (peso 500 gr.) cosa ne pensa di questi? 12. Lei di norma che tessuti usa per l’estate e per l’inverno e di quali pesi? 13. Mi potrebbe indicare delle marche di tessuti valide sia per gli abiti che per le camicie? Mi potrebbe allo scopo, se ritiene, fornire il numero di telefono del Sig. Dante De Paz (col quale mi scuso per averGli recentemente “storpiato” involontariamente il cognome”). Fiducioso di poter avere un Suo riscontro, rinnovo i ringraziamenti per la Sua grande disponibilità, della quale, ribadisco, spero di non aver abusato con questa mia. Cordiali saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-11-2002 Cod. di rif: 96 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al signor Di Filippo Commenti: Lei parla di una quotidiana lettura dei testi qui prodotti, ma mi torna a scodellare domande cui ha già avuto risposta nell'area del mio Studio in cui Le aveva poste una prima volta (Studio del Gran Maestro, Sua dell'8.11.02, mia del 10.11.02, tra gli interventi successivi alla mail pilota dal titolo "Suggerimenti, chiarimenti, richiesta di elementi"). Ha conosciuto la mia disponibilità. Rispetto senza riserve la spinta della curiosità sincera e mi impegno lavorando anche di notte per rispondere ad ogni quesito a me diretto, ma non posso consentire episodi come questo. C'è infatti un precedente. Nella citata lettera in cui proponeva questa raffica di domande, esordiva dichiarando di non essersi accorto che avevo risposto alla prima delle Sue lettere. Se Lei è distratto, io sono ben attento alla dignità mia e di questo castello. Non ci faccia perdere tempo, non creda che ne occorra poco per seguire queste rubriche, le attività dell'associazione ed un sito così complesso. Se ho del talento esso è a disposizione di uno scopo in cui credo e non va sprecato per gioco. Legga quanto ho già scritto l'altro ieri e cerchi d'ora in poi luoghi meno severi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-11-2002 Cod. di rif: 99 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Napoletani a Milano (dopo Totò e Peppino) Commenti: Egregio signor Ferrari, la città di Milano sarà presto preda dei commercianti, imprenditori e grossi artigiani partenopei. Sono finiti i tempi di Totò e Peppino, sperduti in Piazza del Duomo. Le prime avanguardie hanno già fondato un'importante colonia vesuviana, tra cui spiccano Mariano Rubinacci e Marinella. Il primo ha aperto già da due anni in Via Montenapoleone ed il secondo ha inaugurato il primo Ottobre ultimo scorso in Via S.Maria alla Porta (traversa di Corso Magenta, che si segnala anche per la splendida pasticceria Marchesi). Già so in via confidenziale di altre iniziative di imprenditori nostrani nel capoluogo lombardo, dove ben presto si parlerà parecchio napoletano. Rubinacci può essere la risposta definitiva al Suo cruccio: più napoletano di così! Una sua giacca è certo qualificante per tutto il Suo guardaroba e rappresenta un grande regalo da fare a sé stessi. Marinella non ha mai voluto lanciare una propria linea di capo spalla, ma i suoi clienti lo tormentano, chiedendogli di trovare soluzioni alle esigenze che sono anche Sue ed oggi piuttosto sentite e diffuse. Partirà già questo Sabato 16 Novembre un pellegrinaggio di clienti da varie città del Nord e anche dalla Svizzera per affidarsi alle forbici del Maestro Pastena, che riceverà gli appassionati nella cripta del nuovo (ma antichissimo come struttura) negozio di Maurizio a Milano. Gli orari sono dalle 09.30 alle 16.00. Consiglio un colpo di telefono per prenotare (può informarsi alla sede di Napoli, facendo il mio nome: 081.2451182). Io vado spessissimo a Milano, dove sto conducendo il ciclo Alcohol Academy e dove ha sede MONSIEUR, la rivista per la quale scrivo quasi tutti i mesi. I miei viaggi sono però sempre in periodo infrasettimanale. Se decidesse di visitare Rubinacci, me lo faccia sapere, è un posto che frequento e dove potrei coincidere per accompagnarLa in quest'avventura. Meno probabile che io mi trovi a Milano di Sabato, il giorno destinato da Marinella a rivestire il ruolo di laboratorio di sartoria. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-11-2002 Cod. di rif: 100 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A Lorenzo Villa Commenti: Scudiero amatissimo, il tessuto cimosato come Dormysport è alquanto instabile come qualità. Non si tratta di una tipologia standard, nè per peso nè per tessitura. Ne ho visti di bellissimi come fantasia, ma leggermente devianti rispetto alla classica mano inglese. Il mio sesto senso mi mette in allarme e mi fa ipotizzare che esso possa in parte nascere da telai esterni al regno unito. Il tessuto non è scadente in sé, ma l'operazione di dare un nome unico ad una famiglia di tessuti non ben identificati con nome e cognome mi sembra alquanto garibaldina e non reca certo prestigio al marchio Dormeuil. Lei definisce la stoffa che ha in mano come un Tweed . Siceramente dubito che si tratti di un tessuto con le caratteristiche "organolettiche" rispondenti a questo nome, ma avrà comunqe una mano asciutta. Tutte le giacche sportive possono essere confezionate sfoderate. Ovviamente, occorre un pò più di tessuto, soprattutto se si ha una fantasia a quadri. Nel caso del Tweed e degli altri tessuti rudi, infatti, sarà quasi obbligatorio chiedere le tasche applicate e questo porta via altra stoffa per centrare i quadri. Per i capi destinati al tempo libero, un tempo si chiedeva un giro manica un pò più largo, in cui si lasciava aperta una fessura sotto l'ascella. Questo permetteva di indossare anche un grosso maglione di shetland, visto che le grandi giacche di tweed mal sopportano il soprabito (veda qualche foto di caccia di Carlo d'Inghilterra). Stia attento ai movimenti del Suo sarto qualora chiedesse cose di questo genere. Mentre apre il cassetto, Lei potrebbe pensare che stia prendendo il gesso, ma più probabilmente sta impugnando il fucile a pallini del nonno per fare giustizia sommaria. Bottoni da camicia. Si misurano in punti inglesi, sui quali sapro essere più preciso, perché i numeri correntemente usati non so a quale rapporto o unità di misura si riferiscano. Quelli da 14 sono usati per abbottonare la finta del polso, mentre quelli più correntemente usati per polsi e davanti sono quelli da 16. A Napoli, città con qualche tendenza megalomane nel vestire, sono piuttosto diffusi anche i bottoni da 18, leggermente più grandi. Il materiale sarà sempre la madreperla. Lei giustamente preferisce quella australiana, dai riflesi perlacei decisi. Il trocas, materiale ricavato dalla parte più vicina alla conchiglia e meno traslucido, dà a costi minori un effetto splendido. Questi bottoni hanno in genere torniture meno perfette e durano meno, perché spesso in lavanderia si spaccano, ma costano meno della metà e quanto ad aspetto virile non lasciano nulla a desiderare. Personalmente mi regolo così: bottoni da 14 a colli e polsi: bottoni da 16 per tutte le camicie, soprattutto quelle a righe; bottoni da 18 per la camicia bianca. Lo spessore del 14 è di circa due millimetri, quello del 16 di quattro e quello da 18 leggermente inferiore. Non ho nulla in contrario ai bottoni più bassi, mentre concordo con Lei sull'inopportunità di superare questi limiti. Per le camicie estive, a mezza manica, consiglio un bottone ancora più grande, ovviamente con un numero di asole minore. Lo spazio tra i bottoni permette una maggiore areazione e la dimensione meno impettita contribuisce a dare un'immediata impressione vacanziera. Quanto all'applicazione dei bottoni, la mia camiciaia ha solo per questo un disciplinare che riempie un'intera pagina, con circa diciassette punti. Tra essi ve ne sono alcuni che è meglio rimangano privati, per evitare la diffusione di malattie mentali tra le camiciaie. Detesto la cucitura a giglio e trovo poco espressiva quella a binario. Tutti i miei bottoni sono cuciti a croce. Mi attengo a una regola di mia creazione, basata sull'osservazione dei risultati estetici e tecnici: due passate sotto e tre sopra. Tutti i bottoni delle parti doppiate (collo e polsi) devono avere un piede piuttosto lungo, per poter essere maneggiati meglio e non dare difficoltà quando, col tempo, il cotone si ritira. Gli altri dovranno comunque riportare qualche giro intorno al piede, per stringere bene la croce. Il cucirino deve essere di prima qualità, di filo sottile e ritorto. Lo provi in mano prima di approvarlo, per collaudarne la resistenza allo strappo. Ricordi che il distacco di un bottone al mattino, quando già l'aspettano e Lei deve ancora scegliere la cravatta e confezionarne il nodo, trovare il telefonino e le chiavi, può causarle una cattiva giornata. Quindi occorre vigilare molto bene su quest'aspetto. Non si fidi di nessuno, se non di sé stesso. Sulla qualità dei materiali usati per cucire i bottoni si lascia troppo all'approssimazione. Io ho un'antica scorta di Filofort n. 30, perfetto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Alfieri Data: 12-11-2002 Cod. di rif: 101 E-mail: giovannialfieri@tiscalinet.it Oggetto: Tempo libero Commenti: Egregio Gran Maestro, La ringrazio per la sua risposta . Cordiali saluti Giovanni Alfieri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-11-2002 Cod. di rif: 103 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La volpe e l'uva (al Sig. Ferrari) Commenti: Non può avere a Milano un artigiano napoletano di piccole dimensioni, perché come tale non avrebbe avuto modo e motivo di uscire fuori dalla sua città. Ella mi ha chiesto come avere una giacca napoletana a Milano ed ha avuto le uniche risposte possibili. Capisco la paura di spendere troppo, ma non faccia come la volpe con l'uva. Marinella ha sempre confezionato e venduto anche altri prodotti oltre la cravatta e anche ora non produce la giacca, ma offre il suo spazio per i clienti che come Lei la vogliano napoletana e su misura. Il maestro che ha invitato per offrire questo servizio è un artigiano puro e non ha stabilimenti nè in Giappone nè negli Stati Uniti. Rubinacci è un sistema imprenditoriale sin dalla fondazione, non lo è diventato oggi. I suoi risultati, come quelli di tutti i sarti, sono incostanti, ma raggiungono spesso le vette dell'eccellenza. Questi due nomi, a differenza degli imprenditori puri come i nomi già citati del su-ordinazione, sono in grado di offrire al cliente un prodotto veramente su-misura. Ciò li rende a mio modo di vedere ammirevoli, perché coniugano le esigenze del mercato con quelle del gusto. Non mi va di sperare che tutti restino a fare la fame perché io possa pagare poco un vestito. In definitiva, se vuole Solito o altri come lui, Le basta venire a Napoli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-11-2002 Cod. di rif: 106 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicerie Commenti: Scudiero Villa, non si sbaglia. Ho preso il cassino e ho cancellato uno scritto che non mi aveva soddisfatto come impostazione. Dopotuto o avevo scritto stamane alle 04.00, leggermente distrutto. Lascio per qualche giorno la Lavagna ai suoi lettori ed attori. Parto stasera e fino a Domenica sarò a Parigi per il Dinner des Presidents - una cena tra presidenti di club di fumatori di sigaro europei organizzata dalla Coprova e dall'Amateur - e per una lunga visita a Berluti. Ci risentiamo presto, qui o nello Studio, con i miei commenti al Suo ultimo intervento . ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 15-11-2002 Cod. di rif: 108 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Camicie su misura Commenti: Ill.mo Sig. Villa, oltre a complimentarmi per la qualità dei Suoi scritti,sono a chiderLe di condividere le Sue esperienze in termini di camicie su misura a Parma e provincia. Mi ritrovo pienamente nello stato d'animo descritto nella Sua del 14/11, non avendo ancora trovato un laboratorio artigianale degno di questo nome.Come Lei giustamente sottolineava,troppi sono nella nostra città e provincia i commercianti truffaldini che spacciano per artigianale e su misura ciò che in realtà tale non è.Mortificato da troppe delusioni, alla fine ho desistito,accontendandomi di ordinare delle camicie Borrelli con mie specifiche.Avrebbe qualche buon indirizzo da consigliarmi? RingraziandoLa sin d'ora per la Sua disponibilità,con osservanza La saluto. Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-11-2002 Cod. di rif: 111 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lavagna lanciatissima Commenti: Amici, corrispondenti, cavalieri, sono stato qualche giorno lontano, senza avere il tempo che normalmente dedico ad aprire queste pagine ed a partecipare alle discussioni. Torno e trovo le cose andate parecchio avanti. Non so descrivere la mia gioia nel vedere che la Lavagna ha ormai una sua autonomia, che ha già assunto in pochi mesi quella fisionomia la cui formazione credevo richiedesse anni. Bene, molto bene. Mi rivolgo ora a Lorenzo Villa, complimentandomi per la brillante "carriera". Egregio scudiero, ho letto di Lei nell'editoriale di MONSIEUR. Evidentemente il direttore ha trovato brillante la Sua penna, così come è capitato anche in questa sede. Come vede, i Suoi sforzi vengono ben ripagati. Lei si impegna moltissimo, scrive, legge e si documenta, ma probabilmente ha trovato qui la giusta bandiera per le Sue battaglie. Ascolti anche il sapientissimo Forni, sbagli con spavalderia. Rispondo anche alle Sue domande sui bottoni: io uso la cucitura a croce in ogni caso, ma non ho motivi culturali per dichiararla superiore alle altre. Tenga presente che in tenuta completa posso arrivare ad indossare quasi ottanta bottoni. Tutti quelli che possono apparire alla vista e molti di quelli nascosti sono cuciti in questo modo. Quanto al problema delle camicerie, siamo funestati dall'approssimazione di nuovi e nuovissimi laboratori pseudoartigianali che spacciano un prodotto approssimativo come una rivelazione. In realtà il più grande di tutti resta ancora Finollo, ma i suoi prezzi sono proibitivi per i più. E' vero, Linke è vanitoso ai limiti della presunzione. Io comunque accetto di buon grado questi tratti somatici tipici dell'individualista irrecuperabile e di fronte alla meticolosità del suo lavoro mi tolgo il cappello. Concordo con Lei sui disastri perpetarti ai danni del collo camicia, che deve restare sempre morbido. Gli interni devono essere naturali e non incollati, mai tesi, perché qualche piega rivela la nostra verità di uomini, il nostro stato d'animo. Le rughe del collo si appesantiscono durante la giornata, con un tocco umano che infastidisce quanti siano incapaci di vere passioni ed esalta i grandi animosi. Non ascoltate me, che ho troppo da imparare ancora, guardate con attenzione un Cocteau o un Sartre. Siamo forse rimasti in quindici a pensarla in questo modo, quindici uomini sulla cassa del morto. E una bottiglia di rhum. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-11-2002 Cod. di rif: 114 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piacenza Commenti: Egregio signor Salati, anche a nome dell'Associazione, La ringrazio per i complimenti e Le porgo il benvenuto sulle nostre Lavagne. Anche se il Suo nome appare per la prima volta, immagino che abbia letto parecchio dei testi qui sedimentati, in quanto La vedo padrone delle terminologie create ed adottate da tempo nel sito. La zona della quale parla non è tra le più feconde per le arti dell'abbigliamento. Per le camicie non ho in questo momento degli indirizzi validi, mentre ho buone referenze della sartoria Cravedi di San Giorgio Piacentino. Purtroppo non ne conosco nè l'indirizzo, nè il recapito telefonico, ma non le sarà difficile recuperarli in loco. Anche se non conosco direttamente l'opera del maestro Cravedi, Le consiglio comunque una visita, essendo l'unico nominativo che mi sia stato consigliato da persone qualificate. Mi informi immediatamente dei risultati della Sua esplorazione e cortesemente mi comunichi i recapiti, una volta rintracciatili. La mia curiosità è pari alla Sua e la mia sete di conoscenza inesauribile. Come vede a questa fonte vengono in parecchi ad abbeverarsi ed è opportuno collaborare tutti alla fertilità dell'oasi, cioè alla quantità, alla qualità ed all'aggiornamento delle notizie. Le fornisco un nominativo che potrà utilizzare come quartier generale per le sue ricerche. Si rechi a mio nome da Milord, Via Quattro Novembre n. 132 in Piacenza e chieda di Alberto Subacchi (tel. 0523.452358). Questo nostro Socio gestisce un bel negozio di abbigliamento ed è persona attenta e disponibile. Proceda con fiducia: tra i Cavalieri si troverà a proprio agio e non avvertirà alcun disagio, nè l'urgenza del commerciante che vuole propinarle qualcosa, bensì la volontà di sostenere la conoscenza. Da Milord troverà anche la possibilità di far confezionare camicie di alta qualità. Non su-misura, sia chiaro, ma su-ordinazione. In attesa che trovi una camicerìa degna di fiducia è meglio una camicia su-ordinazione fatta bene, con asole a mano e un tessuto di qualità, piuttosto che un su-misura di basso livello confezionato da un laboratorio improvvisato. Nel settore della camicerìa ve ne sono molti. In ogni caso, si senta come un ospite e vada per domandare, non per comprare. Mi saluti il signor Subacchi e si diverta, senza dimenticarsi di farmi sapere come va a finire e se possiamo esserLe ancora utili. Cavallerescamente, il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-11-2002 Cod. di rif: 115 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti piacentini Commenti: Grazie all'intervento del signor Marseglia (leggibile sulla Posta del Gran Maestro, sappiamo che il laboratorio dei fratelli Cravedi ha sede in Piazza Caduti n. 21, naturalmente in san giorgio Piacentino, come si diceva. Il recapito telefonico è 0523.371144. Ho provveduto a sistemare nei taccuini di Viaggio di questa Porta una visita con foto ed intervista ai maestri, tratta dal quotidiano Libertà di Piacenza del 22.01.01, sempre segnalato dall'attentissimo Marseglia. Ringrazio questo corrispondente così sollecito e gentile, degno ospite del nostro castello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-11-2002 Cod. di rif: 116 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti a Torino Commenti: Il diligentissimo signor Giampaolo Marseglia, dopo aver contribuito a rintracciare e commentare il maestro piacentino Cravedi (vedi taccuini), nuovamente ci arricchisce con la spedizione di un testo sul maestro torinese Giuseppe Caristo. In tal modo cominciamo a fornire risposta ad un quesito presentato nella Posta del Gran Maestro dal signor Regoli, residente in Torino. Il testo in oggetto, piuttosto lungo, viene pubblicato come intervento dello stesso Giampaolo Marseglia sui Taccuini di Viaggio dell'abbigliamento. L'indirizzo di Giuseppe Cravedi è: Via San Tommaso, 22 - Torino - Tel. 011.5621848. Il contributo di questo nostro corrispondente è tanto più notevole in quanto, come vedo dai dati fornitici nel nostro Registro, egli risiede a Napoli. Signor Marseglia, complimenti e grazie. Aggiungo anche una segnalazione giuntami telefonicamente dal nostro socio Mauro Salice, il quale mi parla di un laboratorio all'insegna "Sir George" sito in Torino, località Pontesassi, Via A. Passini, 5 - Tel 011.8993708. Non sono in grado di commentare il suo lavoro, ma senz'altro si tratta di un indirizzo tradizionale, che merita una visita. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-11-2002 Cod. di rif: 118 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due belle domande, due lunghe risposte Commenti: Gentilissimo signor Larini, innanzitutto Le porgo il benvenuto sulla Lavagna, di cui arguisco fosse già da tempo un silenzioso frequentatore. Mi compiaccio per la forma ed il contenuto delle Sue due domande, che interpretano con semplicità esemplare un dubbio nel quale credo si trovino in parecchi, atteso il crescente desiderio di artigianalità e napoletanità. Cercherò di trovare risposte altrettanto chiare. 1 - Poiché entra a diretto contatto con la pelle, la camicia è un capo di biancheria, prima di essere un capo di abbigliamento. Viene lavata e stirata ogni volta e quindi è tenuta a rispondere a criteri di resistenza agli agenti chimici e termici che la sollecitano senza posa. Anche se qualcuno ha detto che l'eleganza si concentra nella camicia, io penso che intendesse dire che la cura che essa dimostra con una corretta manutenzione, con una stiratura perfetta ed una presentazione immacolata, dimostra meglio dell'abito e della scarpa, che si giovano della vetustà e dei difetti ad essa connessi, l'attitudine e l'attenzione ai linguaggi estetici di chi la indossa. Il collo ed i polsi sono la parte più eloquente, perché entrano a far parte di due di quelli che io chiamo "i tre occhi". può consultare a tal proposito i testi dell'invito al Laboratorio d'Eleganza sulla camicia, visibile nella nostra pagina dedicata agli Eventi cavallereschi. Ne ricopio qui il passo più pertinente: "Tutti conoscono la frase di Wilde: “L’ eleganza si concentra nella camicia”. Questa sentenza, per l’ universale notorietà e l’ illustre provenienza, può essere un buon punto di partenza per un discorso sulla camicia maschile. Non pretendo di rivaleggiare con un uomo della cui arguzia sarei lieto di possedere un decimo, eppure non la condivido pienamente. Non credo che sarei stato in disaccordo con Wilde, ma solo con la sua definizione. L’ Eleganza è una manifestazione dello spirito. Un soffio inafferabile che non si sofferma, si avverte. Essa si rivela solo nel complesso e non trova appiglio in nessuno specifico particolare, perché vive all’ interno dell’ Uomo e non fuori di esso. Se proprio si deve parlare di una concentrazione dell’ Eleganza, ma si direbbe meglio dello Stile, essa avviene nella giacca. Stiamo parlando male in un colpo solo di Wilde e della Camicia? Al contrario. E’ mia intenzione investigare il senso profondo della fase di Wilde, per dimostrare da un lato la correttezza di un’ intuizione che nella sua brevità non trova compiuta espressione, e dall’ altro il ruolo chiave della Camicia. Ciò che Wilde ha visto addensarsi nella camicia non è l’ Eleganza, ma uno dei suoi più importanti presupposti: la cura. Dall’ altra parte della Manica, Honoré de Balzac enunciava nel suo Trattato della Vita Elegante che “La cura è il sine qua non dell’ Eleganza”. Orbene, più di ogni altro capo maschile la Camicia necessita e dimostra di cura. L’armonia del collo, il tessuto, il colore, le asole, i bottoni, ma soprattutto la pulizia immacolata e una stiratura impeccabile, tutti questi dettagli e molti altri ancora rivelano all’occhio del buon osservatore l’ attenzione ed il tempo che l’ Uomo ha profuso nella propria Camicia, e quindi per se stesso. Spesso governata in casa, la Camicia coinvolge anche la famiglia, la servitù. Essa è un certificato sociale. Molti oggi usano lasciare sbottonati i polsi della Camicia, adottando un linguaggio in cui la negligenza è sinonimo di libertà e creatività. Evidentemente non la pensiamo allo stesso modo. L’ esegesi della frase wildiana ci ha portato a dimostrare comunque la rilevanza della Camicia. Io vorrei aggiungere qualcosa a proposito della sua centralità in quella che definisco la Teoria dei Tre Occhi. Secondo questo personalissimo modo di vedere l’Uomo che veste, e che raccomando di non prendere troppo sul serio, la tradizionale tenuta maschile da città presenta tre punti focali, i quali guardano e sono guardati a preferenza degli altri, e per questa loro espressività e facilità di comunicazione sono paragonabili agli occhi nella fisionomia umana. Il primo occhio è rappresentato dal complesso: parte alta del bavero della giacca (le palpebre), camicia (la cornea), e cravatta (l’iride). Il secondo da polsino, manica della giacca, ed orologio (se c’è). Il terzo da scarpa, calza, e risvolto del pantalone. Questi ultimi due, anche per la loro collocazione al di fuori dell’ immediata focale del colpo d’ occhio, sono di minore importanza. E’ il Primo Occhio che ci osserva, è su di esso che al primo sguardo esprimiamo una valutazione estetica. Ed in esso l’ espressione è governata dalla Camicia." Dopo questa lunga premessa, avviamoci verso le conclusioni. La cosa che una camicia deve possedere è innanzitutto un buon tessuto, assolutamente in puro cotone. In qualche altra occasione ho suggerito le case migliori, ma esistono anche buoni produttori inglesi. Eccellenti sono i tessuti di Turnbull & Asser, a mio giudizio soprattutto nei twill in sea island, qualità suprema. Per la sua citata natura di capo di biancheria, la fibra è da sola gran parte del risultato. Vengono poi collo e polsi, che devono essere lavorati largo il primo e stretti i secondi. Oggi si sbottonano con facilità i polsini, ma quello che altri vorrebbero far leggere come libertà creativa a me continua a sembrare sciatteria. Il collo deve potersi adeguare alla persona ed alla personalità, nonché agli utilizzi. Su questo potremo un giorno ritornare, resta importante il principio che al momento dell'acquisto si deve poter decidere il proprio collo con totale libertà, senza dover scegliere tra modelli precostituiti. La forma della rivolta e l'altezza della lista (o pistagna) sono esclusivamente personali o devono poterlo essere. Altrimenti, che divertimento c'è?. Gli interni devono essere inseriti senza collanti, e questo lo si può controllare saggiando tra le dita il tessuto sugli interni, da emtrambi i lati. Se il tessuto scorre, bene, altrimenti desistere. Mai e dico mai indossare una camicia con asole fatte a macchina. Ricordi la storia del pelo e sappia che un'asola a macchina rappresenta una condanna a restare per sempre nel limbo dei senza speranza. Orbene, tutte queste caratteristiche si possono trovare anche in una manifattura su-ordinazione, come quella alla quale già si rivolge. I laboratori artigiani spesso utilizzano allegramente modelli di collo precostituiti, asole a macchina. Altri cercano di giustificare costi elevati con un utilizzo anche eccessivo di punti dati a mano, che in realtà sono indispensabili solo al giro manica ed alle asole, oltre agli eventuali fondetti (quelli chiamati anche mouche). Non lasci spazio a sensi di colpa se la sua manifattura non Le fa sostenere tre prove, l'importante è che la camicia sia ben stesa sul davanti, confortevole, con un giro manica non troppo ampio e con le caratteristiche già dette. Solo per i cercatori dell'eccellenza, con tasche e cultura adeguate, è necessario ricorrere a livelli quali quelli di Finollo, che interviene con cuciture nascoste e una meticolosità che si deve essere disposti a pagare cara. Nel caso, lo si può fare con tranquillità, perché non si tratta di un'esosità fine a sé stessa. Non esiste in giro nulla di simile e bisogna far sapere in giro una volta per tutte che l'eccellenza non nasce per caso e va pagata. Molto. 2 - L'opportunità di chiedere una giacca napoletana ad un sarto abituato a quello che io chiamo il taglio internazionale è effettivamente discutibile. La napoletanità non è in alcuni simboli, ma nel concetto e nell'impostazione di base. E' impossibile che un sarto formatosi a Milano possa confezionare una giacca veramente napoletana. E' però a mio avviso altrettanto difficile che un cliente non napoletano comprenda dove e perché il sarto sia andato fuori tema. Poiché la napoletanità viene oggi ridotta ad un paradigma piuttosto semplificato: spalla naturale emanica a mappina, è facile che un cliente piacentino riconosca come napoletana (e ne sia contento) una giacca confezionata nella sua città, purché abbia queste caratteristiche. A questo punto divido la questione in due parti. Se Lei mi chiede se sia possibile avere una vera giacca napoletana, ovvero una pizza o una mozzarella, lontani da Napoli, la mia risposta è NO. Resta ancora la seconda parte del problema e cioè la scelta tra una giacca con uno stile veramente napoletano, in quanto confezionata in una fabbrica da artigiani consapevoli della tradizione locale, ed una veramente artigianale, ma non altrettanto veramente napoletana. nel primo caso avrà un capo bello senz'anima, nel secondo correrà il rischio di spendere per un risultato mediocre. la direzione in questo caso non lo posso fornire io, in quanto siamo nel campo dell'esperienza e delle attitudini personali. Io non rinuncerei in ogni caso ad una giacca di sartoria e se vivessi a Mosca mi farei cucire una giacca moscovita, cercando di far immaginare al sarto di trovarsi più vicino a Santa Lucia che alla Piazza Rossa. Questi tentativi non riescono al primo colpo, ma chi varca la soglia di un laboratorio artigiano deve sapere che lì si fa ricerca, non si acquista merce. Cosa si ricerca? Due cose: una perfezione che non esiste e una conoscenza di sé che non si pefeziona mai. Per questo motivo i clienti del su-ordinazione o della confezione si sentono così superiori a noi esploratori dell'artigianato. Loro sparano nel barile e portano sempre un pesce a casa, noi peschiamo all'aspetto e spesso torniamo delusi. Se le piace il pesce evuole essere ben certo di portarlo in tavola, compri in confezione o su-ordinazione, stando attento solo che non Le diano una spigola della settimana prima o Le vendano sarde per saraghi. Se invece adora la pesca, si attrezzi e parta la mattina presto. Non sarà fortunato al primo tentativo, ma col tempo acquisirà l'abilità di prendere sempre qualcosa, la pazienza di aspettare che abbocchi e il gusto per trasformare in divertimento anche un'inutile attesa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 02-12-2002 Cod. di rif: 119 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Calzature spectator Commenti: Illustre Gran Maestro, sono ancora ad approfittare dello spazio che le Vostre nobili lavagne concedono a chi,come me,assetato di conoscenza ha trovato una preziosa fonte a cui abbeverarsi.La curiosità mi porta a spingermi sempre più in là nell'approfondimento e nella sperimentazione,purtroppo non sempre fruttuosa.Leggo però con piacere che Lei stesso consiglia questo modo di agire, essendo gli errori presupposto inevitabile di un cammino virtuoso.Il quesito che intendo sottoporre a Lei e agli illustri frequentatori di questi spazi, riguarda le calzature così dette "spectator", ovvero bi colori (bianco/nero;bianco/marrone).Si tratta di un tipo di calzatura che mi ha sempre affascinato,di forte personalità e dai contenuti notevolmente evocativi. Appasionato di musica jazz,non potevo non essere ammalito dalle fumose atmosfere da club anni 30 che le spectator richiamano.Essendo però una scarpa inusuale,ho sempre desistito dall'acquisto,giustificando la mia "codardia" in fatto di stile con la necessità di dare priorità a capi di più frequente e semplice utilizzo.Questo fino a poche settimane fa. In un recentissimo viaggio a New York,mi sono infatti imbattuto nello splendido negozio Allen Edmonds e indovini un po’ cosa mi strizzava l’occhio in bella vista in vetrina? Uno splendido paio di balmoral spectator wing-tip (secondo la definizione americana) bianche e nere,lucide e splendenti, come quelle che ho sempre immaginato ai piedi del Grande Gatsby intento a intrattenere gli ospiti accorsi ai suoi magici party.Calici di champagne,trombe e ottoni, il caleidoscopio delle camicie Turnbull and Asser sfoggiate da Jay Gatsby,tutto questo mondo immaginifico si è frullato nella mia mente alla sola visione di quelle semplici scarpe.Non ho resistito.Sono entrato e le ho acquistate,senza badare ai rimorsi di coscienza ed alle difficoltà di abbinamento con il mio guardaroba, confidando, lo ammetto, nei suoi preziosi consigli…Confesso di essere felicissimo del mio souvenir americano, come un bambino in possesso del giocattolo a lungo agognato.Credo che i gentiluomini frequentatori di queste lavagne siano d’accordo con me se affermo che l’aspetto emotivo di un acquisto dona significato allo stesso,trascendendolo da semplice baratto e donando appagamento, soddisfazione, emozione. Gli oggetti futili ad uno sguardo estraneo, sono in realtà per il fiero possessore ricchi di significati. Per me quelle scarpe richiameranno sempre New York, ma soprattutto saranno il trait d'union con quell’universo fantastico in cui amo rifugiarmi. Non so se sia testimonianza di forza o di debolezza,io credo e spero di sensibilità. Spero di non averLa tediata con il mio racconto, ma la premessa era necesaria per giustificare l’aiuto che sono a domandarLe. Secondo Lei, quali sono le occasioni adatte in cui indossare le mie spectator? Con quali abiti e di quali colori possono essere abbinate per non mortificarle ma per donare loro il giusto contesto in cui risplendere? RingraziandoLa sin da ora per il prezioso aiuto, La saluto cordialmente. Suo ammiratore Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-12-2002 Cod. di rif: 121 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bicolori Commenti: Egregio signor Chiusa, in astratto la scarpa bicolore al giorno d'oggi la vedo compatibile con le ore diurne. Mi piace immaginarla sotto una tenuta camicia-pantalone, quando in estate non si indossa la giacca, o d'inverno con un giubbino di pelle o di camoscio. Il concetto base è che si tratta di un pezzo da riservare rigorosamente al tempo libero. Lei è ancora molto giovane (lo so dalla scheda di registrazione) e quindi, prima che valichi la trentina, potrà divertirsi ad indossare la Sua spectator con molta libertà, ma mai per lavorare. Verrebbe da pensare subito al lino bianco, ma ho l'impressione che farebbe troppo "bel gagà" e rischierebbe di ritrovarsi nel ridicolo. Provi a portarla anche di sera, purché in situazioni non formali, con l'abito grigio e la camicia bianca o con un pantalone grigio abbastanza scuro e il blazer a bottoni argento. In quest'ultimo caso la camicia sarà a righe o meglio a bastoni. Non aggiunga altri punti notevoli o macchie di colore molto vivaci. Esalti l'originalità della calzatura con un insieme ed una tavolozza estremamente sobri. Mi fermo qui, perché in effetti l'unica cosa sensata che mi sembra di averLe detto è di riservare le Sue belle Allen Edmonds al fine settimana o ai viaggi, comunque fuori dall'ambiente di lavoro. Il resto è opinabile, suggerimenti che non deve prendere troppo sul serio. Le ricette in questi casi servono a poco. Piuttosto curi molto bene le scarpe: poiché saranno di certo piuttosto osservate è opportuno tenerle in ordine perfetto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-12-2002 Cod. di rif: 122 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbinamento e promiscuità Commenti: Egregio Scudiero Villa, le manifatture di camicie sono troppo solerti a preoccuparsi delle mogli o domestiche (o mamme) dei loro clienti. Travestendolo da gesto umanitario, camuffano la loro inettituine suggerendo candidamente il collo con la tela incollata e sostenendo la sua superiorità. Siamo alle solite: è la differenza tra un capo di sartoria ed uno di confezione o su-ordinazione. La giacca su misura non va vista come oggetto singolo, ma come parte di un processo, come emanazione di un individuo e di una storia. E' per questo, proprio perché non è un capo isolato, che le si perdona anche il difetto. La giacca industriale, come la camicia dai colli con le tele adesive, è una merce come le altre, sulle quali vanno svolte considerazioni scientifiche, rapporti precisi prezzo-qualità-durata. Se il mio collo risulterà con qualche piega, ricorderò quelle tormentate dei grandi intellettuali come Cocteau, Sartre o Montanelli, ovvero quelle più morbide degli imprenditori come Gardini, Agnelli e oggi Montezemolo. Lo stile lastra-di-acciaio ha dei campioni meno interessanti e l'unico che riesca a infondervi un certo sentimento è Alberto Sordi, che però veste coi gemelli. Quanto all'abbinamento tra merce pronta e sartoria, non si tratta di una novità. Londra è costellata da decenni di grandi sartorie che provvedono anche al resto. Il mio parere è comunque il seguente: la sartoria di stile inglese, cioè con uno stilista-imprenditore a capo dell'impresa ed un tagliatore a governare il laboratorio, può avvicinare i due mondi senza alcuno stridore. Il gusto del gran capo e la tradizione dell'azienda garantiscono che i prodotti siano stati messi insieme con un criterio. Il laboratorio artigiano che accosti merci pronte e sartoria senza l'autorità di un Uomo di Gusto con titoli e/o tradizione cade in una promiscuità fastidiosa e riprovevole. Facciamo un esempio di casa nostra: Rubinacci è aperto a Napoli dal 1930 e sin dal primo giorno ha gestito insieme laboratorio e negozio. Si tratta di una realtà di stile inglese (il nome della ditta è London House) di tutto rispetto. A poche decine di metri un altro grandissimo nome della sartoria napoletana, Angelo Blasi, ha provato ad imitare questo abbinamento, ma senza una personalità da imprenditore, aperta alle necessità di una clientela mutevole, e senza l'autorità dello stilista. Infatti essere un buon sarto non significa essere uno stilista, cioè un uomo che capisce e parla il linguaggio delle cose. Il risultato è che nel volgere di qualche diecina d'anni i figli sono restati solo con il negozio e la sartoria è scomparsa. Hanno oggi un'azienda di confezione, piuttosto accorsata, ma di vero artigianato nemmeno più l'ombra. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-12-2002 Cod. di rif: 124 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti giovani Commenti: Egregio Villa, prode Scudiero, dai miei passati interventi sa che sono in accordo con Lei sulla totale mancanza, da parte della categoria degli artigiani e segnatamente dei sarti, di una mentalità imprenditoriale compatibile con la mutevolezza del mercato. La proposta di articoli pronti da parte di sarti con la mentalità tradizionale appare quindi blasfema. Essi sono usi peraltro a presentare i prodotti in modo meno appetibile rispetto ad un magazzino di livello e per di più con minore scelta. Uno sportivo o uno scrittore, un poeta o un attore mercificano il loro lavoro attraverso degli agenti. Non discutono personalmente i loro contratti. Poiché noi leggiamo nel sarto un'artista, lo vediamo malvolentieri nelle vesti del venditore. Come ho prefigurato, la classe artigiana subirà presto sostanziali modifiche nelle possibilità economiche e mentali, sicché il fenomeno dell'accostamento tra merci e lavoro su-misura diverrà sempre più naturale. Ciò accadrà anche nei ristoranti, negli alberghi e dove altro si erogavano oggi servizi univoci. I sarti venderanno calze e i ristoranti conserve, ma via via ci abitueremo e non sarà un gran male. "Don Alfonso" ha già iniziato venti anni fa, più o meno insieme a "Chez Maxime" ed altri, sempre in maggior numero, li seguiranno. Rubinacci è una rarità, lo è sempre stato e resterà comunque una cima, in quanto è veramente un Uomo di Gusto ed un vero imprenditore, come tale l'unico che sino ad oggi in Italia ha potuto accostare scarpe pronte, ombrelli e giacche a misura nel modo più naturale, ma con i giusti spazi espositivi e l'assortimento di un capitalista disposto ad investire nell'operazione. Non dimentichiamo mai che il denaro è misura di molte cose, anche se non di tutte. Se un atelier con mobili e quadri d'epoca non ci influenzerà minimamente nella valutazione della qualità della giacca che andiamo a misurare, così non è per la vendita di prodotti confezionati. Qui preferiamo scegliere tra cento, piuttosto che tra dieci, su un bancone ben illuminato e vasto come un tavolo da pimg-pong, piuttosto che su uno strapuntino. Quanto ai sarti under-fifty, ve ne sono. Almeno a Napoli. Lanco anzi una proposta. Alcuni lettori dell'area emiliana e piemontese mi hanno sollecitato a segnalare loro laboratori nella zona che fossero capaci di produrre una giacca napoletana. A tutti costoro propongo di fissare un appuntamento a Bologna, in località da definirsi. Il Cavalleresco Ordine potrebbe presentare nell'occasione Gianni Marigliano, un brillante, giovanissimo maestro napoletano che potrà soddisfare finalmente questa voglia di napoletanità. Non so se le lettere cui ho risposto fossero di persone veramente intenzionate a vestire. Io ho dato per scontato che fosse così, ma per esigenze filosofiche. Qui si passa al pratico: chiedete e noi Vi esaudiremo. E' ovvio che nessuno è tenuto ad impegnarsi in un acquisto, ma lo ribadisco. Data ipotizzabile: terza decade di Gennaio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2002 Cod. di rif: 128 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Formula magistrale Commenti: Caro Franco,illuminato Socio ed amico, concordo pienamente sulla tua visione della scarpa bicolore. Io mi ero limitato al tema proposto dal signor Chiusa, che mi chiedeva come abbinare la sua spectator lucida bianca e nera. Tu hai giustamente ampliato lo sguardo e invero se passiamo ai toni caldi, le possibilità aumentano enormemente. Negli anni trenta la bicolore si usava molto con i tessuti da te citati ed oggi in disuso: gli accostamenti che proponi sono classici ed ineccepibili. Un discorso interessante va fatto sulla loro accessibilità odierna, che come ben sai è alquanto limitata da un triplo ordine di presupposti: cultura età e stile. Ogni capo che indossiamo va abbinato non solo agli altri indumenti, ma soprattutto a noi stessi ed all'occasione. Orbene, per accedere a certi oggetti e livelli di abbinamento degli stessi è necessario innanzitutto disporre di un linguaggio piuttosto completo e complesso. Chi ha nel vocabolario solo cotoni e sagliette, non potrà intendere la poesia di un donegal, nè potrà gradire la massiccia prosa di un cheviot. La prima difficoltà è quindi nella cultura, ma non è solo questo il problema. L'opportunità di un pezzo appariscente viene severamente limitata nell'arco di età che va dai trenta-trentacinque anni sino ai sessantacinque-settanta. Negli anni più produttivi, le attese sociali richiedono rigore e conformità (da non confondere cl conformismo). Derogare di molto ed improvvisamente dal seminato può facilmente apparire come una stonatura e quindi cosa risibile o sgradevole, in ogni caso un errore. In molte occasioni si dovrà quindi resistere alle tentazioni più immediate per riferirsi ad un canone di gusto piuttosto composto. Resta ovviamente l'area di libertà che si estende insieme alla precisione e forza dello stile personale, l'ultimo parametro da tenere in considerazione. Esternamente all'uomo che veste, vanno poi fatte considerazioni sull'opportunità ambientale. Certi capi non si indossano alla spiaggia ed altri vanno evitati ad un matrimonio. La scarpa bicolore, essendo un capo abbastanza estremo, va evitata nelle occasioni di lavoro, ma secondo la sicurezza ed estrosità del personaggio potrà essere indossata con profitto in varie occasioni. Splendida l'idea dell'abbinamento alla canapa, anch'essa però introvabile. Ho visto qualche anno fa un signore, di quelli che passano giornate intere in sartoria, portare al sarto un tessuto molto simile. Gli chiesi dove lo aveva reperito e lui me lo disse, aggiungendo. Aggiunse però che vedendolo in pezza non lo avrei riconosciuto. Infatti il suo taglio (in cotone) aveva subito una sorta di processo di "frollatura". Egli l'aveva lasciato in acqua per molti giorni, sin quasi a muffire. Il risultato - non voluto quanto eccezionale - era quello di un tessuto tenace ed irregolare, rustico e matto come la vecchia canapa. Un colpo di genio e di fortuna difficilmente ripetibile, ma che va ricordato come esempio di iniziativa. In conclusione vorrei enunciare una formula magistrale di valutazione di opportunità. Se avete indossato un capo appariscente come una spectatore e siete in dubbio sulla validità della scelta, ascoltate bene gli amici e le amiche. Non badate ai suggerimenti e complimenti, ma solo a determinati accenti. Se qualche ragazza vi dirà "che carine queste scarpe", utilizzando proprio quella parola: "carine", non vi resta che lucidarle, infilarvi i tendiscarpa e riporle per altri dieci anni. Non è quello l'effetto cui sono destinate. Se gli amici taceranno completamente, se anche gli incontri occasionali eviteranno commenti, ritenendo superfluo ogni riferimento, siete perfettamente a posto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2002 Cod. di rif: 130 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al signor Larini ed altri interessati Commenti: Gentilissimo signor Larini, mi rivolgo tramite Lei a tutti coloro che siano interessati ad un'immersione profonda nella cultura dei tessuti nobili e della vera sartoria napoletana. Sto andando avanti per la messa a punto di una giornata bolognese da celebrarsi con il maestro Marigliano ed il grandissimo Dante De Paz, nostro socio più volte meritatamente citato come uno dei più accreditati esperti di tessuti e di abbigliamento maschile classico. Sarò presente anch'io a questo avvenimento, sto predisponendo i dettagli e le date e pubblicherò tutto al più presto. Penso che ci vderemo a Febbraio, ma risponderò a breve alle Sue legittime domande. La ringrazio per l'interessamento e La saluto cavallerescamente ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-12-2002 Cod. di rif: 132 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Marinella a Milano Commenti: Indomito Scudiero Villa, leggo della Sua visita a Marinella in quel di Milano. Poiché l'istituzione di questo nuovo fondaco di cultura napoletana è recente, Le domando innanzitutto se si sia fatto riconoscere come nostro Socio e, se sì, quali siano state l'accoglienza e le condizioni tributateLe come membro del Cavalleresco Ordine. Quanto ai tessuti, Marinella vende drapperia anche a Napoli. Poiché la ditta serve molti uomini che vestono su misura, si compiace di poter fornire loro anche qualche taglio selezionato. Recentemente avevo dato l'annuncio di un esperimento che Maurizio aveva varato per quei suoi clienti desiderosi di vestire una giacca napoletana senza recarsi nel nostro golfo. L'iniziativa fu accolta con molto successo di pubblico e di ordinazioni, ma per motivi diplomatici e di immagine la cosa non si ripeterà in modo regolare o forse non si ripetetrà affatto. Del resto ricorderà che anche un nostro corrispondente di queste lavagne dichiarava un certo sospetto nei confronti dell'episodio. E' difficile credere che qualcuno ospiti un sarto senza voler fare lo stilista, solo per favorire la propria clientela. Dando per scontato che tutti i commercianti siano uguali, il che invero è comprensibile, la grandezza morale del Marinella uomo ed imprenditore resta incompresa per quanti non abbiano l'occasione di toccarla con mano. Questa ennesima dimostrazione resterà quindi presumibilmente un fenomeno isolato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-12-2002 Cod. di rif: 134 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti a Milano, ma dai prezzi umani. Commenti: Gentili frequentatori di queste lavagne, Soci e simpatizzanti, mi rivolgo alla Vostra scienza ed esperienza per dare una mano al corrispondente che mi scrive privatamente e di cui pubblico parte della missiva in questa pagina color flanella. "Egregio Gran Maestro, Mi vedo costretto ad importunarla per fare appello alla sua esperienza in fatto di eleganza ed abbigliamento maschile. Ho di recente deciso di rinnovare il mio guardaroba e con l'occasione intendo accostarmi al mondo dell'abito su misura. Confesso comunque che si tratta per me di un primo approccio. Come da mia abitudine, mi sto documentando sui vari modi di valutare la qualita' di un capo artigianale leggendo quanto piu' possibile sull'argomento. Il mio problema fondamentale resta pero' quello di individuare qui a Milano un sarto che sia in grado di confezionare un abito di buona qualita' ad un prezzo ragionevole. Mi rincuoro al pensiero che se anche dovesse respingere la mia richiesta lo fara' col garbo che la contraddistingue. Cordiali saluti, Filippo Loretoni --------------------- filippo@clab.it filippo@cyberspace.org" Ebbene, vogliamo lasciare quest'amico senza un sostegno? Ho risposto su Bologna e su Piacenza, finanche su Torino. A Milano, però, non saprei che indicare manifatture di sicuro effetto, ma dai costi elevati. Questo non risponderebbe alla specifica richiesta del signor Loretoni, che cerca qualcosa dai prezzi umani. In attesa che (a Febbraio, data che verrà comunicata anche qui in Lavagna) si lanci il discorso di una presenza a Bologna, presso il nostro Socio De Paz, di un sarto napoletano a prezzi "calmierati", domande come questa mi lasciano senza una risposta. Confido che qualcuno di Voi sia in possesso di qualche indirizzo papabile, dove anche il Gran Maestro non sia arrivato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-12-2002 Cod. di rif: 136 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Progetto bolognese Commenti: Egregio signor Larini, la difesa dell'artigianato e della personalizzazione è una delle nostre attività statutarie. E' solo in ossequio ai nostri princìpi e senza alcuno scopo di lucro che il Cavalleresco Ordine intende impegnarsi in questa "mediazione" e nella creazione di un fondaco bolognese di cultura sartoriale napoletana. La posizione baricentrica di Bologna permetterebbe a parecchi appassionati residenti al nord di accedere ai servigi di un maestro partenpopeo senza doversi spostare troppo. Quanto alla limitazione dei prezzi, mi riferisco alla differenza che credo potrebbe offrire questo sistema rispetto agli elevati standard di costi della sartoria milanese e di buona parte di quella delle altre città. Come vede dalle domande di altri soci, il problema del prezzo esiste ed anch'io non saprei cosa consigliare ad un milanese che voglia vestire su misura a costi ragionevoli. In soldoni, un abito di qualità costa a Milano intorno ai 2.500,00 Euro, mentre secondo i miei calcoli, sui quali non posso ancora fornire certezze sino a che il tutto non sia approvato dalle "parti", potremo ridurre questi costi intorno alla metà. La cosa che più di tutte motiva l'intervento del Cavalleresco Ordine non è tanto o non solo quella di offrire bellezza ad un prezzo ragionevole, ma soprattutto l'occasione di creare un centro di approfondimento della cultura del bel vestire, basato da un lato sulla tradizione napoletana - rappresentata da un maestro nato e formato a Napoli - e dall'altro sulla competenza e sulla capacità stilistica del nostro Fondatore Dante De Paz. Come a dire, il meglio della manifattura sul meglio dei tessuti, combinato con il piacere di poter approfondire realmente il linguaggio dell'una e degli altri. Se la cosa dovesse avere successo e risultare gratificante per tutti, potrebbe anche durare come un appuntamento ciclico. Vedremo presto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-12-2002 Cod. di rif: 138 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cambio e ricambio Commenti: Egregio Signor Ranieri, avendo Lei scorso interamente il contenuto di questa lavagna, si sarà reso conto che la mia posizione riconosce tutti i meriti di quello che io chiamo il su-ordinazione. Esso però ama distinguersi nettamente dalla confezione, ma allo stesso modo tende capziosamente a confondersi con il vero su-misura. Quanto al futuro dell'artigianato sartoriale mi sono già lanciato in un lungo carteggio con il signor Villa in qualcosa di molto simila alla divinazione. Sulla spinta della Sua, risponderò aggiungendo qualche altro argomento. Infatti Lei suggerisce un problema non ancora emeso prima: quello del ricambio generazionale. Chiedo scusa, ma non potrò rispondere immediatamente. La cosa richiede molto tempo e purtroppo mi trovo nascosto nella segreteria del circolo, mentre mi aspettano a tavola per la cena spociale degli auguri. Non potevo mancare come Gran Maestro al mio dovere di una visitina al sito, atteso che mi trovavo da un paio di giorni in trasferta, ma allo stesso modo non posso mancare ai miei doveri di Socio nei confronti del mio Club (il Savoia). Le chiedo, qualora intervenga nuovamente, di pubblicare tutti i dati nella scheda. Vedo infatti che manca il Suo indirizzo di posta elettronica. Porterò questa conversazione nello spazio di Posta del Gran Maestro, dove potrà leggere la risposta successiva e più esauriente. Cavallerescamente Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-01-2003 Cod. di rif: 140 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Milano. Prezzi alti, ma attenti ai pregiudizi. Commenti: Egregio signor Decandia, da una Sua mail privata vedo che ha letto nei Taccuini di viaggio di questa porta la recensione che riportiamo sui fratelli Cravedi, i Suoi sarti. Nel Florilegio è riportato un articolo su un Maestro varesino,Egidio Lucchini. Il suo laboratorio non è lontano da Milano, ma anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un artigiano anziano e dalla incerta successione. Parliamoci chiaro, il problema per l'appassionato milanese che economicamente o psicologicamente non possa o non voglia concedersi Caraceni, Rubinacci o altri sommi sacerdoti, resta. Questo non deve creare un preconcetto contro il lavoro di questi laboratori, che hanno il merito di proseguire nella tradizione dell'alta sartoria. E' ovvio che il mondo della sartoria si è tanto ristretto che in questo momento in cui la domanda è tornata ad aumentare ci si accorge che - proprio nelle aree dove essa si era molto ridimensionata - sono rimasti in piedi solo i mostri sacri. D'altro canto, quando dovessero essere sorpassati i motori a benzina e gasolio, la Morgan che produce cinquecento automobili costose sopravviverà probabilmente alla Daewoo che ne produce venti milioni a buon mercato (cito cifre a caso). Esiste anche un fenomeno lobbistico, per cui in un mercato dominato da una certa casta diventa difficile impiantare un servizio ad alta qualità e basso costo. Maurizio Marinella aveva provato a chiamare per i suoi clienti un maestro napoletano, ma l'operazione è dovuta rientrare. Da un lato alcuni vi vedevano uno sconfinamento blasfemo in aree non di competenza dell'antica ditta napoletana e non la risposta dell'immenso Maurizio alla domanda che, vista così pressante in queste pagine, dobbiamo immaginare amplificata per cinquecento alle orecchie di una persona che frequenta quotidianamente questo mondo. Dall'altro i prezzi estremamente ridotti rispetto a quelli correnti in città (circa la metà)determinarono un successo clamoroso dell'iniziativa, il che ha attirato le critiche dei maestri cittadini. Insomma tutti scontenti. Perché le cose buone non sono, solo perché tali, comprensibili sempre ed a tutti. Ricordo che anche in questa Lavagna un nostro corrispondente si credeva lungimirante censore del Vero criticando l'operazione promossa da Maurizio. Purtroppo per molti è difficile concepire l'azione dei Grandi, coloro che sono capaci di agire ad alto livello anche senza alcuno scopo di lucro. In ogni caso, forse in un futuro non lontano, riproporremo a Milano il ciclo dei Laboratori d'Eleganza tenutosi a Napoli (si possono scorrere le recensioni e gli inviti-proclama alla pagina Eventi di questo sito). In tale occasione, cercheremo come Cavalleresco Ordine di offrire un bis e ne daremo comunicazione preventiva qui al castello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-01-2003 Cod. di rif: 142 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori ed Arte Commenti: Egregio signor Decandia, lodo senza riserve la Sua iniziativa, la Sua fedeltà alla sartoria e la ricerca che ha dimostrato di compiere nel campo. Quanto all'arte, anche il Maestro Savarese, straordinario artigiano napoletano ultraottuagenario che serve ormai pochissimi clienti-amici e il cui giro manica è l'ultimo al mondo a rispettare i canoni degli anni d'oro partenopei (stretto, stretto, ma cosa dico? Strettissimo) è un gran collezionista d'arte e nella sua casa-laboratorio i quadri sono appesi fino al soffitto. Sinceramente vedo però dei rischi pratici in questa sinestesia, peraltro corretta in linea teorica. I Laboratori sono un momento di coscienza che vogliono offrire un contesto omogeneo e possibilità di vero approfondimento dei temi selezionati. Vi sono sempre ospiti, come ad esmpio l'ombrello, la cioccolata o altre manifestazioni sensibili del Gusto, ma sempre in campi in cui il nostro magistero sia conclamato. Purtroppo nelle arti figurative non è ancora così e anticipando i tempi rischieremmo di sconfinare nel terreno del nostro principale nemico: l'approssimazione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-01-2003 Cod. di rif: 143 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Su-misura a Torino Commenti: Qualche tempo fa da questa lavagna si levava una domanda: dove vestire su-misura a Torino? Abbiamo già dato in merito qualche indicazione, ma una risposta più elaborata ce la fornisce il nostro Socio Luca Peroglio, torinese. Ecco la sua selezione di indirizzi: 1 - Pasquale Maugeri - Via Micca, 9 - Torino - 011.530032 2 - Sartoria Amenta - Via Bertola, 2 - Torino - 011.5620670 3 - Sartoria Tricase - Via Avogadro, 9 - Torino - 011.5621821 Il signor Peroglio raccomanda all'attenzione anche il mercante di tessuti e di abbigliamento maschile pronto dove egli si fornisce: - Jack Emerson - Via C. Battisti, 1 - 011.5621960 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-01-2003 Cod. di rif: 145 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Semi-artigianale (al signor Decandia) Commenti: Ho visitato il sito della ditta Minori, che come altre si appropria del termine "sartoria" senza esserlo. Il titolo di sarto e la dicitura "sartoria" sono spacciati con estrema disinvoltura. Su questo tema invoco sempre l'aiuto dei Visitatori, perché ci segnalino esempi di millantata artigianalità. La ditta Minori ha dato solo l'avvio a questo discorso ed è comunque corretta, se non nella ragione sociale almeno nel sito, dove dichiara di lavorare con sistemi semi-artigianali. Cosa significhi semi-artigianale resta un mistero che i miei modesti mezzi culturali non sanno svelare. Deve trattarsi del tipo di prodotto pensato per il semi-uomo che abbia un semi-gusto e desideri un semi-abito adatto alle sue semi-possibilità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-01-2003 Cod. di rif: 147 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Metafisica dell'angolo, con postilla sui bottoni Commenti: Egregio Villa, vedo che si interessa seriamente ai problemi stilistici, andando a cogliere parti poco discusse della costruzione della giacca. La risposta che darò si basa su osservazioni di molti capi e uomini di alto lignaggio. Parte da molto lontano, ma è allo stato la più completa che si possa dare da un punto di vista dei linguaggi nascosti del vestire maschile. Resta opinabile, in quanto fondata in modo particolare sulla cultura inglese e napoletana. La cucitura tra collo e bavero traccia la linea lungo la quale continua poi la base dello spacchetto triangolare detto cran. La posizione e l'orientamento di quest'ultimo sono fondamentali nell'espressività del capo e sono ovviamente collegati all'angolazione della cucitura di cui lei dice, quella tra collo e bavero. Detto angolo, sia detto per chiarezza di altri lettori, è quello che la detta cucitura forma con il bavero stesso. Negli anni settanta la moda del due bottoni e l'avvento di uno stilismo che intendeva passare sotto silenzio l'aspirazione virile alla compostezza e - diciamolo - ad un ideale spirituale di tensione ed elevazione, abbassò i due punti cardine della giacca: il punto vita e quello del cran. Una vita alta, diciamo all'altezza del secondo bottone dei tre naturali o un cicinino più sopra, quindi circa al 50-51% dell'altezza complessiva del capo partendo dal basso, disegna i volumi della giacca, conferendole una costruzione architettonicamente molto significativa. In un tempio greco il timpano è molto meno alto delle colonne e di quadratura inferiore all'area compresa tra base ed altezza del peristilio. Mi piace vedere una similitudine tra il triangolo del timpano e il trapezio del tronco maschile, che un punto vita alto evidenzia e proporziona nel modo più corretto. Questi canoni estetici classici, immutabili ed indiscutibili, vanno rispettati anche nella costruzione generale della figura maschile. In quest'ultima le colonne sono rappresentate dai pantaloni e dalla loro continuazione nell'"opera morta" della giacca, quella appunto al di sotto del punto vita. Alzando querst'ultimo al livello che ho detto, le proporzioni sviluppano un'immagine longilinea del fisico e conferiscono un'idea allo stesso tempo di solidità fisica e di tensione morale. Non pretendo che tutti siano d'accordo con me, ma immagino che ognuno, fermandosi a guardare un abito, sia in grado di avvertire queste voci segrete, anche se magari non ne individua l'origine. Torniamo a bomba. Atteso che è sommamente opportuno tenere alto il punto vita (su questo possiamo tornare, perché il punto vita a parte l'altezza ha altre caratteristiche: può essere lungo o corto, secco o sfumato, dobbiamo anche notare come esso porti con sè in alkto o in basso anche la posizione del cran. Orbene, io affermo che la bisettrice di quest'ultimo deve andare idealmente a toccare l'attaccatura della spalla alla manica o tagliare quest'ultima poco più in basso. Poiché il cran non deve mai essere più aperto di un angolo retto e poiché la base di quest'angolo è determinata dalla cucitura in questione, si deve concludere che questa deve essere non troppo acuta, in modo da avviare una base di un angolo cran che guardi quel pochino verso l'alto che gli permetta di "vedere" quel punto che dicevo. Un cran che guarda verso il basso, così come uno che sbadigli aprendosi oltre i 90°, da un'idea troppo "addormentata", appesa, ammissibile nella vestaglia o nel cappotto. Alcuni sarti utilizzano un piccolo trucchetto per conservare questo sguardo elevato del cran, senza ricorrere ad una cucitura collo-bavero troppo aperta d'angolo: disegnano la base del cran non come continuazione esatta della cucitura, ma tagliandolo leggermente verso l'alto. Si tratta a mio avviso di un sistema lecito e dall'effetto corretto. Esso dipende dal fatto che una cucitura tra collo e bavero troppo perpendicolare a quest'ultimo esercita una tensione sul dritto filo e non sul traverso di quest'ultimo e col tempo - non molto - può tirarlo su e determinare quell'antipatico effetto del quarto anteriore che si arrotola sul lembo e non mostra da un lato il primo bottone e dall'altro la prima asola (effetto tre-stirato-a-due a parte). In conclusione, dopo averne esaminato cause ed effetti, concordo con Lei su un angolo abbastanza aperto tra bavero e sua cucitura. Quanto ai bottoni, i sarti sono innamorati del corozo perché il corno è costoso e poco reperibile, sicché un suo assortimento è difficile e oneroso. Io sono per il corno naturale su tutti gli spezzati ed anche su moltissimi completi. Peraltro il corozo mi sembra abbia perso una delle sue più belle caratteristiche: quella di scolorirsi. Una volta le giacche bleu di annata mostravano spesso dei bottoni un pò chiari, che mostravano una data di nascita dell'abito piuttosto remota. Non riscontro più questo fenomeno, ma non so bene se dipenda dall'età media più ridotta delle giacche circolanti o dalla scoperta di tinture più efficaci e durature, forse troppo. Poiché faccio quest'osservazione proprio mentre la scrivo, non ho raccolto sufficiente materiale ed informazioni su essa. Ne chieda a qualche sarto ed io farò lo stesso ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-01-2003 Cod. di rif: 149 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chiarimenti et approfondimenti Commenti: Egregio Villa, rileggendo il mio brano ne lamento con me stesso una mancata politura, il che, insieme alla complessità di una descrizione non supportata da immagini, rende il mio elaborato un pò ostico. Se ci sono ripetizioni, non vi è però errore, in quanto l'angolo del quale Lei parlava è quello della forbice che si apre tra la cucitura collo-bavero ed il bavero stesso. Questo angolo è sempre inferiore o pari ai 90° e determina, continuando nella parte più ampia del bavero,il lato inferiore dell'angolo del cran. Quanto al commento del maestro sarto, è ovvio che un'attaccatura alta del colletto al bavero, cagionando nel primo un'inclinazione estrema del tessuto, impedisce un coordinamento delle linee nei gessati. Non ritengo che questo sia un errore, soprattutto se scientemente si è operato per conferire linea alla parte alta della giacca. Intendiamoci, questo è un modo "drammatico", cioè intenso e teatrale di vedere il capospalla. Un sistema critico che privilegia i criteri espressivi sulla pura compostezza. In quest'ottica si è sempre lavorato a Napoli e nel passato anche in Inghilterra. A Londra mi sembra che l'inventiva degli anni trenta si sia trasformata in compilazione ripetitiva e l'espressività sia stata ormai demandata solo ai tessuti, non essendovi talenti e operai in grado di supportare una produzione artigianale all'altezza della storia inglese, mentre da noi si può effettivamente scegliere un sarto anche in base all'effetto che i suoi abiti tendono a generare ed anzi manovrare le sue "manopole" per mettere a punto qualcosa di veramente personale. La Sartoria che io definisco Internazionale, che è più o meno uguale a Parigi, Milano e Roma, si preoccupa meno del vigore comunicativo della giacca e si interessa che essa generi un'impressione di compostezza, che sia estremamente duratura come linea e come costruzione e che utilizzi il meglio in fatto di interni, foderami e tessuti. E' in questo tipo di sartoria che nascono i princìpi cui il Suo conoscente faceva riferimento. Non sono sbagliati, ma sottintendono una clientela diversa da quella che vuole identificarsi molto profondamente nel vestito. Non ne faccio una questione di gerarchie. Un abito di Caraceni è ammirevole quanto uno di Rubinacci, anche se è stato poi il vivaio napoletano a generare i veri Geni, i mostri sacri al livello di un Vincenzo Attolini o di un Antonio Schiraldi (che Dio li abbia in gloria). La sartoria "Internazionale" ha comunque dominato il mondo da sempre ed in particolare dalla decadenza di quella londinese fino all'ascesa di quella napoletana. Non sappiamo se questo successo, che ora è ad un livello di apoteosi, sarà durevole. La guida dello stile napoletano è stata assunta con un incruento colpo di stato dai creatori di su-ordinazione, sottraendolo ai legittimi eredi che ne erano gli artigiani del su-misura. Come le migliori linee internazionali vennero saccheggiate dalla confezione già molto tempo fa, così i finti artigiani saccheggiano ora quelle del puro artigianato partenopeo. La velocità con cui l'industria brucia ogni cosa, miti compresi, non depone a favore di una lunga durata del fenomeno, ancorché oggi non si vedano alternative. In ogni caso mi sembra che la parabola che si accingano a compiere i vari Kiton & Co. sia quella già compiuta dagli stilisti. Decadenza compresa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-01-2003 Cod. di rif: 151 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Malinteso chiarito Commenti: Evidentemente si parlava di due cose vicinissime, ma diverse. Riporto la sua frase iniziale: "mi sono trovato a discutere con un sarto sul corretto angolo tra collo e bavero di una giacca". Poiché collo e bavero non si incontrano nel cran, ma in una cucitura, da questa frase ho capito che l'angolo che la interessava fosse quello di questa cucitura tra angolo e bavero. Essa traccia un segmento che con il bavero stesso (il lembo interno, capiamoci) crea un angolo piuttosto importante nell'economia estetica e determinante in quella costruttiva. Era su quest'ultimo che io appuntavo la mia attenzione. Non so i lettori terzi cosa abbiano capito di questa discussione, ma spero che adesso essa si sia incanalata su un binario che porti da qualche parte. Quanto all'angolo di cui il vbran deve aprirsi, in qualche parte ho già dato per scontato che ritengo debba approssimarsi ai 90° o raggiungerli, mai superarli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-01-2003 Cod. di rif: 155 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Conte di Perth Commenti: Ho passato il fine settimana sul Cervino, in Svizzera, dove la Wyler Vetta mi aveva invitato a parlare del concetto di Lusso in un convegno della società in vista del Salone di Basilea. L'albergo dove si svolgevano i lavori, il Riffelalp di Zermatt, era decisamente lussuoso in ogni dettaglio, ma aveva dei computer troppo lenti. Abituato alla mia stazione ADSL, mi sembrava che il macchinario stesse per tirare le cuoia ad ogni clic, sicché ho lasciato la frequentazione del sito per qualche giorno. Trovo ora nella Lavagna dell'Abbigliamento un paio di quesiti del signor Rizzoli ed una dichiarazione dello Scudiero Villa, cui mi affretto a replicare. 1 - La forma di espressione più completa e complessa è quella del capo spalla e subito dopo della scarpa. Però tutto ciò che tocchiamo ed indossiamo, potendo essere ricondotto ad una nostra scelta, ci descrive in modo più o meno eloquente: gli occhiali, l’orologio, l’automobile, la nostra donna e senz’altro la maglieria. I colori, i materiali e le forme dicono moltissimo. Lo dimostrerò alla fine di Febbraio su MONSIEUR, affidandomi tra l'altro ad una foto del 75° Conte di Perth. Questo Signore dalla tripla esse, sconosciuto, indossava nell’occasione un vecchio gilet smagliato. Io sono restato intere ore ad osservare quest’immagine, che apparve su Class nel 1991. A voi basterà un attimo per cogliere nella scelta del colore e del materiale, nel perseverare nell’indossare il proprio vecchio gilet, nelle perfette poroprorzioni del capo di maglieria rispetto al contesto, tutta la straordinaria forza espressiva di un capo giusto nella situazione giusta. Tra gli altri linguaggi vi sono quelli delle fogge e quelli del colore, di cui si può fare qualche esempio. Una treccia suggerisce un'idea di brughiera, di aria aperta fredda e umida, di virile isolamento, di sensibilità alla natura. Una lana rasata e lucida è cittadina e formale, professionale. Lo scollo circolare con collo sbottonato è dell'uomo pronto in ogni momento, quello a V del riflessivo. Il blu suggerisce una barca, il giallo un cane ed un fucile, il salmone un atteggiamento sempre a la page, il rosa è del romantico seduttore, il celeste del tradizionalista affidabile etc. Quanto all'articolo che accompagnerà la foto del Conte e molte altre, si tratta di un diluvio biblico di 36.000 battute, lungo le quali introdurrò il lettore alla storia ed alla psicologia del vestire. Si inaugura così un ciclo dove ritroverete alcuni concetti espressi per la prima volta proprio su queste Lavagne, che sono ormai la mia palestra quotidiana. 2 – Per comprendere la differenza tra un punto vita lungo ed uno corto, immaginiamo nel primo caso il profilo di un rocchetto e nel secondo quello di una clessidra. La parte dove il diametro è al minimo è estesa nel primo caso e ridottissima nel secondo. Se poi la riduzione di diametro viene introdotta per così dire da uno scalino, avremo un effetto brusco. Se si tratta di un piano inclinato dolce, parleremo di un punto vita sfumato. 3 - Io praticamente non possiedo maglieria. Non avendo un laboratorio che me la confezioni su misura, preferisco rinunciare. I pullover in commercio sono sempre lunghi e schiacciano la parte ampia dei pantaloni. In genere le V dei colli sono troppo lunghe e così le maniche. Chiedo quindi al buon Villa, che pare saperla lunga, di indicarmi qualche laboratorio ad hoc (anche più d’uno, perché la mia sete di conoscenza è inestinguibile). Mi servivo una diecina di anni fa da una signora romana, che da tempo ha cessato l’attività. Ora ho cambiato taglia e quei capi non posso indossarli, ma non cedo di un millimetro alle lusinghe della confezione: ho accettato il mio destino e sono andato questi giorni sulla neve a –10° senza un solo maglione. Un vero tour de force. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-01-2003 Cod. di rif: 159 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Grande Forni Commenti: Dio mio, l'eleganza ed il trasporto, il non detto che preme al di sotto dell'espressione, la vastità degli spazi e dei tempi portata ad una visione onirica, fanno dell'intervento dell'Ing. Forni un capolavoro. Forse la cosa più bella che questa Lavagna abbia riportato. Non c'è nulla da aggiungere, perché la giusta miscela di conoscenza e sentimento, di memoria ed oblìo, è assolutamente esemplare. Di quello Sholte citato ben a proposito tra i "padri" inglesi e dell'importanza del suo "sodalizio" con Edoardo Principe di Galles, Re d'Inghilterra, Duca di Windsor e Imperatore del Gusto, si potrà leggere una mia rievocazione nel prossimo numero di MONSIEUR. Il brano di Forni ne anticipa e sintetizza molte parti, con una leggerezza sublime. Una penna ispirata. Grazie. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-02-2003 Cod. di rif: 164 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il drago Commenti: Egregio signor Rizzoli, corrispondenti tutti, il Suo timore di impegnarsi in una ricerca vana nella maglieria e nel resto, mi ispira alcune considerazioni. Il mondo conosce un'estensione in ogni campo della regola dell' "usa e getta". I fazzoletti di carta durano una sola volta, gli accendini e i rasoi qualche giorno, le giacche un anno e le auto tre. Snoopy la chiamava già trent'anni fa "Obsolescenza programmata". Ai tempi in cui schiacciavamo i nasi contro le vetrine in attesa del momento di un acquisto a lungo preparato, sarebbe stato impensabile proporre al pubblico una scarpa come quelle oggi diffuse: con un fondo incollato in materiali e forme che non sarà mai possibile sostituire. Già da tempo è difficile far risuolare una scarpa, ma lo status di oggetto deperibile è stato dichiarato quanto alla calzatura proprio da questi nuovi modelli. Il loro valore simbolico è pertanto da tenere in grande considerazionese, perché ci indica dove si nasconde il nostro nemico. Noi siamo spesso consideratio degli edonisti spendaccioni, ma il rifuggire dall'economia non è indice di capricciosa vanità e volubilità. Al contrario, noi sosteniamo i prodotti che per concetti, materiali e stile siano duraturi, perché la natura dell'Uomo e segnatamente quella maschile non era vocata per istinto al consumo, ma piuttosto al governo assennato dei beni. Lo sviluppo di una mentalità consumistica rappresenta una patologia che può essere combattuta solo mantenendo un certo numero di persone interessate all'estetica classica, al prodotto il cui valore sia intrinseco e non appiccicato dall'esterno con marchi, formule, advertising, ammiccamenti e testimonial. Ciò comporta il mantenimeto di una cultura, perché se la gratificazione del nulla oggi in commercio è offerta in parte dall'acquisto in sé stesso ed in parte dalla pressione iconografica che spinge ad un'identificazione sociale attraverso quel prodotto, a credere di aver bisogno di libertà ed originalità e paradossalmentee a convincersi che queste si trovino in una sola direzione, se l'oggetto di consumo dunque porta in sé stesso le motivazioni, l'oggetto di qualità trova la tensione alla scelta all'interno del cliente. Per questo essa, una volta nata, non muore facilmente. Orbene, il nostro castello ela nostra istituzione cerca per Statuto e per temperamento di mantenere ed anzi alimentare la conoscenza ed il gusto, affinché esse si traducano in mercato. Pertanto la ricerca di una maglia o di un lacciuo da scarpe, di un bottone o di un pellame, non va vista come una perdita di tempo, come un gesto nostalgico e nemmeno come una perversa strada di affermazione individuale. Di gesti come questi va vista l'influenza planetaria. Ogni volta che un uomo rifiuta un biccchiere di plastica o esige un determinato oggetto o comportamento, motivandolo e perseguendolo secondo un canone e non per capriccio, conficca una lancia nella carne del drago. Il suo nome è "tanto è lo stesso", ma si fa chiamare anche "non ho tempo" ed in alcune occasioni l'ho visto sotto i panni dimessi del signor "non ci tengo". Cavalieri, scudieri, visitatori, date prova del Vostro valore non cedendo alle sue lusinghe. Da soli saremmo impotenti contro la sua forza, ma se non possiamo batterlo, ciascuno non rinunciando alla propria coscienza profonda possiamo tenerlo a bada. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 03-02-2003 Cod. di rif: 165 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Sito dedicato alle calzature Commenti: Illustre Gran Maestro, cavalieri mai domi, intervengo nel fitto ed interessantissimo carteggio che nobilita queste lavagne per segnalare un sito web di assoluto interesse per tutti i gentiluomini amanti delle calzature di qualità. Si tratta di un sito in lingua francese e l’indirizzo è www.souliers.net . I contenuti sono a mio giudizio molto buoni, così come la qualità delle immagini. Interessante è anche la sezione dedicata ai link, laddove sono presenti collegamenti con alcuni siti giapponesi ricchi di immagini delle splendide collezioni Berluti e Lobb, meraviglie della cui vista non sono mai sazio. Unico neo la mancanza di ogni riferimento ai maestri Peron, bottega che ho prontamente segnalato agli autori. Per chi conosce i periodici francesi dedicati all’uomo si accorgerà che il sito riporta svariato materiale pubblicato dalla splendida rivista “Trépointes”. Riprendendo quanto saggiamente affermato dal nostro inarrivabile Gran Maestro nella Sua del 3/2, spesso siamo portati a sottovalutare se non a deridere quanto abbia origine transalpina, senza renderci conto di quanto l’uomo, il suo universo, la sua cultura e credo il bello in senso assoluto siano spesso stati maggiormente valorizzati e celebrati dai nostri “cugini”. Dobbiamo ringraziare Franz Botré e tutta la redazione di Monsieur se oggi abbiamo la possibilità di sfogliare un periodico maschile in italiano degno di tal nome, altrimenti saremmo ancora a vagare tra orribili riviste patinate ricche di pessime pubblicità e povere di contenuti. Il drago del cattivo gusto è un avversario davvero temibile, solo con la disciplina, la ricerca e l’aspirazione un moderno San Giorgio lo potrà sconfiggere, ma come si usa dire… l’unione cavalleresca fa la forza. Cavallereschi saluti Vostro scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-02-2003 Cod. di rif: 167 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Guerrieri Commenti: Scudiero Villa, Lei alza la sua spada e dichiara la Sua fede. Dal Suo grido, sappia chi La legge che il nostro è un sodalizio guerriero. Nessuna compiacenza o artifizio qui dove si crede. Numquam Servavi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-02-2003 Cod. di rif: 169 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Compiacenza ed Artifizio Commenti: Egregio signor Conforti, quanto al rullo di tamburi che chiudeva il mio ultimo "gesso" su questa Lavagna, ne traduco il significato. La Compiacenza è l'algoritmo del politically correct, che significa in italiano: se dico bene o male di X, dovrò essere tanto buono e giusto da dire altrettanto bene o male di Y. E' la morale di chi pone il compromesso come presupposto e non come eventualità. L'Artifizio è la presentazione di cose, persone e situazioni "come-si-vorrebbe-che-fossero" e non "come-sono". Orbene, credere fermamente in qualcosa impedisce sia il primo che il secondo atteggiamento. Mi consenta di notare che il concetto, espresso così per esteso, appare molto meno efficace. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-02-2003 Cod. di rif: 172 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sulla giacca napoletana Commenti: Egregio Cavaliere Conforti, già in altre occasioni ho toccato l'argomento che La interessa. Procedo ora, su Suo impulso, ad una disamina più accurata, che La terrà impegnata alcuni minuti. Come mai molti uomini tra i più esigenti amano vestire a Napoli? Perché un abito napoletano è così riconoscibile? La risposta alle due domande è la stessa: perché la Sartoria Napoletana è depositaria di un codice stilistico ben preciso. Ripetuto in modi diversi da diversi interpreti, esso risponde comunque ad una matrice unica, e perpetua una scuola la cui tradizione conferisce al prodotto un marchio così evidente da non aver bisogno di etichette. Quando però ci si domandasse, o si chiedesse al proprio stesso sarto, quali siano le caratteristiche che distinguono la Sartoria Napoletana, probabilmente non si giungerebbe ad un risultato univoco. Questo non perché si tratti di una definizione impossibile come per l’ amore o la poesia, ma in quanto il problema non è stato mai studiato storicamente e stilisticamente in modo organico. Spero di reperire un giorno i fondi per la costituzione di un Museo dell’ Eleganza Napoletana, che permetta l’ acquisto, la conservazione e lo studio di prodotti autentici dei migliori Maestri degli ultimi settant’ anni. Solo così sarebbe possibile dimostrare in modo scientifico l’unità della scuola napoletana, ricostruire filologicamente l’itinerario storico delle linee generali e dei singoli dettagli che la compongono. Purtroppo non c’ è molto tempo per raggiungere quest’ obiettivo. L’ opera di Attolini, Gallo, Blasi, Dinardi, Albino, Schiraldi e tanti altri, non trova alcun riconoscimento. Gioielli in cui sono incastonati sogni e miti di due generazioni, che hanno caratterizzato il cinema ed i rotocalchi dei padri e dei nonni sono ormai senza luce, e non hanno una voce che parli per loro. Opere per le quali potrei dare un braccio giacciono misconosciute, preda delle tarme, o vengono dismesse come doni alla servitù. Non hanno un mercato, né una valutazione. Se ne parla poco, e non si sa se e dove ce ne siano. Credo sia ancora possibile trovarne presso il guardaroba di antiche famiglie, ma l’impossibilità di attribuire loro un prezzo le rende invendibili. Occorre una motivazione morale per chiedere al figlio l’abito paterno, che per motivi morali viene ancora conservato. Senza un’ attenzione istituzionale, pubblica o privata che sia, si tratta di un patrimonio d’arte e di cultura che andrà presto completamente disperso e che forse troverà una sola persona a piangerne la fine. Prima che ciò accada, su questa storia mi vedrete ritornare. Il Gran Maestro non è tipo da mollare l’osso. Veniamo alla domanda del Cavaliere Conforti, dietro la quale vi sono molti altri che si pongono interrogativi simili. Se dovessimo riassumere in una sola parola la sartoria napoletana, non potremmo trovare altro codice che questo: SCIOLTEZZA. La costruzione di tutta la giacca è estremamente morbida. Grande attenzione si presta già nella prima fase di applicazione delle tele, che vengono tagliate leggermente di sbieco, sagomate con pinces e grande uso del ferro ed infine applicate ai “quarti” anteriori in modo da ottenere capacità interna senza che dall’ esterno il lavoro appaia troppo voluminoso. Le “forme di petto” sono così pronunciate da generare una piega verticale che attraversa da entrambe i lati la parte alta della gia. Si dice che la giacca napoletana è “spezata in petto”. Tutto ciò si traduce in comfort senza ingombrare con un’immagine di una superficie troppo ampia. Sono segreti poco noti, ma anche qualora vengano rivelati, sono inafferrabili per mani non coadiuvate da una tradizione e da una clientela del livello di quella napoletana. La concezione minimalista della Sartoria Napoletana elimina tutto ciò che è superfluo, e si concentra su un’ immagine di naturalezza conferita in sommo grado dai davanti che – come usano dire i nostri sarti – “corrono all’ indietro”. Essi tendono cioè ad aprirsi, allontanandosi gradualmente uno dall’ altro dall’ alto verso il basso. Ciò produce tra i due lati della giacca un angolo acuto col vertice in alto, effetto prodotto non dal taglio, ma solo dalla lavorazione. Tale caratteristica facilita i movimenti più naturali, come quello di portare le mani alla tasca, e contribuisce alla naturalezza del portamento. La giacca presenta in più punti drappeggi e pieghe verticali, che col tempo si accentuano: al petto, alle maniche, e, dietro, alla base della loro attaccatura. In questa rinuncia alla pulizia delle superfici è il segreto della comodità e della naturalezza. A parte questo discorso complessivo, la maggior parte delle cose notevoli della Sartoria Napoletana possono individuarsi nella parte alta della giacca: spalla, manica e bavero. La spalla giunge al suo punto naturale, dove si congiunge ad un giro manica molto stretto. L’ampiezza della parte alta della manica “a uovo” comporta, per entrare nel giro quasi circolare e ridotto al minimo nelle dimensioni, un lavoro di ferro ed ago ed una certa “lentezza” che si traduce in pieghe verticali. E’ la cosiddetta “manica a mappina”. Il “cran”, cioè lo spacco a triangolo tra collo e bavero, si trova molto in alto. La linea piuttosto lunga che in questo modo va ad assumere la cucitura, comporta un certo virtuosismo nel compromesso tra tensioni e lentezze. Essa infatti sostiene la parte bassa del bavero e ne influenza la linea. Se la giunzione collo-bavero è troppo tesa, i baveri si arrotolano ribelli come una pergamena, nascondendo bottoni ed asole sino alla seconda. Se è troppo lenta, il tre bottoni finisce per chiudersi un po’ troppo alto alla gola, ed il collo per appiattirsi senza risalire. Il bavero è ripiegato con una curvatura modellata, che si disperde armoniosamente nella prolungata “coda di topo”. Poiché un dettaglio di questo tipo richiede una preziosa impuntura ed un gran lavoro di stiratura, che può durare delle ore, è assolutamente impensabile far stirare una giacca di questo tipo col mangano della tintoria o dalla cameriera. Solo il sarto ha diritto di pronunciare il verbo stirare, quando esso si riferisce ad una giacca. Alcuni anni fa ho dovuto dismettere uno smoking alle sue prime uscite, su cui si era posato il volenteroso ma sacrilego ferro della domestica. Ritorniamo alla parte più caratteristica: la spalla. Essa appoggia morbidamente in ogni punto. Risale alta – ma non troppo – al collo, e scende vertiginosamente verso l’ estremità che la congiunge alla manica. Non è rettificata e non è alzata o allungata da alcuna imbottitura. Nulla la sostiene che non sia offerto dalla stessa struttura ossea dell’ uomo. Per ottenere il miglior effetto, essa deve essere costruita veramente a misura, sia in conformazione che in lunghezza. Quando una grande giacca napoletana è poggiata negligentemente su un tavolo, all’ altezza della spalla si nota una torsione elicoidale verso l’ alto, che riscatta la morbidezza dell’ insieme rivelando l’immenso lavoro che l’ ha determinata. Quella forma che vedete è la proiezione cartografica di una spalla umana. Un’ opera di ingegno e di “craftmanship” unica. Il punto vita è profondo, ma sfumato. Si distingue perché comincia piuttosto in alto e viene disperso intorno all’ altezza naturale. La media ponderata è quindi un po’ più in alto di quella naturale, e nei prodotti migliori non si trova mai al di sotto del secondo dei tre bottoni. Questo dispositivo, mutuato dall’ antica sartoria inglese, arreca grande giovamento alla figura maschile, soprattutto se coniugato con una vita alta anche ai pantaloni. La parte anteriore appare più lunga di quella posteriore, proprio per quella tendenza a “correre dietro” ed a scivolare. Anche prescindendo dalla linea, la giacca napoletana ha nei dettagli costruttivi e decorativi dei caratteri distintivi tipici: La pince lunga anteriore. Quasi sempre la pince più lunga non è quella posteriore, ma quella anteriore. Essa giunge sino alla base, mentre la posteriore termina nella tasca. Le doppie impunture. Vezzo esclusivamente estetico, nato e coltivato a Napoli. Soprattutto le giacche spezzate e gli abiti sportivi recano una doppia collana di “mezzi punti” in seta dello stesso colore, ma più scura del tessuto. Un must sul lino e sul cotone chiaro. Bavero largo. Se a New York, Londra e Milano si porta da otto centimetri, contemporaneamente a Napoli il bavero sarà mediamente da otto e mezzo. E così via. Questo vezzo ha generato una sorta di sartoria caricaturale, sia qui a Napoli che altrove. Si vedono baveri larghi come piazze, colli di camicia e di giacca alti come torri. Evitate come la peste ogni esagerazione, per non finire nel ridicolo. La tromba di manica. Abbiamo già descritto la parte alta della manica, larga per un giro piccolo. Vista in posizione statica, la manica è sagomata in modo piuttosto deciso: nella parte alta è larga e si chiude a cono verso il basso. Una giacca napoletana ha il diametro al polso piuttosto contenuto e va portata corta, come i pantaloni. Anche qui non bisogna esagerare come fanno alcuni, che finiscono per assomigliare a personaggi delle comiche mute. Vista in movimento, la meccanica di questo capo rivela tutta la sua poesia. Collo, bavero, spalla e manica vivono in sintesi armonica, ma allo stesso tempo hanno una completa autonomia. Davanti allo specchio, facendo ondeggiare un braccio, nulla se non la manica entra in movimento. Il giro stretto permette con facilità qualsiasi gesto, anche la guida automobilistica. Quando l’uomo si siede, si siede anche la giacca. Su tutto questo e sul parallelo con le altre costruzioni (che ritengo essere la giacca Internazionale e quella Londinese), leggerete qualcosa sul prossimo numero di MONSIEUR. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-02-2003 Cod. di rif: 173 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori d'Eleganza - Sartoria napoletana a Bologna Commenti: Cavalieri, frequentatori del castello, ricorderete che con un "gesso" del 13.12.2002 avevo promesso da questa lavagna che avremmo avvicinato la vera e grande sartoria napoletana al nord del paese. Ebbene, il momento è giunto. Uno dei Maestri che interpretano al meglio lo stile partnopeo ha accettato di lavorare al nostro fianco in un'avventura senza precedenti. Riprenderà con lui un nuovo ciclo dei "Laboratori d'Eleganza", in collaborazione con il geniale esperto di tessuti Dante De Paz. Gli incontri avranno inizio il 12 Marzo prossimo dalle ore 09.30 alle 17.30 presso il negozio della famiglia De Paz in Bologna, Via Ugo Bassi n. 4/D (tel. 051231354), che in quella giornata non osserverà la chiusura pomeridiana per meglio pemettere agli appassionati che interverranno di confrontarsi e dialogare sulla sartoria e sui tessuti. Il ciclo proseguirà con appuntamenti bimestrali, orientativamente ogni secondo mercoledì dei mesi dispari. In tal modo coloro che avranno ordinato un capo potranno trovarlo pronto per la prova ed altri aggiungersi. Non si tratta di un appuntamento commerciale: in primo luogo nè l'associazione nè il signor De Paz effettueranno alcun ricarico. In secondo luogo, saranno attesi e benvenuti anche coloro che non intendano farsi confezionare alcunché, ma solo migliorare la propria conoscenza dell'arte e della scienza del vestire classico e dei suoi materiali. A questi appuntamenti verrà prestissimo dedicata una finestra apposita nella notra area "Eventi", dove verranno man mano pubblicate le date degli appuntamenti successivi al primo. Sapete che i sarti non amano fare preventivi o pubblicare le loro tariffe. In questo caso, trattandosi di un'iniziativa a scopo culturale, nata nell'ambito del nostro lavoro per la conoscenza e l'artigianato, si farà eccezione a questa regola. La chiarezza innanzitutto. Il costo della manifattura per un abito completo sarà di 1000,00 Euro, qualunque sia la stoffa selezionata, che verrà pagata a parte e sulla quale Dante De Paz ha promesso di avere comunque la mano più leggera possibile. Egli è Fornitore dell'Ordine, ma tratterà in questa occasione anche i non Soci con lo stesso metro. Speriamo che quest'attività incontri il favore di quei pochi - ma forse non tanto pochi - che amano il su-misura e la qualità suprema. Sul Maestro Solito potete leggere la scheda presente nel nostro Portico dei Maestri, ma su di lui abbiamo pubblicato anche qualcosa nellambito di quella galòleria di luoghi e personaggi napoletani dal titolo "Loro di Napoli" che figura nella nostra Rassegna Strampa. Nei primi appuntamenti sarò presente anch'io, ma stiamo cercando di ottenere la presenza anche di un altro Vate dell'artigianato, anzi due: Bruno Peron e suo figlio Simone, calzolai tra i più bravi e famosi al mondo. Per chi ami l'abbigliamento virile, c'è da leccarsi i baffi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-02-2003 Cod. di rif: 175 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori e scopi Commenti: Egregio signor Rizzoli, i Laboratori rappresentano un'opera umanitaria per la salvaguardia delle differenze e della tradizione maschile, cioè dei principali oggetti sui quali come C.O. lavoriamo. Sono sempre stati gratuiti ed aperti a tutti gli appassionati, gravando tutti i costi sull'associazione. Cavallerescamente G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-02-2003 Cod. di rif: 177 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pieno appoggio ad artigiani e appassionati Commenti: Egregio signor Loretoni, dia una mano al Maestro varesino dandoci ragguagli sul suo numero di telefono. Magari, vista la sua voglia di "tornare in campo", lo chiamerà qualcun altro dei nostri frequentatori. Non ho ben compreso se, anche ad atelier chiuso, Lei sia riuscito ad ottenere quello che desiderava o meno. Si faccia vivo il 12 Marzo a al primo appuntamento dei Laboratori bolognesi, dove tra appassionati ci scambieremo opinioni sull'argomento che Le stata tanto a cuore. Nell'occasione conoscerà un Maestro ancora nel pieno dell'attività, peraltro con il figlio già ben insediato dietro al banco di lavoro. A Napoli esiste anche qualche altro Maestro giovane e alcuni giovanissimi. Presto ne presenteremo uno nel nostro Portico, per dimostrare che le cose non volgono ancora alla fine definitiva e che ancora per moltissimi o tempo sarà possibile avere un bell'abito veramente su misura e autenticamente artigianale. Resta il problema del prezzo, ma come ha visto dal nostro preventivo, si può anche avere un capo di uno dei più importanti nomi contemporanei a un prezzo equo. Scendere al di sotto non sarebbe onesto da parte del committente e sarebbe non di giovamento, ma di danno all'arte. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-02-2003 Cod. di rif: 180 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Parisi e le sue giacche Commenti: Egregio signor Liberati, La ringrazio per i complimenti e mi compiaccio per l'acutezza del Suo occhio e per la conoscenza che ha del nostro sito. Le giacche che ha pizzicato sono realizzate dalla stessa mano, ma non da Solito. Parisi è un fuoriclasse difficile da imitare, ma vale la pena provarci. Non mi costa rivelarLe un segreto: egli si serve da un sarto napoletano a Roma, il nostro Fornitore e socio Giovanni Celentano (veda Libro dei Fornitori), che ha cucito anche per me prima che per motivi di praticità mi rivolgessi al Maestro Solito. Qualunque sia la Sua scelta, volevo precisare che un viaggio a Bologna vale la pena farlo non per ordinare un vestito, ma per cominciare a capire cosa chiedere, cosa guardare. I Laboratori non sono organizzati solo per sipondere alla domanda di Sartoria napoletana, ma per soddisfare un'esigenza culturale pura. Credo che la nostra attività dimostri che il Cavalleresco Ordine è in materia critico supremo, archivio umano di sapienza e gusto. A parte la vanità nel mostrarla, la nostra scienza è a disposizione di tutti e gratuita. Come vede si spazia da un nome all'altro, perché ci è aliena ogni convenienza commerciale. Quello che ci interessa è conservare l'artigianato e la qualità nel suo lavoro, che però presuppone nel cliente la conoscenza dei parametri per misurarla. La diffusione dei negozi in franchising e delle griffe senza cultura, (ancorché qualche volta tollerabili nel gusto), sta distruggendo nel committente la capacità di distinguere il vero dal falso, il duraturo dall'effimero, la qualità reale da quella apparente. La nostra missione è quella di crerae interesse, quindi cultura e da questa desiderio e quindi infine mercato. Poiché ogni prodotto si regge in ultima analisi su un equilibrio economico tra costi e benefici, anche la sartoria può essere tentata di abbassare la guardia e allinearsi con i prodotti industriali, che dal canto loro negli ultimi cinque anni sono migliorati moltissimo, Solo una clientela che sappia bene cosa vuole potrà fermare o rallentare questo processo. Bologna e tutto il ciclo presente e futuro dei Laboratori, nonché tutta l'attività che mi vede fare in rete e sulle riviste, mira alla fine a questo risultato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-02-2003 Cod. di rif: 181 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sempre al signor Liberati Commenti: Dimenticavo due cosette: 1 - La ringrazio per i complimenti sul pezzo pubblicato da Monsieur e mi congratulo per essere sopravvissuto a questo diluvio biblico. Potrà leggerlo qui sul sito in versione integrale, ancora più lungo. Per esigenze redazionali, nel brano pubblicato sono stati persi quasi duemila caratteri dei 36466 originari, ma quello qui pubblicato è come mamma (o per meglio dire papà) lo fece. 2 - Solito non è tra quei sarti che si impongono sul cliente in funzione di uno stile precostituito della casa. Ovviamente deve piacere la sua giacca (può vederla indosso a lui), la sua spalla (può notarala nella foto della manica di cappotto nelle immagini del portico dei Maestri), ma per molte cose potrà soddisfare il suo gusto personale. Tra queste rientrano certamente le misure che Lei descrive. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-02-2003 Cod. di rif: 183 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ci proveremo Commenti: Dear sir Biojout, because of the matter, we transfer your letter from the Door of Smoke to that of Dressing. Thank you for visit our castle. I think you need a lot of work to translate our heavy italian. We start to find a name in Barcelona to answer your question and wait for you on the web or in our events. Some of this are a good reason for a trip. If you think to come back to Naples with your wife, write me. The site that you recommend is very fine. Otherwise You can know from the cirage with Berluti our love for the shoes. You gonna read this answer on the Blackboard of Dressing. Excuse me for my orrible english. Knightly G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Sergio Di Filippo Data: 01-03-2003 Cod. di rif: 184 E-mail: sergio.difilippo@libero.it Oggetto: Volume sull'arte di vestire "sì o no" ? Commenti: Egregio Gran Maestro, Dopo lunga assenza, mi permetto di fruire nuovamente di questa lavagna per dirLe che lo splendido articolo da Lei curato su Monsieur di marzo, del quale una buona parte ce l’aveva già fatto pregustare su questa lavagna ha fatto sorgere in me forte dubbio. Mi spiego. Da molto sto aspettando e sperando che possa vedere la luce un volume, da Lei curato, sull’arte del vestire. Oggi, per la prima volta, ho avuto dei dubbi su questo mio desiderio. Il motivo di ciò nasce dal fatto che nonostante molte delle “chicche” sulla sartoria Partenopea del Suo articolo erano già presenti sulla “lavagna”, il modo con cui queste sono state nuovamente riproposte, con l’anticipazione del Suo “gesso” prima e su Monsieur poi, è riuscito a dare ancora qualcosa di nuovo, piccoli particolari certo, ma quelli di cui si va alla continua ricerca per il piacere di vestire. Per questo motivo ora, seppur il supporto delle immagini sarebbe sicuramente importante, un bel volume rischierebbe poi, penso, di ridurre la lavagna ad uno strumento di “rimandi alla pagina numero.. del …” Pertanto sacrificherei volentieri il mio egoismo in favore di una lavagna sempre più ricca. Di questo mio modesta considerazione La volevo rendere partecipe. Le faccio di nuovo i complimenti per la qualità dei Suoi scritti e desidero ringraziare oltre a Lei anche i Cavalieri dell’Ordine che continuano a fornirci preziosi spunti sull’arte del vestire. Cordiali saluti, Sergio Di Filippo 01/03/03 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-03-2003 Cod. di rif: 185 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Libri, riviste, lavagne Commenti: Egregio signor Di Filippo, l'articolo su MONSIEUR è molto più ampio ed organico dei miei gessi, sempre specifici per la loro stessa destinazione. Lo legga nella versione integrale, pubblicata qui al castello nella sezione Florilegio. La rispondenza che Lei nota tra i gessi e la mia opera sulla rivista è dovuta alla natura compatibile tra i due sistemi mediatici. Un libro sarebbe tutt'altra cosa e - ancorché non potrebbe che ricalcare alcuni princìpi - si estenderebbe molto di più in superficie e profondità, cioè nell'analisi spirituale e nel dettaglio pratico. In ogni caso non tema, ritengo un pò orgogliosamente che sia troppo difficile copiarmi e pertanto non ho paura ad anticipare il mio pensiero - seppur sinteticamente - su questa Lavagna, la parte più avanzata del mio laboratorio di ricerca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-03-2003 Cod. di rif: 187 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ora capisco Commenti: Egregio Scudiero, ora capisco come mai da un pò non vedevo Suoi gessi o interventi sul sito o nella posta associativa. Bentornato al castello. Alla Sua domanda risponde la prima proclamazione dell'evento, che - caso unico nella storia della sartoria - indica anche i costi per chi volesse approfittare della presenza di Solito per farsi confezionare qualche capo. Approfitto per ribadire che la cosa non è necessaria e non rappresenta lo scopo del Laboratorio, che è quello di rispondere all'esigenza di approfondimenti sulla cultura della sartoria, specie quella napoletana, e dei tessuti. Noi veterani siamo in lutto perché da quest'anno non si è più riusciti a trovare del thornproof, che De Paz reperiva presso piccoli telai inglesi. Di fronte a questa piaga, dobbiamo asoslutamente reagire facendo sapere a chi è sensibile all'argomento come stanno le cose e cercando di compattare nuclei di appassionati che possano far rivivere nateriali altrimenti destinati all'estinzione o già estinti. L'operazione ha avuto successo con l'ombrello artigianale, forse riuscirà anche con certi tessuti a rischio di scomparsa. L'aspetto il 12 a Bologna. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-03-2003 Cod. di rif: 189 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sette pieghe, cinque di troppo Commenti: Valoroso scudiero, mi compiaccio di trovare nelle Sue parole e nelle Sue indagini un conforto alla mia osservazione sui bottoni di corozo. Poiché mi soffermo su dettagli che ad altri appaiono insignificanti o non appaiono affatto, a volte mi senbra di poter prendere della cantonate. Sono contento che questo non fosse il caso e meno contento di dover incassare un altro colpo inferto dall'industria chimica alla varietà delle cose. Veniamo alle cravatte. Quella a sette pieghe vuole riprendere il procedimento originario di confezione, quando non si usavano interni e per ottenere un pò di spessore si ripiegava il tessuto su sé stesso. E' un oggetto sontuoso, ottimo per un regalo, ma io la trovo un pò scomoda da annodarsi e troppo pesante. Personalmente faccio realizzare cravatte sfoderate alla punta, quindi senza nè fodera nè cappuccio e con orlo a fazzoletto. Un oggetto svolazzante, che si abbina alla leggerezza costruttiva delle giacche napoletane. Il mio gusto personale è quindi esattamente agli antipodi della sette pieghe, che comunque non sono nate nè vissute a Napoli. Naturalmente non posso nè voglio dire che si tratti di una soluzione di basso profilo o concettualmente sbagliata, ma io evito tutto ciò che voglia con troppa evidenza segnalare origini nobili dei capi, che vanno sussurrate da linguaggi molto più sottili. Non porto quindi iniziali alle camicie, maniche di giacca slacciate, bottoni di camicia cuciti a giglio, nè cravatte a sette pieghe. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-03-2003 Cod. di rif: 192 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatte - Allo scudiero Villa Commenti: Implacabile Scudiero, vorrei ritornare sulla cucitura a giglio, che a Napoli chiamiamo a "zampa di gallina". Quando al proposito parlavo di nobiltà non mi riferivo alla nascita di questo tipo di finitura, la cui origine sarà stata contemporanea all'invenzione del bottone stesso, ma alla pretesa che essa faccia individuare la nascita artiginale - e costosa - del capo. Questo collegamento meccanico tra un particolare e il prestigio del capo è sempre pernicioso. Lo si riscontra con i mezzi punti al bavero di giacche e cappotti, con i bottoni slacciati alle maniche, coi guardoli larghi alle scarpe. Feticismo che allontana dai linguaggi sottili, dai sussurri che sono il veicolo privilegiato dell'Eleganza. Lo stesso discorso vale con le cravatte incappucciate e ora con le sette pieghe. Kiton le produce foderate della stessa seta. Un tour de force inutile, una finta raffinatezza, uno spreco di bei tessuti al costo di quasi cento Euro. Nella cravatta sfoderata, che è quella che preferisco, ma non per questo l'unica valida, gli interni sono tagliati trascersalmente poco sopra quel triangolo rovesiato formato dai due lembi ripiegati del tessuto dal lato posteriore. In questo modo il tessuto del triangolo anteriore resta completamente nudo e libero, guarnito superbamente da un orlino quasi invisibile cucito a mnao come l'orlo di un foulard. Gli interni sono in genere due: uno medio ed uno leggero. Lo spessore varia, ma io preferisco un 9 cm al massimo, se non addirittura un 8,5 minimalista. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-03-2003 Cod. di rif: 193 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Halston e Il Travaso delle Idee Commenti: Egregio signor Conforti, la ditta Halston è stata creta una diecina d'anni fa da Toni Rossi, nostro Cavaliere. Da allora ha prorposto un pò tutti i capi maschili, ma ora si sta orientando su scelte più selettive. Solo camicia, già confezionata o su misura, abiti su misura, cravatte con sete inglesi di prim'ordine e di ottimo gusto e, chicca dal successo internazionale, gemelli-scultura di grande personalità in resina o argento. Per individuare meglio questo prodotto particolarissimo, a ditta ha dato vita ad un altro marchio: Il Travaso delle Idee, che produce oggettistica. Molte cose sono visibili nel sito, raggiungibile dal nostro Libro dei Fornitori. La ditta gode infatti della nostra Patente già dal 1999. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-03-2003 Cod. di rif: 195 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sbaglia Commenti: Egregio signor Conforti, vedo che Lei non nutre fiducia nella mia parola. Se dico su-misura non posso intendere nient'altro che questo. Rossi ovviamente non confeziona in prima persona l'abito, ma questa è prassi comune. Nemmeno Rubinacci lo fa, nè tutte le sartorie londinesi. L'avverto a questo punto che non realizza personalmente nemmeno la camicia e i gemelli. Provvedono rispettivamente un Maestro sarto, una camiciaia e un giovane scultore di grande talento. Le prove di abiti e camicie si tengono presso la ditta, che ha uno spazio attrezzato nel piano interrato. Mi rammarico che, dopo tutto il lavoro pratico e concettuale qui prodotto, mi prenda per un imbonitore da piazza, che usa termini a casaccio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-03-2003 Cod. di rif: 196 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Mi scuso per l'errore Commenti: Avendo effettuato un controllo, riscontro che il collegamento dal nostro Libro dei Fornitori al sito de "Il Travaso delle Idee" (www.iltravasodelleidee.it), cui avevo recentemente rinviato il signor Conforti, non è stato ancora attuato. Mi scuso per l'errore. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-03-2003 Cod. di rif: 199 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le differenze deboli Commenti: Cavalieri, appassionati del Guardaroba maschile, l'incontro di ieri ha permesso a parecchi di approfondire la conoscenza con tipologie di tessuti e di manifatture poco note. Il cachemire, le mani morbide, le lucentezze sottili, per una giornata hanno lasciato il passo alle lane secche e virili, ai pesi estremi ed alla consistenza duratura, alle tessiture tradizionali della Scozia. Il tema della giornata è stato prima di tutto il tessuto e si è discusso dell'infuenza dell'industria manifatturiera su quella tessile. Non so se domani avremo ancora certi donegal, cheviot, thornproof e famiglia, ma anche se dovessero scomparire, avremo già raggiunto un grande risultato nel perpetuare la memoria della loro esistenza, della loro taciturna bellezza. De Paz, ispirato da una vita spesa tra i telai inglesi, ha illuminato il Laboratorio con la conoscenza e la passione. In verità nemmeno a Londra esiste ormai una scelta di tessuti come quella che lui pervicacemente conserva come antidoto alla banalità delle tasmaniucce usa-e-getta. Gennaro e Lugi Solito hanno illustrato alcuni dettagli e misteri della lnea napoletana, rispondendo alle domande degli intervenuti. Mi ha fatto sommamente pioacere l'intervento di un sarto, il Maestro Melchior, che per raggiungere iul nostro Laboratorio ha affrontato un viaggio da San Daniele del Friuli. La sua voglia di confrontarsi con una grande dello stile napoletano ha da sola arricchito non poìco il taglio culturale dell'evento. Visto il successo, il ciclo andrà avanti con il prossimo appuntamento previsto per il 14 Maggio. La data verrà definitivamente comunicata da questa Lavagna e dall'area Eventi, nella striscia Eventi Prossimi dedicata ai Laboratori d'Eleganza. Molto calzante, ancorché inquietante, la citazione del signor Clerici. Essa fa riflettere sul fatto che un'opera umanitaria non è solo quella - senz'altro meritoria - a tutela diretta dell'Uomo, ma può essere anche quella indiretta, a favore di quelle che chiamiamo le differenze deboli, poco conosciute e percepite. L'umanità non vive di solo pane e conservare il companatico è opera ancor più difficile, in quanto esposta a critiche e fraintedimenti. E' questo il campo d'azione dell'Ordine, dal quale non ci ritiriamo anche in presenza di forze avverse preponderanti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-03-2003 Cod. di rif: 201 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La "Legge dei metalli" Commenti: Valoroso Scudiero, rispondo alla Sua prima domanda attenendomi alla mia "Grammatica del Vestire". Non è mai stata scritta e comunque non rappresenta una legge, ma una lettura. Come tale, opinabile. Ebbene, a mio modo di vedere, la cintura ed il metallo delle sue fibbie parlano la stessa lingua dei bottoni metallici. C'è un parallelismo perfetto in queste due sequenze: bretelle, cintura con fibbia in metallo bianco, cintura con fibbia oro e bottone a quattro buchi in corno o corozo, bottone a piede in argento, bottone a piede in oro. La scelta più classica è quella delle bretelle (o del bottone non metallico). Se si preferisce la cintura, questa porterà la fibbia in argento nelle combinazioni pomeridiane, serali e comunque formali o semi-formali, mentre avrà quella in oro per le occasioni mattutine, sportive e i genere informali. Personalmente non apprezzo la cintura sotto gli abiti completi. In questi casi faccio confezionare i pantaloni completamente puliti al bustino: senza nemmeno i passanti. Lo stesso discorso vale anche con i bottoni da blazer, dove l'argento si rivela più "serio" dell'oro. Sottolineo che questa diversa inclinazione dei metalli, dove l'oro si rivela meno impegnativo dell'argento, vale anche per la montatura degli occhiali. Ad una serata in smoking o in abito scuro si addice senz'altro meglio una montatuta in metallo bianco che una in oro o addirittura in acetato color tartaruga. Questa serie di occhiali: tartaruga, laminato bianco, laminato oro, rappresenta una terza conferma della "legge dei metallli", ovvero dell'assonanza di alcuni materiali a preferenza di altri nel ciclo mattino-pomeriggio-sera, ovvero formale-semiformale-sportivo. Vorrei un Suo parere in merito e magari quello di altri dottissimi lettori, in quanto esprimo questa mia teoria per la prima volta. Quanto a Turnbull & Asser, niente da fare: asole meccaniche. I tessuti sono invece raccomandabili per la straordinaria qualità, anche se non è facile scegliere tra le loro fantasie, edulcorate dal gusto inglese per i colori dal salmone al rosa. Numquam Servavi! ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 17-03-2003 Cod. di rif: 202 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Metalli e camicie Commenti: Illustre Gran Maestro, con riferimento al Suo gesso relativo ai metalli, non posso far altro che concordare pienamente con Lei sul differente linguaggio dell’acciaio/oro. L’oro è infatti più vistoso, quindi meno consono ad un abbigliamento formale rispetto alla maggior “pulizia” e semplicità del metallo. Una fibbia dorata credo contrasti troppo se indossata con un formale abito scuro, al contrario risulta maggiormente valorizzata da un abbigliamento più sportivo, sia esso costituito da un abito intero o da uno spezzato. Con riferimento al gesso del sig. Villa, non posso far altro che confermare quella che a mio giudizio è una sproporzione tra il prezzo richiesto (veramente eccessivo) e la qualità offerta dalla ditta Finollo in Genova, non superiore rispetto ad altre manifatture decisamente meno costose. Si tratta ovviamente di un parere personale, e come tale lo esprimo. Approfittando della Sua disponibilità e gentilezza Le sottopongo un dilemma per me amletico: Lei come colloca l’abito blu rispetto a quello rigato (gessato) e grigio? Quale giudica il più formale e il più adatto a collocarsi un gradino sotto la black tie? Attendo con trepidazione di leggere il Suo prossimo articolo sulla splendida rivista Monsieur. Ringraziandola per l’attenzione cavallerescamente La saluto. Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-03-2003 Cod. di rif: 204 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sui metalli, con note su Finollo Commenti: Vediamo un pò, la Legge dei Metalli ha riscosso un certo consenso e Villa mi dice che anche lui vi era giunto. Questo conferma che siamo sulla strada giusta, ma dobbiamo sempre evitare di dare l'impressione dei saputelli che dettano le regole. Chi ci legge sappia che stiamo parlando tra noi che capiamo e apprezziamo questo gioco, ma tutti sono liberi di fare ciò che vogliono senza che noi li si giudichi. La giuria valuta i pattinatori che si sono presentati al concorso. Quelli che vogliono solo divertirsi al parco hanno diritto a sentirsi e ad essere fuori dalla mischia. Mi rivolgo al signor Chiusa per una doppia risposta: 1 - FINOLLO Quanto a Finollo, in passato ne ho parlato molto bene su questa stessa Lavagna. La mia opinione si era formata sul libro edito dalla ditta per i suoi primi cento anni e sull'osservazione pratica di alcuni manufatti di epoche piuttosto remote. Ultimamente, dovendo redigere un servizio sulla camicia, mi sono recato nella città della Lanterna perché intendevo parlare della storica manifattura genovese. E' opportuno dichiarare che queste trasferte sono a mio totale carico, non chidendo io compensi a MONSIEUR nè tantomeno alle aziende. Già così non sono libero di dire tutto quello che voglio, figuriamoci se prendessi soldi per scrivere! Non sto qui a raccontare l'odissea per raggiungere Genova dopo che il mio volo da Napoli era stato cancellato. In ogni modo, quando sono arrivato mi sono sembrati denari male utilizzati. I costi si rivelavano spositati (euro 570,00 per la camicia base) in confronto all'offerta di un prodotto mesto, con asole a macchina. Finollo si vanta di aver servito il Duca di Windsor, ma immagino che questi lo avrebbe fatto prendere a calcioni dal suo maggiordomo alla vista delle odierne asole pelose. Questa discussione, che non mi fa certo piacere, aveva luogo durante i lavori dell'ultimo çaboratorio, nel quale raccontavo del mio sopralluogo allo Scudiero Villa. Ora i lettori sanno come la penso e - se esiste qualcuno che va da Finollo non per il marchio, ma per qualcosa che non ho visto - potrà indicarmi la via della redenzione. Quando l'odierno patron signor Linke parla di "asole che ricordano le labbra di una bocca tirgida" non poteva certo riferirsi allo squallido prodotto che oggi smercia a caro prezzo. Ho provato a chiamarlo per commentare questo mio pensiero, ma non si èp fatto ìmai rintraciare, nè mi ha richiamato. Per me non esiste più e poiché su una rivista lo spazio va utilizzato per migliori motivi, non parlerò di lui. Non sono un giornalista e non spreco colonne per parlare male di nessuno. Posso fare a meno di lui almeno quanto lui di me. 2 - ABITI FORMALI. Nella gerarchia del formalismo, la priroità va alle tinte unite. Pertanto, dopo lo smoking, la palma va all'abito nero, che non va dimenticato per il solo fatto di essere in disuso totale nel mondo elegante ed essre invece il suo patrimonio di sobrietà dilapidato da finti creativi che lo utilizzano con accessori di fantasia ed occasioni inadeguate. Subito dopo viene il grigio scurissimo, poi il blu e solo dopo i gessati. Questi vanno bene anche per la mattina, a patto di avere l'età o la posizione acconcia alla bisogna. Il grigio scurissimo viene usato la mattina, oltre che per i matrimoni, anche da agenti di commercio e promotori finanziari in erba, che vanno compresi per la necessità di sembrare più grandi e più credibili. Veniamo ora ad un tema che non avevo sviluppato, proposto da Villa. 3 - ABBINAMENTO SCARPA CINTURA. Olga Berluti, Spirito eletto del sapere estetico, arriccia il naso a sentir parlare di questo tipo di combinazione. Non posso che essere d'accordo con lei, ma occorre anche dire che per mantenere un carico sbilanciato occorre più forza. Chi senta di averla, potrà lanciarsi nell'impresa di sostenere scarpe ecintura in tinte contrastanti. In caso contrario, meglio adeguarsi ad una legge di abbinamento. 4 - ANCORA DEI METALLI. Concordo sulla bellezza dell'ottone "vissuto", ma al proposito volgio anche dire la mia su certi metalli approssimativi. Io detesto ogni forma di brunitura o antichizzazione simulata. Il metallo potrà essere lucido o matto, spazzolato, sabbiato o brillante, ma ogni trattamento destinato a dare una patina che non sia conferita dal tempo è ai miei occhi una bruttura. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 18-03-2003 Cod. di rif: 205 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Finollo Commenti: Ill.mo Gran Maestro, le Sue parole sono sempre per me un insegnamento. RingraziandoLa per la pronta risposta, mi rallegro nel vedere confermate le mie impressioni relative alla ditta Finollo. Non avendo la Sua esperienza e competenza, ho sussurrato quello che pensavo, pronto ad essere smentito. Approfittando di un appuntamento a Genova, ho voluto a tutti i costi conoscere quello che credevo un tempio del bello. Sapevo dei costi, ma credevo fossero giustificati dalla cura della manifattura. Tralascio la scortesia con la quale sono stato ricevuto e trattato, ma credo che quando le cifre richieste siano intorno ai 600 Euro per una camicia, sia diritto dell'avventore chiedere di visionare un capo finito. L'acquisto ad occhi chiusi non rientra nelle mie abitudini. Con riluttanza mi sono state mostrate alcune camicie pronte per la consegna e qui la delusione è stata grande: asole a macchina, "l'orrido pelo che proviene dagli inferi", come Lei lo ha argutamente definito, in bella evidenza. Gli stessi tessuti non mi sono sembrati migiori di quelli proposti da altre manifatture alla metà del prezzo. La storia ha la sua importanza, ma deve essere supportata da un presente all'altezza. Solo un consumatore attento e non attratta esclusivamenete dalla forza di un marchio può aiutare il mercato ad essere più trasparente. In questo credo che il C.O. compia per quanto possibile un'opera "storica", in quello che è l'abbattimento di falsi miti (Lattanzi e il suo finto su misura, ecc.). Concludo ricollegandomi al mio quesito sull'abito blu/grigio. La Sua risposta è come di norma per me illuminante e mi ha fatto riflettere sulla bellezza dell'abito nero, oggi purtroppo preda della moda e degli stilisti. Si tratta di un capo che vorrei riscoprire nella sua originaria bellezza e semplicità. Cavallereschi saluti Suo scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 18-03-2003 Cod. di rif: 206 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Legge dei Metalli Commenti: Egregio Gran Maestro, Egregi Partecipanti alla Lavagna dell'Abbigliamento, mi permetto di esprimere una perplessità in merito alla “Legge dei Metalli”. Da un punto di vista cromatico anche a me il giallo dell’oro appare indubitabilmente più caldo del grigio dell’argento, dell’acciaio ed altri consimili metalli, per cui nel caso delle montature per occhiali non potrei che concordare con le sequenze ideate e proposte dal G. M., ovvero tartaruga - oro - argento = mattina - pomeriggio - sera = informale - semiformale - formale. Dove però non sono d’accordo è nel caso degli orologi, perché un orologio più classico e dunque più formale, sia in versione da polso che eventualmente da tasca (ancor più orientato alla tradizione), dovrebbe essere a mio parere in oro; conosco sì l’esistenza delle varianti in oro bianco, ed anche l’utilizzo di metalli rari e pregiati quali il titanio (vedi orologi I.W.C.), ma sono dell’avviso che comunque un orologio in oro (beninteso parlo della sola cassa) sia più in linea con la tradizione storica, laddove uno in grigio vada meglio associato con la sportività e la modernità. A questo punto la scelta di un classico orologio in oro, ad esempio un limpido ed ineccepibile Calatrava, imporrebbe inevitabilmente il color oro anche per la fibbia dell’eventuale cintura. Unica scappatoia l’uso delle bretelle, indubbiamente più dandy di una normale cintura, però mi sia consentito proporre un ulteriore spunto di riflessione: è pur vero che le bretelle sono più formali, e soprattutto non spezzano l’integrità della figura (come già efficacemente più volte ribadito dal G. M.), ma non è anche vero che, mentre cinte e fibule possono vantare appunto archeologiche origini, le bretelle possono essere fatte risalire al più al 1700, per cui risultano paradossalmente più moderne delle cinture ? Cordiali saluti a tutti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-03-2003 Cod. di rif: 207 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ricordi in nero - A Gianluca Chiusa Commenti: Egregio signor Chiusa, a proposito dell'abito nero, posso raccontarLe un aneddoto. Siamo nel 1984, tempo in cui nelle case da gioco il fumo si dava ancora per scontato ed io potevo frequentarle. Da quando si è cominciato a vietare o limitare il fumo in un solo Casinò, anche negli altri i tristi salutisti hanno cominciato ad infastidire noi uomini, col risultato che ormai ho dovuto rinunciare alla mia passione per l'azzardo onde evitare che il mio avana possa essere criticato da qualche ragazzino senza speranza. All'epoca giocavo due o tre volte l'anno al Casinò di Beaulieu, che aveva una clientela molto valida ed un direttore (il signor Stella) in grado di servirla ed attirarla da lontano. Quella sera si avvertiva un'atmosfera da grande occasione. I direttori di sala indossavano il loro smoking migliore, il che sottintendeva l'attesa di qualche personaggio di rilievo. Intorno alle 21 caddero i veli. Un grande tavolo di roulette, recintato da un cordone bordeaux, era stato attrezzato nell'ultima sala, quella dove una volta erano il tavolo di chemin e quelli di roulette più sostenuti. Entrava Adnan Kassoggi con la figlia Nabila ed un ignoto amico. Kassoggi è stato e forse è ancora un ottimo giocatore, ma non parlerò della sua partita e degli altri accademinenti che essa scatenò. Parliamo dei vestiti, come è giusto su questa lavagna. Lei indossava un completo gonna-top in cadì di seta color tabacco, con una linea che me lo fece attribuire certamente ad uno stilista italiano e forse, tra essi, a Valentino. I capelli, lunghissimi, erano acconciati in modo semplice ed efficace, così originale che non ho mai visto nessuno in ventinove anni ripeterlo. Di colore castano chiaro, formavano in alto un nodo del tipo che a Napoli chiamiamo "di ciuccio", cioè quello più semplice di tutti. Da esso partiva una coda che giungeva alla vita. L'effetto era affascinante, ben abbinato con la semplicità della mise, monocroma e senza alcun accessorio. Ho detto nessuno? Beh, nessun orecchino, bracciale o anello, ma una collana c'era eccome. Smeraldi e diamanti, montati con dei ponti che li sollevavano uno per uno per farli brillare ed ammirare ancor di più. Un capolavoro da nababbo che si adagiava meravigliosamente sul lungo, giovane collo della bella ereditiera. Bond non si sarebbe fatto sfuggire l'occasione di corteggiarla, ma quella sera non lo vidi. Lui portava, ed eccoci al punto, un abito di tropical nero. Il tessuto non ricordava quello dello smoking, almeno a chi sappia cosa sia uno smoking. Non era lucido, nè particolarmente lussuoso. Camicia bianca e farfalla nera completavano il tutto. Perfetto. Lo stile sopraffino che il magnate dimostrava nel gioco trovava così assonanza in questa tenuta eccezionalmente sobria, che può essere compresa ed indossata solo dai grandi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 18-03-2003 Cod. di rif: 209 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Casinò Commenti: Gent.mo Gran Maestro, il suo gesso mi ha colpito nonchè affascinato.L'atmosfera dei casinò è in effetti irripetibile. L'estate scorsa, in occasione di un viaggio in Bretagna - Normandia, non mi sono lasciato sfuggire l'occasione di passare una serata nella splendida sala da gioco di Deauville, laddove il grande Winston Churchill, Cornelius Vanderbilt amavano passare ore alle roulette e devo dire che nonostante il criminale niet all'inebriante puff la scenografia era di tutto rispetto. Smoking bianchi alla Bond in "Mai dire mai", spencer color crema stile "sud degli Stati Uniti" che avevo visto solo in fotografia, abiti scuri di grandissimo gusto, con quella nota di extravagance cara ai francesi. Vorrà perdonare la mia divagazione, ma spesso sognare ad occhi aperti aiuta ad affrontare meglio il pomeriggio e le sue parole evocative hanno avuto un effetto rinfrancante. Quale migliore antidoto contro il cattivo gusto e le brutture che immergersi ogni tanto in ambienti al di là del tempo e delle mode?L'abito nero sarà il prossimo pezzo del mio guardaroba... Suo fedele scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-03-2003 Cod. di rif: 210 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vediamoci due porte più in là Commenti: Cavaliere Chiusa, visto l'argomento sul quale stiamo scivolando, La invito sulla Lavagna del Gioco per motivi di competenza. G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-03-2003 Cod. di rif: 211 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Delle cinture - Allo Scudiero Villa Commenti: Valoroso Scudiero Villa, il motivo per cui una "distrazione" rispetto all'assonanza di colore e qualità di pelle tra scarpa e cinta è più apprezzabile rispetto all'identità assoluta degli stessi risiede nel fatto che quest'ultima rivela con troppa evidenza una fatica, una sottomissione forzata ad una regola. Le regole ci infliggono grandi e giusti tormenti, che restano eroici solo se non sbandierati. La perfetta stiratura di una camicia, un nodo rifatto cento volte per farlo sembrare naturale, sono l'esempio di un lavoro del quale non si avverte lo sforzo. L'acrobata sfida le leggi dell'equilibrio e della gravità, compie miracoli di elasticità e sfozi inauditi, ma sorride sereno perché la vista della sua fatica o la percezione della paura di sbagliare rovinerebbero irrimediabilmente lo spettacolo. Lasciamo quindi una certa tolleranza, in cui ciascuno trovi la propria misura. Restando in tema di "scale musicali" che i materiali suonano per la loro diversa natura ed origine, nei pellami delle cinture gli scamosciati ed i cuoi grassi sono adatti alla fascia A (mattiniera, informale, sportiva, giovanile, abiti spezzati, senza giacca), i vitelli lucidi nei colori caldi sono della fascia B (abiti completi, pomeriggio, semi-formale, semi-serio) ed il nero è per la fascia C (sera, abito scuro, formale, grave). Qui le differenze sono meno nette e l'anzianità d'uso potrà influire sull'utilizzo. Resta difficile da classificare la cintura di coccodrillo, la più bella di tutte. Nei colori golden o cognac starà benissimo nelle situazioni A e B, mentre un tocco più scura, dal tabacco ai rossi fino al nero, militerà con successo anche nelle formazioni C. Le dimensioni resteranno confinate intorno ai tre centimetri, ma gli scamosciati e i cuoi grassi potranno in qualche caso concedersi una leggera esuberanza. Importantissima e severa la normativa seguente sulla finitura dei due passanti: lisci su cinta liscia e bombati su cinta imbottita. Qui non possono esservi eccezioni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-03-2003 Cod. di rif: 213 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scelte esoteriche Commenti: Instancabile Scudiero, la tenuta formale richiede le scarpe nere. Un abito formale, utilizzato in una situazione non canocica, si può abbinare benissimo a calzature di colori bruni.Lei ha giustamente notato nella serata di gala inonore di Olga Berluti cohe molti gentiluomini lustravano scarpe marroni. Le serate di Cirage non vanno prese ad esempio. L'invito, infatti, richiedeva l'abito scuro, ma espressamente autorizzava ed anzi esortava a scegliere la scarpa per il solo legame affettivo che vi legava il convitato e non per l'abbinamento all'ìabito. Portate la scarpa che amate, non cercate quella giusta. Era questo il messaggio. Infatti, tutti i quarantasette invitati che compaiono nelle foto e nel filmato indossavano completi scuri e camicia bianca, ma molti avevano scarpe non abbinate allo sfarzo dell'occasione. La cosa si giustifica alla luce di considerazioni che non posso spiegare in questa sede, perché la loro natura non attiene alla scienza del vestire, ma al suo sentimento ed alla sua parte esoterica. O si capiscono da soli o si criticano in compagnia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-03-2003 Cod. di rif: 216 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ricerca e non cattedra - Al signor Rizzoli Commenti: Lettori, appassionati, non è inopportuno ripetere ad ogni occasione che da queste Lavagne non si dettano regole, nè si danno suggerimenti non richiesti. Accettando noi tutti la premessa che l'abbigliamento è un linguaggio, lo scopo degli interventi è quello di capirne il funzionamento. Le convenzioni del vestire sono come le regole grammaticali: esistono prima e a prescindere dai linguisti, che non fanno altro che individuarle, passando dall'osservazione del particolare alla comprensione del fenomeno generale. Come una lingua, anche questo mondo del vestire è vario in senso geografico e sempre mutevole in senso cronologico, sicché quello che si dice qui ed oggi può non essere valido domani o in altro luogo. A complicare le cose, vi sono poi i gerghi ed i dialetti. In questa babele, in questa nebbia di possibilità, lo studioso deve credere in alcuni punti fermi. In caso contrario, nemmeno una bussola potrà essergli utile ad orientarsi. Queste considerazioni sono necessarie a chiarire che qui si fa ricerca e non cattedra. Quanto alla perplessità dell'ottimo Rizzoli, la coordinazione tra cintura e scarpe non è una regola, ma potrà essere utilmente perseguita da quanti non la sentano come una forzatura. Non è proprio come coordinare cravatta e pochette, il che rappresenta un'infamità senza scampo. Il signor Rizzoli introduce il tema della formalità nella scarpa. Naturalmente esiste, ed è quella da lui accennata. Esistono però uomini che calzano sempre derby, sicché al loro piede una derby liscia e nera è gia il top del formale. Insomma va considerato anche un aspetto di storia personale, in questo come in molti altri casi. L'importante è averla, questa storia personale e questo è uno dei motivi per cui al magistero dell'Eleganza non si giunge che piuttosto avanti negli anni. Al signor Rizzoli indirizzo un ringraziamento per essere intervenuto al primo Laboratorio di Eleganza, dandomi l'occasione di conoscerlo di persona. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-03-2003 Cod. di rif: 217 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Anche i Cavalieri sbagliano - A L. Villa Commenti: Sotto un profilo cromatico, la scarpa nei colori bruni è più intonata alla maggioranza degli abiti. La situazione formale ha carattere omologante ed impone una rinuncia ai personalismi in favore di qualcosa che somigli ad un uniforme. In questo adeguamento ad una regola che comprime l'orgoglio, limita l'estro, frena l'individualismo, è tutta la sublime altezza della situazione formale. In una cerimonia ognuno svolge un ruolo, come in un esercito e pertanto dovrà attenersi ad un'uniforme. Sdrammatizzare o voler dimostrare di essere più bravo non è utile alla causa. L'uomo elegante come io lo intendo accetterà di buon grado il giogo e si sentirà anzi felice di calzare una scarpa nera sotto l'abito blu, dove in termini estetici andrebbe meglio quella bordeaux. Quanto agli eventi da Lei citati, la nìNotte degli Avana si tenne in una giornata estiva, su di un terrazzo, con cena a buffet e non era quindi propriamente una situazione formale. Diciamo che poteva anche non essere percepita da tutti cme tale. In un'adunanza con cena a posti assegnati, numero chiuso, in un salone così esclusivo da non essere stato concesso dopo di noi che al Presidente del Consiglio (e mi riferisco alla nostra Adunanza del Novembre 2001 nell'immensa Sala Farnese del Palazzo Comunale di Bologna, di cui Lei parla), si trattava di una situazione formale, eccome. I Cavalieri intervenuti senza scarpa nera hanno sbagliato, perché proprio noi dobbiamo limitare quell'inutile sdrammatizzazione, che sgretola il ruolo e l'immaginazione maschili. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-03-2003 Cod. di rif: 221 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colli e polsini Commenti: Egregio, insostituibile Scudiero, l'altezza della pistagna delle mie camicie è di 3,5 c.m all'anteriore e sale a 4,00 ed oltre dietro. Non mi prensa però a modello, perché ognuno deve seguire la sua stella, secondo la grandezza dei nodi che preferisce, l'altezza del collo come organo fisico e lo sviluppo del collo della giacca. Uso interni di pesi diversi, in genere più pesanti al collo che ai polsi. A volte ho fatto cinfeziuonare camicie senza interni, da usare con cravatta a farfalla e polsini rivoltati. Uso un polsino di 8,5 cm e quindi posso girarne quasi un paio, ma è cosa che faccio di rado, qaundo ho l'estro letterario (era un vezzo di grandi intellettuali, da Cocteau a Sartre). Citazioni, insomma, ma del resto il Piacere del vestire noin è slo nel creare, ma anche nel leggere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2003 Cod. di rif: 223 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Centratura Commenti: Egregio Scudiero dr. Villa, vedo che è sempre all'erta. Ho verificato la Sua osservazione ed ho riscontrato che la censura è pertinente, soprattutto con riferimento alla fantasia a quadri. Dedicherò il prossimo viaggio di Vestirsi Uomo alla cravatta, anzi l'ho già dedicato. Vista l'occasione, estraggo in anteprima un brano di questo pezzo, che leggerà pubblicato a fine mese da MONSIEUR e subito dopo nel Florilegio di questo sito.: "Molto importanti sono la centratura dei disegni lungo tutta la gamba ed un taglio che sia perfettamente a 45 gradi. La cravatta fatta a mano offre maggiori garanzie di centratura, perché viene realizzata tagliando singolarmente ogni square, mentre nella produzione di serie si utilizzano taglierine che sagomano anche trecento pezzi alla volta. In queste condizioni un controllo su tutto il pacchetto risulta impossibile ed il disegno può risultare fuori asse." Come vedrà, questo articolo in particolare è molto più letterario che tecnico, ma comunque avevo affrontato lo stesso problema. Proseguo col dire che non è una questione di spreco di tessuto. Una cravatta viene tagliata da square standard, che per gli stampati hanno 100 cm di altezza per 65 cm di larghezza tra le cimose e per i raps e jacquard hanno 70 cm di altezza e 80 cm di larghezza. Solo Hermes, che ha telai da foulard, lavora con un twill altezza 90 cm. Ogni square viene diviso in due da una diagonale e lavorato. La mancata centratura non genera risparmio di tessuto, ma di tempo. Le cravatte fatte totalmente a mano, cioè una per una e tagliate con la forbice, possono essere rigorosamente controllate (vedrà presto illustrata quest'operazione nella scheda del Portico dei Maestri che il Cavalleresco Ordine dedicherà proprio al laboratorio di Marinella). Anche se sono tutte cucite a mano, evidentemente alcuni tessuti delle cravatte di Marinella vengono tagliati a pacchetti. Coloro che sanno, eviteranno di scegliere proprio quelle. Marinella ha tre laboratori, di cui uno a Via Vannella Gaetani n. 27 in Napoli, che è quello che verrà illustrato nel Portico e dove vengono lavorate una per una tutte le cravatte ordinate su misure personali del cliente. Vi è poi la manifattura del Parco San Paolo, sempre a Napoli, che lavora anch'essa totalmente a mano. Nei periodi di maggior richiesta, da Ottobre fino all'Epifania, entra in funzione un terzo laboratorio, che non conosco e che credo sia responsabile di questi difetti. Ricordiamo a tutti che stiamo ragionando di lana caprina e che comunque poche altre ditte conservano la manifattura in città e addirittura, come in questoi caso, a poche decine di metri dalla casa madre. Quando si legge E.MARINELLA - Napoli, si tratta di qualcosa veramente fatto a Napoli e non a Grumo Nevano o a Taiwan. Segnalerò comunque l'osservazione al nostro amato Socio Fondatore Maurizio, sulla cui importanza nel panorama della cravatta leggerà presto le mie dichiarazioni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2003 Cod. di rif: 225 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Atlante storico-geografico della cravatta Commenti: Egregio Villa, sono pochi gli occhi che sanno dove guardare e cosa. In ogni caso, si tratta di un peccato veniale. Se guarda i cataloghi di Brigg's vedrà ben di peggio: manici scurvati che fanno intendere come gli addetti alle relazioni pubbliche e commerciali di questa stessa ditta non hanno alcuna idea di dove risieda il pregio di un ombrello. Almeno Marinella ha la scusante che le foto promozionali vengono fatte in laboratori fotografici e non ha certo scelto lui personalmente i pezzi da immortalare. Quanto ad Hermes, chi ama Marinella difficilmente potrà apprezzare fino in fondo lo stile di questa grandissima casa. Nel mio pezzo su MONSIEUR enuncio una differenziazione per aree geograficho-culturali che non era mai stata proposta, individuando tre scuole: quella inglese, quella francese e quella italiana o comasca. Marinella, ancorché non inglese per nascita e sde, è oggi il paladino più serio e severo di questo stile che senza di lui morirebbe in poco tempo. I suoi ordinativi, infatti, mantengono in vita intere manifatture d'oltremanica. Inoltre nessun altro ha il tocco e l'autorità per trattare un articolo che lontano dalle magia delle sue mani fatate sembra difficilmente commerciabile. Hermes è ovviamente un campione della scuola francese, il cui più estremo rappresentante mi sembra però essere il piccolo grande Charvet. Qualche postilla, anche più vasta di quella che leggerà, andrebbe dedicata alla produzione americana, che trova in un nome come Robert Talbott un produttore che ancora si orienta alla qualità estrema dei tessuti, pur rimanendo in una manifattura classica, con una palette di colori e riflessi della migliore scuola anglosassone. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-04-2003 Cod. di rif: 229 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nostalgia di Raffaelina - Al sig. Fantini Commenti: Egregio signor Fantini, La ringrazio dei favorevoli commenti sul mio lavoro per MONSIEUR, che continuerà a lungo, e concordo sui complimenti a Villa. Veniamo alle camicie. Nel mio articolo cerco di essere abbastanza imparziale tra colli a duna di sabbia ed a lastra d'acciaio. L'importante è che siano costruiti con interni naturali. In genere porto il collo di media morbidezza, irrigidito da un paio di stecche in tartaruga naturale che, come tutto il resto, mi sono fatto costruire su misura. La tartaruga è leggera e flessibile ed io la utilizzo moltissimo, anche per gli occhiali da sole, il fermasoldi, qualche portasigari etc. Spesso indosso la camicia senza stecche, secondo l'estro e le necessità espressive. La rivolta misura 8,5 cm nella misura classica e 9 cm nei button down. Faccio costruire dei polsi molto aderenti e lascio sbottonato il bottone finale. Mai, negli ultimi venticinque anni, ho fatto costruire una camicia col cannolo all'anteriore. Conservo solo qualche esemplare della mia gioventù, che non elimino dai cassetti per la straordinaria qualità delle asole, reperti di una qualità oggi irripetibile. Erano realizzate da una camiciaia sorrentina, erede della secolare tradizione locale del cucito di qualità e del ricamo. Un bottone ed un'asola di questa Maestro non si disfacevano mai. Si chiamava Raffaelina ed è viva e vegeta, ma non lavora più da decenni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 04-04-2003 Cod. di rif: 230 E-mail: gchius @libero.it Oggetto: Abito blu e bottoni Commenti: Ill.mo Gran Maestro, sono di nuovo ad approfittare della Sua scienza nonchè della Sua gentilezza per dirimere un dubbio che mi “tormenta” da qualche giorno. Ho deciso di utilizzare una pezza di uno splendido tessuto Woodhouse, blu scuro, di spessore e tocco virili, acquistata un paio di anni fa a Milano presso la nobile ditta Guenzati per farmi confezionare un abito tre pezzi. Mi trovo però indeciso per quanto riguarda la scelta dei bottoni. Una mia ahimè compianta zia sarta mi ha lasciato una scorta di bottoni molto belli,datati anni 50-60, tra i quali spicca una serie di bottoni in madreperla blu. Possono essere adatti all'abito essendo di una tonalità molto più chiara rispetto al blu del tessuto o mal si addicono a un abito comunque "austero"? La ringrazio sin d'ora per la Sua dispinibilità e colgo l'occasione per complimentarmi con Lei per gli splendidi contributi sul vestire uomo pubblicati sulla rivista Monsieur. Suo scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-04-2003 Cod. di rif: 231 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Jamais Commenti: Egregio Scudiero, comprendo la voglia di utilizzare i bei bottoni in suo possesso, ma se sono piuttosto chiari deve assolutamente resistere alla tentazione di farlo in questo momento, con il tre pezzi blu. Perfetti sarebbero in corno nero, che oggi non si trova più, ma vale la pena cercarli. Mi sembra che nel Portico delle Spezie rare si possa trovare qualche segnalazione in merito. Io ne ho una scorta, acqusitata da una merceria in Via della Croce a Roma. Brutte notizie: ha chiuso l'anno scorso. In mancanza dei corni, utilizzi un corozo, badando che il bottone sia sempre più scuro del tessuto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-04-2003 Cod. di rif: 233 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sui colli Commenti: Egregio Villa, Lei che è un frequentatore assiduo delle Lavagne avrà notato che su questa dell'abbigliamento abbiamo sperimentato nuovi dispositivi. Ora è possibile anche effettuare una ricerca nominativa, nonché disporre dell'elecazione cronologica continua di tutti i gessi. Veniamo alla camicia. Non mi piacciono i colli molto alti e non ricorro mai al doppio bottone. Una pistagna di 3,5 cm è oggi considerata piuttosto bassa e non lo richiede. La mia rivolta è ovviamente calibrata per restare nascosta sotto i colli della giacca in qualsiasi situazione. Nella geometria del primo occhio (veda per questa definizione la seconda puntata di Vestirsi Uomo, in edicola e qui nel sito alla pagina Florilegio) non ha importanza solo la lunghezza delle due "vele", ma anche l'angolo che formano. Un'apertura netta, alla francese, cioè pari o di poco inferiore ai 180°, sfrutta tutta la lunghezza del collo, mentre angoli più chiusi fanno in modo che i vertici dei colli guardino più verso il basso che verso le spalle. Influisce anche l'accollatura delle giacche, che nelle migliori sartorie è alta e stabile, mantenendo l'abbraccio tra baveri giacca e colli camicia in ogni situazione. Correttamente Lei attribusce la massima importanza al fatto che il collo camicia resti sempre sotto al collo giacca. Solo un'altra cosa è altrettanto importante (e difficile): il meccanismo per cui il polso della camicia si rivela per un cm circa, uscendo dalla manica della giacca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 08-04-2003 Cod. di rif: 235 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Bottoni in corno Commenti: Ill.mo Gran Maestro, i Suoi insegnamenti sono per me sempre preziosi. RingraziandoLa per la risposta, come Sua abitudine solerte e puntuale, Le segnalo che mi sono già attivato alla ricerca di bottoni in corno nero da abbinare al mio Woodhouse, sfruttando anche alcune preziose segnalazioni apparse sul "fondaco delle spezie rare". Leggo tra l'altro che il 14 maggio in occasione dei "Laboratori di eleganza" sarà presentato un esemplare di Peron & Peron realizzato con il prezioso cordovan AAA. Un motivo in più per non mancare. Cavallerscamente in questa luminosa ma gelida mattina, Suo scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-04-2003 Cod. di rif: 238 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Invito a Napoli Commenti: Egregio signor Loretoni, mi rallegro dell'entusiasmo che ha suscitato in Lei la visione di una giacca napoletana all'opera. Ancor più mi compiaccio della riservatezza dell'ignoto proprietario, che dimostra quanto a Napoli noi si prenda sul serio la faccenda. In qualsiasi altra città si sarebbero fatti un vanto di dire: vado dal tal Gran Nome, ovvero ho scoperto il tale Piccolo Sconosciuto. La gelosia del Suo cliente è il segno tangibile dell'amore e deve considerarlo come tale, non come scostumatezza. Si tratta di comportamenti che vanno additati come esempio. Come Cavalieri simo favorevoli alla circolazione delle informazioni per la diffusione della scienza e della cultura, ma non tutti devono pensarla allo stesso modo. Come ha visto dall'opera dei Laboratori, stiamo avvicinando la sartoria napoletana al nord Italia, che qui ne manifestava il desiderio attraverso accorate lettere di vari appassionati. Sabato sono a pranzo con Pippo dalla Vecchia sul vecchio Pilgrim, la sua barca. Non mi perdo queste occasioni per nulla al mondo, perché la cucina, l'accoglienza e la conversazione del Presidente non hanno eguali al mondo. Compatibilmente con gli orari, quale nostro vecchio simpatizante, registrato qui al Castello dal 21 Agosto 2002, se come dice nel Suo gesso sarà a Napoli in tale data, La invito ad un aperitivo al Reale Yacht Club Canottieri Savoia. Si trova a Santa Lucia, di fronte all'Hotel Santa Lucia. Se arriva prima di me, dichiari di essere ospite dell' Avv. Maresca e cominci a gustarsi l'atmosfera. Io sarò lì alle 13.00. R.S.V.P. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-04-2003 Cod. di rif: 239 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Certezze - Al signor Fantini Commenti: Egregio signor Fantini, il Suo gesso mi offre l'occasione di segnalare che il successo del primo Laboratorio ha innescato una programmazione che coprirà certamente tutto il 2003. Di due mesi in due mesi, si andrà avanti certamente a lungo. In ogni caso, posso fugare i Suoi timori. In primo luogo, e questo lo dico agli altri lettori più che a Lei, che vedo deciso all'attacco, la partecipazione ai Laboratori non viene considerata vincolante ad acquisti. Questo non è l'autobus su cui vi fanno salire per vendervi le pentole. L'attività cavalleresca mira alla diffusione ed all'approfondimento culturale ed i Laboratori sono un luogo di confronto. La conoscenza genererà da sola ed indirettamente i consumi che noi chiamiamo "umanistici", in quanto utili alla conservazione dei valori umani. In secondo luogo credo che un nome come quello dei Solito possa garantire a sufficienza che una Sua eventuale ordinazione vada in ogni modo a buon fine. Concludo dandoLe appuntamento alla prossima tornata. Come segnalato nell'apposita area degli eventi, essa è fissata per il 14 Maggio. Dopo la prima tornata, dedicata ai tessuti, si continua con un miniciclo di approfondimento della storia della costruzione della giacca. Si parlerà quindi della preparazione del tessuto, del taglio e della sua rilevanza nello stile del capo finito. Interverrò anche io. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-04-2003 Cod. di rif: 244 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Età critica Commenti: Egregio Scudiero, la crescita nei linguaggi del gusto la porta a intuire una dissonanza che un tempo non percepiva. La camicia a collo e polsi bianchi è di stile fermamente inglese. Si addice esclusivamente a chi abbia studiato in Inghilterra o eserciti professioni che lo portano frequentemente oltremanica, ovvero a chi lavori ad alto livello nella finanza. E' una camicia che crea un forte distacco emotivo dall'interlocutore, non adatta alle temperature spirituali mediterranee. In gioventù può andar bene, ma avvicinamdosi alla trentina entra in quella fase in cui non si può più sbagliare, pena il ridicolo. Se ne esce dopo i settanta, età in cui potrà rimettere la camicia come le pare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Adorni Data: 15-04-2003 Cod. di rif: 245 E-mail: gadorni@yahoo.it Oggetto: Calzature su misura Commenti: Gent.mo Gran Maestro, Nobili Cavalieri tutti, facendoVi i complimenti per la qualità dei sito, nonchè dei temi trattati, da assiduo lettore delle Vostre lavagne sono a porre un quesito al quale spero, pur da semplice visitatore, vorrete darmi risposta. Leggo da tempo di una grande casa artigiana in Bologna, la Peron & Peron, testimone della nobile arte della calzoleria su misura. Prima di avvicinarmi alla bottega, a scanso di equivoci, vorrei sapere, almeno a livello indicativo, il costo medio di una calzatura realizzata dai Maestri Peron. Confidando nella Vostra schiettezza, rinnovando i complimenti, porgo i miei migliori saluti. Piacenza, 15 aprile 2003 Giacomo Adorni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-04-2003 Cod. di rif: 246 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il costo dell'eccellenza. Commenti: Egregio signor Adorni, vedo che si è anche iscritto nel registro all'ingresso. Presto Le darò privatamente il benvenuto ufficiale, ma ora mi concentro sulla risposta al Suo gesso. Peron&Peron è l'unico calzolaio che in Italia lavori esclusivamente il su misura fatto su forma, artigianalmente, con lavorazioni tradizionali. Altri nomi, ancorché validi nello stile, indulgono anche (o solo) in lavorazioni a blake o goodyear, di tipo industriale. Dico l'unico e non l'ultimo, perché anche grazie al nostro sostegno la bottega vive in piena salute e probabilmente avrà la forza di rigenerare la propria cultura. Veniamo ai numeri. Cerco di essere preciso quando parlo di filosofia, figuriamoci se si deve affrontare l'argomento prezzi. Il costo di un modello in vitello, con cucitura a guardolo, è di Euro 900,00, che salgono non vertiginosamente in caso di lavorazioni molto elaborate, come fondi norvegesi, trecce et similia. Altri 150,00 Euro sono l'eventuale supplemento per il cordovano (ovviamente non quello riservato ai soli Cavalieri). In confronto all'esclusività del prodotto, alla sua durata ed efficienza, il prezzo è da ritenersi vantaggioso. In assoluto è elevato, ma relativamente all'oggetto ed alla sua storia è più che equo. Le consiglio di visitare in ogni caso la bottega. Anche se non acquisterà scarpe, non dimenticherà l'occasione di vedere ed apprendere cose che non si sanno e si fanno in altri posti. Potrebbe anche partecipare, liberamente e senza prenotazioni, ai lavori del prossimo Laboratorio di Eleganza, sempre in Bologna. Parteciperanno anche Bruno e Simone Peron. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Adorni Data: 16-04-2003 Cod. di rif: 247 E-mail: gadorni@yahoo.it Oggetto: Calzature Peron&Peron Commenti: Gent.mo Gran Maestro, nel ringraziarLa per la gentilezza e l'attenzione dimostrata a chi come me è nuovo di queste lavagne, sono a porLe ancora qualche quesito sui capolavori dei maestri Peron, che hanno stimolato il mio interesse. Premesso che visiterò senz'altro la bottega, vorrei però prima capire (chiariti grazie a Lei i costi) la tempistica necessaria.E' possibile prendere le misure nel corso della prima visita, una volta scelto modello e pellami? Sono necessarie più sedute? E in ultimo, viste mie sgradite esperienze in passato con artigiani truffaldini (non sicuramente del livello e della statura dei Peron), è costume della casa richiedere il saldo in anticipo o solo un acconto? Nel ringraziarLa ancora infinitamente, rinnovo i miei più sinceri saluti Piacenza, 16 aprile 2003 Giacomo Adorni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-04-2003 Cod. di rif: 248 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tempi e modi Commenti: Egregio signor Adorni, la prima volta che ci si fa confezionare una scarpa su misura occorre mettere a punto la forma che poi, solo con qualche lieve modifica, ci accompagnerà per la vita. Nella prima seduta si sceglie il modello ed il pellame, operazione nella quale consiglio di investire molto tempo. Poi si prendono le misure e si rimanda alle prove, due. Se la seconda prova è incoraggiante, si va verso al consegna. Tempo? Tre/quattro mesi. Successivamente, a forma già definita, basta scegliere materiale e modello ed eventualmente effettuare una provicina tanto per gradire. Il tutto è estremamente piacevole, in quanto entrambe i Peron sono squisiti, gentili, modesti, capaci, simpatici, positivi. Quanto alle modalità amministrative, non vorrei sembrare scortese, ma mi sembra che si vada oltre il mandato di queste Lavagne. Restiamo fermi estimatori dell'opera dei Peron, ma non siamo agenti di nessuno e non possiamo indulgere in comportamenti che potrebbero essere fraintesi. Immagini che qui intervenisse lo stesso Peron (tra l'altro, Socio dal 1998) a lodarsi e a parlare del suo prodotto, a pubblicare listini. Penso che farebbe piacere a Lei ed a tutti se noi imponessimo il rispetto della sacralità di questo luogo di cultura. E' vero, abbiamo parlato più volte di prezzi, ma essi in un certo senso fanno parte dell'oggetto, mentre le modalità di pagamento no. Il Cavalleresco Ordine detesta parlare di moneta. Il nostro motto è Numquam Servavi, cioè a dire non ho (non mi sono) mai risparmiato. Per questi dettagli chiami la gentilissima signora Marisa al 051.234876. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-04-2003 Cod. di rif: 250 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Circolo vizioso Commenti: Carissimo Villa, grazie anche all'illuminante critica del Forni, Lei individua un fenomeno di costume che certamente ha il suo rilievo. Tra camiciaia e cliente si è innescato un processo poco positivo. A prescindere dalla volontà di risparmio in denaro del cliente, che certamente ha innescato il fenomeno, mi sembra che esso sia stato alimentato da una vastissima domanda di camicie approssimative, commissionate da un pubblico che non sa bene nè cosa vuole nè cosa dovrebbe volere per spendere bene il denaro. Il risultato è che l'intero settore della camiceria, potendo contare su un immenso serbatoio di clienti, preferisce indirizzarsi a produrre cento camicie il cui ricarico è (facciamo un esempio) 40 Euro, piuttosto che cinquanta il cui valore aggiunto è di 60 Euro. Per comprendere come e perché questa scelta sia attuabile in questo settore e non in altri, va detto che il tempo necessario a confezionare una camicia, soprattutto se tutta cucita a macchina, è così breve che si può aumentare con facilità la capacità produttiva di una linea, ancorché composta da due o tre sole persone. Lo stesso non è possibile in una vera sartoria artigiana, dove anche una giacca in più alla settimana può porre seri problemi di organizzazione del lavoro. Naturalmente l'accelerazione non sarebbe possibile se si dovesse (o si deve) rispettare esigenze e procedure precise e non standardizzate. Poiché ci sono altri sette clienti "facili", quelli "difficili" non sono più seguiti a sufficienza. Accade così che i colienti, che sono la vera guida di ogni settore artigiano, non portrano più il loro patrimonio di curiosità, errori, soluzioni, idee, innovazioni e la gran parte delle camicerie si adagia su un prodotto senza gran significato. E' significativo l'esempio del Finollo, che potrebbe gestire una produzione veramente elitaria e - grazie alla propria storia e clientela - seguire tradizione ed innovazione. Invece spinge una camicia banale, con asole a macchina, standardizzata anche nel prezzo, unico per tutti i tessuti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-05-2003 Cod. di rif: 251 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori - Avviso a Cavalieri, amici e simpatizzanti. Commenti: Cavalieri indefettibili, alleati, amici, il Prefetto cavalleresco Speranza si faceva interprete del dramma della categoria dei fiscalisti, molto impegnati per il condono, chiedendo di differire dal 14 al 16 Maggio il prossimo appuntamento bolognese per il secondo Laboratorio d'Eleganza con i Maestri Solito e Dante De Paz. Purtroppo i Maestri napoletani non hanno potuto far slittare altri appuntamenti precedenti, sicché resta confermata la data del 14 Maggio, Mercoledì. Questo evento rappresenta una ghiottoneria per gli appassionati e in particolar modo per i Cavalieri, in quanto i Maestri Bruno e Simone Peron presenteranno la prima scarpa realizzata con il pellame di cui in via assolutamente eccezionale e dopo due anni di miei personali sforzi diplomatici, la Alden ci ha fornito in 50 culatte. Non credo che la cosa possa ripetersi, sicché le calzature su misura prodotte con questo qualità di cordovano, irreperibile sul mercato se non già confezionato, resteranno uniche. Solo i Cavalieri potranno accedere a questo ben di Dio e già dal 14 si comincerà a stilare una lista di attesa. Ai cavalieri che si forniscono da calzolai artigiani diversi dai Peron, che detengono il "magazzino", chiedo di dichiarare per tempo la quantità ed il colore dei pellami di cui eventualmente necessitano, ricordando che nessuno può chiederne più di un paio. Al momento della richiesta preciserò i costi, che nkn conosco per essere stato il denaro interamente anticipato da Peron. Si tratta comunque di prezzi nell'ordine normale per un materiale eccezionale. Informazioni ulteriori, foto dei pellami e dei colori, sono disponibili sul sito, alla pagina Eventi, nell'area dedicata ai Laboratori bolognesi. Comunicherò con successiva mail e con pubblicazione sul sito l'orario previsto per l'intervento dei Maestri Peron Arrivederci a Bologna, dove sarò presente. Numquam Servavi! Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-05-2003 Cod. di rif: 254 E-mail: gran.maestr@noveporte.it Oggetto: Barba - Al signor Fantini Commenti: Egregio signor fantini, non conosco il lavoro della camiceria Barba, ma posso fornirLe il numero di telefono. Poiché Lei ha già avuto modo di formarsi una positiva impressione della loro camicia, da un contatto diretto potrà verificare costi, cortesia, disponibilità del prodotto. Il recapito telefonico è 081-5730286. Ho provato a chiamare io stesso alle ore 12.15, per verificare l'informazione ricevuta (capirà, io non faccio il giornalista e quindi mi permetto il lusso di controllare le cose che dico), ma mi rispondeva una segreteria telefonica. E' destino che tocchi a Lei sollevare questo velo. Ci faccia sapere tutto. Ogni notizia, buona o cattiva, può essere di interesse per questa Lavagna di cultori ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2003 Cod. di rif: 256 E-mail: gran.maestr@noveporte.it Oggetto: Clima e tessuti - Al signor Liberati Commenti: In merito alle grandi sofferenze per il caldo, la mia posizione è che non sia cambiato tanto il clima, quanto l'uomo, le sue abitudini e la sua capacità di scegliere l'abito adatto. Esaminiamo le cose punto per punto. L'anno scorso abbiamo avuto sei mesi di "mezzo-tempo", cominciato a Febbraio e finito a Luglio, grazie ad abbondanti piogge. Per clima primaverile non possiamo che intendere quello in cui il soprabito è di troppo, ma non è ancora tempo di mezzemaniche, soprattutto la sera. Quanto alle mezze maniche, le nomino solo come esempio, perché un gentiluomo si asterrà dall'indossarle in città se non per motivi specifici e prescrizione medica. Veniamo ai punti che hanno stimolato tante lamentele e l'apparenza di una mutazione climatica. Occorre premettere che un piccolo cambio di clima c'è stato, ma solo in certe zone della città, le più abitate e pianeggianti, dove l'abbondanza di motori, non solo quelli delle auto, ma quelli dei frigoriferi, dell'aria condizionata, dei computer, etc, hanno determinato un cambiamento microclimatico limitato alle zone centrali. Chi vive in collina, anche a soli duecentocinquanta metri più in alto del centro abitato, vive in una situazione completamente diversa. Il vero inquinamento non è quello da CO2 e monossidi, ma è un inquinamento termico che limita la circolazione verticale dell'aria creando una stabilità "micrometereologica". L'aria calda non può salire, nè viene spazzata da correnti laterali e quindi ristagna. Sono certo che in futuro ci arriveranno anche i metereologi. Chi frequenta città tropicali come l'Avana, dove un solo motore produce una carrettata di gas combusti, si accorgerà che i loro odori svaniscono facilmente, grazie alla circolazione d'aria. E' la mancanza di aria condizionata, niente di più, visto che in quella città il tenore di vita la permette a pochi. Dopo questa teoria metereologica, passiamo a quelle sociopsicologiche. L'uomo non è più in grado di sopportare più niente, se non i rompiscatole. Una giacca impone una certa disciplina fisica, quando portata in condizioni sfavorevoli. Occorre camminare e muoversi lentamente, evitare accessi d'ira ed ansia. Insomma, esercitare un self control che oggi è tramontato. I nostri padri non soffrivano meno, ma non se ne accorgevano. Sono cambiate anche le abitudini. Un uomo in giacca lavorava una volta otto ore al giorno o meno, lasciando ai signori in tuta orari più lunghi. Oggi è esattamente il contrario. Si esce al mattino e si rientra alla sera, sottoposti peraltro a un certo stress che facilita la sudorazione. Un disastro rappresentano le manovre di parcheggio, un misto di ansia e sforzi fisici deleterio. Come vede il contenuto psico-sociologico è determinante e dare la colpa all'anticiclone delle Azzorre è come dire che droga aumenti perché le siriche costano meno. La parte dove si può maggiromente intervenire è nella scelta dei tessuti. Mi sembra che oggi si conoscano così poco le caratteristiche tecniche di questi ultimi che l'uomo si indirizza sistematicamente verso quelli più sbagliati. Guardate in controluce una saglietta, apparentemente leggera, insomma una tasmania osimili. Non vedrete quasi filtrare la luce, così come non filtra l'aria. Aggiungete tele termoincollate, foderami sintetici ed avrete la sensazione di un cambio epocale di clima. D'estate si devono portare solo tessuti dall'armatura a tela e mai a batavia (saglie). Lini, tropical, mohair, shantung. Un buon colpo alla freschezza lo si ottiene eliminando la fodera alle maniche, cosa comune nella città di Napoli e riducendo o eliminando quella della parte posteriore. Qui rispondo anche alla Sua domanda in merito. Una giacca sfoderata si può indossare anche in inverno e certo la sua costruzione è più "svolazzante". In ogni caso è nettamente più fresca. De tessuti ho già parlato. Anche il cotone è plausibile, ma io imperterrito continuo a portare abiti solo di lana e lino, lasciando il cotone ai pantaloni isolati da portare con polo o camicia. Quanto alla camicia, occorre vigilare anche sulla qualità del tessuto: cotone ritorto, sempre piuttosto pesantuccio. Con un bel popeline mi sento perfettamente a posto anche all'inferno. In alternativa, lino, lino, lino. Bello, durevole, maschile, fresco (nelle camicie, perché nell'abito ....). Un piccolo trucco: gli assorbenti alle ascelle. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-05-2003 Cod. di rif: 259 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un punto cruciale Commenti: Caro Franco, mediante le osservazioni sull'abbigliamento, il tuo gesso coglie con mirevole precisione il fenomeno della decadenza generale dei comportamenti maschili, cui noi Cavalieri non possiamo assistere inerti. Intendo cogliere il tuo suggerimento di sollecitare un discorso sull'argomento, ma in questo caso l'abbigliamento non sarà più che una lente di ingrandimento che ci permetta di analizzare temi la cui natura esula dall'indagine puramente estetica per toccare la fenomenologia dello spirito. Peraltro la forma longitudinale delle lavagne è concepita per essere una sorta di diario, per dare spazio all'espressione di un parere isolato, ad un sistema domanda-risposta. Non è quindi questo, dedicato all'arte e tecnica del puro vestire, il luogo idoneo ad ospitare una discussione come quella che mi aspetto su questo "punto caldo". Ritengo quindi opportuno spostarci nel mio studio, area Posta del Gran Maestro, dove riverserò la tua lettera e risponderò. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-05-2003 Cod. di rif: 262 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Asola a macchina per Barba Commenti: Egregio signor Fantini, sinceramente mi sembra che la camiceria Barba non abbia molto da dire. Un'impresa come tante, che cavalca il momento in cui il mondo desidera credere di indossare qualcosa fatto a Napoli. La camicia proposta, ancorché valida al di fuori di certi canoni tradizionali, resta inaccettabile per l'idea di uomo che noi istituzionalmente appoggiamo senza cedimenti, in quanto l'asola è a macchina. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-05-2003 Cod. di rif: 264 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Napoli? Sarà... Commenti: Egregio signor Fantini, Lei certo ha maneggiato una camicia di Barba e quindi avrà potuto constatarne la qualità meglio di me. Quanto alle asole, nel sito della ditta si parla della cucitura dei bottoni, del giro manica, ma si tace sul fondamentale particolare delle asole. La mia idea si è quindi formata su questo silenzio in materia e sull'osservazione di un dettaglio di una loro camicia, ripresa nel loro stesso sito. Ingrandita, essa rivela un'asola da cui pende un peletto: segno di lavorazione a macchina. La mia impressione negativa non viene tanto dalla camicia, che non posso discutere sulla base di osservazioni così limitate, ma da certi dettagli: un numero di telefono che non ha risposto nè a me nè a Lei e che peraltro ho dovuto farmi fornire da un "addetto ai lavori", perché sull'elenco non figura, nè sulle Pagine Gialle, nè su quelle Bianche, nè su Virgilio. Nel sito non figura un indirizzo, nè un fax, nè un telefono, eppure si cerca di vendere tramite una scheda e-commerce. Si cita Napoli nell'indirizzo perché conviene, ma non sappiamo se poi tutto abbia sede lì o altrove. Non dimentichi che aziende importanti come Kiton si dichiarano napoletane, ma hanno stabilimento ed uffici ad Arzano, negozi a New York e Tokio, ma nemmeno un metro quadro nella città santa della sartoria, di cui si vantano di portare la bandiera. Un esempio così appariscente mi autorizza a stare sul chi vive, perché portare il nome Napoli oggi è un buon affare, ma se fossi io il Sindaco non accetterei che si sfoggi il nome della mia città senza impiegare le sue risorse, senza pagarvi una lira di tasse, senza in pratica avere con essa alcun rapporto. Troppo comodo, anche se funziona. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-05-2003 Cod. di rif: 266 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Come volevasi dimostrare Commenti: Bene Villa, ottimo lavoro. Come avevo ipotizzato, l'indirizzo www.barbanapoli.it non è un altro di quei trucchetti che anche nel Mar Giallo stanno studiando per far credere agli ingenui di essere in possesso di una tradizione partenopea. Del resto un bottone alto 5 mm è una caricatura che denuncia immediatamente l'origine provinciale. Il signor Fantini, come certo molti altri, era cascato in quest'inghippo (veda gesso n.253), ma d'ora in poi credo che starà più attento prima di credere a chi gli dica che una tal cosa (molto spesso una giacca o una camicia) sia napoletana e così quanto abbiano letto la discussione. Non mi piace dover dire cose antipatiche, non cerco lettori avidi di intrighi ed assassini. Però dall'Islanda o da Arzano lasciassero in pace Napoli. Se abbiamo i nostri problemi col traffico o l'immondizia non è giusto che dei vantaggi del nome sia pronto ad approfittare chi non vive e lavora in città. Se i nostri rappresentanti fossero più sensibili, non lascerebbero intentata un'azione per la difesa di un toponimo che è da solo un marchio ed un patrimonio. Questa ricchezza spetta però a chi nasce e/o vive e comunque lavora nel territorio cittadino che per legge si chiama Città di Napoli, dandole così qualcosa in cambio. Ora si comincerà a capire perché parlo sempre in modo favorevole di Rubinacci, Marinella o Solito, nostri veri ambasciatori. Essi portano dappertutto il meglio della città dove sono veramente nati come uomini e come aziende. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-05-2003 Cod. di rif: 267 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Errata corrige del gesso successivo Commenti: Bene Villa, ottimo lavoro. Come avevo ipotizzato, l'indirizzo www.barbanapoli.it non è che un altro di quei trucchetti che ... ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-05-2003 Cod. di rif: 270 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Meno leggi, più gusto. Commenti: Egregio Scudiero, vedo che Lei beve e stimola discussioni sull'abbigliamento, in tal modo portando alta la nostra bandiera. Due volte bene, Villa. Veniamo al punto. Il collo della buttondown, che è sempre a punte lunghe e non molto aperte, si differenzia da quello classico non tanto per essere ad angolo piuttosto acuto (anche il collo tradizionale può avere lo stesso angolo), ma per due particolari: lo spazio cravatta ed i bottoncini. Il primo non è meno importante di questi ultimi ed anzi è prevalente. Se abbiniamo allo spazio cravatta un collo a punte piuttosto allungate e morbide. avremo un effetto button-down anche senza i bottoncini. A questo punto, abbottonare o meno non mi sembra sottoposto ad alcuna regola aurea. Ho una vaga preferenza per il bottoncino slacciato, ma non ne farei una legge. Ricordiamoci anzi che di vere leggi ve ne sono ben poche ed ancor meno di legislatori, sicché occorre andar cauti con le petizioni di principio. Illustri esempi dell’una e dell’altra scuola lasciano le cose come stanno. L’unica accortezza è nel verificare che il collo si mantenga in forma e posizione corretti, senza svirgolare in malo modo verso l’alto o sovrapporsi alla giacca. In tal caso, non resta che mettersi l’animo in pace ed abbottonare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-05-2003 Cod. di rif: 275 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: T&A Commenti: Rievocando qualche pezzetto della nostra stessa storia cavalleresca, vorrei gettare uno sguardo sereno su Turnbull&Asser. Conosco piuttosto bene la ditta inglese, che ha partecipato su nostro invito e con grande impiego di mezzi ad uno dei Laboratori d'Eleganza (veda Colonna degli Eventi). Prima di entrare in contatto diretto, ero confuso dalla fama e dalla letteratura su questo prestigioso nome, che alla prova dei fatti ha leggermente deluso noi vecchie pellacce avvezze alle pericolose avventure artigianali. Quanto alle camicie, la fattura è senza alcun guizzo, di un livello industriale. La gamma dei colori è in molte parti improponibile per il nostro gusto, lontano dai rigatini sincopati così cari agli inglesi. C'è un però: la qualità del Sea Island è eccezionale. Moltissimi Cavalieri, riconoscendone la suprema qualità, chiesero ed ottennero di acquistare tagli di tessuto. Giunsero con regale puntualità, ad un prezzo che fu "politico" in occasione dell'appuntamento napoletano e grazie all'autorevole intervento di Marinella. Quest'ultimo ne regalò due tagli al nostro esigentissimo socio decano, che non è solito sprecare elogi, eppure da allora loda quel tessuto senza mezzi termini. Io ne ordinai un solo taglio, che anch'esso mi venne regalato da Maurizio, in un twill celeste a righino bianco. A distanza di due anni resta di un comfort insuperabile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-05-2003 Cod. di rif: 278 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni e progresso Commenti: Egregio Villa, la Sua ultima domanda fa riflettere. La parola progresso viene quasi sempre tirata fuori a casaccio, ma nessuno ha mai pensato al suo vero significato, alla sua radice matematica. Ritengo che si possa parlare di progresso quando in una qualsiasi attività si giunge ad un rapporto più efficace tra causa ed effetto, tra risorse e risultato. Un motore che pesa una tonnellata e sviluppa trenta Hp è meno progredito di uno che pesi cinquecento chili ed abbia una potenza di trecento cavalli. Quando si passa dal campo meccanico a quello umanistico, i risultati non si misurano in cavalli e sono molto articolati, sicché diventa più difficile parlare di progresso. Un telaio tessile, da questo punto di vista, potrà dirsi pogredito sinché migliora la quantità di prodotto giornaliero senza intaccarne la qualità. Oggi l'attenzione è stato abilmente trasferita dalla qualità reale su quella apparente, dove è incorporata in un nome e non nella cosa in sé. Investimenti in comunicazione aumentano il valore di quel nome ed il gioco è fatto. Gli oggetti tradizionali si conservano spesso nella forma, ma poiché i commercianti non sono più in possesso di una cultura del prodotto, la domanda di qualità autentica si esaurisce ed il contenuto pure, nè queste nicchie hanno accesso o interesse alla grande comunicazione. I corozi sono cambiati perché evidentemente le sostanze utilizzate per la tintura e burrattatura sono cambiate. Sinceramente ho trovato corni stupendi sino a pochi anni fa. Credo che sia ancora attiva una fabbrica di Piacenza, la Conti Vey, che produceva dei modelli stupendi. Lei che vive da quelle parti ed è così abile ricercatore, dia fondo al suo talento investigativo. Le chiedo anzi di redigere una scheda per il nostro portico, qualora le cose stessero come io spero. Quello che manca è un certio tipo di prodotto. Veniva una volta utilizzato comunemente un corno africano oggi molto raro e costoso (lo so perché lo utilizzo per rivestire astucci portasigari), ma tutto sommato il bottone in corno è ancora vivo. Approfitto per una piccola nota: la qualità la si vede di profilo: un grande bottone ha una tazza molto pronunciata, quasi emisferica, che fa risaltare molto la qualità del bottone dopo che è stato cucito. I buchi sono grandi e ben distanziati. La corona è alta, ben distinta ed ha profilo tondo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Sergio Di Filippo Data: 21-05-2003 Cod. di rif: 279 E-mail: sergio.difilippo@libero.it Oggetto: Tessuti e pinces Commenti: Egregio Gran Maestro, Vorrei cortesemente sapere da Lei, quale cultore e collezionista di tessuti, se riserva a questi qualche trattamento particolare prima di sottoporli nelle abili mani del maestro Solito. Le chiedo ciò perché in passato ho letto da qualche parte che i migliori sarti, bagnavano i tessuti e li pressavano tra i cartoni prima di tagliarli, ora mi risulta invece che sia invalso l’uso della cosiddetta “sfumatura” col ferro a vapore. Quale delle due soluzioni a Suo avviso è preferibile? Le sarei inoltre grato se potesse soddisfare un’altra mia curiosità. In una fotografia pubblicata sull’ultimo numero di Monsieur, (a pag. 30), ho notato una giacca che, se non mi sbaglio, presenta sui quarti anteriori una "pince" obliqua che parte dal giro manica e si ferma alla tasca. Mi farebbe piacere conoscere il Suo punto di vista in merito a questa tecnica e se questa risponde a qualche scuola particolare. Cavallereschi, cordiali saluti da San Daniele del Friuli - 21 maggio 2003 Sergio Di Filippo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-05-2003 Cod. di rif: 280 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Commenti: Egregio Cavaliere Di Filippo, i veri sarti bagnano ancora tutti i tessuti e gli interni e nessuno di essi adopera un ferro a vapore. Lei non è nuovo all'ambiente e sa che l'attrezzo che adopera un Maestro sarto è esclusivamente elettrico e pesa dai cinque agli otto chili. L'avqua viene data direttamente o su una tela di tasca, passando con un pennello fatto di vecchio tessuto sfilacciato. Ancorché nelle fasi di finissaggio questi ultimi vengano stabilizzati con il decatissaggio (passaggio di vapore caldissimo a pressione, che determina anche l'esaltazione o la scomparsa del vello), chiunque abbia visto l'effetto che su un tessuto ha il bagno e la stiratura sartoriali non può che convenire che essa sia insostituibile nel conferire al tessuto plasticità e corpo, morbidezza e fascino. Il segreto che Lei credeva io abbia esiste veramente ed è la stagionatura. Io posseggo una vasta riserva di tessuti, alcuni dei quali molto rari ed attingo sempre da essa. Non faccio mai cucire un taglio che non sia ben invecchiato. Soloil tempo ammortizza infatti lo stress del telaio e porta il tessuto nelle milgiori condizioni per essere lavorato. Un tempo rubinacci aveva dei grandi tralicci, simili a quelli sui quali si poggiano le assi per farvi lievitare il pane, ma sopra si adagiavano le flanelle per farle stagionare. Oggi sarebbe impossibile, per motivi di spazio e di costi, sicché il tempo ce lo troviamo sempre a giocare nella squadra avversaria. Possiamo batterlo con questo piccolo trucco. Quanto alla pinces che Lei segala, si tratta di una lavorazione tradizionale che in quel caso è piuttosto appariscente per la corporatura del soggetto. Non vado avanti per due motivi: il primo è che devo rispondere ad una complessa domanda proveniente dal signor Ghidini di Parma e so che mi occuperà molto tempo. Il secondo motivo è che so che Lei parteciperà anche alla seconda edizione dei Laboratori. Poiché il programma sartoriale verte sulla prima prova e quindi anche sullo scopo e la tipologia delle pinces anteriori, potrà fare questa domada ai Maestri Solito e ricevere - anche con una dimostrazione pratica - una risposta più soddisfacente di quella che potrei fornirLe io. Nel caso dovesse intervenire dopo questa fase, provvederò dopo il 28 a soddisfare la Sua curiosità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-05-2003 Cod. di rif: 281 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Commercio oggi e domani Commenti: Egregio signor Ghidini, la Sua domanda è veramente complessa, almeno quanto sincero il Suo sgomento. Vi sono vari motivi cui far risalire la crisi del settore abbigliamento. Una è una risistemazione dei bilanci delle famiglie a reddito fisso, nelle quali prendono sempre più spazio le comunicazioni. Computer, internet e telefonini rappresentano una voce nuova e consistente, che certamente ha sottratto interesse e risorse al Suo settore. C’è insieme una questione di riconoscibilità. L’uomo spende sempre meno per le soddisfazioni immediate e sempre più per quelle mediate, cioè che lo gratificano attraverso un senso di appartenenza al gruppo che rappresenta la sua patria sociale o il suo obiettivo sociale. Questa gratificazione è raggiungibile più facilmente attraverso il gadget di ultima generazione che con un capo di abbigliamento che si “sente” sempre meno proprio. Caro signor Ghidini, siamo in epoca di uniformi e la vittoria del capitalismo ne ha vendute molte più di quante abbia fatto il socialismo. Una grave responsabilità viene dal settore del commercio, che è gestito da persone sempre più incompetenti, non in grado di fidelizzare il cliente ad uno stile, ad un rapporto col magazzino, ad un prodotto, ad un dialogo col capo che ne tiri fuori la qualità. L’uso di testimonial sempre più diffuso ci indica con prove di fatto che il pubblico viene spinto ad un acquisto della tale scarpa non perché sia intrinsecamente valida, durevole e confortevole, ma perché la indossa il tale campione sportivo o quell’attore famoso. Insomma, la qualità dice sempre meno. A ben vedere, ritroviamo una giustificazione del genere anche nel trionfo del su-misura. L’uomo che vuole sentirsi individuo diffida delle griffe, spubblicate oltre ogni limite nella volontà sciagurata di produrre dal rubinetto alla calza e si rifugia nell’artigianato. Per molti, che vanno dal sarto senza una specifica cultura, non è nemmeno questione solo di qualità, ma di significato. Se voglio essere me stesso non posso scegliere qualcosa che possono avere in mille. Al di fuori di questo circuito, sta di fatto che originali ed imitazioni sono prodotte quasi sempre nello stesso bacino orientale di manodopera a basso prezzo. Sono pertanto molto vicine nella qualità reale e distraggono una quantità di pubblico, anche con congrua capacità di spesa. Al mercatino di Posillipo sono più le mogli di professionisti che le madri di famiglie monoreddito e credo che questa realtà sia di livello nazionale.Tutto questo porterà ad un’affermazione sempre maggiore del franchising, dell’abbigliamento usa-e-getta di basso costo e nulla durata. Abbiamo già detto che il problema è l’appartenenza, ma la grande comunicazione, ivi compresa quella cinematografica, indica ogni anno nuovi parametri. Non è importante avere un bel pantalone, ma un pantalone a vita così, con le tasche colà e via andare. In questo sistema non c’è spazio che per l’industria, che gode dei capitali per un’adeguata promozione. Questo sistema cattura sempre più persone e fasce sociali e d’età. Innanzitutto l’appartenenza ripete il suo cliché anche ad un livello molto più alto, quello delle griffe da migliaia di euro al pezzo. Più in basso, uomini e donne di mezza età o ben oltre la cinquantina si sentono chiamati a dimostrare di essere giovanili, perché quello della salute e della gioventù è un valore più spendibile ed immediato della classe e dell’equilibrio formale. Lo scenario è quindi complesso ed a mio parere irreversibile. L’artigianato sartoriale resterà sempre vivo, anche se con quelle rettifiche che ho già indicato molto tempo fa su questa stessa lavagna (faccia una ricerca con i sistemi a disposizione). Il commercio si evolverà privilegiando solo i grandi gruppi e quelli che sopravviveranno più a lungo saranno i piccoli grandi venditori, artigiani del rapporto umano e del gusto, capaci di far innamorare il cliente e di creare un’atmosfera che da sola sostituisca i lustrini ed i grandi manifesti. La nostra associazione è al loro fianco e cerca di mantenere ad oltranza un bacino di consenso per quanti si riconoscano nella tradizione della qualità e vogliano trovare altri che non accennino ad un ghigno nel vedere un cappotto ed un cappello. Il Cavalleresco Ordine ha voluto essere sin dall'inizio una piccola area a regime autonomo, dove poter dare importanza ad un gesto o ad un oggetto sapendo che altri potranno capire l’amore che c’è dietro una ricerca o un acquisto o anche solo in un desiderio. Mantenere viva una cultura significa anche tenere attivo un mercato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-05-2003 Cod. di rif: 287 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Felicitazioni al sig. Loretoni Commenti: A nome di tutti i nostri Soci mi rallegro per questo risultato che ora comprende essere non solo estetico, ma umano. Non voglio nasconderLe un certo rammarico, questa volta personale, per non aver avuto nè prima nè adesso notizie in merito al Maestro Curci, del quale non conosciamo un recapito e nemmeno il nome. Forse non immagina il volume di lavoro che viene svolto in questo castello per la propagazione di certe notizie rare e Lei stesso starebbe ancora vagando se da queste torri non fosse giunta la voce che Le ha indicato il cammino. Qui l'anonimato è bandito anche perché possa esservi una corrispondenza privata tra i Visitatori ed evidentemente la notizia del Decandia è passata attraverso questa Via. Avendone utilizzato la struttura, credo però che sarebbe stato opportuno farne accenno anche su questa Lavagna, in ossequio ad un debito morale. Purtroppo non siete di questo avviso e ne prendo atto. Ciò non significa che noi non si sia pronti in altre occasioni a venire incontro alle Vostre o altrui curiosità con tutti i mezzi a disposizione. Non si tratta di porgere l'altra guancia, ma per uno schiaffo i guerrieri non si distraggono neanche. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-05-2003 Cod. di rif: 289 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qui non tema i parassiti Commenti: Egregio Loretoni, la chiarezza fatta restituisce alla sua purezza la gioia che provo nel leggere la Sua soddisfazione. Quanto alla mia ramanzina, chi ha orecchie per intendere intenda e chi per farsele tirare, si accomodi. Non se ne parli più. Posso solo dire che nessuno avrebbe sorriso ai Suoi commenti. In ossequio ai princìpi del cavalleresco Ordine, questo castello è stato eretto proprio per proteggere dall'ironia - della quale, avrà notato, si fa pochissimo uso - la delicatezza di certi sentimenti virili oggi privi di quella scorza dura e di quell'autonoma fiducia in sé stessi che li preservava dai parassiti del facile consenso e della battuta volgare. Quanto alla Sua nuova fede nella sartoria, l'entusiasmo che leggo è quello di chi ha compreso la forza, come sempre di origine binaria, che attraverso il rapporto tra Maestro e Cliente si trasferisce nell'opera. Benvenuto tra noi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-05-2003 Cod. di rif: 292 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Mortificazione transitiva Commenti: Egregio Villa, come nostro agente in missione, il trattamento che ha ricevuto mortifica anche me. Mi comunichi i recapiti di questi bravi ragazzi, perché possa rendermi conto di persona della situazione. Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-06-2003 Cod. di rif: 294 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bentornato Commenti: Egregio signor Decandia, La rileggo con piacere, anche perché comprendo da questi improvvisi ritorni che segue assiduamente la vita del castello e dell'Ordine. La motivazione che adduce è pienamente soddisfacente e non lascia alcuna ombra. Spero di essere riuscito a far capire che ogni nostro tesoro è accumulato per restare a disposizione di quanti sappiano farlo fruttare. Essendo comunque partecipi della natura umana, come tutti detestiamo gli scrocconi che saccheggiano senza contribuire in nulla. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-06-2003 Cod. di rif: 297 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Consumare e ricomprare Commenti: Egregio Villa, il principale nemico della scarpa è il tavolo da gioco, quella delle giacche il guardaroba. Nel primo caso, occorre fare attenzione a poggiare la scarpa interamente al suolo, perché nelle molte ore di concentrazione è facile mantenerlo piegato a lungo e cagionare così pieghe e deformazioni. La tanto temuta camminata sotto la pioggia non avrebbe potuto determinare simili danni. Il guardaroba è la tomba delle giacche, solo però se essi sono riposti serrati l'uno sull'altro. In questo caso le prime a cadere sono le giacche di confezione, che muoiono o restano orrendamente mutilate. I loro petti infustati assumono torsioni indomabili dal ferro, scoliosi, lordosi o scifosi del quarto anteriore e del bavero, insomma gli esiti di una guerra, altro che letargo! Temono gli spazi ristretti anche le giacche di sartoria, soprattutto quelle in tessuti leggeri. Evitate quindi che Vostra moglie guadagni spazio centimetro a centimetro, stupita dallo spazio che vede tra le Vostre giacche. un tubino oggi, un pantalone domani, e le Vostre belle giacche si ritroveranno come un panino nella piastra del rosticciere. In ogni caso, riporre i vestiti in un astuccio è la cosa migliore, perché evita i rischi che una giacca possa restare con un quarto piegato male o che l'inserimento di una giacca possa guastare la postura delle altre. Aperto o chiuso penso abbia poca importanza, ma anch'io faccio come Lei. Gli abiti e i pantaloni di flanella vanno indossati con un giorno di riposo tra una performance e l'altra. Gli altri non subiscono gli stessi danni, ma, indossati in lunga successione, dureranno molto meno che se avessero avuto il tempo di riposare di tanto in tanto. Per i tessuti, ribadisco l'efficacia delle foglie di alloro e di tabacco. Quanto alla cura, è vero che la giacca non viene mai a contatto con la pelle, ma i capelli in estate riescono a fare parecchio danno. Quando i soldi erano pochi e un abito un avvenimento, ricordo che nei lini (che se scuri stingono e se chiari si macchiano) e in genere nei tessuti si prevedeva un collo di ricambio. Oggi sono restato l'ultimo ad avere problemi a spendere qualche migliaio di euro per un vestito e quindi l'unico a conservare quest'abitudine, che premette di prolungare non poco la vita di un capo. Chiedee al sarto di sostituire un collo farebbe oggi sentire chiunque un paria diseredato. Ricordare che un altro nemico è il sudore, per cui in occasioni di rischi ambientali è meglio premunirsi con assorbenti ascellari. Quanto alle lavanderie, una volta il lavaggio annuale del collo avveniva con la "polvere di sapone", una sorta di talco finissimo che - applicato per almeno ventiquatro ore - assorbiva tutto l'unto dalla zona ombrata dall'uso preventivamente inumidita. Era così che i Maestri Sarti napoletani insegnavano a manutenere la giacca. L'ultimo negozio che disponeva di questo prodotto ha chiuso tre anni fa ed oggi si deve correre il rischio della lavanderia o dello smacchiatore. Si può comunque provare a sotituirlo col talco, usato anche per smacchiare le cravatte. Inumidite il collo con poca acqua, aspersa con un panno bagnato. Adagiate una buona quantità di talco sul collo un pò unto e attendete oltre ventiquattro ore. In seguito spazzolate. Ricordate che la spazzola, come dice il buon Villa, è la migliore amica della giacca. Va usata il più spesso possibile, ma anche qui si vedono dei cambiamenti. In camera da letto, una volta figurava su tutti i comò la spazzola da abito, che veniva usata quotidianamente. I motivi di cui sopra, cioè l'ansia di consumare e ricomprare, ha cancellato queste usanze. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-06-2003 Cod. di rif: 300 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vapore e tabacco Commenti: Egregio Villa, concordo con l'utilità del vapore. Abbinato alla spazzola, è una vera cura di bellezza e permette una pulizia a fondo. Uso anche la spazzola a vapore, eccellente per togliere pieghe alle maniche e alla pettola posteriore, Indispensabile per restituire tono alle cravatte e ai cappelli. Quanto al tabacco, il reperimento non è un problema. Da anni volenterosi viaggiatori riportano da Cuba dei cilindri di questo materiale, assolutamente inadatti alla combustione e utilissimi in cassetti ed armadi. Parlo degli Avana falsificati: come mettono in fuga i migliori tra i fumatori, così fanno con i peggiori tra gli insetti. Il prodotto si presenta sotto forma di sigaro, ma non lo è. Bisogna sezionarlo, umidificarlo al vapore, distendere le foglie e il gioco è fatto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-06-2003 Cod. di rif: 302 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni e risvolti. Commenti: Egregio Villa, quanto ai bottoni da giacca blu, ovvero da blazer, la scala che interpreta al meglio il linguagio dei bottoni è la seguente: Bottone di corno nero (introvabile) o di corozo per chi la veste anche con scarpa nera e intende destinare il capo ad un utilizzo professionale. Considero un errore l'utilizzo della scarpa nera, ma tant'è che l'uso rinnova le regole equindi oggi la si vede senza storcere troppo il naso. In ogni caso, il bottone in questi materiali consente, anche con scarpa in camoscio o vitello in colori ramati, di esprimere un certo allure anche in spezzato e conferisce una certa gravità a questa giacca dalle origini sportive, oggi accettata ovunque. Bottone in metallo bianco per utilizzo promiscuo professionale e tempo libero, ma in questo caso la scarpa nera stona decisamente. Bottone dorato per uso esclusivamente al di fuori del lavoro, meraviglioso al circolo o nei week-end. Quanto al pantalone, la larghezza 19 è leggermente "di tendenza" e le sartorie classiche preferiscono dare un cicinino in più. A volte, quando il polpaccio è grosso o piuttosto incurvato (non mi sembra il Suo caso) si tratta di un accorgimento che evita alcuni inestetismi. Il risvolto,per la Sua altezza, mi sembra possa tranquillamente stabilirsi anche sui 4,5 cm. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2003 Cod. di rif: 304 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Possessione Commenti: Egregio Villa, l'influsso di Satana è evidente in queste oscenità che si agitano nella Sua mente. Forse non è ancora il caso di ricorrere ad un'esorcista, ma vigili. Si comincia con l'applicare il marrone sul blu e si finisce sul grigio. A quel punto la possessione è irreversibile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2003 Cod. di rif: 306 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La prima legge dei bottoni Commenti: Implacabile Villa, non mi piace stabilire regole, anche se le so rispettare molto bene ed anzi mi ci diverto quasi sempre. So però di non sbagliare nel demonizzare il bottone marrone su completi non in tinta o su blazer. Lei rimanda agli impeccabili abbinamenti azzurro-marrone che in Italia furono inaugurati in TV da Mike Bongiorno e fuori di essa, con autorità assoluta, da Giovanni Agnelli. Nulla da eccepire, anzi noi napoletani rilanciamo da sempre con l'abbinamento blu/verde sia cravatta-giacca che cravatta-camicia a bastoni. Non è questo il punto. Un accostamento, pur valido in astratto, deve tener conto del ruolo concreto del capo o particolare interessato. Una scarpa bianca rimanda ad un contesto diverso da una camicia bianca. Esaminiamo allora il problema non dal punto di vista dell'abbinamento in sé stesso, ma delle sue conseguenze. Innanzitutto il bottone non è un accessorio, ma una parte costitutiva del capo. Una delle antiche leggi non scritte e non scrivibili (ora che l'ho fatto, già essa cambia o si presenta diversa da come intendevo), vuole che le parti costitutive, come bottoni, foderami, cuciture, impunture, siano tinta su tinta. Si mimetizzino, insomma. I bottoni saranno sempre leggermente più scuri del fondo e il cotone o seta che lo ferma,leggermente più scuro del bottone. Tutto ciò, a ben vedere, ha una motivazione comprensibile. Mantenendosi ton-sur-ton, non si pregiudicano le possibilità e gli abbinamenti futuri. Un bottone marrone sul blu come si abbinerebbe, ad esempio, con scarpe nere? in defintiva, un bottone in contrasto, anche minimo, avrebbe un effetto limitativo proprio nel momento in cui crede di esprimere un'istanza di libertà. Il sistema linguistico dell'abbigliamento ci insegna molte cose e non lascia nulla al caso. Ogni risultato estetico, per una statua come per una giacca, per una colona come per un pantalone, non può prescindere da una conoscenza dei linguaggi che la storia ha depositato in ogni particolare, da uno studio delle proporzioni e delle relazioni delle parti tra loro e di ciascuna col tutto. L'estetica è una scienza come quella giuridica: non è esatta e per ogni sentenza in un senso se ne potrà trovare qualcuna in senso contrario. Il criterio scentifico a volte ci allontana ed a volte ci avvicina sia alla bellezza che alla giustizia, ma alla fine, anche dopo averle a lungo cercata, sono solo quelli che ci credono a vederle. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-06-2003 Cod. di rif: 308 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: De polsinibus Commenti: Egregio Meneghini, il polsino "alla francese" non può essere una cafonata, in quanto un Bond di alta epoca lo sfoggia sulle sue camiche di Charvet. Appare in uno dei primi film, che a memoria mi sembra essere o Licenza di Uccidere o Missione Goldfinger. Si tratta di una finitura piuttosto impegnativa, di quelle che espongono a numerosi commenti. In questi casi occorre fare attenzione ai commenti femminili. Se una cosa viene notata più di una volta come "molto carina", va immediatamente gettata in vasca di acido cloridrico in concentrazione 100% ovvero seppellita nel "Cassetto degli Errrori". L'effetto di un capo o dettaglio non è mai assoluto, ma comunque relativo alla persona ed alla personalità. Lo stesso polsino potrebbe suscitare nefaste approvazioni su Tizio e proficui silenzi su Caio. In ogni caso, la scelta di questo modello impone tessuti corposi, che mantengano erto e vigile il grande risvolto che lo caratterizza. Il mio polsino porta asole e cuciture dei bottoni in contrasto, nei tre colori: verde, blu, vinaccia. Se si vuole distingure, può usare questo sistema, ma ormai è stato introdotto anche da alcune case industriali, anche se per tutte le asole e non limitatamente al polso, come uso io. Un metodo più raffinato per far risaltare il polso è quello di farlo lungo almeno 8,5 cm, con interni leggeri, per portarlo talvolta rivoltato. Non La conosco, ma La metto in guardia: il polsino rivoltato, usato ad esempio da Sartre, Cocteau, Picasso, è compatibile storicamente e scientificamente solo con soggetti sinceramente impegnati sul piano intellettuale o artistico puro, mentre risulta disastroso sul tipo manager. Un sistema meno appariscente, ma di sicuro effetto, è quello del "bombarozzo", che più volte ho descritto e che anche nel polsino ha un efficacia a prova di bomba. Attenzione, però. Lo rende molto, molto meno duraturo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-06-2003 Cod. di rif: 310 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Digestione in corso Commenti: Egregio Villa, è ovvio che ad un Gran Maestro non costa grande sforzo leggere un pò di futuro. Quei pericoli che da tempo avevo segnalato nell'utilizzo del nome "NAPOLI" si fanno ora evidenti al punto che chi ne avesse dubitato potrà ora rendersi conto che l'incontrollato uso di un nome lo svilisce e lo penalizza. La parabola non si è ancora conclusa, il mercato non sarà sazio sino a quando non ci avrà digeriti. Se tutto è napoletano, allora nulla lo è. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-06-2003 Cod. di rif: 314 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I risvolti della questione - Al sig. Meneghini Commenti: Egregio Meneghini, il battitacco è uno di quei dispositivi che contribuiscono alla durata del capo e quindi sono un segno di coerenza a quell'atteggiamento virile di cura delle proprie cose che oggi arretra di fronte al fascino opulento dell'usa-e-getta. Non ha alcun senso un rinforzo lungo l'intera circonferenza e quindi concordo con Lei nel limitarlo ad una mezzaluna. Concludo l'argomento segnalando che il battitacco è sommamente utile per chi porta il pantalone un pò oltre la misura corretta. Se infatti esso si ferma appena sulla scarpa, per lasciarne il contatto al primo movimento, la stoffa non subisce uno sfregamento tale da cedere al risvolto prima di quanto non debba inesorabilmente fare alle tasche o al cavallo. Diventa in questo caso una precauzione aggiuntiva, comunque lodevole. Quanto al risvolto, non mi piace quello da due soli cm. Tutta la libertà che ci si può prendere in questo caso va dai quattro ai quattro e mezzo. Cinque per particolari altezze. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-06-2003 Cod. di rif: 315 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre temi e mezzo - Al sig. Fava Commenti: Egregio signor Fava, la Sua lettera pone molti interrogativi, tutti di interesse generale e di difficile soluzione. Cerco di esaminarli uno per uno, rivolgendomi anche agli altri Visitatori perché contribuiscano ad affrontare questi temi delicati. 1 – L’Eleganza - E’ naturale che essa non abbia una sola forma, visto che non ne ha nessuna. Essa infatti è spirito più di quanto sia materia e i suoi oggetti sono strumenti sempre fungibili. Un bel pantalone ed una camicia, entrambi nei tessuti giusti, possono essere eloquenti quanto un frac. Ovviamente chi aspiri alla purezza vestirà su misura, ma la scelta dei capi è funzionale alle situazioni, perché essa è completa armonia tra le parti, tra le parti ed il tutto, tra il tutto ed il contesto, tra il tutto ed il soggetto, tra il contesto ed il soggetto. Come ha visto il tutto, ovvero il complesso dei materiali e atteggiamenti che ci definiscono esteticamente, deve sostenere il confronto con due istanze: una soggettiva, cioè l’individuo, ed una oggettiva, cioè la situazione contingente. Questo ci porta al secondo punto. 2 – Il ridicolo - Lei teme il ridicolo per due motivi. Il primo: vestire in giacca dove nessun altro lo fa. Ciò potrebbe essere vero per Lei e non per un altro, perché l’abbigliamento e l’atteggiamento non giustificate dal contesto potrebbero esserlo dall’individuo, dalla sua storia, dalla sua personalità. Chi è totalmente calato nella tenuta formale non sembrerà ridicolo in cravatta nemmeno sulla barca (ricorda la mia celebrazione di Gardini?). Il secondo: vestire in giacca e poter essere chiamato a lavori manuali. Non si può lavorare al tornio con la cravatta, ma leggo che Lei è innanzitutto il padrone ed in secondo luogo lavora per la gran parte del tempo al computer. Non faccio questioni personali e non Le do suggerimenti, ma uso la Sua vicenda come esempio. Ebbene, chi veste sempre in modo formale si sentirà a suo agio se capita di trovarsi in giacca e cacciavite. Ho visto molte volte mio padre, che ha un gran talento per la meccanica, riparare il lavello o la macchina del caffè con il suo cappello in testa, giacca, cravatta, sciabola e decorazioni. 3 – La democrazia – Mi sembra di leggere una certa sorpresa nello scoprire che la bellezza e l’eleganza non siano per tutti. Bene, lo confermo. E’ così. Nessuna costituzione considera questi valori e quindi la cosa è non solo vera, ma anche legale. D’altro canto, la bellezza e l’eleganza vengono da una selezione estrema, che non possono tener conto dei pareri o dei voti altrui. La ringrazio infine dei complimenti. Come editorialista di MONSIEUR mi compiaccio di avere un lettore così attento. Ancor più, come Gran Maestro del Cavalleresco Ordine e Capitano di questo castello, mi onoro di aver conosciuto un altro di quei Visitatori che – dopo lungo silenzio – trovano l’occasione per rivelarsi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-06-2003 Cod. di rif: 321 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Idealità - Al signor Fava Commenti: Egregio signor Fava, innanzitutto mi compiaccio per lo spirito positivo e propositivo con cui ha accolto gli interventi a Lei indirizzati, peraltro provenienti non a caso da nostri Soci effettivi. Mi auguro che l'influenza di Villa, Rizzoli e la mia stessa possano ridare fiducia a quella parte di Lei che non si sente a suo agio abbandonando le insegne di un'estetica più organica alla vera natura dell'uomo. Non creda a chi lo rappresenta schiavo dei propri appetiti pratici ed economici. Forte è in lui la parte spirituale, pronta ad infiammarsi in un attimo o a sacrificarsi per anni. E' questa idealità che ci parla nel linguaggio della compostezza classica. Seguire i falsi idoli della comodità e del disincanto alimenta la pratica dell'usa-e-getta e favorisce la dispersione di un patrimonio accumulato con fatiche millenarie. Veniamo a Borrelli. Non ho alcuna simpatia per questo produttore e vado a spiegare perché. Luigi Borrelli è partito dalle camicie, ma vende ora anche scarpe ecappotti e magari domani ricambi per auto. Lei crede che una simile impresa possa fornirLe qualcosa di veramente artigianale, di veramente su-misura? Io no. Mettiamo bene in chiaro una cosa che non è mai stata detta: il su-misura può nascere solo a seguito di una conoscenza diretta tra cliente e artigiano o almeno tra cliente ed un responsabile diretto. Quando A) prende le misure per trasmetterle a B), il quale non conosce il committente signor C), come potrà mai trattarsi di un vero su-misura? Il cliente perde ore da un artigiano per spiegargli come vuole essere cucito il bottone o ricamata la cifra. A che serve illustrarlo a persona diversa da quella che eseguirà il lavoro, o ne è almeno direttamente responsabile? Quando si sarà ottenuto un risultato non perfetto, come andare a migliorarlo? C'è poi un'altra grave considerazione. Aziende come Borrelli ed altre stanno trascinando il nome di Napoli - il cui valore era nel legame con una forte tradizione artigiana e in un'estetica precisa ed orgogliosa - a legarsi con realtà che tradiscono questi principi. E' un vero e proprio saccheggio incontrollato. Il Made in Naples si è affermato sulla base di una specializzazione estrema, di una manualità esasperata, di una creatività indipendente da un lato e tradizionalista dall'altro. Quando un marchio si identifica con Napoli, ma propone la stessa gamma di Zegna o Corneliani, svuota il nostro patrimonio cittadino di significati e di valori anche venali. Borrelli almeno ha negozi e laboratori in città e quindi usa legitimamente il nome, ma ho fatto esempi come Barba e Kiton che non hanno proprio nulla a che vedere con la città (a parte la residenza personale) e ne utilizzano il nome. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-06-2003 Cod. di rif: 322 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pantaloni - Allo Scudiero Villa Commenti: Egregio Villa, parto ad esplorare gli argomenti da Lei proposti nel gesso n. 320. Non ho risposto subito, come è mia abitudine, perché impegnato in una campagna cavalleresca all'estero. Ne potrà leggere la destinazione nella Lavagna e nel Taccuino della Gola. 1 - Pantaloni e bottoni. Posta pari a cento l'importanza che il bottone ha nella camicia, possiamo dire che nella giacca essa scenda a venticinque e nel pantalone a dieci. Nulla va trascurato, ma va anche tenuto presente che la bottoniera dei pantaloni è lontana dai fuochi centrali che abbiamo chiamato gli "occhi" della tenuta classica. Errori in materia sono dunque perdonabili. Un bottone di plastica potrà qui passare inosservato, mentre su una camicia rappresenterebbe una condanna inappellabile. Dobbiamo ricordare che l'effetto finale deve guidarci più del piacere del paricolare. In questo specifico caso, i bottoni piatti a quattro fori fresati, insomma quelli tipici dei pantaloni, sono quasi indistinguibili. Va fatta però una considerazione: il bottone in questione ha una forma specifica: è piatto per ridurre l'ingombro e tagliente ai bordi per facilitarne l'inserimento nell'asola. Questa forma si giustifica alla patta e in tutto il complesso sistema di cinturini e bottoni interni che chiudono un classico pantalone maschile di fattura artigianale. Non ha senso invece al cinturino, dove andrebbe meglio sistemato un bottone tradizionale, ben cucito a croce, in armonia con peso, colore e natura del tessuto. Andrà abbinato alla giacca se si tratta di un completo. La presenza di questo bottone anteriore influenza anche i due posteriori alle tasche, che completeranno un terzetto in materiali naturali. Qui infatti non ci si potrà esimere da un corno o da un corozo. A chi abbia dubbi circa la comodità dei bottoni tradizionali alle tasche posteriori posso aggiungere che nella seduta essi non rappresentano alcuna differenza con quelli piatti, perché si trovano comunque ad un'altezza che non incontra la sedia. Il bordo tagliente del bottone da pantalonaio è anzi molto più facile ad incastrarsi in qualche sedia di vimini o comunque ad incepparsi sulle diverse superfici, andando via prima di quello con una tazza più sferica e un bordo più alto. 2 - Pinces. Gli inglesi le portano rivolte all'interno, noi all'esterno. Possono essere una, due o tre coppie, ma la seconda soluzione è la più usata. Le pinces rendono più ampio il "grembiule" ed evitano, o dovrebbero evitare, che nel piegarsi, sedersi, alzare il ginocchio, una gamba troppo stretta dia fastidio sfregando sulla coscia. Dico dovrebbero perché molto gioca il taglio del pantalone, che deve scendere libero e nascondere le gambe così bene e con tanta disinvoltura che esse non devono più nemmeno immaginarsi. Naturalmente chi è di fisico magro potrà vestire con un flat-front senza avere i problemi che avrebbe un soggetto la cui circonferenza della vita e della coscia è molto superiore. Quanto agli abbinamenti, credo che l'abito completo vada con le pinces. Due è il numero normale, ma la pince singola non è male e contribuisce a creare un'aria executive di uomo sicuro e determinato. E' consigliabile l'uso di una sola pince su tessuti pesantissimi, da 30 once per intenderci, dove la pince piccola esterna resterebbe un pò legnosa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-06-2003 Cod. di rif: 324 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le pinces nel minimalismo neosavonaroliano Commenti: Caro Franco, il tuo gesso non contiene solo una domanda, ma un particolare edificante. Il recupero di un pantalone o di qualsiasi altra cosa è un lavoro meritorio per il suo contenuto morale e la storia delle tre pinces che diventano due è degna di nota in sé stessa. Quanto alle tre coppie di pinces, ho ancora nell'armadio qualche pantalone cucito con questo sistema. Anche se dovrei dimagrire quindici chili per indossarli li ho conservati come cimelio. Posso quindi confermare l'esistenza in un passato non remoto di questa tecnica, peraltro dai notevoli risultati estetici. Le tre pinces girate all'interno con un fisico piuttosto asciutto e una vita non troppo alta sono splendide, forse troppo ricche in questi tempi di minimalismo neosavonaroliano, in cui si è riusciti a far credere che la purezza e la salvezza risedano nella sottrazione di qualcosa. Meno zucchero, meno grassi, meno alcool, meno nicotina, meno sesso, meno velocità, meno calorie, inevitabilmente: meno pinces. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-07-2003 Cod. di rif: 328 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pitecantropi e cinocefali - A Pellegrino e Villa Commenti: Innanzitutto un ringraziamento, così di sfuggita, al signor Pellegrino. Oggi ho consegnato all'editore un nuovo compito a casa, in cui ho esplorato, ingrandito, interpretato, la stanza da bagno maschile. E' un affresco dominato da grandi pennellate di un maschilismo sereno e convinto, fisiologico e matematico, alieno da polemiche. Il tutto ho pertanto sentito come intimamente dedicato ai nostri Soci e comunque alla mentalità che emerge dalla Carta dei Principi, dallo Statuto e dalla storia del nostro incrollabile sodalizio. I Cavalieri hanno accettato con entusiasmo di vivere e pensare con questo patrimonio genetico e culturale. I Visitatori che ne siano restati contagiati e vogliano disintossicarsi potranno farlo solo con una lunga astinenza dalla frequentazione della mia penna e di questo castello. Lo dico subito, perché devo far uso di argomenti pericolosi nel prosieguo. Quanto al gesso dell'instancabile Villa, mi ricorda un episodio che ho raccontato nel mio pezzo sulle camicie in cui un pitecantropo disprezzava le piegoline delle asole fatte a mano, ritenendole difetti. Il cliente della camiciaia parmense sembra essersi ravveduto, ma ci lascia fare una considerazione: attenti ai commenti muliebri in materia di abbigliamento maschile. Le donne e in particolare le mogli sono talvolta accecate dalla facilità di stiro e comunque per una innata tendenza il loro occhio vuole riposare su superfici liscie e lucenti, piuttosto che arrampicarsi su pieghe e difettucci, ruvidezze e rusticità. Il protagonista della storia parmense si era fatto certamente influenzare da una vocina che vantava la facilità e docilità con cui una tela incollata riprendeva la forma, sempre la stessa e per questo sempre sbagliata. Credo che anche nel caso citato da me sia stata una corte femminile a emettere la condanna fatta propria dallimprovvido cinocefalo. Pardon, pitecantropo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-07-2003 Cod. di rif: 330 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Italian Style Commenti: Egregio Signor Pugliatti, effettivamente all’alba degli anni 50 si affermò un Italian Style semplice, morbido e pastoso. I rever si snellirono solo con la fine del decennio e ai primi anni sessanta erano ridotti al loro minimo storico. In quegli anni furono proprio Domenico Caraceni come sartoria e Brioni come stilista i capofila di un movimento che destava ammirazione (e fatturato) nelle settimane fiorentine di moda. Lei forse saprà dal mio pezzo sulla sartoria pubblicato da MONSIEUR che considero oggi tre tipologie generali: inglese, napoletana ed internazionale, ma questo riguarda solo la sartoria e non la moda pronta. Non riesco però a scorgere in sartoria questa rinascita di uno stile italiano, atteso che tutto il mondo maschile sembra ora guardare verso Napoli. Quello che non è napoletano e non è inglese, anche se nato come italiano, è da considerarsi a mio avviso internazionale, cioè uno stile senza frontiere che trova campioni a Milano, Parigi o altrove. Se ho ben compreso quello che Lei intende come Italian Style, fu proprio il napoletanissimo Angelo Blasi il campione di questo stile semplificato nella linea, teso a dare innanzitutto l’idea di un uomo dinamico. Oggi non saprei indirizzarLa meglio che da Giovanni Celentano, che lavora a Roma ed ha origini partenopee. Questa doppia natura gli consente di utilizzare certe citazioni napoletane senza connotare troppo fortemente la sua giacca, che resta quindi quanto più vicina possibile al modello che credo Lei abbia in mente. Ha il laboratorio in Roma, Via di Vallarsa n. 13, tel. 06.8181909. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: gino miriti Data: 05-07-2003 Cod. di rif: 331 E-mail: miriti@hotmail.com Oggetto: splendido sito Commenti: complimenti vivissimi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2003 Cod. di rif: 341 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Alta qualità Commenti: Vedo che la discussione, alimentata da un nome classico come quello di Forni e da new entry come Pugliatti e Lupo, si scatena in discussioni e considerazioni molto complesse. Per il fine settimana sono stato un pò lontano dal castello e rientrando ho trovato questa Porta quasi consumata. Mi metterò presto in pari, intervenendo laddove sollecitato. La qualità dei gessi e delle questioni proposte è elevatissima e richiede un minimo di riflessione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-07-2003 Cod. di rif: 345 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: London lounge/English drape - Risposta al gesso 332 Commenti: Egregio signor Pugliatti, questo Suo gesso è particolarmente ricco di spunti ed alla fine introduce un problema interessante, sul quale darò un’opinione suscettibile di ulteriori interventi e pareri. Andiamo con ordine. Blasi è scomparso pochissimi anni fa, ben ultranovatenne. Fu effettivamente molto attento agli sviluppi commerciali della sartoria ed il primo sarto napoletano a creare un’impresa da confezionista. Può darsi che questo dettaglio abbia infastidito il gentiluomo di cui Lei parla, ma non può negarsi che Angelo Blasi fosse un Maestro con tutti i crismi, anche se il meno napoletano dei napoletani. Condivido la Sua visione dello stile Caraceni, anche se quello cui Lei fa riferimento è più quello “ministeriale” praticato a Milano che quello del caracenismo romano. Quanto al taglio “london lounge”, esso non identifica solo la giacca doppiopetto a quattro bottoni, ma un’idea di maggiore pulizia partita da Londra per aggiornare la giacca dal taglio modellato. Quest’ultima, nota come “english drape”, venne talmente copiata fino a darle spalle troppo larghe e un petto da gorilla. Da Londra ripartì nel 1935 una rivisitazione in termini di purezza stilistica che previde un “prosciugamento” di quelle lentezze che erano state distintive dell’ english drape, affermatosi cinque o sei anni prima. Il taglio london lounge si applicava quindi anche ai monopetto, proposti spesso con il peack lapel e si concentrava nel conferire comodità e morbidezza lasciando le superfici più rette possibile. Una reazione a quei mostri che vediamo in alcuni figurini americani contemporanei e che in realtà continuarono nella mutazione genetica sino a diventare nei 40 delle vere e proprie caricature, spesso apparse nei film. Questa lotta alla piega restò poi un must della sartoria inglese, che ne distinse definitivamente la strada da quella napoletana o da una parte importante di essa. A mio avviso, il doppiopetto a tasche tagliate resta più bello a sei bottoni. Non c’è motivo di rinunciare ad una certa teatralità che questo modello ispira e che – contrariamente al Suo parere – lo lascia come il preferito dei sarti napoletani di tradizione. La morbidezza e pastosità non derivano dal taglio, ma dalla lavorazione dei petti, del collo, dei davanti e possono restare tali anche sul sei bottoni. Non dimentichiamo che la giacca napoletana si presenta più lunga delle altre e che pertanto riesce a dare gran linea anche al doppiopetto sei bottoni Se parliamo di doppiopetto a tasche applicate, occorre essere molto alti per ottenere un sei bottoni di cui la coppia alta non sia geometricamente ad un’altezza tale per cui il sinistro finisca per dover essere cucito sul taschino, il che è impossibile. Per questa tipologia prende allora vigore il quattro bottoni, ma un capo con l’abbottonatura in basso richiede una perfezione di taglio non comune, altrimenti sembrerà troppo aperto e invece che al Duca di Windsor si rischia di assomigliare ad un cantante di piazza. Il capo che Lei descrive resta un pezzo di bravura destinato a pochissimi clienti di poche sartorie. Mi compiaccio della Sua competenza e spero di rileggerLa ancora. Se in qualcosa l’ho contraddetta, non la prenda come una competizione. Dio non voglia che in queste Lavagne si ingeneri una lotta per una stupida supremazia a chi ne capisce di più. Per evitare questo, Le riconosco tutti i Suoi meriti. Le rimprovero un pò quel “caro”, incipit riservato a chi si conosce personalmente (e da tempo) e in questo caso assolutamente inadeguato al rigido formalismo che protegge questa fortezza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-07-2003 Cod. di rif: 348 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abito bianco e forze universali Commenti: Caro Franco, la tua dissertazione sull’opportunità di una corrispondenza tra l’abbigliamento ed il ciclo stagionale non semplifica il fenomeno, riducendolo alla temperatura, ma lo iscrive in una dimensione universale. Mi piace. A questo punto nulla si può eccepire sulla validità dell’abito bianco. Lo hai già detto tu, non può e non deve figurare ad una cerimonia, cui aggiungerei le situazioni formali di lavoro, ma altrove resta criticato senza motivo. Io suggerisco di indossarlo nel tempo libero ed in situazioni dove non vi siano grandi concentrazioni di persone, a prescindere dal motivo della riunione. Perfetto per passeggiare, per andare in una piccola comitiva o sorbire l’aperitivo in un bar di prima qualità, al circolo eccetera. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-07-2003 Cod. di rif: 349 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risposta a Forni Commenti: Il gesso qui in calce risponde al n. 333 di Franco Forni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-07-2003 Cod. di rif: 350 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al sig. Lupo - Risposta gesso 334 Commenti: Egregio signor Lupo, innanzitutto mi compiaccio per la competenza con cui ha dato qualche altra pennellata all’affresco che stava venendo fuori sugli anni italiani del vestire tra i 50 e i 60. Completerei il tutto ricordando che in quegli anni confezione e sartoria non si erano ancora separati troppo. La prima aveva bisogno della seconda per guadagnare un’autorità che non aveva ancora. Dopo l’ascesa e decadenza degli stilisti maschili nel settore del classico, vedo di nuovo la moda bussare alla porta dell’eleganza in cerca di un passaporto che ha perso, di un capitale che ha dilapidato. Nessuno sembra rendersi conto di questo squallido fenomeno: né gli artigiani, che cedono alla tentazione di legare il loro nome insieme a quello di industriali, né la clientela, che preferisce credere alla favola del sartoriale. Meno di tutti la stampa, prosseneta interessata alle percentuali su questa relazione pericolosa, tutta a vantaggio del più forte. Quanto alla questione dell’asola sul rever a lancia, io sono contrario. Se si vuole mettere un fiore, si indossi un altro smoking. Non è infatti obbligatorio averne uno solo. L’asola nasce da una vaga funzione di abbottonatura del collo, che ancor oggi su certe giacche sportive viene permessa da una fettuccia con bottone sotto al bavero destro. Non potendo nel collo a scialle nemmeno simboleggiare questa funzione, l’asola resta bocciata. A ben vedere vi è anche un altro motivo genetico: lo smoking a scialle deriva dalla giacca da camera, che non si orna di bouttonierre, mentre quello peak lapel, come magistralmente ricordato da Lei stesso o dal signor Pugliatti, venne introdotto dal Duca ed aveva origine dalle sue giacche-simbolo, quasi sempre a doppiopetto. Vi sarebbe anche la soluzione di bucare il petto, accettando però di non lasciarvi mai l’asola nuda. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-07-2003 Cod. di rif: 353 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Caraceni Roma-Milano - Al sig. Pellegrino Commenti: La dottissima ricostruzione del prof. Pugliatti mi esime da un gravoso compito. Confermo anche la versione data con qualche beneficio del dubbio sulla gestione di San Babila, che è effettivamente nelle mani femminili citate. Mi chiede ora il signor Pellegrino di formulare una differenza stilistica tra il caracenismo milanese (quello di Via Fatebenefratelli) e quello romano (di Via Campania). In via generale si tratta in entrambe i casi di Maestri che lavorano nello stile che io definisco Internazionale, in quanto privo di connotazioni regionali, di morfologie estremizzate, di dettagli appariscenti. Scendendo ad una maggiore definizione, troviamo una differenza su un piano concettuale, più che stilistico. Questi presupposti astratti, nondimeno influiscono in misura imponente sul risultato estetico. La sartoria di Mario Caraceni, vista la veneranda età di quest'ultimo, è gestita oggi in realtà dal genero Carlo Andreacchio, ex rappresentante di tessuti. Non sarto, non imprenditore, ma marito di figlia di sarti. Ho parlato sempre molto bene di loro, perché la loro storia merita rispetto e si tratta comunque di una realtà autenticamente artigiana, che risponde quindi ai canoni difesi dal Cavalleresco Ordine, ma posso dire di non essere mai stato nemmeno ringraziato. Questo particolare non è uno sfogo personale, ma la dimostrazione che questa bottega non ha un taglio umanistico. Non ha il cliente, ma se stessa, al centro della propria attività. Il risultato cui si tende è un risultato assoluto ed indipendente dal committente. Il loro impegno è il seguente: faremo una bella giacca, che durerà a lungo e che in molti ammireranno. Tommy e Giulio Caraceni rifuggono i riflettori, mi hanno esplicitamente chiesto di non parlare di loro se non in contesti come questo, rivolti ad appassionati e non su tribune stampa. Essi mettono il cliente al centro del lavoro e pensano in questo modo: faremo una giacca proprio come la vuole il committente e come gli si addice, perché quando la vedano ammirino lui e non la giacca stessa. I risultati di questi diversi temperamenti sono altrettanto diversi. Cosa dobbiamo dire? Si tratta di grandi nomi, che è impossibile sbriciolare tra le dita come molliche da offrire ai passerotti. Gianni Agnelli, però, vestiva a Roma. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-07-2003 Cod. di rif: 356 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cadì e barathea. Lo smoking bianco, Commenti: Il prof. Pugliatti si rivela un serbatoio di scienza che ci sarà - spero - di immenso aiuto quando l'anno prossimo apriremo la Porta dell'Abbigliamento e dedicheremo spazi ben più grandi di questo e per di più bilingui all'argomento che ci appassiona. Null ho da aggiungere alla sua prolusione, dalla quale anzi apprendo molti particolari. Quanto al tessuto per lo smoking bianco, aggiungo anche in risposta a qualcuno che lo chiedeva che trovo il gabardine poco confortevole, anche se perfetto come vestibilità. Conservo nel guardaroba uno smoking bianco che usavo qualche chilo fa e che feci confezionare in un cadì pesante. Forse è ancora reperibile, ancorché in laneria femminile e posso certificarne estreme doti di vestibilità per il drappeggio (ricco come quello del gabardine) e di traspirazione (in questo, molto superiore ad esso). So per certo che Massimo Piombo ha delle riserve di barathea fatta tessere su suo specifica ordinazione. In caso ne avesse di bianco, su richiesta di eventuali interessati potrei intercedere per ottenerne qualche taglio. Piombo è Uomo di Gusto, certamente propenso ad un'operazione che favorirebbe la Bellezza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-07-2003 Cod. di rif: 358 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Volontà e personalità - Ai gessi 337 e 338 Commenti: Incommensurabile Franco, continuo la rimonta del mio arretrato e ti rispondo sovrapponendo la mia risposta sull’enigma dello smoking a quella già data dal prof. Pugliatti col gesso n. 338, di cui inevitabilmente questo risulta un prosieguo ed un commento. Procedo con gli stessi punti in cui era articolato il tuo gesso 1 - Conoscendoti, ti spingo verso il midnight, anche con revers neri. In questo mi distacco dal purissimo parere di Pugliatti, per due motivi. Non è vero che il bleu midnight non mi piaccia e in un mohair di questo colore feci confezionare nel 1979 il mio primo smoking dal sarto sorrentino Tonino Miccio, quello che cuciva i pantaloni a tre pinces e che credo sia tuttora attivo. Anche le bande ai pantaloni erano nere e il tutto mi piacque molto. Sono passati ventiquattro anni e il mio gusto ha subito le stesse trasformazioni che ho subito io stesso, ma sono convinto che apprezzerei ancora l’effetto. Ribadisco l’ovvio concetto, non per questo meno importante e sotolineato anche dal Pugliatti, che il bleu deve essere così scuro e profondo da confondersi col nero alla luce artificiale. Il lino raso esiste tuttora. Sembra incredibile, ma l’ho riscoperto nell’antica bottega di Clento a Napoli, attività che vanta duecentoventitré anni di storia ed una solidità inattaccabile. Tra l’altro il sig. Ugo Cilento entra oggi nel Cavalleresco Ordine, militando nella prefettura napoletana. 3. I revers sciallati sono validi se sagomati riccamente. I più belli hanno un profilo a pera ed una sezione importante, che si raccoglie improvvisamente all’abbottonatura. Nulla di più difficile e quindi da ordinare solo se il proprio sarto può esibire qualcosa di adeguato o si disponga di un modello da ricalcare che soddisfi pienamente. Gros grain? Ancora meglio del raso. 4. La fascia da smoking può essere confezionata su ordinazione da un buon sarto. Su ordinazione di un Cavaliere di Parma lo sconosciuto e bravo Maestro Domenico Pirozzi (quello di Via Chiaia, non quello di Piazza S. Nazzaro) ne ha confezionata una splendida. Ancora meglio a mio giudizio una lunga fusciacca da avvolgere come quella di un torero e che qualunque sartina potrebbe realizzare. L’ho immaginata, ma mai vista o avuta e quindi confesso trattarsi di un’ipotesi. Interessante, non credi? In conclusione, concordo con l’idea progressiva di un vestito che non nasce da un acquisto, ma da una concezione lungamente maturata, che soffra le modifiche di un impatto con la realtà, che si arricchisca delle idee dell’ultimo momento e che alla fine somigli a noi più di quanto somigli all’abito che volevamo. E’ una gloriosa lotta della volontà che cerca di affermarsi e dignitosamente soccombe – alla fine di tutto – alla personalità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-07-2003 Cod. di rif: 360 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piombo Commenti: Egregio signor Pugliatti, nel chiamarLa prof. non mi burlo affatto di Lei. L'ironia non è molto usata qui al castello, in quanto si è dimostrata il veicolo principale, il cavallo di Troia che ha permesso alle forze nemiche della dignità maschile di invadere la nostra antica città e saccheggiarla nottetempo. Le abbiamo aperto il portone sdrammatizzando e dissacrando e al mattino ci siamo ritrovati con le torri crollate, templi e palazzi in preda alle fiamme e nessun rifugio per la saggezza della tradizione. No, non è più tempo di ironia tra uomini quali noi siamo, che vogliano difendere e ricostruire l'immaginazione virile. La chiamo prof. perché riconosco in lei lo slancio e la capacità didattica, l'amore per il dettaglio e il disprezzo per la fatica di scrivere. E' caso mai un modo goliardico, tra compagni di banco, per indicarLa. Ci rinuncerei malvolentieri, ma lo farò se la cosa non Le fa piacere. Quanto a Massimo Piombo, lo consultai come esperto della materia nella stesura del mio Vestirsi Uomo sui tessuti, ma non conosco abbstanza il suo lavoro per farne una critica all'altezza di questo contesto. Mi sono intrattenuto molte ore al telefono in più riprese ed ho potuto constatare in lui una ferma e profonda competenza nel tessuto, proprio lì dove altri confezionisti restano quasi totalmente privi di vera cultura. Un simile patrimonio non si accumula scherzando e quindi mi sono fatto di lui un'idea positiva, ma non so se le intenzioni che certamente sono buone si siano tradotte in realtà nelle sue collezioni. Sono propenso a crederlo, ma attendo di verificarlo. Quanto alla sartoria, avrà letto dai miei numerosi gessi sull'argomento che la mia idea è che essa permarrà sempre, anche se mutata nelle persone, nel rapporto sarto-cliente e nei sistemi produttivi. Poiché questo mondo continuerà ad esistere e comunque certamente esiste oggi, io mi dedico ad esso e quanto al fenomeno del su-ordinazione mi limito a fare quanto in mio potere per aprire gli occhi altrui sulla realtà del loro prodotto e sulla falsità delle loro affermazioni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-07-2003 Cod. di rif: 365 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fuori tema: Kavafis ed il Piacere Commenti: ... m'abbeverai dei più gagliardi vini, quali bevono i prodi del piacere. Mai, nel diuturno lavoro che mi vede alla guida di un gruppo di personaggi uno per uno indomabili e nel complesso indefinibili, mai dico c'è stato un momento in cui non abbia tenuto presente questi versi di Kavafis. Sto sconfinando dal mandato di questa porta a danno di quella dell'Arte, ma mai volemmo noi Fondatori essere altro che questo: i Prodi del Piacere. Non è facile accettare un atteggiamento dinamico in un'attività che gli incolti e chi parla a loro o per loro vedono come statica. Sappiano costoro una volta per tutte che il divertimento non cade dagli alberi, non si riceve come un ospite al fine settimana, ma si conquista in campo aperto. Il vero piacere, quello dei prodi, non viene di porta in porta, non ha né residenza né indirizzo, ma corre veloce e si ferma a far due chiacchiere solo con coloro che parlino la sua lingua. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-07-2003 Cod. di rif: 367 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ode al Bond inglese Commenti: Stimato Pugliatti, professore esimio, una delle particolarità del nostro sodalizio è nell'essere forse l'unica associazione al mondo a non ammettere la categoria dei Soci Onorari. I motivi sono troppo complessi per esprimerli in questa sede senza uscire dal tema della Lavagna. Abbiamo invece un Albo dei Grandi, dove figurano persone o personaggi che avremmo voluto avere nelle nostre fila e che sono di ispirazione per il pensiero cavalleresco. Si tratta di uomini scomparsi o mai esistiti, tra cui figura il nome di James Bond. Io e molti tra i più antichi fondatori dell'Ordine siamo feroci appassionati di Fleming e del suo personaggio, attenzione condivisa anche dalle leve successive. Per anni, con il Primo Guardiano Salvatore Parisi, abbiamo mantenuto la tradizione di presenziare alla prima dello spettacolo a Roma, in altissima uniforme. L'usanza venne meno solo con l'avvento, insieme a Brosnan, di un Bond vestito in Italia, peraltro da mani approssimative. Il povero Brioni fa del suo meglio per restare nella banalità, almeno quanto faceva Sinclair per sfuggirle. Le sue sagliettine lucide mi hanno intristito non poco e non posso evitare di paragonarle alle flanelle, ai tagli ed ai tessuti fortemente caratterizzati del "periodo inglese". Lei giustamente nota qualche guizzo in direzioni discutibili, ma questo capita sempre, quando si sta facendo la storia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-07-2003 Cod. di rif: 372 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camnicie e Camicerie - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, la camicia col cannolo è ancor oggi la tipologia più diffusa, ancorché quella liscia sia a mio giudizio immensamente più bella. Quanto alle attribuisce in qualche romanzo dice che il nostro si servisse da Charvet a Place Vendome, un indirizzo che consiglio tuttora. La camicia costa 300,00 Euro e se ne può ordinare anche una sola. Tutto a mano, in un ambiente internazionale al più alto livello. Si pensi che il nostro Finollo ne chiede 570,00 per una camicia con asole meccaniche, esigendo peraltro che si ordinino almeno tre pezzi. Buone notizie mi giungono però dal famoso negozio di Genova, dove recentemente qualche acuto occhio mi ha detto che la proposta delle camicie sembra aver abolito l'asola fatta a macchina in favore di quella a mano. Forse in questo ha avuto una parte anche il nostro lavoro divulgativo e il mio significativo silenzio nel numero di MONSIEUR dedicato alla camicia. Quanto a Truzzi, ha colto nel segno. Ballini è un grandissimo, se non il maggior competente di camicie in Italia, ma attualmente non ha alcun potere e comunque non confeziona lui il prodotto. Truzzi è stato ceduto e riceduto un paio di volte ed il bel marchio con la croce sabauda non significa più niente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-07-2003 Cod. di rif: 373 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicie e camicerie Commenti: Questo gesso sostituisce quello in calce col n. 372, nel quale ho fatto un pò di confusione tagliando ed incollando delle frasi nel testo. __________________ Egregio Villa, la camicia col cannolo è ancor oggi la tipologia più diffusa, ancorché quella liscia sia a mio giudizio immensamente più bella. Quanto a quelle di Bond, non ricordo in quale punto, ma mi sembra di ricordare che in uno dei romanzi Flemin ci riveli che il nostro si servisse da Charvet a Place Vendome. Un indirizzo sempre valido, anche per le cravatte e gli inarrivabili farfallini. La camicia costa 300,00 Euro e se ne può ordinare anche una sola. Tutto a mano, in un ambiente internazionale al più alto livello. Si pensi che il nostro Finollo ne chiede 570,00 per una camicia con asole meccaniche, esigendo peraltro che si ordinino almeno tre pezzi. Buone notizie mi giungono però dal famoso negozio di Genova, dove recentemente qualche acuto occhio mi ha detto che la proposta delle camicie sembra aver abolito l'asola fatta a macchina in favore di quella a mano. Forse in questo ha avuto una parte anche il nostro lavoro divulgativo e il mio significativo silenzio nel numero di MONSIEUR dedicato alla camicia. Quanto a Truzzi, ha colto nel segno. Ballini è un grandissimo, se non il maggior competente di camicie in Italia, ma attualmente non ha alcun potere e comunque non confeziona lui il prodotto. Truzzi è stato ceduto e riceduto un paio di volte ed il bel marchio con la croce sabauda non significa più niente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2003 Cod. di rif: 374 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacche e gilet - Al signor Polenchi Commenti: Egregio signor Polenchi, dovrà comprendere la rigidità delle nostre procedure. Questo castello è dedicato alla tutela ed allo studio di argomenti complessi, ma è retto da principi molto semplici, anzi da uno solo: la dignità. Se conosce altri siti interattivi, potrà verificare che in essi le discussioni non sono veramente tali, nel senso che non tendono all'approfondimento di un argomento oggettivo, ma sono costituite quasi esclusivamente da affermazioni astratte che tendono solo ad affermare una posizione soggettiva. Polemica-spettacolo, che soddisfa animi mediocri e che quindi alimenta le cliccate. Qui non badiamo alla quantità dei Visitatori, ma alla qualità del loro interesse e quindi delle persone. Il fenomeno dell'approssimazione è alimentato dall'impersonalità di chi interviene sotto pseudonimi, sistema infantile che mira ad intavolare un gioco di ruolo che non ci interessa. Ben altra e ben più alta è la nostra posta e non possiamo scommettere con chi non mostri le proprie carte. La sua motivazione sulla mancanza di indirizzo è per il momento sufficiente e quindi passo ad esaminare il Suo gesso. La Sua "verginità" nella materia sartoriale La porta a presentare argomenti e domande di singolare interesse. Non me ne volgia se criticherò qualche Sua posizione. Lei si dichiara immediatamente fuori da qualsiasi conflitto di competenza ed in realtà qui scrivono molte persone molto dotte senza mai scontrarsi in un'inutile lotta per la supremazia dottrinale. Inannzitutto direi che l'abito riguarda Lei molto più del sarto e molto più di quanto attualmente creda. Se come credo ci troverà gusto, non resterà molto tempo fermo a farsi prendere le misure, come ci dice. La via maestra per divertirsi è scegliere uno scopo e perseguirlo in modo convinto. Pensi a lungo al capo che Le serve. Non a quello che Le piace vedere, quanto a quello che si intona con la Sua attività, età, censo. Stia tranquillo, se sarà sincero con se stesso - è qui il difficile - non sbaglierà. L'errore sarebbe quello di voler replicare un abito o una persona che ha già visto. L'abbigliamento è arte e quindi creazione. Si senta libero e non si faccia consigliare troppo. Tenga presente che questa sola decisione può prendere alcuni mesi. Non abbia fretta, è normale. Quando avrà deciso, non torni indietro per nessun motivo. Quello di dirigere è il grande rischio ed il primo piacere di chi si serve da artigiani. Dovrà natralmente fidarsi dei pareri tecnici finché non avrà gli strumenti per intervenire sui dettagli costruttivi, ma l'obiettivo finale è nella sua mente e non deve cedere di un millimetro. Se c'è qualcosa che non le quadra, si esprima con la stessa semplicità che ha qui usato, ma faccia sentire la Sua voce. Secondo punto: scelga un tessuto classico. Eviti per ora qualsiasi misto, il cachemire e i super-super-qualcosa costosissimi. Terzo punto: controlli ad ogni prova di muoversi bene nell'abito. Per ora non avrà la giacca più bella, ma non rinunci ad averla comoda. Dopo questa messa apunto, passo ai quesiti che enuncia direttamente. 1 - Il pantalone destinato ad essere sostenuto da bretelle è in genere a vita più alta, montato posteriormente (cioè più alto dietro), deve essere privo di passanti e recare uno spacco posteriore nel bustino. Quest'ultimo, finito con un cinturino, sarà leggermente irrigidito da una tela e recherà all'interno le tre coppie di bottoni piatti di ancoraggio. Questi dettagli fanno di un pantalone un lavoro specialistico, ma se è abituato a portare le bretelle sa già che qulsiasi pantalone può reggersi con esse. In un lavoro su misura, soprattutto su un abito completo, non rinunci però ad eliminare i passanti e a farsi confezionare lo spacco posteriore, utilissimo nei cambi di taglia e quando - avendo un pò di pancetta - ci si siede. 2 - La giacca non cambia con o senza panciotto. Il taglio a tre bottoni è più abillée e da preferire per il semplice fatto che un uomo sa più di uomo quando è ben coperto ed il tre bottoni risulta quel tanto più accollato da donare un pizzico di drammaticità che non guasta. Il gilet, piuttosto, avrà sei bottoni, di cui l'ultimo in basso da lasciare aperto. Sarà piuttosto corto, in modo da non coprire la parte dove si allargano le pinces. Su un capo non decisamente formale, avrà quattro tasche. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-07-2003 Cod. di rif: 377 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicie ideali - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, brani come quello che Lei ha letto sono detti "redazionali" ed in genere fanno parte di un pacchetto di promozione concordato con l'editore. L'impresa paga alcune pagine di pubblicità all'anno, ma esige che vi sia anche qualche pezzo culturale che ne metta in luce il prodotto. Il trucco si svela quando sulla stessa testata compaiono articoli e pubblicità con lo stesso oggetto, anche se ovviamente le cose vengono sfalsate nei tempi. Parlai con Ballini ad un Pitti di qualche stagione fa, quando la Truzzi, appena rilevata (ma mi risulta che dall'epoca già sia stata rivenduta), sembrava volesse rivitalizzare un laboratorio su-misura. La nuova proprietà mi sembra poco propensa ad una simile operazione e adopera Ballini come Habanos fa con Robaina: lo porta in giro come un'icona. Parlando di quest'uomo simpatico e dotatissimo, mi veniva in mente la camiceria ideale: La competenza di Ballini. La sede di Battistoni. L'atmosfera di Merolla & De L'Ero. Il tocco internazionale di Charvet. La volontà della Sabatini. I tessuti pesanti di Turnbull & Asser e quelli leggeri di Finollo (di origine quasi esclusivamente francese) I prezzi della media di tutti loro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-07-2003 Cod. di rif: 378 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Anni 20 - Al signor Polenchi Commenti: Egregio signor Polenchi, non sono favorevole all'operazione che Lei immagina, troppo complessa per il Suo attuale livello cognitivo. Riprodurre un capo, antico o moderno che sia, richiede una sua comprensione stilistica, tecnica e linguistica. Il sarto può aiutarla parzialmente nella prima e nella seconda fase, ma non nella terza. Lei non dovrebbe solo mostrare l'abito che Le piace, ma essere in grado di chiarire a se stesso e ad altri perché le piace e cosa in particolare l'ha colpita, in cosa si differenzia da capi simili e quale significato ha per Lei il dettaglio o i dettagli che lo individuano. Queste considerazioni non possono prescindere da una conoscenza dei materiali, perché la stessa giacca in flanella o in occhio di pernice, ancorché dello stesso colore e peso, ottiene un effetto completamente diverso. Figuriamoci cambiando i pesi. Un grande abito non nasce dal sarto, ma dalla combinazione tra sarto e cliente. Non parta con cose così difficile e non si esponga al rischio di una facile delusione. Del resto, anche qualora ottenesse l'abito come illustrato, forse Le piacerebbe, ma non rispnderebbe al criterio verso il quale l'ho indirizzata: commissioni quello che Le serve, e tra questo scelga ciò che Le piace, ma non vada subito e solo a soddisfare il gusto immediato, altrimenti si ritroverà sempre al punto di partenza. La difficoltà di replicare un'atmosfera estetica degli anni 20 viene poi aumentata dalle differenze enormi di taglio e dei tessuti. Il primo era in quei tempi molto rozzo, ancora in gran parte ignaro delle conquiste geometriche che già cominciarono negli anni 30. L'aspetto degli abiti era piuttosto grezzo come linea, ancorché un frac nero ed uno sparato bianco, ovvero una tenuta ordinata ed accollata, fermi in un disegno artistico, facciano sembrare un gentiluomo anche un tossico. I tessuti erano molto più pesanti, matti e per questi due soli motivi arricchivano la figura di una dignità che oggi si deve significare con altri mezzi. Qui le Colonne d'Ercole da un lato del buon senso e dall'altro della scienza di un uomo che certo non conosce (mi chiama signor Maresca), ma in materia, mi creda, la sa molto lunga. Oltre, vi è il gran mare del piacere personale, svincolato da ogni regola. Ricordi, se vuole navigarlo, che esso ospita il gorgo del ridicolo ed il leviatano del cattivo gusto. Se riesce ad arrivare in qualche porto, mi faccia sapere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-07-2003 Cod. di rif: 381 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Monsieur - A L. Villa Commenti: Egregio signor Villa, una rivista non potrà mai essere totalmente obiettiva. Ogni pagina ha un costo e sempre aleggia la tentazione di coprirlo o di trarne un utile. Quanto a MONSIEUR, che ovviamente conosco bene, posso dire che non è la rivista ideale, ma senz'altro la migliore possibile oggi. Ho avuto una sola volta la richiesta di realizzare un redazionale, ma ho accettato solo - come fu per Tanino Crisci - perché ne valeva la pena. In altri casi mi sono serenamente rifiutato di fare nei miei articoli nomi che non ritenevo opportuni e posso dire di godere di una totale libertà nelle mie scelte. Se qualcosa mi viene suggerito, accetto solo se ritengo che il nome sia congruo al discorso, come è stato recentemente per Barbera e Zegna. Molti altri erano i nomi in un lista di "suggerimenti", la cui citazione avrebbe giovato alla rivista. Senza che la cosa rappresentasse un problema io ho ridotto il tiro a questi due soli bersagli, oltre Hermes. Forse altri collaboratori non sono così severi nei propri giudizi o non riescono a dire no al direttore, ma se ciò fosse vero non sarebbe che un altro motivo per apprezzare una rivista che ha accettato di pubblicare un progetto ardimentoso e scabroso come Vestirsi uomo, peraltro con un autore inafferrabile come il sottoscritto. Il progetto infatti è tutto mio personale, ancorché ne discuta spesso con Botré per i tempi. Quanto agli argomenti, mai egli mi ha incoraggiato in una direzione o rimproverato per averne preso un'altra. E' vero che le ultime puntate di Vestirsi Uomo, essendo diventate un pò il centro della rivista, aggiungono immagini che ammiccano a prodotti in commercio, mentre nelle prime ci si limitava alle illustrazioni artistiche, ma è anche vero che mentre MIlano diluisce con le foto io da Napoli concentro i testi e in tal modo mantengo la formula con lo stesso gusto. Lo constaterà nel prossimo numero, dedicato alla Profumeria, dove leggerà un Maresca più cavalleresco che mai, rivolgersi ad un uomo senza mezze misure. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 15-07-2003 Cod. di rif: 383 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Mocassini con nappe e doppia fibbia Commenti: Ill.mo Gran Maestro, dopo una lunga e per me dolorosa assenza torno ad occupare queste lavagne,il cui spessore ed approfondimento si fanno sempre maggiori.Ieri sera,desideroso di rilassarmi dedicandomi al purificante rito del cirage,ho pensato di approfittarne per dare un ordine razionale alla mia scarpiera,suddividendo le calzature in base al livello di "formalità" delle stesse.L'operazione,all'apparenza semplice, si è rivelata in realtà più difficile del previsto,stante la presenza di alcuni modelli che io adoro,ma di difficile collocazione stilistica.Ho immediatamente pensato di rivogermi a Lei ed alla Sua immensa conoscenza e disponibilità per aiutarmi a risolvere il pernicioso rebus.Sulla bicolore mi aveva già risposto tempo addietro in modo completo ed esaustivo.I miei interrogativi riguardano oggi il mocassino con nappine (tassel loafer) in cordovano burgundy di Alden e la classica doppia fibbia (William) color whisky di Lobb.Lei come collocherebbe queste splendide calzature?Le vede adatte a un utilizzo formale (ovviamente diurno) e a un'abito scuro (blu/grigio/gessato) o le vede più a loro agio associate ad un abito dalla vocazione più sportiva (principe di Galles) se non addirittura allo spezzato?Approfitto dello spazio per una breve riflessione sul Suo interessantissimo gesso di ieri relativo alla camiceria ideale. Concordo pienamente su tutto, soprattutto su Charvet che ho avuto il piacere di frequentare di recente in modo piuttosto assiduo,aggiungerei solo che l'antica casa Finollo,più che una brava maestra ricamatrice in grado di realizzare asole cucite a mano dovrebbe ricercare un pò di cortesia con gli avventori sconosciuti e forse non giudicati degni di varcare cotanta porta. Cavallereschi saluti, Suo scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-07-2003 Cod. di rif: 386 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbinamento scarpe - Allo Scudiero Chiusa Commenti: Gentilissimo scudiero, vedo che ha scarpe di prim'ordine. Complimenti. Il mocassino ha un campo di utilizzo molto ampio, che giunge al semiformale. Bene quindi anche con abiti completi e paletta rossa solo per cerimonie, serate e occasioni di alto impegno. Le scarpe con fibbia sono da considerarsi più sportive e non le vedo bene sotto i completi, a meno che non siano di tipologia "da esterno" come grossi ritorti o velluto. Bene, anzi benissimo, anzi ottimali, le Sue doppia fibbia color whisky con il blazer e qualsiasi spezzato. Sia mocassino che doppia fibbia figureranno benissimo nella semplice tenuta pantalone-camicia. Quanto al Suo commento su Finollo, si iscrive in un coro di voci critiche sul comportamento della ditta nei confronti del cliente. Si dice che il pesce puzza dalla testa e in questo caso il signor Linke, principe consorte in quanto marito di una Finollo, è decisamente una persona eccessivamente piena di sé. Io l'ho sentito un paio di volte al telefono e mi ha trattato maluccio. Sono stato a visitare l'atelier e non si è fatto trovare. Considera tutti al di sotto non solo della sua ditta, ma di sé stesso. Il buon Luca, bravissimo e competente commesso, ha cominciato ad assumere qualche modalità dal capoccia ed il cerchio si chiude. Entro qualche anno, chiuderà (o meglio, cederà) anche la baracca, che in questo modo si condanna ad una decadenza inesorabile. Nessuna azienda resiste a lungo, quando comincia a sentirsi più importante e più forte della clientela. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-07-2003 Cod. di rif: 390 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Legge Chiusa o del Mocassino - A F.Forni e G.Chiusa Commenti: Caro Franco, il Tuo gesso n. 387 perfeziona non poco il mio precedente. Con esso non intendevo tanto assumere una posizione, quanto dare una prima risposta. Speravo in altri interventi e con questo chiarisco ancora una volta il ruolo di queste Lavagne, dove non devo essere considerato il Deus ex Machina, l'interlocutore unico. Queste sono le mura che proteggono un'accademia, non quelle del labirinto dove vive un solo minotauro. Il tuo richiamo alla posizione ed alla responsabilità etica dei cavalieri è particolarmente importante e richiama i nostri a vigilare. Ricordiamo sempre che noi siamo sotto un'insegna che reca la chiave della conoscenza e la spada che ci impegna a difenderla. Un gentiluomo ed un guerriero si sentono costretti a vigilare severamente sui propri comportamenti, ma mentre il primo persegue solo un fine morale ed estetico, il primo deve tenere in considerazione anche il bene di una bandiera. La cavalleria e la fede sono una cosa sola. Tornando al discorso etimologico sui linguaggi del mocassino o pantofola, credo che bisogna tener presente che uomini di grande talento, rigore e autorità estetica, come il Principe Carlo e il Principe Antonio De Curtis, facevano o fanno grande uso di calzature senza lacci, anche sotto completi. Ho mancato nel generalizzare la mia risposta a Chiusa, senza sottolineare distinzioni e sfumature. Quella con nappine descritta da Chiusa è certamente scarpa inadatta a salire a livelli in cui si debba utilizzare un registro grave e anche minimamente impegnativo, ma altre tipologie danno qualche chance in più. Potremmo affermare che la pregiudiziale è la scollatura. La calzatura senza lacci tende spesso ad avere un'apertura larga e quindi scollata. Se lo è in modo deciso, non potrà reggere giacca e cravatta, mentre man mano che la murata laterale sale, il peso della pelle e della suola pure, e con esse soprattutto la scollatura si chiude, avremo possibilità di un utilizzo nel semiformale, come direi è possibile fare con un penny loafer. Attendo qualche tua o altrui rifinitura su questa nuova Legge del Mocassino (o Legge Chiusa), prima di pubblicarla in gazzetta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-07-2003 Cod. di rif: 391 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Assoluto e relativo - Al signor Grassotto Commenti: Gentilissimo signor Grassotto, Lei che trova facili i discorsi sull'eleganza che tanto ci impegnano, non avrà certo esitazioni nelle scelte. La Sua domanda è quindi sicuramente a beneficio di altri che si trovino nella condizione da Lei descritta. Credo che dalla lettura dei testi qui prodotti chi abbia passione possa ricavare quelle norme estetiche che lo guideranno nella scelta del prodotto adatto alle possibilità del momento. Noi non siamo un'organizzazione a scopo sociale e siamo umanisti più che umanitari. Il discorso economico, che è relativo, non può riguardare chi studia l'assoluto. Le leggi dell'assoluto possono invece essere utilizzate in qualsiasi contesto, come un prncipio di fisica è valido a livello di grandi masse o di corpi più piccoli. Le cose a livello subatomico cambiano e in questo fenomeno deve esserci un insegnamento che lascio dedurre senza verbalizzarlo. Il Cavalleresco Ordine studia e difende il lavoro artigiano, destinato all'uomo dai gusti fortemente personali. Noi parliamo, ipotizziamo, cerchiamo un "meglio" che non fine a se stesso, mero status symbol. Studiamo e discutiamo alla ricerca dei criteri che un capo - o una barca - debba avere e cerchiamo, scambiandoci opinioni, chi sia in grado di rispondere a tali criteri. L'interesse che molti dimostrano verso questa investigazione è spesso puramente estetico o scientifico e non presuppone una reale militanza come acquirente. Ho visitato molte cantine prestigiose nelle quali non ho acquistato vino. Anche se non me lo posso permettere, mi fa piacere sapere come lavorano. Credo che parecchie persone siano andate a vedere le cascate del Niagara o le Piramidi senza pensare di acquistarle. Noi abbiamo fatto la scelta di approfondire certi temi, ma come uno studioso di arte classica può non avere in casa nessuna scultura di Lisippo, così un giovane desideroso di prepararsi sui linguaggi estetici potrà nel frattempo vestire con mezzi modesti. Nella sua coscienza, coi comportamenti e con le letture affini il gusto. Il resto viene da sé. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 16-07-2003 Cod. di rif: 392 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Legge del mocassino Commenti: Stimatissimo Gran Mastro, oltre a ringraziarLa per la pronta ed interessantissima risposta relativa alla collocazione stilistica della scarpa senza lacci, mi trova in completo accordo con la Sua teoria. Ritenendo in assoluto la scarpa allacciata più formale, credo infatti non si possa però definire sic et simpliciter il mocassino (o pantofola) scarpa informale in senso assoluto, essendo numerose le declinazioni di forma, colore e pellame di questa affascinante tipologia di calzatura, risultandole precluso solo l’uso “after 18” .Spetterà poi all'uomo di gusto interpretarle ed utilizzarle al meglio. Personalmente ritengo corretta una divisione "geografica" del mocassino, evidenziando tre grandi scuole, quella italiana, quella inglese e quella americana. Il mocassino italiano è leggero, sfoderato, dalla forma tubolare, più scollato ai lati, inadatto a completi scuri, personalmente nelle tonalità del marrone lo vedo bene associato al lino nelle tinte naturali o al cotone. L'esempio classico credo sia il vecchio esemplare di Gucci con morsetti di metallo nelle tinte ruggine e marrone, oltre ad alcuni splendidi modelli realizzati nella bottega del maestro Gatto in Roma. La scuola inglese interpreta la scarpa senza lacci in modo differente, realizzando modelli più pesanti, dalle spesse suole con lavorazione Good Year. Lateralmente sono più "accollati" ed il piede risulta più "vestito". Tre sono le grandi famiglie in cui si possono suddividere i mocassini di provenienza britannica: il così detto “norvegese” o Handsewn Moccasin, a sua volta presente nella variante così detta “penny loafer”; il più formale, accollato e rifinito Full Strap Slip-On (esempio lo splendido modello Lopez di Lobb) ed infine il Tassel Moccasin o mocassino con nappine. Il secondo in nero ritengo possa essere egregiamente accompagnato di giorno ad un completo scuro, al principe di Galles o alle grisaglie. Ricordo nel servizio realizzato dall’ Avv: Maresca sull’eleganza maschile e pubblicato su “Monsieur”, una foto di un elegantissimo Principe de Curtis con cappotto, cappello e mocassino nero. La stessa variante con nappe nella interpretazione inglese è completamente differente rispetto alla cugina americana, assumendo una forma più sfilata, leggera ed allungata, oltre ad evidenziare solo una piccolissima porzione di calza. Venendo alla scuola che a mio giudizio ha detto di più nel campo delle scarpe senza lacci, ovvero quella americana, le varianti sono le stesse a cui mi riferivo più sopra, con al sola aggiunta del “beef-roll”, mocassino informale, dai rigonfiamenti laterali simili appunto a due arrosti arrotolati. Tralasciando il beef-roll (bello quello proposto da Sebago e da Allen Edmonds), tipica scarpa da college Ivy League, si può rimarcare come la grande differenza rispetto alle analoghe proposte inglesi, sia un aspetto più “massiccio” e una minore copertura del piede. Le scarpe senza lacci americane risulteranno più pesanti, anche in virtù dell’utilizzo del cordovano, ma contemporaneamente più scollate, sbarazzine, direi chic. Quello che in termini di formalità si guadagna con l’utilizzo di pellami più spessi e strutturati, con la realizzazione di suole più importanti, si perde con una maggiore visibilità della calza. Sperando di vedere questa mia semplice e probabilmente scorretta teoria migliorata e perfezionata dagli illustri frequentatori del castello, cordialmente La saluto. Suo Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 16-07-2003 Cod. di rif: 393 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Mocassini Commenti: Egregio Gran Maestro, Egregi Partecipanti alla Lavagna dell'Abbigliamento, in riferimento alla discussione sui mocassini – intendendo per tali le scarpe senza lacci, ma con cucitura classica suola/tomaia, diverse dai veri mocassini “alla pellerossa” – penso che per semplificare la questione sarebbe utile distinguere tra mocassini sportivi (tipo Tod’s et similia, oppure tipo “college”), mocassini semi-eleganti (quelli più accollati, ma con fibbie o nappine) e mocassini eleganti (quelli di foggia affusolata e tomaia liscia senza vaschetta). I mocassini sportivi, soprattutto se con suola in gomma o chiodini vari, resteranno inesorabilmente confinati all’abbigliamento informale, meglio se nella stagione estiva. Quelli semi-eleganti saranno ben coordinati appunto ad un abbigliamento semi-formale, ad esempio con abiti “spezzati”. I mocassini eleganti sono soltanto un passo indietro alle scarpe classiche stringate, quindi saranno utilizzabili anche con completi formali (beninteso se di colore adeguato), ma per essi resterà comunque invalicabile la soglia delle cerimonie e delle occasioni più importanti, come già chiaramente sancito dal Gran Maestro e ribadito dal Cavaliere Forni (forse al matrimonio da questi ricordato erano presenti molti manager statunitensi, che pare siano usi abusare delle suddette calzature). Per leggere un’interessante opinione proprio su questa tematica, segnalo infine l’articolo “Les mocassins noirs” di Marc Guyot, a suo tempo pubblicato su “Trépointes” - rivista francese di riferimento del mondo della Calzatura - ed oggi disponibile sul sito personale dell’autore (http://membres.lycos.fr/marcguyot/). Cordiali saluti a tutti Giampaolo Marseglia Post scriptum: nel complimentarmi con la volontà di divulgazione di alcuni frequentatori del sito, mi permetterei però di invitare loro, come tutti, ad una più attenta citazione delle fonti utilizzate: un lavoro compilativo, se ben realizzato, può risultare superiore anche ad un lavoro sperimentale, dunque un’articolata ed accurata bibliografia non potrà che accrescerne il valore complessivo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-07-2003 Cod. di rif: 394 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Testo di Guyot - Al Cav. Marseglia Commenti: Egregio Cavaliere Marseglia, il Suo richiamo alla citazione delle fonti è così pertinente all'opera di ricerca ed approfondimento condotta qui al castello, che volgio essere iù papista del papa e riporto qui in calce l'articolo di Guyot da Lei citato. Invito il Cavaliere Forni, versato nelle lingue, a tradurre il testo e a commentarlo. L'anno prossimo, quando questa Porta verrà dotata di una struttura molto più articolata, la spedizione di testi e foto e la creazione di una bibliografia rienteranno nelle quotidiane attività. __________________________________________ Les billets d'humeur ***************** Existe-t'il des mocassins d'hiver fourrés, matelassés, à triple semelle cousue norvégienne? ***************** La réponse est Non! Pourquoi? Tout simplement parce que le bon sens nous interdit à nous, gens dotés d'un minimum de perspicacité, de porter un mocassin à la montagne. Je connais de bien meilleurs moyens d'affronter un froid sibérien que celui qui consiste à grelotter dans une pauvre paire de mocassins, seulement séparée de mon derme par une mesquine chaussette courte. depuis des générations, certains jeunes hommes ont régulièrement l'intuition, de rendre au mocassin à plateau sa véritable raison d'être, en ne le portant que l'été, sans parler ici des quelques Excessifs qui se mirent systématiquement à arborer les peausseries les plus exotiques comme le lézard, le crocodile, voire l'autruche. Quoi de plus ridicule que de se pavaner sur les plages de la Côte d'Azur chaussé de mocassins en autruche? Pour en revenir à nos jeunes gens cités plus haut, ils ont leurs détracteurs qui considèrent comme sacrilège de gâcher leurs mocassins préférés en les portant pieds-nus et en les associant à une vieille paire de Jeans usés jusqu'à la corde. Ces mêmes empêcheurs de tourner en rond, victimes du chant pernicieux des sirènes de la Mode, semblent à présent découvrir les mocassins à plateau suite à l'achat d'une paire de "Tod's", et dans le même temps le plaisir de les enfiler à même la peau. Sans réaliser que d'autres ne les ont pas attendus, et que l'on peut apercevoir chaque été quelques élégants les pieds nus dans des mocassins Gucci souples ou des Weston en veau velours, accessoirisant des costumes chiffonnés en toile de bâche ou en lin irlandais. L'un des heureux résultats du phénomène "Tod's" aura été de faire redécouvrir le mocassin à plateau comme une chaussure essentiellement estivale. Et il nous faut aujourd'hui réapprendre au grand public - tâche Ô combien difficile! - à respecter les saisons et les variations climatiques dans la manière de se chausser, voire de s'habiller. Que ceux qui n'ont jamais porté, par un jour d'hiver rigoureux, un costume gris anthracite en laine "super 100" et une paire de mocassins noirs (si!...) lèvent le doigt. Gageant qu'ils ne se présenteront pas par kyrielles, je peux leur offrir sans risque de banqueroute personnelle, un abonnement au club des gens sensés. Pourtant, n'est-t'il pas plus agréable, dès que les frimats arrivent, d'avoir les pieds au chaud et au sec dans une honnête paire de Derbys à double semelle plutôt que de patauger dans des mocassins détrempés? Les Indiens Navajos et Mohicans ne prenaient pas le risque de garder aux pieds leurs mocassins souples lorsqu'arrivait la saison des neiges: ils les troquaient alors contre des bottillons de peau fourrés. Prendre exemple sur ceux qui respectaient le rythme des saisons et devaient continuellement s'adapter aux contraintes de leur environnement, sera peut-être l'action qui réconciliera les fabricants et les puristes de leurs clients. D'un point de vue strictement mercantile en effet, où réside l'intérêt pour les premiers de promouvoir un produit pouvant se porter toute l'année et en toutes circonstances? L'idée qu'à chaque période de l'année et à chaque occasion spécifique, correspondent un style, une forme et une couleur bien précis, est peut-être l'une des clés de l'art de vivre. Malheureusement, comme l'a écrit Balzac: "On devient riche, on naît élégant". Il nous reste du pain sur la planche... Marc Guyot ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 17-07-2003 Cod. di rif: 397 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Sito Internet di Mariano Rubinacci Commenti: Egregi Cavalieri e Simpatizzanti, non molto tempo fa si è dibattuto in questo Castello (nella Posta del Gran Maestro)dei siti Internet dei Grandi dell'Abbigliamento. Per quanto concerne Mariano Rubinacci, si era ipotizzato che avesse scelto di non dotarsi di tale mezzo di comunicazione. Ciò in realtà era già parzialmente errato, in quanto esisteva da tempo il sito giapponese di questa maison (www.rubinacci.co.jp), ma è tanto più non vero oggi che risulta attivo il sito www.marianorubinacci.it, che mi permetto di segnalare alla Vostra attenzione. Cordiali saluti da Napoli Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-07-2003 Cod. di rif: 399 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: De sitibus - A Marseglia e Villa Commenti: Il sito di Rubinacci è mediocre. Poco lavoro di concetto, poco contenuto, tutto lasciato a qualche effetto grafico. Vorrebbe affermare un magistero per cui risulta esserci storia e capcità, ma non la cattedra. Manca una via originale ed un pensiero forte che riempia il gran vuoto delle ambiziose impalcature. Del resto anche quello di Marinella www.marinellanapoli.it è incongruo. Non è affatto scadente in sé, ma ha un registro sbagliato. Marinella vende classica bellezza, mentre il sito fa apparire il suo come un mondo labile di sofisticazione. Se ci si affida ad informatici e non ad umanisti, non si può fare meglio di così. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2003 Cod. di rif: 400 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'ombrello resuscitato Commenti: Nuntio vobis gaudium magnum. In occasione del primo Laboratorio d'Eleganza, tenutosi il 29 Settembre del 2000, consegnammo al Maestro Talarico la Patente di Fornitore dell'Ordine (vedi foto alla relativa pagina nella colonna degli Eventi). In tale occasione promettemmo che avremmo fatto rivivere l'ombrello in seta, vanto della tradizione napoletana ed immortalato anche da Edoardo de Filippo in uno dei suoi più celebri lavori. Nel Natale in casa Cupiello si parla di un ombrello di seta di San Leucio e fu da lì, dalle antiche manifatture borboniche, che cominciai la mia ricerca. Le seterie di Antonio Alois produssero un primo prototipo, ma poi non credettero più nell'iniziativa. Dopo qualche mancato appuntamento cancellai i numeri dalle mie agende e dalla storia che volevo scrivere. Non sapeva il desso che il Cavalleresco Ordine non demorde di fronte a èiccole difficoltà. Parlai allora del prodotto nel servizio su MONSIEUR l'Oro di Napoli (vedi Rassegna Stampa) come se fosse già disponibile e questo scatenò una ricerca senza precedenti. A questo punto, ancorché con un innocuo artifizio, avevamo generato la cosa più difficile: la domanda. Potendo contare su numerose prenotazioni, venne cercata una seta a Como, ma quelle in produzione non andarono bene. Un primo prototipo, sottopostomi dal Maestro, venne bocciato dopo qualche tempo di collaudo per le insufficienti caratteristiche tecniche di resistenza e tenuta all'acqua. Con un piccolo investimento - grande però, per una ditta artigiana - Talarico ordinò un prodotto specifico, replicato su un vecchio campione. Io posseggo un rarissimo taglio d'epoca della migliore produzione e posso dire che quella oggi realizzata è quasi all'altezza. Ha la tenuta e la resistenza, ma manca del sostegno che manteneva erto il tessuto anche con il laccio sbottonato e generava un'elica precisa e bellissima quando l'ombrello era chiuso, ma non arrotolato. Non si può avere tutto. Non subito, non in tre soli anni, in un mondo di numeri che procuce tutto in Estremo Oriente. Dopo adeguate prove possiamo dire che da oggi è tornato al mondo l'ombrello in seta, ancorché in produzione limitata. E' una vittoria di particolare significato per la nostra bandiera, che vede un altro territorio strappato all'oblio. Dirò infine che da quando talarico è diventato nostro fornitore ha cambiato completamente registro ed ha puntato decisamente sul prodotto di nicchia, quello che soddisfa cliente ed artigiano. Attendevo questo momento per parlare dell'ombrello, cosa che farò nella puntata di Vestirsi Uomo di Ottobre (in edicola a fine Settembre). In quella che uscirà tra pochi giorni, già consegnata da tempo, parlerò della toeletta maschile. In calce rispondo a chi penserà: ma Brigg's produce ancora un ombrello in seta. No voglio parlare male di qualcosa di inglese, con una storia come quella di Brigg's, ma in realtà non c'è paragone, né per la qualità della seta, né per la lavorazione interamente manuale e la scelta dei manici. Chi sa scegliere un ombrello pitrà ora avere qualcosa di veramente emozionante. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2003 Cod. di rif: 404 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Profondità dottrinali - Al Cavaliere Forni Commenti: Caro Franco, la Tua presentazione dell'Ordine nella lettera al signor Grassotto è ammirevole per incisività e visione sintetica. Supera per aggiornamento e profondità dottrinale lo stesso testo di presentazione che figura dietro il logo che corona la porta principale di questo castello. Forse il nostro Visitatore non meritava un trattamento così duro, atteso che se all'esordio ci taccia di lavorare sul sicuro, dichiarando facili i nostri discorsi, nel finale del Suo gesso - il n. 389 - egli abbandona le critiche per rivolgerci una domanda che appare sincera e non dettata da vis polemica. Orbene, l'ospite è sacro, ancorché la domanda non sia pertinente e impertinente chi la pone. Riprendo il discorso già fatto nel rispondergli, dichiarando che noi non vogliamo e non possiamo per Statuto indirizzare alcuno verso prodotti di massa. Noi ignoriamo la produzione industriale in ogni luogo dove ve ne sia o ve ne possa essere una artigianale. Lo studio cavalleresco è ruivolto all'investigazione del bello ed alla sua difesa, ma anche ad aiutare l'incontro tra gusti individuali e prodotti fatti per l'individuo, come sono appunto gli ogetti artigianali, su commissione o su misura. Le leggi valide per l'eccellenza guideranno però anche nella scelta del più accessibile. Facciamo un esempio. Se si giunge alla conclusione che una grande camicia deve avere una lista alta per ipotesi tre centimetri e mezzo o i polsi arrotondati, queste caratteristiche potranno essere ricercate sia andando da Charvet che al mercato. Quando si parla di colori, di pesi, di congruità tra capi e situazioni, si configurano principi validi per ogni capacità di spesa. Se indirizzassimo verso un prodotto industriale rinnegheremmo i nostri principi di difesa dell'artigianato e dell'individualità estrema. Si dirà che questa individualità è un lusso, ma qui mi riporto integralmente alle posizioni del cavaliere Forni, che, come si dice in gergo forense: abbiansi qui per riportate e trascritte. Ho letto anche la bella lettera che hai indirizzato in risposta al ventunenne che scriveva nella mia Posta magistrale. Anche in questa occasione la tua scrittura e la tua capacità di interpretazione sono ammirevoli. La forza che ha portato le pietre sin su questa rocca, l'estremismo cavalleresco, risuona in te teso come un colpo di piatti ad un concerto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2003 Cod. di rif: 405 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ombrelli - A Franco Forni Commenti: Caro Franco, la grande differenza tra una seta moderna e quelle classiche da ombrelli è nell'altezza della pezza. Poiché alla fine ho abbandonato la direzione delle operazioni, che sono state condotte dal Talarico stesso e restando io semplice consulente, la transigenza dell'artigiano e la volontà di economia ha portato ad avere una seta alta 150 cm. Questo comporterà un prezzo più accessibile dell'oggetto, ma lo priva di una caratteristica importante. I tristi ombrelli di Brigg's, peraltro in una seta grossolana, ci hanno abituato ad un orlo cucito, mentre la tradizione dell'ombrello italiano - più raffinato. Intendiamoci: Brigg's è stato grande e ci ha insegnato molto, come tutta l'ombrelleria inglese, ma da tempo quest'ultima ha svenduto fin l'ultimo pezzo di digniotà e presenta boccole in plastica, balene di produzione orientale, cuciture sommarie, manici insufficienti e spesso scurvati. Un disastro, massimamente per chi come me li aveva tanto ammirati. Lo stile adottato per il recente ombrello di Talarico è - quanto alla copertura - di impostazione inglese. L'ombrello di seta italiano ha sempre avuto l'orlo a cimosa. La mancanza della cucitura permetteva che il tessuto, una volta arrotolato, formasse un cono molto sottile, che su fusti in metallo ricordava addirittura una spada, per non dire uno spillo. Ipotizzo che il tuo ombrello, per entrare in un bastone, abbia asta di metallo da 8 mm e coperta in seta cimosata. In quest'ultimo caso non ci sarebbe nulla da fare, almeno per il momento. Se invece è orlato, possiamo ormai rimediare con facilità. Animato da te e da altri onrellofili, potrei anche tornare alla carica e chiedere al signor Turconi della Mantero di montare un telaio per un migliaio di metri di seta alta settanta cm. Lasciamo che Talarico smaltisca i primi cinquecento metri di seta in doppia altezza, peraltro di gran qualità e poi potremmo lanciare una sottoscrizione per avviare una seconda fase, che ci restituisca completamente l'ombrello italiano in seta cimosata. Il mio lo farò confezionare con fusto in metallo o carbonio, insomma sottilissimo, per ottenere quella sagoma a spillo che metta nel massimo risalto le caratteristiche di sottiglieza del nobile materiale. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 18-07-2003 Cod. di rif: 406 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Al N.H. Cav. Franco Forni - smoking in Emilia Commenti: Illustre Cavalier Forni, complimentandomi con Lei per la qualità,la profondità e l'emozione dei Suoi scritti, sono a domandarLe un consiglio, confidando nella Sua disponibilità e gentilezza. Sono intenzionato a farmi confezionare uno smoking su misura ed avando letto alcune sui interessantissime indicazioni al proposito, vorrei qualche consiglio sul tema, oltre se possibile a qualche nome di sartorie in Emilia in grado di soddisfare richieste di questo tipo. Premetto che a Parma domandare una cosa di questo tipo è come ricercare neve in un deserto. RingraziandoLa sin d'ora, cavallerescamente La saluto Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2003 Cod. di rif: 411 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Da un pianoforte all'orchestra Commenti: Frequentatori della Lavagna, questo è un luogo di studio e di approfondimento. Delle sollecitazioni esterne, purché formalmente corrette, dobbiamo prendere il meglio. Ai Cavalieri, poi, compete di seguire la propria strada senza sprecare energie nella polemica. Ovviamente mi riferisco all' "affaire Grassotto". Il nostro Visitatore pone una domanda alla quale in buona parte si è risposto dicendo che i criteri validi per ciò che è esclusivo lo sono altrettanto per quanto sia a più buon mercato. Ora il nostro precisa ancor meglio la domanda ed è mio dovere rispondere. Anche se i suoi toni lasciano a desiderare, è proprio ignorandoli e continuando a svolgere il nostro mandato che dimostreremo di che pietra è fatto il castello e di che acciaio le nostre spade. Giocando in casa ed in molti contro uno, non c'è gloria nel vincere o piacere nel battersi. La questione si è ridotta all'essenziale: se sia possibile essere eleganti con un abito di confezione. Risponderò con una metafora. Un gran musicista che suoni una grande musica, arrangiata per solo pianoforte, fornirà senz'altro un esempio d'arte compiuto. L'esperienza dell'ascoltatore, cionondimeno, risulterà immensamente più gratificante se la stessa partitura sia riprodotta nella versione originale, da un'orchestra sinfonica. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-07-2003 Cod. di rif: 413 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vestire e Letteratura - Al signor Polenchi Commenti: Signor Polenchi, l'immenso volume di testi dispiegato nelle varie aree, l'impegno concettuale ed organizzativo che c'è dietro il sito e l'associazione, gli eventi, la gestione di un'organizzazione con centinaia di soci, non sono nè presso di lei, né presso altri una garanzia sufficiente della mia buona volontà. Nulla, men che meno i fatti, può impedire a chi vuole pensare male di farlo e così, vista la mia omissione, si accomodi pure tra i banchi di chi mi detesta. Li troverà così affollati che forse guarderà con invidia ai pochi che siedono comodi di fronte. Lei ha tempo di offendersi e possibilità di ritirarsi, io sono impegnato in un combattimento che non lascia respiro e che prevede ferite e nemici. Ho mancato e giustificarmi non mi darà cammelli in ricompensa. Veniamo quindi al dunque. Nel gesso che ora richiama mi chiedeva dove e/o da chi avessi appreso. La mia generazione, come dice il saggio Parisi, nostro Primo Guardiano, non ha avuto maestri. Dio sa quanto avrei voluto avere qualcuno che ne sapesse più di me e credesse che io credessi. Per il sigaro ho avuto qualche maestro, ma tutto ciò che so sulla sartoria e sull'abbigliamento l'ho appreso da me. Ho avuto degli esempi, questo si. Mia madre, Dante De Paz, mio zio Antonio nesi, questi ultimi Fondatori dell'Ordine. Per il resto, ho speso tempo e denaro senza limiti, perché nessuna sosta inutile o dannosa mi è stata risparmiata. Dalla letteratura ho tratto qualcosa, ma per lo più dati storici, rifiniture dottrinali. L'anno prossimo, all'apertura della Porta dell'Abbigliamento, con vaste aree ad esso dedicate, avremo una bibliografia ed un'antologia che la soddiferà. Per ora non posso che darLe un elenco breve e quasi inutile, perché si tratta di testi introvabili, dai quali ho tratto molto. Ho guardato per mesi senza stancarmi i disegni di Longfellow ed altri su Apparel Art, ristampato parzialmente da Electa nel 1989 in tre volumi che costituiscono una bibbia. Ho letto almeno trecento volte il Trattato della Vita Elegante di Balzac, che parla così poco di abbigliamento da far capire la sua rilevanza al negativo, ma non si trova più tradotto in Italiano. In un'area cui stiamo lavorando e che tratterà del Dandy, ne pubblicheremo una tradizuone privatamente fatta da un nostro cavaliere, l'avvocato Fulvio Foti. Ottimi sono il libro della Tatiana Tolstoij e quelli di Luigi Settembrini. Quasi tutti gli altri sono manualetti inutili. Quello che Lei ipotizza, un Bignami dell'Eleganza, non esiste e non può esistere. Essa è arte e scienza. La parte artistica ha una componente di talento ed una di tecnica, che richiede studio ed osservazione. La parte scientifica fonda su un sapere di tipo iniziatico, che si trasmette solo in minima parte con l'esempio e per il resto va assimilata personalmente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-07-2003 Cod. di rif: 414 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A presto Commenti: Da Lunedì a Venerdì sarò fuori. Per qualche giorno non potrò rispondere con la consueta sollecitudine, ne ho dato avviso nella mia Scrivania e lo ripeto qui, dove sono spesso sollecitato in prima persona. A proposito di risposte, se il signor Polenchi quasi si offendeva per un'omissione, io quasi mi rammarico per averlo contrato ed ora mi rivolgo a lui. Non sieda in quei posti di cui dicevo. Non ci starà comodo. Si procuri piuttosto un indirizzo, perché senza continuerà a fare la figura dell'extracomunitario senza permesso di soggiorno. Troverò comunque un computer per dare uno sguardo a quello che accade al castello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-07-2003 Cod. di rif: 419 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Oggetti rari e preziosi - Al sig. Gasparri Commenti: Egregio signor Gasparri, i tessuti con cui si ricoprono gli ombrelli migliori presentano percentuali di seta, dal 10% in su. Migliori dettagli sulla composizione li troverà sul sito dell'ombrellaio Talarico, raggiungibile dal nostro Libro dei Fornitori. Le caratteristiche di impermeabilità e lucentezza sono infatti superiori alle fibre sintetiche. Non di molto e certo un bel nylon svolge il suo lavoro e dura a lungo. La differenza principale è nella sottigliezza del tessuto, che si presta ad ottenere risultati estetici da sempre apprezzatissimi. Nonostante ciò, sembra di capire che la Sua perplessità sia da ricercare nella possibilità che sia rubato o smarrito. Accade lo stesso con le penne, le auto e gli accendini. L'aspirazione all'eccellenza non è una patologia rara e non tutti coloro che ne soffrono si ritengono per questo sfortunati. Sono in realtà pochissimi gli oggetti funzionali cui la civiltà non abbia conferito valori aggiuntivi: piatti e bicchieri (che si rompono con gran facilità) ad esempio. Dovremmo forse ritenere che gli sforzi per passare da una terracotta ad una porcellana smaltata furono inutili? Penso, al contrario, che sapere che altrove vi sia chi produce, chi conserva e chi usa prodotti unici di ogni natura e ne goda, contribuisca a mantenere quel registro di differenze che è alla base del piacere di tutti e - prima ancora - della vita stessa. L'ombrello, poi ha una micidiale valenza di oggetto di arredamento. In casa, senza mai nemmeno uscire, solgerà nel portabastoni un silenzioso ruolo, paragonabile a quello di un quadro o di una scultura ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 22-07-2003 Cod. di rif: 423 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Seymour Devoretsky: cui prodest? Commenti: Egregi Partecipanti alla Lavagna dell'Abbigliamento, in riferimento al gesso 422, mi permetto di segnalare a coloro ai quali interessasse approfondire l’argomento “Sy Devore” il sito www.sydevore.com. Detto sito è in verità mediocre ed anche inutile, fatta eccezione appunto per la storia del sarto Devore (cliccare il pulsante “Hollywood History”) descritta mediante la riproposizione di un articolo comparso sul “Los Angeles Times” il 7 dicembre del 2001: “The man who dressed the Rat Pack”. Il medesimo articolo è anche reperibile negli archivi Internet del “L.A.T.” (www.latimes.com/archives), ma per accedervi occorre prima registrarsi, sia pur gratuitamente, come utenti. Per concludere però mi permetto di osservare che non mi risulta che il sarto Devore abbia lasciato particolari eredità all’Abbigliamento maschile, al di là dell’interesse che potrebbe, o meno, suscitare la sua cronistoria mondana. Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-07-2003 Cod. di rif: 424 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Shantung e fibre estive - Al signor Lupo Commenti: Egregio signor Lupo, quando preparo la mia valigia per l'Avana, non manco mai di inserire un blazer per le frequenti serate al Nacional, la cui storia ed atmosfera giustificano - ancorché non tutti sembrino trarne le mie stesse conseguenze - una tenuta degna del suo passato. In queste zone calde, a volte torride, niente mi ha mai servito meglio dello shantung. Nego nel modo più assoluto che si tratti di un tessuto delicato, atteso che la mia giacca mi ha servito per molti anni ed è tuttora perfetta. Nego anche che non sia traspirante, purché sfoderato, naturalmente. Soffre le macchie, questo è vero, come tutte le sete, per cui bisogna avere pazienza e toglierle con sistemi antichi. Io rigenero il collo inumidendolo e poi applicando del talco, che resta ad assorbire per almeno trentasei ore prima di essere rimosso. Ragioniamo poi per esclusione: il cotone non è abilitato ad essere portato di sera. Il lino può reggere il confronto ed il ruolo, ma è fresco solo se vecchio e comunque la sera può essere indossato in abito in tinta unita, perché un blazer di lino sa di poco, di abito scompagnato. Quando si viaggia, dunque, occasioni in cui bisognba scegliere capi ad ampio spettro, una giacca blu di shantung coi bottoni in metallo bianco mi sembra un capo altamente strategico e valido per le temperature non proprio confortevoli di esterni tropicali. Il mohair, che non tutti sopportano, svolge la stessa funzione, così come un ritorto a due o tre capi, che rappresentano una valida alternativa. Resto però dell'idea che lo shantung sia più fresco. C'è una cosa da dire al riguardo di questi tessuti: diversamente dalle lane, che sono stabili, la seta e il lino invecchiando diventano più freschi, perché si allentano, perdono l'appretto, rilasciano il colore e quindi in definitiva traspirano ogni giorno di più. In conclusione, sono fibre che premiano chi le ama e le usa veramente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-07-2003 Cod. di rif: 427 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Esquire - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, il Savoia ha costituito da pochi anni una propria biblioteca e gli altri circoli cittadini non l'hanno punto. Anni fa ho cercato Esquire all'emeroteca della Biblioteca nazionale senza risultati, nemmeno parziali. In pratica, nessuna rivista che parli di abbigliamento e cultura maschile è mai stata ivi raccolta, nemmeno l'italianissima Arbiter. Ho cercato un paio di volte di penetrare all'Emeroteca dell'Ordine dei Giornalisti, che dicono a Napoli essere piuttosto fornita, ma l'ho trovata chiusa. Cercherò con rinnovato vigore, spinto dal Suo invito, ma temo che le istituzioni non abbiano mai ritenuto importante il linguaggio del vestire, ma solo la sua incidenza sul PIL. Dall'altro lato, il sistematico saccheggio operato dalle case di moda e da quelle che raccolgono materiale professionale per esse, ha spazzato ogni angolo del pianeta. Un numero di Esquire, che è introvabile, avrebbe oggi un valore venale di almeno cinquecento volte un numero di altre riviste, anche belle,come il NewYorker (se fosse esistito nei '30, cosa che non so. Non dimentichiamo che questa rivista pubblicava anche le Pin Up di Vargas, anch'esse copiate dai disegnatori di tutti i tempi successivi e di ogni nazione. Essa è quinsi stata fatta segno di una ricerca collezionsitica e professionale incrociata, che non ha lasciato speranza. Io ne ho un numero del 40, con tanto di Pin Up in ultima di copertina. Le sole pubblicità sono una fonte di ispirazione e conoscenza importantissima. Rilancio l'esortazione che mi proviene da Lei per girarla ad altri cavalieri ed appassionati che vivano in città importanti o vi trascorrano lunghi periodi, anche all'estero, per continuare questa ricerca. Anche qualora questo tesoro venisse individuato, non sarà un momento di trionfo, perché messo di fronte alle cronache di quegli anni il nostro homunculus braghicortus riconoscerebbe nei documenti di un passato nemmeno lontano una dignità che più non gli appartiene ed un patrimonio di bellezza che ha contribuito a distruggere. E' uno specchio in cui è difficile guardare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 23-07-2003 Cod. di rif: 428 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Devore & Co. Commenti: Egregio signor Pugliatti, in riferimento al sarto Sy Devore, sono d’accordo con Lei sulla risonanza che quest’ultimo ebbe ai suoi tempi, tant’è vero che viene anche citato da James Ellroy, il noto autore di ”L. A. confidential”, nel suo libro “Sei pezzi da mille” parlando appunto di Frank Sinatra), purtuttavia rimango dell’avviso che egli, a differenza tanto per fare un nome di uno Scholte, non abbia lasciato particolari eredità sartoriali. Ammetto di essere forse troppo influenzato da un particolare, ma non posso fare a meno di considerarlo significativo e “imperdonabile”: Devore è stato il sarto di Elvis Presley, il quale anche se fondamentale nella storia della musica Rock non mi pare sia idoneo a figurare nella storia dell’Abbigliamento (a meno di non volerlo inserire nei grandi esempi negativi). Da ciò nasce un interessante dilemma: fino a che punto un sarto (ma la problematica è generalizzabile ad altre figure dell’artigianato) deve assecondare i desideri del suo cliente? Un grande sarto cucirà, su richiesta, un abito da avanspettacolo oppure dovrà rifiutarsi in nome dei canoni classici, il cui tradimento svilirebbe innanzitutto il suo nome? Se il cliente e il sarto, come più volte dibattuto in questa Lavagna, sono co-autori dell’abito non saranno anche all’occorrenza correi? Cordialmente Giampaolo Marseglia Post scriptum: i figurini di Esquire e di Apparel Arts sono effettivamente oltremodo affascinanti: in ognuno di essi si trovano spunti tali da fare galoppare a briglia sciolta la fantasia. Mi permetterò di inviare al Suo indirizzo elettronico, e per conoscenza alla Segreteria dell’Ordine, un “petit cadeau” che spero non sia già in Suo possesso e dunque Le possa fare piacere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pagano Data: 23-07-2003 Cod. di rif: 429 E-mail: gpagano@gop.it Oggetto: l'Importanza del Dettaglio Commenti: Egregio Grande Maestro, partecipo, con questo mio intervento, per la prima volta alle discussioni svolte su queste lavagne per chiederLe lumi sulle regole da adottare al momento della scelta di due particolari imoprtanti del vestire maschile. Nello specifico vorrei conoscere le regole che dovrebbero guidare la scelta del tessuto, della lavorazione ed, infine, del colore delle calze, nonché, se possibile, i nominativi dei produttori più qualificati. Gradirei, inoltre, sapere quali sono le modalità più appropriate per piegare il fazzoletto da taschino a seconda del tessuto utilizzato per confezionarlo e delle occasioni in cui lo si indosserà. RingraziandoLa fin da ora per la disponibilità, Le porgo cavallereschi saluti. Giuseppe Pagano p.s. Sono ansioso di poter ammirare le scansioni dei disegni presenti sulla mitica rivista "Apparel Arts" i quali, credo, rappresenteranno il miglior supporto iconografico possibile alle interessantissime discussioni presenti su queste lavagne. Nel frattempo sarebbe possibile vedere sul sito la fotografia, inviataLe dal Professor Pugliatti, del presidente del Circolo Savoia con il suo magnifico doppio petto con tasche applicate? Grazie ancora ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 24-07-2003 Cod. di rif: 430 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Calzature bi colori di James Bond Commenti: Nobili cavalieri, per allietare una afosa serata estiva ieri sera non vi era che il Nostro Eroe, impegnato in suolo giapponese. Per l'ennesima volta ho rivisto il film e per l’ennesima volta ho notato che nella prima parte del film Bond indossa un paio di spectator bianche e nere sotto un completo grigio con cravatta di maglia nera. Qualche occhio più acuto del mio sa dirmi qualcosa in più su quelle calzature? In alcuni fotogrammi mi sembrano addirittura senza lacci, con due elastici ai lati o sbaglio? Si tratta forse di calzature da golf private dei chiodini? Cavallereschi saluti Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-07-2003 Cod. di rif: 435 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Età dell'oro Commenti: Fino alla ripresa ed al boom economico, il nostro Paese non aveva certo il prestigio - anche culturale - che ha guadagnato successivamente. Basti pensare che negli anni 30 noi si aspirava ad un Impero, mentre c'era chi lo aveva da tempo: immenso, ricco, potente. Insomma in quegli anni contavano solo, nell'ordine: Londra, Parigi e New York. La misurazione comparativa va fatta quindi su questo scenario e non su quello romano, che subì variazioni sociali molto più forti. La questione è comunque interessante, ma resto della mia opnione che per la combinazione di vari elementi, gli 30 furono gli anni d'oro dell'abbigliamento maschile, come i 50 e i primi 60 lo furono per quello femminile. Nel nostro caso, si raggiunse un equilibrio tra la vecchia impostazione aristocratica e quella emergente borghese, in quello femminile scomparve l'eccessiva drammaticità della femme fatale alla Dietrich e si trovò l'equilibrio tra nuovi e vecchi ruoli. Nelle gonne a ruota, nei cappottini corti, c'è una nota di incontenibile gioia per le immense possibilità che si andavano aprendo per la donna stessa e per il suo rapporto col maschio e col mondo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-07-2003 Cod. di rif: 436 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Biblioteca e bibliografia Commenti: Stiamo già da tempo lavorando ad una bibliografia dell'abbigliamento maschile e tutti i suggerimenti giungono utili. Attendo dal signor Liberati di sapere se l'Encyclopedia è davvero meritevole, mentre raccoglierò il suggerimento di Pugliatti e chiamerò la Zegna, con la quale intrattengo un ottimo rapporto, per sapere qualcosa sulla loro biblioteca. Suggerisco un prodotto fresco: Dressing the Man (dovrò stare attento in caso di edizione italiana, si tratta infatti di un titolo che potrebbe tradursi come il mio ciclo su MONSIEUR: Vestirsi Uomo). Nel testo, il cui autore americano non ricordo, fa da mattatore il nostro Luciano Barbera, che appare più volte in foto . Un riconoscimento di uno stile stupendo e sincero. In ogni caso, non potremo accelerare il lavoro e la Porta dell'Abbigliamento, con nuove aree ed un taglio internazionale, non potrà aprire prima del Giugno 2004. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 28-07-2003 Cod. di rif: 437 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Dressing the man Commenti: Ill.mo Gran Maestro, l'autore del volume intitolato "Dressing the man" è Alan Flusser, autore anche di un'altra interessante pubblicazione intitolata "Clothes and the man". Si tratta di due ottimi volumi, riccamente illustrati, soprattutto il primo con splendidi figurini e foto anni 30/50. A chi fosse interessato all'acquisto consiglio di effettuarlo tramite Amazon.co.uk, si risparmia infatti qualcosa in costi di spedizione rispetto al sito americano. Vivamente sconsigliato è rivolgersi a librerie italiane.Il volume da me acquistato tramite Amazon a circa 45 Euro in alcune librerie specializzate è in vendita a circa 90 Euro. Se non è furto.. Cavallereschi saluti Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-07-2003 Cod. di rif: 439 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un lavoro umanitario Commenti: Cavalieri, Visitatori, per riuscire ad offrire qualcosa di valido ad un pubblico così selettivo e selezionato quale quello che frequenta un sito specialistico come questo, il lavoro editoriale che precede l'apertura di un'area può durare anni. La Porta dell'Abbigliamento presenterà tra l'altro una bibliografia dell'Uomo che aspira all'Eleganza ed un florilegio di opere in argomento, spesso tradotte dall'inglese. Questo lavoro sembra già essere presagito e richiesto da molti, ma non può essere completato in breve tempo. Le molteplici spinte mi convincono dell'opportunità di pubblicare qui di seguito una lettera proveniente dal mio personale carteggio col dr. Italo Borrello, romano, Curatore della futura Biblioteca della Porta dell'Abbigliamento. Egli sta lavorando tra l'altro alla scannerizzazione di opere qui più volte citate ed alla traduzione dei testi che le accompagnavano. La sincera passione dimostrata da parecchi Simpatizzanti e Cavalieri potrà tradursi in un aiuto concreto al Curatore, che in tal modo si sentirà meno solo in quest'improba fatica. Esorto in modo particolare il signor Liberati a contattarlo, privatamente o qui sulla Lavagna, per avere informazioni sull'Encyclopedia, che personalmente non ho mai sfogliato. Qualora si renda opportuno un lavoro su testi rari, in nome del Cavalleresco Ordine mi rendo garante per eventuali danneggiamenti ai libri che fossero prestati al dr. Borrello e dichiaro che l'Associaione rifonderà eventuali danni senza discutere. So bene che i libri vengono prestati malvolentieri, ma qui si tratta di un lavoro di alto valore umanitario, che potrà sciogliere anche i cuori più duri e vincere con una motivazione morale un attaccamento moralmente nato. ___________________________________ Da Italo Borrello borrello.italo@insedia.interbusiness.it Illustre Gran Maestro, scorrendo la Lavagna dell'abbigliamento, noto il crescente interesse e l'attenzione che molti Cavalieri e appassionati manifestano per le pagine di Apparel Arts e di Esquire. Come già dicevamo in una conversazione telefonica di qualche settimana fa, ciò rende urgente il lavoro di scansione e di traduzione di quel poco che Electa rese disponibile della prima Rivista. Per parte mia, mi sto avventurando nella traduzione dell'articolo "The New London Lounge", originariamente apparso nel volume VI, n. II, Winter 1935-1936, p. 120-122 e, successivamente, nel primo dei tre volumi editi da Electa. Credo che il passo successivo sarà la traduzione della "Apparel Arts Chart of Correct Dress for The Occasion", anch'essa pubblicata nel volume VI, n. II A, Advanced Spring 1936, pp. 62-68, e ristampata nel primo dei volumi Electa. In questo caso, occorrerà accompagnare al testo la riproduzione degli splendidi figurini. Mi auguro che il grande entusiasmo riesca a sopperire alle molte lacune del mio pessimo inglese. Spero inoltre di poter contare sull'aiuto dei nobili Cavalieri e degli appassionati per reperire ulteriori documenti. In particolare, sono anch'io curioso di sentire il parere del sig. Liberati circa l'Esquire's Encyclopedia of 20th Century Men's Fashions. Essendo anch'egli romano, sarei felice di conoscerlo personalmente, per discutere con lui dell'impresa. Attendo inoltre di conoscere l'esito dei Suoi contatti con la Zegna e, se meditasse di organizzare una visita alla loro biblioteca, sarei immensamente felice di accompagnarLa. Sto inoltre procedendo a "isolare" molte pagine dei volumi che a suo tempo selezionai per un'ideale bilbioteca del Castello. Credo che possano rappresentare un (sia pur minimo) punto di partenza. Tra questi: a) gli articoli introduttivi di Luigi Settembrini e di Bruce Boyer nella ristampa Electa di Apparel Arts, intitolati, rispettivamente, "L'American Dream" e "L'abito maschile 1930-40"; b) l'introduzione e alcune parti di Tatiana Tolstoj, "Manuale di eleganza maschile", SugarCo, Milano, 1988; c) almeno i capitoli sull'arte di combinare i disegni e sulla giacca sportiva del libro di Alan Flusser, "Dressing the Man", New York, 2003 (anche questi da tradurre in italiano); d) le pagine sull'abito intero e sullo spezzato tratte da R. Villarosa e G.Angeli, "Homo elegans", Idealibri, Milano, 1992; e) le pagine di Luigi Settembrini e quelle sui grandi eleganti italiani del passato (da Giacomo Puccini a Luigi Pirandello, da Vittorio de Sica a Totò) pubblicate in Aa.Vv., "La regola estrosa - Cent'anni di eleganza maschile italiana", Electa, 1993. A proposito di quest'ultima pubblicazione, ricordo ancora con commozione l'omonima mostra che ebbi occasione di ammirare a Firenze oltre dieci anni fa. Essa accese definitivamente in me la fiamma della passione per l'abbigliamento maschile. Crede sia possibile ipotizzare l'organizzazione, da parte del C.O., di qualcosa del genere, nei tempi necessari - però - a farne un evento destinato ad essere ricordato per sempre? Attendo ulteriori consigli, suggerimenti, indicazioni da Lei o dagli altri abituali frequentatori della Lavagna, affinchè l'impresa di costruire una Biblioteca ideale dell'Uomo Elegante possa beneficiare del patrimonio di straordinaria cultura e competenza che sta arricchendo la mia quotidiana frequentazione del Sito. Con i più cordiali saluti Italo Borrello ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-07-2003 Cod. di rif: 443 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ringraziamenti - Ai signori Alden e Liberati Commenti: Mr. Alden, Signor Liberati, a nome del Cavalleresco Ordine Vi ringrazio per il generoso gesto. Non mancheremo di contare su di Voi, perché presto alcune aree verranno tradotte e comincerà ad esserci circolazione di testi in inglese. Quanto ad Alden, che si dichiara appassionato di tutte le nostre Porte eppure è la prima volta che scrive, sono lieto di scoprire, ogni tanto, qualcuno dei tanti Visitatori che ci seguono silenziosamente. Ho per lui anche una domanda, relativa a Savile Row. Dice di trovarla ancora molto interessante, purché si sappia dove andare. Ciò lascia immaginare che sia aggiornato su questo straordinario bacino inglese. Se è così, perché non ci scrive qualcosa in merito? Grazie e cavallereschi saluti da Napoli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-07-2003 Cod. di rif: 445 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le lavagne - A Villa e Armelli Commenti: Egregio Villa, La ringrazio del Suo intervento risolutore, che ha anticipato la domanda che infendevo farLe in proprosito. Ricordo al signorArmelli la Sua scheda della Sartoria Aimi & Gigliotti presente nel notro Portico dei Maestri. Sottolineo che chiunque è libero di rispondere alle domande qui poste, anche se spesso sono rivolte al Gran Maestro per motivi di cortesia. Lo scopo delle Lavagne è quello di formulare opinioni e domande rivolte sempre a tutti i Visitatori, a prescindere dalla formulazione. Diverso il caso della Posta del Gran Maestro, dove tutti possono intervenire, ma la prima parola spetta alla massima carica dell'Ordine. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 29-07-2003 Cod. di rif: 446 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Calzature Berluti Commenti: Nobile Gran Maestro, ricorro alla Sua scienza e saggezza, oltre al Sua estrema franchezza ed obiettività di giudizio per avere un parere sulla linea Berluti così detta pret à soulier, causa di un acceso dibattito tra amici intenti a degustare dell’ottimo gelato nella mia veranda. Io ne posseggo un paio, più precisamente modello Olga One e non posso dirne che un gran bene, sia dal punto di vista della comodità, sia da quello estetico e della qualità dei pellami. Qualcuno sosteneva invece come tali calzature non reggano il confronto con case come Alden, Edward Green, più tradizionalmente radicate nel mondo del pronto e vero ultimo stadio di eccelsa qualità prima del su misura. Berluti sarebbe in sostanza grande nel su misura, ma non così nel pronto. Personalmente come dicevo non condivido tale opinione , avendone avuto esperienza diretta, anzi paragonerei Berluti alle camicie Chravet, ugualmente grandi tanto nel à mesure, quanto nel pronto. Un Suo competente parere al proposito mi sarà prezioso…ci sono in gioco un paio di kg di ottimo gelato artiginale… P.S. per il signor Armelli consiglierei anche una visita dai Maestri Cravedi a San Giorgio Piacentino, non troppo distante da Parma, di cui può leggere nel taccuino di viaggio. Con sempre maggiore stima Cavallereschi saluti Suo scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Adorni Data: 30-07-2003 Cod. di rif: 450 E-mail: gadorni@yahoo.it Oggetto: Berluti Commenti: Stimatissimo Cavalier Chiusa, torno dopo mesi di lontananza a scrivere su queste lavagne per dare ragione al Suo mico sostenitore della bassa qualità in rapporto al prezzo delle Berluti linea pronta in vendita ad esempio a Milano in Via Verri. Si tratta di scarpe dozzinali, dai pellami rigidi e soprattutto dalla pessima calzata. Trovo anzi scandaloso che siano proposte con un marchio dalla così illustre storia. A circa 800 Euro, la maison Berluti o chi per loro potrebbe fare uno sforzo maggiore, basta confrontarle con proposte dal prezzo analogo di altre case come appunto Alden o Edward Green per rendersi conto della differente qualità, nettamente più scadente. Non basta proporre belle foto su riviste compiacenti per altro di proprietà del gruppo (Monsieur) o presentare in boutique le calazature perfettamente lucidate (ecco sulle cere nulla da eccepire) per ingannare che di qualità un poco ne mastica. Dal mio punto di vista con questa operazione Berluti ha perso tutto quel fascino che aveva anche nel su misura. Aggiungo che se il sig. Chiusa trova valida la propria francesina probabilmente ciò è dovuto al fatto che è stata acquistata qualche anno fa quando ancora Manifattura Ferrarese non produceva il pret à soulier per conto di Berluti. Sbaglio forse? Con stima Piacenza 30/07/03 Giacomo Adorni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-07-2003 Cod. di rif: 452 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La patria della civiltà Commenti: Mr Alden, non sarà Dante a dolersi del Suo italiano e tanto meno noi, perché pur usando una lingua che non maneggia è riuscito ad accedere a profondità che al Sommo non sarebbero dispaciute. Forse, stimolato dal contesto, ha fatto il contrario dei sarti che Lei con copernicana visione ipotizza essere bravi artigiani oscurati dalla banalità della domanda. L'inglesità (non imiti quest'aggettivo, per carità...) del suo punto di vista inglese è così perfettamente inglese che suona come un balsamo per me e per tanti di noi che hanno sempre guardato al Suo paese come alla vera patria della civiltà dopo che essa aveva lasciato nell'ordine la culla di Atene, la casa di Roma e gli studi fiorentini. Sono commosso. Grazie. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-07-2003 Cod. di rif: 453 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sentenza Chiusa/Mangiatori gelato - R.G. 01/03 Commenti: Egregio Scudiero, la questione Berluti non può essere liquidata in poche battute. Si tratta di una dinastia che ha saputo creare uno stile che è senz’altro oggi molto più copiato di quanto siano o siano stati i grandi calzaturifici inglesi o italiani. Questi ultimi, anzi, hanno saccheggiato il patrimonio modellistico Berluti sino a giungere alla causa che un paio di anni fa vide soccombere Gucci, che dovette rifondere al gruppo LVMH circa duecentomila Euro a titolo di danni e ritirare migliaia di paia di scarpe. Aveva copiato anche lui. Non saranno i magistrati a fermare questo passaggio da Berluti ad altri marchi, prova direi fisica di un dislivello artistico incolmabile e che per semplice caduta porta linee e idee dall’alto verso il basso. La derby tre buchi, ad esempio, creata nel 1895, è ancor oggi imitata quanto la pizza napoletana. Ad Aprile ero a Londra all’inaugurazione della collezione tatuata e con facilità posso predire che sarà scopiazzata in malo modo da molti paesi, anche se probabilmente non in Italia. Non posso dire che le pelli tatuate facciano per me, ma fu comunque un successo strepitoso, ottenuto nei confronti di un pubblico di grandi mezzi e conoscenze. Questi fenomeni creativi hanno condotto la ditta ad un incremento del fatturato di oltre il 60% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non sono i soldi la verità assoluta, ma i consensi di larghe aree di un mondo internazionale vanno considerati come una cosa seria, anche se magari chi frequenta solo ambienti nazionali e/o di lavoro non si rende conto degli scenari planetari del gusto. Lei sa bene come la penso e quanto sia rigoroso il mio giudizio, ma il problema è già complesso con le variabili impostate e non le abbiamo ancora finite. C’è infatti da tenere in conto il genio di Olga, che traspare da ogni creazione. Non tutte sono riuscite allo stesso modo, ma in ogni caso si tratta dell’unico caso al mondo in cui si possa sapere con certezza chi abbia disegnato la scarpa, chi ne abbia creato le forme. Lei. La piccola signora che io considero un Maestro. Gli inglesi hanno canonizzato la scarpa maschile, Berluti ha santificato il calzolaio. La condizione di questi artigiani, a livello mondiale, deve tutto all’immagine di artista che i Berluti hanno dato all’attività artigiana e che finché la scarpa era restata in Inghilterra era restata oscurata dai nomi degli imprenditori che gestivano le aziende produttrici. Detto questo introduciamo l’ultimo tema. Indipendentemente da Berluti, l’uomo può calzare scarpe meravigliose. Io tuttora mi servo da Peron&Peron e non dubito che il classicismo estetico dei cavalieri ne porti la gran parte ad orientarsi al gusto più severo della modellistica di impostazione inglese. Una scarpa Berluti ha però forme, nel senso di modelli su cui sono adattati i volumi, assolutamente ineccepibili. Guardate l’invenzione con cui ha reso asimmetrico il tacco di uno dei suoi mocassini, supportando l’arco interno e risolvendo il problema di poter alzare la “murata” laterale anche nella scarpa non allacciata, senza che per difetto di appoggio e tenuta si apra sguaiatamente. Attualmente risulta anche a me, che non lo voglio sapere, che sia realizzata da StefanoBi. Ammettiamo che le faccia invece il mio portiere, anzi la figlia sedicenne. Resta il fatto che le forme sono realizzate in modo perfetto, la progettualità è quella di chi ha una manualità appresa dall’infanzia. Si sollevino pure i critici sparagnini che vorrebbero sentir dire che la miglior scarpa è quella da venti sloti che il babbo aveva comprato alla svendita di Cracovia nel 1939. Tutti coloro che hanno provato la calzata Berluti concordano sulla comodità del prodotto e anche qualora vi fosse una percentuale di dissensi, aprendo un referendum su qualsiasi marca non si raggiungerebbe mai un plebiscito unanime. Sinora più che rispondere alla domanda ho ridisegnato i suoi presupposti. Riassumendo, dobbiamo mettere sul primo piatto della bilancia: 1) La storia, fatta di veri personaggi e di grandi clienti, che può anche pesare poco per alcuni e molto per altri. 2) Il significato che la dinastia ha avuto nell’evoluzione sia del gusto della calzatura che nel prestigio del calzolaio. 3) Una modellistica straordinariamente inventiva. 4) Forme tecnicamente ed anatomicamente perfette. 5) Invenzione a ritmo continuo, che potremmo anche non considerare un valore se non fosse così prontamente imitata dappertutto, dimostrando di avere visione del futuro piuttosto che stanchezza del presente. 6) La scoperta del gusto del colore, attribuibile senz’altro a Berluti. Non mi riferisco solo ai colori bizzarri, ma alle sfumature di lustratura. Proprio la qualità della lustratura è stata il cavallo di battaglia della maison, cavallo che oggi trovo in verità un po’ imbolsito. Dall’altra parte pesano gravemente: 1) Una fattura piuttosto banale da un punto di vista della lavorazione. 2) Un gusto forte, che resta sullo stomaco a parecchi. 3) Incostante qualità dei pellami e delle lustrature. Insomma è un po’ come per i sigari avana: il prezzo è sempre lo stesso, la qualità no. Il fulcro su cui poggiano i piatti è la stessa Olga, indiscutibile, dotata di una conoscenza della vita e dell’uomo e di una visione delle superfici e delle profondità che ne fanno un Oracolo, una Sibilla. Tutto ciò premesso e ritenuto, nel giudizio tra Gianluca Chiusa ed ignoti amici amanti del gelato, avente ad oggetto il pronto di Berluti, emetto in primo grado la seguente sentenza. Essa non è opponibile ad Olga, in quanto questo Giudice si dichiara incompetente a pronunciarsi su un’autorità più elevata. Ritengo nel caso di specie irrilevante la provenienza del prodotto, atteso che ciò che importa è da un lato la validità del disegno e dall’altro la carenza costruttiva. Altri marchi le scarpe le fanno lavorare in estremo oriente. Per disegno e forma della calzata i modelli sono ineccepibili da un punto di vista calzaturiero e generano una comodità pari alla media della concorrenza inglese. Quest’ultima si distacca, sempre mediamente, per pregio intrinseco della lavorazione, ma non per i materiali. La qualità della manifattura, considerata la banale tecnica costruttiva a black, sconsiglia l’acquisto di una Berluti a chi miri ad una durata assoluta del prodotto. Ciononostante, è emerso dall’istruttoria che molti uomini dal gusto indiscutibile amano questa scarpa, sicché essa si configura adatta ad uomini dall’atteggiamento particolarmente e dichiaratamente dinamico, intellettuale, artistico. Chi si sente un’ostrica, che vive immobile e nasconde tesori, calzi inglese o all’inglese. Chi si sente farfalla, che vola leggera e si posa solo sui fiori, calzi con gusto italiano. Chi si sente gabbiano, che vive sempre controvento, calzi Berluti. Saggiamente le parti non hanno posto domande sul rapporto prezzo/qualità. Non mi pronuncerò quindi ultra paetitum, ma se avessi dovuto farlo avrei valutato generosamente il valore aggiunto dato dalla storia e dalla ricerca incessante di molte generazioni. Ritengo infine discriminante la riconducibilità del prodotto ad una singola persona. Risulta a questa corte l’esistenza di un accordo tra Arnaud e Berluti per cui fino alla morte di Olga o al suo ritiro nessun altro potrà disegnare calzature o altri oggetti che portino questo marchio. Quanto alla domanda principale, tanto basta ad un Tribunale Cavalleresco per dichiarare la parità del prodotto Berluti rispetto alla concorrenza inglese di pari prezzo. Non si tratta di una parità qualitativa, ma comparata e complessiva. Condanno quindi gli ignoti amici a pagare in favore del ricorrente Scudiero Chiusa due chili di gelato. Tenuta presente la parziale vittoria dei resistenti sul piano della qualità meramente tecnica, condanno altresì Gianluca Chiusa a pagare loro un secondo giro. La sentenza è immediatamente esecutiva, ma in qualunque momento ricorribile in appello ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-07-2003 Cod. di rif: 454 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Maremmana - A Villa e Forni Commenti: Lodo innanzitutto e sottoscrivo il parere di Forni di cui al gesso n. 448, come sempre implacabile, preciso, alieno da compromessi, insomma in pieno spirito cavalleresco. La cravatta nelle occasioni sportive è stata dimenticata da poco tempo e proprio lo stesso Forni mi testimoniava che fino agli anni ottanta non era raro vedere qualche signore di una certa età praticare lo sci di fondo in cravatta. Oggi anche i più anziani preferiscono le tute aderenti e squillanti, ma il lavoro che si sta svolgendo entro queste mura potrebbe col tempo spingere qualcuno a riguardare le foto di Curzio Malaparte sulla neve o di suoi contemporanei meno celebri. Nelle loro lane e fustagni sembrano lontani quanto un personaggio degli affreschi di Piero della Francesca, ma non è come sembra. Nulla è perduto e non c'è bisogno che siano tutti a vestire in classico. E' proprio il contrario. L'uomo in cravatta è il vero no-global e vedere tutti alla stessa maniera sarebbe una sconfitta comunque, perché ciò che è giusto in questo campo lo è per il singolo e attraverso il singolo. Quanto alla giacca maremmana di cui chiede Villa, la vedo in tessuti a trama larga, possibilmente a tela. Se in cotone, un canvas grosso. Favolosa sarebbe in un bel canapone come quello che ancora si trova solo nei mercatini bolognesi. In lana, niente di meglio di un bell'harris, ma ancora forse esiste quella lana seminfeltrita tipica della toscana che era il materiale originale del modello. Il lino lo vedo un pò troppo raffinato se nuovo, ma dopo un'abbondante stazzonatura, magari in parte artificialmente condotta con lavaggi brutali, l'effetto dovrebbe essere consono allo stile della maremmana. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-07-2003 Cod. di rif: 456 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vette ed abissi degli anni '70 - A L. Villa Commenti: In attesa di un parere del bondologo Pugliatti, non posso che concordare con Lei. Solo le camicie, quelle bianche, erano immutate, ma già occhieggiavano i pullover sotto le giacche, anche per il nostro fedelissimo agente. In effetti gli anni '70 hanno prodotto una quantità strabiliante di musica di altissimo livello e qualche bella automobile nelle categorie sportive, ma sotto il profilo dell'abbigliamento e degli oggetti di arredamento siamo ai minimi storici. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-08-2003 Cod. di rif: 459 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gli anni delle cipolle - A C. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, la Sua rievocazione degli anni bui mi ha dato i brividi. Il pellicciotto afgano è veramente esistito e chi è giovane - forse anche Lei - non potendo dire "IO c'ero" non potrà comprendere le sensazioni che una rievocazione del genere comporta. Anche molti che c'erano non ricordano, o negano. In un recentissimo evento da Don Alfonso, organizzato dal Maledetto Toscano e dal Parlamento dei Fumatori, ho preso la parola ricordando i vecchi tempi del prestigioso ristorante, quando negli anni 73/74 lo stesso Alfonso serviva ai tavoli e c'era la televisione accesa. Dissi anche che ricordavo di averglielo visto fare con una canottiera celeste. Alfonso ha negato e la moglie Livia si è inferocita. Erano senz'altro in buona fede, perché chi non ha uno specifico culto del vestire dimentica i capi che hanno fatto parte del guardaroba perché non li ha amati, non ha mai chiesto né avuto nulla da loro. Io ho più indulgenza per il mio passato, perché, come nel caso di Bond, un giudizio di questo tipo non deve tener presente le leggi aggiornate, ma quelle dell'epoca del fatto. Tempus regit actum. Ricordo la giacca con la quale andavo al quinto ginnasio: un vago colore blu con un motivo piuttosto grande che riproduceva tre vasi stilizzati sovrapposti, in colori sfumati. Ho usato negli stessi anni (69/71) le camicie strettissime e ricamate dai colli lunghi, ho calzato un paio di stivaletti, ho tentato senza successo il borsello. Solo ad una perversione sono sfuggito: all'uso del color cipolla. Esso ha ora su di me lo stesso effetto dell'iprite ed anzi definisco quegli anni come quelli delle cipolle, ma all'epoca devo esserci andato proprio vicino. Probabilmente, se ne fossi stato contaminato, oggi non sarei quello che sono. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-08-2003 Cod. di rif: 463 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La cipolla Commenti: Egregio Clerici, effettivamente il suo gesso n. 409 era restato inevaso, ma poniamo subito rimedio. Gli orologi da tasca sono favolosi, ma da maneggiare con molta cura. Non mi riferisco all'oggetto ed alla sua delicatezza, ma all'immagine di chi lo porta, che può facilmente passare il segno e cadere nel grottesco, nel ridicolo, nell'ostentazione o in altre zone patologiche. La conoscenza e la passione per un oggetto sono la difesa sicura contro questi mali, ma danno i loro effetti col tempo. Alle prime sortite, qualcuno potrà prodursi in qualche battutina cui non bisogna dar peso. Un termometro estetico implacabile e sempre ben tarato è rappresentato dai commenti femminili e dalla loro mancanza. Ancorché l'uomo che si riconosca in questa Lavagna vesta in realtà al sessanta per cento per sé stesso e per il restante quaranta per gli altri uomini, il parere delle donne può indicarci se un oggetto appaia come adeguato, come una cosa veramente nostra o meno. L'abbigliamento dell'uomo vestito con proprietà specifica, cioè secondo le sue vere inclinazioni e non tenendo qui conto di regole astratte, viene da esse, streghe intuitive, totalmente ignorato: sia che si tratti di berretti texani fosforescenti che di gessati di Caraceni. Il commento che deve temere, devo averlo già detto, è il "com'è carino...". Se si ripete parecchie volte in un giorno, non c'è proprio speranza e bisogna riconsiderare le proprie scelte, magari i dettagli. C'è qualcosa che non va. Quanto alla cipolla, va portata nel taschino basso a destra. La catena passa nella quinta asola del gilet e termina. Per motivi di praticità deve essere piuttosto lunga e fermata da un arnese a forma di T che impedisca che fili attraverso l'asola. Questo terminale viene riposto nell'altro tascino, quello sinistro. Tirando fuori l'orologio ed avvicinandolo al volto per guardarlo bene (una volta si usavano poco gli occhiali da presbiopia), la catena veniva richiamata sino al fermo e poi riportata simmetricamente in posizione di riposo. Un'arco a destra ed uno verso sinistra. da notare che sembererebbe più comodo portare l'orologio a sinistra, ma inanzitutto il gesto di scostare il lembo della giacca per accedere all'orologio è più teatrale e poi, se immaginate il gesto così come lìho descritto, vedrete che risulta più razionale per un destro (l'opposto per i mancini) irare nel modo descritto. Ciò permette inoltre al fermo, in genere pesante e ben lavorato, di non nascondersi. L'abbottonatura da uomo, sovrapposta da sinistra verso destra, farebbe infatti in modo che il fermo tirato dal lato opposto vada a nascondersi dietro l'asola invece di fermarsi davanti ad essa, esponendosi alla pubblica ammirazione. I più begli orologi da atsca sono quelli detti savonnette, completamente lisci. Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma devono essere del nobile metallo. Si, perché mentre l'orologio da polso può essere in altri metalli, quello da tasca se non è d'oro sembrerà con alta probabilità da ferroviere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-08-2003 Cod. di rif: 464 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: W iva Churchill Commenti: Preziosissimo Mr Alden, il Suo ultimo gesso mette una volta per tutte in chiaro, con maggior forza di quanto abbia saputo fare io stesso, che la responsabilità di una decadenza ed il merito di una crescita non possono mai essere attribuite ad una sola parte. Penso che lo stesso che Lei ha detto della sartoria valga per l'arte, la gastronomia, il vino. La banalizzazione di quest'ultimo è causa della volgarizzazione della committenza e della critica più di quella dei produttori. In più occasioni, concordando col Suo pensiero, ho dichiarato che un abito è frutto di collaborazione tra sarto e cliente e che proprio in questo risiede la magia di questo mondo. Richiamo quindi i veterani e le matricole ad assumersi i loro doveri, che per quanto riguarda chi aderisca al pensiero qui e nelle altre aree ed opere cavalleresche da sempre rigorosamente espresso è nell'intransigenza. Rifiutiamo l'approssimazione ed esercitiamo il dovuto rigore innanzitutto con noi stessi. Impariamo a chiedere a noi stessi e facciamo lo stesso con gli altri. Ovviamente la salvezza non è nel comandare in sé stesso, ma nel sapere cosa chiedere, quando, perché. Sono commosso dall'omaggio profondo che ha saputo tributare a Winston Churchill. Era facile sentire nella Sua celebrazione un'intera nazione, un'epoca non conclusa e il riconoscimento corale ad una personalità che in molti abbiamo forse poco compreso. Questo grande personaggio, di cui certo conosciamo i vasti meriti in molti campi, è per noi italiani un pò come quelle parole difficili e meravigliose che non si pronunciano perché sembrano poco comprensibili e quindi restano nel vocabolario senza essere usate. Le abbiamo sulla punta della lingua, ma le rimandiamo alla prossima occasione. Insomma, Lei ha guadagnato un nuovo churchilliano. Mi rifaccio ora al Suo primo intervento per chiedere cosa intenda per tweed Saxony. Noi dividiamo il tweed in Harris, Donegal e Scottish, ma riserviamo il nome Saxony alla flanella pesante, cardata, in genere usata per il Principe di Galles (quello che voi inglesi chiamate Glen Urquhart). Infine una domanda di carattere generale. I Suoi dati non risultano dal Registro degli ospiti e quindi nulla sappiamo di Lei, se non quanto basta. Che è persona sensibile e colta, che è inglese. La Sua nota sui livelli ormonali ci fa ora capire che ha sorpassato da tempo l'età media dei navigatori di Internet. Mi farebbe quindi piacere sapere come ha saputo del cavalleresco Ordine, della sua attività e del suo castello. Non è una curiosità oziosa, ma poiché ci prepariamo ad aprire aree anche in inglese sono interessato a quello che si sa e si dice di noi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pagano Data: 05-08-2003 Cod. di rif: 484 E-mail: gpagano@gop.it Oggetto: Commenti: Egregio Grande Maestro, so benissimo che Lei lavora incessantemente, dedicando gran parte del Suo tempo, per rendere sempre più imponente il Castello, arricchendone i Suoi già magnifici torrioni ma non trascurando, al contempo, di rinforzarne sempre più le fondamenta. Quindi,capisco perfettamente. Cavallereschi Saluti Giuseppe Pagano ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pagano Data: 05-08-2003 Cod. di rif: 485 E-mail: gpagano@gop.it Oggetto: Richiesta per Mr. Alden - Ringraziamenti al Grande Maestro e Commenti: Egregio Mr. Alden, in vista di un mio prossimo viaggio a Londra sono alla ricerca di informazioni relative ai luoghi di interesse cavalleresco. Potrebbe essere così gentile da fornirmi qualche indicazione. Colgo l'occasione, inoltre, (meglio tardi che mai) per ringraziare il Grande Maestro ed il Cavalier Forni rispettivamente per la magnifica descrizione del viaggio alla scoperta degli autentici artigiani napoletani (Loro di Napoli - Monsieur Marzo 2002)e per lo stupendo ed incisivo gesso 158 "Amarcord Anglomania". Sottocrivo appieno Le parole che il Cavalier Forni dedica al Sommo Dante De Paz. Credo fermamente, infatti, che la frequentazione del Suo "Tempio" negli anni trascorsi da studente universitario a Bologna rappresentino per me, senza timore di esagerare, una tappa importantissima di crescita e di avvicinamento ai Valori Cavallereschi. Lo scritto del Grande Maestro, invece, mi ha giudiato alla riscoperta di Napoli dopo, appunto, la parentesi universitaria bolognese. Laureatomi nel Marzo 2002 l'ultima cosa che comprai alla stazione di Bologna fu proprio il numero di Monsieur. Mai fu così onirico e rapido il trasferimento in "Eurostar" (indolore perchè mi impongo di non frequentare la carrozza ristorante con i suoi flute di plastica, le paste pre-cotte ed i panini - sandwich proprio non possono definirsi senza disturbare l'eterno riposo dell'omonimo Lord -plastificati) verso Casa. Fa parte ormai indelebile dei miei ricordi la scoperta, nei freddi ed ultimi giorni del Marzo 2002, dei luoghi e dei personaggi mirabilmente introdotti dal Grande Maestro...l'incredibile e Saggio Mario Talarico con i suoi simpatici ed appassionati nipoti, il vulcanico Toni Rossi, la Napoletanità più pura applicata all'imprenditoria; per non parlare del sapore, dell'aroma, dell'afrore del caffè Harem preparato "con amore", dopo una mirabile scena di cabaret degna di Totò e Peppino con il collega, da Ciro Afelba del "Caffè Mexico" di Via Scarlatti.(Lo stesso alcuni anni prima mi distraeva e tranquillizzava con la sua schietta simpatia e con i suoi corroboranti caffè prima della fatidica prova orale di greco ed italiano dell'esame di maturità...). L'elenco è ancora lungo...sono tuttora fermamente convinto che, anche grazie al Grande Maestro, fu il miglior modo di "riscoprire" la Mia città. Grazie ancora. Cavallereschi saluti Giuseppe Pagano ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-08-2003 Cod. di rif: 483 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piccoli ritardi Commenti: Devo ancora una volta lodare le iniziative di Carmelo Pugliatti, il cui dotto gesso sulla moda attica e latina mi offre un atout da usare all'occorrenza con il buon Mariano. Nell'ultimo gesso l'humour squisito di Alden lo inchioda, ma il nostro prof. non se la prenderà. Alden ha ragione, ma Pugliatti non ha torto. Entrambi adottano argomenti che devono far riflettere. Tutto sommato, penso che molti pagherebbero il prezzo di una rivista per leggere testi così ben confezionati come i loro e quelli di molti altri, che qui appaiono quotidianamente senza nemmeno il fastidio della pubblicità. Sono espressione di personalità colte ed appassionate, di un'idea felice che sta man mnao prendendo corpo. Segnalo il gesso sull'estetica della apparso recentemente nella Porta dell'Arte e quello sulle lame nella porta dell'Azione. Grazie anche alla qualità ed al ritmo con cui nuovi personaggi si manifestano, il sito ha riscontrato nel mese di Luglio un incremento delle visite del 30% netto. Ringrazio tutti i nostri Visitatori e mi scuso con quelli che accusano ritardi nelle risposte. Debbo ad esempio rispondere da tempo al gesso n. 429 dello scudiero Giuseppe Pagano, ma le domande sono tali e tante da essere state rinviate. Affronterò presto gli argomenti in questione ed anzi metto la palla al centro nel caso altri vogliano giocarla. Sono un pò in giro e non riesco a fare quelle belle giornate davanti al computer che mi permettono di mettermi in pari con l'immensa mole di lavoro visibile ed invisibile che l'associazione comporta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pagano Data: 04-08-2003 Cod. di rif: 471 E-mail: gpagano@gop.it Oggetto: Rimando al gesso n. 429 Commenti: Egregio Grande Maestro, dopo la mia richiesta di chiarimenti, contenuta nel gesso n. 429, ho cercato di approfondire l'argomento sui testi, ahimè alquanto sintetici e non convincenti sul punto, a mia disposizione. Per fugare ogni residuo dubbio non mi resta che reiterare la mia richiesta, conscio che solamente il Suo intervento potrà gettare piena luce sul punto. Grazie ancora per la disponibilità Cavallereschi Saluti Giuseppe Pagano ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-08-2003 Cod. di rif: 481 E-mail: Oggetto: Finte raffinatezze - A l Prof. Pugliatti Commenti: Non so a quale tessuto faccia riferimento Le Carré. L'alpaca mi è nota solo nei pesi da cappotto e credo che sia l'utilizzo nel quale questo pelo e quello della capra del cachemire diano i migliori risultati. Come cappotto l'alpaca è effettivamente il massimo della sofisticazione, in quanto la leggerezza in rapporto al peso conferisce al capo un effetto - mutatis mutandis - paragobanile a quello dell'ombrello di seta. Resta da replicare al Le Carré che i tessuti che lui lascerebbe in cambio dell'alpaca non sono sostituiti da essa in ogni caso ed anzi non sono sostituibili affatto. Un guardaroba è un vocabolario, nel quale bisogna avere verbi ed aggettivi, parole serie e leggere, raffinate e quotidiane. Attenzione alle misture volgarissime mal confezionate a beneficio di finti raffinati dalla tasca gonfia. Sta diventando uno sport planetario la caccia al gonzo, effettuata con fucili dal calibro variabile ogni anno: super 100, poi 120, poi 140, 150, 160, 180 etc. Recentemente un drappiere molto fornito si vantava di aver ricevuto uno dei pochi tagli che Dormeuil aveva distribuito in Italia di un tessuto realizzato con la Pachemina. Io ho aperto la scatola ed esaminato attentamente il prodotto. Una volgarità patologica, senza consistenza, senza drappeggio. Gli ho chiesto retoricamente chi avrebbe mai voluto farsi confezionare una giacca con uno scialle, per di più pagandolo una briscola. Vigilate, quindi. Non Lei, Pugliatti, che la sa lunga, ma altri potrebberoo cadere vittime di imbonitori che vogliano sbolognare qualche taglio a loro dire raffinatissimo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-08-2003 Cod. di rif: 477 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre punti importanti Commenti: Impareggiabile Mr Alden, Lei tocca nell'ultimo gesso argomenti e oggetti sui quali non posso non soffermarmi. 1 - L'importanza dell'androginismo nella storia e nell'abbigliamento degli ultimi quarant'anni è uno spunto sul quale lavorare ancora. In effetti il meccanismo si è innescato quando la donna ha cominciato ad avere una propria autonomia patrimoniale e decisionale. Diventata acquirente non solo di detersivi e abiti, ha cominciato ad influenzare tutti i prodotti ed attraverso di essi il mondo. Quest'ultimo ha trovato troppo difficile mantenere uomo e donna distinti ed ha cercato di riunirli, per produrre e vendere con meno sforzo. Le donne si sentivano gratificate dalla conquista e gli uomini si sentivano liberati da un ancestrale senso di colpa. Non avendo compreso il meccanismo, l'uomo prese sul serio la cosa come è abituato a fare da sempre. Cominciò a marciare contro la sua stessa bandiera. Non volle più e non vuole tuttora sentirsi liberale per compiacere le donne, ma per compiacere altri uomini, che altrimenti lo taccerebbero di essere troppo uomo. Grottesco, ma è così. Non ho mai riscontrato alcuna critica femminile per aver aperto la portiera dell'auto ad una signora, insistito fermamente per pagare il conto o assunto altre posizioni consone con una posizione virile tradizionale, compatibile con una suddivisione di ruoli non gerarchica, ma ben differenziata. Ebbene, se spesso i giovani restano incuriositi da tali atteggiamenti e discorsi e li accettano, non così accade per altri e per molti uomini di mezza età. Io non ho simpatia per questi caratteri mollicci, che certamente a casa dovranno lavare i piatti e se ne faranno un vanto. L'uomo ha i suoi compiti e ruoli dai quali può uscire in occasioni eccezionali o se si tratta di una persona eccezionale in qualsiasi occasione. Diffidate degli altri che non li rispettano , sono dei rinnegati. 2 - Quanto alla giacca, Lei non deve affato scusarsi per il piccolo refuso linguistico, abbondantemente chiarito. La storia che ci ha raccontato vale un Perù. E' un tesoro che basterebbe a riscattare il rapimento di un sultano, figuriamoci lo scambio di una parola. 3 - Quanto al Pol Roger, ho cenato recentemente con questo Champagne ad una cena al Circolo del Polo di Roma. Non c'erano altri vini. La cuvée Sir Winston era eccellente, ma per il suo carattere riservato (che ricorda La Grande Dame) venne apprezzata solo ai tavoli seniores. Splendido (e androgino) il blanc de blanc, con una notevole acidità che lo rese graditissimo ai palati di accaldati signori e spigliate signorine. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-08-2003 Cod. di rif: 502 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il fazzoletto - Risposta al gesso 429 - 3 puntata Commenti: Egregio Scudiero Pagano, ritorno sul Suo gesso per esaurirne l'ultimo quesito, riguardo al fazzoletto da taschino, ai suoi materiali e modalità di impiego. Ho letto qualcuno dei soliti Legislatori dire che il fazzoletto al taschino andrebbe portato solo di sera. Il nostro Solone in erba dava anche un orario: dalle diciotto in poi. Più seguo le regole e meno le tollero, soprattutto questa, priva di ogni fondamento. Dell'abbigliamento maschile vanno scritte le meraviglie, i significati, le origini, la storia, i materiali, le misure e le proporzioni, i luoghi, tantissime altre cose, giammai le norme. L'Uomo che veste, quando segue un principio che sente valido, non obbedisce ad una legge, la ricrea. La regola esiste attraverso l'Uomo, non prima. Poiché rinasce ogni volta, soggiace alla selezione ed evoluzione darwiniana. Essa va tramandata oralmente e tutt'al più suggerita in una conversazione epistolare. Scritta, è comunque una cosa morta, un pesce congelato. Applicata, ha l'energia della fede e l'autorità della tradizione e della cultura. Eliminato quel fastidioso filo spinato che limitava il movimento del Suo fazzoletto, esaminiamone il linguaggio. I materiali sono tre: cotone (batista), lino (tela o batista) e seta (foulard). Il primo può essere realizzato a macchina, il secondo avrà un orlo a giorno ed il terzo sarà orlato a mano. I sistemi di piegatura sono altrettanti: a sbuffo (punte in basso), a punte in alto e piatto. Il terzo fattore è la quantità di stoffa che fuoriesce: minima, media, massima. L'ultimo è la tinta: bianco, colorato, fantasia. Ciascuna terna ha una propria gradazione espressiva, una propria tonalità. Il risultato finale è dato dalla combinazione di queste ultime. La quantità di permutazioni possibili (3x3x3x3) lascia ampio spazio alla possibilità di creare una sinfonia o un disastro. Un fazzoletto bianco piatto che sporge appena appena esprimerà compostezza, rigore formale, concentrazione. Man mano che esce più tessuto dal taschino, il fazzoletto simboleggia una maggiore tendenza all'estroversione. La fantasia implica una ricerca e quindi dichiara interesse per l'estetica. Chi lo porta, anche se non lo dice nemmeno a se stesso, è in una competizione (che può essere sanissima) con gli altri uomini sul piano dell'abbigliamento. La Perofil da decenni produce fazzoletti di una meravigliosa e durevole batista con fantasie in tre varianti di colore. Sono da tasca, ma così belli da poter essere usati anche da taschino, soprattutto quelli con fantasie geometriche. Su una giacca di tweed, un fazzoletto del genere ha un tocco di fresca energia, di voglia di fare. Ho fatto solo qualche esempio, per accordarLe gli strumenti. A Lei il piacere di comporre la Sua musica. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-08-2003 Cod. di rif: 496 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lunga villeggiatura Commenti: Visitatori, penso che tutti Voi, anche coloro che non intervengano direttamente, riscontriate che la qualità del dialogo sulle Lavagne e nelle altre aree interattive, ma segnatamente in questa, abbia raggiunto un livello straordinario. Gli interventi si susseguono meditati, ricchi di stile, notizie e idee. Per rintracciare passate discussioni in una serie di testi che ormai è diventata piuttosto corposa, suggerisco a chi già non lo faccia, di utilizzare il sistema di ricerca predisposto su vari criteri: nominativo, cronologico, per numero e anche con parole chiave. Per quanto mi riguarda, da qualche settimana resto poco attivo nello scrivere e rispondere. Sono in villeggiatura con la famiglia, tesoro che non ho meritato e che tuttavia tengo ben stretto. Così mi sto dedicando ai miei ragazzi e intervengo nel sito molto sporadicamente. Qui dove sono dispongo di un dispositivo piuttosto lento, che solo per collegarsi utilizza tutto il tempo che ho a disposizione tra il mare ed una pizza, tra una passeggiata ed un cinema. Non mi è però sfuggita la splendida serie di gessi che si sono succeduti e che mi impone di dar loro la meritata importanza e qualche risposta. 1 - Il buon Villa mi chiedeva se proseguire coi pantaloni fermati da cinturini laterali e con pinces girate all’interno. Conoscendone l’altezza ed il fisico longilineo, credo che le pinces all’inglese rappresentino una soluzione validissima. Quanto ai cinturini laterali, va considerato che essi servono a sostenere i pantaloni, sostituendo sia bretelle che cinture. Ovviamente vanno senza spacco posteriore. Qualora si voglia invece far uso di bretelle, meglio sistemare un solo cinturino posteriore, poco sotto lo spacco. Io che ho un po’ di pancia e cambio taglia con facilità, trovo lo spacco posteriore indispensabile. 2 – Mr Alden si sta distinguendo per la coerenza e forza del suo pensiero. Molto cavallerescamente, egli offre pochi appigli al compromesso. Inoltre ci ha deliziato con degli affreschi della sartoria inglese. Si tratta di un mondo che non solo è poco noto, ma per quel poco è totalmente travisato o affidato a notizie riportate da fonti poco affidabili. Lo stesso Alden ci offre un esempio meraviglioso della mentalità inglese quando al gesso n. 489 calcola il “rise” dei pantaloni misurando prima la lunghezza totale di quest’ultimo e poi deducendone la lunghezza della gamba. Noi continentali misureremmo e misuriamo direttamente la distanza tra orlo superiore e cavallo, cioè quella parte dei pantaloni che sta al di sopra del cavallo. Approfitto per rispondere ad un’esplicita domanda del nostro Visitatore d’oltremanica: questa misura si chiama in italiano “altezza in vita”. Giustamente Alden ci segnala come la sartoria di qualità la metta in rapporto alla figura, alla posizione, larghezza e conformazione dei fianchi ed all’utilizzo del capo. Aggiungo che la stessa importanza va attribuita anche alla “montatura”, molto meno appariscente ed indispensabile per la calzata e il movimento. Si tratta della differenza tra lunghezza della parte anteriore e quella della parte posteriore, sempre maggiore. Tornando alle delizie delle misure inglesi, nel mio quinto Vestirsi Uomo dedicato ai tessuti segnalavo come in questo campo si sia resa impossibile o almeno difficilissima una conversione globale dei sistemi di misura dei pesi e lunghezze in quanto sino a qualche decennio fa si utilizzava in Inghilterra la “wollen measure”. Questa unità di misura era nata dall’abitudine di misurare le pezze di stoffa con la stecca da una yarda. Il punto sulla pezza veniva segnato col pollice, che restava fermo mentre la stecca veniva posizionata dall’altra parte per andare avanti. In tal modo, ogni yarda misurata comportava un pollice in più. Gli inglesi non dissero nulla agli impiegati, ma per non vendere 101 al prezzo di 100 introdussero questa misura, specifica per il mondo tessile. Un’altra misurazione molto complessa è quella che sta dietro alle numerazioni super100, super120 etc. Ne ho chiesto in giro senza aver ancora compreso veramente da dove derivino e se abbiano ancora senso. Le risposte che ho avuto sono quelle che sono bastate a tutto il mondo, ma non mi soddisfano. Dicono che si tratti della lunghezza che dovrebbe avere un filo per pesare un’oncia o qualcosa del genere. Non mi convince e non giustifica la dizione super. Manca qualcosa, che un giorno scoprirò. Resta un mistero il punto inglese col quale si misura il diametro dei bottoni. Ne ho chiesto a case produttrici, che non hanno saputo rispondermi e hanno creduto di rispondermi e rispondersi fornendomi la conversione in millimetri. Mi sono dilungato sull’argomento perché lo trovo di grandissimo interesse. Noi siamo sempre più limitati dalla convinzione che il modo più giusto per effettuare un’operazione sia quello più semplice e veloce. Non ci si accorge che così si conclude che ciascuna cosa possa essere fatta in un solo modo. E’ per questa via che la ragione da strumento è diventata scopo, sostituendosi alla felicità. Io dico che la ragione applicata per se stessa porta dopo pochissimi passaggi alla perdita totale del senso comune, sicché delle interruzioni, ancorché piccolissime come quelle citate, sono il più alto esempio di civiltà. Del resto, la Vita ed il Cosmo durano perché non scelgono mai le soluzioni più brevi e semplici. 3 – Quanto al mirabile gesso n. 494 sulla comparazione di due giacche, il mio pensiero fu già esposto nella sintetica tripartizione della sartoria in internazionale, inglese e napoletana, enucleata nella prima puntata del vestirsi Uomo (vedi Florilegio). Quanto alla sartoria londinese mi espressi piuttosto brevemente, perché non avevo notizie di prima mano. La sensibilità di Mr Alden mi è ora di grande aiuto nell’arricchire la mia idea in merito e si rivela acutissima nel cogliere la dinamicità e la facilità estetica della giacca italiana, ma io direi napoletana. La giacca inglese è più intima, impassibile. La sua vanità non è diretta, ma indiretta ed è composta in maggior misura da un compiacimento personale che da un giudizio universale. Non si esprime in rime baciate, ma in una prosa rigorosa che soddisfa solo i lettori pazienti. Piace a quanti siano stati capaci di superare l’ostacolo dove scivolano in molti: quello di confondere la bellezza con l’eleganza. Se si ritrova in quella che sembra una crisi creativa è probabilmente perché il sarto inglese ha voluto restare proprio lì, lontano da ogni tentazione di sentirsi stilista. Guardate come quelli che molti credono i migliori marchi artigianali napoletani, cioè Paone e poi Borrelli, stiano percorrendo a grandi falcate la strada dello stilismo poliedrico. Dalle camicie siamo arrivati ai cappotti ed alle scarpe. Dalle giacche alle cravatte. Alla sartoria inglese, che si è sempre sentita la madre di tutte le sartorie, non ha mai interessato imboccare questa strada che porta a produrre le piastrelle. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-08-2003 Cod. di rif: 498 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Equilibrio e Facilità Commenti: Ispiratissimo Alden, La ringrazio per i complimenti, ma ancor più per i contenuti del Suo ultimo gesso. Lei ha fatto per la Sartoria Inglese quanto non si faceva da tempo, svolgendo un'opera divulgativa ed interpretativa condotta saggiamente su un piano puramente teorico e su quello immediatamente pratico. Con una punta di orgoglio mi piace rilevare che il nostro castello si rivela l'ambiente giusto - forse l'unico - per queste ricerche. Non v'è dubbio che sia l'equilibrio, quello che Balzac definiva come Unità, la pietra filosofale che trasforma la semplice Bellezza in Eleganza: un fenomeno più complesso, dove il valore estetico dell'oggetto viene giustificato dalla Grazia. L'intervento di quest'ultima ci ricorda che perché questa ransustaziazione si compia occorre trasmettere una sensazione di facilità. Qualsasi sforzo riconoscibile condurrebbe al fallimento. La Bellezza è in gran parte un fenomeno, come tale misurabile e studiabile. L'Eleganza non è percepita direttamente dai sensi, ma dallo Spirito. Non appartiene alla realtà fenomenica e quindi non ha senso misurarla. E' una condizione iniziatica che si raggiunge ciascuno per la propria strada. Non si studia, eppure si comprende. Molti dei grandi eleganti che sono fonte continua di ispirazione sembrano non essersi mai applicati alla cosa e che tutto in loro sia naturale. Questa non è la realtà e sono più che convinto che ciascuno di essi abbia riflettuto a lungo e camminato senza sosta, per giungere al trono dove oggi lo collochiamo. Se ad esempio W. Churchill ci appare disinvolto come se avesse sempre scelto il primo abito che gli capitava sulla sedia, non dobbiamo crederci, ma al tempo stesso dobbiamo ammirare la sublime illusione di facilità che un Grande Elegante sa trasmettere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-08-2003 Cod. di rif: 500 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scelta tessuti - Risposta al gesso 429 - 1 Puntata Commenti: Egregio Scudiero, uno dei motivi per i quali non ho risposto subito alla Sua domanda è che il gesso 429, cui mi ha cortesemente richiamato, contiene più di una domanda e tutte sono di non pronta soluzione. Per dare inizio alla replica, ho deciso di dividere il mio compito in più puntate. Comincio dalla prima e continuerò da dove essa finisce. 1 – Per prima cosa mi chiede dei criteri che debbono orientare nella scelta del tessuto. Alla stoffa per usi maschili ed alla drapperia in particolare ho dedicato la più laboriosa puntata del mio Vestirsi Uomo, la quinta, cui la rimando per le linee generali. Prima di parlare del tessuto da scegliere, parlerei del ruolo e dell’importanza di questa scelta vista di per se stessa. Il tessuto si sceglie in un grande negozio, dove grande si riferisce alla qualità e non alle dimensioni. Occorre visitare quelli dove ci sia qualcosa da imparare e spenderci più tempo che denaro. Chiedere senza vergogna, toccare, chiedere ancora, chiedere a se stessi ed al tessuto non meno che al venditore. Talvolta si sceglie dal sarto, ma in questo caso ci si accontenta delle tirelle, perché pochissime sono quelli che hanno una vasta selezione di tagli e pezze. I criteri da seguire per orientarsi sono i seguenti: 1.1. Preferisca sempre la lana ed il lino quando è possibile. Il cotone tradisce spesso e può anche durare molto poco, rivelandosi un investimento cattivo. Essendo giovane, non potrà che apprezzare un bel completo di cotone blu o in altra tinta, ma segua il consiglio del sarto e non lo scelga in negozio, a meno che non se ne fidi ciecamente. 1.2. Eviti il più possibile i misti. Stranamente l’unico misto valido è quello tra lana e sintetici, mentre lana e lino, lino e seta ed altre mescole generano quasi sempre delusioni. 1.3. Individui con uno sguardo sommario l’uomo meglio vestito in una sala o in una piazza e lo marchi mentalmente. Ora avvicini l’ obiettivo e guardi che tessuti indossa. Scommetto che è vestito un pochino più pesante degli altri. Lo tenga presente sempre. 1.4. Scelga tessuti matti per gli usi diurni e pettinati coperti (cioè non completamente rasati) per le occasioni veramente impegnative. In estate il mohair potrà avere un tocco di luminosità. Alla Sua età eviti i grigi troppo scuri di giorno, ma non ecceda con i colori chiari d’estate. Paradossalmente, questi ultimi stanno meglio, sempre meglio, col passare degli anni. 1.5. Privilegi tipologie e fantasie definite e definibili, ricche di storia. Si rivolga di preferenza alla produzione inglese. 1.6. Non senta i meteorologi, che vestono le divise dell’aeronautica ed avendone solo una invernale ed una estiva sembrano suggerire ai civili di fare altrettanto. Esistono tre stagioni, per non dire quattro. Se non avrà almeno un capo veramente pesante ed uno veramente fresco, uno che Le sembri giusto e Le faccia piacere indossare per la primavera ed uno per l’autunno, non avrà mai un guardaroba. 1.7. Come ho detto altre volte, pensi a ciò che le occorre e dimentichi ciò che Le piace. 1.8. Se il sarto sconsiglia la confezione dell’abito col tessuto che gli ha portato, ha ragione. Lo avrà quasi certamente comprato in qualche svendita o in uno spaccio. Purtroppo è proprio da giovane che dovrà evitare questi luoghi e situazioni, dove solo chi sa perfettamente cosa vuole riesce ad uscire con qualcosa di valido. Se non ha altre domande in merito, seguendo la Sua stessa scaletta, nella seconda puntata affronteremo la lavorazione e nella terza il fazzoletto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-08-2003 Cod. di rif: 501 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tipologie - Risposta al gesso 429 - 2 puntata Commenti: Carissimo Scudiero Pagano, il Suo gesso prosegue chiedendomi consigli sulla lavorazione e cioè sulla tipologia. Le fornisco una risposta che forse non La soddisferà completamente, ma un Maestro differisce da una maestrina perché fa leva sui propri allievi più che sulla sua conoscenza. 2 - Quanto al tipo di abito da preferire, i criteri sarebbero molto semplici se fossi io a scegliere per Lei. Valuterei la figura, lo stile, immaginerei cosa mi piacerebbe che sembrasse e mi orienterei in quella direzione, ma questo non significa che sarei in grado di capire cosa vuole veramente essere Lei. Tutto si complica dal momento che l’onere ed piacere di capire cosa Lei voglia dal Suo guardaroba è tutto Suo. Potrei dirLe che deve tener presente l’età, il fisico, l’attività e le condizioni in cui userà i capi che fa confezionare. Bene, l’ho detto, ma non so se serva a qualcosa. I consigli hanno sempre una ruggine da binari morti, un crepitio da canale mal sintonizzato. Lei non deve imparare tanto da ciò che legge, quanto da ciò che vede. La lettura di testi come quelli che io produco è (forse) veramente vantaggiosa solo per quanti già sanno di sé, di ciò che amano. Se io Le dessi la formula per trasformare la mozzarella in oro, domani potrebbe dirmi che la mozzarella Le piace di più e ridere di una scienza presuntuosa e dannosa. In realtà la nostra civiltà è troppo verbale e si basa sempre meno sull’osservazione. Se lei ritiene che io sia un Sapiente nella materia, sappia che mi sono formato da quanto ho veduto di persona. Riflettendo, deducendo, comparando. La scienza è necessaria, anche nell’abbigliamento, ma quando parliamo di tipologie entriamo in un campo troppo intimo. Doppio-petto, spezzati, abiti completi, tenute sportive. In biblioteca potrà trovare manuali che si sono dedicati alla prassi del consiglio ed hanno dettato norme. Il fatto che essi siano inutili non dipende dalla scarsa qualità degli autori, ma dall’insensatezza di quest’attività didattica. Se facessi lo stesso, tutta la mia dottrina non servirebbe a dirLe una sola cosa sensata. Lei vive a Napoli, città dove i codici dell’abbigliamento sono ancora abbastanza praticati perché Lei li conosca. Segua allora quello che sembra istinto e che è in realtà la Tradizione. Posso dirLe che solo la sartoria potrà darLe la soddisfazione che Lei cerca. Trovi un sarto consono alle possibilità economiche di un giovane (se vuole, posso darLe qualche indirizzo), ma ricordi che solo chi ha già speso moltissimo potrà rendere eccelso un prodotto di basso costo. Una borsetta finta apparirà autentica al braccio di una vera signora, il cui portamento è costato ai genitori ed a Lei stessa denaro, tempo e sacrifici. Portata da una popolana, resterà una squallida imitazione. Intendiamoci, non voglio rivolgere contro di lei una lecita domanda, ma solo farLe comprendere che buona parte del lavoro non può essere svolto che da Lei stesso. Lì il difficile, lì il bello. Un giovane sotto la trentina ha moltissime possibilità, perché la gioventù giustifica scelte che in un uomo maturo resterebbero sbagliate o addirittura risibili. Guardi, senza copiare. Osi, senza presumere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-08-2003 Cod. di rif: 507 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gomez Addams Commenti: Egregio Clerici, la Legge dei Metalli come da me enunciata non voleva essere una norma coattiva che spingesse ad un forzato abbinamento tra i metalli indossati. Si tratta solo di un principio teorico che mette in sequenza i metalli dal punto di vista del significato, del linguaggio, dell'impatto psicologico. Un oggetto come un portasoldi, un paio di occhiali, una fibbia, se realizzato in tartaruga, corno, osso, evocherà aria aperta e quindi situazioni informali. In metalli bianchi sarà formale, compatibile con situazioni di lavoro o formali. L'evidenza dell'oro giallo lo rende paradossalmente più sportivo, anche se di quello sportivo da club e non da spiaggia. La sequenza cambia leggermente coi bottoni, dei quali abbiamo già parlato, ma evidentemente anche con gli orologi. Non credo sia necessario un abbinamento tra gemelli ed orologio da tasca. L'abbinamento è quasi sempre una debolezza, in quanto l'unica cosa alla quale ciò che portiamo addosso deve uniformrasi è la nostra personalità, lo stile individuale composto di tempo e di cultura, di inclinazioni e gusti. Pertanto i gemelli di famiglia, ereditati dal babbo, potrà metterli anche per andare a funghi e senza preoccuparsi d'altro. Tale è la forza della storia. Lo stesso vale per l'orologio. Se è veramente nostro per qualche motivo (eredità, dono, premio, etc), potrà essere in argento, ferro o parmigiano reggiano. Se lo acquistiamo come ornamento, non potrà che essere d'oro giallo ed è a questa ipotesi che mi riferivo nel gesso da Lei citato. Non mi piace l'orologio nel taschino della giacca. Ho perso o rotto quasi ogni cosa abbia maldestramente ricoverato in questa tasca ed ormai la considero destinata a contenere solo carte d'imbarco o fazzoletti. Vedendo altri che l'utilizzano in questo modo avverto lo stesso disagio che si prova vedendo una persona che cammina sul cornicione di un palazzo. So che l'orologio è in pericolo, che cadrà appena chi lo porta si china, anche se magari ha un busto di acciaio e la cosa gli è impossibile. La catenella non basta ad essere sicuri come una cintura di sicurezza non basta ad evitare gli incidenti. Un esempio valido di cipolla nel taschino è quello di Gomez Addams, dandy perfettissimo, che lo porta regolato in modo che l'ora sia determinata dalla media con quella indicata da un altro orologio (che non ricordo dove porti). Ciò ci induce a concludere che anche questa mia condanna non è definitiva. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianmaria Varasi Data: 01-09-2003 Cod. di rif: 510 E-mail: gmv@fastwebnet.it Oggetto: 508 Commenti: Mi scuso per aver omesso il mio nome e cognome nella richiesta al Gran Maestro, ma indirettamente indirizzata a Voi tutti sulla possibilità di avere degli indirizzi a Milano ed hinterlnad di sartorie competenti, che accettino tessuti dei clienti e che siano alla portata della mia età e delle mie tasche. qui di seguito riporto il gesso precedente: Egregio Gran Maestro, non vorrei con questo mio umile gesso suscitare polemiche e cattivi pensieri, Lei nella Sua risposta la gesso 429 riferisce di poter suggerire al giovane scudiero dei sarti consoni all'età di chi Le ha scritto, io ho 25 anni e sono di Milano, purtroppo non riesco a trovare una sartoria che soddisfi sia me che il mio portafoglio: ha Lei qualche suggerimento? Grazie con stima ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-09-2003 Cod. di rif: 511 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti accessibili a Milano. Un vecchio problema Commenti: Egregio Varasi, il problema di una sartoria valida ed a prezzi contenuti a Milano si è già presentata in passato. Il Cavaliere Loretoni trovò una sartoria a Varese, ma il Maestro si era da poco ritirato. Potrà recuperare questo gesso utilizzando il sistema di Ricerca. Digiti Varese e marchi l'opzione testo e certamente tra eventuali altri Le apparirà questo contributo. Forse lo stesso Loretoni, che certamente ci legge, potrebbe comunicarLe il recapito del Maestro perché si provi a convincerlo a rientrare in partita o a fare un'eccezione. Poiché il Maestro non esercita oggi un'attività rivolta al pubblico, suggerisco, per motivi di Privacy, una corrispondenza privata. Con lo stesso procedimento troverà il nome e l'indirizzo dei Fratelli Cravedi in Piacenza, cui è dedicata una pagina nei Taccuini di Viaggio. Sono certo che vi sia stata in merito almeno un'altra segnalazione, di cui mi sfugge l'autore e il luogo. Come vede abbiamo svolto una certa ricerca e scartabellando nella vastità delle Lavagne e Taccuini potrà trovare molte notizie utili. Non ho su Milano quelle soluzioni che potevo suggerire su Napoli e cui LKei fa riferimento. Il bacino artigianale partenopeo è ricchissimo in confronto a quello meneghino. Forse in futuro organizzeremo a Milano un ciclo di Laboratori come quello che stiamo svolgendo a Bologna e che ha avuto come scopo collaterale quello di portare la grande saroria napoletana più vicina a quanti la desiderano, abbattendo i costi ed i tempi di viaggio. Attendiamo che anche altri ci spingano in tal senso, perché le risorse da impiegare in una simile impresa non sono da poco e devono giustificarsi con obiettivi importanti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-09-2003 Cod. di rif: 513 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sapere espresso - Al cavaliere Loretoni Commenti: Egregio Cavaliere, interventi come il Suo contribuiscono a rendere uniche queste Lavagne. Sono coloro che sanno e che fanno, che stimano il tempo messo a disposizione degli altri quello meglio speso, che superano i limiti imposti dal nostro rigore formale, a fare la grandezza di questo castello. Con giustificato orgoglio Possiamo dire che non esistono altri luoghi dove si eroghino servizi culturali così specializzati, coerenti, disinteressati. Non basta: sono anche rapidi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 01-09-2003 Cod. di rif: 514 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: sito Berluti Commenti: Per tutti gli Appassionati, mi permetto di segnalare la recente comparsa in rete del sito della maison Berluti (www.berluti.com). Come accaduto anche per il sito di Mariano Rubinacci, il sito Berluti è stato preceduto da una versione esclusivamente giapponese - www.berluti.co.jp - nella quale però, per ovvi motivi linguistici, si potevano solo ammirare alcune belle immagini. Attualmente nel sito in versione internazionale (tra l'altro anche in lingua italiana) si può leggere la storia della dinastia Berluti e del Club Swann; si può guardare l'intero catalogo e leggere la descrizione di ogni singola collezione (nota di merito: è presente finanche il listino prezzi); e per finire si possono leggere alcuni concisi ma validi "consigli per la manutenzione" (vedere FAQ). Cordiali saluti a tutti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-09-2003 Cod. di rif: 515 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Berluti - A G.Marseglia ed a tutti Commenti: Egregio Marseglia, Lei si rivela un esploratore attentissimo e prezioso. In merito a Berluti ed alla sua presenza in rete posso raccontare a Lei ed a tutti i Visitatori del castello una storia recente, anzi recentissima. Dopo il ricorso al mio giudizio sulla calzatura Berluti proposto dallo Scudiero Chiusa e definito con mia sentenza al gesso n. 453, lo stesso Chiusa mi interrogava ancora nella Posta del Gran Maestro. Intanto erano intervenuti altri Visitatori, chi favorevole e chi sfavorevole. Io cercavo di portare il discorso dove esso si deve svolgere e cioè sul piano dello stile, prima che su quello del prodotto. Chi vede solo la scarpa, o qualsiasi altra cosa, ha delle gerarchie diverse da chi non vede in essa uno scopo, ma uno strumento. Non volevo però rientrare in questo argomento. Intrattengo ottimi rapporti con Olga Berluti, della quale posso dire solo che sarebbe stata egualmente grande in qualunque campo. Essa conosce tutti i poteri e non ne usa alcuno. La Sua forza è fatta di una visione altissima e di una disciplina inflessibile, che avrebbero potuto dare al mondo una splendida regista, una musicista ispirata, una vigneron completa. Ebbene, ritenendo che i testi qui pubblicati avrebbero potuto interessarla, li raccolsi e li spedii alla sua attenzione. Olga ritenne di tale interesse il lavoro che svolgiamo nel sito da inoltrare il tutto al vertice più alto. Lo stesso Presidente, attraverso la sua mediazione, mi faceva pervenire i suoi ringraziamenti, da estendere a tutto il Cavalleresco Ordine. Invitavo allora Olga ad intervenire con la sua stessa penna nel nostro sito, liberamente ispirandosi a quanto già detto di lei, del suo lavoro, delle sue calzature. Alla proposta ho ottenuto un'adesione che non voglio definire entusiasta, ma senz'altro convinta. Poiché Olga non è donna da parlare a vuoto, attendo da un giorno all'altro di ricevere un suo testo. Olga ha espresso il desiderio di non pubblicare il proprio indirizzo privato, ma sono certo che non avrebbe apprezzato che si facesse un'eccezione Poiché le norme del sito prevedono che chi prenda la parola pubblichi il proprio indirizzo, sarò io - a tanto espressamente autorizzato - a riportare la lettera in un mio gesso. Essa insomma giungerà a a me, ma sarà indirizzata a tutti noi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 03-09-2003 Cod. di rif: 516 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: notazioni in riferimento al gesso 439 Commenti: Non esiste un libro che da solo riesca a compendiare tutta la storia dell’Abbigliamento maschile; tantomeno ne esiste uno che possa trasfondere l’Eleganza. Tuttavia per l’appassionato la lettura d’un libro che tratti i temi di questa sua passione, e gli consenta dunque di apprendere fatti e aneddoti, e di osservare foto e disegni sull’argomento rappresenterà comunque un piacere a cui non v’è motivo di rinunciare. Pertanto mi permetto di elencare i seguenti libri pubblicati in Italia sul suddetto argomento dal 1980 ad oggi; per praticità li suddividerò in 4 categorie: 1) Guide omnicomprensive, 2) Saggi su temi specifici, 3) Opere più marcatamente iconografiche, 4) Libri di argomento più ampio. 1 Nel 1981 Longanesi ha pubblicato il libro di Egon Von Furstenberg dal titolo “Il vero signore si veste”: dal titolo è evidente il riferimento al più vetusto e noto libro “Il vero signore” di Willy Farnese (Giovanni Ansaldo) edito dalla medesima casa editrice. Mondadori ha pubblicato nel 1986 e ‘87 i due volumi di “Vestiti, usciamo” di Luigi Settembrini e Chiara Boni (uno dedicato all’uomo e l’altro alla donna). Sonzogno ha pubblicato il “Manuale di eleganza maschile” di Tatiana Tolstoj (1988 e poi 1990). Nel 1990 Idealibri ha pubblicato “Homo elegans” di Riccardo Villarosa e Giuliano Angeli. Ancora Mondadori nel 1996 ha pubblicato “L’eleganza maschile – guida pratica al perfetto guardaroba” di Giorgio Mendicini. Nel 1999 l’editore Konemann ha pubblicato “Il gentleman – manuale dell’eleganza maschile” di Bernard Roetzel. Citerei infine il libro di Lucio Ridenti: “Il Petronio, nuovo saper vivere, guida all’eleganza maschile” edito dalla Omnia di Milano nel 1959; qualche appassionato è per caso in possesso di questa chicca d’antan? 2 La collana “I piccoli piaceri” delle edizioni Idealibri fu inaugurata, per quel che concerne il nostro argomento, dal libro “Elogio della cravatta” (1982), che ebbe un notevole successo. In questa collana troviamo ancora molti titoli interessanti quali “Fior di camicia” (1984), “Maglia, maglietta, maglione” (1985), “Signori, le scarpe!” (1985), “Abito di società” (1986), “Valigia & C.”(1986), “Ma le calze” (1986), “La mano, il guanto” (1989), ecc. Idealibri ha poi edito numerosi altri titoli: “Uomini e calze” (1992), “Il guardaroba di lui” (1993), “La cravatta” (1993), “La scarpa maschile” (1995), “La cravatta: storia, mito, moda” (1997), “La camicia: storia, mito, moda ” (1999). Bompiani nel 2000 ha pubblicato il piccolo volume “85 modi di annodare la cravatta” di Thomas Fink e Yong Mao. Rizzoli nel 2002 ha pubblicato una “Piccola enciclopedia della cravatta” di François Chaille, autore del succitato libro del 1997 sullo stesso tema. L’editore Konemann ha pubblicato nel 2000 il volume “Scarpe da uomo fatte a mano”. La casa editrice Zanfi ha pubblicato la collana “Il Novecento – Storie di Moda” con titoli quali: “Vestiti da sera” (1987), “Il cappello da uomo” (1988), “Uomo in pelliccia (1988), “Pantaloni & Co.” (1989), “Il fazzoletto” (1992), “Giacche da uomo” (1994), “Costumi da bagno” (1995), “Bottoni e Bottoni (1995), ecc. Indispensabile ancora citare Franco Cantini / Octavo Edizioni, che ha pubblicato molti volumi dedicati ai Grandi dell’Abbigliamento, ad esempio i due dedicati alla maison Brioni (1995 e 1998); poi ancora il volume “Moda maschile dal 1600 al 1990” (1994), e nel 1996 il libro “James Bond - eroe con stile: da Goldfinger a Goldeneye”, dedicato appunto all’abbigliamento del noto agente 007 (si tratta della versione italiana del libro “Dressed to kill: James Bond the suited hero”). 3 L’editrice Electa nel 1989 ha meritoriamente dato alle stampe un’ampia antologia dei numeri della mitica rivista statunitense “Apparel Arts”, già di per sé interessantissimi, e ancor di più valorizzati dai saggi introduttivi a cura di noti esperti del settore come Luigi Settembrini, Bruce Boyer e Giannino Malossi. Quest’ultimo nome ha curato sempre per l’Electa un altro bellissimo libro: “La regola estrosa - Cent’anni di abbigliamento italiano per uomo” (1993). Anche l’editrice Lupetti ha pubblicato alcuni libri in materia tra cui “L’eleganza dello stile: duecento anni di vestire maschile” (1992), “Jeans” (1992), “Chinos” (2000). Infine Laterza nel 1999 ha pubblicato il volume “Vestiti - lo stile degli Italiani”. 4 E’ la categoria più esposta ad una valutazione soggettiva e quindi a passi falsi; ritengo indispensabile citare almeno i seguenti titoli: “Adamo o dell’eleganza” di Filippo de Pisis (SE, 1998), “Il libro degli Snob” del Duca di Bedford (Sugar, 1985), “L’ultimo fantasma della moda” di Domenico Rea (Leonardo, 1992), “Il piacere di vestirsi” di G. Boimond Beer (Lalli, 1992). Gioacchino Forte ha scritto vari libri in cui tratta, tra l’altro, anche di Abbigliamento maschile, soprattutto ne “La nuova etichetta” (Acanthus, 1984) e “Seduci il prossimo tuo” (Zanetti, 1985). Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-09-2003 Cod. di rif: 517 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quadripartizione Commenti: Egregio Marseglia, la Sua breve bibliografia è di grande interesse, soprattutto per la semplice ed efficace quadripartizione. Suggerirò al signor Borrello, nostro Bibliotecario, di conservare lo stesso schema anche nel suo lavoro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-09-2003 Cod. di rif: 518 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Riva del Garda Commenti: Ieri sera la TV mandava in onda da Riva del Garda le immagini di una riunione di Ministri, provenienti da tutta Europa. Con la loro presenza e sottolineandolo con la solita rabbia minacciosa, i NoGlobal sembravano gli unici a dare importanza a questo vertice. Per il resto, ci facevano vedere un tavolaccio color faggio intorno al quale giungevano, i ministri, con melensi sorrisi da telecamera, senza giacca e con le maniche rivoltate, le cravatte assenti o allentate. Io non mi sento affatto rappresentato da una simile cialtroneria, ma forse tutto era organizzato perché i NoGlobal potessero stare tranquilli, constatando che là dentro erano tutti proprio come loro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-09-2003 Cod. di rif: 521 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non si scoraggi - Al sig. Armelli Commenti: Egregio signor Armelli, esamino il Suo intervento rispettandone i punti: 1 - La selezione CARNET è di un livello piuttosto elevato. A parte le saglie di alto titolo (c'è un super160), vi sono anche stoffe di tradizione come qualche tweed. Non è affatto strano che un'azienda italiana si occupi di tessuti inglesi. Lo fanno anche Woodhouse (forse un pò più economica come offerta media rispetto alla CARNET) ed il gigante Drapers. Del resto CARNET ha anche cimose italiane, anzi una sola e buona: Guabello. 2 - Da poco è attivo a Milano un nuovo calzolaio, di nome Riccardo Freccia Bestetti, che è un valido esempio di quanto dicevo nei gessi da lei richiamati. Lavora da artigiano, eppure è giovane e proveniente da agiata famiglia. Ha un bel negozio, è gentile ed ospitale. Lavora di preferenza pellami nobili o stravaganti come coccodrillo e rettili vari, lo struzzo, il galuchat etc. In un primo momento produceva solo stivaleria country, poi si è affacciato sul classico con un certo successo. Confermo quindi ogni punto del mio vaticinio e - quando i quindici anni che Lei concede alla sartoria saranno passati - vedremo chi avrà avuto ragione. Naturalmente la modifica del settore interesserà anche il numero degli artigiani, non solo la loro qualità. Ho già detto che l'atout di questa nuova generazione non sarà nella qualità assoluta, ma nella possibilità di personalizzazione e nella cura del cliente. E' però evidente che gli uomini stanno adottando un livello di personalizzazione sempre più terra-terra e si sentono originali con una certa facilità. Ciò comporta che i desideri che resteranno inestinguibili dalla produzione di massa, peraltro sempre più convincente ed aggressiva, saranno in numero minore di oggi e di ieri. Da dove verranno i sarti, Lei mi domanda. Non certo dalla formazione in bottega avviatasi a otto o dieci anni, come è stato per molti di quelli che oggi ne hanno sessanta. La strada che sembra nessuno abbia intrapreso non resterà deserta, anche perché sarà molto, ma molto più veloce. Il nuovo sarto avrà frequentato le medie superiori, verrà da scuole professionali e si perfezionerà in un laboratorio solo per il tempo necessario a poter completare un capo finito. La formazione completa verrà col tempo e se avrà modo di essere riconosciuta. Ormai i materiali sono diventati dominanti e quindi sarà più facile dirottare l'attenzione su di essi, piuttosto che sulla perfezione di una spalla o di un collo. Quello che finirà tra quindici anni non sarà infatti la sartoria, ma la sartoria come tradizionalmente intesa. Una clientela esigente potrebbe in futuro farla rivivere ancora. Del resto, se si guardano i cartoni di sartoria del diciannovesimo secolo, si vedono tracciati molto approssimativi. La sartoria come geometria di taglio e genio nella lavorazione è nata nel nostro secolo. Prima era esattamente come presto ritornerà: esaltazione di materiali pregiati. Infine, voglio dirLe che non mi piace sentirla così scoraggiata. Dieci o quindici anni che siano, non sono pochi. C'è ancora tempo per tornare all'ignobile precotto e forse non sarà necessario. Abbia fiducia e nel frattempo apprenda. Domani sarà così anche Lei tra i depositari del sapere e potrà ritrasferire nei giovani che verranno gli obiettivi giusti per passare da un abito bello ad uno elegante. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-09-2003 Cod. di rif: 524 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Orti e missili - Al signor Conforti Commenti: Egregio signor Conforti, innanzitutto mi fa piacere constatare attraverso le Sue dichiarazioni che il filo conduttore di questa Lavagna è così solido da averLa potuta accompagnare per un percorso che ormai si snoda su alcune migliaia di schermate. Quanto al gioco che mi propone, lo trovo divertente e significativo. E' l'occasione per chiarire che da un punto di vista della qualità possibile in un prodotto industriale le ditte da Lei citate hanno già fatto sinora tutto o quasi quello che c'era da fare: segnare e soprattutto alzare il punto vita, dare più volume al petto, sagomare con più forza le maniche. Il tutto rispetto alla confezione tradizionale è stato un grande passo avanti, che ha contribuito a liberarci dalla servitù degli stilisti. Ci troviamo comunque di fronte ad imprese ed una struttura dichiaratamente commerciale deve produrre utili, trovare mercati, il che sta accadendo. Il problema che io denuncio non è nella scarsa qualità del prodotto, ma nell'ambiguità della comunicazione. Essa sfrutta il lavoro e la storia di un'altra categoria, quella puramente artigianale, senza portare nulla ad essa ed anzi sottraendole forza lavoro. Per questo motivo ho voluto introdurre una differenza tra il "su misura", cioè il prodotto della vera sartoria artigiana realizzato sul cliente, e il "su ordinazione", il capo industriale realizzato (spesso con vasti interventi manuali, ma con procedimenti diversi) su taglia e poi adattato. Posso influire nei limiti del mio piccolo potere sui gusti e sulla consapevolezza della clientela sinché resto un critico, ma se fossi chiamato dall'altro lato dovrei dar conto ad azionisti e ad un consiglio d'amministrazione poco propenso alle questioni culturali. Dove contano i bilanci, si pensa a chiudere in attivo e non a insegnare a vivere. Se dovessi dirigere una grossa società del campo dovrei accettarne le regole e non potrei cambiare molto. Bisogna infatti dire che da un punto di vista commerciale esse hanno saputo muoversi molto bene. Spingere la clientela sul terreno dei tessuti veramente sartoriali rischierebbe di evidenziare più che nascondere le carenze del prodotto industriale rispetto a quello artigianale e quindi sarebbe un errore. L'unica strada che tenterei è quella di una differenziazione di tipo stilistico-storico nell'ambito della stessa tipologia. La stessa giacca di tipo napoletano ha un effetto molto diverso se tagliata un dito più corta. Io dedicherei una linea speciale al Principe de Curtis o a De Sica, illustrando la campagna pubblicitaria con le foto che li ritraggono con giacche appena al sedere. L'effetto, soprattutto su persone alte e magre e segnatamente per i doppi petti, è molto interessante e troverebbe di certo degli estimatori. Segnerebbe anzi la possibilità di rilancio del doppiopetto, oggi poco usato e per questo capace di attirare l'attenzione di nuove fasce di pubblico che intendano riscoprirlo, ma con qualcosa che mostri del nuovo. Lo stesso fatto che si facciano differenze come questa, poi, dimostrerebbe un'ulteriore possibilità di personalizzazione per il cliente e la ricerca estetica da parte dell'azienda. Eviterei inoltre l'espansione in campi molto lontani da quello strategico dell'azienda. Un marchio noto per le camicie non potrà reggere a lungo in quello della calzatura o del capospalla. Pertanto, quando vedo eventi del genere, penso che si tratti di sistemi per gonfiare i fatturati e poi liberarsi dell'azienda ovvero di accelerazioni destinate a finire contro il muro. La parabola di molti stilisti è stata proprio questa, ma non sembra che tutti guardassero da quella parte quando cadevano come meteore, rilevati da gruppi multinazionali o inghiottiti dall'anonimato. Qualcuno ricorda Pierre Cardin? Che fine hanno fatto Yves Saint Laurent, Valentino e Gucci (quanto al capo da uomo, esibito sino agli anni 80 nelle main street del mondo)? Commercialmente, la possibilità di sostenere una catena di negozi monomarca apre la possibilità di differenziare di molto l'offerta (vedere l'esempio di Zegna). Poiché trattiamo di imprese che non sono a questo livello, dovremmo pensare ad una fusione o acquisizione da parte di capitali più importanti, cioè di vendere, il che riporta il tutto al discorso che avevo iniziato. Se dovessi vendere merce, resterei coi piedi per terra a coltivare il mio orto. Se invece il mio incarico fosse quello di creare un valore e vendere un'azienda, costruirei un razzo e cercherei di far capire che esso potrebbe sollevarsi da terra. Magari qualcuno ci crede, ma è un'altro discorso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-09-2003 Cod. di rif: 528 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La parabola del rotore - Al sig. Conforti Commenti: Egregio Conforti, i tessuti che rendono meglio in sartoria sono più compatti e più pesanti di quelli destinati ai confezionisti. Queste tipologie hanno bisogno di lavorazioni più pesanti, insomma di molti passaggi di un pesante ferro da stiro. Ciò vale anche per le tele interne, mentre in fabbrica si usa una sola pressione in un mangano sagomato uguale per tutti, che in un sol colpo conferisce dimensione a tutto il davanti. Il problema è che il volume conferito con questo sistema meccanico si trova sempre situato alla stessa altezza e non rispetta le varietà della fisiologia umana. Non c'è nulla da fare su questo e del resto, come ho già detto, la consulenza di veri sarti ha portato queste aziende a trovare una formula equilibrata e piacevole. Ci troviamo sempre di fronte ad una pappa precotta, che non va bene per tutti i palati, ma in questo campo c'è poco da migliorare. Certamente potrei, dal mio ipotetico seggio di Direttore Maximo, abbinare ad un upgrade stilistico una ricerca nel settore dei tessuti tradizionali, trovando quelli che rispondano bene a questi criteri. Le migliori ditte del "su ordinazione" e della confezione di alta gamma si sono orientate su tessuti ad alto titolo, brillanti, leggeri, con ottima vestibilità, ma sempre simili a se stessi. Ne risulta un uomo con poca fantasia, ancorché si voglia far apparire il contrario. In questo senso è illuminante il parere di Michael Alden, quando fa notare l'impoverimento nel bagaglio di fantasie. Aggiungo che questo fenomeno non coinvolge solo i patterns, ma anche le tipologie stesse di tessitura e dei materiali. La lavorazione leggera del semiindustriale impone di evitare tele pesanti o scattanti. Esse oppongono resistenza anche al ferro, figurarsi con una passatina sotto la "tostiera" in uso presso questi stabilimenti. Passiamo al secondo argomento. Per comprendere il significato estetico della giacca corta possiamo scomodare due degli uomini più eleganti del mondo contemporaneo. Guardi i doppi petti di Luciano Barbera o i monopetto di Mariano Rubinacci e cerchi di capire dov'è uno dei trucchi più importanti. Non dovrà cercare a lungo, perché L'ho già messa sulla strada giusta. Ho cercato nel mio repertorio privato qualche immagine eloquente, ma non ho trovato di meglio che la foto che allego nel taccuino di Viaggio, che appare nel sito di Luciano Barbera. Il doppiopetto si può avvantaggiare maggiormente di questo accorgimento non per una speciale vocazione, ma per altri due motivi. Innanzitutto la figura umana si è allungata ed è più facile trovare persone alte e longilinee (che non significa magri, ma col torso più corto delle gambe), alle quali il doppipetto corto calza divinamente. Poi, perché oggi esso ha maggiormente bisogno di qualche novità che lo rilanci, atteso che oggi vive in bassa fortuna. Il motivo? Uno è molto semplice. Provi a comporre un numero con un rotore analogico come faceva sino a pochi anni fa. Troverà interminabili quei decimi di secondo che separano ogni cifra e l'operazione risulterà tremendamente mortificante. Allo stesso modo, ad un pubblico non più allenato risulta pesante abbottonare i suoi due bottoni (uno interno e uno esterno). Gli altri attengono all'inaccessibilità per la maggior parte degli uomini di un'immagine così architettonicamente, compiutamente, irrevocabilmente, inequivocabilmente costruita. Ci hanno fatto credere che la flessibilità sia un valore etico senza eccezioni, estendibile anche al patrimonio estetico. La destrutturazione dell'estetica e dei comportamenti appare quindi come una legge totalitaria cui tutti in questa fase sono ben felici di obbedire, pur di sembrare attuali, liberi, flessibili, disponibili, insomma smidollati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-09-2003 Cod. di rif: 529 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Marinella a Roma - Al signor Muro Commenti: Egregio signor Muro, nel rispondere alla Sua domanda su Marinella, il Cavaliere Loretoni non sbaglia nel suggerirLe un pellegrinaggio nel tempio napoletano, dove potrebbe visitarne anche il sancta sanctorum: il laboratorio. Non dimentichiamo però che Maurizio è un Fondatore dell'Ordine e come tale attento non solo ai nostri Soci, ma a tutti i contatti qui sviluppati. A prescindere da questo, si tratta di una persona dalla disponibilità e generosità senza uguali. Gli ho quindi rappresentato la Sua esigenza e mi ha detto che sarà a Roma per motivi personali il 22 di questo mese e in tale occasione sarebbe stato felice di incontrarLa. Se la cosa può farLe piacere e la data coincide con i Suoi impegni, me lo confermi ed indichi un orario favorevole. Io ne verificherò la compatibilità ed in caso di misfit certamente si troverà un'alternativa. Informo inoltro chi già non lo sappia che Maurizio Marinella, avendo un punto vendita solo a Napoli ed ora a Milano, organizza ogni anno degli incontri coi suoi fedelissimi in molte altre città italiane. A Roma la sua base è l'Hotel Aldovrandi Palace, dove sarà presente per alcuni giorni dell'ultima settimana di Gennaio 2004. Il calendario non è ancora definitivo, ma già nel mese prossimo potrò fornire le date definitive. Lo farò solo su richiesta, per evitare che la cosa assuma l'aspetto di una promozione. Come sa, qui non se ne pratica. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-09-2003 Cod. di rif: 531 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Artigianato Commenti: Egregio Armelli, la mia analisi sul possibile futuro della sartoria e dell'artigianato in genere è fondata su considerazioni di diversissima natura: dove sociologiche, dove psicologiche, dove economiche. Naturalmente posso sbagliarmi, ma vedo che oggi i lavori artigianali sono altamente redditizi e ciò attirerà verso di essi anche nuove classi sociali. Va tenuta in gran conto un'evoluzione sociale che ha abbattuto il ghetto in cui restava la bottega. Oggi un sarto o un calzolaio hanno dignità pari ad un avvocato o ad un chirurgo e ciò rende più facile questo flusso. La grande autonomia di queste attività le rende a misura d'uomo. Avrà notato che negli utlimi dieci anni si è sviluppato un movimento ideale che va sotto il nome di new age. E' un tentativo di rivincita dello spirito sulla materialità, quasi sempre condotto in modo approssimativo e in direzioni sbagliate. Non sottoscrivo il manifesto della new age, ma credo che se essa rappresenta qualcosa, si tratta del bisogno di un centro, di una stabilità sul piano morale ed emotivo. Se questo atteggiamento dovesse andare avanti, molti potrebbero intravvedere in un mestiere antico e creativo una soddisfazione insostituibile. Quanto ad Armani, non potevo certo citarlo come esempio di fallimento o di oblio. Fa molto bene il suo gioco, ma milita in una squadra avversaria. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-09-2003 Cod. di rif: 533 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piombo, Loro Piana, Zegna Commenti: Egregio Pugliatti, Massimo Piombo è un autentico gourmet del tessile e come tale lo definivo nel mio pezzo sui tessuti. Infatti, tra le personalità che intervistai in quell'occasione per ascoltarne dotti pareri, figurava anche lui. Nessun altro produttore industriale ne ha la competenza. Naturalmente, le scelte stilistiche possono essere centrate o meno, ma resta il fatto che una tavolozza come la sua può permettersela solo chi abbia una vera passione e scienza dei tessuti. La direzione di altre aziende, anche grandi, non ha la minima idea dei nomi che Lei ha citato e non ha intenzione di averla. Essi seguono la corrente e quando cercano di indirizzarla hanno in mente solo profitti, mai un risultato estetico. Così è certamente per Loro Piana. Non lo conosco e sinceramente non ci tengo. Quando consegnai il mio lunghissimo Vestirsi Uomo sui tessuti, l'editore mi chiese: "Maresca, come mai in sessantamila caratteri non hai parlato di Loro Piana"? Io risposi: "Caro Franz, hai venti minuti liberi perché io ti spieghi il motivo? Non credo. Sappi però che c'è". In ogni caso, l'azienda si muove molto bene e sta seguendo le orme di Zegna nel costituire una rete autonoma con offerta differenziata e negozi monomarca, l'unico sistema che tra qualche anno permetterà di resistere all'offensiva cinese. Tra i due, preferisco di gran lunga Zegna, che ha realizzato capolavori assoluti nel campo tessile e ancor oggi offre una gamma per la sartoria di livello assolutamente ineccepibile. Probabilmente sarò tra il 22 ed il 24 al prossimo IdeaBiella per verificare cosa c'è di nuovo e di tradizionale, cosa spunta e cosa rivive in questo mondo che ha bisogno di nuovi stimoli se vuole prepararsi ad un futuro tutto tinto di giallo. Nel caso ne farò un resoconto per i Visitatori di questa Lavagna. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-09-2003 Cod. di rif: 535 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ha due volte ragione - Al signor Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, non credo che Piombo o altri possano realmente risolvere la differenza sostanziale tra la manifattura artigianale e quella industriale. Segnatamente la stiratura, come più volte detto, resta nel su-ordinazione un procedimento meccanico, non orientato alla specifica conformazione del cliente. Piombo però conosce i tessuti molto, ma molto meglio degli altri "colleghi" e quindi riesce a reperire e selezionare materiali di vero fascino e significato, di cui altri semplicemente non conoscono né l'esistenza, né il linguaggio. E' senz'altro, come Lei ha compreso, un merito non da poco e rappresenta l'esempio della possibile convivenza tra tradizione ed innovazione, tra materiali nobili e prodotto pronto. Attraverso operazioni come questa si potrebbe diffondere una maggiore conoscenza della vastità e profondità del mondo tessile, spaziando ben oltre le banalità delle sagliette superapprettate e dei misti cachemire. Purtroppo di Piombo cè n'è uno e di sedicenti "Antiche sartorie di Nonno Ciccio" venticinque. Anche quanto all'utilizzo di manodopera cinese, Lei vede senz'altro giusto. Il calzolaio Freccia Bestetti di cui parlavo ha infatti una squadra tutta composta da extracomunitari, che lavorano rigorosamente a mano sotto le sue direttive. Nella sartoria non ho ancora visto niente del genere, ma il momento è venuto perché accada e in qualche parte d'Italia starà già accadendo. Dopotutto i mestieri manuali, forse eccettuata la viticoltura e pochi altri, sono ormai sempre più inaccessibili alla mentalità della razza bianca, che aspira solo al management, ai lavori professionali o d'ufficio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-09-2003 Cod. di rif: 540 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Da cappella a cattedrale - Al signor Liberati Commenti: Grazie per quanto ha già fatto e per quanto farà. Come ha potuto notare, i Visitatori della Lavagna sono molti, competenti, assidui. Il Cavalleresco Ordine ha messo loro a disposizione una cappella, che diffondendosi lo spirito di collaborazione che Lei ed altri ben manifestano potrà diventare una cattedrale. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-09-2003 Cod. di rif: 542 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una notizia ed un invito Commenti: Miei prodi Cavalieri, avventurosi Visitatori d'ogni contrada, per Voi tutti che animate questo spazio, per me stesso e per l'Ordine che dirigo ho una notizia gustosa. Dal mese prossimo un florilegio degli interventi più interessanti verrà pubblicato da MONSIEUR. Primo argomento: la scarpa. Tutti siamo in tempo per dire qualcosa di non detto, qualora ne avessimo voglia. Io consegnerò il materiale grezzo alla fine del mese, ma non ho voluto essere io a condurre la selezione in prima persona. Mi rivolgo ai Campioni, tali per numero e qualità di interventi, come Forni, Pugliatti, Villa, Alden, etc. Forse nuovi, grandi appassionati ci leggono senza essere mai intervenuti. Potrebbero farlo ora, per contribuire ad un lavoro che in parte uscirà da quest'ambito, ma intergralmenteconserverà la sua natura. Tra l'altro a fine di Ottobre consegnerò l'ultima puntata di Vestirsi uomo, che ho lasciato alla scarpa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-09-2003 Cod. di rif: 544 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il doppiopetto di Rubinacci - Al signor Liberati Commenti: Egregio Liberati, a nome di tutti La ringrazio per averci messoa parte dei dettagli relativi all'Encyclopedia. Dall'indice e dalla descrizione vedo che dovrò anch'io aggiungere questo testo alla mia modesta biblioteca sull'abbigliamento. Quanto alla giacca di Rubinacci recentemente esposta al museo del F.I.T., si tratta di un capo che conosco molto bene. Devo averne qualche immagine. Appena la rintraccio, la pubblicherò ed illustrerò nei Taccuini. Voglio solo perfezionare la Sua descrizione, precisando che il tessuto in cui fu realizzata questa giacca da sera è un thussor di pura seta, una stoffa tipo canneté a costine piccolissime. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-09-2003 Cod. di rif: 545 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Etichette di Marinella Commenti: Visitatori, per la vostra sete implcabile di storia e cultura dell'abbigliamento ho inserito nella mia scheda di Marinella nel nostro Portico dei Maestri una sezione rinnovata dedicata alle Etichette. In seguito a ricerche più approfondite, ho potuto vedere e fotografare ben sette tipologie, tutte dal dopoguerra ad oggi. Se qualcuno riconoscesse nella propria collezione qualche etichetta non riportata, è pregato di contattarmi per poter così migliorare il servizio offerto ai collezionisti ed appassionati dell'antica casa napoletana. Chi vada a verificare il lavoro già svolto, noterà che le fantasie delle cravatte di sessanta anni fa non erano molto diverse da quelle proproste oggi. Cambia invece la costruzione, un tempo più sottile, corta e leggera. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-09-2003 Cod. di rif: 547 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Thussor e barathea - Al signor Pugliatti Commenti: Sapientissimo Pugliatti, Le rispondo da Milano. Stasera rientrerò a Napoli per incatenarmi alla scrivania, onde cdompletare nei termini alcuni articoli che devo consegnare entro fine mese. Appena rivedrò la luce del sole, mi interesserò del Suo thussor. Se esiste, lo scoverò. Posso dirle che con mio grande piacere ho potuto verificare ieri ad IdeaBiella che Vitale Barberis Canonico ha ancora in produzione una lussuriosa barathea in tre varianti: blu scuro, blu midnight e nero. Insomma, lo smoking non è ancora morto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-09-2003 Cod. di rif: 552 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il posto dei cappelli - Al signor Colombo Commenti: Egregio signor Colombo, in edicola troverà da oggi il nuovo numero di MONSIEUR, con un mio lungo articolo della serie Vestirsi Uomo, che questo mese dedico proprio sui cappelli, guanti ed ombrelli. Lo potrà leggere molto presto, come sempre nella forma integrale ed originale, anche nel nostro Florilegio. Nel frattempo Le trascrivo in anteprima l'indirizzario che avevo compilato per la rivista, nel quale mi è stato di grande aiuto il cavaliere ing. Franco Forni. IL CAPPELLAIO Via San Pasquale a Chiaia, 17 – NAPOLI Tel: 333.3686628 Dal 1870, per i feltri si interessa anche della manutenzione. VIGANÒ Via Marco Minghetti, 8 - ROMA Tel: 06.6795147 Splendida atmosfera inglese, grande competenza. RADICONCINI Via del Corso, 139 - ROMA Tel: 06.6791807 Il Battistoni del cappello. Un tempio. VENANZONI Via Ottaviano, 5 - ROMA Tel: 06.39723532 Solo cappelli, con ottimo rapporto prezzo/qualità. ANTICA MODISTERIA LONGO Calle del Lovo, 4813 – VENEZIA Tel: 041.5226454 Specialista in panama, anche su ordinazione. CAPPELLERIA MELEGARI Via Paolo Sarpi, 19 – MILANO Grande competenza e ampia scelta di cappelli e berretti nazionali ed inglesi. PESCE Via S. Luca, 7/9 – GENOVA Tel: 010.2510654 Panama e berretti estivi rari a trovarsi. Piuttosto costoso. ANTICA CAPPELLERIA MALAGUTI Via Galliera, 32 A/B - BOLOGNA Tel: 051.233756 Solo cappelli, anche rari e desueti. Ha un laboratorio in cui lava e rimette in forma. Persone precise e prezzi buoni. BORSALINO Via Pietro Verri ang. Via Bigli Tel: 02.76398439 Scelta ed esposizione mozzafiato, ma le galle griffate sono inammissibili. CAPPELLERIA HUTTER Via Portici - MERANO Tel: 0473.236809 Ci sono due Hutter in Via Portici, uno al n. 16 ed uno al n. 85. Quello più piccolo è specialista in cappelli sportivi, in loden e panno, ma vende anche panama e berretti. JAMES LOCK & CO. LTD. 6, St. James's Street – LONDON Tel: +44.20.7930 8874 Cattedrale del cappello, che oggi si è ridotta a vendere indulgenze. Vedo infatti sul nuovo catalogo un berrettino da baseball con un gran logo in fronte. Merita sempre una visita. BATE’S HATTERS 21, Jermin Street – LONDON Negozio "dickensiano" con ogni tipo di cappelli. Prezzi umani e molta cura per il cliente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-09-2003 Cod. di rif: 555 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La terra non è ancora in vista - A C.Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, i tessuti Macclesfield e i cugini Spitafield erano realizzati con la tecnica mudder, della quale ho parlato nel mio Vestirsi Uomo sui tessuti. Si tratta di un procedimento dimenticato e oggi irripetibile per le solite castrazioni ecologiche. Pertanto un vero Macclesfield potrà vederlo solo al museo di Craiford. Naturalmente, con le tecniche di stampa a corrosione e applicazione normalmente in uso, è possibile imitarlo. Non saprei dove indirizzarLa, perché il prodotto oggi non va di moda e ciò che non va di moda oggi non viene prodotto. Forse (lo spero)qualche voce si leverà in questa lavagna per gridare "Terra, Terra!" dove e quando non ce l'aspettiamo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-09-2003 Cod. di rif: 557 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbigliamento "Adeguato e sostenibile" Commenti: Egregio signor Poerio, non riuscivo ad immaginare l’esistenza di esseri che non avessero esperienza di matrimoni, dico come invitati. Vedo che Lei si prepara meticolosamente ed in effetti una certa attenzione è opportuna per non commettere gaffe. Innanzitutto, per le questioni generali, la rimando ai primi gessi di questa lavagna (credo il n. 2), dove si parlava di una situazione analoga. Ricordi che qui è possibile effettuare ricerche anche per parole di testo. Quanto alle Sue domande, passo ad esaminarle una per una. 1 – Abito grigio o blu non hanno una gran differenza in termini di compostezza formale. Vista la Sua giovane età e la probabile abbronzatura, probabilmente il blu Le donerà maggiormente. 2 – Le scarpe devono essere nere e la camicia bianca. Nessuna discussione è ammissibile su questo punto. 3 – La pochette non va intonata con niente. Secondo una mia recente teoria, così recente che la sto sfornando proprio ora, la pochette colorata è infatti l’evoluzione moderna della bouttoniere. E’ insomma più un fiore che un fazzoletto e come tale ha una vita propria. Con un bel blu, infili nel taschino un fazzoletto di lino bianco, con orlo a giorno ricamato a mano. Portare una pochette fantasia in un’occasione come questa, dove ciascuno viene squadrato nel dettaglio e da varie paia di occhi, potrebbe risultare un po’ lezioso e metterLa a disagio, a meno che non ne sia un habitueé. Lei ha già capito che il segreto di tutto è nella scelta di una abbigliamento “adeguato e sostenibile”, cioè consono alla situazione ed al personaggio. 4 – Indossare o tenere in casa oggetti di famiglia rappresenta una sorta di preghiera laica ed un modo di celebrare il proprio sangue, la propria dinastia. Niente di più maschile e di più giusto ai nostri occhi cavallereschi. Via libera quindi ai gemelli aviti, che possono risultare, tra l’altro, un ottimo argomento di conversazione. Aggiunga all’oro la gemma di qualche episodio ed il gioco è fatto. Chiudo svelandoLe un trucco. Verifichi la tenuta qualche giorno prima, indossandola per casa o per altra occasione. Ci farà l’abitudine ed eviterà imprevisti. Controllerà quale nodo Le viene meglio alla cravatta e darà una lustrata meticolosa alle calzature. Sistemerà al meglio il fazzoletto, che potrà lasciare anche in sede. Farà invece, naturalmente, risistemare la camicia, se vuole indossare proprio quella. Un gentiluomo non utilizza mai un abito nuovo, men che meno ad una cerimonia. Tra i segreti dei cavalieri per restare disinvolti e vittoriosi, c’è quello di utilizzare solo armature ben collaudate. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-09-2003 Cod. di rif: 559 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Crossbred e ritorti 6 ply - Al signor Armelli Commenti: Egregio Armelli, Lei stesso mi dice che ha fatto precedere la Sua decisione da un lungo approfondimento. Peraltro tiene nel dovuto conto i capi già in Suo possesso. Ciò risponde a quanto sono solito consigliare: riflettere a lungo per giungere alla selezione di quello che ci occorre, cercando di scegliere all'interno di esse ciò che ci piace. Probabilmente il ritorto sei capi (o quattro) che il Suo sarto Le consiglia è un prodotto distribuito dall'inglese Woodhouse, molto valido, che ha avuto un certo successo nelle sartorie italiane. Io stesso ne ho utilizzato a lungo un completo, poi miseramente distrutto in un sinistro motociclistico. E' confortevole, duraturo, ottimo in viaggio e si presta bene alla lavorazione artigianale. Insomma, mi sembra una buona scelta. Il filato ha un effetto moulineé, cioè vede abbinati capi di colore contrastante, che da vicino rivelano questa natura e da lontano sembrano in tinta unita. L'effetto in realtà è quello di una tela "a stuoia", diverso dal crossbred, molto più ruvido e sempre in fantasia. Devo purtroppo rivelarLe che i sarti non conoscono la nomenclatura e la storia dei tessuti, ma in compenso sanno distinguere bene quali siano adatti alla lavorazione e durevoli e uqali no. Il consiglio del Maestro non comprende tutto lo scibile, ma difficilmente La tradirà. In questo caso, come primo capo grigio, tenendo presente che avrà molto da lavorare, Le avrei consigliato proprio qualcosa del genere. La prego comunque di verificare la rispondenza di quanto ho ipotizzato, perché ho dovuto basarmi su dati contraddittori. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-09-2003 Cod. di rif: 562 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fresco, flanella, grisaglia - Al signor Armelli Commenti: Egregio Armelli, Le avevo chiesto maggiori delucidazioni porprio per capire meglio su quale materiale L astava orientando il Suo sarto. Ritengo che non avendo altri capi grigi, un crossbred sia un'impresa avventata. Non perché si tratti di un abito "sbalgiato", tutt'altro, ma esso si inserirà nel Suo guardarona più tardi, quando avrà risolto il problema quotidiano. La fantasia è un punto di arrivo e non di partenza. Si faccia mostrare qualche ritorto a tre capi (3 ply), che sarebbe quello che Holland & Sherry ha brevettato come "Fresco", nome poi utilizzato erroneamete per definire qualsisi tessuto in lana leggera. Questa tipologia è eccezionalmente durevole, ma non tutti possono indossarla. Il pantalone ruvido può risultare sgradito, ma in caso contrario si tratta di una scelta consigliabile. Verifichi se il materiale è di Suo gradimento. In caso contrario, potrebbe prendere in considerazione altri tessuti che hanno nel grigio la loro nota base: la flanella e la grisaglia. La prima è un pò delicata e non è consigliabile indossarla molti giorni di seguito, per evitare borse ai pantaloni e fenomeni di usura. La migliore flannella è la Fox, che non troverà dal sarto, costa una briscola, ma ha i pesi più importanti. Tra le italiane sono irreprensibili la Vitale Barberis Canonico, un pò più luminosa, e la Zegna. Per le grisaglie, nella selezione di CARNET troverà certamente qualcosa che Le piace e di gran qualità. Eviti l'occhio di pernice ed il "cappello di prete" (barleycorn), classici che però sono da considerare una rifinitura e non capi-base. Per valutare la grisaglia, tenga presente che una buona qualità deve avere una "scaletta" ben nitida e leggibile, con una mano morbida, ma non troppo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 30-09-2003 Cod. di rif: 563 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: bibliografia italiana: integrazione (vedi gesso 516) Commenti: Echeggiano in questo Cavalleresco Sito dotte disquisizioni sull’Esquire’s Encyclopedia e su altri libri stranieri sul tema dell’Abbigliamento maschile: ho colto varie citazioni di Alan Flusser ed una recentissima di François Baudot, autori assolutamente ineccepibili oltre ai quali suggerirei di non tralasciare Bruce Boyer (“Elegance”, “Eminently suitable”). Per coloro che meritoriamente volessero esplorare questo settore non c’è che l’imbarazzo della scelta: tanto per iniziare si potrebbe studiare la lista commentata di Nicholas Antongiavanni su Amazon, oppure valutare autonomamente le decine di titoli riportati nei vari siti “compilativi” (vedere ad esempio: www.smokefreekids.com/fashbook.htm). Per quanto mi riguarda, io resto più autarchicamente legato ai libri italiani, e, facendo finta di non rendermi conto del peccato di autoreferenzialismo, passo ad integrare la bibliografia esposta nel mio precedente gesso n. 516 (sulla base della stessa suddivisione ivi adottata). 2 Sulla cravatta: “188 nodi da collo. Cravatte e colletti: tecniche, storia, immagini” di Mosconi e Villarosa edito da Idealibri nel 1984. Nel 1996 l’editore Pifferi ha pubblicato il libro “Miss Cravatta” di Longatti, Sgarbi e Turconi. Per completezza va citato anche il libro “Il tessuto stampato per cravatte” di Alberto Longatti, pubblicato a cura dell’Associazione Serica Italiana. Sul cappello c’è il libro di Campione e Gualdoni “Men’s hats” edito nel 1988 dalla casa editrice Be. Ma. Sul medesimo tema il più recente “Cappelli e bastoni” di Nicola Pafundi del 1998 per le edizioni Pafpo. 4 “Il vero gentleman” di Mariolino Papalia edito dal Gruppo Papalia nel 1998. “Conversevole week-end sull’eleganza maschile” di Ivano Comi edito da Stefanoni nel 2000. Nota: tanto per chiarezza, vorrei precisare che da questa bibliografia sono stati esclusi per mia scelta sia i libri che trattano più ampiamente di Moda e Costume (vale a dire circa un centinaio di titoli, dal piccolo classico di Georg Simmel sino al ponderoso “La Moda - Storia d’Italia Einaudi / Annale 19”, vera pietra miliare sul tema), sia i titoli eminentemente tecnici come il “Manuale dei pantaloni”, la cui lettura è destinata appunto ai tecnici specialisti del settore, sia i titoli dichiaratamente dedicati all’Abbigliamento femminile, che rappresenta un universo parallelo, ma evidentemente diverso da quello maschile. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-09-2003 Cod. di rif: 564 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bibliografia Commenti: Egregio Marseglia, a costo di ripetermi, lodo i Suoi interventi ed il loro stile costruttivo. Noto con cupidigia il testo sulla stampa delle sete, materia trattata molto di rado. In realtà credo che manchi a livello mondiale un lavoro sul tessile per cravatte, che introduca alle diverse sete attuali e del passato recente, con le tecniche di tessitura e stampa e le varie lavorazioni. Dopo avervi dedicato un faticoso capitolo del quinto Vestirsi Uomo, potrei cercare un giorno di tornare a bomba e dedicarmi alla ricerca in questo settore. Aggiungo due titoli alla Sua rassegna: L'Eredità dei Cappellai Silvana Editoriale - 2003 Giuseppe Maria Longoni L'Arte dei Cappellai Lavoro, imprese organizzazioni tra XIX e XX sec. Archivio del Lavoro - 2001 Giuseppe Maria Longoni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-10-2003 Cod. di rif: 566 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ringraziamenti a Pugliatti Commenti: Ringrazio il sapientissimo Pugliatti, ormai noto come "il Professore", per la carrellata sulla sartoria siciliana. Qui non si tratta di studio, ma di aggiornamento sul campo, un tipo di conoscenza particolarmente prezioso. Simili sforzi, in materie così sofisticate, sono alla portata di pochi, fortunatamente alcuni dei quali assidui collaboratori di queste Lavagne. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 01-10-2003 Cod. di rif: 567 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Al Gran Maestro (vedi gesso 564) Commenti: Egregio Gran Maestro, innanzitutto La ringrazio per la Sua lode. Dalle Sue parole mi appare evidente, una volta di più, il Suo personale interesse per certi aspetti tecnici dell’Abbigliamento, nella fattispecie la stampa dei tessuti, interesse che comprendo, ma non condivido più di tanto, preferendo personalmente i dettagli storici. Dal momento che io ho volutamente trascurato nella mie note bibliografiche proprio tutta una serie di testi, che forse potrebbero attirare la Sua attenzione, mi permetto di segnalarLe il catalogo on-line della libreria Vittorio Giovannacci, sita non a caso in quel di Biella, che presenta ad oggi ben 118 “libri tessili”, la gran parte dei quali effettivamente dedicati ai più svariati temi della tecnologia tessile: www.vittoriogiovannacci.com/libritessili.htm. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-10-2003 Cod. di rif: 568 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scienza e divulgazione - A G. Marseglia Commenti: Egregio Marseglia, La ringrazio per l'indirizzo, di cui Lei si rivela una cava inesauribile. Voglio precisarLe, senza alcuna polemica, cheil mio interesse nelle materie tecniche non è certo superiore a quello estetico, etico e storico. A volte vi punto in modo particolare perché noto che in questo campo la divulgazione si è limitata a questi ultimi aspetti, più immediatamente affascinanti. Sappiamo che anche la materia più noiosa può essere resa interessante qualora trattata in modo comprensibile e riferita alla sua immediata efficacia. Così, credo che a molti interesserebbe sapere quale tessuto o cappello ha un valore intrinseco più elevato e come esso si valuta, a prescindere dai riferimenti di costume che lo rendono adatto a questa o a quella occasione. Ci sono testi divertentissimi di matematica e di filosofia, ma quei pochi sulla tecnica e sui materiali dell'abbigliamento sono inavvicinabili perché non rivolti al pubblico ed alle sue esigenze culturali, ma solo agli addetti ed ai loro interessi materiali. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 01-10-2003 Cod. di rif: 569 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: perplessità in blu Commenti: Egregio Gran Maestro, spero di non essere stato colto da insanabile smania comunicativa, ma mi ritrovo a scrivere su codesta Lavagna per la terza volta in poco più di 24 ore; chiedo venia a Lei ed a tutti i Partecipanti. Colgo subito l’occasione per affermare che non mi ha mai neanche lontanamente sfiorato l’idea che i Suoi interessi in tema d’Abbigliamento, che oserei - senza piaggeria alcuna - definire enciclopedici e finanche pantagruelici, potessero essere circoscritti agli aspetti meramente tecnici. Semmai sono io che tendo a privilegiare un po’ troppo gli aspetti più immediatamente estetici; d’altronde non a caso sono soltanto un praticante allievo e Lei è il mio riconosciuto Maestro. Ed è proprio alla Sua autorità che mi rivolgo per avere lumi su di un dettaglio che mi ha lasciato perplesso: in un articolo di commento al recente matrimonio dell’erede di Casa Savoia, un noto maitre à s’habiller napoletano, che scrive sotto le vesti di un maggiordomo inglese, ha testualmente affermato, parlando delle mises degli invitati: “ho addirittura sentito dire di qualche signora in nero (un’autentica gaffe per un matrimonio), e di qualche signore in blu (gaffe meno forte ma sempre gaffe!)”. Orbene ricordo che Lei, proprio qualche giorno fa, ha risposto ad una richiesta in tema di mises matrimoniali ed ha suggerito l’utilizzo di un completo blu. Qual è dunque l’eventuale problema del blu per l’uomo in dette circostanze? Perché, a Suo parere, il sunnominato autore lo definisce una gaffe? Io non ho saputo darmi risposta, anzi devo confessare di aver commesso già alcune volte la summenzionata gaffe, se tale era. Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-10-2003 Cod. di rif: 570 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blu al matrimonio Commenti: Egregio Marseglia, immagino che Lei si riferisca alla rubrica di Jeeves, il nome di battaglia che Carlo Guardascione Scalo si è scelto per una rubrica settimanale su Il Denaro. Faccio i nomi perché ritengo che la nostra ossessiva lotta all'anonimato debba estendersi anche all'oggetto della conversazione e non solo al soggetto. Si evitano così conciliaboli ed atmosfere carbonare, contrarie alla nostra (sottintesa) libertà espressiva ed alla (dichiarata) sfida al politically correct. L'autore in questione è uomo di eccellenti frequentazioni, aristocratica famiglia, vasta cutlura ed elevata posizione. la sua posizione non può quindi essere trascurata p criticata alla leggera. Leggendo attraverso il Suo gesso della sua posizione sul blu, ho immeditamente provveduto a chiamarlo, ma si trovava in una riunione che non gli permetteva di trattenersi su questioni così amene. In attesa di ascoltarne un parere motivato, resto dell'avviso che il blu sia abbastanza castigato da poter figurare ad un matrimonio, ma non dubito che questa posizione possa essere un pò "trasgressiva"a un punto di vista della tradizione più rigorosa. Alle cerimonie, infatti, l'abbigliamento aulico era a base di abiti a coda, tutti sul nero e grigio e quindi chi fa discendere la tavolozza da questa linea vorrà che la discendenza sia grigia. Poiché i codici cambiano, seppur lentamente, ritengo che mentre le scarpe nere e la camicia bianca siano restate l'unica scelta, l'invisibile Parlamento che presiede all'approvazione delle nuove leggi in materia di eleganza abbia già sdoganato il blu. Dipende anche dai materiali, perché non è certo valida una soluzione in cotone. In ogni caso La terrò aggiornata sul parere del principe. A prescindere dal fatto che riesca a farmi cambiare idea o meno, potrà aggiungere qualcosa al discorso. Quanto alla possibile mancanza di univocità, ricordiamo che anche le leggi non scritte possono essere interpretate in maniera diversa, anche se accade molto più raramente che per quelle scritte. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-10-2003 Cod. di rif: 571 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sul blu e sulla Legge dei Metalli Commenti: Caro Marseglia, visitatori tutti interessati al tema, svolgevo oggi una chiacchierata con Guardascione Scalo, l'autore che aveva destato in Lei e poi in me una perplessità sul blu. In effetti le motivazioni di una bocciatura del blu ricalcano quelle che avevo già ipotizzato e sono così riassumibili: 1) Il blu è colore destinato alla sera, mentre al mattino l'uomo formale veste in grigio, derivato dai tradizionali capi da cerimonia 2) I matrimoni importanti si tengono al mattino, mentre quelli pomeridiani o serali sono soatanzialmente in tono minore. 3) Dalla congiunzione di questi due principi ne scaturisce un terzo, autonomo: alle cerimonie si veste in grigio. Devo dire che il principio mi ha convinto senz'altro per i matrimoni mattutini e mi ha aperto gli occhi su una distinzione che non avevo segnalato al giovane lettore. Forse a me piace più lo studio delle forme che dettare leggi, oppure sono già in quella fase in cui si tende a dimenticarle, o forse ancora mi mancava qualche elemento. Fatto sta che alla luce del vertice odierno devo riformulare il consiglio in questo modo: A - Se il matrimonio si tiene di mattina o di pomeriggio, giovani e vecchi, tristi ed allegri, contenti e scontenti, tutti vestiranno in grigio scuro. 2 - Se il matrimonio si tiene di sera, qualche giovane potrà far finta di non sapere e vestire alla chetichella un bell'abito blu, che gli donerà di più e lo farà forse sentire maggiormente a proprio agio. 3 - Naturalmente il blu non potrà essere in cotone, ma in tropical, mohair, saglia, flanella, insomma in lana. La camicia bianca e le scarpe nere, semplici ed allacciate, non possono in nessun caso essere sostituite. Ritorno a rivolgermi a Marseglia per aver riletto oggi un gesso (n. 206) cui credo di non aver risposto e nel quale sollevava un'eccezione alla mia "Legge dei Metalli", quanto alla sua applicabilità agli orologi. Sono parzialmente d'accordo, in quanto certi modelli in oro sono brillanti compagni di serate importanti ed il Calatrava che Lei cita è senz'altro a livello di qualsiasi impegno, anche il più sofsticato. Così non sarebbe certo per i bottoni ed anche gli occhiali cerchiati in metallo bianco si mostrerebbero più indicati di tutti. Immaginiamo però lo stesso modello in platino e torneremmo alla superiorità formale del metallo bianco su quello giallo. E' chiaro che si tratta di oggetti un pò fuori dalla portata umana, ma quello che qui conta è il principio. Insomma potremmo dire che per gli orologi non c'è una vera e propria eccezione, ma una riserva che agisce in presenza di modelli veramente raffinati. Quanto al vincolo dell'abbinamento tra orologio e fibbia, pur mettendomi contro molti puristi o presunti tali, lo vedo un pò legnoso. L'estetica dell'abbigliamento è fatta di richiami sulla sintonia fine, sui piani subliminali, sul piano sottile delle affinità e non delle uguaglianze. Un cane somiglia ad una volpe molto più di quanto non somigli ad un cavallo, ma qualcosa lo divide dalla prima quanto lo lega al secondo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 03-10-2003 Cod. di rif: 572 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: ancora sul blu e dintorni Commenti: Egregio Gran Maestro, La ringrazio per l’attenzione dedicatami; le Sue osservazioni sulla “legge dei metalli” sono assolutamente chiarificatrici, e non posso non complimentarmi per la conclusiva simbologia cane-volpe-cavallo, che risulta al tempo stesso efficacissima e bellissima. Altrettanto chiare le argomentazioni sul “blu matrimoniale”; però in questo caso mi sono balenate alcune perplessità più o meno correlate, che mi spingono a porLe ulteriori domande (sperando solo di non risultare troppo noioso). Il principio n. 1 da Lei enunciato ha validità assoluta, ossia anche al di là delle occasioni matrimoniali? E’ indubitabile che il blu si attagli bene alle occasioni serali, ma indossarlo invece di mattina o di pomeriggio, sia pure in occasioni non di cerimonia, è allora un errore? Ritengo che poi si dovrebbe distinguere tra il blu a fondo unito, che penso sia stato l’oggetto delle valutazioni, e le varianti - gessate, finestrate e quant’altro - che, a mio parere, potrebbero meglio risultare non esclusivamente serali, anzi in qualche caso (occhio di pernice ad esempio) assolutamente non serali. Ricordo poi di aver letto che nel mondo delle grandi banche internazionali ci sarebbero due stili di abbigliamento: quello “inglese” che privilegia i completi blu e quello “statunitense” che fa trionfare il grigio; questa tendenza inglese, in tema di businesswear, non potrebbe rappresentare un valido riferimento per l’utilizzo del blu “alla luce del sole”? In ogni caso, come già da Lei spesso evidenziato, su queste e consimili querelles è difficile emettere sentenze assolute e tantomeno definitive; mi permetto di sottolineare il significativo dettaglio che tempo addietro, e parliamo di decine d’anni e non di secoli, un abito maschile da giorno, costituito da giacca e pantaloni nel medesimo tessuto – ovvero il cosiddetto completo – veniva considerato una soluzione economica di ripiego rispetto all’abbinamento di tessuti e/o disegni diversi tra giacca e pantaloni – il cosiddetto spezzato, oggi invece considerato di tono minore. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-10-2003 Cod. di rif: 573 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Primo Postulato di Guardascione Commenti: Egregio Marseglia, il principio enunciato al numero 1 del gesso n. 571 e che potremmo chiamare "Primo Postulato di Guardascione", in quanto suggeritomi dall'omonimo, deve considerarsi puramente orientativo. La sintesi non sempre si addice a materie così complesse e in materia di eleganza ogni legge che la voglia regolarla finisce per negarne lo spirito. Non che le leggi non esistano, ma non possono essere scritte o almeno non come tali. Come Lei giustamente analizza, il colore senza il maeteriale non dice molto, in quanto il tipo di tessuto ha un'importanza tale da spostare di molto l'utilizzo di uno stesso colore. La considerazione vale anche per tessuti a tinta completamente unita: un ritorto tre capi ed una flanella, un drill di cotone o una saglia, un lino o un gabardine hanno effetti completamente diversi. Che dire poi delle sfumature di colore? A questo proposito direi che tutti i blu centripeti, cioè tendenti a trattenere la luce, quasi a contenere la persona, sono molto più formali dei blu centrifughi, con riflessi, sfumature o lavorazione che appaiono più estroversi. La notazione sul blu inglese è interessante, ma non perfettamente calzante. L'universalità di certi principi dipende dal fatto che essi non sono basati su ciò che si vede, ma su ciò che si immagina e noi un inglese lo immaginiamo col gessato più che con la tinta unita. Pertanto l'esempio non è questo esempio che ci aiuta a sdoganare il blu fuori dalla sera. Per quanto mi riguarda, conosco persone che hanno studiato e vissuto a Londra ed effettivamente vestono in modo più o meno sensibilmente diverso dagli standard nostrani, ma questa differenza risiede proprio in una maggiore libertà di utilizzo delle fantasie, laddove noi discutiamo sempre più in termini di tinte unite. Parlo ovviamente solo di uomini molto impegnati sul fronte dell'abbigliamento, cosa non comune e non necessaria. Per cercare una conclusione, non possiamo che dire ancora una volta che, nonostante gli orientamenti univoci provenienti dalla tradizione, ciascuno può trovare una soluzione giusta anche al di fuori di essi. Torna qui il mondo del cane, della volpe e del cavallo, la cui messa in relazione Le era molto piaciuta. Il gusto non è solo senso delle proporzioni fisiche, ma capacità di cogliere le forze sottili, di capire più di quanto non si conosca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-10-2003 Cod. di rif: 575 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Feste e cerimonie Commenti: Franco, mio dottissimo Cavaliere e caro amico, leggendo il tuo gesso, riandando alle eccezioni di Marseglia, ai consigli dati in passato e rivedendo quanto ho scritto sulla materia del matrimonio, cerco di ricostruirne il senso con un'autoanalisi che riveli dettagli importanti che non erano stati enucleati. Dividerò in punti assolutamente indipendenti le considerazioni cui sono giunto. A) Non tutti i matrimoni sono uguali. Alcuni, quelli tra famiglie che ancora conservino il senso della dinastia e quindi una minoranza sociale quasi impercettibile, danno al matrimonio un significato sociale prevalente che deve essere meticolosamente rispettato. Forse solo questi matrimoni sono in realtà cerimonie: quelli ai quali non si applaude in chiesa, non si sparano fuochi, non si attendono due ore gli sposi perché completino il terrificante filmino tra pescatori e monumenti e che si celebrano con una sobrietà in cui la differenza non si gioca sulle dimensioni della spigola, ma sulla qualità dell'officiante e a volte di qualche invitato. La gran parte dei matrimoni cui ho partecipato negli ultimi anni hanno cercato in ogni modo di non essere una cerimonia e in effetti non lo erano. Viverli come tali a lungo andare mi è sembrato inutile, addirittura scortese. B) I codici non scritti cui tutti noi creatori di questa Lavagna crediamo esigono rispetto, ma innanzitutto si deve riconosca la situazione e quindi selezionare la norma applicabile (con le eventuali personalizzazioni, nei limiti del lecito). Rischieremmo altrimenti di applicare la legge marziale in una situazione di diritto canonico. La domanda che ci si deve porre è quindi questa: è cosa giusta adottare una linea tradizionale in una situazione in cui dichiaratamente o inconsciamente ci si muove al di fuori di essa, innescando sin dall'inizio una procedura fuori dagli standard che hanno giustificato e indirizzato i comportamenti in situazioni analoghe per il nome e la definizione, ma affatto diverse per tutto il resto? E' giusto imporsi dei limiti quando il padrone di casa non solo non se li pone, ma non li conosce, non li riconosce e in generale vorrebbe che non esistessero e non fossero presi in considerazione? E' bene considerare come cerimonia quella che in realtà è una festa? Si è veramente a posto, in grigio, a questa festa di frizzi e lazzi, dominata dall'inizio alla fine dall'ingombrante presenza dei fotografi? E' lecito invocare i sacri lari quando non si è in raccoglimento civile e religioso, ma praticamente su un set? In conclusione, siamo veramente a posto in grigio quando tutti partecipano con abiti di fantasia? Quando arrivano partecipazioni e inviti volutamente "originali", il che è accaduto spesso in passato ed ora mi sembra un po’ meno in auge, è corretto andare a casa di altri ad impartirgli una lezione? Quando uno non voglia una cerimonia, bisogna dargliela comunque? Il festeggiato sceglie: festa o cerimonia. Il tono si capisce subito, è implicitamente dichiarato nell'impostazione grafica, nella posizione della chiesa e del ristorante e spesso è verbalmente dichiarato dai futuri sposi: "Daremo un ricevimento tutto speciale etc. etc." Credo che come contraltare si apra la possibilità anche di una scelta personale degli invitati su quale risposta dare agli interrogativi di cui sopra. C) Certo, ho partecipato negli ultimi anni ad un numero di matrimoni eccessivo e quasi sempre si trattava di feste, non di cerimonie. La mia personale scelta di non limitarmi al grigio in tali occasioni e di sceglierlo caso mai solo perché adatto alla giornata nuvolosa, mi ha indotto in un suggerimento ambiguo e frettoloso, che ho già parzialmente ritrattato alla luce di più approfondite considerazioni. Enunciato il principio valido per le cerimonie, la libertà eventuale non è quella che disgraziatamente facevo trasparire e cioè quella di rispettarlo o meno, ma di valutarne l'applicabilità per luogo e competenza. Insomma si tratta di decidere: C.1) Se un matrimonio è sempre e comunque una cerimonia, allora tutti in grigio. C.2) Se si distingue tra una festa nuziale ed un matrimonio tradizionale, allora si potrà anche scegliere un comportamento diverso nei due casi. Dico "si potrà anche", perché giustamente non tutti sono d'accordo sulla legittimità di questo abbassamento di tono e vorranno rispettare una volta per tutte il matrimonio come istituzione, più che il contesto specifico di volta in volta. D) Essendo stato sincero sinora, lo sarò fino in fondo. Riconsiderando tutto ciò, anche alla luce dei principi che da un mio stesso scritto hai citato, ritengo che la mia posizione “flessibile” sia valida in astratto e in generale, ma non si addica al mio status specifico. Poiché qualcuno si aspetta da me un indicazione ed un esempio, potrei con un comportamento che deriva da un ragionamento fornire indicazioni sbagliate su codici che non nascono da un ragionamento, ma dalla storia e dai linguaggi istintivi dei colori e delle forme. Pertanto ti ringrazio e ringrazio anche Marseglia per avermi fatto approfondire non solo la materia, ma la validità delle mie scelte. Dichiaro solennemente che d’ora in poi in presenza di veli bianchi, fedi e confetti, adotterò un grigio solenne. E) Attendo comunque repliche su questo punto molto complesso dell’applicabilità dei codici e quindi della possibilità di subordinarla a questioni di competenza per luogo e funzione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-10-2003 Cod. di rif: 577 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blu, grigio/azzurro, avion - Ad A. Lupo Commenti: Egregio signor Lupo, cerco di rispondere ai Suoi quesiti: 1) I colori che Lei cita sono di due categorie diverse: il grigio azzurro e l'avion hanno ovviamente una connotazione meno impegnativa del blu. Dipende ovviamente anche dai materiali. Un giovane professionista vestirà meravigliosamente dalla primavera inoltrata sino ai primi freddi con un blu in drill di cotone anche di mattina. Una scelta che sdrammatizza un pò meno il blu scuro è il tre capi tiro Fresco di Holland & Sherry. Questa tipologia si addice a tutte le età e situazioni, tranne le più impegnative. Diciamo che in linea generale il blu in tinta unita è destinato alla sera, ma in queste occasioni andrà in pettinati coperti (flanelle, foulè per l'inverno e la mezza stagione) o semilucidi (tropical e mohair) per l'estate), cioè lane morbide. La ruvidità del tre capi non regge in occasioni decisamente formali. La seta shantung è eccezionalmente bella, fresca, durevole e forse l'unica soluzione mattina-sera, ma è una stoffa destinata a palati molto raffinati e non Le consiglio per il momento di non avventurarsi in questo settore. Non comprerei un'auto da quattrocento cavalli solo per portarla in giro e poi sentirmi a disagio , non essendone pratico. Tra l'altro è di difficile lavorazione. 2) I tessuti che Lei cita sono validi quanto alla grisaglia per il grigio azzurro, quanto allo shanting abbiamo già detto, resta il fresco di lana. Con questa dizione si indica ora qualcosa che in realtà è a volte un tropical (tessuto leggero con un massimo di due capi abbinati e armatura a tela, cioè quello che dovrebbe dirsi tecnicamente e ytradizionalmente "tripical"), ovvero una saglietta, pettinata e leggera con armatura a saia o levantina. In realtà, come devo aver già detto, Fresco è un nome registrato da Holland & Sherry e indica una tela con filato a tre capi ad alta torsione, molto areato. La tipologia è stata messa in produzione da moltissime case e forse la più bella mai realizzata fu quella di Zegna, che usciva tanti anni fa col nome (si noti l'allusione) di Frigidus. Un capolavoro, realizzato in colori eccezionalmente riusciti, ma ora (temporaneamente?) archiviato. Il blu scuro non si addice alla grisaglia quanto al tropical, al mohair, alle saglie pesanti e leggere. Del suo uso serale abbiamo già detto e nei recenti gessi si è anche parlato dei rischi di indossarlo alle cerimonie. 3) Con il termine di alpaca si usava anche indicare la flanella in genere, ma ora questo termine ha un utilizzo specifico e definisce un tessuto pregiatissimo solo per giacche e cappotti. La migliore qualità costa alla produzione circa 900 euro al metro oltre iva e quindi può ben immaginare che venga messa in commercio a prezzi proibitivi. Il costo non è un problema per tutti e non deve riguardare una critica serena. Va acquistato solo nella qualità più elevata e si deve diffidare di qualunque offerta speciale, di misti e di tessuti dal prezzo sospetto. Ragioniamo intorno ai duemila e passa euro al metro al dettaglio e forse siamo di fronte alla vera alpaca. Non sono cose che si possono svendere e qualsiasi prezzo difforme è senz'altro un trucco, a meno che Lei non possa acquistare direttamente dal produttore. Sinceramente la trovo bellissima per cappotti, mentre per giacca è una scelta un po' leziosa che non mi affascina. 4) Al momento di scegliere, esamini anche altre soluzioni. Nel grigio-azzurro e similia può trovare qualche bel tessuto anche in altre tipologie, come ritorti a 6 capi con filati abbinati in effetto mouliné (Woodhouse. ad esmpio, per niente caro). Lo stesso effetto cromatico, con qualcosa in più in termini di fantasia, può trovarlo anche nei glen urquhart o principe di galles, bellissimi anche in avion. Eviterei invece per ora i gessati su basi così chiare, destinati a guardaroba molto consistenti e completi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-10-2003 Cod. di rif: 580 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fil a fil e tre capi in seta - Al sig. Conforti Commenti: Egregio Conforti, con il termine di fil a fil si indica in drapperia una tela leggera in lana pettinata, assolutamente rasata, che ad uno sguardo ravvicinato mostra una superficie cromaticamente irregolare, attraversata da fili verticali chiari e orizzontali più scuri. L'effetto, estremamente raffinato, è molto amato dal Principe Carlo ed altri gentiluomini del gran mondo per le tenute ad Ascot e Deaville ed anche per cerimonie non matrimoniali. Come dimenticare il tre pezzi a code in fil a fil indossato da Carlo al funerale del padre di Juan Carlos, il più bell'abito che si sia visto negli ultimi sessanta anni? Come capisce da chi lo usa, non si tratta di roba per tutti ed è anzi un tessuto rarissimo, confinato alle zone più alte del gusto. L'effetto si ottiene sistemando al telaio un ordito a fili alternati, chiari e scuri, come per il fil a fil delle camicie. La grisaglia è tutt'altra cosa, avendo invece un effetto a scaletta ed essendo anzi tanto più pregiata quanto più questo disegno appaia netto e preciso. In effetti il fil a fil viene confuso spesso con la grisaglia, che in certi casi, da lontano, fornisce un effetto simile. La grisaglia ha però una media di pesi superiore, essendo il fil a fil puro un tessuto estivo molto leggero e traspirante. Inutile domandare un fil a fil ad un commerciante "normale" di tessuti o addirittura di vestiti. Si tratta di sofisticazioni che potrà trovare solo in negozi di antica militanza ad alta specializzazione. Potrebbe semmai trovarlo in un abito confezionato, qualora una ditta ritenga di farsene realizare qualche pezza ed inserirlo nel proprio palinsesto per la collezione estiva di un anno, ma anche qualora ciò accadesse, mai e poi mai un commessuccio di negozio, abituato a magnificare le alpache ed i cachemire, i superquesto e i superquello, glielo saprà definire. Quanto al quesito sul Fresco in seta, credo che con la moderna tecnologia si possa realizzare di tutto, ma in effetti solo la lana ed il cotone si giovano della torsione e vi ricorrono per scopi strutturali. Avendo fibre più corte, la torsione conferisce un ulteriore livello di coesione tra esse e quindi una maggiore resistenza e durata. E' un controsenso torcere la seta-seta, che ha una fibra lunghissima. Diverso il discorso per la seta-shappe, che è filata da fibre corte. Qui interviene la torsione solo a livello di filatura, ma non di abbinamento di capi. In conclusione, il tessuto di cui Lei chiede non esiste e non esisterà mai, anhe essendo astrattamente realizzabile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 06-10-2003 Cod. di rif: 581 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Tessuto da campagna Commenti: Nobile Gran Maestro, Illustri cavalieri e Visitatori, riemergo dalle nebbie di un intensissimo periodo di studio, che se mi ha impedito di partecipare attivamente alle attività materiali e culturali del Sodalizio, non mi ha allontanato dallo Spirito che lo governa. Sono a richiedere l'aiuto del Gran Maestro per dirimere un pernicioso dubbio. Vorrei farmi cucire un abito due pezzi da campagna in un bellissimo thornproof Scabal datatato 1988 che ho rinvenuto tra i fondi di magazzino di un drappiere. Il tessuto ha un fondo verde muschio ed è finestrato. Il sarto mi ha proposto di realizzare la giacca con tre bottoni due spacchi laterali, tasche inclinate tipo giacca di equitazione. Io ero maggiormente orientato per le tasche a toppa e nessuno spacco. Qual'è il Suo dotto parere in proposito? RingraziandoLa per l'attenzione, Le porgo distinti saluti Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-10-2003 Cod. di rif: 583 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abito in thornproof a quadri - A G. Chiusa Commenti: Egregio Scudiero, mi compiaccio per l'ottimo acquisto. Quanto al modello, dobbiamo tener presente che Lei farà confezionare un abito completo e non una giacca singola. Poiché non si è mai visto quel cavaliere in due pezzi coordinati immaginato dal Suo sarto(anche se ormai si vede di tutto), le citazioni equestri troppo marcate mi sembrano fuori luogo. Il tessuto, peraltro a quadri, è già abbastanza originale senza che si cerchi di caricarlo ulteriormente di punti notevoli come le tasche oblique. Trovo un pò scomoda la soluzione senza spacchi, atteso che con un tessuto così rigido risulterebbe scomodo al momento di mettere le mani in tasca con la giacca abbottonata. Inoltre la tradizione inglese richiede gli spacchi, peraltro molto alti ed almeno sino all'altezza delle tasche laterali. Per questi tessuti, quando iomprontati all'effetto decisamente campagnolo o equestre, si usa spesso lo spacco centrale, ma lo eviterei. In definitiva, la soluzione che Le propongo è una giacca tre bottoni a vita molto alta e segnata (ecco due citazioni equestri, ma non evidenti). Le tasche potranno essere anche a toppa, ma nel caso vigili, vigili accuratamente! Un tessuto a quadri richiede un posizionamento di tasche, carré, martingale, paramani, guarnzioni, risvolti e altri orpelli estremamente accurato e con notevole perdita di tessuto, affinché i disegni non diano luogo ad effetti ottici sgradevoli. Lei potrebbe non disporre di tessuto a sufficienza o il sarto di sufficiente perizia o pazienza. Usi una fodera all'altezza, molto morbida per bilanciare la rusticità esterna. L'ideale è una duchesse in bemberg, che a causa del peso e della ruvidezza della stoffa non Le durerà molto, ma è la scelta perfetta. Bottoni rigorosamente in corno, pantalone a quattro tasche, due taschini e risvolto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-10-2003 Cod. di rif: 584 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sentenza Armelli n. 2/2003 Commenti: Egregio Armelli, La vedo ormai ben deciso. Premetto che la Thomas, anzi la E. Thomas, non è una casa inglese, ma italiana. Si tratta di un'azienda cui non mancano qualità e storia, versata nella tessitura di stoffe tradizionali. Non ha sede come quasi tutte le altre nel bacino biellese, ma se non erro a Bologna. Il foulé è proprio quello che Lei dice, una flanella rasata, in effetti una via di mezzo tra una flanella ed una saglia. L'effetto diagonale dell'armatura è infatti ben percepibile come in una saglia, ma c'è più pelo, quasi come in una flanella. E' il tessuto principe per i pin-stripe più belli, corposi e pesanti, insomma quelli che quasi noj si vedono più, sostituiti dalle mani morbide e pesi leggeri. Non dubito che il prodotto di E. Thomas sia validissimo e pertanto, tutto ciò premesso e ritenuto, dopo disamina attenta delle Sue allegazioni, il mio verdetto vede favorito il foulé. Si tratta di un tessuto durevole e caldo, deciso. Ha anche una connotazione leggermente più formale, che non guasta in un capo testa-di-serie come deve essere il Suo. Ricorda che Le dissi di quel mio abito 6 ply che era andato distrutto? Ebbene, è stato recentemente sostituito dal suo analogo in foulé. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-10-2003 Cod. di rif: 587 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nomina sunt consequentia rerum Commenti: Ottimo Pugliatti, continuiamo a diffidare dei misti, ancorché firmati da Holland & Sherry. Per la verità, già tempo fa caddi in deliquio per un taglio del genere. Lo portai al sarto il giorno stesso dell'acquisto, cosa che non mi era mai capiatta prima e non mi è mai accaduta dopo. Una volta confezionato, il risultato fu molto deludente. A distanza di anni, come forse ha letto nel Taccuino, ho di nuovo ceduto ad una tentazione simile, questa volta non per la bellezza all'occhio, ma per la mano. Dalla collezione E. Zegna, cui pur avevo gratuito ed illimitato accesso, ho scelto il misto cotone e cachemire. Spero di non restare deluso anche stavolta, ma avendo già visto dei capi confezionati, mi sembra che la formula sia indovinata. Ci ritorneremo in altra occasione, essendo altro l'argomento sul tappeto. Si parlava di Holland & Sherry. Avrà potuto notare che, se Zegna ha eliminato il Frigidus, H&S ha dimenticato il Fresco. Cosa vuole, lo spazio si dedica ai prodotti che fanno fatturato ed il Fresco tre capi resta un tessuto da conoscitori. In realtà lo si può sempre avere, ma nel sito, una vetrina di tessuti commerciali, non se ne parla. Interessante il leggerissimo (7,5 ozs) mohair da Lei notato, con quella sigla complicata che dovrebbe indicare un solvente e giammai un tessuto. Mi rifiuto di citarla e non voglio ricordarla, in quanto contraria alla mia visione umanistica del mondo, che richiede che le cose semplici abbiano nomi semplici e le cose complicate anche. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-10-2003 Cod. di rif: 589 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Così non va. A.l signor Armelli Commenti: Egregio Armelli, cito da un Suo recente gesso: "...il crossbred propostomi dal sarto proviene dalla selezione di Carnet “British Corner Masterpieces” che contiene mazzette veramente notevoli all made in england. L’unico mio dubbio è sul colore. Ero partito con un abito grigio medio ed ho paura che questo tessuto melange sia troppo lontano dalla mia idea. Ero abituato a pensare all’abito grigio tinta unita mentre questo tessuto, indubbiamente storico, mi pare un po’ diverso nella sua fantasia…… Riesce a fugare i miei dubbi ?" Ora scopro che Lei ha invece grande propensione per i tessuti rustici. Se aveva già deciso per il 6 ply, se quello che voleva non era proprio "un abito grigio per l'inverno" come aveva detto in altra occasione, avrebbe dovuto esprimersi con più chiarezza. Credo che Lei approfitti della mia pazienza e non mi metta nelle condizioni di utilizzare proficuamente il tempo. Lei mi ha affidato dei dati e su quelli ha chiesto una sentenza, non un parere. Ora essa è stata pronunciata, ma sembra che non Le stia bene. Sarebbe stato lo stesso se mi fossi pronunciato per l'altra alternativa, perché in sostanza Lei non si fida e vuole giocare con chi fa sul serio. D'ora in poi chieda consigli al sarto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-10-2003 Cod. di rif: 591 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vegetali e minerali Commenti: Egregio signor Possenti, mi risulta difficile immaginare un uomo che indossi pantaloni gialli in tribunale e vada poi a sottilizzare sulle calzature da abbinare. Certi colori, per la loro solarità, evocano atmosfere di tempo libero e non si addicono alle occasioni professionali. Immagino che i Suoi amici e colleghi e Lei stesso adottiate pantaloni grigi. In piena primavera, se non si va per un'udienza, ma per adempimenti, si possono azzardare pantaloni beige. Esiste una legge, tra quelle non scritte, per cui tutti i colori della natura vegetale quali giallo, arancio, rosa, etc. appartengono al giorno ed al tempo libero, mentre quelli minerali o della natura inanimata, come il grigio delle pietre e delle nuvole o il blu appartengono alla sera ed al lavoro. Ovviamente ciò si combina con l'altra norma, più evidente, per cui i colori molto chiari o molto squillanti sono da evitarsi in situazioni in cui occorre dimostrare una particolare dignità, connessa alla funzione, al luogo, al momento. Funerali = Nero, Battesimo = Bianco. In mezzo, il resto, con una gradazione cromatica che deve accordarsi con quella emotiva. Immaginando che non si sia in tribunale, ma al circolo enon si sia di lunedì, ma di domenica, sotto la tenuta da Lei descritta vedrei una derby se si indossa la cravatta. Una scarpa da vela tipo top-sider in caso contrario. La scarpa sarà piuttosto vecchia, per non dare l'effetto dello sportivo-leccato, tra i peggiori possibili. La derby sarebbe bella in un colore che andrà da quello del toscano Garibaldi a quello dell'Originale. La topsider o sarà di un colore indefinibile per l'uso o anche del blu tipico di questa calzatura. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-10-2003 Cod. di rif: 595 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La macchina del tempo - A P. Faranda Commenti: Egregio signor Faranda, se avessi una macchina del tempo, le farei fare la fine di tutte le mie motociclette, distrutte dal troppo lavoro. Il massimo dei settori che Lei evoca si è raggiunto in epoche differenti e si dovrebbe spigolare qua e là. Il gran mondo è stato veramente tale sino alla Grande Guerra. L'affondamento del Titanic è restato così impresso nella memoria collettiva perché esso rappresenta inconsciamente e simbolicamente la fine di un'epoca di privilegi e di certezze durata secoli. Il mondo elegante, senza frac e cilindri, senza guanti e bastoni, ha perso buona parte della sua allure e si avviava con sicurezza alla decadenza. La prima tappa sarebbe quindi il 1910 a Parigi o a Londra o in qualche località coloniale. Non per indossare, ma per vestire. Questa attività non ha mai più avuto lo stesso significato da quando si è persa la fiducia cieca nel formalismo aristocratico per entrare nell’epoca del relativismo e del dubbio borghese. Questo introdusse vorticosamente una quantità di nuovi capi di abbigliamento e giunse negli anni Trenta al massimo splendore e ad una varietà stupefacente. Si era così passati dall’epica alla storia, dal sottinteso alla dimostrazione. Questa è l’età dell’oro in cui – come dissi nel primo Vestirsi Uomo – si coniugò il residuo di un’estetica ancient regime con il nuovo corso di un Uomo che si affermava concretamente e non per nascita. L’epoca in cui la vita all’aria aperta, l’attività ed il piano fisico prendono consapevolezza. Non a a caso è il periodo in cui si trasmettono, grazie a demiurghi come il Duca di Windsor, capi e stili del mondo dello sport e della campagna nella vita cittadina. E’ questa la seconda tappa, in cui visitare Huntsman per una giacca da caccia, Anderson & Shepard per un doppiopetto di foulé o di flanella, Rubinacci per uno chemise (il cappotto leggero, tipico dell’eleganza partenopea) o un completo di lino, De Nicola (sarto napoletano dei Savoia e in particolare di Umberto I) per un cheviot a tutto peso . I pantaloni non erano ancora perfettamente conici come negli anni cinquanta e le giacche erano in genere un po’ corte e legnose, ma l’incredibile varietà dei tessuti e l’estro di sarti e clienti riscattavano il tutto. Parlo di varietà in tipologie, pesi, materiali e disegni, mentre oggi è comune vedersi presentare una tirella in cui cambia ben poco dal primo all’ultimo campione. In effetti, guardando le foto della realtà quotidiana, vediamo che solo venti anni dopo la compostezza virile avrebbe trovato la giusta traduzione e diffusione. L’ottimo Pugliatti sottolineava giustamente questa verità che non possiamo trascurare. Negli anni 50 faremo decisamente a Napoli la terza tappa. Erano allora attivi mostri sacri come Blasi e Schiraldi. Quest’ultimo creò una scuola che ancor oggi influenza il nostro stile quanto e più dell’opera di Attolini. Credo che sia stato lui ad accorciare il davanti dei pantaloni, rendendo l’imbocco della mano in tasca più comodo e smagrendo al figura. Il suo taglio era di una sobrietà olimpica e qui mi sarei sbizzarrito su tutti i capi cittadini da giorno: gessati, blazer, etc. Tessuti di peso medio. Blasi era versato nel taglio sportivo, avendo una spalla più importante e sagomata. Giacche a quadri di shetland, tessuti a stuoia, hopsack, ritorti dai tre ai sei capi. Per la sera e la cerimonia avrei visitato Caraceni. A Roma, naturalmente, dove vestivano le stelle del cinema in tourneé a Cinecittà. Quello che Lei ama era certo il capostipite Domenico, attivo a Milano e Parigi, fortissimo negli anni trenta e scomparso agli inizi degli anni quaranta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Adorni Data: 12-10-2003 Cod. di rif: 596 E-mail: gadorni@yahoo.it Oggetto: De Paz Commenti: Gent.mo Gran Maestro e frequentatori tutti, pongo di nuovo i miei più sentiti complimenti per la qualità degli interventi e sono a domndare qualche delucidazione in merito alla tanto citata bottega De Paz di Bologna. Essendo appasionato di tessuti inglesi country, vorrei farmi realizzare una giacca sportiva, confidando sul fatto che la ditta De PAz ha una sartoria interna. Qualcuno potrebbe dirmi se la qualità della lavorazione é all'altezza? Grazie e deferenti saluti Giacomo Adorni Piacenza ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 12-10-2003 Cod. di rif: 597 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Al Sig. Adorni Commenti: Nobile Gran Maestro, Cavalieri, mi permetto di rispondere al Sig. Adorni almeno per quella che é la mia esperienza personale. Mi sono servito spesso ed anche in tempi recentissimi della ditta De Paz,sempre con grandissima soddisfazione. Ho fatto realizzare pantaloni, giacche e ho sempre trovato una lavorazione all'altezza degli splendidi tessuti proposti. La competenza e la passione di chi di volta in volta si trova a servire rendono poi il tempo trascorso in Via Ugo Bassi davvero ben speso. Sperando di esserLe stato d'aiuto porgo distinti saluti Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-10-2003 Cod. di rif: 599 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacche e cliche maschli - Al sig. Conforti. Commenti: Egregio Conforti, da un ammiratore come me degli anni 30, sentir parlare di giacche legnose sarà sembrato un pò strano. L'espressione aveva una sua utilità nell'ambito di una carrellata stilistica che voleva ripercorrere due o tre momenti salienti della storia dello stile. Orbene, gli anni 30 sono stati importanti per aver messo a punto alcune tipologie ed aver praticamente fondato l'estetica del classico moderno. A parte le grandi città e il loro ristretto mondo elegante, l'estetica dell'abbigliamento era ancora piuttosto approssimativa. La bellezza era ancora troppo costosa e le giacche che si vedevano in realtà per le strade apparivano troppo corte ed i pantaloni troppo cilindrici. Questi dettagli si notano anche nei capi più importanti, ma in questi l'armonia dell'insieme sovrasta le pecche localizzate. La giacca degli anni cinquanta era un pò più lunga ed il pantalone assume una maggiore rastrematura alla base, conferendo slancio alla figura. Le giacche degli anni trenta apparivano in genere legnose per un taglio privo di lentezze e di volumi al petto. Abbiamo già parlato del passaggio dall'English Drape (che già fu una rivoluzione ) al London Lounge, che sviluppava proprio l'ampiezza e le forme del petto. Le risposte a questa maggiore necessità di morbidezza e capacità di movimento restarono comunque limitate a pochi e divennero accessibili a tutti solo un paio di decenni più tardi. Non vorrei comunque sembrare un critico di ciò che ho sempre ammirato. Con tutti i loro difetti, gli abiti, le giacche, i cappotti di alta gamma dal 1930 al 1939 circa sono ancor oggi un modello. Una parte del fascino proviene però da meccanismi indipendenti dalla valutazione squisitamente estetica e la si può cercare nella precisione con cui si ripeteva uno stile. Si avverte nel vestire un certo compiacimento nel ripetere un cliché maschile nel quale si ha fiducia. Nel costruire il suo tempio, piuttosto che sudare nello sforzo di abbatterlo. Il tessuto estetico non era stato corrotto dalle febbri dell'originalità a tutti i costi. Questo virus, introdotto dagli stilisti, ha inquinato il mondo sin poi a divorare se stesso. Io che vesto con giacca, cravatta e cappello sono additato come un originale dagli stessi che credevano d'esserlo con i loro tatuaggi sul naso. Mi criticano, ma perché sanno che la loro squadra ha perso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giordano Iovine Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 601 E-mail: giordano_iovine@libero.it Oggetto: Al Signor Carmelo Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, vorrei chiedere un approfondimento in merito al gesso scritto da lei sullo stile dell'Avvocato. Che tipo di calzature era solito portare l'Agnelli? Per sentito dire so che era solito utilizzare delle Tod's. Ricordo pero'che in un'intervista ed in altre numerose occasioni scorsi al piede dell'Avvocato degli stivaletti scamosciati molto vissuti che portavano un'allacciatura molto alta. Sono sicuro che tali scarpe si allontanano molto dalla produzione industriale del marchio sopra citato, Lei sa di cosa potrebbe trattarsi? Cavallereschi Saluti Giordano Iovine ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 602 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lodi agnelliane - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, nei Taccuini ho sistemato a vantaggio di tutti i nostri Visitatori le foto che mi ha allegato e che cita nel Suo gesso n. 600. Le ho fornite di un breve commento, dalq aule emerge la mia comcezione di Agnelli come di uno stilista di se stesso estremamente deciso, competente. Come un faraone, nascose il tesoro della propria originalità in cunicoli poco visibili e percorribili. I profani che hanno cercato di farli propri si sono persi nel dubbio o sono caduti nel trabocchetto della banalità. Il suo abbigliamento era infatti quasi perfettamente spiccicato ad un modello che Pugliatti con grande acume e sapienza ci ha indicato, ma ogni cosa prende nuovo significato per l'influenza di un dettaglio, per un'esagerazione o un errore scientemente voluto, per una proporzione leggermente rinnovata. Tutti questi ingredienti non avrebbero dato risultati apprezzabili se non fossero stati amalgamati da una personalità straordinaria e lievitati al calore di un portamento regale ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Adorni Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 603 E-mail: gadorni@yahoo.it Oggetto: Sartoria De Paz Commenti: Gent.mo Gran Maestro, ho letto la risposta che gentilmente il sig. Chiusa mi ha fornito, tuttavia mi farebbe molto piacere conoscere la sua opinione a proposito del mio quesito relativo alla bottega De Paz.Non ho infatti elementi per valutare la competenza del sig. Chiusa, per altro molto giovane e la Sua capacità di giudizio, pur apprezzandone lo sforzo. RingraziandoLa, La saluto cordialmente Giacomo Adorni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 604 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: sito Freccia Bestetti Commenti: Breve comunicazione per tutti gli eventuali interessati: è on-line il sito del maestro calzolaio milanese Riccardo Freccia Bestetti (www.frecciabestetti.com). N.B. a titolo di presentazione, ricordo che l'opera del suddetto artigiano è stata già più volte segnalata dal Gran Maestro. Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 605 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Sommo Dante Commenti: Egregio Adorni, nel tacere mi ero associato allo Scudiero Chiusa. Richiesto di un'opinione diretta e personale, posso solo rilanciare. Solo a Londra è possibile farsi realizzare una giacca country in una varietà di stili e materiali quale quella eroicamente offerta da De Paz. Cerchi di parlare direttamente con Dante, eventualmente prendendo un appuntamento telefonico. Chiami pure facendo il mio nome o quello del Cavalleresco Ordine, di cui il genio bolognese è Fondatore e Costituente. Il parere di Dante è autorevole, fondato com'è sulla scienza, su una lunga esperienza, su una carriera di uomo elegante che ha toccato i più alti raggiungimenti. Approfitto per suggerirLe una certa tempestività. Il Cavalleresco Ordine ha infatti fatto ordinare per i propri soci due pezze di rarissimo thornproof, che sotto le bordate dei cavalieri si sta esaurendo rapidamente. Facendo presto, potrebbe ancora trovarne un taglio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 606 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fil-a-fil - Al sig. Conforti Commenti: Egregio Conforti, ricordo che pochi gessi fa (N. 578), mi chiedeva del fil-a-fil. Uno stupendo abito confezionato con questo raro tessuto appare tra le illustrazioni alla mia prima puntata di Vestirsi Uomo (v. Florilegio, Vestirsi Uomo prima puntata, pag. 11). Ho ricopiato la foto per i Taccuini, per facilitarne la consultazione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2003 Cod. di rif: 608 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Epoca "pangrisagliana" - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio professor Pugliatti, non si schernisca. Il Suo lavoro mostra una vasta conoscenza e buona capacità di sintesi. Bravo! Ho molto apprezzato la ricostruzione dell'estetica agnelliana, che permette nuovi percorsi alla critica in materia. A questo proposito, sistemo nel tacccuino una foto di Agnelli con un abito chiaro di fil a fil, pervenutami dal Visitatore romano Paolo Liberati. Poiché avevo da poco sistemato anche una foto di Carlo d'Inghilterra, si avrà un interessante confronto tra due abiti dello stesso tessuto. Rimando al taccuino per i commenti, mentre sono costretto ad insistere ed a bocciare ogni tentativo di assimilare la grisaglia al fil a fil. Spero che le foto allegate e soprattutto quella meravigliosa di Re Carlo possano aprire gli occhi a chi li ha. Per gli altri, non c'è nulla da fare. In effetti alla fine degli anni ottanta si assistette ad un trionfo della grisaglia che fece dilagare questo nome al di fuori del proprio ambito. Probabilmente la citazione cui Lei si riferisce veniva scritta sotto l'influenza di quest'epoca "pangrisagliana". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 612 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbottonature e stirature - Al signor Faranda Commenti: Egregio Faranda, i doppipetto illustrati nel Taccuino sono tutti a quattro bottoni e non a sei. Per evitare questi errori, credo sia meglio parlare di sei bottoni abbottonato centrale o basso e di quattro bottoni abbottonatro alto o basso. Questa citazione della "stiratura" può generare solo equivoci, Infatti la diversità tra i vari capi sussiste a livello di costruzione, più che di stiratura. Quando la giacca deve abbottonare bassa, il sarto considerare che il rever cercherà l'incrocio ad un'altezza diversa, scenderà meno angolato e dovrà quindi "liberarlo" con un ancoraggio diverso tra collo e bavero. La costruzione non è difficile in sé, ma nelle proporzioni. E' facile ottenere una giacca che funzioni, ma sgraziata. Veda che lo stesso Agnelli, certo non un novellino, sfoggia tra le giacche apparse nei Taccuini una non ben bilanciata. Nel sarto occorre un talento normale, ma il cliente dovrà vigilare con un gusto sicuro ed occhio attento. Si tratta di campi minati dove è facilissimo saltare in aria. Personalmente non amo queste fogge ad abbottonatura bassa e sono un sostenitore del doppiopetto sei bottoni ad allacciatura centrale. Pugliatti ne ha pubblicato nei taccuini uno che contiene un bellissimo de Sica, chiedendomi un commento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 613 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gravità bronzea Commenti: Egregio Pugliatti, allegandone una foto nel Taccuino, Lei si chiede se la giacca indossata da De Sica possa essere di Rubinacci. Il modello da Lei proposto, immediatamente a ridosso con quelli di Agnelli, è evidentemente di scuola napoletana. Salta all'occhio la linea retta dei rever, in contrasto con l'ampia curvatura di quelli di Agnelli. Questo stile non è però un'esclusiva partenopea e ciò che ci dice senza alcuna ombra di dubbio che la giacca sia nata all'ombra del vesuvio sono due dettagli: 1) L'attaccatura tra manica e spalla, con quel rullino indisponente ed una tromba riccamente sagomata in alto. L'importanza data a questa zona della giacca è ripica della tradizione napoletana. 2) Il bottone che "tira". Fuori da Napoli, pochi clienti accetterebbero una giacca con l'allacciatura che tira in modo evidente come questa di De Sica. Non si tratta di uno stile solo napoletano, ma è un indice che si aggiunge al precedente. Non è un difetto, ma un criterio al quale si sono sempre attenuti i migliori Maestri napoletani ed anche alcuni internazionali. Veniamo però alla riconducibilità del capo alla scuola di Rubinacci. Io nego che la giacca in oggetto possa essere uscita da London House, in quanto la spalla è evidentemente del tipo che io definisco "naturale concava", mentre sia Mariano che il Padre Gennaro hanno impostato il loro stile sulla "naturale convessa", che aiuta ad ammorbidire la parte alta ed a conferire alle loro migliori giacche quella caratteristica "forma ad uovo". Si tratta quindi di un capo di buona sartoria partenopea, ma non di Via Filangieri. Il tessuto è un bel saxony, abbinato alla grande con cravatta e cappello in forte contrasto monocromatico. Non è possibile esserne certi, ma la cravatta sembra nera. La scomparsa di questo accessorio, in voga negli anni cinquanta e sessanta ed ora ridotto ad assisterci solo nei lutti, può essere qui degnamente rimpianta. Guardandone il meraviglioso aspetto virile, la drammaticità espressiva, in questo caso sapientemente abbinate e moltiplicate da una lancia al petto quasi perfettamente orizzontale, di una gravità bronzea. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 614 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: Al sig. Adorni Commenti: Gent.mo Sig. Adorni, non ho aprrezzato minimamente le parole spese nei miei confronti. Definirmi pubblicamente inesperto o inaffidabile nel giudizio per lo più a causa dell'età non è un comportamento che credo consono a queste mura. Con questo non voglio assolutamente elevarmi a livelli che non mi competono, essendo io il primo a chiedere più che a proporre, a sussurrare più che a parlare. Se però Le ho risposto è perchè ero perfettamente sicuro di quanto scrivevo, nel acso opposto me ne sari stato zitto. Non parlo a vanvera, non sono un venditore da luna park o quanto altro. Io non so con chi Lei è abituato a trattare, ma tra gentiluomini un intervento è sempre figlio di un'attenta riflessione. Mi scuso con Il Gran Maestro e con i frequentatori per lo spazio rubato alle mie personali esigenze, ma ritenevo corretto esprimerle pubblicamente. Venendo a temi più piacevoli, richiedo ancora il sempre gentilissimo aiuto del Gran Maestro, per risolvere un dubbio relativo all'abito in thornproof che sto facendo realizzare sotto la Sua prezioa guida. Ho concordato con il sarto tutte le specifiche da Lei consiglite (giacca a tre bottoni e due spacchi laterali)ed ho abbandonato l'idea della tasca a toppa, effettivamente troppo rischiosa con un tessuto finestrato. Dopo essermi inginocchiato implorante sono pure comparsi magicamente alcuni splendidi bottoni di corno,mi restano solo due dubbi. Il primo relativo all'abbottonatura della giacca, a Suo giudizio qual'è quella corretta per un abito di questo tipo?Più alta o più bassa?Il secondo relativo al pantalone,meglio il risvolto o senza per non appesantirlo troppo? RingraziandoLa e scusandomi ancora porgo distinti saluti Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 615 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'Ordine è dalla Sua parte - Allo Scudiero Chiusa Commenti: Non posso che associarmi allo scudiero Chiusa nella riprovazione dei commenti a lui indirizzati. Mi rammarico anzi di non avergli fatto sentire già prima la vicinanza del Gran Maestro e la stima del sodalizio. Spero che Adorni trovi le parole per scusarsi. E' forse il caso di ricordare che egli fruisce di una struttura e di un sapere che provengono o sono comunque organizzati dall'Ordine, che evita in ogni modo di farlo pesare in vista di scopi ideali dei quali non è opportuno parlare nemmeno in queste occasioni. Ai padroni di casa si dovrebbe però, come minimo, il rispetto che essi dimostrano per gli ospiti. Il nostro è un gruppo guerriero e quando incombono offese o minacce è tempo di manifestarlo. Il rilievo mosso da Chiusa non può passare inosservato. Chiedo ad Adorni una spiegazione, che accoglieremo serenamente. Quanto all'abito, esso andrà senz'altro confezionato con una buona accollatura. Il risvolto ai pantaloni è praticamente obbligatorio. Non si preoccupi se andrà ad assumere lo spessore di un panino. Vedrà che Le piacerà. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 617 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: doppiopetto Commenti: Egregio Gran Maestro, i recenti interventi sulla Lavagna in tema di giacche a doppiopetto mi hanno fatto tornare in mente un dettaglio che avevo accantonato in attesa di chiarimenti a venire. Premetto che personalmente ritengo che la giacca a doppiopetto abbia un tono indubitabilmente “importante” (che poi stia proprio bene a tutti è un altro discorso). Ricordo che a favore appunto del doppiopetto Luigi Settembrini nel suo “Vestiti, usciamo” ha spezzato più di una lancia (forse troppe). Ma, e vengo al punto, i nostri omologhi francesi del gruppo “Sobre et de Bon Gout” affermano testualmente: “les vestes croisées (= doppiopetto) sont moins formelles que les vestes droites (= monopetto)”. Qual è il Suo parere in merito? La posizione dei cugini d’Oltralpe è degna di considerazione o è da attribuire semplicemente a postumi da champagne? Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Adorni Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 618 E-mail: gadorni@yahoo.it Oggetto: Al Sig. Chiusa Commenti: Gentile Sig. Chiusa, non credo di doverLe scusa in quanto non ho offeso nessuno, ho semplicemnte espresso un parere oltre che una cosa ovvia. Il parere riguarda la Sua preparazione sull'argomento, che sono libero di non ritenere all'altezza, la seconda riguarda l'età che in suoi precedenti interventi Lei stesso ha definito giovane. Non sarà per il Suo appellativo di Scudiero che dovrò considerare oro colato quanto da Lei affermato?Cerchi di fare un bagno di umiltà e tratti di argomenti più consoni ad un ragazzo della Sua età. Cosa ne vuole sapere di giacche, scarpe e pantaloni se fino a ieri indossava probabilmente felpe e jeans?O solo perchè si è fatto confezionare l'abito della laurea dal sarto pretende di dettare legge in fatto di stile? Sarò attaccato, ma io amo parlare chiaro, caratteristica questa dei gentiluomini. Distinti saluti Giacomo Adorni Piacenza ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 619 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'enigmistica divertente di Agnelli Commenti: Egregio Villa, poiché Lei è stato ascritto al novero dei Cavalieri, Le do il benvenuto alla tavola maggiore del castello e dell'Ordine. Da tempo non la leggevamo e ci si preoccupava, ma forse Lei era impegnato in una lunga veglia d'arme in vista di qualche importante battaglia. Quanto ad Agnelli, vorrei si notasse anche nella foto da Lei citata come egli utilizzasse dei dettagli iperbolici per scatenare delle reazioni segrete e corrosive nelle sue mises. Egli apparentemente segue sempre un piano tradizionale, ma ogni volta c'è qualcosa di irrazionale, di sproporzionato, di spostato. Ci fa giocare come nella Settimana Enigmistica alla ricerca del particolare fuori posto. Naturalmente solo chi parla bene una lingua può non solo scriverla e parlarla, ma anche utilizzarla in giochi di pura fonetica, etimologia, crittografia. Agnelli si rivolgeva a costoro, per divertirsi e divertirli. Ora siamo all'inizio dell'estate ed in una giornata calda, come si nota dal cielo e dal mohair di Umberto. Eppure il nostro utilizza una cravatta di lana! Quanto alla mano che le confezionasse, non credo che lo sapremo e non ha importanza. Non è difficile farsi confezionare una cravatta di questo tipo. Molti anni fa ne feci realizzare una buona quantità, in tutti i pesi, dal sarto romano Giovanni Celentano. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-10-2003 Cod. di rif: 624 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il più Grande Commenti: Il nostro Visitatore signor Paolo Liberati lasciava recentemente nei Taccuini di questa Porta una foto del Duca di Windsor (appunto del 14.10.03). La bellezza di quest'immagine è commovente. Quello che ci colpisce, come anche nel caso di Agnelli, non è la perfezione, ma l'indifferenza a questo traguardo così banale. Il Duca indossa una giacca a quattro bottoni costruita per essere abbottonata in alto, ma poi abbottonata in basso. Se guardate all'altezza del ventre noterete che le righe del gessato sono oblique. Ciò avviene perché il bottone interno è sistemato tradizionalmente in alto, mentre la giacca è abbottonata esternamente in basso. Questa tensione diagonale viene qui ben evidenziata dal particolare disegno gessato, ma non la vediamo nelle giacche di Agnelli o in quella del figurino italiano del 38, con lo stesso disegno, riportate come esempi di doppipetto ad abbottonatura bassa. Lì potete vedere chiaramente come il bottone interno sia alla stessa altezza di quello esterno. Ma il Duca, il Duca non si curava di queste quisquilie. Il suo aspetto è confortante, luminoso, curatissimo eppure lontano da ogni affettazione. Vorrei condurVi ad un'osservazione che farà comprendere la profondità del suo gusto. La sua educazione gli impedisce di tenere le mani in tasca. Il suo senso estetico gli impedisce di fare come il pronipote Carlo, che si tocca sempre le mani in un gesto che risolve solo parzialmente il problema: quello di figurare davanti all'obiettivo senza sembrare un manichino e senza fare gesti troppo confidenziali. Il Duca risolve con la sigaretta o, in altre occasioni, con un'espressione che concentri tutta l'attenzione solo sul viso, come se il resto (dove poi magari si sta guardando da settanta anni) fosse tutto trascurabile. Il tessuto è matto, la cravatta un pò scomposta, solo il vezzo della bouttoniere rivela chiaramente il suo rango. La cosa più straordinaria che sfoggia, quella che più gli conferisce sicurezza, non la porta indosso, ma al suo fianco destro. E' una moglie a sua volta eccezionale, con cui la sintonia è talmente evidente che dobbiamo guardare la foto trenta volte per sincerarci che non si stiano tenendo per mano ed ogni volta ci sembra di aver visto male. Una moglie su misura, per la quale ha rinunciato al trono d'Inghilterra. Il più Grande di tutti. Mi ritiro in silenziosa e rispettosa meditazione e dichiaro che, anche se sollecitato, non interverrò sul Re dei Re prima di una settimana. Egli va nominato con cautela, per non banalizzarne la monumentale figura ai lievlli di quella di un calciatore. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2003 Cod. di rif: 621 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Doppipèetto - A G. Marseglia Commenti: Egregio Cavaliere Marseglia, rispondo al Suo gesso n. 617. La considerazione del doppiopetto come giacca meno impegnata rispetto alla monopetto non mi giunge nuova. E' ovviamente un residuo dal sapore papirologico, proveniente forse dai secoli in cui le fogge a doppiopetto avevano sapore militaresco e quindi non propriamente formale. Già da tempo, nell'estetica moderna, il doppiopetto ha un sapore più abbilleé ed occorre tenerne conto. Ha vissuto momenti di bassa fortuna dagli anni ottanta in poi, nell'epoca del rampantismo disincantato, ma lo si vede riapparire in quella che ricorderò come l'età del gessato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Rinaldi Data: 17-10-2003 Cod. di rif: 625 E-mail: lordpr@lycos.it Oggetto: Laboratori di eleganza Commenti: Gentile Gran Maestro, leggo da tempo i Vostri contributi e Vi faccio i miei complimenti per la qualità del sito.Ho visionato i resoconti dei laboratori di eleganza tenutisi a Bologna con l'interevento di un Maestro sarto napoletano. Ve ne saranno ancora?E' possibile nel caso vi fossero intervenire ed eventualmente commissionare qualcosa al Maestro Solito? Ringrazio per l'attenzione Gianluca Rinaldi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-10-2003 Cod. di rif: 626 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il ritorno dei Laboratori - Al sig. Rinaldi Commenti: Egregio signor Rinaldi, rispondendo a Lei anticipo in anteprima assoluta la ripresa dei Laboratori bolgonesi. Purtroppo una sorta di peritonite aveva costretto il Maestro ad un intervento d'urgenza piuttosto grave, il che aveva determinato la sospensione delle iniziative. Ci sarebbe sembrato poco delicato continuare con altri Relatori. Ora possiamo ripartire e la data fissata per l'incontro è quella del 12 Novembre. Ciò che Lei chiede è senz'altro possibile, ma venga con mente libera e senza preoccuparsi di ordinare o meno o di farsi confezionare questo o quello. Vedrà che l'atmosfera dei Laboratori influenzerà le Sue decisioni e forse Le aprirà nuovi orizzonti e nuove possibilità. Purtroppo il mondo dell'abbigliamento è finito in mani sacrileghe, incapaci di dare emozioni, cultura, divertimento. Esattamente le cose che vedrà a Bologna, qualora voglia intervenire. Presto leggerà il programma del prossimo appuntamento nell'area dedicata ai Laboratori. La ringrazio dei complimenti, che non posso tenere tutti per me ed estendo a quanti collaborino a questo castello, il cui scopo per ora è forse chiaro solo ai pochi Soci, ma che col tempo rivelerà ai molti che lo frequentano il potere di un sapere non inquinato dai compromessi, di una coscienza che non ha paura di diventare ideale, di una volontà non serva dell'interesse. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-10-2003 Cod. di rif: 628 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Approssimazione e trasgressione - A T. Carrara Commenti: Egregio Scudiero Carrara, la Sua domanda è piuttosto complessa, in quanto rinvia molto lontano, al fondamento stesso del Cavalleresco Ordine, la cui forza muove questo immenso meccanismo del castello e quello non meno imponente delle sue attività culturali e sociali. Devo innanzitutto cercare di interpretare la Sua domanda in un significato non letterale, in quanto nelle migliaia di schermate che già compongono questa Lavagna difficilmente troverà degli esempi da citare a sostegno di questa Sua teoria, secondo la quale noi si perda tempo a screditare gli altri. Al contrario, qui si costruisce e si approfondisce su un piano scientifico che non diventa mai didattico, se non su richiesta dell'interessato che ponga un quesito specifico. Ovviamente vi è un algoritmo generale, un punto di vista che si ripete e che rappresenta lo stile di quanti partecipino a questo lavoro, Soci o meno dell'Ordine. Questo studia e difende la ricerca, ma considera valida le trasgressioni o le innovazioni qualora dimostrino una conoscenza delle leggi e delle leggi del gusto ed in questo caso del linguaggio dell'abbigliamento. Lo spazio recentemente dedicato al Dandy mi autorizza a dire che risulti dimostrato nei fatti come l'approssimazione, non la trasgressione, sia nemica del nostro modo di vedere e vivere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-10-2003 Cod. di rif: 630 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La disfida dello shantung - Al sig. Faranda Commenti: Egregio Faranda, sono lieto che l'argomento tessuti desti tanto interesse. Le dirò che è allo studio tra me e Michael Alden la creazione di un Club del Tessuto come emanazione interna al Cavalleresco Ordine, ma che comprenda anche i non Soci. Gli interessati potranno manifestare già da adesso la loro intenzione di aderire all'iniziativa, ma tenendo presente che questo è un consorzio di acquisto nel quale devono entrare persone seriamente interessate al possesso, all'uso (ed anche alla semplice consapevolezza di averne aiutato la permanenza in vita) di oggetti dalla comprensibilità obiettivamente molto difficile. Qui non si parla mai di denaro, ma quando si tratterà di comprare sarà impossibile non farlo. Allora si distingueranno i veri dai falsi, uomini e tessuti. Occorrerà fiducia ed entusiasmo, merci ancora più rare e non costruibili dove già non ci siano. Chi si diverta in queste ricerche e si senta chiamato a sostenere ciò che resta e ciò che può rivivere del mondo tessile maschile, è il destinatario di quest'avventura. Ultimamente il nostro Ordine ha fatto importare due intere pezze di Thornproof, una in blu ed una in grigio, che hanno avuto un successo strepitoso e si sono esaurite immediatamente. Trattandosi di un'iniziativa esclusivamente sociale, le mail relative all'impresa non sono state spedite ai Simpatizzanti, ma in altre occasioni si potrà allargare il discorso, con giovamento per tutti. Con ordinativi di una certa importanza, potremmo far realizzare qualche saxony o Harris tweed pesanti e compatti come venti anni fa. Ovviamente l'esclusività cui miriamo non è quella determinata dal costo, ma dalla rarità intrinseca della tessitura e dalla sua rispondenza a canoni e materiali tradizionali. Veniamo ora alle Sue domande: 1) Ricordiamo innanzitutto quali siano gli scopi per cui si abbinano più capi di una fibra, torcendola. Innanzitutto si cerca una maggiore resistenza, soprattutto per le fibre corte. Non a caso questo procedimento è sempre stato usato proprio con lane autoctone, che ancorché portatrici di altri pregi, hanno vello di modesta lunghezza. In secondo luogo si cerca l'ingualcibilità e l'aerazione, da Lei infatti citate. Orbene, la seta ha già di suo la resistenza, in quanto la lunghezza della fibra (nel caso della seta-seta e non della seta-shappe) e la sua resistenza sono già al massimo assoluto tra tutte le fibre conosciute. Lo shantung di seta è di per sé come Lei desidera una seta: aerata, fresca e poco gualcibile. Molti lo considerano all'opposto, ma è perché non l'hanno mai usato, ovvero hanno avuto, o ascoltato chi ne aveva, capi di terza scelta. Propongo una sfida sulle qualità di freschezza e ingualcibilità tra una giacca di shantung e qualsiasi altra, mettiamo in Giugno su una tratta Roma-Montecarlo, in auto, senza usare aria condizionata. Giuria a nominarsi; chi perde paga la benzina. In valutazione le condizioni delle giacche e dei loro occupanti, dopo la prova. Non sono certo di vincere, perché lo shantung non è il tessuto meno gualcibile, ma è certamente il più fresco a parità di gualcibilità. Un uomo molto abituato a stare in giacca anche in condizioni difficili potrebbe riportare una brillante vittoria con un tropical sfoderato, ma se la sarebbe meritata, trovando in me e nel mio campione degli avversari non disposto a perdere facilmente e pieni di risorse. Tornando comunque all'ipotesi di un fresco in seta, credo che la ritorcitura in tre capi toglierebbe lucentezza al prodotto e creerebbe un tessuto poco drappeggiante. Priverebbe quindi la materia di caratteristiche che ha già e ,cercando l'originalità, giungerebbe ad un tessuto metallico, buono forse per le cravatte, ma non per la sartoria. Insomma, una cosa da stilisti. Il fatto che un tessuto del genere non sia stato prodotto, che anche per la sera si sia rimasti sui thussor o shantung o, per pesi maggiori, ci si sia rivolti per decenni a ritorti derivati dalla lavorazione di lane e non di sete, come la barathea, dovrebbe indurre a delle riflessioni. 2) Un tessuto matto è quello che non riflette la luce. I cardati sono quasi sempre di questo tipo, i pettinati coperti già lasciano qualche riflesso, i pettinati molto "finiti" ancor più, per salire poi sino alle fibre dalla lucentezza intrinseca come i mohair e le sete. Molto dipende dal finissaggio e in particolare dal decatissaggio, che può spingere fuori o limitare quasi a zero la pelosità del tessuto. Nella flanella, che essendo un cardato in astratto dovrebbe essere matta, esistono prodotti che giungono ad una certa luminosità per l'utilizzo di fibre molto nobili. 3) Credo che si tratti di un tessuto meno gualcibile del cotone e soprattutto molto più confortevole. Le assicuroi che la mano è splendida e vale la pena anche solo provarla per constatare la validità di questa innovazione. Per evitare il comune malinteso tra acquisto ed omaggio, voglio chiarire la mia posizione e dichiarare che di questo prodotto la Zegna mi ha fatto dono. Quando lo avrò confezionato, lo valuterò meglio e comunque obiettivamente. I cotoni ed i lini sono così sensibili agli appretti e così mutevoli nelle prime stagioni di vita da essere valutabili solo dopo che sono diventati abito e non - come le lane - giudicabili al 95% già in pezza. Qui abbiamo anche una miscela, che però ho potuto valutare già indosso a Ferraris, che dall'anno scorso ne è diventato portabandiera e che indossa un capo in Casko nella foto pubblicata nei Taccuini (appunto del 26.09.03). Tornando al discorso sui "testimonial", molte persone, certo più importanti ed influenti di me, vengono fatte segno di omaggi e poi fatte passare come clienti. Non voglio alimentare questa giostra e cionondimeno riconoscere la qualità lì dove c'é. Alcune ditte ritengono di farmi omaggio dei loro prodotti e la cosa mi fa piacere, ma io dichiarerò sempre se si tratta di un acquisto o di un omaggio, anche quando dovessero essere loro a non farlo. Del resto ho sempre parlato bene di Zegna anche prima di questa loro attenzione e forse essa è stata motivata anche da questa mia buona disposizione. Questo non esclude che io possa essere un sincero ammiratore del prodotto che mi viene regalato e che lo abbia scelto tra tanti proprio per questo. In verità, non cerco e non accetto cose che debbano andare solo ad ingombrare la mia casa, sapendo che non le utilizzerò. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-10-2003 Cod. di rif: 632 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pizza misto cachemire - A mr Alden Commenti: Ottimo Alden, noi non ci conosciamo ancora personalmente, ma oggi ho potuto già farmi un'idea delle Sue misure. Ho visto una serie di pantaloni piuttosto particolari per tessuto e finiture ed ho detto al pantalonaio che questi dettagli erano consoni solo a grandi esperti ed appassionati, dei quali mi onoro di conoscere alcuni rari esemplari. Uno di quelli sarebbe stato un certo Michael Alden. "Ma questi pantaloni SONO di Michael Alden!" Mi è stato risposto. Ho così scperto che abbiamo lo stesso pantalonaio e probabilmente frequentiamo in comune anche altri laboratori. Non si ha idea di come il mondo sia piccolo e come ancor più piccolo sia il mondo degli iniziati. I nomi non voglio farli per non banalizzare questo bel racconto con una caduta nella realtà. La sto cercando per incontrarLa a Parigi, possibilmente venerdì 24 prossimo. per una giornata dedicata al mondo maschile. Veniamo al Suo ultimo gesso. Spero abbia sentito la vicinanza dei Cavalieri nel momento in cui Le hanno proposto il super200. L'anno prossimo si arriverà a super220 e così via, finche ci sarà qualcuno che abbocca. Intanto il successo di questo sito dimostra che molti uomini non sono cambiati quanto a gusti e piaceri. Purtroppo la stampa ha abbandonato la via della competenza e dell'esempio per imboccare quella della promozione. Una rivista dura un paio d'anni, ma alla sua morte vi sono altre due che ne prendono il posto. Quasi tutte indicano a modello personaggi deboli, commentati in modo insipido. Non fanno altro che girare intorno agli argomenti, senza proporne un reale approfondimento. E' così che si è arrivati al punto che mi aspetto da un giorno all'altro di trovare il cachemire anche nella pizza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-10-2003 Cod. di rif: 633 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Orrore - A C. Pugliatti Commenti: Egregio professor Pugliatti, come vede anche da Londra ormai La indicano con questo titolo. Ho sempre condiviso le linee generali del Suo orientamento estetico e anche molti dettagli. Apprezzo in modo particolare le Sue ricostruzioni storiche, veramente originali e ben documentate. Lodo in maniera incondizionata il contributo iconografico che ultimamente sta dando nel Taccuino. Non posso però tacere il più radicale dissenso sull'ultimo appunto del 18.10.o3, quello al doppiopetto di Brioni del 1955. Si tratta di un capo orrendo, così pieno di errori da esserne un'antologia esemplare: 1) I volumi al di sopra ed al di sotto del punto vita sono esageratamente scompensati, sicché la parte bassa della giacca perde totalmente di importanza. Confrontiamo questo mostro con la sobrietà del capo illustrato nell'immagine lasciata da Marseglia il 17.10.03, dove abbiamo grande equilibrio tra l'opera morta e l'opera viva (per usare un linguaggio nautico). 2) Le spalle sono talmente esagerate da generare un Effetto Brutus (il rivale di Braccio di ferro). Copra con un dito il cappello e vedrà la testolina del modello sperduta su un'immensa distesa di stoffa inutile e mal disegnata. 3) Che dire di quella tasca bassa bassa? Lo stilistuccio casareccio ha voluto far partire l'abbottonatura dal filo della tasca e nello stesso tempo lasciare molto aperto l'incrocio dei petti. Doveva quindi partire e fermarsi basso, se voleva i sei bottoni. Ha voluto troppo e non ha ottenuto nulla. 4)Il torace sembra gonfiarsi come un soufflé pronto a scoppiare, mentre alla cintura la giacca si avvita coke su un ballerino. 5) Eccoci all'orrore assoluto, alla caricatura: le maniche sono attaccate come quelle di una camicia, ma non a camicia. Guardi bene e vedrà che in entrambe le maniche le righe si collegano con un angolo quasi retto con le spalle, invece di scendere dritte dalle spalle come in TUTTE le giacche degne di questo nome e molte tra quelle indegne. 6) Le stesse maniche sono esageratamente larghe. Brioni, questo è un pigiama. Come mai si trova in esterno? Una nota relativa alla stessa immagine. Sublime, oggi irripetibile ed irripetuto, nonostante gli sforzi di Talarico che io ho avviato, seguo, incoraggio, in parte dirigo, ripeto inarrivabile, l'ombrello dalla sagoma a spillo. Pochi possono oggi notarlo di primo acchito e questo dimostra quanto si sia perso del gusto. Provate a stringere quanto volete i vostri onbrelli e non giungerete mai ad una forma così indisponente. Tarquini lo sistema in primo piano e non a caso, ma proprio per qualificare un uomo. I motivi per cui non si può oggi replicare questa meraviglia sono troppo complessi e ne riparleremo se a qualcuno può interessare un argomento così tecnico. Io comunque ne ho uno proprio così, in seta marrone. Volendo sottilizzare, quello del disegno è un pò corto per il personaggio. Ritornando a rivolgermi allo stimatissimo Pugliatti, non vorrei con questo sfogo inarrestabile contenere il Suo furor creativo. Mi perdoni se non sono stato affatto diplomatico, ma i nostri Visitatori non meritano mezze misure. Forse Lei, definendola una bella giacca, ha visto qualcosa che mi è sfuggita. Sarei lieto che Lei ritornasse sull'argomento per ragionare serenamente. Questo non è un attacco personale e in conclusione di tutto mi dichiaro senza riserve un Suo attentissimo lettore. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-10-2003 Cod. di rif: 634 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: My God, what a cloth! - A mr Alden Commenti: Egregio mr Alden, sorpreso dall'incontro coi Suoi pantaloni, non commentavo adeguatamente il Suo ultimo gesso. Innanzitutto siamo tutti lietissimi del Suo ritorno in questa Lavagna ed anzi ci aspettiamo un giorno qualche intervento in altri campi. La Sua competenza, così come la squisita emozionabilità e precisione, non sono certo un fenomeno limitato al vestire. Lei ci riserva qualche sorpresa e ancora ci nasconde altre passioni e conoscenze. A proposito di emozione, mi ha molto colpito il Suo "My God, what a cloth", uscito a gola strozzata in quel di Savile Row. Lo sento sin qui da Napoli. Credo che tutti i lettori di queste pagine possano intendere bene questo stato d'animo: l'ammirazione senza alcuna invidia o gelosia, lo smarrimento estatico rapidissimo eppure lungo ed intenso nel ricordo, il sentimento di elevazione che si avverte quando appare un Uomo veramente Elegante. Certamente nella scena che Lei ha visto e descritto ogni esibizione era cancellata da un equilibrio estetico che è proprio dell'arte, della storia, in una parola dello Spirito. Questo, non quello materiale dello spettacolo dove la cercano i mediocri, è il piano cui tende l'abbigliamento classico sincero nelle premesse e nell'utilizzo. Ci si arriva di rado, ma di Masaccio, Caravaggio e Van Gogh ne abbiamo visti altrettanto pochi e ci sono bastati a dire grande la pittura. Grazie per la segnalazione del maestro Anderson, che spero di poter visitare conoscere quanto prima. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 21-10-2003 Cod. di rif: 639 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Brioni anni '50 Commenti: Egregio signor Pugliatti, non per amore di polemica, ma per meglio capire e conoscere, mi permetto di chiederLe se è proprio sicuro della datazione del primo figurino inserito sul Taccuino dell’Abbigliamento il 18 u.s. (per intenderci quello con la scritta “Costume” in alto a destra). A quanto mi consta detto figurino non è del 1954, bensì fa parte della collezione Brioni primavera-estate del 1956, minima differenza di fronte all’eternità, ma significativa nel momento in cui Lei ci parla specificamente di una tendenza di moda che, presentata a Sanremo nel 1954, scompare a Suo stesso dire “nel giro di pochi mesi”. Per quanto poi concerne le strategie della maison Brioni, di cui Lei ipotizza (gesso n. 635) l’intenzione “protostilistica” di aggredire con la nuova linea 1955 il mercato nordamericano, è da sottolineare che detta maison fu già ospite nel 1952 a New York delle vetrine di Altman nella Quinta Strada. Da quel momento cominciò l’innegabile e mai negata “carriera americana” di Brioni, che proseguì in crescendo con momenti topici quali un Fashion Show a New York nel 1954 e una crociera promozionale tra Napoli e New York nel 1956, per un totale di duecentottantotto presentazioni tra il 1952 e il 1977. A suggello di ciò nel novembre ‘59 il “Gentlemen’s Quarterly” definì Brioni il “sarto degli americani”. (Fonte: Farid Chenoune: “Brioni”, Firenze 1998). Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 21-10-2003 Cod. di rif: 641 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Tailors on the Web Commenti: Egregi Signori, anch'io ho trovato indubbiamente interessante il sito del sarto londinese Richard Anderson. A questo punto, alla luce della Vostra dimostrata passione nel visitare siti "sartoriali", mi permetto di segnalarVi anche i seguenti siti di note sartorie napoletane: CALIENDO: www.sartoriacaliendo.com CIARDI: www.sartoriaciardi.it (oppure .com) CIMMINO: www.sartoriacimmino.it (oppure www.sartorianapoletana.it) PANICO: www.sartoriapanico.it SABINO: www.sartoriasabino.it Cordialmente da Napoli Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-10-2003 Cod. di rif: 644 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cavalieri e cavalli - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, apprezzo il fatto che Lei sia tornato con disinvoltura su un argomento già trattato. L'approfondimento dei temi è già un connotato tipico di questo ambiente e distinguerà sempre più il nostro munito castello dalle palafitte presto costruite e presto abbandonate. A mio modo di vedere il rapporto che Lei indica va rovesciato di centoottanta gradi, perché da sempre perché si confezionino capolavori occorre una domanda competente. Della clientela in generale e di singoli utenti in particolare. Il complesso cliente/sarto è molto simile a quello cavaliere/cavallo. Uno indirizza, guida, ma è l'altro che corre o che salta. La tecnica e la classe dei primi non si esprime pienamente senza la forza e la destrezza dei secondi. Inutile d'altro canto cercare di vincere il Derby con un brocco o affidare Une-de-Mai ad un novellino. Dannoso infine far saltare un cavallo nato per correre o viceversa. Eppure è più il grande sarto ad aver bisogno di un grande cliente che viceversa. Io sono certo che Alden sappia ciò che dice nell'indicare Anderson come un grande sarto, eppure quel doppiopetto color cammello è un vero disastro (guardate la distanza tra il taschino ed il bottone più alto, un deserto in cui morireste di sete, e misurerete il suo fallimento), mentre il tweed con overplaid vinaccia ha veramente classe. Molta della differenza è di certo nel cliente che l'ha pensata. Un uomo consapevole delle proporzioni auree non avrebbe fatto tagliare il taschino così alto, la vita così bassa. Probabilmente Anderson deve un pò studiare meglio i doppipetto, in quanto anche l' heavy weight gessato incrocia in basso i quarti anteriori (guardate come convergono le linee) del con una "forbice" disdicevole, che ci dice come la giacca sia "impiccata". D'altro canto, si tratta di giacche su un manichino e la mia tesi è appunto che il cliente è quello che fa la differenza. Alla fine di tutto, anche una giacca sbagliata sarà bella su un uomo di gusto, perché questa è la grandezza della sartoria: gli errori nei dettagli si riscattano nel contesto generale e viceversa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-10-2003 Cod. di rif: 645 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Rubinacci/Manna - A C. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, vorrei aggiungere una didascalia al Suo appunto del 20.10.03 sul Taccuino, dal titolo Una prova da rubinacci. Il sarto che si vede sulla sinistra della foto è il Maestro Manna, capo tagliatore del laboratorio napoletano dopo che Panico lo lasciò per mettersi in porprio. Manna aveva già un proprio laboratorio a Via Nardones, ma forse proprio l'eccessiva puntigliosità del suo lavoro lo rendeva meno redditizio, sicché accettò lofferta di Mariano Rubinacci di lavorare alla London House come dipendente. Manna era il delfino di Blasi, il suo fiduciario artistico, sicché il suo tirocinio è stato tra i migliori. Nei pochi anni in cui servì Rubinacci (credo fine anni ottanta, primissimi novanta, ma potrei essere più preciuso chiedendo a Mariano) fece rivivere la grandezza del periodo di Attolini, ma purtroppo fu richiamato dall'Alto molto presto. La giacca che vedete in prima prova è comunque già una piccola testimonianza della sua superba classe. Un Grande cui grazie a Lei va il nostro ricordo e la nostra ammirazione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-10-2003 Cod. di rif: 650 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Errori sì, purche propri Commenti: Egregio signor Faranda, la mia critica alle giacche di Anderson ha generato qualche incomprensione. Non saprei da dove ricominciare, dopo centinaia di gessi, lettere, articoli e conferenze in cui ho espresso il mio pensiero. Lei si ferma sulla singola giacca, al paragone, alla valutazione economica di convenienza, mentre l'uomo che ama vestire sceglie in una prospettiva più globale e dinamica. Come dimostrano i talenti illustrati nei Taccuini, la perfezione è un'illusione coltivata solo dalla retroguardia, che mette in relazione le giacche e conclude: prendo questa perché conviene: è più bella e costa meno. Ciò presuppone che in un determinato individuo, in un determinato momento, sia sorto il problema dell'acquisto della giacca e che esso vada risolto alla luce di considerazioni pari a quelle che si svilupperebbero per altri oggetti. Certamente per molti è così, ma Lei crede sinceramente che siano queste le valutazioni che hanno portato i Grandi lì dove sono e dove resteranno per sempre? L'amante della sartoria - e l'Uomo veramente Elegante non può che esserlo e lo è sempre stato - pensa al proprio guardaroba nell'insieme e in modo attivo. Egli non compra la giacca, la crea e questo gesto espressivo comporta sacrifici, errori, ripensamenti, correzioni. Gli sbagli possono essere una medaglia, l'ho detto e lo confermo, ma perché sono PROPRI. Nessuno potrebbe star bene con indosso gli errori di un altro e questo chiude il capitolo confezione, che delega il prodotto e la produzione perdendone il controllo. Un tic estetico, una scelta un pò esagerata, una svista del sarto, se sono nate in noi, per noi, con noi, parleranno la nostra lingua. Forse il signore che ha ordinato quell'arnese beige riuscirà a fargli fare una figura dignitosa, anche se certo non sarà quello lo strumento che lo porterà alla nostra ammirazione. Potrebbe però avere venticinque anni e tra altri venti potremmo vederlo utilizzare quella giacca e quel tessuto per spolverare i mobili. Andando dallo stesso sarto, otterrebbe molto di più. In ogni caso l'uomo che Lei ipotizza andare a Savile Row, non avrebbe probabilmente quella stessa giacca e se pure fosse sbagliata per altro verso ne potrebbe essere contento. Diverso sarebbe se gli venisse confezionata e fatta pagare qualcosa che non voleva. Non è Lei a dover decidere se qualcuno ha fatto un buon affare, anche perché questo è un settore dove c'è solo da spendere. Alla fine, come in qualche foto mostrata nel taccuino, si va da un sarto carissimo, lo si imposta verso il taglio più corretto e poi ci si fa cucire una manica cinque centimetri più corta o ci si abbottona la giacca in modo sbagliato. Lo stesso discorso indirizzo anche al signor Conforti, che ha già tratto delle conclusioni che vedono vittoriosi i grandi magazzini. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-10-2003 Cod. di rif: 651 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bellezza e verità Commenti: Egregio Conforti, mi sembra che Lei abbia fretta di liquidare con troppa facilità e con modi spicci i rapporti tra industria ed artigianato. La cito testualmente: "...diremo dunque che per un abito non è sufficente essere di sartoria per essere bello,e che in confronto a certi sarti è meglio la confezione:industriale si,ma almeno con un taglio decente !" Credo di aver visto molto in questa materia e continuo a vedere molte, moltissime giacche industriali di taglio e impostazione ignobili, presentate come panacea dello stile. Oggi la caduta dello stilismo puro ha riportato ad un'impostazione più corretta, ma restiamo sempre lì: il prodotto industriale è una cosa senza valore morale, mentre un capo artigianale resta il compimento di un percorso individuale. Gli errori commessi, i cambi di gusto, di età, di censo e di abitudini, si rivelano di giacca in giacca come espressione dell'individuo e non delle strategie di marketing decise di stagione in stagione. Chi veste confezionato vestiva negli ultimi due anni in grigio scuro o nero, oggi veste in gessato blu. Si illude di scegliere, ma è un asino portato all'abbeverata. Infine vi è una considerazione forse troppo sofisticata per essere facilmente condivisa al di fuori del nostro sodalizio e da chi abbia molto camminato tra le sartorie, l'artigianato, le cantine, insomma dove le cose si fanno piuttosto che dove si vendano. E' difficile comprendere che la preoccupazione dell'uomo di gusto non è quella di avere la giacca bella, ma la giacca propria, giusta, adatta. La singola giacca è poi solo un episodio, perhé il gusto si esercita nel complesso del guardaroba e della vita. In definitiva, la bellezza che interessa l'uomo veramente di gusto è quella che viene dalla verità. Alcuni degli uomini che giudichiamo eleganti non hanno capi di particolare bellezza. Tutti vestono di sartoria, ma spesso senza zelo eccessivo o almeno dando a vedere di non averci pensato molto. E' la personalità, la storia, la sicurezza delle proprie opinioni e la capacità di diffonderle, che moltiplica il fatto estetico e lo rende potente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-10-2003 Cod. di rif: 652 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Torno subito Commenti: Valorosi Cavalieri e Gentili Visitatori, sarò per qualche giorno a Parigi. Non vi preoccupate per me, se non leggerete miei gessi. Se invece li vedrete, significa che sono riuscito a trovare tempo e strumenti anche lì. A presto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-10-2003 Cod. di rif: 657 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Influenza sulla sartoria e sul sarto Commenti: Egregio Scudiero Carrara, quanto ai crucci espressi nel Suo penultimo gesso (n. 655), effettivamente i laboratori di sartoria non sono ad ogni angolo e su questo non c'è nulla da fare. Vedo però che l'immenso lavoro svolto da questa Porta, coi taccuini e le Lavagne ed il contributo di molti, stia da un lato diffondendo notizie sulla lro ubicazione e, cosa ancora più importante, enunciando man mano delle "istruzioni per l'uso". Mettendo molti appassionati in grado di dialogare costruttivamente col proprio sarto, di comprendere meglio ciascuno i propri desideri, di apprendere a manifestarli, di valutare i risultati, stiamo proprio aiutando il committente a contribuire in prima persona alla crescita artistica del maestro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-10-2003 Cod. di rif: 662 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Costruzione inglese della scarpa - Al signor Migliaccio Commenti: Egregio signor Migliaccio, le calzature inglesi hanno in genere per costruzione la tendenza a sollevare la punta. Hanno una sagoma "imbarcata" per permettere una facile camminata anche con una costruzione piuttosto rigida. Se la curvatura non è eccessiva, si tratta quindi di un dettaglio connaturato al prodotto. Se invece si tratta di un fenomeno eccessivo, credo che sia difficile eliminarlo. In caso di disperazione, può procedere inumidendo la suola e inserendo un tendiscarpa del tipo a molla, aiutando con le mani la scarpa ad assumere un profilo più retto e poi lasciandola asciugare in questa posizione. Non Le garantisco che, una volta rettificata la superficie di appoggio, la scarpa conservi un perfetto comfort dinamico nel camminare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-10-2003 Cod. di rif: 663 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scelte - Al sig. Fontana Commenti: Egregio signor Fontana, i prezzi del maestro che Le hanno consigliato sono effettivamente un pò strettini, Dalla differenza tra abito e giacca si dovrebbe dedurre che si riesca a costruire un pantalone di alta qualità con 150 Euro, il che è purtroppo impossibile. Non voglio però giudicare su dati approssimativi quella che invece potrebbe essere una bella scoperta. Questi prezzi potrebbero essere giustificati da altri fattori, come risparmio sui tessuti (e cadiamo dalla padella nella brace) o sulle tasse (e qui andremmo benissimo). Andrebbe comunque valutata la qualità. Se ha l'occasione di vedere qualche capo, ne controlli subito la qualità con qualche piccolo trucco: 1) Le spalline sono rigide, conformate con materiali sintetici? 2) Le fodere sono applicate a mano e cucite sul singolo pezzo o assemblate e poi applicate? 3) I davanti sono morbidi ed al tempo stesso percepibili (bene), oppure sembrano inesistenti o ancora, al contrario, formano una corazza impenetrabile? 4) I pantaloni hanno il fondone abbottonato o con la cerniera? Presentano finiture manuali ai passanti ed alle tasche? Quanto a Solito, per il momento i Laboratori andranno avanti a Bologna per ancora molte edizioni e comunque la quantità di lavoro che essi stanno generando garantisce un suo ciclico ritorno per molto tempo. Frequenta la vicina Parma, dove ha alcuni clienti, il giovane maestro partenopeo Giovanni Marigliano, che punta molto sulla vostra regione. Potrebbe essere un'alternativa. Verifichi la sua scheda nel portico dei Maestri ed eventualmente lo chiami a nome dell'Ordine. Come sa, noi terremo una riunione di appassionati co, Maestro Solito il 12 p.v. a Bologna. Partecipi in questa occasione per puro divertimento e poi faccia la Sua scelta. Nel frattempo avrà verificato se il sarto di cui prima si parlava è un vero artigiano - e nel caso ci invivii qualche dato in più per consigliarlo - ovvero un bidone tra i tanti. Nel primo caso, scelga senz'altro la sartoria di casa, perché la frequentazione della sartoria è una terapia psicologica alla qaule rinunciare solo in caso di necessità o di esigenze particolari. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-10-2003 Cod. di rif: 665 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Spezzo una lancia e formulo un'ipotesi. Commenti: Egregio Pugliatti, riprendo il discorso proprio dove Lei lo ha interrotto per spezzare una lancia in favore della nostra attività cavalleresca, che ha sentito il problema ed ha cercato di avvicinare la domanda all'offerta, ammettendo nell'ambito dei Laboratori il commercio non solo di idee, ma anche di abiti. Poiché la cosa non solo non accenna a spegnersi, ma anzi aumentano le richieste all'interno dell'associazione per attività simili su Milano, potremmo anche domani partire con dei Laboratori in questa città. Purtroppo manca il tempo e sinceramente anche il luogo. Avrei voluto svolgere le attività da Guenzati, se fosse almeno paragonabile a De Paz, ma purtroppo se la qualità del prodotto è elevata quella umana (per noi fondamentale) non è scadente, ma certo non esemplare. Dopo aver inviato loro un fotografo ed avreli illustrati su MONSIEUR, dopo aver indirizzato molti clienti, non mi hanno ringraziato e quando li ho chiamati per farmi riservare un taglio raro che sapevo in loro possesso si sono ben guardati dal riconoscere il lavoro mio e dell'ordine, pur sempre al loro fianco. Considero sempre i drappieri degli eroi, ma questi sono un pò pesanti. Potremmo vederci dal nostro cavaliere Marinella, ma ciò minaccerebbe i suoi rapporti con la sartoria milanese (leggi A.Caraceni) e Maurizio vuole vivere tranquillo. Con Rubinacci sorge un conflitto d'interessi, ma potrebbe essere un'idea, a patto che ci faccia un prezzuccio stretto stretto. Ci ho pensato scrivendolo, ma ci proverò. Non ci potrebbe certo essere di meglio e vale la pena lavorarci. Chiedo ad eventuali Visitatori interessati di sostenermi in quest'impresa almeno moralmente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-10-2003 Cod. di rif: 667 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La natura del cachemire - Al sig. Pugliatti Commenti: Egregio Professor Pugliatti, Lei mi attribuisce un merito non mio, in quanto l'indice degli indirizzi di sartorie napoletane venne compilato dal wwwologo Cavaliere Marseglia, inesauribile, puntiglioso, instancabile ricercatore delle risorse della rete e attentissimo osservatore della stessa. Quanto a Sabino, si tratta di un precursore della "sartoria meccanizzata", cioè di procedimenti che sono una via di mezzo tra il su-orsinazione ed il su-misura, contemplando vere misure e procedimenti produttivi molto parcellizzati. Egli produce anche su taglia come confezionista e di tale line a fa parte la giacca-pullover. In realtà il cachemire, per il suo scarso potere di vestibilità, conduce proprio in questa direzione. Veda a questo proposito il mio commento al cachemire nel vestirsi Uomo dedicato ai tessuti (Florilegio). La sua giacca non è quindi un assurdo, ma anzi una corretta interpretazione della natura di questa materia prima, tanto pregiata da richiedere un utilizzo altrettanto disimpegnato e frivolo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-10-2003 Cod. di rif: 671 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Troppa grazia? Commenti: Egregio signor Fontana, credo che grazie agli accordi presi negli ambiti dei Laboratori Le convenga partire in questo contesto e con Solito. Potrà infatti giovarsi del contributo stilistico di De Paz e mio personale. Grazie alla nutrita e qualificata frequentazione di questi appuntamenti, riuscirà a maturare in poco tempo un'esperienza nel rapporto col sarto che Le sarebbe costata altrimenti tempo e denaro in grandi quantità. Marigliano, che ha molto colpito il nostro M. Alden, resta comunque un maestro interessantissimo. Da quando non aveva sarti ora ne potrebbe avere due. Mi raccomando, non faccia come l'asino di Buridano ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Rinaldi Data: 28-10-2003 Cod. di rif: 673 E-mail: lordpr@lycos.it Oggetto: Costo dell'eccellenza Commenti: Gentile Gran Maestro, La ringrazio per la risposta al mio interrogativo sui Laboratori e per il gentile invito.Essendo nuovo del sito non m,i ritenevo neppure degno di tante attenzioni.Cercherò di intervenire per ringraziarLa personalmente. Ho però un ultimo dubbio da fugare, poco elegante ma per me (studente) fondamentale. Lei parla di prezzi concorrenziali rispetto alla grandezza del Maestro, mi potrebbe se possibile dare un ordine di grandezza approssimativo del costo di un abito e dei tempi di lavorazione / consegna? Sono nuovo al mondo della sartoria e non ho idea al riguardo neppure delle modalità di instaurazione di un rapporto. Di solito si salda il Maestro all'inizio o alla consegna dell'abito?Scusandomi per la non delicatezza saluto e ringrazio Gianluca Rinaldi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-10-2003 Cod. di rif: 674 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Programma - Al sig. Rinaldi Commenti: Egregio signor Rinaldi, le Sue domande trovano risposta al gesso n. 173 e nulla dall'epoca è cambiato. Nell'abito dei Laboratori il Maestro offre i suoi servigi e quindi la sola manifattura ad un prezzo "politico" di 1000,00 per un abito completo a due pezzi. La stoffa viene acquistata e saldata a parte. Il trapasso della vil moneta avviene con anticipo a prima prova e saldo alla consegna. Gli incontri sono ogni due mesi e quindi per la confezione, che va avanti in quattro tappe, occorreranno sei mesi. Ciò è importante per prepararsi psicologicamente alla scelta del tessuto e pianificare i costi. Prima tappa: scelta tessuto e misure (pagamento tessuto, con un costo medio di 350,00 euro) Seconda tappa: prima misura (anticipo a volontà, diciamo di 300,00 euro). Terza tappa: seconda misura. Quarta ed ultima tappa: consegna con eventuali rettifiche al momento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-10-2003 Cod. di rif: 678 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Arcaio - Al sig. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, ho visitato l'indirizzo da Lei citato ed ho visto una lavorazione decisamente più vicina alla confezione che al su-ordinazione delle case partenopee o similnapoletane. Viene usata del resto la parola straniera di origine arzanese "sartoriale", che in italiano significa "vorrei ma non posso". Non sapevo nulla dello stile genovese, peraltro ben descritto come orientato ad una giacca che appaia poco, piccola, con spalla omerata (che vuol dire più o meno naturale, ma quella che si vede non lo è) e manica asciutta. Rimando la domanda ad altri Visitatori per ulteriori chiarimenti e fonti. Per quanto riguarda la camicia, l'asola è a macchina e la confezione industriale, come si intende dalla scelta di soli tre tipi di collo. Quanto alla sua attività, il signor Arcaio parla di "negozio" e mai di "laboratorio", nè mai si qualifica come sarto o parla di sarti alle sue dipendenze. Insomma è un venditore di tessuti, che peraltro sa scegliere: nella sua vetrina si vede un solaro, scelta estremamente raffinata e certo non commerciale. Anche la giacca che vi appare non è cattiva, ma non è artigianale. Buono lo stile delle cravatte, ottimo addirittura nella versione orlata. Questo stile va però alleggerito come nel caso di Rubinacci, che lavora dall'8,5 cm in giù. Il 9,5 proposto da Arcaio è un pò ampio e si vede in una sua foto come generi un nodo troppo importante, ormai amato solo dai venditori di qualcosa. Se voleva qualcosa di artigianale dovrà cercare ancora. Poiché non saprei darLe un indirizzo, ma sono convinto che a Genova qualcosa ci sia, invito i frequentatori del nord ovest a mettersi in caccia e mettere a disposizione della Lavagna eventuali risultati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-10-2003 Cod. di rif: 682 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Battaglie su misura - Al sig. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, il nostro lavoro è quello di rigenerare o mantenere la cultura della bellezza in uno stato di salute sufficiente a vivere e riprodursi. Lo svolgiamo nell'ambito dei nostri poteri e possibilità, consapevoli che il segreto per costruire dieci piani è quello di non volerne mille. Il Cavalleresco Ordine è un movimento d'azione più che d'opinione ed agitare bandiere serve solo amettere in ostra gli individui, non le idee. Credo che gli obiettivi da Lei proposti siano nobili, ma per noi irraggiungibili. Poiché ci interessa fare, non cercheremo di strafare. Anche le guerre si devono scegliere su misura. Limitatamente ai tessuti, partirò nel 2004 con una campagna d'opinione su MONSIEUR che ha degli scopi simili a quelli da Lei proposti e che si prefigge di far chiarezza sulle stoffe usate dai confezionisti, diffondendo la storia e qualità dei tessuti di tradizione e generando così la volontà di ritrovarli menzionati come lo sono gli ingredienti di un prodotto alimentare. Forse non raggiungeremo lo scopo, ma vi saranno comunque dei risultati marginali molto utili alla nostra causa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-10-2003 Cod. di rif: 684 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il buon gusto dell'Universo Commenti: Egregio signor Poerio, riprendendo da dove ha cominciato, posso dirLe che bellezza ed eleganza non occorre sognarle. Basta volerle vedere ed esse non mancano. Quanto a Lei, vorrei vederLa più rilassata. Non si concentri troppo su questi abbinamenti tra cintura e scarpe, fibbie e orologi. Irrigidendosi su questi accordi da rivistuccia femminile perderebbe di vista la melodia. Cerchi invece di immaginare cosa potrà metterla a proprio agio, perché la scioltezza e la sicurezza sono il miglior indumento. Non usi un abito nuovo per la cerimonia e se lo fa confezionare, curi che sia consegnato qualche giorno prima perché possa almeno rodarlo. Le scarpe andranno lustrate come meglio sa fare, perché un paio di calzature giuste e lucide la faranno sentire bene. Come un talismano, la proteggeranno e attutiranno qualsiasi errore Lei dovesse commettere. Pieghi il fazzoletto in modo retto e ne faccia uscire un pò più di un centimetro, dosando questo "un pò di più" secondo l'altezza e il momento. Il fazzoletto è l'arbre magique della gioia e dell'estroversione. Più ne tira fuori e più odora di queste due cose, che, pur essendo profumate, possono dare fastidio se esibite in eccesso. Quanto al blu per il testimone, si tratta chiaramente di una leggenda metropolitana. Ne sorrida, protetto dal suo infallibile grigio. Ricordi che se il matrimonio non è così formale, Lei con il blu non sarà in errore nei confronti della sala e se aderisce ad alcune teorie qui espresse non lo sarà in assoluto. Se si sente invece di appartenere intimamente alla costellazione grigia dovrà seguirne sino in fondo il movimento, altrimenti lo sarà nei confronti dell'universo. Stia tranquillo comunque. Abbiamo visto che in esso le cose buone e belle sono infinite. Essendo così di buon gusto, non è in competizione e non critica mai nessuno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 30-10-2003 Cod. di rif: 686 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: sartoria Luciano Commenti: Egregio signor Fontana, mi permetto di risponderLe prima del Gran Maestro. La Sartoria Luciano è stata fondata in Napoli da Orazio Luciano, già maestro tagliatore presso la nota azienda Kiton, il quale ha deciso qualche anno fa di mettersi in proprio fondando l’azienda denominata “La Vera Sartoria Napoletana”. Detta azienda ha partecipato alle ultime manifestazioni di Pitti Uomo, ha un omonimo sito Internet (con suffisso “it”), ma per essere brevi è una delle varie realtà del “su-ordinazione”, le quali raggiungono anche vette di qualità eccellente, ma non rientrano nel concetto della sartoria strettamente intesa come il laboratorio dove un Sarto ed un Cliente interagiscono per la realizzazione di un abito. Detti concetti li troverà, come penso sia a Lei già evidente, ripetuti e ribaditi in tutti i modi su codesta Lavagna. Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-10-2003 Cod. di rif: 688 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un successo sicuro - A G. Marseglia Commenti: Grazie Marseglia, sottoscrivo il Suo ultimo intervento. Mi punge vaghezza di fondare anch'io una società dal nome "Laverissimasartorianapoletananoncomequelladiqueicafonilì maquestavoltaveramenteveraevelodicoconlamanosulcuore chéiohoereditatoleforbicidalbisnonno" L'etichetta sarebbe un pò grandina, ma immagina il successone? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-10-2003 Cod. di rif: 689 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Duke's Last Sons Commenti: Grande giornata per il Gran Maestro. Dopo anni di ricerca sono entrato in posseso di un'opera cui tenevo moltissimo. Come tutti sanno, nel novembre del 1997 andarono all'asta a New York moltissimi oggetti appartenuti al Duca ed alla Duchessa di Windsor. I cataloghi dell'asta, in tre volumi, divennero immediatamente ricercatissimi. Tre anni fa offersi una cifra folle per acquistarli, ma il loro proprietario mi rispose che non erano in vendita. Trattandosi di un popolano arricchito, ci rimasi particolarmente male. Dopo lunghe ricerche, avevo trovato i tre volumi in internet, venduti da una libreria americana di cui non ricordo né nome, né sede. Naturalmente i superpratici delle ricerche come il nostro sempre sorprendente Marseglia mi diranno ora che da cinque anni il sito della scuola media Arrigo Pompieroni di Forlimpopoli aveva messo in vendita questo ed altri libri per sostenere opere in favore dei lombrichi orfani, ma io aspettavo questi libri con una sete che doveva essere estinta dalla ricerca personale. Sono cose che vanno meritate e non si debbono chiedere. Qui si parla del Duca, non so se mi spiego. Orbene, oggi giungeva a casa mia un pacco dalla lontana California. Chi si ricorda del Gran Maestro, ho pensato. Vuoi vedere che sono loro? Ed eccoli lì, davanti a me. Tre volumi ricchi di foto esaltanti, sulle quali c'è tanto da fondare una nuova nazione, da generare una nuova era. Li porterò meco al prossimo Laboratorio d'Eleganza e terrò una breve prolusione in merito. Proporrò in tal sede la confezione di un capo non ispirato, ma copiato senza cambiare una sola virgola e dedicato alla virtù impareggiabile del Re dei Re. Una giacca da caccia e da tiro che potremmo chiamare Duke's Last Sons. Come qualcuno avrà compreso da precedenti interventi in materia, aver pronunciato il suo nome mi impegna a tacerlo per almeno sette giorni, poiché tale è la regola che mi sono imposto per citare i Grandi Ispiratori senza sminuirne la carica simbolica e l'insegnamento spirituale. Mia moglie, vedendomi al settimo cielo, ha insistito per versarmi il prezzo dei libri in contanti, onde farmi un regalo per il mio compleanno. Non avendo sottomano lombrichi orfani e non potendo trattenere denaro proveniente da una signora, ancorchè consorte, lo devolverò in favore del fondo di assistenza ai Gran Maestri incorreggibili fumatori di Avana. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-10-2003 Cod. di rif: 691 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A tutti i segugi Commenti: Egregio Pugliatti, a suo tempo i Suoi voti saranno tutti esauditi, anche l'ultimo. Solo quanto alla scansione non sono attrezzato, perché mi manca tra libri e scartoffie lo spazio fisico per poggiare uno scanner. Presto traslocherò in un'altra casa, dove sto predisponendo una tana più ampia. Ho davanti a me il pacco e posso recitare l'indirizzo del mittente. Lei ed altri potrete così verificare la disponibilità di altre copie dell'opera. Se altre quattro o cinque di esse circolassero in Italia, la storia del nostro paese potrebbe cambiare. JMVintage 72877 Belair Rd Palm Desert - california 92260 - california Non ricordo l'indirizzo del sito, che implacabili segugi come il cavalier Marseglia reperiranno in un batter d'occhio. La caccia è aperta. Non ricordo il prezzo, ma era ridicolo in confronto all'inestimabile valore della raccolta di immagini rare, quasi tutte inedite e irreperibili da altre fonti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 31-10-2003 Cod. di rif: 692 E-mail: gchius@libero.it Oggetto: A King' s Story - The Memoirs of The Duke of Windsor Commenti: Nobile Gran Maestro, da grande "anglomane" (per utilizzare un termine coniato dal Cav. Forni), mi sono precipitato alla ricerca del prezioso volume e seguendo el sue indicazioni ho ordinato un tomo dal titolo "A King' s Story - The Memoirs of The Duke of Windsor ". E' questo quello di cui parlava? Dalla descrizione sembra in ogni caso una vera e propria "bibbia" per gli adoranti imitatori del Sommo Duca. Per ora ho fatto l'ordine...temo però di ricevere una mail in cui mi si comunica che il prodotto è esaurito.. Sempre grato per come ci illumima la strada Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 31-10-2003 Cod. di rif: 693 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: J M Vintage Commenti: L'indirizzo Internet in questione è www.jmvintage.com. Trattasi di una libreria specificamente dedicata al Duke and "other curious subject". Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-11-2003 Cod. di rif: 700 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'effetto-parto Commenti: Egregio Pugliatti, dobbiamo ascoltare il messaggio dei Grandi Ispiratori perché ci induca ad una proficua riflessione, non cedere ad una superficiale curiosità. La riflessione è lenta e lascia una traccia, la curiosità, velocissima, è un appetito presto soddisfatto e presto dimenticato. I Grandi hanno il dono di illuminare le nostre profondità, ciò che abbiamo dentro e non davanti. Per questo, nominandoli, mi appare opportuno rientrare in un silenzio che consenta di attutire l'eco delle sollecitazioni più vili e permetta l'assorbimento profondo della loro lezione. Ancora per questo ho usato parole volutamente impressionanti, perché così fanno gli oracoli quando sono ispirati dal Dio. Riduca a misura adeguata l'immagine e si avvicenerà a ciò che voglio dire. Ma gli oracoli non si spiegano. Dei volumi pochi conoscono l'esistenza. Trattandosi di cataloghi non figurano nelle bibliografie. Non so nemmeno io come ho fatto a rintracciarli e nemmeno ero certo che fossero essi quando li ho ordinati. L'indirizzo è stato prontamente rintracciato dal nostro grande cacciatore bianco Marseglia, cui nulla sfugge. Lo ha pubblicato egli stesso, a doppietta ancora fumante, in un recente gesso. Quando mi sono laureato ho completamente rimosso tutto dell'università. Per ritirare il certificato di laurea, dopo quattro anni di continua frequentazione, ho dovuto chiedere dov'era la segreteria. Allo steso modo, dopo aver cercato questi libri per tanto tempo, avevo completamente dimenticato dove si trovassero prima che a casa mia. E' l'effetto-parto. pare infatti che le donne dimentichino il dolore delle doglie per essere pronte ad una nuova gravidanza senza avvertirne l'angoscia. Io ionvece passo di ricerca in ricerca, con programmi ed impegni sempre molto lunghi. Quando, tra otto anni, avrò terminato questo sito, ne dimenticherò l'indirizzo e passerò ad una nuova impresa. Mi scuso quindi per non aver dichiarato subito tutti i dati e messo i Visitatori in grado di compiere le loro ricerche, nello spirito del castello. L'indirizzo lo troverà nell'ultimo gesso marsegliano, il titolo dell'opera, riconoscibile anche perché in tre volumi, è: The Duke & Duchess of Windsor - Sotheby ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-11-2003 Cod. di rif: 701 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: What an overcoat! Commenti: Visitatori, a quelli che stanno pensando di partecipare alla sessione del 12 Novembre dei Laboratori d'Eleganza, comunico la lettera che mi giunge da Dante De Paz e che introduce un nuovo argomento interessante. Caro Giancarlo, dopo lunghe ricerche sono riuscito a trovare da un fornitore inglese una certa quantità di tessuto in pura lana da circa mille grammi al metro, il famoso British Warm nel colore originale Dark Drub. Con questo tessuto veramente raro e importante, secondo la tradizione, si confeziona il soprabito BRITISH WARMER, il classico militare con bottoni in pelle. Ho fatto confezionare un prototipo che sarà possibile vedere e giudicare durante l’appuntamento del 12 p.v.. Credo sia oggi il paletò più ambito dal buon gusto. A presto Dante De Paz Ho visto una sola volta questo capo in tutta la sua imperiosa bellezza. Mi trovavo da Rubinacci, parlando con Mariano, quando entrò un suo assiduo cliente, alto e magro, splendido nel lungo soprabito sdrucito, vecchio cappello trilby, abito in una stoffa pesantissima a stuoia evidentemente tessuta a mano. Il Conte in questione, di cui non ricordo il nome, è marito di Ines de la Freissange (Chanel). What an overcoat! ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-11-2003 Cod. di rif: 709 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Inesorabile disinteresse Commenti: Egregio Cavaliere, non ho mai reso pubblico il programma del sito, nemmeno all'interno dell'associazione, perché su una distanza così lunga mi sono riservato in tal modo la possibilità di modificarlo. Solo il programma è mio personale, perché il sito è dell'Ordine tutto e nel rispetto di certi nostri principi resterà sempre a disposizione di coloro che ne intendano gli scopi. Spetta al Gran Maestro la scelta di queste direttive e poiché è presumibile che resterò in carica per un altro paio di mandati, sarò ancora io a reggere le sorti del castello quando esso sarà completo come struttura. Ovviamente una cattedrale non termina mai, ma a quel punto e probabilmente già molto prima, l'architettura sarà diventata più importante dell'architetto. Non credo che abbandonerò mai i commentari, né potrò farlo sinché sarò io a sedere alla Scrivania ed a sbrigare la Posta del Gran Maestro. Ciò non potrà però durare per sempre e da qualche parte già spero si sta preparando il mio successore. La mia frase non era comunque una vera e propria dichiarazione o previsione, ma applicava a quest'opera un criterio che ha caratterizzato tutta la mia vita: un'inesorabile disinteresse per il mio passato personale. Se dovessi avere l'impressione di aver completato il mio lavoro, il che spero avvenga, vi perderei imevitabilmente interesse. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-11-2003 Cod. di rif: 706 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La vera storia del Conte xxx - A C. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, quando il signore di cui dicevo si allontanò, lo fece lasciando nell'aria quel quid indescrivibile, quel profumo che gli eleganti lasciano sempre come una scia. Erano presenti alla scena altre persone, tra cui lo stesso De Paz, in preda ad una crisi mistica di fronte alla raccolta di tessuti di Mariano (di cui fa parte il vecchio thussor che a questo punto andrò a recuperare) e Franco Forni, in visita a Napoli per uno dei nostri Laboratori tenutisi a Napoli nella stagione 2001-2002. Quando dicevo laciò la sala prove, dove misurava e discuteva chissà di quali misteri con lo stesso Rubinacci, chiesi al buon Mariano chi fosse costui. Mi disse trattarsi del Conte xxx Ripeto, non ricordo iln nome, ma se avesse qualche importanza potrei chiederglielo la prossima volta che lo incontro. Non credo potesse trattarsi di un D'Urso. Ho conosciuto personalmente il senatore in un pranzo informale con Pippo dalla Vecchia, di cui è vecchio amico (il senatore è anche socio del RYCCC Savoia e credo del CRV Italia, di cui PIppo è stato per anni Vicepresidente). L'età del Conte mi sembra escludere un rapporto padre-figlio. Mariano aggiunse che egli era il marito di Ines de la Freissange, ma fosse stato anche un quisque de populo si trattava comunque di una persona di livello intervazionale e lo dimostrava la sua conversazione e l'abbigliamento veramente ad un livello inarrivabile. Quanto alla crisi di De Paz, nonostante non fossimo certo di fronte ad un grossista dai prezzi miti, cominciò a scegliere una quantità di tessuti impressionante e non accennava a smettere, quando Mariano lo fermò e gli disse che egli non vendeva i tessuti ew che avrebbe fatto un'eccezione quanto ad una parte di quelli che aveva selezionato. Gli chiederò notizie in merito alla provenienza del tessuto reperito e si quello usato attualmente dalle forze militari britanniche. Anche qualora - e noi lo speriamo - fosse rimasto il British Warm originale, questo non tolgie che si tratta di una rarità irreperibile nei normali circuiti, anche presso i commercianti più forniti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-11-2003 Cod. di rif: 712 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Asole e pesantezze - Al sig. Lupo Commenti: Egregio signor Lupo, in genere un gentiluomo ama vestire sempre un pò più pesante della media. Ho già detto che in una sala l'uomo più elegante sarà spesso quello vestito con qualche grammo in più e non quello con qualcuno in meno. La traspirazione è garantita dalla scelta del tessuto giusto, non dal peso minimo. I tessuti pesanti sono una iattura se mal lavorati e comunque non sono per tutti. Le Sue spalle non sono ad esempio quelle di Suo padre e Lei lo ha già constatato. C'è ancora chi gradisce avere quel peso indosso e qui noi possiamo dar loro una voce che non hanno altrove. Mi sembra comunque di aver sempre abbinato ad i tessuti pesanti la qualità di "raro" più che di bello. E' un fatto che essi stanno scomparendo ed alcuni appassionati ancora li ricercano. Uno degli scopi dell'Ordine è proprio nello scanbio di notizie in merito a mercanzie rare negli oggetti trattati dalle Porte e da qui il continuo ripetersi di queste pesantezze. Non si tratta degli unici tessuti desiderabili, ma di quelli che, essendo irreperibili, vale la pena di dire. Quanto a Finollo, credo che si parlasse di lui, le Sue asole sono ignobili e posso testimoniarlo con la foto scattata da me stesso all'inizio di questo 2003 e che immediatamente pongo a Sua disposizione nel Taccuino. Non esiste un'asola a macchina senza quei peletti che vede in foto. Se a Lei sembra in ordine, guardi ora più da vicino. Non credo sia giusto vendere una camicia così ad oltre cinquecento euro. Quanto alla distinzione tra macchina e mano, Lei ha diritto di scegliere ciò che Le piace. Quanto a noi, ci interessiamo solo di lavorazioni artigianali su misura. Aggiungerò un'asola pesa da una mia camicia di Merolla e De L'Ero perché sia visibile la differenza. Noti la compostezza, l'assenza totale di antiestetica peluria. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2003 Cod. di rif: 714 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non giudihiamo il comfort solo dal peso Commenti: Egregio Conforti, già molti adottano questo criterio, ma alcuni preferiscono avere nel guardaroba dei capi un pò estremi. Né io, né altri mi sembra, proponiamo di usare questo o quello, se non specificamente richiesti. Solo con i materassi che talvolta qui si descrivono perché continuino a vivere sarebbe impossibile vestire confortevolmente, ma chi li ama trova l'occasione giusta per indossarli. Le giornata veramente fredde non mancano ed inoltre l'abitudine a vestire un pò più pesante rende naturale indossare qualche grammo di più non solo senza problemi, ma con estremo piacere. Alcuni tessuti sono giudicati incomodi solo dal peso, ma non essendo usati rivelano solo ai pochi appassionati le loro vere qualità. L'harris, ad esempio, ha qualità di traspirazione ed igroscopiche e di traspirazione inimmagginabili da chi non lo abbia provato veramente. Conferisce, come dire, la sensazione della salute. Il pericolo è quello di giudicare senza aver provato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 04-11-2003 Cod. di rif: 715 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Abbottonatura doppiopetto Commenti: Egregio Gran Maestro ed Egregi Frequentatori della Lavagna, scrivo in riferimento alla foto lasciata sul Taccuino dal signor Liberati proprio ieri. Non sono io quello che riesce a dare riposta al quesito posto circa il tipo di tessuto utilizzato, anzi io rilancio con un ulteriore quesito: ho notato l'anomala, ma probabilmente non casuale, abbottonatura "destra su sinistra" del cappotto sfoggiata dal Duca nella foto in questione. Cosa ne pensate? Sul tema dell'abbottonatura del doppiopetto, e precipuamente della giacca, mi permetto poi di sottoporre alla Vostra attenzione la seguente citazione tratta da un articolo di Carlo Guardascione Scalo: "Il mio signore con il doppiopetto adotta invece due sistemi di abbottonatura diversi, che alterna a seconda dello stato d’animo del momento. Il primo consiste nell’allacciare il primo bottone, ma dischiudere e divaricare entrambe le falde inferiori della giacca ottenendo un risultato più «natural», che dispiega tutti i suoi effetti in quelle due o tre «piegoline d’artista» che si formano intorno al primo bottone. Il secondo sistema prevede invece l’abbottonatura del secondo dei due (quello più in basso) ma non prima di avere allacciato il bottone interno del doppiopetto; sì, proprio quel bottone che soltanto gli sprovveduti allacciano rivelando così tutto il loro anelito a sembrar «perfettini perfettini» che si risolve invece in un aspetto triste da immobile manichino; ebbene, il mio signore, proprio adoperando questo infelice bottone, che rende infelici quanti lo abbottonano, ma accoppiandolo all’allacciatura del bottone inferiore invece che del consueto superiore, riesce a dare al doppiopetto un’aria veramente degagée. Nell’abbigliamento — così come talvolta anche nella vita — basta spostare di pochi centimetri il focus della propria attenzione per veder cambiare le prospettive e le proporzioni e, nella vita, addirittura i punti di vista!". Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2003 Cod. di rif: 716 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Critica del vestir puro - A G. Marseglia Commenti: Egregio Marseglia, 1) Guardascione Scalo, in arte Jeeves, descrive esattamente e con bella penna il doppiopetto che tira, cioè quello che piace a noi napoletani ed a molti altri eccettuati gli inglesi, nonché il fenomeno dei due bottoni sfalsati interno-esterno, di cui si dice anche in un mio gesso, il 624. Ciò fa notare come ricercatori diversi, che certamente non si sono letti l'uno con l'altro giungano alle stesse conclusioni ed è und duro colpo per quanti affermino che quella del gusto non sia una scienza. 2) Il cappotto che descrive è semplicemente riprodotto in una foto ribaltata a specchio. Quanto al tessuto, di cui chiedeva Liberati, non sempre una foto basta a decifrare con precisione una tipologia. Nel pomeriggio si pronuncerà in materiaDante De Paz, per cui lascio nelle sue dita la patata bollente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2003 Cod. di rif: 718 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatte sfoderate - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, per sfoderata si intende una cravatta senza fodera, finita con un rullino orlato a mano (si veda questa tipologia nel Portico De Maestri - Marinella - Pagina delle Etichette). Altra cosa è la cravatta priva di interni. Questa è realizzabile con pesanti sete tinte in filo, ma solo se si intende avere un nodo molto piccolo per una gamba di sette centimetri o poco più. Su proporzioni maggiori o sete stampate, i risultati sono scadenti. Insomma, si rievocano così i modelli stile anni cinquanta-primissimi sessanta. In realtà questi modelli erano anche più sottili e quasi sempre realizzati in Rhodiatoce o altre analoghe fibre sintetiche pregiate, più adatte della seta nel sostenere un nodo senza fidare su un interno. Questo bel materiale, né alcunché di simile, viene oggi prodotto. Anche le cravatte sfoderate, private dell'appoggio al triangolo non ripiegato, non vengono molto bene se superano larghezze di 9 cm. Come sa Marinella non usa sete di fantasia come quelle in uso presso altre ditte, ma solo tipologie tradizionali. La migliore ricetta per ottenere quello che credo abbia in mente, per sete di peso sostenuto e quindi con le saglie e reps in uso presso Marinella, consiglio o 8,5/9 sagoma a bottiglia o un 8/8,5 sagoma retta, con un solo interno pesante in lana. Quanto alla lunghezza, normalmente le cravatte di qualità si stanno aggirando sui 155 cm, ma con queste gambe più magre Le consiglio di scendere di circa dieci cm per un'altezza media e di cinque per Lei, piuttosto alto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2003 Cod. di rif: 724 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Inglesi e italiani Commenti: Egregio signor Fontana, per un italiano lo stile inglese è veramente difficile da comprendere e far proprio. Noi siamo estremamente individualisti, mentre gli inglesi hanno un alto concetto dell'appartenenza alla nazione, ad una scuola o ad un circolo. Noi ci consideriamo civili perché abbiamo dato i natali a Michelangelo e creato la Cappella Sistina, loro perché hanno avuto Churchill e vinto la guerra. Ogni abito italiano è un affresco, ogni abito inglese una divisa. Noi vogliamo avere un bell'abito, loro un abito giusto. Questa premessa concettuale serve a metterLa sull'avviso. In molti credono di vestire all'inglese, ma se non se ne comprende lo spirito si resta sempre a metà strada. Quanto alla parte stilistica, la giacca inglese ha una vita al punto naturale piuttosto decisa, spacchi e tasche molto alte, taschino poco sagomato. Le camicie sono sagomate, ma non attillate. Spesso hanno righe in varietà e tinte fantasiose. Vorrei dilungarmi sullo stile internazionale, ma devo lasciarLa ad un'altra puntata. Nel frattempo se trova qualche immagine dello stile british che l'abbia colpita, La sistemi nel Taccuino e cerchi di descrivere cosa voglia assimilarne. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 07-11-2003 Cod. di rif: 725 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: vedi gesso 689 Commenti: Egregio Gran Maestro, è passata la prescritta settimana dal Suo gesso n. 689, per cui mi permetto di intervenire in merito. L'asta di Sotheby's, che Lei ha meritoriamente ricordato in codesta Lavagna e del cui catalogo detiene oggi una preziosa copia, in effetti non fu tenuta, com'era previsto, sul finire del'97, bensì nei primi mesi del '98 a causa della sopraggiunta morte della Principessa Diana. Il patrimonio vestimentario appartenuto al Duke fu acquistato dalle più note Case d'abbigliamento di lusso, tra cui Brioni, Kiton, Oxxford, Derek Rose, et similia, il che mi sembra degno di adeguata riflessione... In merito alla suddetta vicenda mi permetto di allegare un articolo tratto da "Robb Report". Cordiali saluti Giampaolo Marseglia “Fashion’s Royal Inspiration, Fit for a King” by William Kissel Robb Report - January 2001 When Edward VIII, the Duke of Windsor, passed away in 1972 at the age of 77, he left behind one of the world’s most coveted wardrobes and collections of jewelry. The clothing and jewelry went on the auction block at Sotheby’s in 1998 and produced a bidding war that raised nearly $23.5 million for charity. Most of the Duke’s handmade Savile Row suits went to Italian suit makers Brioni and Kiton. The latter created a modern collection based on the Duke’s suits, including the built-in boxer shorts. His fine jewelry-nearly 400 pieces-was purchased by entrepreneurs Sam Bargad and Barry Peele, who named it the Windsor Collection and have been selling it piecemeal for the past two years through retailers such as Neiman Marcus, Wilkes Bashford in San Francisco, and Fred Segal in Los Angeles. You can buy his suits, wear his watches and rings, or you can slip into something of the Duke’s that’s a little more comfortable: his robe. The duke’s well-worn signature crimson and navy dressing gown went to Savile Row loungewear maker Derek Rose, who bid several hundred pounds on the garment. Rose intended to keep it as a souvenir, but he changed his mind. Rose wondered if others born to a life of leisure might want to share the duke’s impeccable bedroom style. That thought led Rose to design a $600 version of Edward’s robe, complete with handmade silk tassel and tie, and sell it through Saks Fifth Avenue. “The original had a lot of dark holes where the Duke burnt it with his cigarette,”says Rose, a lean and elegant gray-haired gentleman who has been making fine robes and pajamas for most of his adult life. Rose’s loungewear, like Andersen & Shepherd suits and Turnbull & Asser shirts, is the first choice of Prince Charles and his sons. On this side of the Atlantic, Rose’s loungewear tends to be worn by a different sort of royalty-Hollywood movie stars. The Duke’s robe was made by the now-defunct Hawes & Curtis of London around 1945 during his first return visit to England after his abdication in 1936. He wore it at Marlborough House during his stay with his mother, Queen Mary. The robe has a distinguishing monogrammed E (for Edward) surmounted by a royal coronet embroidered on the chest pocket, which Rose has skillfully duplicated under his own signature label for reigning kings of their own castles. Rose has sold out of the robes and has a long waiting list for more. A future king is the inspiration for his spring 2001 loungewear designs. He has created a collection of regimental-striped satin pajama sets patterned after the striped cap and tie of the cricket club at Eton College, from which Prince William graduated last year. Rose is also producing a collection of striped cotton pajamas whose distinctive designs are taken from ribboned medals originally awarded during the Crimean War. Each pair of pajamas comes with a ribbon and a story of its heritage. However, Rose assures customers that these pajamas are designed to help the wearer make love, not war. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2003 Cod. di rif: 727 E-mail: gran.maestroònoveporte.it Oggetto: Italiani e inglesi 2 - Al sig. Fontana Commenti: Egregio Fontana, continuo con la risposta al Suo gesso n. 721. Nello stile inglese la cravatta ha un nodo piccolo e molto teso, mentre quello italiano degli ultimi anni è stato esattamnente il contrario. I tessuti classici sono microdisegni a stampa, reps per le regimental e qualche tinto in filo "grisaille" (cioè con qualche riflesso argentato) per le occasioni importanti, insomma quelli usati da Marinella, l'ultimo grande marchio inglese di cravatte, pur essendo napoletano. Lo stile internazionale è più largo di spalle, vita sfumata, taschino inclinato, manica imponente. Guardi quaklche foto di Agnelli per individuare questo stile di taglio, mentre quello inglese è visibile nelle giacche di Carlo d'Inghilterra. Entrambi i personaggi sono illustrati nei Taccuini di questa Porta. Ci faccia sapere come progredisce il Suo inglese. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-11-2003 Cod. di rif: 729 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capi geneticamente modificati - A G. Marseglia Commenti: Egregio Marseglia, ho conosciuto personalmente il signor Rose al Pitti e risponde alla delzioisa descrizione fattane da Robb Report. Nonostante ciò, non approvo il varo di linee ispirate al Sommo. Egli fu un unico. Se io scrivessi in terzine endecasillabe concatenate potrei dire che la mia poesia è ispirata a Dante. Ciò non sarebbe di nessu aiuto, perché la potenza del Poeta non pervaderebbe i miei versi solo perché ne imito il veicolo formale. In una Porsche potrei dirmi James Dean e dietro una canna d'altura Hemingway? Lascio ai lettori la risposta. L'unico sistema per rispettare l'inimitabile è replicarlo con la meticolosità di un copista. Utilizzare gli stessi materiali, le stesse forme, senza nulla aggiungere. Ciò è molto più difficile di quanto sembri, perché la vanità ha una tale forza da far al sorcio di avre visto qualcosa che non vide l'aquila. Assumere qualcosa dal suo guardaroba, rivisitarlo alla luce dei materiali facilmente disponibili ed approvati da una massa cui il Re dei Re non appartenne mai, dichiararlo ciononostante "ducale", è una sciocchezza. Se volessi, come voglio, replicare qualcosa del suo guardaroba, non potrebbe che essere una replica esatta. Solo così non dovrei sentire di essere una minestrina riscaldata, ma un erede. Potrei pensare di aver ereditato quel capo da un padre e portarlo con l'amore che si deve ad un capostipite, non con il mal riposto orgoglio di aver aggiornato o addirittura migliorato. Questi capi geneticamente modificati sono un'assurdità cui si assiste frequentemente, ma che presso di me non riscuote alcun consenso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-11-2003 Cod. di rif: 731 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Spirito di servizio Commenti: Inarrivabile Franco. credo che non pochi Visitatori apprezzeranno il Tuo lavoro. Ti ringrazio anche in loro nome. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 10-11-2003 Cod. di rif: 732 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: al cavaliere Franco Forni Commenti: Egregio Cavaliere, sono lusingato dal fatto che l'articolo che ho recentemente segnalato abbia riscosso il Suo interesse; dal momento che Lei si dichiara fortemente appassionato alla vicenda Sotheby's/Windsor, mi permetto di segnalarLe anche un articolo del noto giornalista e scrittore Bruce Boyer, pubblicato illo tempore dalla rivista Forbes. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia Do like the Duke? by Bruce Boyer, 07.27.98 They told you mixing checks and stripes is a fashion no-no only slightly less egregious than wearing white socks with brogues and a navy-blue suit. They told you wrong. Browse through any issue of any men’s magazine and you see things recommended that were considered fashion felonies ten years ago: a double-breasted, chalk-stripe suit with a striped shirt and a woven houndstooth-check tie. Or a checked shirt and striped tie with a plaid sport jacket. All worn with suede shoes and fancy hosiery. The irony is that this isn’t new and it didn’t come from out of nowhere. It came from England 60-odd years ago, from the sartorial imagination of one man: Edward, Duke of Windsor. Failed monarch and political numbskull he might have been, but Edward did more to influence the way men dress than probably any man this century. Still does. There’s a photo of the Duke taken for Vogue in 1964 by famed fashion photographer Horst in which the Duke looks so with-it that it’s hard to believe it was taken 34 years ago. There he stands, wearing a marine- blue, shetland tweed suit with a bold, white windowpane overplaid, pale blue checked spread-collar shirt and plaid silk tie. If he were walking down the street today, he would still be the absolute glass of fashion and the mold of form. The latest “innovations” from the Duke’s closet include the resurgence of the spread-collar shirt and brown suede shoes worn with a blue or gray suit, but a long list of others have come before. Credit the Duke with Fair Isle sweaters, tartan everything, midnight-blue dinner jackets (once again gaining popularity since the eye perceives them as more black than actual black), backless formal waistcoats, argyle socks, the regimental stripe tie and the drape-cut suit. Back in the late 1920s men knew they were imitating the Duke and did so quite consciously. He was openly considered among the best-dressed young men in the world, and men would have their tailors copy whatever outfits he was photographed wearing; one gent from Chicago even left a standing order with Windsor’s own tailor to duplicate every outfit Windsor ordered. The Duke was the golden boy of the jazz age, the First Salesman of the British Empire. Today this political disaster remains the font of inspiration for the majority of men’s clothing designers and manufacturers alike. Ralph Lauren has made a career emulating the Duke, and everyone from Armani to Zegna has paid homage. Last February, when Windsor’s mementos went up at auction, the bidding for the Duke’s old wardrobe was particularly heavy. Crit Rawlings, president of Oxxford Clothes, dropped $12,650 on a silk suit. In all, the Duke’s 25 suits, sport jackets and formal outfits took in $773,145. P.S. mi scuso con il consesso dei Frequentatori della Lavagna, ma non mi ritengo all'altezza di azzardare una traduzione personale dei testi in lingua originale, per cui lascio a ciascuno l'eventuale onere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-11-2003 Cod. di rif: 733 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Grazie, prof. - A C. Pugliatti Commenti: Egregi Visitatori, avendo lodato Forni per lo spirito di servizio della causa comune, non posso non tacere del continuo lavoro di ricerca e impaginazione che il professor Pugliatti sta conducendo sul Taccuino. Credo che ormai siano molti tra i frequentatori abituali di questa Porta che vadano a dare una sbirciata per vedere cosa c'è di nuovo in un'area che assume sempre più personalità ed importanza. Grazie, prof. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-11-2003 Cod. di rif: 736 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Covert e covercoat Commenti: Egregio signor Troiani, mi fa piacere che sia stato riconosciuto nel capo indossato da Profumo il covercoat (questo il nome completo), soprabito corto a quattro tasche, collo in velluto, realizzato in covert. Poiché vi è simbiosi tra il capo ed il tessuto, quest'ultimo viene spesso indicato col nome (errato) del primo. Insomma, un covercoat è un capo, il covert è il tessuto con cui è fatto. Questo di Profumo, in particolare, potrebbe anche essere di altro materiale. Noti infatti come manchino le tradizionali cuciture parallele che orlano maniche e bordo del tradizionale covercoat. La sartoria di Giovanni Celentano, nostro fornitore, potrà servirLa senza problemi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-11-2003 Cod. di rif: 739 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Responsabilità del talento - A mr Alden Commenti: Egregio signor Alden, la Sua capacità di cogliere gli aspetti più sublimi dell'abbigliamento è così rara, il Suo punto di osservazione così privilegiato, la Sua penna così brillante, che tante capacità La caricano di una particolare responsabilità. Vorrei che già da quest'ultimo sul doppiopetto blu e sempre per l'avvenire, scrivesse i Suoi gessi in italiano, m anche nella Sua lingua madre, a beneficio dei lettori anglofoni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-11-2003 Cod. di rif: 741 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Poco su Guabello Commenti: Egregio signor Fontana, Le confesserò che la mia competenza nel campo dei tessuti si estende soprattutto in Inghilterra. Tra gli italiani, sto acquisendo una diretta conoscenza di molte case, prodotti ed uomini. Ho visitato stabilimenti e fiere, ma poco so della Guabello e comunque non tanto da emettere un parere circostanziato. Il giorno 26 andrò a far visita allo stabilimento della Vitale Barberis Canonico e per il 2004, in occasione dei miei frequenti viaggi a Milano, mi riprometto di visitare altre aziende biellesi, tra cui Guabello. Tutto ciò deve poi essere verificato alla prova dei fatti. Conosco infatti, ed uso da anni insieme agli inglesi i prodotti di Zegna, ma ad esempio il mio amore per il Cashko è stato recentemente tradito. Ho infatti veduto ritornare indietro al mio pantalonaio ben due pantaloni di questo materiale, che si erano strinati. Ottimo per le giacche, questo velluto ammorbidito al cachemire non resiste alle tensioni più decise imposte ai pantaloni. Mi ero illuso che la mia posizione sospettosa nei confronti dei misti potesse cominciare e ribaltarsi, grazie a questo prodotto così affascinante, dai colori indovinati e dalla mano seduttiva. Di fronte alle difficoltà insite nel dare un parere che abbia il peso e l'estensione che credo ci si aspetti dal Gran Maestro, sono costretto a dichiarare che non ne sono all'altezza. Guabello ha un'ottima fama ed è senz'altro tra le migliori manifatture italiane. In genere i sarti non comprendono molto di tessuti le loro competenze essendo limitate alle scelte dei clienti e non ad un'esplorazione metodica e scientifica. Sono però dotati di un'esperienza superiore e dei tessuti di cui parlano bene ci si può fidare. Se il Suo, come molti, ne sono sostenitori, ciò depone bene. Io però non ho nemmeno un capo di questa ditta e non ho mai approfondito nemmeno le loro tirelle. La carenza è grave e cercherò di rimediare. Per il momento si fidi del sarto, ma scelga ciò che piace a Lei. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-11-2003 Cod. di rif: 747 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piccola correzione - A T. Carrara Commenti: Egregio Scudiero Carrara, devo correggere un dettaglio del Suo intervento. Nonn nel merito, ma nella quaificazione. L'architetto che cita si chiama Claudio Catalano e non è un nostro Socio, ma un Visitatore assiduo, i cui contributi sono di grande interesse. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-11-2003 Cod. di rif: 750 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacca per Loretoni Commenti: Egregio Loretoni, proceda pure col tre bottoni e buon divertimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-11-2003 Cod. di rif: 752 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tasche o meno? - A Ilaria Commenti: Splendida Ilaria, siamo un pò gelosi dei nostri tweed. Nati per la nostra insensibile cotenna, nel saperli sulle gentili membra muliebri ci sembra di perdere qualcosa. Immagino si tratti di un donegal, dalla mano più morbida dell'Harris e dello scottish. Penso che la scelta delle tasche sia in relazione agli abbinamenti. Se andrà tagliato piuttosto regolare ed abbinato con camicie e maglioni decisamente sportivi, le tasche contribuiranno all'aria un pò country. Se avrà la vita bassa ed andrà con top mozzafiato, esibizione di piercing, tatuaggi, catene, peace maker, mappe stradali e liste della spesa, credo che le tasche siano superflue. Fa tutto l'ombelico. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-11-2003 Cod. di rif: 755 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chiavi e cacciaviti - A N. Ferraro (gesso 744) Commenti: Egregio signor Ferraro, è bello e giusto che Lei si diverta ad immaginare un guardaroba. Gran parte del divertimento del committente è nel programmare, nel crogiolarsi in una certezza del se e nell'incertezza del quando. E' il come che distingue l'uomo dal gusto cosciente dal neofita. I Suoi programmi sono destinati a mutare man mano, perché ogni volta che Lei inserisce una giacca nell'armadio qualcosa cambia. Costruire un guardaroba a tavolino è come affidare una casa tutta all'arredatore. Si ottiene una fotografia astratta, non un ritratto di se stessi. Anche il milgior giocatore di scacchi o di go può programmare un numero limitato di mosse, perché fattori esterni modificheranno la scacchiera in modi imponderabili. Nel caso dei giochi da tavolo è l'azione dell'avversario, in quello dell'abbigliamento è il tempo, il mutare dei gusti e delle esigenze, il sorgere di nuovi gusti al posto dei vecchi. La tavolozza che ha disegnata manca di colori, di fantasie. Vi si vedono solo tinte unite, grigi, blu e qualche beige. Cominci con il blazer e due paia di pantaloni. Così metterà un primo segno sul foglio. Dopo vedrà dove muoversi, attendendo che siano le esigenze reali e non quelle astratte a detrminare la prossima mossa. Noti come nel suo ardimentoso programma manchino un soprabito (già necessario dopo un paio di abiti) e non si parli di scarpe e camicie, cravatte ed accessori, che dovranno necessariamente essere all'altezza per non rendere tutto inutile. Non essendo Lei registrato nel sito, non so da dove scriva, ma se le sarà possibile, accolga l'invito di De Paz e si faccia consigliare, assuma man mano una sua personale scienza e gusto per i materiali e gli stili. Si fidi di Dante: è un Maestro. Differentemente, si muova lentamente. Un abito, tre camicie e un paio di scarpe. Poi un altro abito, dopo averci riflettuto qualche mese, con altre tre camicie e un altro paio di scarpe. Proceda per gradi, studiando cosa Le occorra per il Suo stile di vita e non badando alle mode. Così avrà veramente un guardaroba come Lei desidera: in grado di sfidare il tempo. Differentemene, confezionati in un solo anno, i quindici vestiti che Lei ha immaginato si sovrapporrebbero tra loro come funzione e rappresenterebbero molto meno di quanto immagina. E' come un servizio di chiavi inglesi. Rischierebbe di averne tre di una misura, ma al momento di docer svitare un bullone importante si troverebbe a doverlo fare con un cacciavite. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-11-2003 Cod. di rif: 758 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La via dei tessuti - Al sig. Ferraro Commenti: Egregio Ferraro, la via della conoscenza non conosce scorciatoie. Ribadisco che, soprattutto quanto ai tessuti, dovrà essere Lei a crearsi una cultura. Essi rappresentano il vocabolario del guardaroba e quanto più il primo sarà ricco, tanto piùil secondo sarà eloquente. Per utilizzare una parola a proposito non basta però conoscerla isolatamente, ma in relazione alla sua etimologia, all'utilizzo che altri scrittori ne fecero, ai significati che comunemente Le si ttribuscono. In tal modo se ne possono creare di nuovi. Non ascolti queste melense critiche al mohair, prima di averlo toccato e commentato in varie coniugazioni. Effettivamente molti trovano alcune lane insopportabili, ma questo accade così frequentemente perché la nostra natura virile ha subito gravi spostamenti del proprio asse. Quando sente parlare di bellezza e comodità come i grandi scopi della nostra razza, ricordi che l'uomo si è forgiato su compiti ben diversi: la dignità, l'onore, il decoro, il coraggio, la forza e - nell'abbigliamento - l'eleganza. Tenga presente che la bellezza ci è stata imposta come uno scopo mediante una mutazione genetica del pensiero virile imposta da generazioni di commenti del nostro mondo affidato alle donne. In gran parte delle riviste, anche uelle maschili, la descrizione del nostro mondo è affidata a penne muliebri e ciò ha determinato devastanti conseguenze. Noi non abbiamo fatto altrettanto, ma inconsciamente abbiamo subito gli effetti di questa pressione. A forza di leggere e vedere uomini così come li avrebbero voluti o come li hanno visti le donne, molti hanno creduto che fosse veramente lì il nostro io. Noi Cavalieri non crediamo a questi finti Dei, agli idoli caduchi, come è sempre la bellezza quando è fine di se stessa. Restiamo asserragliati nella compostezza e nella tradizione. Tra le mura che la difendono, sono i grandi tessuti ricchi di storia e di espressività. Prima di condannarli, senta direttamente loro: ci parli, e se La convincono, non ascolti altro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-11-2003 Cod. di rif: 760 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risvolti e pattine - Al prof. Pugliatti ed altri Commenti: Mi riconosco nella "Legge di Settembrini" citata da Pugliatti, che ovviamente è legata ad un periodo di qualche decennio e potrà in futuro subire emendamenti. La tradizione, quando è viva, subisce sempre impercettibili mutamenti. Considero pienamente validi, gradevoli alla vista, giustificati da adeguata tradizione, insomma compatibili con le complesse norme del buon gusto, i risvolti su tutti gli abiti, eccettuati quelli da cerimonia. Aggiungo che essi si richiamano inconsciamente, eppure evidentemente, ad un altro particolare: le pattine alle tasche. Un pantalone senza risvolti, quando vi abbia rinunciato per motivi formali, si abbinerà ad una giacca che non porterà pattine o le terrà infoderate. Gli spacchi laterali, di origine informale, in una vigilanza formale totale dovrebbero anch'essi scomparire. Su questo credo che si possa permettersi qualche licenza in più, secondo i casi ed il livello di rigore cui sia giusto tendere. Anche nell'altezza, pattine e risvolti si fanno eco. Chi usa risvolti importanti userà anche pattine più alte, ma per far questo dovrà anch'egli esser fisicamente imponente. Naturalmente, la Legge di Settembrini sui risvolti va considerata come uno sdoganamento degli stessi, come un dettato positivo, ma non come una norma cogente in senso negativo. Essa permette, man non proibisce (se non nel citato caso delle cerimonie). Chi si sente a proprio agio senza risvolti, non sarà certo fuori posto per questo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-11-2003 Cod. di rif: 762 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre risposte al signor Migliaccio Commenti: Egregio signor Migliaccio, la mia pazienza è illimitata e anche il mio tempo. Come faccia sono segreti da Gran Maestro, Lei non si preoccupi di approfittarne. 1) Il cavalry presenta una costa poco rilevata, formata da una sorta di binario, mentre - per mantenere l'analogia - il cavalry ha una monorotaia ben evidente. Il primo è più liscio e spesso piuttosto lucente, in quanto costruito con filati pettinati abbinati al massimo a due capi, con scarsa torsione. Il covert è più ruvido alla mano e più matto, in quanto più ritorto. Viene costruito con abbinamento di più capi e questo gli conferisce un aspetto più rustico, una costa ben rilevata ed una grande resistenza. Mentre il cavalry tende a lucidarsi, il covert no. La caratteristica è anche nell'effetto mouliné, cioè nell'abbinamento a due a due di capi di filatp a colori contrastanti. E' quindi un tinto in filo, mentre il cavalry può essere anche titno in pezza. 2) Se vuole capire di tessuti, mi dica quando vuole recarsi presso un'azienda biellese ed io Le prenderò un appuntamento. Sinché non visita uno stabilimkento a ciclo completo resterà sempre nel buio. Quanto ai libri, l'unico che abbia detto qualcosa in italiano è Riccardo Villarosa nel suo fondamentale trattato "Homo Elegans". Dante De Paz scrisse un bellissimo opuscolo, mai dato alle stampe e ad uso della clientela più esigente e raffinata. Ormai le copie originali sono esaurite da un decennio, ma l'invenzione delle fotocopie ci permette, se non di mangiare carne, di bere brodo. Gli scriva a mio nome per richiedergliene copia e lì troverà forse il massimo che sia mai stato scritto in materia, peraltro gratuitamente. Un giorno spero di poter dire la parola definitiva unendo le nostre penne in un lavoro comune. Se gli scrive, lo esorti a migliorare ed aggiornare il testo, già così veramente illuminante. Non so di quanto sia stato scritto in inglese, ma non credo che se Sparta piange Atene stia ridendo. a sorta di Esiste qualche testo, anche in lingua inglese, dove sia descritto in maniera non approssimativa 3) Se si sente così' a prirpio agio nel Suo blazer, lo usi senza problemi. All'esame di laurea come a Montecitorio si vede ben di peggio. In una situazione di tensione, sentirsi bene nella propria giacca non ha prezzo. Adotti un pantalone grigio, una camicia bianca a righini ed una cravatta dal nodo e dai disegni piccoli. Non mi chieda perché, lo capirà se ascolterà questo consiglio. Sia una cravatta di seta pesante, che tenga bene e cui serrerà bene il nodo in modo da non doverlo mai rettificare. Un uomo non si assesta il nodo in pubblico, farlo di fronte ad una commissione è un vero disastro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-11-2003 Cod. di rif: 766 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatte su misura - Al sig. Fontana Commenti: Egregio signor Fontana, personalmente non ho mai acquistato in oltre sedici anni di frequentazione della ditta e sette di amicizia con Maurizio una sola cravatta di Marinella già confezionata, ma ne ho alcune dei tempi in cui ancora qualcuno usava (volevo forse dire osava?) regalarmi qualche capo di abbigliamento. Le sete sono esattamente le stesse, ma io non rinuncio mai a determinare in prima persona cosa indosserò. Le mie cravatte sono ad esempio più corte, in quanto vesto con pantaloni a vita molto alta. Sono un pò più strette e portano l'orlo sfoderato cucito a fazzoletto. La maggior parte delle persone ama invece la finitura incappucciata, se non le sette pieghe, gli interni pesanti e le cravatte lunghe almeno 148 cm. Io sono per la cravatta svolazzante, severa nei colori e leggera nel portamento, ma qui veramente siamo nei gusti personali. Poiché i gusti, se sono tali, non possono che essere precisi, non vedo come ci si possa esimere dal far costruire su misura ogni cosa, dal cinturino dell'orologio alle scarpe, dal portasigari alla cravatta. Capisco chi trovi valide le soluzioni pronte, ma non mi basta che una cosa sia bella. Per indossarla voglio che sia mia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-11-2003 Cod. di rif: 767 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tecnica e psicologia del Nodo - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, innazituto concordo con l'aggettivo "fausto" col quale descrive l'ultimo Laboratorio. Il numero e la qualità degli intervenuti, degli argomenti, dell'atmosfera, si sono combinati in un modo che ha colpito così tanto che da molte parti mi sono giunti entusiastici commenti e ringraziamenti. Vedo che addirittura la Sua ragazza, Ilaria, è caduta vittima del fascino dei tessuti veri. Nessuno prima di noi aveva considerato l'abbigliamento maschile come un argomento per eventi non commerciali, mentre il Cavalleresco Ordine lavora in questo modo da anni, mettendo ogni volta il segno del successo più in alto. Vengo ora all'argomento che propone, ma senza poterlo risolvere in questa sede. Non è possibile descrivere con parole, foto o disegni ciò che va mostrato in diretta e cioè i principali generi di nodo ed all'interno di essi le varie specie: inglesi e napoletane, da guerra e da pace, ambiziosi e rilassati. Credo che a questo punto sia opportuno indire un'edizione speciale dei laboratori, una convention nazionale sul nodo da tenersi a Milano e/o a Napoli con personaggi qualificati che relazionino sulla sua tecnica e psicologia. Il tutto sotto gli auspici del nostro meraviglioso, indiscutibile Maurizio. Voglio lasciarmi una via di fuga, ora che ho lanciato questa terrificante idea. Se riceverò almeno dieci incoraggiamenti da persone diverse, mi impegno a trasformarla in realtà entro i primi tre mesi del 2004. Diversamente, mi riterrò libero di agire secondo i tempi che verranno naturali, se verranno. Attenzione! Saranno considerati rilanci, quindi non considerabili nel conto, tutte le esortazioni che contengano richieste, suggerimenti, modifiche, consigli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-11-2003 Cod. di rif: 772 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Prezzi Marinella Commenti: Egregio signor Fontana, il costo di una cravatta pronta di Marinella è di ottanta scudi e di novanta per quella su misura. Potrà chiedere senz'altro la consegna a domicilio. Se intende procedere in questo modo, patrocinerò personalmente la Sua causa perché la spedizione sia gratuita. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-11-2003 Cod. di rif: 773 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratorio sul Nodo della Cravatta Commenti: vedo che già qualche appassionato sostiene l'iniziativa del Laboratorio d'Eleganza sulla tecnica, psicologia ed etimologia del nodo della cravatta. Segno tre punti: Rizzoli, Liberati e Borrello. Ne mancano ancora ben sette. Rimando al mio gesso n. 767 per i dettagli di questa sottoscrizione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Andrea Girometta Data: 22-11-2003 Cod. di rif: 774 E-mail: andrea.girometta@tin.it Oggetto: Laboratorio di Eleganza Commenti: Egregio Gran Maestro, dopo mesi trascorsi come visitatore silenzioso del Castello ho deciso di intervenire in maniera più diretta per sostenere il Suo progetto di un Laboratorio di Eleganza interamente dedicato alla cravatta. Non avendo dubbi sul raggiungimento del quorum, non mi resta che attendere il 2004 per incontrare Lei , i Cavalieri ed i visitatori del sito che interverranno alla manifestazione (magari a Milano). Cordiali saluti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-11-2003 Cod. di rif: 779 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Otto su dieci - Il LDE sui nodi si avvicina Commenti: Rizzoli, Liberati, Borrello, Villa, Carrara, Forni, Clerici, Girometta. Siamo ad otto sostenitori e credo che ormai non potrò sfuggire a quest'altra responsabilità. Premierò comunque l'entusiasmo e proporrò i dieci primi sottoscrittori per un riconoscimento speciale. Al Laboratorio troveranno una cravatta fatta confezionare su misura da Marinella. Appena sarà stato raggiunto il quorum da me richiesto di dieci sostenitori, prego gli interessati di comunicarmi privatamente i seguenti dati: altezza, taglia, distanza tra il collo e la cintura del pantalone, forma del colletto utilizzato di preferenza per le camicie, tessuto dell'abito più utilizzato in inverno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 24-11-2003 Cod. di rif: 780 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Forum sulla cravatta Commenti: Il.mo Gran Maestro, mancando dalle familiari mura del Castello da qualche giorno leggo solo ora della proposta di organizzare un momento di approfondimento sulla cravatta e relativi nodi. La cosa è davvero entusiasmante, anche perchè la lettaratura sull'argomento è scarsa e di pessima qualità. Solo la competenza del C.O. potrà colmare questa lacuna. Con stima Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 24-11-2003 Cod. di rif: 781 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: cravatte Commenti: Egregio Gran Maestro, non ero finora intervenuto, in quanto consideravo scontata l'adesione alla Sua iniziativa sulle cravatte, sia da parte mia, sia da parte di qualsiasi Frequentatore di codesta Lavagna. A questo punto esplicito tutto il mio entusiasmo per un'occasione di allargamento delle conoscenze in materia, che Lei vorrà organizzare; spero solo si possa replicare l'evento in una duplice sede, Napoli e Milano, così da accontentare tutti gli interessati. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-11-2003 Cod. di rif: 784 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: E' fatta Commenti: Signori, dopo aver raggiunto il quorum con undici adesioni, con la inequivocabile dichiarazione di Maurizio ogni indugio è tolto. Ci vedremo a Milano e a Napoli. Leggerete nella colonna degli Eventi le date definitive, che già sin d'ora annuncio saranno fine Febbraio 2004 per Milano e fine Marzo 2004 per Napoli. Rispetterò così la mia promessa personale, ma grazie al pieno appoggio di Marinella il Cavalleresco Ordine offrirà non già uno, ma due appuntamenti. La partecipazione sarà ad inviti e sarà aperto uno spazio apposito per le richieste in merito. Gli undici paladini che senza discussioni ed indugi hanno aderito alla proposta, possono già cominciare a rispondere al piccolo questionario di cui al gesso n. 779 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Andrea Girometta Data: 24-11-2003 Cod. di rif: 786 E-mail: andrea.girometta@tin.it Oggetto: Ringraziamento Commenti: Entrando al Castello solo ora trovo due graditissime sorprese: la conferma del Laboratorio dedicato ai nodi da cravatta e la mia presenza tra i "paladini" della manifestazione. Non posso che rivolgere un sentito ringraziamento al Gran Maestro e al Dott. Marinella per l'onore e l'onorificenza che mi sono stati tributati. Cavallereschi saluti. Andrea Girometta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-11-2003 Cod. di rif: 788 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nodi senza frontiere Commenti: Egregio, fedelissimo Pancotti, saprà dalla colonna degli Eventi quando e come chiedere l'invito alla sessione milanese del Laboratorio sui Nodi. La sua frequentazione dei nostri appuntamenti, nonostante la Sua giovane età, Le garantisce sin d'ora un posto in prima fila. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-11-2003 Cod. di rif: 794 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cartelle e tessuti - Al signor Fontana Commenti: Egregio signor Fontana, 1) Sulla valigeria ho redatto una delle puntate del Vestirsi Uomo. Potrà rileggere quella tappa e troverà anche qualche citazione in merito alle cartelle. Riprendo il discorso per esprimermi meglio sul punto. Un Uomo di Gusto eviterà marchi riconoscibili e troppo appariscenti come Davidoff, Pineider, Cartier o altri. Spesso questi oggetti sono veramente belli, come Lei ha notato, ma la loro bellezza è triste e inutile, in quanto il marchio è così ingombrante da azzerare il merito di chi la porta per attribuirlo a chi l'ha fatta. Queste cose, poiché vengono ineterpretate inconsciamente ed automaticamente come status symbol, sono segnali di una capacità di spesa, ma non contribuiscono positivamente alla costruzione di un'immagine individuale. Insomma, si finisce per investire quattrini per la gloria di una firma, piuttosto che per la promozione di se stessi. Gli inglesi, come Swaine Adeney, evitano di firmare i loro oggetti e lasciano tuttora al loro cliente i meriti. Se ama le attache case rigide, potrà orientarsi verso la loro lid-over-body (coperchio che copre il corpo) con serratura a chiave, interno verde, colore dark london. Un capolavoro, nello stile della valigeria inglese. Se ama lo stile inglese, come mi sembra di capire, ma nella versione morbida, i portadocumenti di questa scuola estetica sono legati da due cinghie, belle e scomode come nella migliore tradizione anglosassone. La stessa ditta costruisce una fantastica Document Case wrap-round-strap. I costi sono elevati, ma come nostro simpatizzante ed ormai abituale frequentatore, se mi scrive in via personale potrei suggerirLe i sistemi per abbatterli sensibilmente. Sono oggetti difficili a vedersi, ma Le sistemo due foto nel Taccuino, prese dalla loro brochure. A parte questa soluzione, una bella cartella in pelle di fabbricazione nazionale, senza patacche ed insegne ingombranti, ma di un nobile materiale, potrà risolvere con una spesa contenuta e con una durevole soddisfazione le Sue esigenze. Eviti però, come la peste, le chiusure a combinazione. Da esse non c'è riscatto. 2) I tessuti di fabbricazione inglese offrono mediamente maggiori garanzie di qualità rispetto a quelli italiani, che hanno un'oscillazione più forte. Molte stoffe che portano cimose inglesi sono però fabbricate in Italia, dove alcuni articoli possono assurgere a qualità insuperabili. Dipende dal tipo di tessuto, perché nelle lane secche come shetland, tweed, crossbred e simili, gli inglesi non possono avere rivali. Le saglie ed i mohair di Barberis Canonico sono però inglesi quanto le stoffe inglesi e così furono i Frigidus tre capi di Zegna. Purtroppo devo concludere dicendoLe che solo la competenza personale, acquisita con il tempo, la dedizione e lo studio, può farLe determinare con certezza e di volta in volta se un tessuto sia valido e quanto. Noi costituiremo un club dei Tessuti per la riedizione di tipologie classiche ad alto contenuto culturale, dove l'accento non sia posto sulla sofistiatezza delle materie prime, ma sulla raffinatezza del processo e sul peso della storia. Abbiamo già contattato Fox in Ighilterra per la riedizione di un saxony ad ampie finestrature e dal peso di quattrocento gr/mt, nonché la Zegna, che si dichiara disposta a rieditare per noi il Frigidus anche per una sola pezza. Attenda e vedrà cose straordinarie. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-11-2003 Cod. di rif: 796 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scale ed ascensori - A tutti Commenti: Egregio Pugliatti, Visitatori tutti la cartella colori del Frigidus spaziava da un verde pallido ai grigi, ma il colore nel quale lo vorrei far rivivere è nel blu. E' un blu tutto italiano, cui gli inglesi o nessun altro poteva accedere. E' il colore del mare di Capri, di un crepuscolo a Stromboli, guardando il cielo verso occidente. Si renderà necessaria una visita a Trivero per tirar fuori le antiche "ricette" e decidere la cimosa. Poiché la cosa interessa, sin d'ora sono aperte le prenotazioni. Il prezzo sarà vile, perché il Club non vuole cadere nell'errore in cui versa tutto il mondo moderno e cioè di un'esclusività basata sul costo. Noi faremo rivivere tessuti in cui conta la tradizione, non la materia prima sofisticata e lussuosa. E' il mondo dei cavalieri, quello di un vertice cui si sale con le scale della cultura e non con l'ascensore della capacità di spesa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-12-2003 Cod. di rif: 801 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacche e brughiere - Al sig. Vecchiato Commenti: Ahiahiahi, signor Vecchiato, temo per Lei. Una giacca a quattro bottoni è un oggetto sofisticato che può essere costruito e gestito solo in atmosfere controllate. Essa non deve essere più lunga di una normale giacca e non deve nemmeno accollare troppo. Riuscire in questa conciliazione di opposti, lasciando i bottoni correttamente spaziati, richiede una gestione dei rever estremamente lavorata, quale la confezione non può dare. Anche se riesce nelle geometrie, manca linea e volume. Il cran deve essere molto alto. Il primo bottone girarsi perpendicolarmente se slacciato, eppure lasciarsi abbottonare con docilità. Per rispondere alla Sua domanda, la giacca è a regime allacciando i due bottoni centrali. Negli anni novanta molti stilisti si impadronirono di questo capo e costruirono delle giacche "a stufa" che sono state tra le cose più deplorevoli che l'umanità abbia concepito. Ancor oggi a qualche matrimonio si vede qualche poveraccio che non ha mai indossato una giacca sottoporsi a qalche foro matrimoniale con questo cilicio. Monumeto sullo sfondo, bacio romantico e giacca quattro bottoni a gonna lunghissima hanno dilagato su molti album nuziali. Dio che hai creato l'eleganza, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Spero che la Sua giacca sfugga almeno al peccato mortale della lunghezza. Se non fosse così, la bruci immediatamente in quanto portatrice di infezioni contagiose. In caso contrario, attenda che il Suo gusto giunga ad una maturazione tale da emettere Lei stesso una sentenza in merito. Ricordo che i quattro bottoni, nella mia tripartizione tra formale, informale e sportivo, sono da considerarsi nettamente nell'ultimo segmento e vanno costruiti solo su spezzati, con tessuti rustici astrattamente compatibili con una giornata in campagna. Potrà utilizzarla anche in città, ma essa, come un cane da caccia, sognerà sempre di passeggiare in brughiera. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-12-2003 Cod. di rif: 804 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Church's. Un referendum. Commenti: Visitatori, riporto qui in calce il brano con cui ho descritto la calzatura Church's nell'ultimo Vestirsi Uomo: CHURCH'S Nel nome, un destino. Normalmente l'appassionato di scarpe è un politeista che è solito venerare più idoli e dei, ma questa marca come nessun'altra ha saputo convertire molti al monoteismo più osservante e così non sono poche le persone che calzano solo Church's. La fede è però un'arma a doppio taglio. Dopo il passaggio al gruppo Prada sono stati introdotti modelli inconciliabili con l'immagine della ditta, che non sono stati accettati dalla mentalità tradizionale del cliente tipico del prodotto inglese. Il fatto che se ne parli molto rivela da un lato l'importanza centrale che questo nome ha nel mondo calzaturiero e dall'altro che la domanda di prodotti classici sia più diffusa e profonda di quanto non si creda. Polemiche a parte, la durata incredibile di queste scarpe e la loro tentatrice bellezza fa si che quasi tutti gli appassionati ne abbiano almeno un paio. Sublimi i modelli in scamosciato nei colori del bosco. Il signor Cortese, scrivendo nella mia posta, la ritiene una sviolinata ad una ditta ormai inadeguata, io una tirata d'orecchi ad un marchio storico. A prescindere dal mio parere, come la pensano gli uomini in materia? Church's è sempre un must o è al tramonto? Le tipologie nuove che ha introdotto sono innocue, sono un miglioramento o sono una bestemmia? Le scarpe della linea classica sono sempre ad un livello di eccelenza o soffrono una decadenza.? Mi piacerebbe sentire qualche commento sincero dei Cavalieri e dei nostri assidui e dotti Visitatori. Esorto anche chi non sia mai intervenuto a farlo, almeno su questo specifico argomento. Mi interessa molto sapere come la pensino oggi appassionati e clienti su questo marchio-simbolo : CHURCH'S. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giordano Iovine Data: 04-12-2003 Cod. di rif: 805 E-mail: giordano_iovine@libero.it Oggetto: I particolari fanno la differenza... Commenti: Alcuni giorni fa sono andato a cinema(l'Alcione di Napoli) a vedere un film, risultato poi essere poco interessante. La mia attenzione è stata colpita da una semplice vetrina allestita all'interno dello stesso da un conosciuto negozio di abbigliamento napoletano. Mi sono soffermato ad ammirare per un po' di tempo i capi esposti. Tra alcuni pantaloni spuntava un astuccio contenente due piastrine d'argento. Dopo alcuni secondi di riflessione è risultato chiaro che fossero piastrine (purtroppo ignoro il loro nome tecnico!) da infilare all'interno dei colli delle camicie. Mi è sembrato un accessorio di altri tempi, ma di estremo fascino. Chi tra i frequentatori della lavagna ne fa uso o ne conosceva già l'esistenza? Sarà banale ma non avevo mai sentito parlarne. Cavallereschi Saluti Giordano Iovine ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 04-12-2003 Cod. di rif: 806 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Church's Commenti: Egregio Gran Maestro, in merito alle calzature Church’s, la Sua nota a pedice del IX capitolo di “Vestirsi Uomo” delinea efficacemente sia un giusto tributo all’importanza storica del marchio in questione, sia un chiaro monito al medesimo marchio a non tradire proprio questa sua tradizione. Nella fattispecie, ritengo che i rischi per Church’s possano eventualmente scaturire non tanto dal fatto che la nuova compagine proprietaria non è inglese (ben venga anzi che l’Italia acquisisca primati), piuttosto da probabili preminenti interessi di natura commerciale che vengano a impoverire e/o tradire la tradizione del marchio in questione. L’assorbimento di marchi storici del settore tessile e calzaturiero da parte di mega-holding finanziarie è però un’evenienza alla quale è molto difficile sottrarsi, se non parzialmente: si veda il già discusso caso Berluti. Sinceramente non ho visto i nuovi modelli incriminati, ma se è per questo già da anni Church’s presenta alcuni modelli “sportivi” opinabili; quindi il problema è anche trovare, nello specifico settore delle calzature, una via di innovazione che però non stravolga né la tradizione estetica né la qualità costruttiva. Detta innovazione, per essere chiari, dovrebbe riuscire ad affiancare ai modelli tradizionali, consolidati e indiscussi anche nuove fogge di calzatura, ma senza scivolare nell’ennesima variante di scarpa da ginnastica, eventualmente fatta a mano e in pelle di coccodrillo, ma sempre e comunque di connotazione inevitabilmente sportiva, perdipiù ridondante e spesso anche ridicola. Per realizzare questi obiettivi di sviluppo, occorrerà confidare nella consolidata esperienza di marchi calzaturieri sorretti da un solido passato e confermati da un positivo presente, come appunto Church's, come senza dubbio il succitato Berluti, come tutti quelli da Lei descritti, più qualche altro omesso per evidenti ragioni di spazio. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 04-12-2003 Cod. di rif: 807 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Church's e Lattanzi Commenti: Ill.mo Gran Maestro, facendo seguito al Suo invito non posso trattenermi dall'esprimere il mio umile parere relativo alla prestigiosa casa britannica.Ammetto di non essere sereno di spirito nell'analisi, esseno stata Chruch's il mio primo amore in fatto di calzature definibili tali.Come molti ho sofferto l'ingresso nel capitale dell'azienda di soci italiani ed in particolare di un illustre rappresentante di quel mondo del c.d. fashion che è alla base del ormai irreversibile crollo del gusto. Tutto questo premesso sono sostanzialmente d'accorso con la Sua sentenza riportata su Monsieur, ovvero non considerare nemmeno i modelli più "modaioli" e valutare esclusivamente il classico, classico che resta a mio giudizio di altissimo livello qualitativo. Tra l'altro ho notato di recente una consistente riduzione delle proposte con suola in gomma di stampo moderno, segno che la clientela non ha apprezzato e che l'azienda l'ha compreso. Spero sia l'inizio del definitivo ritorno della gloriosa casa sulla retta via... Mi permetto in calce un'annotazione alla lettera pubblicata su Monsiuer di dicembre dal Sig. Lattanzi, che mette in dubbio l'onestà e la libertà di giudizio di chi interviene su queste lavagne compreso il sottoscritto. Vorrei segnalare al Sig. Lattanzi che i miei dati sono visibili e riscontrabili,oltre a domandare quale fosse il senso ultimo della lettera che mi è rimasto oscuro. Spero che la sua abilità di calzolaio sia migliore della sua penna. Cavallereschi saluti Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-12-2003 Cod. di rif: 815 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sulla giacca napoletana - A T. Carrara Commenti: Egregio Scudiero Carrara, qui e nella mia Posta ho parlato diffusamente dell'argomento di cui mi chiede. Digitando "napoletan" nel nostro sistema di ricerca, avrà a disposizione parecchio da leggere. Cominci a rileggere quanto già detto, provvederò presto ad aggiungere qualche immagine nei taccuini, con qualche altra puntualizzazione. L'argomento è inesauribile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-12-2003 Cod. di rif: 810 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Stecche d'oro e d'argento - Allo Scudiero Iovine Commenti: Egregio Scudiero Iovine, ancorché io utilizzi stecche di tartaruga e quindi non dovrei esprimermi in tal senso, trovo quelle in oro o argento che Lei descrive al gesso n. 805 una leziosità pericolosa. Vi si nota un certo compiacimento per l'uso di materiali pregiati ed esposte in una vetrina ammiccano ad una squallida promessa di un'elevazione attraverso il pregio dei materiali e non del loro sano e cosciente utilizzo. Non nego che possa esservi chi sappia usarli nel modo giusto, ma alla fine molti di questi oggetti finiscono per essere un regalo che viene lasciato in un cassetto. Rispondendo al Suo quesito, posso dirLe che si tratta comunque di un oggetto che esiste da molto tempo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 16-12-2003 Cod. di rif: 817 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: eleganza d'inverno Commenti: Egregio Gran Maestro, la Sua odierna risposta al signor Consolini nella Posta magistrale mi offre lo spunto per porgerLe una domanda per così dire intima, che avevo riposto da tempo nel cassetto degli interrogativi in attesa di soluzione. Nella risposta in questione Lei accenna alle maglie di lana; essendo ben nota la Sua posizione sulla maglieria esterna, sono portato a dedurre che Lei si riferisca quindi alla maglieria intima; spero di non sbagliare, ma in ogni caso la mia domanda è questa: Lei dunque nella stagione fredda fa uso di maglie intime? Da parte mia, io cerco di risolvere l’evidente problema del contrastare il freddo, nell’ambito di una tenuta classica, mediante l’utilizzo di un gilet sottogiacca. Detta soluzione però non mi ha mai soddisfatto appieno, perché fatto salvo l’impiego di abiti “3 pezzi” che nascono come tali e quindi risultano ineccepibili, e pur concedendo un’assoluzione per le giacche sportive in virtù di questa loro natura intrinsecamente informale, rimane comunque il problema dell’impiego di un gilet “alieno” sotto un abito completo, cosa che anche semplicemente a me medesimo, indipendentemente dalle citazioni che potrei produrre al riguardo, non sembra il massimo in fatto d’eleganza. Ciononostante a tutt’oggi eventuali giornate di freddo intenso mi costringono a ripiegare su questa combinazione, anche se faccio attenzione a limitarne l’uso alle ore diurne. Qual è il Suo pensiero in materia? Quali le Sue istruzioni sull’utilizzo dell’eventuale gilet? Quali le fogge consigliate dell’eventuale maglieria intima? RingraziandoLa per l’attenzione che mi vorrà dedicare, La saluto cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-12-2003 Cod. di rif: 818 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le due scuole dell'Uomo di Gusto - A G. Marseglia Commenti: Egregio Marseglia, Lei ha compreso benissimo: con il signor Consolini facevo riferimento alla maglieria intima. Fin dai primi freddi, adotto guanti e cappello e completo le difese con una maglia a mezze maniche del tipo "cotone sulla pelle e lana all'esterno". Il peso degli abiti e dei soprabiti fa il resto. Per la parte scoperta dalla scollatura della giacca, nelle giornate più fredde o ventose adopero una sciarpa. Ne ho acquistate di meravigliose in ogni parte d'Europa e del mondo e ne avevo raccolto oltre un centinaio, con sete e lane pregiatissime quali non amo in nessun altro capo. La sciarpa, che sta a contatto con le parti veramente delicate del corpo, come la parte inferiore del collo, presenta dei seri motivi per essere costruita con tali materiali. Purtroppo questo patrimonio di bellezza, in molti casi irripetibile, perché certi criteri di stampa sono abbandonati per sempre, è andato perduto la scorsa estate in un furto. Torniamo all'argomento che Lei propone. E’ tempo e luogo che si affronti un argomento che renderà questo gesso molto lungo, ma non vedo altro modo di sciogliere la Sua perplessità e la titubanza di molti all’uso di certi oggetti o il favore per altri. Con lo stile del Vestirsi Uomo e cioè indagando i linguaggi segreti delle cose e delle coscienze, ecco come stanno le cose. Tutto ha origine dal fatto che la virilità ha due aspetti: uno sessuale ed uno intellettuale. L’Uomo di Gusto che cura la parte sessuale, adotta queste strategie e materiali: 1) Profumi con forte presenza di legni (Jazz, i patchouli francesi come Nereides e Reminescence, etc.) e negli ultimi anni, con l'effeminazione dell'uomo, anche con fiori) (Farenheit, Grey Flannel, Kenzo, etc) 2) Nel formale, tessuti morbidi, di preferenza luminosi. Camicie celesti o a righe a preferenza delle bianche. Gran propensione all’informale ed allo sportivo, ai capi tecnici, alla maglieria in lana e filo, a qualche colore forte. 3) Gran cura delle estremità inferiori con l'uso di pantaloni preferibilmente attillati, con vita bassa. Cintura. 4) Non ama i pigiami, né le pantofole tradizionali, i cappelli, i guanti. Non userebbe mai canottiere e maglie di lana. Preferisce le mutande in jersey ai boxer in tessuto. Insomma, considera importante il corpo e ama lasciarne qualche parte a vista. Lo copre, ma con moderazione lo evidenzia. L’Uomo di Gusto con passaporto intellettuale, tende a queste preferenze: 1) Il profumo totem è la lavanda (Pour un homme di Caron è la quintessenza di quest’uomo), con concessione agli agrumi temperati da ambra (Habit Rouge). Spezie morbide, legni non molto amari (Royal english leather di Creed). 2) Nel formale, tessuti matti, con pesi più elevati. Buon uso delle camicie bianche, con poco uso delle button down. Moderata propensione all’informale ed allo sportivo. In queste occasioni, quest’uomo privilegia lo scopo agonistico e può divenire trascurato sul piano estetico. Poiché la sua vigilanza è abbassata, poiché è tutto dedito alla situazione, potrete vedergli addosso qualunque cosa. 3) Pantaloni larghi alla gamba, con vita più alta e comoda. Spesso gli vedremo le bretelle. 4) Pigiami, pantofole e vestaglie sono una divisa che indossa con piacere, specie dopo una certa età. Qualcuno anche cappello e guanti, che ormai sono patrimonio esclusivo di questa scuola e la distinguano con matematica certezza. Via libera alla maglieria intima, se solo la sente utile. Per quest’uomo il corpo è molto meno importante: lo vedete anche dalla frequente pancetta. Questi due atteggiamenti possono mescolarsi e i materiali dell’uno e dell’altro sono solo delle indicazioni di massima che – a parte guanti e cappello – possono non essere indicative. Spesso anche gli effetti con le donne si confondono e in una battaglia tra i due tipi la vittoria non è certa. L’intellettuale è meno appetibile, ma la donna percepisce istintivamente in lui una certa tendenza alla stabilità ed alla monogamia, che rappresenta un vantaggio competitivo non trascurabile. Ora ha le idee più chiare su cosa voglia dire una maglia di lana. Portate a letto, magari con le calze, può risultare un anticoncezionale efficace quanto indesiderato. Però è confortevole e salubre. Per quanto mi riguarda, l'ho portata anche a vent’anni ed ora che sono un padre di famiglia di mezza età mi si addice perfettamente. Un’ultima notazione sul gilet sottogiacca. Poiché denota una forte tendenza alla scuola intellettuale, tanto vale passare alla maglia di salute, di certo più efficace. Il gilet di maglia può comunque portarsi anche sotto un abito completo, purché non formale. Bene su una flanella grigio medio, un ritorto a tre capi ed in genere con tessuti ad armatura a tela o con quadri. Inammissibile con un gessato o un pettinato brillante. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-12-2003 Cod. di rif: 820 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tutto l'intimo è valido, purché resti tale (A L. Villa) Commenti: Egregio Villa, poiché abbiamo cominciato ad introdurre il concetto che l'Uomo di Gusto non isa un concetto monolitico, ma ricco di sfumature, ad esso è concessa qualsiasi mutanda. Gli è però vietato mostrarsi con esse, se non in situazioni cameratesche. Tutte le foto di nudità o ammiccamenti maschili sono il prodotto di una cultura che rema in senso contrario al nostro. Noi che crediamo nella dignità non possiamo ammettere questi comportamenti, a meno di situazioni dove il gusto, che sembrava cacciato dalla porta, non sia rientrato più radioso dalla finestra. E' il caso del calendario "Piselli", realizzato l'anno scorso dall'Ordine Alato dei Cialtroni dell'Oca. Visti i buoni rapporti che intrattengo con il loro Gran Maestro, il marchese Francesco Benvenuti (seguono due righe di cognomi), nei primi mesi dell'anno organizzeremo un evento congiunto. Si tratterà di un'occasione storica, in cui la celebrazione della dignità formalizzata ai limiti del ridicolo (noi) si coniugherà con la pratica del ridicolo così sapiente da elevarlo a dignità (loro). ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-12-2003 Cod. di rif: 822 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: UDGS e UDGI Commenti: Egregio Pugliatti, è necessario chiarire che più che gli strumenti, che come ho già detto si mescolano, ciò che distingue le due categorie sono gli scopi, le inclinazioni. L'UDGS (Uomo di Gusto Sessuale) tiene sempre presente il ruolo sessuale e non rinuncia a oggetti ed atteggiamenti che possano colpire la donna. Al contrario, non adotta quelli che palesemente sono (almeno in astratto) poco compatibili col ruolo "animale" del maschio, con la forza ed il dinamismo. L'UDGI (Uomo di Gusto Intellettuale) è più orientato a riferire i propri codici espressivi non verbali verso i propri simili e spesso agisce solo per se stesso. Detto questo, il Suo palinsesto di abitudini e capi La colloca negli UDGI. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 19-12-2003 Cod. di rif: 823 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Barberis Canonico e Super 100 Commenti: Gentilissimo Dottor Maresca, sono un estimatore del Vostro sito. Ho letto nel taccuino di questa sezione i Suoi apprezzamenti per la Ditta Vitale Barberis Canonico, la quale mi risulta che abbia in catalogo alcuni tessuti Super 100 e Super 110. Se non ricordo male, questi sono stati piu volte additati su questa lavagna come corrotti. A questo punto sono un po' confuso; Le sarei grato di conoscere l'esatto significato di "Super...": e' forse il titolo del tessuto? E cosa definisce quest'ultimo esattamente. La saluto cordialmente e ringrazio per l'ospitalita'. Giorgio Pasino - Torino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-12-2003 Cod. di rif: 825 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Superinterrogativo - Al signor Pasino Commenti: Egregio signor Pasino, la sigla numerica Super 100 e simili si riferisce al titolo del filato utlizzato per un tessuto. Molte misure inglesi, come la yarda tessile, sono nate da fenomeni pratici e non matematici. La storia, la miscela tra sistema metrico e sistema inglese, ha poi complicato le cose in tal modo che, pur avendolo chiesto da anni, nessuno è stato ancora in grado di spiegarmi in modo convincente cosa misuri precisamente il numero e cosa ci stia a fare quel "super". Non potrò quindi rispondere a questa parte della Sua domanda, ma sono in compagnia di molti altri, tra cui produttori tessili. Effettuerò un supplemento di quest'indagine, sperndo di giungere a qualche risultato apprezzabile. del resto, lo stesso mi è accaduto coi punti inglesi dei bottoni. Nemmeno i produttori degli stessi sanno dire cosa significhino quattordici, sedici o diciotto punti, ma solo convertirli in millimetri. Essi devono essere una porzione, ma quale porzione e di cosa nessuno più lo ricorda, nemmeno tra i massimi esperti ed addetti ai lavori. Il mondo tessile è pieno di misteri. Orbene, atteniamoci a quanto generalmente si dice, che è sufficientea comprendere il fenomeno, anche se lascia in ombra la storia. Un dato peso di filato (un oncia, un chilo?) può estendersi per una lunghezza di 100 (ma sono yarde o metri?) ed allora avremo un super 100. Un filato più sottile, a parità di peso, darà una lunghezza di 110. 120, 150 e così via. Noi cerchiamo di far capire che la domanda indiscriminata di cimose con diciture eclatanti, che promettano filati estremamente fini, determina la corsa ad una qualità finta, che accantona la tecnica e la tadizione in favore del pregio della sola materia prima. Un tessuto deve essere innanzitutto "sano", cioè ben costruito e ben finito. Sarà poi un grande tessuto solo se risponde ad un criterio di stile e di tradizione. Portare il mercato a guardare solo la cifra ed a chiederla sempre più alta lo distrae dal vero obiettivo: il significato. La Vitale Barberis Canonico ha senz'altro dei tessuti con le cimose da Lei indicate ed anche più elevate, ma ciò che ho citato è la tipologia, non il titolo. Le flanelle di gran qualità si possono ottenere con super100, con super80 o senza dire nulla. L'importante è che i processi siano corretti ed il risultato in linea con la funzione finale del tessuto, che è quella di vestire e di durare. Anche le grandi manifatture inglesi sono ricche di indicazioni in cimosa con superqualcosa in quantità. Gli Uomini di gusto preferiscono ragionare sul concreto e lasciare questi numeri ai confezionisti che vogliano abbagliare il pubblico con poche e ambigue parole, cosa che fanno costantemente e che ottiene buoni risultati. Qui non sentirà mai dire di un tessuto "è un super100", perché non significa nulla. Essi vanno rispettati chiamandoli per nome: whipcord, harris o donegal otweed, flanella, moleskin, grisaglia, thornproof, shetland, mohair, barathea, fil a fil etc. Solo dopo la classificazione per tipologia si può parlare della qualità del filato e del suo titolo, ma per definire bene l'articolo si deve dire anche del peso, del tipo di tessitura, dell'eventuale accoppiamento e torsione, della sua follatura ed eventualmente di altre caratteristiche del finissaggio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-12-2003 Cod. di rif: 826 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un successo a due stadi - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, rispondo al Suo geso in cui mi chiede di concentrare in un nome ed in una data il big bang del magistero napoletano nella sartoria. Io le fornirò un luogo, un periodo ed un piccolo circuito di persone, collegate tra loro, dove tutto ciò che non avvenne direttamente venne almeno preparato. L'accelerazione definitiva della sartoria napoletana, che si era sviluppata ed affermata già a cavallo dei secoli XIX e XX, avviene grazie ad una scuola in cui in pochi anni si raggiunge il vertice dell'ancien regime e si prepara la rivoluzione. Questo laboratorio della storia si trovava in Piazza dei Martiri: la sartoria Morziello. Costui non era un sarto, ma un imprenditore dal gran gusto e la sua azienda era quindi una vera e propria sartoria nello stile londinese, diretta e finanziata da un commerciale. Il capo tagliatore di questa maison era De Nicola, un Maestro destinato a divenire veramente famoso. Messosi in proprio con un laboratorio a Piazza Vittoria, servì la famiglia Savoia e in particolare il Re Umberto. Grazie al talento di De Nicola ed all'aplomb del Re d'Italia, il prodotto napoletano giunse in cima al mondo. Non dobbiamo dimenticare che a quel tempo quest'ultimo aveva come esempio gli aristocratici e gli artisti, non i calciatori e i cantanti. Partecipi dell'arte e dello spettacolo e quindi ottimo veicolo di passaggio da un mondo che guardava in alto ed uno che guarda di lato, furono gli attori del cinema. Tra questi ultimi grande fu la fama di un altro Maestro, formatosi come giovane di bottega di De Nicola quando ancora lavorava presso Morziello: Vincenzo Attolini. Non ho ancora detto che Morziello aveva un socio, tale Serafini. Questo nome non dice molto, ma che ci vuole fare. La storia è giusta, ma la fama no. Il genero del signor Serafini altri non era che Gennaro Rubinacci, il quale nei primissimi anni trenta sfruttò l’esperienza di famiglia per aprire la London House in Via Filangieri, nei locali che occupa ancor oggi. Vincenzo Attolini divenne il capo tagliatore della nuova sartoria, che, come dice il nome, lanciò una giacca rivisitata alla luce del taglio modellato e delle ultime novità da Londra. Attolini precorse i tempi, alleggerendo la giacc. Il successo fu strepitoso. Abbiamo quindi questo intreccio: Morziello e Serafini (quest’ultimo, nonno di Mariano Rubinacci) crearono De Nicola. De Nicola, che poi si mise in proprio, fece esplodere il primo stadio della fama planetaria di Napoli, ancora legato allo stile impettito dei primi decenni del secolo ventesimo.Nello stesso spazio materiale e cronologico, De Nicola formò Attolini, che venne notato ed ingaggiato dal genero di Serafini: Gennaro Rubinacci. Attolini non lavorò mai in proprio, ma mantenendosi sempre sotto la guida stilistica del grande Rubinacci (detto Bebè) seppe restare all’avanguardia per decenni, rielaborando a velocità supersonica ciò che proveniva da Londra. Difficile dire se fu più grande Rubinacci o Attolini. Entrambi sono passati giustamente alla storia e forse l’uno senza l’altro non avrebbero potuto raggiungere quei risultati. Questa la cronaca di quegli anni di rivolgimenti estetici tra la fine degli anni venti e l’inizio dei trenta. Tragga Lei stesso i nomi o il nome che Le appare più significativo. Forse De Nicola fu il primo, ma non sarebbe esistito senza i Morziello e Serafini. In ognni caso, la sua parabola era destinata ad esaurirsi con il mutamento del gusto e delle esigenze. Gennaro Rubinacci colse l’attimo e seppe raccogliere la clientela influente che fece girare a tutti la testa verso Napoli. Il suo braccio armato fu Vincenzo Attolini, che da giovane di bottega divenne un vate. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2003 Cod. di rif: 828 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Orilia - A C. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, quanto ad una storia che implichi e collochi i nomi importanti della sartoria napoletana in età recente, si tratta di un lavoro colossale che non può trovare spazio in quest'area. E' un'opera di ricerca cui andrebbe dedicato un libro. Quanto ad Orilia, egli fu considerato il Bel Gagà per eccellenza. Elegantissimo viveur, onnipresente animatore dei salotti e dei locali, tombeur de femmes, fu l'antesignano dei playboys come Dado Ruspoli. Visse in una casa di proprietà della famiglia di un nostro cavaliere Napoletano, che oggi la abita. Una casa meravigliosa, affacciata su Via Partenope. Morì negli anni sessanta, lasciando il ricordo idelebile di un dandy alla partenopea, eterosessuale e privo di malinconia. Siamo tutti in attesa dei Suoi nuovi appunti sul Taccuino. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-12-2003 Cod. di rif: 830 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il fuoco che orienta e riscalda - A C. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, è inevitabile che i Cavalieri appaiano a molti come dei lamentosi “laudatores temporis acti”. Ci occupassimo di bastimenti, di poesia o di scultura, il nostro lavoro verrebbe considerato come storiografia, esegesi o critica, ma poiché in questo caso si parla di abbigliamento, diventa più difficile comprendere l’opera di ricerca e di difesa svolta Cavalleresco Ordine. In questo castello e fuori di esso, noi cerchiamo di approfondire il passato, non di ricrearlo. Di comprendere e conservare oggetti ed atteggiamenti a vantaggio di chi già li ami, non di imporli ad altri. Siamo senz’altro dei conservatori, ma chi si prenda la briga di leggere qualche migliaio di schermate del sito o di partecipare ai nostri eventi scoprirà che, differentemente dai pallidi restauratori, noi sanguigni cavalieri diamo risposte, non consigli. Siamo sulle barricate incendiate, non in tranquilli palazzi. Spesso si combatte in periferia, dove c’è meno gloria, ma il valore è premio a se stesso. A parte l’opera scientifica, c’è infatti una fede. Crediamo nella bellezza come valore, ma essa rimanda immediatamente all’idea di Gusto come suo strumento di creazione, comprensione e conservazione. Orbene, il gusto può essere individuale o collettivo, di un singolo o di una nazione, di un personaggio o di un’epoca, ma può esistere solo come libera scelta. Perché si possa parlare di scelta e di libertà occorre però, quanto alla prima, l’abbattimento delle influenze coattive e quanto alla seconda un’offerta di possibilità quanto più vasta possibile. In passato le influenze sociali erano senz’altro pesanti, ma quella dell’odierna comunicazione attraverso i media non è meno opprimente. In questo campo, insomma, stiamo male come i nostri nonni, anche se la malattia è diversa. Diverso il discorso quanto al palinsesto di possibilità che renderebbero coscienti le scelte, concrete le innovazioni. Gli uomini degli anni sino ai cinquanta avevano possibilità infinite: sarti, gilettai, pantalonai, cappellai, calzolai, camiciaie, sellai, etc: il mondo era ricco di artigiani e di materiali. Molti sono scomparsi, altri vietati e tanti che ancora esistono rischiano di estinguersi. Ecco perché ne parliamo. Conoscerli è dare loro una possibilità di farli sopravvivere. Non spetta a noi come istituzione spingere sulla via del classico o dell’innovazione. La nostra missione non è così inutile e non è soprattutto solo concettuale, ma sceglie la via dell’approfondimento teorico tenendo presente una finalità pratica. Noi vogliamo dare ai nostri discendenti la possibilità di scegliere da che parte stare. Se col Suo amico aveste parlato di foche o di rinoceronti, egli sarebbe stato orgoglioso di commentare favorevolmente il lavoro di un gruppo che li difendesse. Noi siamo paladini di razze ancora più deboli, in quanto non riconosciute come tali. Per noi la diversità non ha una serie A ed una B, una parte da riconoscere ed una da trascurare. Conservare un bottone è come salvare il coccodrillo del Nilo, perché il cosmo si nutre di differenze e l’uomo con esso. La strada dell’innovazione è oggi tutta in discesa, mentre quella della conservazione è osteggiata e derisa. Su questo asino, l’unico che resta alla tradizione, cavalcheremo più orgogliosi che sul destriero di un futuro preparato dalle multinazionali e dagli scienziati della comunicazione. A questo proprosito, faccio notare che i grandi e piccoli innovatori di cui s’è detto erano fortemente competenti, mentre mi sembra che l’innovazione faccia oggi volentieri a meno di comprendere alcunché. Questo paesaggio dovrebbe insospettire, ma le sue discese sono troppo affascinanti e comode perché siano in molti a preferir loro la nostra scalinata. Poiché utilizziamo il nostro tempo e denaro per sostenere alcuni oggetti e princìpi, è naturale che si parli di quelli più bisognosi di tutela. Ecco perché si parla tanto dei tessuti pesanti o di altre cose. Non è il passato che ci interessa, ma il suo patrimonio di oggetti e di possibilità. Nessuno ha mai detto che debbano esistere solo stoffe da 500 gr/mt e più. Quando è il momento, si è detto bene anche di quelle leggere, purché significative e valide. Noi ne sveliamo la natura, il linguaggio, la storia. Teniamo acceso un fuoco perché qualcuno di lontano possa orientarvisi e chi vi è vicino riscaldarsi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Andrea Girometta Data: 24-12-2003 Cod. di rif: 831 E-mail: andrea.girometta@tin.it Oggetto: Auguri Commenti: Approfitto della Lavagna dell'Abbigliamento, sicuramente la più frequentata del Castello, per rivolgere i miei auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo al Gran Maestro, a tutti i Cavalieri e a tutti i visitatori di questo sito. Auguri! Andrea Girometta ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-12-2003 Cod. di rif: 834 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Guardaroba basico 1° - I capispalla - Al sig. Gattagrisi Commenti: Egregio signor Gattagrisi, La vedo animata dal sacro fuoco. Sapere di aver avuto una parte nell’accenderlo gratifica la mia attività personale come autore e soprattutto giustifica, più di ogni altro successo, le risorse che l’Ordine impiega senza risparmio e senza ritorno alcuno per l’edificazione di questo castello. Del resto il nostro motto sociale è Numquam Servavi, come a dire: “Non ho mai risparmiato” o “Non mi sono mai risparmiato” ed entrambe i significati sono applicabili all’opera cavalleresca. La ringrazio per la Sua lettera e passo ad esaminare gli argomenti proposti, replicandone la numerazione. Visto che si tratta di domande piuttosto impegnative, divido la risposta in due lotti per le prime due domande e giro la terza a De Paz. In questo gesso affronto il primo quesito. 1) La risposta al signor De Martino nella mia Scrivania è del 20 e non del 16 Ottobre 2002. A chi volesse ricercarla, ricordo che anche negli spazi dello Studio mio, del Curatore Sperelli ed in quelli che man mano apriranno, è possibile ricercare gli interventi per parole di testo e per autore. Nello spazio di Posta, ad esempio, basta evidenziare la ricerca per autore, introdurre la parola De Martino e inviare, per far apparire la lettera originale con le risposte cui ha dato luogo. Il Suo caso è comunque diverso. Il dr. De Martino mi chiedeva di restare sul grigio e sul blu ed io, ritenendolo opportuno, mi attenevo quasi completamente a questa tavolozza. Egli infatti lavora nel settore finanziario. Poiché si tratta di attività incomprensibili, o forse solo incomprese, chi le pratica in gioventù avverte la necessità di un’identità, di una dignità professionale. I colori che svolgono meglio questa funzione sono appunto il grigio ed il blu. Trovo il caso che mi prospetta affatto diverso. Nel Suo bagaglio ha già esperienza delle migliori confezioni e di due sarti ed ha una visione molto positiva del fenomeno dell’abbigliamento. Nelle Sue parole scorgo una certa sicurezza ed un enorme appetito. Lei coglie pienamente l’aspetto ludico del Vestire e sembra che nei laboratori artigiani, dove prospera questo virus, abbia già contratto la “malattia”: l’inesauribile necessità di sapere, comprare, trasformare, confrontare, chiacchierare. Valutate l’età e professione che esplicitamente mi dichiara e letto tra le righe delle Sue attitudini e possibilità, Le consiglio di procedere secondo questo programma. Scelga Lei i tempi, a parte lo start iniziale: 1.1. Immediatamente una giacca in tinta unita calda, o meglio a quadri o spina di pesce, in Harris tweed. Peso piuttosto elevato, ma grande comfort. La ordini ora per indossarla nella prima primavera. Sotto la giacca,due pantaloni in flanella: uno grigio scurissimo, ai limiti del nero, ed uno grigio medio-carico. 1.2. Un blazer blu marino in tela di lana a filato ritorto, un petto e bottoni argento. Per la seconda primavera e pertanto da far cucire con fodere solo alle maniche e spalle. Quattro i pantaloni. Due intorno alle 10/11 once, in cavalry twill grigio medio e in gabardine di lana beige. Altri due, più leggeri, in tela ritorta da 8/9 once, grigio medio-carico e beige caki . 1.3. Un completo in mohair a uno o due petti: grigio chiaro o tabacco a righe celesti o azzurro in tinta unita. Se sceglie il color tabacco o l’azzurro, faccia conservare al sarto abbastanza tessuto per un collo di ricambio, che in estate si può ungere. Se ha un buon rapporto col sarto, è meglio cambiare il collo e risparmiare un lavaggio. Ricordi che un abito di lana dura anche cinquanta anni, ma non più di sei lavaggi a secco. 1.4/5/6/7. Per l’autunno esageri in fantasia: si faccia confezionare un completo a quadri. I rischi sono elevati. Per evitare delusioni, il tessuto a quadri non deve mai essere scelto da una tirella, l’effetto deve essere visto dalla pezza. In subordine, un completo in donegal tweed sottile. Si conceda anche un principe di galles tradizionale in un cardato di medio peso ed una flanella grigia doppio petto. Da aggiungere un impermeabile o un trench color ghiaccio, che probabilmente gia avrà. 1.8/9/10. Per l’inverno un grande blazer doppiopetto in saglia pesante: blu marino con bottoni oro o blu notte con bottoni neri. Ai pantaloni che già possiede, aggiunga un grigio medio-chiaro in flanella. Una giacca di Donegal tweed pesante ed una morbida in merinos a quadri. Non si faccia mancare un cappotto chesterfield tre bottoni grigio scuro nella stoffa più raffinata che può permettersi. Anche il cappotto, ca va sans dire, deve essere di sartoria. 1.11/12/13/14/15. Sappia che tra le cose più urgenti Le mancano ancora: un terzo blazer da mezza stagione, che potrà far confezionare in hopsack. Un abito da 9 once da cerimonia in saglia grigio scuro (per le cerimonie invernali potrà usare il completo doppiopetto in flanella). Due abiti da sera blu. Attualmente, però, le righe sono troppo usate e mi manterrei sulla tinta unita di gran qualità e luminosità. Una giacca supersportiva come quelle che ha chiesto di vedere nel gesso n. 812 e delle quali ho illustrato cinque soluzioni classiche veramente appetitose. Il programma è intenso e può essere rifinito man mano. Mi partecipi i dubbi che Le sorgono, ma solo quando già starà avviando la fase 1.1., che Le prescrivo come obbligatoria: la giacca di tweed. Proseguirò presto con le scarpe, mentre Dante De Paz risolverà il caso della tessitura inglese. A presto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-12-2003 Cod. di rif: 836 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sui nodi - Al sig. Barone Commenti: Egregio signor Barone, non possiedo il libro da Lei citato. Pur avendolo notato, ho creduto fosse un'inutile appendice o riduzione del fondamentale trattato "185 nodi da collo". Poiché pare che non sia così, credo che lo acquisterò. Contrariamente a quanto si può credere, la mia biblioteca sull'abbigliamento è alquanto ridotta. La mia scienza si basa sull'osservazione diretta e tende ad una codificazione originale. Posso passare settimane ad osservare una sola foto o un disegno e giornate intere a studiare un capo o un procedimento, restringendo l'analisi sino ai particolari più piccoli. Si parva licet componere magnis, sono insomma più Leonardo che Leonbattista Alberti. Preferisco leggere nel libro della natura. Nel Laboratorio non ci dedicheremo però alle tecniche, quanto alla psicologia ed all'estetica. Il percorso che intenderei proporre è il seguente: un certo nodo con che tipo di camicia e giacca si accompagna al meglio? Ed una volta definito astrattamente l'abbinamento, cosa esso significa? Quale Uomo lo indossa? Quali dettagli gli infondono personalità, ne cambiano e caratterizzano il messaggio? Questo lavoro verrà svolto su poche tipologie, con l'aiuto di persone che si identifichino con un certo nodo e che in tal modo siano giunte ad incarnarlo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-01-2004 Cod. di rif: 839 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Harris Tweed: un'apologia - Al sig. Gattagrisi Commenti: Egregio signor Gattagrisi, l’Harris Tweed è la più alta vetta della cordigliera del comfort, come tale raggiunta solo da pochi. Fa più che traspirare, comunica. Fa meglio che riscaldare, protegge. Una giacca artigianale di questo materiale può anche non essere perfetta, ma purché calzi bene resta pratica ed eloquente. Come dire bella. La sua durata è un riposo per quelli che ad ogni cambio di stagione amano ritrovare la loro vecchia giacca. In realtà cominciano a ricordarla dopo qualche anno, ma a quel punto vorrebbero che vivesse eterna. Per assecondare questa vocazione all’estremo rilassamento, consiglio la confezione con tasche a filo, più comode e capaci. Moltissimi adottano la soluzione a tasche applicate, considerando la natura sportiva del tessuto. Nulla da dire. Etimologicamente è corretto, esteticamente ineccepibile. Lei però stia a sentire chi di giacche così ne ha consumate più d’una. Per lo stesso motivo consiglio di foderare interamente e sontuosamente la giacca, che così diviene morbida all’interno e resta ispida ed imperturbabile fuori. Non male come esempio di vita. Si al ticket pocket. Spacchi laterali. La costruzione napoletana infonde all’Harris la flessibilità di cui un capo del genere ha bisogno per essere accettato sin dal primo momento. De Paz è specialista proprio in materia di Tweed e quindi non mi resta che darLe un arrivederci a Bologna per il 15 p.v. Dalle ore 12.30. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-01-2004 Cod. di rif: 840 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una giacca di Paolo Barilla - A L. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, nel taccuino sistemo un appunto che descrive il mio parere sulla giacca di Paolo Barilla, della quale aveva pubblicato una foto, in verità non chiarissima. E' stata comunque sufficiente a dare qualche attendibile indizio, sulla scorta dei quali le ho risposto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-01-2004 Cod. di rif: 841 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scarpe - Al signor Gattagrisi Commenti: Egregio signor Gattagrisi, rispondo alla seconda parte del Suo lungo quesito, quella sulle scarpe. 2) Lei è giustamente innamorato del cordovan, pellame che si abbina a calzature di impronta sportiva o informale. già possiede la bellissima derby di Alden, un vero capolavoro per costruzione e materiale. Ha quindi bisogno di una scarpa più elaborata. le consiglio come prima scelta il modello "Parisi", una francesina molto sobria e riuscita come modello, con guardolo largo, ma non troppo, che gira tutto intorno anche al tacco, a punti marcati. Cordovano color nocciola. Potrà proseguire con una derby modello "Maresca" in vitello bordeaux, con vaschetta e punta quadra a becco d'oca e due "Diplomatiche Lobb": una nera ed una cpgnac. e' una francesina passepartout a punta tagliata con una sola striscia trasversale bucherellata. Un altromodello interessante, molto lavorato, è la "Norvegese Di Mauro", che potrebbe realizzare in lama color cuoio o in zebù testa di moro. La quatità di modelli offerta già in campionario da Peron & Peron è comunque vastissima e potrebbe innamorarsi di qualche altra cosa o modificare a Suo gusto qualcuno già esistente. chissà che domani non esista anche un modello "Gattagrisi"! ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-01-2004 Cod. di rif: 846 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non ci si orizzonta con le nuvole - A T. Carrara Commenti: Egregio Carrara, gli abiti che si vedono nel sito che ha citato sono terrificanti. Le giacche peack lapel con bottoni gemelli che ha scelto come punto di partenza non hanno niente degli anni trenta. Lo ha notato anche Lei, accorciandola di quasi un paio di pollici. Il bavero è la prova che il velaio che ha cucito quel sacco non ha idea delle proporzioni. E non è questione di periodo. Negli stessi anni trenta si avevano sia doppipetto accollati che sciallati. Quando il bavero parte alto e deciso come nella foto da Lei rielaborata, deve terminare con una lancia che ha il lembo quasi parallelo al suolo, come noterà in molte giacche analoghe del periodo d’oro. Non si tratta di gusto, ma di scienza. C’è un motivo geometrico che può capire anche chi non è sarto, purché evidentemente non sia giapponese (il sito in questione è destinato a loro). Partiamo da un bavero rollato lunghissimo e bello come quelli di Agnelli. Immaginiamo ora di far scorrere il pollice sotto un bavero, chiudendolo. Cosa accade? La punta della lancia descrive un piccolo arco di cerchio, sempre più abbassandosi quanto più saliamo col pollice e chiudiamo la giacca. La punta si abbassa come una lancetta d’orologio, ma proprio allo stesso modo il punto da dove nasce resta fermo. Ad un certo punto, quando siamo saliti come nel caso in oggetto, ci troviamo con una lancia a bordo piatto. Non c’è scampo, opinioni, esempi da portare. Tutte le giacche che definiamo ben tagliate rispettano questa regola. Lei c’era arrivato intuitivamente e glielo dimostro: l’occhiello deve correre parallelo al bordo ed è per questo che Lei lo ha rettificato, avvertendo che quella inclinazione era errata. Le giacche degli anni trenta non hanno poi le spalle così importanti, che sono necessarie per sopportare baveri imponenti. Su alcune giacche invernali anch’io adotto baveri importanti, approfittando delle mie spalle molto larghe. Ottengo così una sorta di scialle, che mi da l’impressione di avere più caldo. Veda la foto che allego nel taccuino sotto il titolo “Un bavero largo come la Senna”, che mi ritrae questo novembre a Parigi con un harris tweed spinato nei colori lovat. Come sempre non esibisco mie foto per vanità, perché creda di essere elegante o per essere d’esempio a qualcuno, ma solo per mostrare l’effetto di alcuni oggetti o soluzioni. Non Le consiglio di avventurarsi in baveri eccessivamente larghi, che quando andrebbe ad abbottonare la giacca darebbero un effetto molto pesante, a meno di avere le spalle larghe (se ben ricordo Lei è piuttosto sottile) e – diciamola tutta - un sarto capace di sviluppare un lavoro come quello che vede in foto. Io peso una ventina di chili più di Lei: circa novanta, nell’immagine. Tenga presente che le giacche mostrate nelle foto da Lei rettificate hanno spalle rigidamente imbottite e portate molto al di là del punto naturale, mentre quella che vede nella mia foto giunge appena alla scapola ed anzi la spalla finisce nella manica per gonfiarla leggermente col braccio. Se non vuole un busto di gesso, che non Le darebbe certo lo slancio che cerca ed anzi l’effetto contrario, scelga una via di mezzo. Rifletta bene anche sulle tasche diagonali. Continui col sarto di papà, ma lo indirizzi a risultati possibili e proficui. Il bavero potrà renderlo più importante anche con la scelta di una fantasia a quadri, che otticamente lo allarga. Quanto ai bottoni, quel “signore” che venne all’ultimo Laboratorio d’Eleganza è Ernesto Conti, proprietario della Conti-Wey, la più importante fabbrica italiana di bottoni in materiali naturali. Lo chiami a nome dell’Ordine e gli spieghi cosa desidera. Potrà effettuare la spedizione presso il Suo sarto o lei stesso raggiungerlo scegliere ciò che Le piace e imparare qualcosa su un mondo complesso ed affascinante. Ha sede a Piacenza. Il numero dell’ufficio è 0523-716381. Infine vorrei buttare un po’ d’acqua sul fuoco di tutte quelle norme che Lei cita o codifica. Ogni figura è diversa e dire che il bottone più basso deve stare all’ombelico è come dire al timoniere che per atterrare a Cagliari bisogna far prua per quella nuvola un po’ più scura. Certamente Lei può trovare le quote giuste per Lei e rispettarle, ma non ne esistono di valide per tutti. Esistono però delle regole interne, come quella che vuole che il bottone più basso non debba mai stare sotto la linea immaginaria che parte dalla tasca, se dritta, o dalla mezzeria di quella diagonale. Contravvenire a questo principio rovina l’estetica della giacca. Due bottoni del panciotto fuori dall’abbottonatura sono considerati un’altra regola aurea. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-01-2004 Cod. di rif: 852 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un pò di pazienza Commenti: Inespugnabili Cavalieri e dotti Visitatori, sono stato impegnato in missioni fuori dal castello per quattro giorni consecutivi ed ora - preso anche dall'organizzazione del convegno bologense di fine mese - sono un pò in ritardo con le risposte. leggo infatti dei questiti a me indirizzati qui sulla Lavagna. Per ora confermo che i gessi che contengono domande verranno come sempre sviscerati. Secondo le mie possibilità, risponderò in ordine cronologico a tutti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-01-2004 Cod. di rif: 853 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Liscio o doppio - Al prof. Pugliatti Commenti: Col gesso n. 864 il Prof. Pugliatti mi chiedeva: avvocato, diciamolo qui che nessuno ci sente, ma a Lei piace la giacca a uno o a due petti? Ebbene, credo che un guardaroba completo contempli una miscela delle due possibilità. Chi mette più latte e chi più caffè, chi più giacche monopetto e chi doppiopetto. In astratto è possibile vestire sempre in petto singolo, ma è più difficile il reciproco. Da un punto di vista stilistico si tratta solo di linguaggi e dal punto di vista estetico solo di adeguatezza. Quando dico adeguatezza non mi riferisco a quella fisica, ma a quella psicologica. L'effetto abillé del doppiopetto deve trovare riscontro o in una congruità al capo della figura (alta o comunque con gambe più lunghe del tronco) o in una disposizione mentale. Mario caraceni sostiene che il doppiopetto sta bene a tutti, ma lo sconsigliaa quanti abbiano il bacino più largo delle spalle. Io incontro spesso il presidente del mio club, l'inossidabile Pippo dalla Vecchia, che risponde perfettamente a questa descrizione. Indossa quasi esclusivamente doppipetto e l'effetto è dei migliori. La prorompente personalità e la naturale autorità di superPippo dominano perfettamente la situazione. Non fosse che per polemica contro alcuni leccatissimi damerini che abbondano nella ia città, indicai tempo fa il presidente come l'uomo più elegante di Napoli. Si può leggere quest'intervista nella nostra Rassegna Stampa ("Maresca o dell'Eleganza su misura" - corriere del Mezzogiorno). Poiché sin qui non ci avranno seguito che in pochi, in camera caritatis posso dire all'ottimo Pugliatti che sino ai trenta anni preferivo i doppipetto. Attualmente preferisco le giacche a un petto, ma forse sono alla vigilia di un nuovo cambiamento. Si tratta di comunque di semplici inclinazioni. Io non faccio confezionare ciò che più mi piace sic et simpliciter, ma ciò che più mi piace tra quanto mi serva. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-01-2004 Cod. di rif: 855 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Manutenzione del bridle - A L. Villa Commenti: Il Cavaliere Villa mi chiede della manutenzione della valigeria Swaine Adeney. Il materiale è lo stesso delle briglie, finimenti e selle in uso per l'equitazione e per la cura si usa lo stesso grasso. La casa inglese lo fornisce, ma è difficile trovarlo. ne farò pervenire un piccolo quantitativo dall'Inghilterra, da tenere a disposizione, ma non prima della fine di Febbraio, quando il nosro amico Conte Ildefonso Torriani, agente generale della casa, effettuerà una lunga missione nel Regno Unito. Mi ha promesso di portare con se un pò di prodotto. Poiché non se ne può fare a meno, non trovandolo bisogna sostituirlo con qualche prodotto per selleria e procedere inquesto modo: Una volta l'anno o più frequentemente nel caso di esposizioni prolungate alla luce e/o al caldo secco, cospargere di grasso il prodotto con uno straccio, senza lesinare. Attendere tutta la notte ed al mattino rimuovere l'eccesso con una spazzola non troppo morbida. Completare la procedura passando una pezzuola morbida. Come sempre, le superfici vanno lucidate con movimenti rotatori e non rettilinei. Buon divertimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 20-01-2004 Cod. di rif: 857 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Piombo (una sommessa polemica...) Commenti: Gentilissimo signor Villa, ho l'impudenza di intromettermi in questa interessante discussione, per fare una precisazione. Ho casa a Varazze, dove ha sede la ditta Piombo, di cui sono stato fra i primi estimatori per la sua passione e ricerca di tessuti storici. Ma, ahime', dal trafiletto che Lei ha citato di acqua sotto i ponti ne e' passata parecchia. La Piombo Spa, infatti, ha finito per diventare proprio quello che il suo fondatore deplorava nell'articolo di Capital: ciao passione, e via con lo stilista "modaiolo"! Con un peggioramento vorticoso della qualita' (basta tessuti storici) e un innalzamento sproporzionato dei prezzi. Con l'apertura del negozio di Via della Spiga si consegnava al puro "affare", rinnegando completamente la Poesia e il Sentimento degli inizi. Con questo non voglio assolutamente mettere in discussione la competenza di Piombo (tra l'altro raffinato uomo di penna e abilissimo imprenditore), di cui rimango un ammirato estimatore, e come il signor Villa ne apprezzo lo spunto per la riflessione sullo "stato dell'arte" in Gran Bretagna. P.S. Spero con questa piccola polemica di non creare incidenti diplomatici: sarei ben contento di dover cambiare opinione. Saluto cordialmente e mi scuso per l'intromissione. Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-01-2004 Cod. di rif: 860 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Più nulla da dire per Piombo Commenti: Egregi Villa, Pugliatti e Pasino, quanto alla situazione a Savile Row, il nostro Mr. Alden si è già espresso eloquentemente definendolo un mondo a più livelli, dove quelli più densi e profondi sono di difficile accesso. Sinceramente trovo molto difficile che anche il più sprovveduto possa confondere la natura della bottega di A&S con quella di Oswald Non-so-che-cosa, quello stilista di colore che veste i bianchi che vogliano sembrare negri e che ha le vetrine proprio alla fine della famosa strada. Quanto a Piombo, si tratta come ho già detto altre volte di una persona molto competente, specie in materia di tessuti. Proprio per questo ci si aspetterebbe da lui un lavoro di diffusione della cultura tessile, che forse aveva voglia di fare un tempo e che oggi è del tutto svanita. L'ho sentito più volte al telefono quando ho scritto il vestirsi Uomo sui tessuti e mi è sembrato un sincero appassionato. Mi parlò di stoffe rare che aveva e che stava facendo lavorare, di solaro e di thornproof, di whipcord e di tweed, ma incontrandolo a Pitti ho visto solo un imprenditore e - a dirla tutta - una proposta che al gusto come noi lo intendiamo non ha più nulla da dire. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-01-2004 Cod. di rif: 861 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicia immacolata e doppiopetto - Al sig. Consolini Commenti: Egregio signor Consolini, forse non sarà sprecato un augurio per la Sua prossima performance innanzi alla Commissione. Noi Gran Maestri abbiamo accesso a risorse potenti, positive e segrete, che in tal caso evoco al Suo fianco. Si dia una mano anche Lei, anche con una giusta scelta nell'abito. Lei già faceva riferimento alla mia corrispondenza col signor Migliaccio. Riporto qui la lettera che mi giunse privatamente e che chiude la vicenda: ______________________ Egregio Gran Maestro, anche se in ritardo desidero ringraziarLa per i consigli che, al gesso 762 della lavagna dell' abbigliamento, ebbe a darmi in merito a ciò che avrei dovuto indossare in sede di Laurea. Il fatto di sentirmi a mio agio nel mio blazer e la consapevolezza di avere al collo un nodo che non avrebbe avuto bisogno di ritocchi fino a sera, mi hanno dato quella sicurezza e quella tranquillità di cui, quel giorno, avevo un disperato bisogno. Inutile dirLe che l' accoppiata camicia - cravatta da Lei suggeritami era azzeccatissima. Approfitto infine della Sua attenzione per ringraziare Lei e l' Ordine per l' opera meritoria che avete intrapreso. Non voglio dire che mi avete cambato la vita ma sicuramente mi avete iniziato a quello che mi sembra un bellissimo viaggio di ricerca nel campo dei materiali, delle forme e più in generale della bellezza. I miei più cordiali saluti. Cesare Migliaccio. ______________________ Come vede il blazer è molto positivo. Per Lei che non ha dimestichezza con giacche e cravatte, potrebbe essere una soluzione da prendere in considerazione. Una saglia o una flanella blu marino, con bottoni non in metallo per l'occasione. Anche nella vita professionale, Le sarà utile. Senz'altro più di un impomatato gessatino quale quello cui Lei pensa, che La confonderebbe in un mare di banalità che termina da una parte con la Costa dei Manager e dall'altro con la scogliera dei Bellimbusti alla Moda. Non è tempo di gessati blu. Alla Sua età, almeno. Per dare un tocco di formalità, provi un blazer a doppio petto e se si sente a proprio agio, o scelga di questa tipologia. Per Lei un pantalone dal grigio medio-chiaro, ma con le pinces. Camicia bianca immacolata e cravatta a microdisegno fondo grigio o marrone. Scelga bene il collo della camicia: non esageri con l'altezza, ma pretenda vele importanti. Le punte non saranno eccessivamente divaricate come nel collo windsor, che noi italiani chiamiamo "alla francese", un pò troppo spigliato e dalla connotazione più estetica che morale. Nemmeno avranno i bottoncini, sportivi, o saranno troppo chiuse, evocatrici di introversione, miope tradizionalismo o cieca innovazione. Nodo piccolo, alto e molto serrato: segno di buona volonta, forza d'animo, rispetto dei valori. Non mi caschi sulle maniche della giacca, che essendo di confezione potrebbero andarLe lunghe. Faccia spuntare il Suo candido polsino mentre illustra le profondità concettuali della Sua tesi e tutto andrà per il meglio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 21-01-2004 Cod. di rif: 862 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: nuove pubblicazioni sul tema Commenti: Egregi Lettori di codesta Lavagna, sono particolarmente lieto di inaugurare il 2004 con la segnalazione di 2 opere di origine napoletana, che vanno ad arricchire degnamente la bibliografia italiana sull’Abbigliamento maschile. “Cinquantadue nodi d’amore” di Maurizio Marinella (ed. Swan Group) celebra i 90 anni di esistenza della maison Marinella attraverso una bella serie di ritratti fotografici (ad opera di Fredi Marcarini) di personaggi famosi; tra gli altri, non a caso, il nostro Gran Maestro. “Jeeves raccomanda” di Jeeves – alias Carlo Guardascione Scalo – (ed. Denaro Libri) compendia, attraverso l’espediente delle argute osservazioni del suddetto “maggiordomo”, le norme basilari per un abbigliamento da veri signori alla napoletana. E’ degno di nota che entrambi gli Autori abbiano deciso di devolvere in beneficenza i proventi derivanti dalla vendita di codesti libri, coniugando così concretamente l’etica all’estetica. Cordiali saluti da Napoli Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-01-2004 Cod. di rif: 863 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Manutenzione guardaroba I puntata - A L.M. Barone Commenti: Con gesso n. 851 il signor L.M. Barone chiedeva lumi in merito alla manutenzione di scarpe ed abiti, citando una mia avvertenza sulle conseguenze dei frequenti lavaggi. Soprattutto per quanto riguarda le scarpe, si tratta di un argomento che andrà sviluppato con un'area dedicata e l'uso di immagini, ma possiamo qui anticipare i punti essenziali della scienza della conservazione, lasciando l'arte della lustratura al momento in cui disporremo di altri territori qui alla Porta dell'Abbigliamento. Poiché si tratta di argomenti non risolvibili in poche battute, in questo gesso introduco il problema e ne sviluppo i primi punti. Il discorso verrà poi ripreso con una seconda puntata sugli abiti. LE SCARPE – 1 - Concezione Nell’estetica maschile classica, ancorata al ruolo virile di fede e di forza, temperate negli eccessi dall’educazione, dal rispetto, dalla pietà e dallo stile, insomma in quella visione del mondo in cui noi cavalieri crediamo e che cerchiamo di difendere e tramandare, la scarpa ha un ruolo centrale, ancorata e giustificata dalla sua lunga durata. Sono il ponte che introduce alla nostra immaginazione, poggiato da un lato sul pilone della bellezza e dall’altro su quello della funzione. L’uomo ama le cose durevoli e tende naturalmente a rendere durevole qualsiasi cosa: con il ricordo o con la cura. Poiché oggi spinte irresistibili coinvolgono uomini, donne e soprattutto giovani e bambini in un consumo dissennato, proprio la scarpa resiste ancora come territorio unico ed ultimo dell’oggetto cui si chiede di essere riparabile. Anche questo sta finendo, grazie alla diffusione delle snicker e delle scarpe tutte incollate o con suole in microporosa. Resta però ancora vitale in molte coscienze e vetrine un concetto della scarpa come di qualcosa che vada consumato sino alla fine e non perché sia sopravvenuto un oggetto più desiderabile. Il piede non cambia e dalla maturità alla vecchiaia si potrebbero calzare sempre scarpe fatte sulla stessa forma, così come fanno effettivamente coloro che calzano su misura. Esse si adattano poi al piede con impercettibili modifiche tridimensionali, specie all’appoggio ed a quel punto divengono così fisiologiche da essere dismesse con rimpianto. Questo arco vitale, che si conclude con la morte e non con l’abbandono in favore di un amore più fresco, ha qualcosa di naturale e di epico che ci rende l’oggetto familiare e ci spiega perché proprio su esso l’uomo abbia esercitato tanto collezionismo, passione e, diciamolo, feticismo. Vediamo come si fa ad allontanare il più possibile la morte di una scarpa. LE SCARPE – 2 – Scelta Qui si parla di scarpe tradizionali, intrinsecamente destinate a durare. A prescindere dallo stile, per durare una scarpa deve essere cucita. Sottopiede, suola e tomaia devono essere assicurate insieme da punti e non solo da collanti. Diversamente, la pioggia e le escursioni termiche e di umidità avranno ragione in un paio di anni di qualsiasi meraviglia chimica. Certamente, esiste un sistema anche per far durare le scarpe incollate: basta non usarle. Dei tipi di cucitura parlai nel mio nono Vestirsi Uomo, dedicato tutto alle scarpe e reperibile nel Florilegio. La cucitura a blak è la meno duratura, in quanto una volta consumata la suola è difficile o impossibile ripristinare il modello con i difetti che ha faticosamente accumulato e che sono diventati dei pregi per il piede. Le goodyear o a guardolo (termini rispettivamente industriale ed artigianale per indicare sommariamente lo stesso procedimento costruttivo) permettono una risuolatura che riporti la scarpa meglio che nuova. Su questo concetto, che richiederebbe una descrizione più dettagliata dei motivi e finirebbe per descrivere la costruzione, dobbiamo sorvolare qui che si parla di durata e manutenzione. Lo affronteremo a tempo e luogo debiti. LE SCARPE – 3 – Manutenzione Se una scarpa viene calzata per l’intera giornata, sarebbe meglio evitare di portarla anche il giorno dopo e così via. Il corpo umano emette grandi quantità di vapore acqueo, soprattutto attraverso i piedi. Per questo è indispensabile una calzatura che traspiri. Parte del vapore si condensa nelle varie parti della scarpa, predisponendola più facilmente a deformarsi, a formare pieghe e rughe, a consumarsi. Sarà bene lasciare un tempo di essiccamento di almeno una giornata, soprattutto nelle stagioni calde. Le scarpe vanno riposte appoggiate sulla suola, quindi non in scatole che le costringano a stare coricate su un lato, come balene morte. Sempre, anche per brevi periodi, va sistemato un tendiscarpa di adeguata misura. Di plastica o di legno? Non fa molta differenza, purché l’effetto sia di distendere la tomaia e la suola con un’azione ben distribuita, senza forzarle al collo e lasciando che la maggior pressione sia esercitata nelle parti in cui le scarpe hanno dei rinforzi: la punta ed il contrafforte. Una scarpa in buona salute, cioè ben nata e ben nutrita, non teme l’acqua più di quanto debba temerla un essere umano. Le conseguenze peggiori non sono dovute all’acqua in se, ma ai comportamenti successivi. Per gli uomini al più presto bevande calde ed abiti asciutti, per le scarpe subito una forma e molto riposo. MAI cercare di accelerare il processo di essiccamento avvicinandole a fonti di calore. Ciò può provocare facilmente il distacco della superficie del pellame e screpolature lievi o profonde. Le scarpe vanno calzate sempre con l’aiuto di un calzascarpe e tolte dopo averle diligentemente slacciate. Per allacciare quelle dai cinque buchi in su, sarebbe opportuno l’uso di un tiralacci, che una volta esisteva in tutte le case ed oggi è scomparso. Ho ordinato alla ditta Preattoni un calzante che porti all’altra estremità un tiralacci, in modo da coniugare in un solo strumento le funzioni principali di aiuto al momento di calzare le scarpe. Il tiralacci è utile per vari motivi: innanzitutto, tirando i lacci dalle estremità, come normalmente si fa, essi scorrono con forza nei buchi, esercitando una lenta, inesorabile erosione delle parti più deboli o esposte, conducendo a fenomeni particolarmente antiestetici. A volte le linguette sono bordate con guarnizioni in pelle scarnita, quindi più delicata. Sfregando contro di esse, i lacci ne hanno ragione in un paio di anni. Questo piccolo gancio solleva il laccio nel momento in cui lo tira, evitando che esso vada a limare il pellame sottostante. Il tiralacci, inoltre, esercitando la forza dal basso verso l’alto e non trasversalmente, rispetta meglio i buchi e non li deforma. Evita quindi che col tempo essi assumano l’aspetto a “orecchio della nonna”. Infine evita che i lacci assumano torsioni elicoidali che sono brutte a vedersi e conducono ad una precoce fine del laccio stesso. LE SCARPE – Lustratura Ssiamo qui di fronte ad una vera e propria arte, i cui dettagli tecnici non trasmettono che una parte del sapere, al di là del quale vi è la sensibilità e alcune conoscenze e manualità che possono acquisirsi solo con anni di pratica. Tutti i sistemi di lustratura sono validi, purché efficaci, e quelli efficaci tutti si somigliano. Parleremo qui di una lustratura che possa durare alcuni mesi, riprendendola quotidianamente solo con qualche colpo di spazzola e pezzuola. La scarpa è nella sua forma ed è allacciata con lacci in buone condizioni. Anch’essi verranno lucidati ed assumeranno le sfumature della scarpa. Si parte da una pulizia di tacco, lissa e guardolo, rimuovendo con uno spazzolino i detriti. Immediatamente dopo, con l’uso di una cera neutra dalle proprietà detergenti ed una pezzuola (sarebbe perfetta in lino), è bene rimuovere da tutta la scarpa il lucido in eccesso delle lustrature precedenti e dei ritocchi successivi. Questa sgrassatura viene effettuata con prodotti diversi. Luciano Barbera usa la marmellata delle susine del suo giardino, confezionata dalla moglie. Dice che la loro naturale acidità ha un potere detergente inimitabile e prepara le scarpe nel modo migliore. Quando la scarpa non rilascia più colore, è il momento di passare alla ceratura. Con una pezzuola ben tesa sulle dita indice e medio accoppiate, prelevare piccolissime quantità di lucido nel colore più indicato e bagnare con una toccatina in un po’ d’acqua che si terrà a portata di mano. Il lucido deve essere fresco e di gran qualità. La pezzuola pulita e abbastanza morbida. Procedere a zone per tutta la tomaia e anche su lissa e tacco, sempre prendendo un po’ d’acqua dopo il lucido. Vedrete che la pezza non assorbe molto l’acqua, in quanto impermeabilizzata ogni volta dalle cere contenute nel lucido. Ricordiamo che anche i solventi volatili svolgono una loro funzione e pertanto il lucido sarà più efficace se fresco e brillante, ancora cremoso. Chiudete bene la scatola, quindi, o durerà pochissimo. Non bisogna esagerare né con il lucido, né con l’acqua. In questo momento i grassi stanno nutrendo i pori, aperti dall’acqua. Tra una passata e l’altra, occorre stendere bene il prodotto, con movimenti circolari. La cera non deve poggiarsi sulla superficie, ma penetrare il più possibile nel tessuto. L’acqua ha anche una funzione di politura. Quando si lucida un pavimento, la macchina ha spazzole rotanti che si muovono su un velo d’acqua costantemente ripristinato. Il sistema è lo stesso e anche l’effetto, se l’operazione è ben condotta. Quando si sarà ben lavorata la parte anteriore, senza togliere la forma – se possibile – si potrà massaggiare con le mani il cuoio e far scomparire o ridurre pieghe e rughe. In questo momento il pellame risponde in modo particolarmente positivo a questo tipo di cure ed è sorprendente come si riesca ad eliminare o limitare qualche inestetismo che si credeva ormai irrecuperabile. Col tempo e l’uso potrà riformarsi, ma curandolo ogni volta non si aggraverà. La ceratura termina quando si sono esplorate tutte le zone e si sente scorrere la pezzuola docilmente su tutta la scarpa, senza incontrare zone ancora ruvide e bisognose di trattamento. Ricordiamo ancora una volta che l’operazione necessita di poco lucido e molto olio di gomito. Poco prodotto va steso sulla superficie più grande possibile e possibilmente in profondità. Alla fine del processo, una parte ancora pulita della pezzuola non deve raccogliere eccessi di lucido, anche se passata energicamente. A questo punto si passa alla laccatura finale. Essa può avvenire o con una pezzuola pulita e un po’ di vino o con un attrezzo costituito da una spugna su cui sia tesa una vecchia calza di nailon o di seta. Nel primo caso, il cirage Berluti secondo la prassi del Club Swann adopera lo champagne, il cui vantaggio pratico sta nella temperatura cui esso viene servito. Il freddo solidifica la cera, chiude i pori e permette alla pezzuola di distendere la cera come uno specchio. L’attrezzo che invece ho descritto è grande poco più di un pugno e viene utilizzato da molti professionisti. Basa la sua funzionalità sull’estrema sottigliezza, linearità e pulizia delle fibre usate per le calze, che quindi danno luogo ad una lustratura particolarmente efficace. La spugna all’interno assorbe anche umidità e cere ancora in eccesso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-01-2004 Cod. di rif: 865 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cera neutra - A Villa e Forni Commenti: Egregio Villa, l'unica che io conosca e di cui riconosca e certifichi l'efficacia è quella di Berluti. Poiché si tratta di un prodotto rarissimo, meglio cercarne un equivalente che sia almeno soltanto raro. Mancano gli specialisti della materia ed anche negozi che si vantano tali fanno poi confusioni banali, come tra cera e lucido, grassi e detergenti. Franco Forni segnalò un negozio di articoli per calzature nella pagina Il Fondaco delle Spezie Rare, attualmente sospesa. Gli chiedo di replicare questo indirizzo a beneficio dei lettori. Sono certo che sarà utile e risolutivo. In ogni caso la cera bianca Berluti è in vendita nel negozio di Via Pietro verri a Milano. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-01-2004 Cod. di rif: 867 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'indirizzo della cera - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, ho recuperato da una lettera personale di Forni gli indirizzi e la descrizione di questa ditta che non conosco, ma che, consigliata da tanto nome, non può che essere valida e fornita. Ecco i dati: F.lli Sanvito Snc - C.so di P.ta Vigentina , 38 - 20122 Milano - Tel. e fax: (+39) 0258314951 - info@sanvitomilano.it - www.santovitomilano.it Trattano accessori e materiali vari per manutenzione e riparazione della pelle e delle calzature, oltre ad altri prodotti che qui non rilevano. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-01-2004 Cod. di rif: 872 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Guardaroba: come difenderlo - A L.M. Barone Commenti: Continua e termina la risposta al signor L.M. Barone sulla manutenzione del guardaroba maschile. Nella prima puntata abbiamo parlato delle scarpe. Utilizzando lo stesso schema, qui diremo dei capi in tessuto. Buon divertimento. IL GUARDAROBA – 1 - Concezione Nel nostro sito si dedica tempo, spazio e ricerca unicamente ad una concezione classica dell’uomo, anche nel vestire. Il classico è quella visione organica dal punto di vista tecnico ed etimologico che ha una risposta per ogni occasione ed un significato per ogni significante. E’ un mondo compatto, ma non impermeabile. Stabile, non immobile. Vi si avvertono oggi forti tensioni e si è alla vigilia di grandi cambiamenti. Nessuno di noi vive negli anni trenta e se cerchiamo di approfondire un’estetica che affonda le radici in tempi lontani è innanzitutto per amore e poi perché questi sono gli ultimi anni in cui tale operazione è possibile. Il mondo in cui crediamo non finisce del tutto, ma cambia. Siamo ben coscienti del fenomeno e non intendiamo affrontare mulini a vento per fermarlo. Quello che non siamo disposti a cambiare è l’attenzione ai linguaggi dell’abbigliamento. L’ignoranza, quella sì ci spaventa. Se si passerà ad un altro paradigma, ad altre abitudini, uno studio del vecchio e del nuovo va condotto alla luce del classico. Non si può comprendere Pound senza Dante e nessuno dei due senza Omero. Noi cerchiamo di tradurre dal greco ciò che non era ancora stato tradotto, facendolo finché la lingua è ancora viva. Prima che muoia, occorre fare in fretta per recuperare i testi nella loro integrale originalità, per attingere alle fonti dirette. Poiché il classico come noi lo intendiamo, ancorché alla sua ultima stagione, è comunque ancora vivo, viva il classico. Non ci vergogniamo di difendere una nazione dal grande patrimonio culturale, anche se i suoi eserciti sono sparuti e dispersi. IL GUARDAROBA – 2 – Scelta Se si pensa alla manutenzione, vuol dire che si pensa alla durata. Essa parte dalla scelta dei materiali e dei criteri costruttivi, senza la cui qualità ogni attenzione è una fatica di Sisifo. Un capo sarà durevole se costruito con tessuti sani e con tecniche valide. Si dice “sano” un tessuto prodotto da materie prime selezionate, con un numero di battute al telaio adeguato al peso ed alla struttura ed un finissaggio corretto. In mano sarà compatto e stretto tra i polpastrelli, anche se morbido non sarà cedevole, anche se sottile e leggero conserverà elasticità e il giusto nerbo. La costruzione migliore è quella artigianale, ma anche sarti e pantalonai non sono tutti uguali e onesti. Ciò che mantiene una giacca a lungo è il tempo speso col ferro e soprattutto i punti di cucitura, quelli invisibili che reggono e modellano i baveri, stringono il giromanica, apportano impercettibili curvature. Una giacca poco lavorata, ancorché di sartoria, soprattutto se in tessuto cedevole o troppo nervoso, perderà caratteristiche anziché adattarsi maggiormente al corpo. A parità di tessuti, una buona confezione ha una buona durata, ma nel bene e nel male le manca la vita. Una giacca di sartoria ci potrà piacere ogni giorno di più, crescere o decrescere nella nostra considerazione. Una di confezione ha un ciclo a senso unico: acquisto e decadenza. IL GUARDAROBA – 3 – Cura e pulizia Un gentiluomo veste principalmente in lana e lino, con poco cotone e pochissima seta. La lana è quindi la regina del guardaroba e occorre conoscerla bene per rispettarla. Il vello ovino da cui proviene ha una superficie a scaglie irregolari, grazie alle quali i singoli peli tendono a legarsi facilmente. Ciò è bene perché permette una facile ed efficace filatura ed è il motivo per cui diffido dei misti. Solo la lana ha questa caratteristica e la combinazione di materiali diversi può a mio avviso dar luogo facilmente ad incompatibilità o a scarsa tenuta nel tempo. La lana ha anche una grande resistenza all’usura, che nei migliori stabilimenti viene testata continuamente. Se abbiamo una catena con un solo anello debole, si spezzerà proprio lì. Allo stesso modo in un misto l’eventuale presenza di materiali meno performanti determinerà come durata complessiva quella del materiale meno resistente. Tutte le migliori caratteristiche che abbiamo enunciato sono garantite non solo e non tanto dalla superficie, ma dal contenuto in lanolina, che è come il midollo della lana. Ogni immersione in sapone o aggressivi chimici come quelli in uso nel cosiddetto “lavaggio a secco” porta ad una dispersione del nostro capitale in lanolina. Diciamo che esso si esaurisce più o meno in circa sei lavaggi. Anche i tessuti più rustici, realizzati con lane “ordinarie”, non possono resistere molto più a lungo. I loro muscoli non servono, quando manca il sangue che li alimenta. Da questo dato di fatto deriva la necessità di evitare i lavaggi. Una manutenzione continua, con una frequente spazzolatura, è la cura ideale. Qualcuno si sarà chiesto perché i nonni e le nonne avevano sempre una spazzola per abiti sul comò. Ora il segreto degli avi è svelato. L’unto superficiale può in parte essere rimosso dallo sfregamento, mentre lasciato tranquillo esso non solo si accumula, ma subisce trasformazioni perniciose. Più d’uno avrà notato che la giacca riposta in ottobre apparentemente pulita, ripresa a maggio ha un collo ingiallito. Ecco quindi il secondo punto: al cambio di stagione effettuare una smacchiatura dei colli. Su lane tinte in filo si potranno anche utilizzare caute dosi di uno smacchiatore tipo Viavà, ma sui tinti in pezza, innanzitutto i lini, ma anche moltissimi mohair, meglio ricorrere a questo sistema segreto del Gran Maestro, a lui rivelato da fonti iniziate ai più antichi misteri. Spiegare il collo della giacca o cappotto e inumidirne ben bene con acqua semplice la parte esposta al contatto con la nuca ed i capelli, insomma quella palesemente o occultamente unta, applicandovi uno strofinaccio bagnato, ma non gocciolante. Ottenuta un’umidità uniforme, cospargere con una generosa dose di talco tutta l’area. Lasciare il capo tranquillo, minacciando a mogli, figli e servitù le più barbare torture in caso di loro intervento prima che il Gran Capo (cioè Voi) non abbia dato il via alle operazioni di rimozione, cosa che avverrà non prima di trenta ore, a mezzo di una vigorosa spazzolata. Con questo metodo, non si avranno sorprese se non positive. La difficoltà è tutta nel resistere e far resistere tutta la casa senza muovere il tegolato di giacche che avrete formato sovrapponendo tutte quelle della stagione. Un vero tour de force. Il collo è la parte più delicata di ogni capo. Per tutti i lini e per i mohair e i gabardine, soprattutto se chiari, a chi veste su misura consigliamo di ordinare al sarto, sin dal primo momento, di conservare un pezzo idoneo a ricostruirlo. Una volta era una cosa comune, ma oggi consumare e spendere è diventato obbligatorio, ci si vergogna di conservare le cose e questa richiesta può essere vissuta come una taccagneria. I tempi cambiano. L’altro nemico del tessuto sono le tarme. Pare che esse aggrediscano con maggior facilità i capi sporchi o impolverati e quindi la pulizia e la spazzolatura restano il primo presidio anche contro il temibile parassita. La profilassi è completata da un’adeguata copertura e – per lunghi periodi – da prodotti naturali o chimici. La tradizionale canfora offre le migliori garanzie. Se quindi il tessuto deve difendersi da due principali nemici, lavaggi e tarli, la giacca come oggetto ne ha uno terribile, in quanto sottovalutato: l’armadio. Qui si consumano silenziose tragedie, che si rivelano solo quando, dopo mesi, una giacca rivela una spalla deformata o un davanti con una piega che non vuole andare più via. Quanto più sono intelate, tanto più le giacche corrono il rischio di acquisire false pieghe o di perdere le forme. Se appoggiate male sulla stampella o su una gruccia insufficiente, le spalle potranno risultare leggermente deformate. I cappotti, per il loro peso intrinseco, sono molto esposti a questa patologia. La soluzione è difficile e sanguinosa. Occorre liberarsi dei capi vecchi e fare spazio a quelli che veramente si usano. Non basta. Una volta che si è creato lo spazio, altri cercheranno di occuparlo. In genere questo qualcuno comincia introducendo un vestitino alla volta, ma uno sottile che non fa nulla. A Napoli si dice che tanti niente uccisero il ciuccio e così un pantalone oggi, un tubino domani, lo spazio ricavato col sacrificio è minacciato ogni giorno dall’invasione degli ultracorpi. Non c’è difesa, se non una vigilanza quotidiana. Ribadisco che lo spazio è determinante nella conservazione corretta di una giacca. Se compressa come un panino nella bistecchiera, soffocherà. E la sua linea si scompenserà inesorabilmente. IL GUARDAROBA - 4 - Stiratura Solo il sarto può pronunciare legittimamente questo verbo. Le tintorie non stirano, acciaccano o al meglio appiattiscono. Se tutto va bene tolgono le pieghe senza fare troppi danni, ma stirare è un’altra cosa. Una stiratura corretta implica una gestione del vello della stoffa, soprattutto sui pettinati scuri così in voga oggi. I superfinissati tipo “Tasmania” diminuiscono queste esigenze ed anche per questo sono così graditi alla confezione ed al su-ordinazione, Permettono un discreto effetto con poca fatica e mano d’opera non specializzatissima, ma l’eccellenza abita altrove. Chi ancora indossa tessuti ricchi di personalità e quindi di esigenze sa di cosa parlo. Il tessuto va inumidito e stirato con un panno e con ferro senza vapore, schiacciando il vello quanto basta per non far uscire il lucido, lasciando la stoffa vaporosa. Si devono inoltre restituire i volumi del bavero, ridisegnare la caduta della spalla. Ce la vedete la Vostra tintoria? Inutile andare avanti con questa umiliazione. A ciascuno il proprio mestiere. Ora però sapete che dopo ogni lavaggio, prima di indossare l’abito, esso dovrà passare per la sartoria. Ad un buon cliente un buon sarto non nega questi favori. Peraltro, con le cure che abbiamo visto poc’anzi, si tratterà di episodi molto rari. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-01-2004 Cod. di rif: 876 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Grazie del grazie - A L.M. Barone Commenti: Egregio signor Barone, La ringrazio del ringraziamento. Lei sintetizza ancor meglio di me il senso del lavoro che svolge l'uomo di gusto nella conservazione dell'opera artigianale. Nonostante i tempi siano sempre più orientati al consumo come valore in se stesso, noi Cavalieri siamo ancora all'idea semplice, quasi infantile, di comprare o meglio ordinare, dopo e secondo il bisogno. Poco lontano da noi, le necessità nascono solo dopo che che siano stati iniettati attraverso una risposta che li anticipa. Quanto al lustrascarpe romano, credo di averne sentito parlare, ma non ne so nulla da anni e una recensione appare quanto mai opportuna. Come ho sottolineato, la differenza delle tecniche non ha molta importanza, purché sia rispettata la natura e il futuro del pellame. Ci sono molti modi di pervenire ad una scrapa listra, ma alcuni la ammazzano prima del tempo. Non credo sia il caso dello scuscià capitolino. Diciamo che tutto è lecito, all'infuori di temperature elevate e sostanze coprenti al silicone. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-02-2004 Cod. di rif: 881 E-mail: Oggetto: Commenti: Egregio Pugliatti, purtroppo Mariano Rubinacci non ha una raccolta iconografica, ma solo degli antichi registri coi nomi dei clienti e i campioni tessuto corrispondenti ai capi confezionati per loro. Uomini dello spettacolo e della cultura, politici e moltissimi aristocratici. Recentemente Sergio di Yugoslavia raccontava a Mariano di un cappotto del Re Umberto, che credo sia stato suo nonno. Il capo era restato nel suo guardaroba senza essere stato mai toccato o modificato. E' bastata la richiesta perché il principe lo riportasse a casa. Messo sull'avviso, sono andato a fotografarlo la settimana scorsa ed ora, facendo onore alla Sua richiesta, estraggo dal mio archivio questa foto per sistemarla nel Taccuino. Buon divertimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-02-2004 Cod. di rif: 882 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Del polsino - A L. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, quanto al polsino le mie preferenze vanno alla finitura arrotondata. Non si tratta di un imperativo, ma le geometrie derivanti dal taglio netto ad angolo non incontrano il mio gusto. Mi sembra ispirato ad un rigore che non mi appartiene. Capitani d'azienda, politici e professionisti con necessità di sviluppare nell'abbigliamento una simbologia che evochi precisione, saranno di altro avviso e vanno compresi e apprezzati. Diciamo che un bordo arrotondato, smussato, richiama una personalità incline ai chiaroscuri e quella a spigolo una mente che sa sempre distinguere cosa fare. Chi privilegia il dubbio, scelga il primo, chi ha bisogno di certezze il secondo. Naturalmente si tratta di sofisticazioni estreme del linguaggio dell'abbigliamento, ma non credo siano eccessivamente campate in aria. Sempre riguardo al polsino, mi piace che vesta molto, che sia ricco e aderente, meglio se non irrrigidito da tele adesive. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-02-2004 Cod. di rif: 885 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualcosa da dire A L. Villa Commenti: Egregio Villa, il polsino diritto è da operaio, in quanto ha come archetipo le maniche della tuta. Un operaio è una gran cosa e molti sapienti si sono sempre fatti un vanto di considerarsi tali. Esso andrebbe bene per chi identifica la vita con il lavoro, cioè per un pensatore o un artista. Siamo però un pò fuori dai canoni estetici classici, che non prevedono questa finitura. Adottarla è quindi un rischio. Mentre scegliere tra il polsino ad angolo o arrotondato non comporta in nessun caso un erroe, ma al massimo il piacere di identificarsi con un dettaglio o quello di disinteressarsene, adottare il polsino dritto è una presa di posizione. Si esce dai banchi quado si vuole dire qualcosa e quindi sarà doveroso avere qualcosa da dire. Nel caso di Baudo, lasciamo perdere. Sparare sui cadaveri è un'attività disdicevole al lavoro dell'Ordine. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 06-02-2004 Cod. di rif: 886 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: lettera al Gran Maestro Commenti: 06/02/2004 Rispett.le Gran Maestro, dopo un anonima presenza nel sito da tempo, mi faccio vivo per la prima volta. Sono un grande appassionato del sartoriale napoletano e per questo motivo chiedo il programma per quest’anno e per i periodi successivi dei sarti Solito. Si può considerare la loro presenza ormai stabile a Bologna ? Racconto in breve la mia storia alla ricerca della giacca napoletana. Ho iniziato l’avvicinamento alla sartoria otto anni fa. In sette anni ho cambiato cinque sarti con i quali non sono mai riuscito ad avere una giacca stile Napoli. Con gli ultimi tre ho realizzato due capi ciascuno, ma nessuno di questi è riuscito a consegnarmi una giacca che mi piacesse fino in fondo. Un anno fa sono entrato in una piccola bottega di Roma che proponeva moltissimi tessuti con cui realizzare ‘su-ordinazione’ completi e giacche in un piccolo laboratorio di Napoli. Finalmente ora indosso una giacca che mi piace, indubitabilmente napoletana anche se non artigianale al 100%. Arrivo al dunque : è meglio frequentare una sartoria che cuce giacche che non piacciono o, per motivi di distanza, affidarsi al cosiddetto su-ordinazione per avere un capo interamente napoletano ? Certo della soluzione dei miei dubbi Distintamente La saluto. G.Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-02-2004 Cod. di rif: 888 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sorrentino a Sorrento Commenti: Egregio signor Migliaccio, a Sorrento è attivo il bravissimo Maestro Giovanni Sorrentino, capace e gentile. Ha il laboratorio in Via degli Aranci, con l'ingresso dal cancello che sorge in Via degli Aranci al n. 59, di fronte alla discesa di Via Fuorimura. Telefono: 081.8784106. Potrà senz'altro fare il mio nome. Buon divertimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 06-02-2004 Cod. di rif: 889 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Sui cappotti e i soprabiti Commenti: Egregio Gran Maestro, spero di non abusare della Sua pazienza. Desidererei farmi realizzare un cappotto per il prossimo inverno e, data la mia non piu' tenerissima eta', vorrei capitalizzare al meglio il mio danaro senza commettere ingenui errori. A tale scopo faccio appello al sapere Suo e del Professor Pugliatti. Vi sarei molto grato se poteste tracciare un excursus sulle fogge e i tessuti in cui e' meglio far realizzare cappotti e soprabiti, anche in in relazione ai differenti utilizzi, formali o sportivi. So di essere un po' troppo generico, ma ho ancora scarsa esperienza. Vi ringrazio per i lumi che saprete darmi. Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-02-2004 Cod. di rif: 890 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I Solito a Bologna - Al sig. Guarnaseri Commenti: Egregio signor Guarnaseri, spendere per qualcosa che non piace non è cosa buona. Si tratta di un caso che nella vita del cliente di sartoria capita inesorabilmente, ma non può essere la regola. Bisogna anche mettere in conto che ogni territorio, nel vino e nelle giacche, ha qualcosa da offrire. Non sempre è il meglio e non sempre è ciò che si desidera, ma forzare non serve a molto. Chiedere una giacca napoletana fuori da Napoli non può che portare ad atroci delusioni, ma accontentarsi di un su-ordinazione significa comunque bere brodo quando si è affamati di carne. Se Lei ha facilità nel raggiungere Bologna, potrà contare senz'altro su una presenza ancora costante del maestro Solito almeno per tutto il 2004. Con il Laboratorio di Eleganza che si terrà a Trivero il 9 Aprile 2004, presso gli stabilimenti della Vitale Barberis Canonico, si cominceranno a dividere le riunioni puramente tecniche da quelle a prevalenza di contenuti culturali e di ricerca. Le prime, destinate all'approfondimento della sartoria, ma anche alla pratica, cioè all'eventuale ordinazione di abiti, si terranno ogni due mesi, possibilmente nel secondo mercoledì, presso i locali della storica ditta De Paz in Via Ugo Bassi n. 4/D - Bologna. Di questi incontri tecnici, presto pubblicheremo un calendario. Posso già anticiparle che la prossima riunione coi maestri Solito e Dante de Paz è fissata per il 10 Marzo. Parallelamente ed indipendentemente andranno avanti altre riunioni, destinate ad approfondire temi monografici. Queste saranno itineranti. La più vicina nel tempo è prevista per il 4 Marzo da Marinella a Milano e si chiamerà NODI. Seguirà il 10 Marzo a Bologna un Laboratorio d'Eleganza tecnico, cioè senza un programma predefinito ed orientato alla consultazione diretta dei maestri. L'8 Aprile replica a Napoli dell'evento sui Nodi. Il 9 Aprile imperdibile visita ad unostabilimento tessile di grande tradizione e così via. Seguendo nell'area Eventi verrà a conoscenza di tutte queste attività e delle altre che seguiranno. Solito tornerà in ogni caso - cioè a prescindere da altre iniziative - a Bologna a Maggio, a Luglio, a Settembre ed a Novembre. Sia chiaro che l'Ordine non ha alcun interesse commerciale nella vicenda e si interessa solo che la qualità vera possa diffondersi verso coloro che la capiscono e che - in senso opposto - siano sempre in maggior numero coloro che capiscono la qualità e ne siano esigenti ricercatori. Potrà quindi sempre prescindere dal rapporto con l'Ordine e contattare di Sua iniziativa il maestro Solito. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-02-2004 Cod. di rif: 893 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualcosa sullo smoking - Al Cavaliere Carnà Commenti: Egregio Cavaliere Carnà, il bavero a scialle deve essere di ampio respiro, alto al collo, con una forma a pera di grande armonia o anse ampie come un’anfora. Si tratta di una difficoltà stilistica, non tecnica, che mette comunque fuori gioco quelle sartorie che non abbiano una specifica tradizione. Tecnicamente esse sono in grado di realizzare il capo, ma esso risulta privo della grazia. Sarebbe come affidare la cupola di una chiesa ad un capomastro e non ad un architetto. Ovviamente anche gli architetti possono disegnare un orrore o un’opera di mera compilazione, ma certamente una persona non in possesso di certe conoscenze non potrà realizzare il capolavoro. Il titolo di maestro dato agli artigiani sin dall’antichità ha qualcosa di iniziatico e si riferisce proprio al possesso di queste conoscenze. Non tutti i maestri hanno la dottrina sufficiente a spaziare in certi campi. Qualche esempio e la sicurezza del cliente possono però essere loro di aiuto. Spero di rintracciare qualche buona foto di smoking sciallati dal valore paradigmatico, onde sistemarla nel taccuino. Non sarà facile. E’ innegabile che un bavero a scialle, privo delle auree curvature, risulta povero e triste, mortificando la figura. Più sicuro il petto a lancia, dove si utilizzano schemi più usuali. Sistemo nel taccuino un incredibile smoking del 1933, indossato da Clark Gable, che coniuga le due tipologie. Sfoggia infatti i baveri della giacca a lancia e quelli del gilet a scialle. La migliore scelta per uno smoking invernale è un panno nero piuttosto brillante (come quello usato da Gable nella foto citata), splendido con i revers in raso. Io ne ho posseduto uno così e mi ci sono trovato straordinariamente a mio agio. Per un capo per tutte le stagioni è insuperabile la barathea, oggi difficilmente reperibile. Come ho più volte ricordato, l’unico fabbricante che io conosca a produrla ancora – in una straordinaria qualità- è Vitale Barberis Canonico. Questo tessuto viene ancora prodotto anche nel blu-midnight, simbolo evocatore di favolose notti anni cinquanta-sessanta. Si abbina anche ai baveri in gros-grain, meno brillanti. Sullo smoking e abiti da sera scrissi anche un articolo per la rivista MONSIEUR, citato nel Florilegio col titolo: “Così uguali, così diversi”. Rimando a questa lettura per un approfondimento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 09-02-2004 Cod. di rif: 895 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Ringraziamento a- alla c.a. del G.Maestro Commenti: Egr. Gran Maestro, La ringrazio per la cortese lettera di risposta. Quello che mi frena un po’ dal lanciarmi nell’avventura con i sarti Solito è la mancanza di un rapporto di vicinato. Faccio un esempio : se mi si scuce una tasca, se devo stringere un panatalone, come fare ? Attendere ogni volta parecchio tempo è condizione obbligata. Anche una simpatica idea su di un bottone o una modifica su di un particolare diventano difficili vero ?! La scelta è tra un qualcosa che non è superlativo vicino a casa o tra un bel capo avuto soggiacendo a scomodità e rinunce. Non si può aver tutto…. Lei cosa consiglia ? I miei più cordiali saluti unitamente ai più sinceri complimenti. Giorgio Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-02-2004 Cod. di rif: 898 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un episodio o un diario? - Al sig. Guarnaseri Commenti: Egregio signor Guarnaseri, in sartoria non si va per una giacca, ma per un guardaroba. Dicesi guardaroba quell'organismo sempre mutevole composto di volta in volta dalla gamma organica degli strumenti che permettano di tradurre ed esprimere la propria personalità nel linguaggio non verbale dell'abbigliamento. Una giacca è un episodio, il guardaroba è un diario. Se il Suo scopo è acquistare una giacca, i problemi potrebbero essere sprorporzionati allo scopo. Se invece sente che il Suo destino è quello di possedere un guardaroba, le difficoltà fanno parte del gioco e imparerà da solo prima a superarle, poi ad ignorarle. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-02-2004 Cod. di rif: 899 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lettera ad un neofita - Al sig. Migliaccio Commenti: Egregio signor Migliaccio, la Sua emozione sarà un buon innesco per il talento del bravissimo Sorrentino. Quanto al tessuto, per il momento scelga in sartoria. Un sarto non consiglia mai un tessuto che gli faccia fare cattiva figura. Quanto alla selezione dlla stoffa in sartoria, essa è un limite in termini di scelta e di divertimento. L'offerta di un normale laboratorio è limitata a pochi tagli, cui si affiancano le tirelle di alcune case già collaudate. Per chi vuole divertirsi su tipologie rare ed è in grado di distinguere la qualità anche da solo, è inevitabile cercare anche qualcos'altro. Per Lei, dichiaratamente neofita, sarebbe invece pericoloso. Potrebbe innamorarsi del tessuto sbagliato. Segua i consigli del maestro e si troverà bene. Io Le consiglio per il blu estivo un ritorto a due o meglio tre capi da circa 8,5 Ozs, quindi piuttosto leggero, da cucire sfoderato. In subordine un mohair. Il sarto non sarà daccordo, La metterà in guardia sulle spigolosità di questi tessuti e Le proporrà una saglietta brillante. La prima è la scelta del comfort e della durata, dei materiali virili e della tradizione, la seconda quella dell'effetto immediato, dell'impatto sicuro ed aggiornato. Lei già sa da quale parte troverà me, mentre io non so quale sia la Sua strada. Lei a questo punto si troverà nel dubbio: il Gran Maestro Le aveva dato quel consiglio, ma il sarto Le mostra tutt'altra cosa. Credo che il consiglio di chi è presente sia destinato a prevalere su quello di uno sconosciuto lontano. Quando avrà davanti la mazzetta dei ritorti, ruvidi e brutti di fronte alle saglie seducenti, lasci a me assente una possibilità di rientrare in gioco. Si faccia mostrare anche un lino irlandese, purché non in mazzetta. Tocchi una giacca o un pantalone di un altro cliente o un vecchio taglio. Non si preoccupi se il colore è diverso, è solo per vedere l'effetto che fa. E' essenziale che la stoffa sia in superfici ampie e non in tirella. Che la tocchi e la soppesi per valutarne alcune caratteristiche indescrivibili: il peso specifico e la freschezza sono quelle del più nobile dei metalli. Diversamente, se cioè non fosse possibile ottenere un incontro ravvicinato del terzo tipo, si riservi quest'esperienza per una prossima volta. Forse è prematuro, ma se scatta l'amore a prima vista, lo segua senza tentennamenti, altrimenti lo lasci lì e non lo guardi più. Il lino si ama o si ignora e in ciascuno dei due casi è per sempre. Per ultimo, poiché il Suo cognome e la Sua domanda sul sarto sorrentino mi fanno capire che abiti in Campania, quando dovesse trovarsi a Napoli sarò felice di accompagnarla in un tour tessile da un grande drappiere cittadino, allo scopo di gettare le basi di una conoscenza autonoma. Non avrà alcun impegno ad acquistare, sia chiaro. Faccia conto che si vada ad un concerto, ma non c'è alcun biglietto da pagare e la musica che si suona non la possono udire tutti. In cambio le chiedo di eseguire alla lettera le mie istruzioni sulle richieste, di fare poi di testa Sua sulle scelte e infine di riferirmi com'è andata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 10-02-2004 Cod. di rif: 901 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Parole di aiuto - alla c.a. del G.Maestro Commenti: Rispett.le Gran Maestro, la Sua lettera mi conforta e mi da la carica. Oltre a scegliere un capo giusto e bello, deve capire che sono molto gratificato dall’avere un rapporto lungo e affiatato con il sarto che costruirà il mio guardaroba. I dubbi che avevo con i maestri Solito derivano da quest’idea. E’ un po’ come dire : cavolo che buona questa torta ! ma non so se potrò più mangiarla … Certo è che le Sue parole mi inducono a credere che quello che desidero è possibile realizzarlo con i maestri napoletani. Sarebbe una gran felicità ! Vero ? Se proprio non dovessero più venire a Bologna è ipotizzabile un rapporto telefonico con qualche sporadica visita a Napoli ? Come altro impostare ? In attesa di sempre gentilissima Sua, cordiali saluti e ringraziamenti. G.Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-02-2004 Cod. di rif: 904 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tutto già fatto - Al sig. Guarnaseri Commenti: Egregio signor Gattagrisi, un incredibile Laboratorio sulla Camicia si tenne a Napoli il 16 Marzo del 2001. Da Londra avevamo invitato la storica casa Turnbull & Asser, che inviò ben tre uomini e si comportò molto bene. Avevamo scelto anche un campione napoletano nella camiceria Merolla & De L'Ero, allora quasi sconosciuta ed oggi, a testimonianza del fatto che avevamo visto giusto, tra le più prestigiose della città. Al proposito veda la nostra sezione sugli Eventi passati. Quanto ai tiranti che sostituiscono cinture e bretelle, un particolare del genere è illustrato e pubblicato nelle scene del Laboratorio d'Eleganza del 12 Novembre 2003. Dopo un paio di sessioni presso manifatture laniere, accoglieremo la Sua istanza e torneremo ad occuparci di camicie, sia come materiali che come stili. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-02-2004 Cod. di rif: 906 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Monogamia - Al sig. Guarnaseri Commenti: Egregio signor Guarnaseri, è giusto pensare al rapporto con il sarto come a qualcosa di duraturo. In effetti, buona parte del piacere della sartoria deriva dalla ricchezza umana che il cliente trova man mano nella tradizione, nel gusto di indossare lavoro e non denaro, nel maestro che lo guida e infine dentro se stesso. Lo spessore umano del sarto è quindi un fattore determinante ed in questo Gennaro Solito ha le carte a posto. Proprio perché si spera di trovarsi bene sul piano della relazione, non si vuole andare incontro alle delusioni di una separazione. In questo meccanismo, perfettamente giustificabile, deve però inserire il correttivo della saggezza e dell'esperienza. Un uomo può essere monogamo e solo i monogami sono felici. Mai però ci si serve dallo stesso sarto per tutta la vita. Spesso un cliente di sartoria ne ha più di uno contemporaneamente (come è il mio stesso caso) e/o li cambia col cambiare della residenza, del gusto, delle necessità. Si affidi quindi alla Sua storia personale, la inizi per poterla proseguire. Molte saranno le insidie che Poseidone Le innalzerà avanti, invidioso della Sua fede. Qualche anno lo ha già passato con Nausicaa, ma la Sua isola La attende e se non la troverà come pensava, si guardi indietro: i ricordi e le conoscenze che ha accumulato saranno una ricompensa sufficiente per le energie spese ed il viaggio sarà stato premio di se stesso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-02-2004 Cod. di rif: 907 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gratitudine - Ai paladini dell'evento "NODI" Commenti: Egregi Visitatori, i Cavalieri ed i simpatizzanti registrati hanno già avuto comunicazione delle date definitive delle giornate sulla cravatta che avevo annunciato. Un'area della pagina Eventi è stata dedicata a questi lavori, che andranno sotto il nome di "NODI - Tecnica e psicologia della cravatta". Alcuni esempi, presi dall'invito ufficiale alle manifestazioni, già preparano al dibattito e illuminano l'infinito che si nasconde dietro certi particolari. Le date sono slittate di una settimana rispetto alla mia promessa: primi di Marzo e di Aprile invece che ultimi di Febbraio e Marzo. Non ho scuse per questo. I capi non ne hanno mai. Farò però in modo che sia l'unica mancanza. Mi rivolgo quindi agli undici tempestivi paladini che nei tempi previsti sottoscrissero la manifestazione secondo quanto suggerito da questa Lavagna al gesso n. 767 e cioé nell'ordine: Andrea Rizzoli,Paolo Liberati, Italo Borrello, Andrea Girometta, Marco Clerici, Franco Forni, Tommaso Carrara, Lorenzo Villa, Gianluca Chiusa, Giampaolo Marseglia e Michael Alden. Da tutti ho ricevuto i dati che avevo richiesto ed oggi mi recherò da Marinella per scegliere personalmente le sete e indirizzare la confezione delle loro cravatte. Saranno consegnate in occasione degli eventi o - in caso di assenza - spedite successivamente a domicilio. Già prima della confezione, farò aprire una sezione speciale nell'area dedicata all'evento in cui pubblicare le caratteristiche delle cravatte, affinché i destinatari possano pregustarle. Tale è la gratitudine che l'Ordine riserva a chi crede nel suo lavoro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 12-02-2004 Cod. di rif: 909 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Grazie. Qualche spiegazione. - Alla c.a. del G.Maestro e del Commenti: Gent.li G.Maestro e dr. L.Villa, Vi ringrazio per le Vostre splendide parole. Non nascondo e non faccio torti nel dire che i Vostri scritti sono sempre tra i più acuti del sito. E’ un grande onore leggerVi ! In riferimento alla cortesissima risposta del G.Maestro mi permetto di chiedere alcune spiegazioni che sfuggono alla mia comprensione. Soprattutto la seconda parte della lettera non mi è chiarissima…chiedo scusa per questo. Io comunque gradirei iniziare con un maestro e mantenere solo questo per lungo tempo, sempre se possibile e se non succede niente. I miei ringraziamenti G.Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-02-2004 Cod. di rif: 912 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capirà da solo - Al sig. Guarnaseri Commenti: Egregio signor Guarnaseri, la Presidenza è una carica che esprime la migliore opportunità ed è quindi relativa ai tempi quanto e più che alla persona. Un Gran Maestro ricopre un ruolo di guida che è basato sull'affidamento e sul riconoscimento di alcune qualità intrinseche. Se non si è pronti ad agire, le parole che spingono all'azione non risulteranno chiare. Non spiegherò quindi la metafora con la quale Le prefiguravo la Sua possibile storia futura e dissimulavo la passata e presente. Se e quando quella storia Le apparterrà, ciò che ho detto Le sarà chiarissimo. Quelle parole non andranno comunque perdute, perché nulla si perde. Già risuonano in qualche altro orecchio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-02-2004 Cod. di rif: 916 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Agli undici Paladini, da Rizzoli ad Alden Commenti: Egregi signori, Voi per primi aderiste al progetto di una riunione cavalleresca sui nodi di cravatta ed il loro linguaggio. Per commemorare questa tempestività, nell'area degli Eventi dedicata al breve ciclo è stata aperta una sezione a Voi dedicata, con la storia dell'evento e delle cravatte che, forse più di ogni altra cosa, lo ricorderanno. Saranno consegnate da Maurizio in persona e recheranno un certificato storico con la data, le misure, una descrizione del tessuto ed il destinatario. E' tutto. Il resto lo diranno le cravatte, a Milano ed a Napoli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Andrea Girometta Data: 13-02-2004 Cod. di rif: 918 E-mail: andrea.girometta@tin.it Oggetto: Commenti: Con la presente desidero ringraziare il Gran Maestro Maresca e il dottor Marinella per lo splendido regalo che mi è stato destinato. Questa cravatta, c'è da starne certi, è destinata a diventare uno dei pezzi più pregiati della mia collezione e nelle occasioni in cui mi capiterà di indossarla sarà sicuramente un interessante argomento di conversazione, tanto per i pregi, che mettono d'accordo tutti quando si parla di cravatte , quanto per la storia particolarissima alla quale è legata. Mi ha molto colpito, nella sezione dedicata all'evento, il profilo che il Gran Maestro è riuscito a tracciare dei miei gusti e della mia personalità pur senza avermi mai conosciuto di persona. Forse non ha la sfera di cristallo, ma poco ci manca... Rinnovo il mio ringraziamento e vi porgo i miei più Cordiali saluti. Andrea Girometta ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-02-2004 Cod. di rif: 919 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I compiti del Gran Maestro - Ad A. Girometta Commenti: Egregio signor Girometta, un Gran Maestro deve fare due cose: conoscere gli uomini e viaggiare. In caso di bisogno, aiutarsi con sfere di cristallo. Quanto alla Sua cravatta, se ci pensa non è un regalo, ma un fenomeno che contribuisce a creare l'atmosfera dell'evento. Il Cavalleresco Ordine non organizza cenette per parlare dei colleghi, ma brevi momenti di coscienza. Per concentrare in un punto la luce che nell'Universo è così comune e si disperde in ogni direzione, un laser utilizza meccanismi complessi ed enormi quantità di energia. Allo stesso modo, per creare un attimo in cui la cravatta sia veramente protagonista non basta organizzare un buffet e chiamare qualche ospite importante. Come il carbone è fatto di carbone, la storia è fatta di storie. Quella della sua regimental è una storia che durerà decine di anni e sarà servita a illuminare due ore di conversazione, oppure sarà il contrario? Saluto Lei e tutti coloro che sono in attesa dell'evento, anche a nome dell'indicibile Maurizio, che da fuoriclasse qual'è salirà sul ring all'ultimo momento e ci metterà tutti knock down. A presto Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 14-02-2004 Cod. di rif: 922 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: ringraziamenti e dilemmi Commenti: Egregio Gran Maestro, innanzitutto La ringrazio per l’onore ed il piacere di essere tra i fortunati paladini del prossimo Evento in tema di cravatte; La prego inoltre di trasmettere analogo ringraziamento a Maurizio Marinella, insostituibile compartecipante alla suddetta iniziativa. Colgo quest’occasione di contatto telematico per proporLe un quesito: è conoscenza diffusa che un uomo elegante debba evitare le parures combinate cravatta-pochette realizzate nel medesimo tessuto, ed in realtà dette amenità mi sembrano scomparse sia dalle vetrine, sia evidentemente dai guardaroba maschili (spero di non peccare d’eccessivo ottimismo). Però mi chiedevo proprio ieri, dinanzi alla vetrina di un piccolo, ma interessante negozio napoletano, il divieto d’utilizzo su descritto va applicato anche ad altre eventuali combinazioni di accessori? Nella fattispecie ho notato una combinazione di berretto - tipo driving cap - e di sciarpa nel medesimo tessuto, cioè un classico pettinato con fondo beige e fitta finestratura verde e bordeaux. Per un abbigliamento da giorno sportivo in senso classico, ben lontano dalle plastiche tecnologico-giovanilistiche che oggi imperano, il suddetto cappello con la sua sciarpa abbinata mi sembravano interessanti; però non ho saputo darmi una sicura risposta al timore di un’eccessiva leziosità della descritta combinazione a causa appunto dell’identicità di tessuto. Qual è il Suo parere in merito? Anche al di là dell’esempio proposto, quale dovrebbe essere il campo di validità della norma in questione? Grazie di tutto e cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-02-2004 Cod. di rif: 923 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pionieri - Al cavaliere G. Marseglia Commenti: Egregio Cavaliere, rispettando la ripartizione da Lei stesso proposta, divido la risposta in due tomi. I ringraziamenti _______________ Il modesto riconoscimento che Le è stato tributato non va ascritto alla fortuna, ma alla costanza con la quale segue il lavoro dell'Ordine. Le propongo una metafora, che forse permetterà di comprendere alcuni fenomeni che si verificano nei rapporti con l'Ordine e che talvolta sorprendono. Questo nostro castello è un avamposto del gusto in pieno territorio dell'approssimazione. Ebbene, le frontiere sono sempre ricche di opportunità. Dove si combatte e si fa la storia, l'imprevedibile è all'ordine del giorno. A costo di grandi rischi e fatiche, i pellegrini giungono in queste zone vergini, dove possono piantare un paletto e sentirsi a tutta ragione dei pionieri. Lei potrebbe chiedermi dove siano i rischi e le fatiche. Ebbene, non debbo dirlo a Lei che conosce il WEB molto meglio di me. E i congiuntivi, le maiuscole, dove li mettiamo? Questi dispositivi della lingua che altrove sono sconosciuti o mal utilizzati, qui sono la regola. Forse qualcuno era riuscito a portarli così lontano? Qualcuno, non importa chi, ha alzato le mura, ma Voi tutti siete giunti all’accampamento con le Vostre forze, ciascuno con un prezioso bagaglio. Solo così esse hanno trovato uno scopo. Quanto ai rischi, chi arriva qui firma col proprio nome e cognome e, poiché si parla spesso di argomenti molto sofisticati, si espone alle critiche dei moralisti in agguato. Degli approssimativi, appunto, che ci assediano da ogni lato. Un piccolo trofeo, un’inaspettata conquista, sono una cosa normale per chi veglia in armi e affronta strade non battute. Il dilemma __________________ Sinceramente, nel caso del guardaroba maschile guardo con sospetto ad ogni composè, anche a quello che si ritiene tanto raffinato tra scarpa e cintura. Il primo esempio che Lei porta, quello della pochette e cravatta, è stato messo al bando in modo così radicale da diventare paradossalmente simpatico. Dalla persecuzione alla santità non ci corre molto e devo dirLe che ho visto e sentito recentemente di uomini radicalmente raffinati che stanno indossando calzini corti. Come sempre dobbiamo quindi lasciare il beneficio dell’improvvisazione e della personalizzazione. Cerco sempre di evitare i consigli e le condanne. Mi interessano invece le leggi. Non quelle di tipo giuridico che affibbiano sanzioni, ma quelle di tipo grammaticale, che chiariscono ruoli e funzioni. Che cosa scatta in Lei o in me, cosa ci fa esitare di fronte all’accoppiata cappello-sciarpa, che pure appare appetibile? Deve esserci nell’aria qualche principio astratto che impedisce di fruire dell’oggetto concreto. Vediamo se riusciamo a condensare questo vapore in qualche concetto. 1-Problemi di storia. Un abbinamento preconfezionato dichiara la contemporaneità dell’acquisto e priva l’abbigliamento di una componente evolutiva. Conosciamo bene questa necessità o gratificazione nel riconoscere una storia in ciò che vediamo. E’ infatti la stessa che ci fa ammirare più una casa costruita in cinquanta anni che una arredata in sei mesi. 2-Problemi di personalità – Un composè visto in vetrina è stato ideato da qualcun altro e non realizzato in proprio. Affidarsi al gusto altrui Le fa avvertire quella sensazione che potremmo dire “del salto nel buio” e l’ha fatta esitare. Lo stesso avviene per molti altri. 3-Problemi di rigidità. L’eleganza è inafferrabile. Su questo tutti concordano e ciò vuol dire che si manifesti in modo fluido. Una colonna vertebrale è cosa ottima in un orso, ma pensiamo di inserirla in una medusa o in un polpo e la loro grazia si andrebbe a far benedire. Un coordinato ha esattamente questo aspetto rigido, in quanto si impone all’occhio. C’è nella fissità del coordinato qualche cosa della divisa, il che ingenera ulteriori dubbi. 4-Problemi di analogia. E’ quello di cui dicevamo all’inizio. Lei lo avverte come problema primario. Qualsiasi gemellaggio richiama quello, decisamente e ripetutamente stigmatizzato, di pochette e cravatta, ma anche quello di pantaloncini e camicetta hawaiana. Forse sin qui la mia risposta, che non ha voluto sovrapporsi alla volontà ed al gusto Suo e di nessun altro, l’avrà delusa. Lei mi chiedeva un divieto o una licenza ed io sono obbligato a restare nel petitum. Non volendo vietare, se non in presenza di estremi più gravi, la mia è una licenza. Con una raccomandazione, però: stia attento a non spararsi sui piedi e quanto a questo si fidi della Sua sensibilità. Sbagliare non è grave, accade a tutti in tutto. Se una volta indossati sciarpa e cappello dovesse avvertire sintomi di rigetto, li rispetti immediatamente. In caso contrario, Lei avrà segnato un punto per la squadra meno favorita. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-02-2004 Cod. di rif: 925 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abracadabra - Allo Scudiero Carrara Commenti: Egregio Scudiero, tranne il signor Girometta, conosco personalmente tutti i Paladini. Alcuni di essi, come Borrello, Liberati e Clerici, negli ultimi mesi sono entrati a pieno titolo nell'Ordine, ma con essi già intrattenevo rapporti da anni. Tutti hanno risposto con meticolosità alle mie domande. Con Maurizio abbiamo concordato questa linea generale: quanto alla lunghezza, essa è proporzionata prima all'altezza e poi alla distanza tra cintura e collo. In tal modo, chi è alto non potrà mai avere una cravatta media, da da 145 cm, anche se porta i pantaloni a vita così alta da avere lo stesso spazio libero di camicia. Si calcolano anche le necessità di un collo imponente rispetto ad uno sottile. Se criteri stilistici consigliano una gamba sottile, la cravatta si riduce di uno o due centimetri ancora. Infatti una cravatta da 9,5 cm si giova di avere gamba e gambetta della stessa lunghezza, mentre un piccolo scarto tra di esse gioverà in una cravatta stretta e così via. Ci sono in questo dei motivi estetici e storici che esamineremo in altra sede. Come abbiamo detto, la larghezza è data da criteri stilistici. Ogni tentativo di spiegarli tramuterebbe l'oro in sabbia. Lei è perfetto per la cravatta a bottiglia, rigorosa in alto e rilassata in basso. Come quella che porta Clark Gable nella foto già commentata nell'area Eventi e che sarà in copertina sui bellissimi inviti che l'Ordine ha predisposto per questa doppietta di incontri senza precedenti. Come Socio, lo riceverà d'ufficio entro Martedì 24 p.v. La Sua statura permetterebbe di tenere la lunghezza ancora più ridotta, ma abbiamo dato un paio di centimetri in più per consentire anche qualche nodo a doppia passato o più elaborato. Anche per questo il materiale è una saglia da 36 once. Pe3sante, ma non troppo e soprattutto non rigida come un reps o una lana, che non permettono certe evoluzioni. Se dovessimo tradurre tutto quanto è stato detto da Voi nelle lettere, elaborato da noi a Napoli e poi confrontato con Patrizia, l'artigiana destinata ai lavori più complessi, ci si dilungherebbe un pò troppo ed inutilmente. Qui si parla di magia e le formule magiche brillano per concisione. Abracadabra. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 931 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'unica legge del Maresca - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, la giacca sfoderata è un virtuosismo tecnico ed un gran piacere, ma non copre tutti i ruoli. Tenga sempre presente la prima ed unica legge del Maresca: L'Uomo di Gusto non ordinerà ciò che gli piace, ma cio che più gli piace tra quanto gli occorra. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 932 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il potere della bellezza - A D.Leonardi Commenti: Egregio Leonardi, Solito mi ha detto molto bene di lei. Lei mi dirà che un uomo di valore parla bene o non parla affatto. E' senz'altro così, ma il fatto che il maestro non abbia scelto questa seconda opzione è comunque significativo. Plaudo alla prossima nascita di questi due nuovi abiti di lino. Ripeschi in questa Lavagna il mio breve tomo sulla manutenzione del guardaroba, che tra l'altro parla specificamente del lino. Stoffa regale, essa soddisfa gusti che hanno saputo scandagliare la grande tradizione e sanno ascoltare direttamente il tessuto senza concedere spazio ad altre banalità. Essi non arricchiranno solo il Suo guardaroba, ma noi tutti e l'intero Universo. Tale è il potere della bellezza elevata a potenza dal significato. Un abito di lino blu. Ne ho avuti due ed uno di essi è ancora in servizio attivo. Scelga bene la nuance e si provveda di un segmento utile a confezionare un collo di ricambio per i momenti difficili. Lo farà lavare ogni tanto, per scolorirlo parallelamente al capo finito. Per il secondo abito, Le propongo un colore che ai tempi della mia gioventù era comune. E poi è scomparso totalmente ed improvvisamente come se fosse stato vietato per legge. Il che non è escluso, vista la perversa vena limitativa che in tempi di approssimazione resta sempre la stessa, anche cambiando i governi. Un colore del quale vestivano tutti i signori napoletani che nel fine settimana venivano ad aprire le loro case a Sorrento, dove io vivevo. Si abbinava a scarpe bianche di tela o scamosciate e spesso alle calze bianche oggi odiate da improvvisati giudici che della grandezza e della miseria umana hanno visto così poco. Parlo del celeste, colore dell'aria e quindi simbolo di aspirazione e trascendenza, di levità e trasparenza. Come le sembra? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 933 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Abito doppiopetto Commenti: Il.mo Gran Maestro, alcuni giorni fa ho rinvenuto tra i vecchi bauli di mio padre alcuni tagli di stoffe acquistati nel corso degli anni e mai utilizzati. Si tratta di un vero e proprio tesoro di fantasie e varietà a cui non pensavo di poter attingere e di cui mio padre stesso si era colpevolmente obliato. La colpa è grave e merita una condanna a cui spero che Lei da Avvocato non si opponga: il sequestro immediato del “tesoro”. Pur tra le diversità un minimo comune denominatore, il peso medio delle stoffe, sempre elevato caratteristica questa che ho imparato ad amare quasi fosse un imprinting familiare. Volendo nel corso degli anni donare la vita a queste affascinanti pezze ho deciso di iniziare facendomi confezionare un abito doppio petto con una stupenda grisaglia scura sul tono del piombo Scabal dal peso di 14 once. Non essendo particolarmente uso al doppio petto (l’ho sempre un po’ temuto), sono a domandarLe qualche prezioso consiglio al fine di indirizzare l’opera del sarto, tenendo conto delle mie caratteristiche fisiche. La mia preferenza è orientata per il sei bottoni, considerando il quattro bottoni o il sei stirato quattro troppo “aperta” per un busto non troppo sviluppato in senso verticale come il mio. Perdonerà la mia richiesta molto generica e non specifica su di un particolare, ma vorrei conoscere il Suo prezioso parere sulle caratteristiche generali di questa affascinate foggia. Na approfitto per ringraziarLa dei suggerimenti pregressi, ho ritirato da poco il due pezzi in thornproof per le cui specifiche mi ero servito della Sua guida e devo dire che il risultato è eccezionale, in particolare i risvolti dall’aspetto a “panino imbottito” sono splendidi. RingraziandoLa la saluto cordialmente, Con stima Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 934 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dimenticavo le fogge - Al sig. leonardi Commenti: Egregio Leonardi, oltre al materiale, Lei mi chiedeva un parere sul modello. Immagino che si stia parlando di un lino blu che aveva già in mente e di uno celeste secondo quanto suggerito al gesso n. 923. Ebbene, farei confezionare il primo con tasche applicate e doppia impuntura alla napoletana. Per il secondo, visto che si tratta già di un colore fuori dal registro comune, mi terrei più "mimetico" e sceglierei tasche a filo, rinunciando anche alla doppia impuntura. Le giacche, entrambe a tre bottoni e spacchi laterali, vanno sfoderate completamente, anche alle maniche. Bottoni in madreperla. Pantaloni superclassici con due coppie di pinces e tre di tasche, particolarmente ampi al grembiule ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 935 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ulteriore approfondimento - Allo scudiero Chiusa Commenti: Egregio Scudiero Chiusa, vorrei discutere della scelta di far confezionare il primo doppiopetto in grisaglia. Prima di andare avanti, mi chiarisca e si chiarisca quale delle due situazioni è in atto: 1) Lei avverte che è giunto il momento in cui desidera veramente un doppiopetto. Contemporaneamente ha reperito il tesoro paterno. Essendosi innamorato della grisaglia, ha sovrapposto il primo desiderio ad un secondo, quello di utilizzare il tessuto che più Le è piaciuto. In questa situazione abbiamo precedenza della volontà stilistica sul gusto per il tessuto. 2) Lei si è innamorato della grisaglia e toccandola ha sentito che questo tessuto andrebbe bene in doppiopetto. L'ordine di priorità è ribaltato: prima vogliamo un abito che sia di grisaglia e poi ne assecondiamo ciò che essa stessa sembra dirci. Attendo chiarimenti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 936 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Riflessione sull'abito a doppio petto Commenti: Gent.mo Gran Maestro, la Sua capacità di analisi, oltre alla Sua scienza ed esperienza mi hanno condotto all'esame di coscienza stimolato dal Suo gesso.Il risultato è il primo da Lei indicato:l'elemento preponderante è la volontà stilistica,il desiderio din un doppio petto,foggia a cui credo (ma posso sbagliarmi) che la splendida grisaglia, così understate ma allo stesso tempo espressiva,si adatti alla perfezione. Attendo impaziente i Suoi preziosi consigli Suo Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 937 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non ci sono alternative - Allo Scudiero Chiusa Commenti: Egregio Scudiero, come tutti i linguaggi, quello del vestire meglio si padroneggia quante più cose si conoscono e si sanno vedere. Tra queste, la più importante è se stessi. I nostri gusti ci offrono le chiavi della coscienza e ci aiutano in insospettate conquiste. Bene, come ha capito io avevo già capito che la Sua situazione era la prima e proprio per questo non ho voluto assecondare la scelta, che trovo prematura. Lasci la grisaglia dov'è, assecondi e viva questa stagione del doppiopetto, ma non mescoli l'acqua e l'olio sovrapponendo ciò che Lei è a ciò che ha. La priorità è quella di avere un doppiopetto. Questo gran passo in avanti ci permette di procedere col giusto abbrivio verso la giusta soluzione. Un doppiopetto di grisaglia lo vedo prematuro e come tale inadeguato. Le prescriverei una flanella grigio medio, con una leggera tendenza al chiaro-luminoso piuttosto che al piombo scuro del taglio in Suo possesso. Flanella rigorosamente cardata, a pieno vello e di buon peso. Sei bottoni, petto Caraceni con leggera imbananatura e lance angolate. Purtroppo non ci sono alternative. E'questo il capo per Lei. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 938 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Abito doppio petto Commenti: Gent.mo Gran Maestro, come allievo segue la guida in cui confida, così farò, cercando una flanella con le caratteristche che Lei mi ha indicato e riponendo la grisaglia nel baule, in attesa del momento opportuno e della mia crescita nella capacità di declinare i tessuti. Le chiedo solo un'ultima cosa, Lei cosa intende per petto Caraceni con leggera imbananatura e lance angolate?La terrò informata sugli sviluppi. RingarziandoLa ancora una volta di più, Le porgo cordiali saluti Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 940 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Teoria mionima dei doppipetto - A G. Chiusa Commenti: Egregio Scudiero Chiusa, le giacche a doppiopetto possono classificarsi secondo una ripartizione tre volte duplice: 1) Secondo l'abbottonatura: a quattro o a sei bottoni. Qui poi abbiamo una successiva suddivisione in giacche abbottonate alla coppia bassa o alla coppia alta di bottoni, ovvero con l'interno ad un'altezza e l'esterno ad un'altra come fece in pratica solo il Re dei Re, unico ed incompreso. Su questo solo dettaglio ci sarebbe da redigere un intero capitolo sui significati subliminali ed estetici della scelta. 2) Secondo il profilo del bavero. Può essere rettilineo, soluzione generalmente usata dai sarti inglesi, con l'autorevole eccezione di Anderson & Shepard. Può essere convesso, come usa un pò tutta la dinastia dei Caraceni. In tal modo si offre un bavero importante per superficie, ma si evita che in alto la lancia che arrivi a coprire troppo il petto. 3) Secondo l'ansa di connessione tra collo e bavero, che se inclinata genera una lancia orientata in alto. Se è orizzontale o quasi, genera una lancia piatta o quasi. Quest'ultima soluzione è inevitabile su giacche molto accollate e dai baveri corti, poco sciallati. Visitando le foto del Taccuino si farà un'idea delle tipologie e dei loro effetti. Rivisiti qualche foto di Agnelli e lovedrà quasi sempre col bavero imbananato (termine, ovviamente, di mia estemporanea creazione) e sempre con le lance in resta. Il Duca ama le lance piatte. Sono pur sempre delle armi, ma in posizione di difesa e non di attacco. Fred Astaire, in una foto di cui non saprei darLe l'indirizzo, ma si trova nel nostro taccuino, indossa proprio un abito proprio come quello che Le ho consigliato. Cerchi e lo troverà. Magari ne riparleremo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 943 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Fred Astaire in doppio petto Commenti: Nobile Gran Maestro, la Sua lanterna sta illuminando la mia oscurità.La foto che Lei mi ha indicato è per caso quella riportata alla pagina 31 del Taccuino dal titolo "Fred Astaire negli anni 50"?Mi sembra infatti che in tale abito il profilo del bavero non sia rettilineo ma abbia effetivamente la forma di una banana e che le lance siano orientate verso l'alto, in resta.Non si vede però l'abbottonatura, debbo supporre sia alla coppia bassa di bottoni? Con ammirazione Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 944 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Esempi - A G. Chiusa Commenti: Egregio Scudiero Chiusa, ho verificato. La giacca è proprio quella. E' un sei bottoni, ma mi sembra allacciato alto. La forte apertura sulla camicia è ottenuta con una insellatura anche del lato interno dei quarti, secondo uno stile in voga a quell'epoca. Ai nostri occhi non più abituati a questi effetti può apparire un errore, ma non lo è. Credo che si tratti di un buon punto di partenza. Al foglio 17 del taccuino troverà una foto ancora più indicativa, perché perfettamente attuale. Il doppiopetto indossato da Francesco Barberis è proprio quello che avevo in mente per Lei. Francesco condivide con lei i capelli chiari ed è di età e corporatura vicina alla Sua. Lì potrà vedere se la strada è la Sua o mi sono sbagliato. Sia chiaro che non si tratta di imitare Barberis, ma di trovare degli esempi di un capo che non abbiamo inventato né io, né lui, né Astaire, né l'Avvocato. Un caposaldo del guardaroba maschile, chiaro nell'esprimere una volontà di rigore, una fede in se stesso e nei valori forti, una tendenza ad assumere posizioni decise, ma allo stesso tempo estremamente duttile negli utilizzi quotidiani. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 19-02-2004 Cod. di rif: 945 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: La retta Via del Doppiopetto Commenti: Gent.mo e insuperabile Gran Maestro, grazie a Lei ho trovato la retta via. L'abito indicatomi alla pagina 17 del Taccuino rappresenta ciò che desideravo, ma che non sapevo di desiderare. Lei non solo mi ha indicato ciò che era meglio per me, ma anche ciò che immaginavo senza riuscire a darvi forma. Il modello indossato da Barberis sarà l'esempio su cui realizzare il mio completo. Inizio ufficialmente la caccia alla flanella adatta seguendo i Suoi dettami. Con ammirazione e stima Suo Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-02-2004 Cod. di rif: 948 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ho qualcosa per Lei - Al cav. Carnà Commenti: Egregio Cavaliere Carnà, Dante è un uomo fuori del comune. E' un nostro Fondatore e Costituente e Lei, essendo giunto a reggere la spada cavalleresca, appartiene alla sua stessa schiera. Non si meravigli dunque se ha trovato un'immediata intesa. Uno dei nostri scopi è proprio quello di creare un'accademia che parta già da una base di esperienze, gusti e conoscenze comuni, così da poter dare per scontato ciò che in rapporti con estranei può richiedere tempo per essere chiarito o restare per sempre frainteso. Ho un'immagine per Lei, che cercava la strada dello smoking giusto per Lei ed era indeviso tra il peak-lapel e lo sciallato. Ritaglio un'immagine già pubblicta al foglio n. 37 del taccuino dal Cavaliere G. Marseglia e la riproduco a Suo beneficio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 20-02-2004 Cod. di rif: 949 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Un pò di dispiacere Commenti: Gentile Gran Maestro, ho notato con un po' di dispiacere che il mio gesso n. 889 (6 febbraio 2004) e' rimasto tuttora senza risposta. Se cio' e' dovuto a una banale dimenticanza chiedo scusa per averglielo segnalato; se, invece, ha ritenuto l'argomento ozioso o abnorme, La prego di farmelo comunque notare. Comprendo perfettamente che nella considerazione sia data priorita' ai soci iniziati ma, un sito internet esoterico come questo, fortemente interattivo, dovrebbe essere anche essoterico e aperto ai neofiti. La mia era una richiesta - generica sì - ma volta all'individuazione di cosa potesse essere meglio per me tra le tipologie classiche, di cui chiedevo un breve excursus sulle diverse fogge. Date le mie lacune trovo difficile centrare ogni dettaglio. Ad esempio sarei interessato a sapere se la manica a raglan piuttosto che dritta, dia una differente connotazione formale al capo. La saluto con immutata stima. Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-02-2004 Cod. di rif: 950 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappotti e iniziati - Al sig. Pasino Commenti: Egregio signor Pasino, la Sua domanda non è stata dimenticata ed è anzi un cruccio sin da quando è pervenuta. Stavo raccogliendo le forze, perché si tratta di una risposta che può essere data al minimo sufficiente o divenire uno di quei trattatelli che ogni tanto arricchiscono (spero) la Lavagna. C'è il problema delle immagini, che potrebbero di molto migliorare l'esposizione. Si tratta quindi di estendere l'esposizione al Taccuino o di creare una scheda eccezionale, la prima in vista della Porta dell'Abbigliamento, cui già stiamo lavorando da mesi in tre persone. Tutto ciò non mi esime dal doverLe delle scuse per il ritardo. Aggiungo però che nella qualità delle risposte in nessun modo tengo conto se esse pervengano da Soci o da Visitatori. Pensi alle elaborate risposte, costate circa un giorno di lavoro, che diedi sulla manutenzione di scarpe e guardaroba al sig. Barone, che non è un cavaliere. A volte mi rivolgo ai soci con toni o argomenti particolari, ma lo faccio allo scopo di far capire che c'è qualcuno che sostiene tutta la fatica statica e dinamica, tutta l'impalcatura e la progettazione del castello e che tutto ha senso solo se esiste un gruppo che si riconosce come tale. Una vaga community in internet, come ne esistono tante, non può avere la forza di dettare le regole, di organizzare eventi, di creare una figura giuridica e morale capace di difendere fattivamente dei princìpi. Riconoscere ai Cavalieri il loro ruolo è quindi opportuno e doveroso, perché è sulla qualità e (in subordine) quantità dei Soci che si regge tutto. La mia competenza e perizia nello scrivere, l'interesse degli argomenti, la funzionalità degli strumenti informatici, non servirebbero a nulla senza un esercito. Quanto alla definizione del nostro lavoro come esoterico, il discorso si fa piuttosto complesso. Come più volte ribadito, non siamo una società iniziatica, ma un'associazione. Non voglio farne una questione di vocaboli, che non La convincerebbe. Diciamo che noi reclutiamo coloro che sono destinati per sensibilità e volontà ad una visione speciale delle cose, attraverso il filtro di quei pochi e chiari valori che noi riconosciamo. Non ci sono rituali o simbologie, il terreno comune è quello del linguaggio, dell'esperienza e di un laico sentimento umanistico. I Cavalieri, dispersi in tutto l'Universo mondo, si riconoscono come tali anche senza partecipare agli eventi ed al sito. Rifiutando un bicchiere di plastica, evitando inutili turpiloqui, vivendo la famiglia col senso di una dinastia, aprendo la portiera alla moglie, riprovando fermamente osti e commercianti che vengano meno al loro mandato. Fortunatamente non sono solo i nostri a vivere e comportarsi in questo modo. Ciò accade perché non abbiamo creato noi i valori sui quali ci fondiamo, che esistevano da sempre. Abbiamo però creato una struttura in grado di approfondirne il significato e di difenderli nel momento in cui sono minacciati dall'approssimazione. La struttura è da un lato quella sociale, con le sue iniziative aperte o meno ai non Soci. Dall'altra il castello, in cui i padroni di casa non bevono un vino migliore di quello degli ospiti, ricevono solo un saluto particolare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 20-02-2004 Cod. di rif: 952 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Grazie! Commenti: Gentile Gran Maestro, la Sua ciclopica disponibilta' mi spiazza sempre piu'. L'impazienza aveva generato il timore di essere stato ignorato, senza capire la fatica e il tempo che richiede ogni delucidazione; certo l'argomento da me posto puo' diventare enciclopedico. Le Sue parole mi danno la conferma che solo Napoli fa nascere ancora uomini veramente originali e controcorrente. Grazie ancora! Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-02-2004 Cod. di rif: 954 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Simbologia e uso della fodera - A L. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, da un paio di giorni mi aveva consultato sull'importanza e opportunità dei foderami nelle giacche maschili. Lungi da me la volontà di intorbidire il Suo limpido entusiasmo per lo sfoderato. E' tra l'altro un virtuosismo che in quyalche modo mette alla prova le capacità di un sarto e quanto bene ci voglia. Il più grande errore che i maestri sarti commettono è quello di sottovalutare il valore del parlar chiaro. Non amano parlare di prezzi e accomodano su cose che non andrebbero accomodate. In tal modo, una giacca sfoderata viene a costare quanto una foderata, anche se richiede più lavoro. Questa promiscuità non è un vantaggio. Meglio sarebbe una suddivisione chiara, con costi adeguati. Il prezzo unico è un'invenzione industriale che non si adatta alle botteghe, perché crea degli scompensi che si ritrovano inesorabilmente da qualche altra parte e nuocciono all'equilibrio del tutto. Un equilibrio si è comunque creato, ma non è mai troppo tardi per rifondarlo su nuove basi, dove chiarezza e diretta dipendenza del costo dalla quantità di manodopera impegata siano considerati anche dal cliente come un fattore di trasparenza e di buon auspicio per i rapporti. Detto questo, che non c'entrava nulla con la Sua ripartizione, dirò che io non ritengo corretto far dipendere la necessità della fodera dalla "scala di formalità". Essa ha la sua importanza, ma credo vada tenuto conto in primo luogo del peso. Una giacca di un pesante harris (sportivo) o di saxony (tra formale e informale) priva della fodera è un pò come una coperta senza lenzuolo. Molta attenzione va posta piuttosto alla scelta delle fodere, campo in cui la scelta si assottiglia ogni giorno ed i gusti medi del mercato sembrano impantanati, piuttosto che classici. Lei, comunque, segua tranquillamente la norma interna al Suo guardaroba. Difficilmente si potrà dire che sbaglia. Io semplicemente la vedo differentemente e - a dirla tutta - trovo una perfetta rappresentazione dell'ideale virile nella giacca che presenti all'esterno l'estrema ruvidezza ed all'interno si sciolga in un calore nascosto, in un contatto morbido. Infine, le fodere hanno un gran pregio: si consumano: una giacca con le fodere consumate (e quanto più ruvido e pesante è il tessuto e prima si consuma la fodera) ha qualcosa di sublime, come una vecchia bandiera. E' il trionfo di una cultura, il simbolo di un modo di essere che non si porta all'esterno, ma si tiene per se stessi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-02-2004 Cod. di rif: 956 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non ci vergogneremo - Al sig. Martinelli Commenti: Egregio Martinelli, il mondo non ha solo problemi e quelli che ha non si risolvono con le lagne. Un'umanità di persone chine a riflettere sui suoi mali non è una prospettiva allettante. Abbiamo il nostro modo di operare e certo non si potrà negare che di lavoro se ne faccia tanto. Lei ha diritto di pensarla come vuole, di credere che esso vada sprecato. Noi crediamo il contrario, ma Lei ha rispettato le norme del castello e la Sua opinione non ci offende. Siamo anzi orgogliosi di poter ospitare pareri difformi e di poter offrire spazio alle critiche. Guardi bene, però. Qui c'è molto più che opinioni: lavoro, ricerca, fiducia in qualcosa. Non credo che ce ne vergogneremo. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-02-2004 Cod. di rif: 958 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un benvenuto ed un rilancio - Al sig. Decandia Commenti: Egregio signor Decandia, Lei ha iscritto il Suo nome nel nostro Registro dei visitatori Simpatizzanti già dal 3 gennaio del 2003 e quindi ha avuto modo di conoscere l'attività dell'Ordine anche attraverso quella parte della Posta dei cavalieri che, in qualità si simpatizzante, Le viene inoltrata. Mi fa piacere che dopo tanto tempo si sia fatto vivo, dandoci modo di capire che ha seguito la marcia inesorabile dei Cavalieri e la costruzione del nostro castello. Quanto ai Laboratori, essi non prevedono inviti e sono aperti a chiunque giunga dichiarandosi interessato all'argomento. Poiché questi ultimi sono estremamente sofisticati, non c'è alcun pericolo di degenerare in folle perniciose. Per la verità, dovunque si tengano gli appuntamenti, sono in parecchi a raggiungerci da altre città d'Italia. Del resto, nessun'altra organizzazione svolge o potrebbe svolgere un lavoro scientifico, culturale e potremmo dire filosofico su materie che sono in genere preda di operazioni commerciali. Tutto ciò che riguarda il mondo dell'abbigliamento, dove i fatturati sono importantissimi, viene immediatamente sottomesso al potere del denaro, al servizio del mercato. Noi svolgiamo una piccola, profonda attività che non vuole accettare queste regole e cerca di creare persone così competenti da restare per tutta la vita indipendenti dal giogo delle etichette, della fama, del sentito dire, insomma della cultura delegata che sostituisce e scaccia quella individuale ed autonoma. Poiché sono già pochi i chiamati a raggiungere questa meta, nessuno di essi che giunga sino a noi troverà un'accoglienza men che fraterna. Suo zio e Lei stessa sarete quindi benvenuti. Approfitto per rilanciare su quanto già esposto nella pagina degli eventi. Stiamo cercando di convincere uno dei maggiori esperti al mondo della lana a intervenire per un breve discorso su quelle fasi che sfuggono ai non addetti ai lavori: importanza delle annate, dei suoli e delle razze ovine, origine, qualità, selezione, acquisto. Nel caso, ci procureremo di registrare il contributo per tenerlo a disposizione dei pochi, veri appassionati che spingano la loro sete di conoscenza sino a queste zone inesplorate. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-02-2004 Cod. di rif: 960 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Spari per primo, si divertirà di più - Al sig. Leonardi Commenti: Egregio signor Leonardi, un abito di lino celeste non la esporrà al rischio di sentirsi o di essere considerato bizzarro. Ancorché questo colore non sia più utilizzato da molti anni, esso resta ancora nelle matrici estetiche profonde. L'originalità, se mi permette di andare avanti, non sarebbe poi nello specifico colore, ma nel colore in generale. Non solo il celeste fondo unito è stato abbandonato, ma anche il beige dei grandi gabardine e moltissime tra le fantasie. Si guardi in giro e vedrà solo blu e grigi, in questo preciso momento per il settantacinque per cento a righe. Mai nella storia dell'abbigliamento il palinsesto maschile si era ridotto tanto e credo che ciò avvenga perché siamo alla vigilia della definitiva caduta della tenuta maschile da città: completo giacca-pantalone con camicia-cravatta. Lei, quale cliente di sartoria, resterà certamente per tutta la vita innamorato di questo modo di vestire e di essere. poiché quello che l'aspetta è di essere considerato prima originale e poi bizzarro non per il colore, ma solo perché indossa giacca e cravatta, tanto vale cominciare subito a prendere coscienza dello scenario, decidere da che parte stare. Poiché Lei lo ha già fatto, si diverta da subito a combattere e spari per primo. Qualora scelga diversamente e ripieghi sui mimetici grigio-blu-gessati, ricordi queste mie parole, quando tra cinque o sei anni si sentirà osservato anche con quelli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-02-2004 Cod. di rif: 964 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Detrattori e cambiamenti - A Carnà e Carrara Commenti: Incrollabili Soci, gli ultimi interventi necessitano di un paio di riflessioni. 1 – Quanto al caso di detrattori, soprattutto se mal costumati, essi sono un duro banco di prova. Non occorre essere maestri Zen per accettare il male, sapendo che spesso non viene per nuocere. Certi attacchi vanno considerati come uno strumento di crescita. Dichiarare rozzo chi ci da torto risulta innanzitutto poco credibile. Meglio lasciare che il tempo stabilisca i torti e le pene. Egli è il supremo magistrato, non basandosi sulle opinioni e nemmeno sulle leggi, ma sui fatti e gli esempi. Alla mia età e con una certa esperienza si giunge alla fatidica conclusione: non si può piacere a tutti. Purché rispettino le norme del castello, gli interventi vanno rispettati anche se non rispettano. La difesa di una causa richiede fierezza, virtù eletta dei paladini, a scapito dell’orgoglio, forza meramente individuale che trascina e trascende spesso nell’ira. Non vorrei citarmi addirittura due volte, visto che sto per farlo in seguito, ma della materia ho detto qualcosa nella mia Scrivania. Molti sono coloro che viaggiano in internet solo per scagliare frecce a caso, nella speranza di provocare reazioni e zuffe. Alimentarle favorisce un gioco che non è il nostro. Gli scocciatori non si respingono con le spade, ma coi bastoni. Il patrimonio di ricerca qui creato in vari campi e direzioni va protetto con la civiltà delle regole. Quanto ai nemici, se non volete rileggere Sun Tzu, che la sapeva veramente lunga, accontentateVi di rivisitare la mia epistola del 2 Gennaio, che come è tradizione apre l’anno cavalleresco. La ritrovate nel Forum della nostra area riservata, sotto i titolo “Alla Nazione Cavalleresca”. A beneficio dei Visitatori che non vi hanno accesso, ne estraggo un brano: “Più importante diviene il Cavalleresco Ordine è più sentita deve esserne l’appartenenza. Ciascun Socio senta come proprio questo patrimonio e lo conservi, anche con le critiche. Se ce ne saranno, tengano esse conto che all’esterno dobbiamo mostrarci compatti. Non dimentichiamo infatti che le nostre torri, innalzandosi, fanno sempre più ombra. E’ proprio della gloria l’attirare ogni genere di bassezza e la nostra fama crescente non farà eccezione. E’ facile prevedere in futuro un buon numero di detrattori. Sarà allora, cioè molto presto, che il valore dei singoli e la saldezza del sentimento di una missione comune ci permetterà non di batterli, che sarebbe un po’ poco ed è comunque un´operazione che quasi sempre moltiplica i nemici, ma di ignorarli”. Credo che ogni ulteriore commento sia superfluo. Intelligenti (et equitibus) pauca. 2 - Sapete tutti quanto condivida l’amore per l’abbigliamento classico. Il problema è che esso sta per diventare storico. Posso dimostrarlo sia con l’esempio che scientificamente. Quanto al primo, Vi esorto a guardare il passeggio di una qualsiasi città nel fine settimana. Gli uomini in giacca e cravatta sono molto rari e presto scompariranno come sono silenziosamente scomparsi i carretti ed i tiri a cavallo. Uno sguardo al passato ci mostra poi come ogni secolo abbia avuto una tenuta maschile tipica. Orbene, è dalla fine delle giacche lunghe e a coda che si veste in giacca corta. Essa è cambiata pochissimo dalla fine degli anni venti, nonostante da allora sia cambiato quasi tutto ciò che stava fuori e dentro di essa. Non c’è dubbio che si sia prossimi ad un’accelerazione di un cambiamento epocale. Non so in quale direzione andrà e mi mantengo vigile per poter essere tra i primi a capirlo. Non per condividerlo, ma solo per amore della scienza. Molti di quelli che come me vestono solo in sartoria resteranno per la vita legati all’estetica tradizionale, ma saranno esposti ogni giorno di più all’incomprensione. Essa è certo già nata da qualche parte e presto si svilupperà. L’abito completo verrà prima relegato agli ambiti professionali e silenziosamente scomparirà in favore di qualcos’altro. In tutto questo, saprete che abbiamo già cominciato a lavorare alla definitiva sistemazione della Porta dell’Abbigliamento che presenterà una complessa e meticolosa ricerca sul vestire tradizionale. Ci vorrà almeno un anno di lavoro, ma se queste sono le premesse che senso ha, Vi chiederete? Se ne parlerà nelle sedi opportune, quando sarà il momento. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 23-02-2004 Cod. di rif: 966 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Pattine alle tasche? Commenti: Gent.mo Gran Maestro, sono ancora ad abbeverarmi alla fonte della Sua scienza relativamente alla corretta impostazione del completo doppio petto che ho ormai in fase di definizione. Con le caratteristiche che mi ha indicato e che ho prontamente recepito, Lei ritiene migliore la presenza o meno delle pattine alle tasche? Ossequiosamente Scudiero Gianluca Chisua ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-02-2004 Cod. di rif: 967 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pattine - Allo Scudiero Chiusa Commenti: Egregio Chiusa, proceda pure con le pattine. Poiché esse le verranno applicate insieme col "friso", potranno anche essere tenute dentro la tasca. In realtà esiste un altro sistema di applicazione, molto più bello e leggermente più laborioso, detto all'inglese. Con questo sistema non si vede nessuna cucitura e nessun lembo, ma la pattina non può portarsi all'interno della tasca perché risulta più grande dell'imboccatura. I sarti italiani non la adottano mai, se non su specifica richiesta. Non credo questo Suo sia il caso giusto per adottare questa soluzione, parlatro molto poco nota. La pattina deve essere ben sagomata e proporzionata alla giacca, non troppo grande e soprattutto non troppo piccola. Questo argomento dovrebbe essere già stato affrontato e forse con una ricerca sul termina "pattina" troverà qualche altro contributo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-02-2004 Cod. di rif: 970 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il mulo dell'ayyenzione - Al cavaliere Carnà Commenti: Egregio Carnà, le Sue conclusioni in merito allo smoking, tutta l'evoluzione del Suo desiderio da una foma all'altra, sino a preferire il silenzio e l'assenza, mostrano lo sviluppo di un percorso interiore. Non a caso Ella fa riferimento a caratteristiche psicologiche, all'adeguatezza, alla maturazione personale. Non si limita più alle considerazioni estetiche apodittiche e fine a se stesse del principiante. Il singolo vince sulla regola, il Gusto come coerenza al proprio io costituisce un tribunale che giudica diversamente le valutazioni estetiche e le piega all'opportunità, al tempo, all'Uomo come è e non come pensa di essere. Questa via dove le rinunce sono una conquista è la via della consapevolezza, ovverossia dello Stile. Non si percorre col treno dell'imitazione, ma con il mulo dell'attenzione. Abbiamo già visto altre volte, recentemente con lo Scudiero chiusa, come l'analisi del capo alla luce della sua storia estetica, dei significati simbolici, soprattutto rapportandolo al fenomeno complesso del guardaroba come vocabolario personale, porti ad una maggiore conoscenza di se stessi. Ora Lei sa che quello che Le piaceva non è quello che vuole, che fermarsi alla prima stazione preclude il piacere del viaggio. Risultati come questo giustificano tutto questo castello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 25-02-2004 Cod. di rif: 971 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Solo un sarto - Alla c.a. del G.Maestro Commenti: Gent.le G.Maestro, ho riflettuto a lungo prima di scrivere un ulteriore lettera. La ringrazio per i suoi consigli preziosi. Ho deciso che avrò un sarto solo e non più di uno. Amo una giacca dallo stile napoletano e quindi mai potrei farmi realizzare qualcosa fuori da quella città. Se deciderò per Solito, ci sarà solo lui. Molti sarti inglesi fanno appuntamenti periodici in America o altrove. Quindi immagino che Solito potrà considerare la sua presenza a Bologna stabile e duratura. Perché mai non dovrebbe più venire ?? Mi ancora a questa idea … Dall’lato del suo sapere, c’è qualcosa di sbagliato nel mio ragionamento ? Cordiali saluti. G.Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-02-2004 Cod. di rif: 972 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori Tecnici Commenti: Egregio signor Guarnaseri, come saprà, i maestri Solito saranno a Bologna il 10 Marzo ed a Pratrivero (Biella) il 9 Aprile, impegnati nei prossimi Laboratori d'Eleganza. Poiché nella bottega si esprime non solo il talento di Gennaro, ma anche quello del figlio Luigi, è auspicabile per essa un lungo e stabile futro. Il Cavalleresco Ordine ha puntato su di loro per la qualità del prodotto e la gentilezza. Con questi presupposti e grazie alla nostra influenza nella piccola nicchia degli amanti del su misura, si è immediatamente creata una domanda che non era solo di sapere, ma anche di vestire. Ora si è generato un circuito che vede la bottega di De Paz solidamente confermata come una base per quanti seguono quest'opera di approfondimento dei Laboratori, che parallelamente hanno anche cercato di avvicinare l'autentica sartoria napoletana ai desideri di chi vive più lontano da Napoli. In conclusione, ogni due mesi si terranno a Bologna, in Via Ugo Bassi n. 4/D quelli che abbiamo definiti Laboratori Tecnici, cioè incontri tra cliente e sarto e tra clienti stessi, di varie provenienze. Come istituzione, possiamo garantire che il lavoro proseguirà per almeno un altro anno con cadenza bimestrale, sempre con i Maestri Solito. In verità è molto più probabile che si crei un altro nucleo, piuttosto che venga meno questo primo dei Laboratori Tecnici. Essi hanno lo scopo di approfondire, conversare, conoscere nuove forme e materiali tessili, ma anche di ordinare e provare abiti. Non ci sono motivi per dubitare che questo ciclo andrà avanti ancora molto tempo. Contemporanemaente, avremo altri Laboratori detti "di ricerca", nei quali ci sposteremo nelle cattedrali della cultura tessile per approfondire singoli temi. Vedrà che inesorabilmente le verrà anche la voglia di prendersi una giornata e venire a Napoli per una prova in più, per il desiderio impellente di avviare un capo di cui avverte la necessità o solo per godere delle inebrianti sensazioni che la nostra città sa trasmettere. Quanto ad avere un solo sarto più, non credo che la cosa abbia alcuna importanza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 27-02-2004 Cod. di rif: 976 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Tyrone Power Commenti: Gentile Gran Maestro, nella foto di Tyrone Power in giacca di tweed inserita ieri sui taccuini, noto due particolari che mi incuriosiscono. Il primo riguarda la camicia che si sovrappone al bavero della giacca (qualcosa del genere ai nostri giorni si vede fare a Montezzemolo); in voga negli anni 30/40 (?), vorrei sapere in che modo questa camicia viene confezionata, e se e’ costruita per essere portata solo in tal guisa. La seconda cosa che mi colpisce e’ la cucitura esterna del pantalone, marcatamente in rilievo, tanto da creare un’ombra: e’ un particolare che rispecchia lo stile di allora o un’eccezione? Grato per ogni Suo commento porgo i miei saluti a tutti i frequentatori di questa lavagna. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 27-02-2004 Cod. di rif: 977 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Tyrone Power - Errata Corrige Commenti: Nel mio precedente gesso ho scritto che la camicia si sovrappone al bavero della giacca: intendevo il colletto. Mi scuso e ringrazio nuovamente. Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 27-02-2004 Cod. di rif: 979 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Camiciaia Commenti: Ill.mo Cav. Villa, la Sua Camiciaia ha tutta la mia solidarietà e mi associo al grido "lunga vita". La invito anche se possibile a segnalare nel Portico dei maestri il recapito di una così brava e purtroppo ormai rara artigiana. Con stima Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Andrea Girometta Data: 27-02-2004 Cod. di rif: 981 E-mail: andrea.girometta@tin.it Oggetto: Tyrone Power Commenti: Buongiorno a tutti, concordo con l'analisi del sig. Pugliatti: quella indossata da Tyrone Power nella foto del Taccuino ha tutto l'aspetto di una polo, magari di una polo-camicia, come se ne possono trovare tutt'ora in commercio. Per quanto riguarda il collo portato sopra al bavero della giacca ricordo che fino a pochi anni fa si potevano trovare delle camicie "appositamente costruite", mentre mi sembra che quelle indossate da Montezemolo siano delle normali camicie button down. Se non sbaglio quello del colletto "fuori ordinanza" era uno dei vezzi dell'Avvocato nei momenti di tempo libero. Sarei grato a chiunque fosse in grado di pubblicare nei Taccuini alcune immagini a riguardo. Cordiali saluti a tutti. Andrea Girometta ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-02-2004 Cod. di rif: 982 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un piccolo capolavoro - A Pasino ed Ambrosi Commenti: Egregi Visitatori, al signor Pasino chiedo di indicarmi il foglio del taccuino su cui appare Tyrone Power. Aggiungo un benvenuto su queste lavgane al maestro Salvatore Ambrosi, pantalonaio figlio di pantalonai. Il parere espresso sui pantaloni di Tyron Power è quindi autorevole e prelude a futuri interventi. Ricordo che il giovane Maestro ha partecipato ai nostri Laboratori ed approfitto per lodarlo pubblicamente per la sua ultima realizzazione: un pantalone da casa che ha reinterpretato un modello che uso da molti anni. Pur essendo stato realizzato su mia precisa specifica, ha superato nella manifattura e nella linea anche le mie migliori speranze. A questo punto crdo che dovrò dedicare al laboratorio di famiglia una scheda nel Portico ed un appunto sul Taccuino a questo piccolo capolavoro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-02-2004 Cod. di rif: 984 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'anello di congiunzione - Al sig. Pasino Commenti: Egregio Pasino, ho trovato facilmente la foto di Tyrone Power, recentemente aggiuntasi al Taccuino. Avevo creduto che Lei facesse riferimento ad un'immagine di qualche tempo fa. Pugliatti potrebbe aver ragione nel dire che si tratti di una polo di materiale jersey, ma credo che si tratti di una camicia a mezze maniche di giro inglese, un tessuto alto e traspirante, molto in uso a quell'epoca ed oggi completamente scomparso (ne resta il nome, ma viene usato per definire un'imitazione). Il collo è del tipo destinato a restare sbottonato. Ha le mostre interne ampie e lunghe, che senza cuciture formano un pezzo unico con l'interno collo e scendono sino a dove la camicia resta aperta. E'un capo molto bello, che in genere la confezione riesce a offrire soluzioni più belliedell'artigianato. Vale per questo tipo di collo quello che si è detto per il bavero a scialle nello smoking: le capacità tecniche non bastano ed occorre il talento del modellista di alta classe. E' comunque l'anello di congiunzione tra la camicia e la polo e in caso di emergenza può essere portata anche con la cravatta. Il collo può essere portato indifferentemente sopra o sotto quello della giacca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-02-2004 Cod. di rif: 986 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colpa dei taccuini? Commenti: Egregio Pugliatti, la Sua preziosa opera non è certo compromessa da qualche appunto fuori dal suo posto. Avrà visto che è capitata anche a me la stessa cosa, solo che le colpe io non so darle che a me stesso. In ogni caso, provvederemo a livello centrale a sistemare ogni cosa. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 01-03-2004 Cod. di rif: 987 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: futuro prossimo Commenti: Egregi Signori, mi permetto di portare alla Vostra attenzione ed esecrazione quanto apparso recentemente sul giornale francese Le Figaro in tema di calzature; alla luce poi delle fosche previsioni pochi giorni fa riferiteci dal Gran Maestro sul futuro prossimo dell’abbigliamento classico, sembrerebbe delinearsi un orizzonte a dir poco sconfortante. Occorrerà rinforzare ulteriormente gli ormeggi… A mo’ di consolazione, Vi segnalo il neonato sito della maison John Lobb (www.johnlobbltd.co.uk). Cordiali saluti Giampaolo Marseglia Les baskets de ville regagnent du terrain. Toutes les griffes revisitent, version luxe, leurs baskets originelles. Frédéric Martin-Bernard [16 février 2004] La basket marche sur la ville et arpente plus souvent le macadam que les pistes des stades. Ces versions originelles font référence aux premières heures du sport. Et sont réinterprétées en version luxe. «Membre actif de l’irrésistible processus de démocratisation du vêtement, la chaussure de sport est devenue le jean du pied !», écrivait déjà Florence Müller dans son ouvrage Baskets paru aux Editions du Regard en 1997. Depuis, la tendance aux tennis, baskets, trainers et autres sneakers ne s’est pas essoufflée. Du côté des stades, les géants du sport ont poursuivi leur course aux brevets et nouveautés. Semelles montées sur coussins d’air, dotées de ressorts carénés comme des pistons de grosses mécaniques ou de systèmes amortisseurs de choc à la manière d’un bolide de circuit, leurs modèles se veulent également toujours plus techniques. Côté chausson, les textures sont aérées et respirantes, les coutures minimum pour éviter les irritations, avec des renforts aux côtés pour assurer la stabilité du pied et un astucieux système de gestion de l’humidité. Tout est fait pour que chacun soit à l’aise dans ses baskets. Côté mode, cette inénarrable basket reste aussi dans le peloton de tête au fil des saisons. De «vieilles» marques de chaussures de sport (Le Coq Sportif, Quick) et d’autres nées plus récemment du sport (Spring Court, Superga ou All Star) en ont profité pour revenir sur le devant de la scène de la mode. Les marques de chaussures traditionnelles se sont également inspirées des modèles portés par les champions, pour rendre leurs paires plus confortables. Cette saison, ce sont les griffes, de Gucci à Louis Vuitton en passant par Dior Homme, qui réinterprètent les baskets des premières heures du sport. Cette ultime tendance devrait encore renforcer un marché de la basket qui se porte déjà à merveille. Représentant près de 80 millions de paires pour un chiffre d’affaires de 2,7 milliards d’euros en 2003, ses ventes ont encore progressé de 4 à 5% au fil des douze derniers mois. Ces chiffres de la Fédération française de la chaussure précisent que les baskets représentent 38% de la consommation de chaussure masculine. Et que 40% d’entre elles ne seront portées que pour un usage urbain. Autrement dit, rarement pour courir après un ballon ou piquer un sprint. Les hommes sont donc de moins en moins enclins à renfiler leurs souliers vernis après avoir goûté au confort d’une basket. Après, que nul ne s’étonne que tous les chausseurs et griffes proposant des beaux souliers se mettent aussi à réaliser des baskets cousues au plus que parfait. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-03-2004 Cod. di rif: 988 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non spariamo a vuoto - A G. Marseglia Commenti: Egregio Marseglia, un certo sconcerto si abbatté su qualche frequentatore di questa Lavagna allorché il Gran Maestro, autore di Vestirsi Uomo e di innumerevoli scritti sull'abbigliamento classico, annunciò che esso era ormai alla sua ultima stagione. Per natura non ho gran paura della morte e nemmeno mi affeziono molto alle cose, sicché non mi spaventa troppo perderle. Orbene, occorrerebbe toccare argomenti troppo elevati per dimostrare una cosa così evidente come il fatto che tutto giunga ad una fine. Ciò non comporta che non si debba credere in niente, significa che una perdita non è una sconfitta. Che le abitudini ed i gusti cambino è umano e pertanto per noi Cavalieri, ultimi umanisti di questo medioevo di specialisti e dogmatici, deve essere considerato non solo inevitabile e giusto. Chi di noi crede nel classico, combatta e perda con onore la sua battaglia, ma non cada nel patetico condannando il vincitore. Non si tratta di political correctness, cioè di considerare la propria un’opinione all’altezza delle altre. Noi non abbiamo opinioni, ma idee e continueremo a credere ed a sostenere le nostre ragioni, gli ideali di grazia e bellezza per i quali abbiamo lavorato, ma la superiore coscienza di chi conosce e pratica il piacere ci impone di trovare un certo gusto anche nel toccare lo scabroso tema dell’avvento di una nuova estetica. Sono convinto che mentre il Titanic affondava, qualcuno dei passeggeri si sarà fermato a notare le cose strane che saranno certamente accadute, le deformazioni degli arredi e delle strutture. Magari, poi, avrà trovato in queste osservazioni la via per sfuggire al naufragio. Noi continuiamo pure tranquillamente a discutere di spalle naturali e cuciture a soffietto. Finché se ne parla, esse vivono. Poiché a mio avviso dovremmo augurarci di saper rispettare questo voto di saggezza, magari con qualche sospiro ogni tanto, tanto per sfogare, il problema su cui dobbiamo vigilare è un altro. Il ciclo che vede il nostro mondo “classico” destinato a scomparire va subìto finché è naturale, ma conserviamoci pure rabbia ed indignazione per il momento in cui esso viene alterato con l’inganno o la forza. Il vincitore annunciato ha sempre tendenze dittatoriali e si crede più furbo. Su questi atteggiamenti non possiamo essere d’accordo. Quando la cravatta verrà vietata (e già all’ultimo World Economic Forum duemila persone hanno subito in Svizzera questo divieto), è allora che dovremo sollevarci. Quando dal divieto al fumo si passa a quello al posacenere e quindi dalla pena per un’azione a quella per l’intenzione, è allora che l’abisso dell’ignoranza si rivela e come tale può essere colpito. Per il resto, sparare a vuoto non è da veri guerrieri. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 03-03-2004 Cod. di rif: 995 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: "Apparel Arts" Commenti: Breve segnalazione per gli Appassionati: nella vetrina di una libreria napoletana di libri usati ho notato una copia del cofanetto in tre volumi di “Apparel Arts” (Electa, 1989) da tempo esaurito. Il prezzo di 70 euro è più che onesto, ed anche le condizioni generali mi sono sembrate egregie. Se qualcuno è concretamente interessato alla suddetta opera miliare in tema d’abbigliamento maschile, mi può considerare a Sua disposizione. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 05-03-2004 Cod. di rif: 1006 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: lucidi Avel Saphir Commenti: Egregio signor Meneghini, potrà trovare le creme per calzature "Saphir" della casa francese Avel anche presso il negozio 3 C - Carla Cardillo Calzature, sito in Roma nella centrale via della Croce al numero 40. Detto negozio potrà anche fornirLe un efficace lucido come quello de "La Cordonnerie Anglaise", ed ancora un'ampia scelta di accessori per le calzature. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-03-2004 Cod. di rif: 1007 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatta dei Paladini - A M.Alden Commenti: Egregio Mr. Alden, Lei appoggiò l'idea del laboratorio sui Nodi ed ha quindi meritato questo posto tra i sostenitori. Quasi tutte le cravatte sono state consegnate ai Paladini durante la serata di Milano. Le altre, tra cui quella di Forni e la Sua, spero possano essere consegnate a Napoli. In caso contrario verranno mantenute a Vostra disposizione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-03-2004 Cod. di rif: 1009 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori d'Eleganza - Cambio date Commenti: Cavalieri, frequentatori dei nostri Laboratori, appassionati che pensavate di intervenire per la prima volta, l'appuntamento tecnico dei Laboratori di Eleganza previsto originariamente per il 10 Marzo p.v., viene spostato per motivi climatici di due settimane e si terrà quindi il 24 Marzo 2004, sempre con inizio dalle 12.30 e sempre presso la bottega di Dante De Paz in Via Ugo Bassi n. 4 in Bologna, tel 051.231354. Invito in particolare i soci bolognesi ad intervenire numerosi e non solo per l'interesse al grande abbigliamento maschile. Poiché sempre ci raggiungono anche Cavalieri da altre nostre Provincie, vorrei infatti cogliere l'occasione per discutere alcuni argomenti, tra cui il calendario delle Adunanze provinciali, che si aprono con quella napoletana del 12 Marzo p.v. Sono sul tappeto anche molti altri eventi, in merito ai quali vorrei sentire il parere dei Soci. Tra un bottone ed una fodera, tra una prova ed una domanda, Dante offrirà come al solito un piccolo buffet. L'occasione sarebbe dunque comoda e propizia per una sorta di assemblea informale. Rinviata anche la sessione speciale dei Laboratori presso lo stabilimento tessile di Vitale Barberis Canonico in Prativero. Senza badare al calendario, avevo fissato la riunione per il giorno di Venerdì Santo, assolutamente improponibile. L'incontro viene differito alla settimana successiva e quindi dal 9 al 16 Aprile 2004. Programma come già previsto: inizio alle 13 con un rinfresco e poi visita agli stabilimenti ed al monumentale archivio. In questa occasione avremo riunite per una sessione di ricerca tutte le principali figure collegate al tessuto e come tale espressioni di competenze diverse relative allo stesso oggetto: chi lo maneggia da sempre perché lo produce (l'industriale): chi lo maneggia perché lo lavora (il maestro sarto); chi lo maneggia perche veste con amore e coscienza (noi); chi lo maneggia tutto il giorno perché lo vende (il drappiere). Cavallereschi saluti Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-03-2004 Cod. di rif: 1011 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Del mohair e dei "si ma ..." - Al sig. Conforti Commenti: Egregio signor Conforti, rispondo finalmente al Suo gesso n. 996. Spiegherò la mia posizione quanto al mohair partendo da lontano. Non sentirà da me le solite frasette da maestrina di paese: si fa così, questo è buono, questo è cattivo. Il mondo del gusto è minacciato da facili censori, ma anche dai “si ma …”, che con esso non hanno niente a che fare. Il lino è aristocratico, MA si ciancica”, ovvero “si ciancica, MA è bello”. Il mohair è fresco, MA punge, ovvero punge, MA è bello. La vera comprensione ed il gusto autentico non comprendono frasi del genere. Sono una forma dell’amore, che se è tale accetta le cose come sono. Chi sente che il mohair o il vecchio orologio facciano al caso suo non mette i difetti sull’altro piatto della bilancia, perché non ha niente da pesare e misurare. Il mohair punge? Viva il mohair! Quello che per alcuni può essere un difetto diventa un conforto, una caratteristica. Il mohair punge quelli che deve pungere e risparmia quelli che lo amano. Io lo utilizzo da sempre con grandi risultati in termini di comfort e freschezza. Venendo alla parte tecnica, il “summer kid mohair” non è un marchio o una cimosa, né tantomeno una bufala o una leggenda, ma un tipo di filato ancora molto utilizzato. Poiché come sa il mohair non è una lana, ma il pelo di una capra, il summer kid ne è l’agnello. La lana è ancora più sottile e decisamente più morbida. Effettivamente la Zegna produceva un tessuto cimosato come Mohair Trophy, con un’altissima percentuale di summer kid: il 65%. Il summer kid è effettivamente molto meno pungente e quindi le voci che ha udito erano fondate. Buone percentuali di sumer kid danno una mano più morbida. Attualmente il leader mondiale nella produzione di questo tessuto, in ogni miscela, è la Vitale Barberis Canonico, che lo tesse anche per molte case inglesi. Giunse tempo fa a realizzare un summer kid al 100%, il che rappresenta un vero virtuosismo tessile. Oggi sono risultati che non premiano, perché le aziende di confezione richiedono materiali più comprensibili alla massa. La qualità dei filati di una grande casa assicura le migliori condizioni possibili. E’ innegabile però che una certa rigidità, mitigata nel caso di massicce presenze di summer kid, se impedisce che il tessuto aderisca al corpo e quindi generi calore, è portatrice di una tendenza a pizzicare le pelli sensibili. Poiché gli uomini si sono un po’ addolciti ed hanno sviluppato epidermidi sensibili come signorine, si lamentano in molti di questa caratteristica. A me sembra invece un tocco piacevole. Mi piace e lo uso e questa sua mano vigorosa ne fa un’eccellente prosecuzione estiva delle mani pungenti delle lane secche come il tweed. Il mohair, con qualsiasi percentuale di summer kid, è sempre leggero e di utilizzo estivo. Tiene favolosamente la piega, è piuttosto durevole ed è quindi adatto anche per il viaggio. Le fantasie superclassiche con la quale è in genere prodotto, tinte unite e rigati sottili, lo rendono adatto quasi esclusivamente ad abiti completi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 09-03-2004 Cod. di rif: 1012 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Lasciar perdere ? Commenti: Gent.le Grande Maestro, dopo un po’ di tempo mi rifaccio vivo per esporLe questa discussione sul sarto in cui sono andato ultimamente. Chiedevo un Suo fondamentale giudizio se è meglio lasciar perdere. Dopo aver ordinato un pantalone in covert, ho ripetuto due volte che i bottoni li desideravo cuciti a croce : alla consegna i bottoni erano cuciti a binario. Ho fatto presente la cosa e mi sono stati ri-cuciti. H ordinato quindi una giacca in tweed in cui ho richiesto e descritto una tipologia “napoletana” : mi è stata consegnata una giacca normalissima e piuttosto rigida. Non contento ho ordinato un altro pantalone che mi è stato consegnato con una larghezza sul fondo sbagliata e con un risvolto più basso di quello che io porto. A questo punto, maglio lasciar perdere ? E’ normale tutto ciò ? Ho inoltre notato che nel suo laboratorio la maggior parte delle pezze non hanno la cimosa parlata. Sono tessuti da evitare ? Si ricorderà delle miei intenzioni di venire da Solito a Bologna. Con il Maestro è possibile un dialogo in cui vengano esaudite le richieste del cliente senza sorprese alla consegna come sempre mi capita o è cosa frequente in sartoria ? A volte si ha la paura che un nome così importante non ascolti i piccoli dettagli e le piccole fissazioni di un umile cliente come il sottoscritto. Deluso rimango in attesa di incontrare le Sue parole e i Maestri Solito. Cordialmente La saluto. G.Guarnaseri. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-03-2004 Cod. di rif: 1013 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Incertezza - Al signor Guarnaseri Commenti: Egregio signor Guarnaseri, le cimose non sono determinanti per la valutazione della qualità di un tessuto. I tessuti scadenti possono avere cimose promettenti e viceversa, anche se effettivamente molti di quelli realizzati con filati di seconda scelta non sono cimosati. Messa la cosa in relazione con le altre, sembra però che il Suo fornitore sia alquanto approssimativo. Non mi riferisco alla tipologia della giacca, perché si trattava di una delusione annunciata. E' infatti inutile chiedere una giacca napoletana ad artigiani non formatisi a Napoli. Parlo invece dell'indifferenza rispetto alle indicazioni del cliente. C'è forse però un'altra considerazione, che può parzialmente spiegare l'accaduto. Dopo averLa più volte incoraggiata sulla via di Bologna (siamo alla terza o quarta botta-e-risposta sullo stesso argomento), Lei è ancora indeciso. Questa incertezza che in materia certamente le appartiene, si potrebbe essere appalesata anche nel rapporto con l'attuale sarto, il che spiegherebbe qualcosa. L'enunciazione dei propri desideri, delle caratteristiche e misure di certi dettagli deve essere categorica e puntigliosa, senza tentennamenti. Più volte ho detto che il cliente deve avere le idee molto chiare e tramutarle in ordini altrettanto chiari. Meglio mettere per iscritto certi dettagli, applicando un foglietto al taglio di stoffa con uno spillo. Dopo dodici anni di frequentazione, con la mia camiciaia faccio ancora così. Solo in quello che non ha chiaro, dovrà fidarsi dell'artigiano sinché i risultati sono buoni. Se le cose non stessero così, se da un esame di coscienza Lei potrà dire a se stesso: sono stato preciso e determinato, allora meglio cambiare. In caso contario, provi a cambiare atteggiamento e in ogni caso, rinunci comunque alla giacca napoletana. Quanto alla grandezza di certi nomi, essa è stata spesso raggiunta proprio con l'attenzione al cliente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 09-03-2004 Cod. di rif: 1015 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Grazie Commenti: Gent.le Gran Maestro, la ringrazio per i preziosissimi consigli. Dicendola tutta sono alquanto indeciso. Non so se continuare con questo sarto, comodo, disponibile ma che non cuce al cento per cento la giacca che vorrei, oppure iniziare un nuovo rapporto con i maestri napoletani. Sono impaurito dalla distanza e dalla discontinuità e mi continuo a chiedere se si può avere un sarto a settecento chilometri di distanza. Immagino che Lei al mio posto avrebbe già deciso…e penso di sapere per chi. La ringrazio tanto per tutto quello che mi dice, mi aiuta a capire quello che voglio e mi scusi per le mie continue ripetizioni. Spero di riuscire a fare una scelta. Con gratitudine G.Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Bondi Data: 09-03-2004 Cod. di rif: 1016 E-mail: gianlucabondi@tiscali.it Oggetto: Berluti Commenti: Illustri cavalieri, complimenti per lo splendido sito.Leggendo in alcuni interventi il nome di un prestigioso marchio quale Berluti vorrei rivolgere a Voi un interrogativo. Le calzature Berluti commissionate su misura nell'atelier di Milano vengono realizzate manualmente ed artigianalmente a Parigi nel laboratorio di Olga come se fossero ordinate direttamente a Parigi? Grazie a chi vorrà rispondermi e complimenti ancora per il lavoro. Distinti saluti Gianluca Bondi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 10-03-2004 Cod. di rif: 1018 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: La mia via di Damasco Commenti: Ebbene sì, rendo pubblicamente merito a questo sobrio e sofisticato dominio - e quindi al Gran Maestro - di essere stati la mia via di Damasco. Mai più confezione! Confesso di aver fatto in giovane età un paio di esperienze alquanto frustranti in sedicenti sartorie, e di essermi infine arreso al pronto prendendo cio’ che passava il convento, spesso anche di qualita’, ma rinunciando all’interazione creativa con il sarto e il drappiere. Ho sempre cercato, per quanto possibile, di non derogare da un mio canone estetico: la spalla imbottita al minimo. So che per uno di Torino la strada del su misura è in salita, ma voglio comunque sperimentarla, sperando di essere degno domani delle sublimità di un Gennaro Solito. Gran Maestro, Cavalieri e Visitatori di questo sito, mi avete aperto orizzonti molto più ricchi di dettagli e sfumature di quanto pensassi. L’artigianato, di cui la sartoria rappresenta una delle massime espressioni, va sostenuto sempre per il suo alto valore culturale… tanto più di questi tempi! E avete ragione: la frequentazione della bottega del sarto va intesa come fuga dalla massificazione dei gusti e momento di recupero individuale, al di là di ogni snobismo. Spero di non essere stato troppo retorico. Purtroppo, tranne qualche indirizzo, su questa lavagna non si e’ mai parlato diffusamente di sarti torinesi. Ricordo una nota sui taccuini, inserita dal signor Marseglia, con un’intervista al sarto Caristo: sarto di re e sultani, sarebbe un po’ fuori dalle mie corde (e dal mio portafogli); preferirei un inizio piu’ sottotono. Quindi, alla ricerca dell’artigiano perduto! A tale proposito LANCIO UN APPELLO: se qualcuno avesse esperienza diretta di un sarto torinese, gentile, disponibile e dai prezzi onesti (praticamente la perfezione?!), gli sarei grato se ne parlasse. Saluto tutti cordialmente e ringrazio il Castello per la consueta generosa ospitalità. Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-03-2004 Cod. di rif: 1019 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Su misura Berluti - Al signor Bondi Commenti: Egregio signor Bondi, nella bottega milanese di Berluti si respira aria nuova. E' stato infatti sostituito il precedente direttore, alquanto inetto, con un uomo di grande disponibilità, esperienza e carica umana come Sylvain Guetta. Quando vi si recasse per informazioni, faccia pure il mio nome. Le cose, qui rispondo alla Sua domanda, stanno così: Scelto il modello, il pellame ed il colore, lo stesso signor Guetta "visita" il piede, ne prende le misure e le spedisce a Parigi, dove viene realizzata la forma personale del cliente. Quando la prima misura è pronta, un boittier viene da Parigi per la prima misura, cui ne segue una seconda in caso di necessità. La scarpa viene lavorata e finita nel laboratorio parigino. I costi sono da 2850 Euro in su, secondo il modello e il pellame. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Bondi Data: 10-03-2004 Cod. di rif: 1020 E-mail: gianlucabondi@tiscali.it Oggetto: Ancora su Berluti Commenti: Illustre Gran Maestro, oltre a ringraziarLa per la cortesia,Le confesso che mi ha tolto un grosso peso.Il mio timore era infatti che il su misura Berluti si fosse parificato al finto su misura spacciato da molti marchi quali Lattanzi.Il sapere che la scarpa ordinata a Milano viene realizzata manualmente nello storico laboratorio parigino come cento anni fa mi dona sollievo.INfatti avrei dei problemi a recarmi a Parigi.Un ultima domanda:il pronto Berluti non ha quindi niente a che fare con il su misura della maison che resta mondo a parte?Il prezzo che Lei mi ha indicato è quello di un modello normale in pellame Venezia? Grazie ancora a Lei e a tutti i Cavalieri e complimenti ancora per l'opera svolta e quella che svolgerete. Gianluca Bondi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-03-2004 Cod. di rif: 1022 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A Torino e dintorni - Al sig. Pasino Commenti: Egregio signor Pasino, inserendo il termine “Torino” nel sistema di ricerca è venuto fuori questo vecchio gesso, che riporto integralmente. Ne approfitto per ricordare che ogni la Lavagna dispone di ricerche per numero, autore e parole di testo. riporto qui integralmente il gesso ____________________ Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-01-2003 Cod. di rif: 143 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Su-misura a Torino Commenti: Qualche tempo fa da questa lavagna si levava una domanda: dove vestire su-misura a Torino? Abbiamo già dato in merito qualche indicazione, ma una risposta più elaborata ce la fornisce il nostro Socio Luca Peroglio, torinese. Ecco la sua selezione di indirizzi: 1 - Pasquale Maugeri - Via Micca, 9 - Torino - 011.530032 2 - Sartoria Amenta - Via Bertola, 2 - Torino - 011.5620670 3 - Sartoria Tricase - Via Avogadro, 9 - Torino - 011.5621821 Il signor Peroglio raccomanda all'attenzione anche il mercante di tessuti e di abbigliamento maschile pronto dove egli si fornisce: - Jack Emerson - Via C. Battisti, 1 - 011.5621960 _________________________ Poiché è attivo non lontano da Torino, merita non solo una menzione, ma una lode incondizionata, uno tra i migliori dei maestri dello stile internazionale attualmente in attività. Sarto, figlio e nipote di sarto, è il Maestro Giovanni Barberis Organista, con laboratorio in Frazione Pramorisio, 5/A - 13064 – Punzone. Pur dalla provincia biellese il suo magistero è altissimo. Probabilmente non ha spazio per nuovi clienti, ma se si è disposti a lunghe attese si può sempre provare. Il suo telefono è: 015-777209. Non è nemmeno caro e tutti i clienti lo descrivono come persona di eccezionale umanità e talento. Non lo conosco personalmente, ma ho potuto ammirare molti capi usciti dalle sue mani. Ha 74 anni e quindi molta esperienza, ma anche molta energia. Nel suo lavoro, si vedono tutte. Un grandissimo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-03-2004 Cod. di rif: 1023 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pronto e su-misura chez Berluti - Al sig. Bondi Commenti: Egregio Bondi, come acclarato porprio su queste pagine e ribadito dal Presidente della Manifatture Ferraresi, Paolo Dall'Aglio, in seguito alla pubblicazione dei dibattiti avvenuti in questa Lavagna e nella Posta del Gran Maestro, il pronto di Berluti viene realizzato in Italia. Ciò non è indice di scarsa qualità, anzi il contrario. Pensiamo a quanti marchi fanno lavorare i loro prodotti sul Fiume Giallo (tale, probabilmente dalla vergogna)! Si tratta di una scarpa per lo più cucita a blak, che ha il punto di forza nel disegno, nella calzabilità dovuta allo studio delle forme, nell'incredibile lustratura e nella qualità dei pellami. Anche questi sono per la maggior parte italiani, realizzati a quanto ne so da una delle migliori concerie del mondo: la Ilcea di Torino. Se noi italiani fossimo meno propensi alle critiche, soprattutto nei confronti della nostra stessa patria e dei suoi prodotti, questi dettagli aumenterebbero la nostra fiducia invece di diminuirla. Tant'è che, conoscendo questa attitudine alla esterofilia (non solo nostra) e al contempo lo smisurata nazionalismo dei francesi, queste notizie non vengono diffuse ed a me che ne parlo vengono anzi mosse gravi critiche da parte della direzione centrale. Naturalmente, io servo il Gusto e nessun altro padrone e quindi dico quello che è giusto e che so essere vero. Il su-misura è invece ancora legato alla radice parigina e rappresenta un mondo a parte. Come per tutto il mondo artigianale, per ottenere il meglio non basta il denaro, ma occorre anche una buona conoscenza del prodotto, un gusto sicuro ed un carattere deciso ad ottenere quello che si vuole. In ogni caso, la maison offre garanzie di affidabilità sulle quali è inutile dilungarsi. Berluti è qualcosa in più di una scarpa, ma soprattutto nella versione su-misura resta veramente per pochi. Non solo per il costo, ma per il suo stile. Allo stesso tempo forte e leggero, a volte sussurrato ed altre gridato, è sempre pittorico e immaginifico. Parla una lingua internazionale, sgradita non solo ai tanti legati a parametri provinciali, ma anche a coloro che sono legittimamente ancorati alla grande tradizione che potremmo dire della scarpa "scultorea". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 10-03-2004 Cod. di rif: 1024 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Grazie per i consigli Commenti: Gentilissimo Gran Maestro, ringrazio molto Lei e, nuovamente, il signor Carnà. Avevo effettuato una ricerca del tipo da Lei suggerita, ma attendevo un commento più diretto e spassionato su qualcuno in particolare; ed e’ puntualmente arrivato e ve ne sono grato. Mi affascina molto anche la strada del Maestro Barberis Organista, in effetti non e’ poi cosi’ lontano. Allora, Vi terro’ informati sui miei esordi. Grazie ancora! Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-03-2004 Cod. di rif: 1028 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria: il percorso individuale Commenti: Molti recenti gessi qui nella Porta dell'Abbigliamento hanno avuto in primo piano o in sottofondo il tema della ricerca. I Guardiani edificarono questa fortezza-laboratorio proprio a questo scopo. Mi sforzerò di riassumere in modo generalizzato le tappe fondamentali di questa ricerca, che parte rivolta all'esterno e presto diventa interiore. Naturalmente,come ogni lavoro, esso ha anche un significato universale, ma qui ci limiteremo a quello individuale. Ebbene, quella del cliente di sartoria è una dura carriera. Pochi partono, pochissimi restano in gara per tutta la corsa. Le descrivo l'itinerario cui va incontro: 1) Partenza. Difficoltà nel decidersi e nel decidere. Ritrosia all'approccio derivata da una sensazione di inadeguatezza, dall’incertezza del risultato e, supremo ostacolo, timore di sprecare denaro. La parola chiave è: VORREI. 2) Primo giro. E’ quello degli esperimenti. La scoperta dell’artigianalità e di alcuni segreti costruttivi va di pari passo con la scoperta di sé. Per essere certi di trovare qualcosa, si cerca di evidenziare questo obiettivo interiore con la creazione di nuovi dettagli o riabilitando antichi modelli Appena presa fiducia, si scopre l’acqua calda e si cerca una via personale. Alcuni restano in questa fase per molti anni e poi abbandonano. La parola chiave è IO. 3) Secondo giro. Grazie al lavoro narcisistico della prima fase e camminando sulla nostra stessa vanità, abbiamo avuto accesso ad una parte più stabile e profonda della coscienza, della bellezza e dei modi di esprimerle. I gusti cambiano, si semplificano. Le percussioni tacciono o si riducono a sigla, a ritornello, per far risaltare il suono di vigorosi fiati. Da un lato si comprende la necessità ed il significato dei grandi materiali e dei virtuosismi nascosti. Dall’altro, avendo dei punti fermi, si comincia a percepire il proprio movimento ed a goderne intimamente. La parola è: ARMONIA. 4) Terzo ed ultimo giro Un guardaroba, ancorché ricco, non è mai completo. C’è sempre uno spazio concettuale tra un capo e l’altro che si potrebbe riempire con un terzo, il quale a sua volta genera uno spazio a monte ed uno a valle o uno a destra ed uno a sinistra. Chi abbia comunque acquisito un repertorio che soddisfi tutte le necessità, il che richiede molti anni e tanta attenzione, spesso giunge a quest’ultima fase. Avendo risposto a tutte le domande della sfinge, siamo liberi di avanzare. In primo piano si odono ora gli archi, struggenti e maestosi. Si è ormai veramente se stessi, cosa che o si esprime senza sforzo o non si può esprimere. L’oblio di alcune regole dona fascino alla naturalezza con la quale vi si contravviene. Immancabilmente e senza averla cercata si raggiunge l’originalità così bramata nella prima stagione, quando essa restava tra l’eccentricità e l’arroganza. E’ tempo di tacere e non serve più alcuna parola, ma ne resta una agli altri. Questa parola è ELEGANZA. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 11-03-2004 Cod. di rif: 1029 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Qualche foto per iniziare a chiarirsi le idee Commenti: Gent.le Grande Maestro, ieri sera ho discusso di tutta la faccenda con il sarto. A questo punto chiedevo, se possibile, avere qualche foto o schizzo nel taccuino di una autentica giacca napoletana. Vorrei mostrargliela per sopperire alle mie carenza descrittive. Voglio iniziare con chiarezza e precisione, come suggeritomi. Ringraziando Lei e tutti i Cavalieri per l’aappoggio, l’aiuto ed il sotegna. Grazie di cuore. G.Guarnaseri. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-03-2004 Cod. di rif: 1032 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La prevalenza del tassista negro. A G. Guarnaseri Commenti: Egregio signor Guarnaseri, scriverò un giorno un pamphlet sull'acquisizione della conoscenza tramite altre persone, che recherà il titolo "La prevalenza del tassista negro". Mi è capitato molte volte di fornire sull'Avana, città che ho frequentato assiduamente, dettagliati suggerimenti a neofiti su luoghi e condotta da tenere. Ho smesso di fornirne, perché nessuno li ha mai ascoltati. Giunti all'areoporto, lo stesso uomo che mi aveva intrattenuto per una o due ore su consigli vari, saliva sul taxi, tirava fuori gli appunti e tutto gli appariva chiaro. L'avvocato Maresca, uomo dai gusti approssimativi, scarsa cultura, insufficiente discernimento, restava sullo sfondo e si incarnava davanti a lui il nuovo Messia: il tassista negro. Scendendo dall'auto erano già diventati grandi amici, pronti a dare la vita l'uno per l'altro. Si era stabilito in pochi minuti un clima di totale fiducia, alimentata da promesse rutilanti e complimenti, alternati con grandi pacche sulle spalle, manate, abbracci e quei toccamenti di vario genere che sono retaggio della nostra discendenza dalle scimmie e come tale risalgono a galla durante i viaggi, quando il volgo, sentendosi liberato dal giogo dell'educazione e delle convenienze, risale di parecchie ere ed annulla in un solo bermuda gli sforzi evolutivi di molte generazioni. Il papa nero pontifica: "Questo indirizzo è sbagliato". "Ho io un posto migliore" "Questo appartamento è fuori mano" "Quel ristorante non esiste più" "Lì si mangia male". Ed è così che il Maresca e le sue mappe sono belle che dimenticate. Siamo partiti da questo apologo perché esso individua l'insipienza di un approccio tra insegnante ed alunno. Orbene, come avvocato Maresca o come Giancarlo sono disposto talvolta a fare il professore, ovviamnete se richiesto. Qui però io agisco da Maestro e quindi non fornisco mappe, ma sestanti. Non pesci, ma esche. Il mio compito è quello di accendere il fuoco, non di cucinare. Nei nostri dialoghi ho cercato di fornirLe alcuni strumenti, sia per facilitarLe un'analisi della Sua volontà, sia per muovere i primi passi pratici. Ora è tempo che ci si lasci per un pò. Non Le fornirò le foto che chiede. Se Lei vuole una giacca napoletana dovrebbe sapere in cosa essa si distingue. Per una migliore comprensione, potrebbe anche aiutarsi con una ricerca tematica nella lavagna per la parte tecnica, ma in quella iconografica dovrebbe avere già qualche idea. Nel taccuino ci sono molte belle giacche. Ne scelga una e cerchi di cogliere non quanto le piace, ma il perché. Questa operazione richiederà almeno un mese. Le prescrivo poi due mesi di riflessione su quale dovrà essere il Suo primo abito, in cui trasfondere ciò che ha imparato guardando, da solo, foto e disegni. Non chieda una replica del capo che Le è piaciuto, ma faccia applicare la regola che vi ha colto nell'abito che avrà pensato per se stesso. Quando e se questa fase sia in via di compimento, sarò al Suo fianco per qualche emergenza. Se non avrà fiducia in se stesso e nel Maestro, se incontrasse un tassista negro che ne sa più di me, segua le sue indicazioni e si faccia mostrare una foto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 11-03-2004 Cod. di rif: 1033 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Inizio - Alla c.a. del G.Maestro e C. Villa Commenti: Gent.le Grande Maestro, ringrazio per tutte le parole. Seguirò quanto detto. Un ultimo scritto per le parole del Cavaliere Villa : immortali. Ogni traccia di Suoi gessi all’interno del sito è poesia. Induconos empre in riflessione. Grandissimo, non ci sono altre parole. Mi allontano per quest’avventura. Cordialissimi saluti. G.Guarnaseri. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 11-03-2004 Cod. di rif: 1034 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Giacche napoletane lontano da Napoli. Commenti: Egregio signor Guarnaseri, il presupposto del mio intervento è che lei abbia assorbito (come io stesso ho fatto o tento unilmente di fare abbeverandomi a tanta sapienza stilistica e raffinata cultura edonistica) le splendide parole spese dal Gran Maestro, dal Cavaliere Villa e dal Cavaliere Loretoni per illustrare con concetti tanto chiari quanto profondi in cosa consista l'arte dell'abbigliarsi. Pertanto, da un gradino più basso e allo scopo di sinceramente aiutarla mi limito a darle un modesto suggerimento pratico. A molti chilometri dalla città degli occhi di fanciulla (forse 700 chilometri) un grande custode della tradizione napoletana, il papa (come lo definisce il Gran Maestro), in una via detta di Montenapoleone, metterà a sua disposizione uno stuolo di sarti (o uno solo, ca va sans dire) che potranno mostrarle e confezionarle una splendida giacca napoletana. Non si faccia intimorire dalla rottura della monogomia sartoriale. Io stesso dannunzianamente sono fedele solo all'infedeltà. Cavallereschi saluti, Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-03-2004 Cod. di rif: 1043 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La guerra è dei cavalieri, la zuffa è del popolo Commenti: Dottissimi et attentissimi Frequentatori, leggo attentamente tutti i gessi delle Lavagne e gli Appunti nei Taccuini. L'argomento che ultimamente sta interessando quest'area, il cambio di stile nella comunicazione non verbale, è un argomento scientifico di grande interesse, ma la ricerca deve esimersi dalle critiche fine a se stesse. Anche quando noi siamo dalla parte che perde. Mi rivolgo in particolare ai cavalieri, per ricordare loro che nella Carta dei Principi è chiaramente stabilito che l'Ordine non sia mai contro qualcuno o qualcosa, ma agisca sempre in modo positivo. La nostra posizione è evidente e dichiarata, è insieme un'idea ed un'ideale e come tale non è suscettibile di compromessi. Pur rispettandola, la nostra guerra per sostenerla si combatte solo con l'esempio. Lo studio dei fenomeni si tenga quindi lontano da attacchi di pura pirotecnia verbale. Ricordiamo che furono i nostri nemici ad inventare la zuffa, mentre a noi si addicono solo la guerra e l'analisi. Le nostre parole taglino e taglino a fondo quando è necessario per uno studio anatomico o per difendere la fortezza, ma mai mostrino compiacimento nel ferire o sofferenza nell'essere feriti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-03-2004 Cod. di rif: 1046 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Opinioni ed ideali - Allo Scudiero Carrara Commenti: Egregio Carrara, le Sue parole non erano il mio bersaglio, ma certo sono stato lo spunto per una riflessione. Non sulle mie parole, ma sui nostri principi e sulla loro pratica. La questione è semplice, quasi banale. Chi ha solo un'opinione sa che potrà cambiarla o dimenticarla. Pertanto ha poco tempo per esternarla e per farlo sceglierà i modi più eclatanti. Chi nutre un'ideale ha davanti tutta la sua vita e quella di coloro che lo condividono e lo condivideranno. In questo caso, è ovvio, non c'è fretta. Sicuro della propria posizione, sceglierà quindi la silenziosa via della dimostrazione con lo studio e l'esempio, affinando la propria sensibilità sulla ruvida mola della tolleranza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-03-2004 Cod. di rif: 1058 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Caraceni - ad A. Pancotti Commenti: Egregio Pancotti, di Caraceni, o meglio dei Caraceni, qui al castello si è molto parlato, come è ovvio in un area in cui si studia e approfondisce l'abbigliamento classico. Se digita il nome nell'area di ricerca dei taccuini o di questa Lavagna, troverà numerosi scritti in materia. Quelli che chiariscono meglio i dubbi che Lei si pone sono i gessi n. 352 e 353. A prescindere dalla storia e limitandoci all'attualità, la sartoria romana sembra in questo momento in grado di offrire una maggiore soddisfazione, anche se l'immagine di quella milanese resta superiore. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Guarnaseri Data: 26-03-2004 Cod. di rif: 1062 E-mail: gguarnaseri@katamail.com Oggetto: Lino o Mohair Commenti: Esimio Grande Maestro, mi sono immerso per tempo nella decisione e per chiaririmi le idee. Mi manca solo un consiglio per il mio primo abito estivo del nuovo corso : lino irlandese o mohair ? Quale mi consiglia tra i due ? Quale dei due è più delicato. Un enorme grazie. G.Guarnaseri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2004 Cod. di rif: 1063 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lino o Mohair? - Al Cavaliere Gattagrisi Commenti: Egregio cavaliere, su una decisione del genere, quando riguarda me stesso, sono solito pensare un paio di mesi. Anche se scegliere per gli altri è più facile, mi resta una perplessità che deriva da abitudini che non conosco. Semplificherò al massimo per esserLe comunque d'aiuto, ma lascerò a Lei la decisione finale. Se Lei utilizza l'abito completo anche fuori dal lavoro, scelga il lino. In caso contrario, parta dal mohair. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-03-2004 Cod. di rif: 1065 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il punto di non ritorno Commenti: Egregio signor Migliaccio, i Cavalieri asserragliati qui al castello non fanno mancare il loro appoggio a chi sappia bussare. Ne ha avuto prove sia quanto alla dottrina che nella pratica. Ringrazio anch'io il cavaliere Marseglia per la bella figura di cui, attraverso di lui, tutta l'associazione ha goduto. Veniamo al sodo. Il Maestro si rivela estremamente onesto nelle richieste ed avrà tenuto conto del mandante e della Sua giovane età. Ad un professionista cinquantenne avrebbe ben potuto chiedere qualcosa in più e questo ci fa capire il perché di un certo riserbo sui prezzi. Riserbo che noi comunque non apprezziamo, perché alla fine il bilancio tra i suoi fattori positivi e negativi finisce a mio avviso a vantaggio di questi ultimi. Quella di Sorrentino è una signora giacca e l'onorario è al minimo, se non al di sotto del valore di un abito della qualità che egli sa esprimere. La stoffa che Lei desidera non è molto costosa e lascerà il costo totale entro le mille piastre. Ricordi sin d'ora di chiedere il pantalone con la tasca a filo, in quanto il Maestro ha maggiori richieste per quella tagliata in diagonale e potrebbe realizzarla in tal modo. La attendo per la selezione del tessuto, occasione nella quale posso assicurarLe che la Sua crescita nella materia tessile avrà una brusca accelerazione. Di questo passo sarà presto al punto di non ritorno e posso serenamente dichiararLe che esattamente lì era nostro scopo accompagnarla. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Bondi Data: 31-03-2004 Cod. di rif: 1066 E-mail: gianlucabondi@tiscali.it Oggetto: Principe di Galles Commenti: Ill.mo Gran Maestro, chiedo umilmente spazio su queste lavagne per sottoporre a Lei e tutti i dotti Cavalieri un interrogativo. Qual'è (se c'è) la corretta foggia con cui fare confezionare un completo in principe di Galles tradizionale (cioè bianco e nero con righina rossa o azzurra)? Monopetto o doppio petto?Tasche a filo o a toppa? Si tratta di un completo formale o informale? Ringraziando per la gentilezza saluto cordialmente Gianluca Bondi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-03-2004 Cod. di rif: 1067 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un campagnolo diventa cittadino - Al sig. Bondi Commenti: Egregio signor Bondi, il Principe di Galles ha avuto in origine un utilizzo addirittura sportivo, essendo destinato alla pratica del golf e delle attività all'aria aperta. Differentemente da quasi tutti i tessuti nati in campagna, impone la confezione di abiti completi. Pertanto si è ambientato molto bene in città e dopo ottanta anni che vi risiede è in procinto di ottenere una cittadinanza nel quartiere formale. Giudicando il futuro alla luce dell'evoluzione passata, sistema razionale e fallibile, la pratica potrebbe richiedere anche solo un'altra trentina di anni. Per il momento resta un abito tra il formale e l'informale, da giorno. Pur inadatto a cerimonie o situazioni di forte impegno, ha un contenuto subliminale di dignità austera e di attenta vigilanza sulle emozioni che lo rende molto adatto ai professionisti di ogni età e a chi debba assumersi responsabilità, ma non in situazioni di dichiarata tensione. Questo linguaggio si esprime meglio nella tipologia chiara e semplice che sembra quella da Lei citata. Tanto più i quadri sono piccoli, tanto più si alza il livello di formalità. Proprio perché il tessuto è in cerca di questo sdoganamento nel formale, ha abbandonato i bellissimi quadri grandi del passato (introvabili) per assumere quelli sottili. L'importante è che restino ben definiti e percepibili. Il Principe di Galles o Glen Urquhart si compiace sia della composizione in tre pezzi che a due, sia mono che doppiopetto. Quest'ultima tipologia è più adatta ai tessuti di maggior peso. Il mio primo abito di sartoria fu proprio un doppiopetto in saxony, nel lontano 1978. Le tasche vanno a filo con pattina. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-03-2004 Cod. di rif: 1069 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Comodità e barbarie - Al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, le manifatture tessili dipendono sempre più dai grandi ordinativi dei confezionisti e meno dalla drapperia al dettaglio. I confezionisti preferiscono lavorare su tessuti leggeri, favorevoli nei costi e nella resa, giustificando questo atteggiamento come una scoperta avanguardista, come una liberazione. Nel predominio che stanno assumendo la praticità e la comodità sulla compostezza e sui significati c'è qualcosa di perverso. La negazione di un lavoro di costruzione civile, in cui la dignità e non la facilità era il bene supremo. Gli uomini di Atene, di Roma e di Londra pensarono a ben altro che a stare comodi e se lo facvano, lo facevano di nascosto, predicando in pubblico il contegno. Ora che da tutti i pulpiti si ascoltano esortazioni al lassismo, viene da meravigliarsi che qualcuno si stupisca delle condizioni morali generali. Insomma, il discorso dei tessuti e dell'abbigliamento è legato alla storia dell'umanità. Sono tempi di decadenza e già l'attacco dei barbari si fa sentire. Quanto alle fogge dei pantaloni, non credo che ci sia un diktat. Scelga quella che al Suo sarto risece meglio e che a Lei aggrada. I bottoni giusti per l'abito di lino sono quelli in madreperla, tinta su tinta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-04-2004 Cod. di rif: 1072 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il destino l'attende - Al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, non disturbiamo con sospetti ed investigazioni il destino del Suo abito. La madreperla l'aspetta per completare degnamente il Suo abito. Non ha scelta, perché è così che deve andare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-04-2004 Cod. di rif: 1073 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Amore ed assurdo - Al sig. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, il volgo sostituisce il segno all'oggetto. La destinazione di un viaggio, l'auto, l'orologio, non vengono da esso compresi o vissuti, ma utilizzati superficialmente. Nemmeno come simbolo, perché nel simbolo c'è un silenzio che non è alla sua portata, ma proprio per le parole che questi segni sostituiscono. Parole dette da altri e che si fa finta di aver inteso. La conoscenza e non il possesso ci rendono padroni delle cose. Anche dalla nostra parte ci sono delle assurdità, ma il segreto è rendersene conto e amarle. Se stiamo quasi sempre comodi nella nostra giacca, non possiamo nemmeno dire di esserle fedeli per questo motivo. Poiché la amiamo, aspettiamo il momento di poter dare noi qualcosa. E' così che quando essa risulta un cilicio non ci lamenteremo ed anzi qualcuno vedrà balenare un sorriso di orgoglio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 01-04-2004 Cod. di rif: 1074 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: De Mohair Commenti: Ill.mo Gran Maestro, desiderei approfondire un argomento già affrontato su queste Lavagne,ovvero le caratteristiche del mohair e di quella particolare qualità definita "summer kid mohair". La definizione summer kid mohair come Lei aveva opportunamente sottolineato si riferisce alla maggiore presenza del vello della capra giovane.Quello che non mi è chiaro è se qualora sulla mazzetta vi sia la scritta summer kid mohair il tessuto sia 100% summer kid, oppure solo in percentuale. Alla resa dei conti è meglio un mohair puro costituendo il summer kid un misto? Come avrà capito è mio desiderio farmi confezionare un abito con tale prezioso tessuto, che tanto sa di colonie e di "Sarto di Panama". Ringraziando per la disponibilità cavallerscamente saluto Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-04-2004 Cod. di rif: 1076 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sul mohair - Allo scudiero Chiusa Commenti: Gentilissimo scudiero Chiusa, se vuole veramente approfondire la conoscenza del mohair, potrà intervenire al nostro prossimo Laboratorio di ricerca del 16 Aprile a Pratrivero (Biella), dove visiteremo la casa produttrice più importante al mondo in questo filato. Sarà un evento di portata eccezionale per ritmo e profondità, di cui può leggere qualche anticipazione alla colonna degli Eventi. Aggiornerò i cavalieri ed i simpatizzanti registrati con una lettera specifica sull'argomento. Al mohair avevo già dedicato un gesso indirizzato al sig. Conforti, il n. 1011. La dicitura summer kid enuncia un contenuto percentuale di vello d'agnello, grosso modo intorno al 30% - 40%. Percentuali più alte del 50% sono in genere segnalate con dicitura apposita. Nel normale commercio non esiste un summer kid 100%, ma sarebbe astrattamente realizzabile come virtuosimo tecnico. Il contenuto tecnico della tessitura è però in questo momento sovrastato dal desiderio di lane lussuose, sicché questo tipo di ricerca non paga. La tecnologia si indirizza non più ad ottenere il prodotto più confortevole e durevole, ma quello che renda meglio nella confezione e nel mercato. Questo richiede mani morbide e consistenze inafferrabili che una volta erano riservate alle signore. Ovviamnete il mohair interesserebbe poco, se non fosse che le sue caratteristiche sono veramente uniche quanto alla resistenza alla piega e alla freschezza, sicchè esso non scompare mai ed ogni tanto ritorna in auge. La combinazione tra mohair e summer kid non è comunque un vero e proprio misto, perché si tratta dello stesso pelo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 02-04-2004 Cod. di rif: 1077 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: mohair Commenti: Ho commissionato di recente un abito summer kid mohair al maestro Giovanni Celentano e quindi ho voluto approfondire le caratteristiche di questo tessuto. Mi limito, a seguito della richiesta di informazioni dello scudiero Chiusa e della risposta puntuale (come sempre) del Gran Maestro, a segnalare che non mi risulta esistano in commercio stoffe 100% mohair cui forse il valente scudiero Chiusa allude con l'aggettivo "puro". In verità, esso era in uso molti anni fa e mia madre possiede ancora un tailleur per la cui fattura venne adoperato filato mohair al 100% assumendo la denomminazione di "Orleans". Ho poi avuto conferma di ciò leggendo il prezioso libercolo recapitatomi dal gentilissimo Dante de Paz, summa sintetica quanto chiara dell'universo dei tessuti di lana dove l'illustre drappiere aggiunge che il mohair puro è stato abbandonato "...perchè l'impiego di lane mohair miste a merinos aumenta la qualità ed i pregi del tessuto". Numquam servavi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 02-04-2004 Cod. di rif: 1078 E-mail: giuseppe.defalco@fastweb.it Oggetto: errata corrige Commenti: Leggasi "denominazione" in luogo di denomminazione" erroneamente sfuggito sulla tastiera. Qualsiasi imprecisione, se non studiata, ci è intollerabile. Numquam Servavi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2004 Cod. di rif: 1079 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'Uomo di Classe - Al sig. Ortica Commenti: Il signor Ortica pone nel gesso n. 1075 un quesito un pò troppo vasto per le umane forze e peraltro la sua intimazione "Attendo risposta" non ha un suono incoraggiante. La classe è un presupposto dell'eleganza, ma non coincide con essa. E' la grazia mista alla sicurezza con la quale si riesce a far accettare se stessi, ma resta tale anche per un soggetto non attento all'abbigliamento. Per questo motivo, la domanda non è completamente pertinente in quest'area ed avrebbe meglio figurato nella mia scrivania, dove si affrontano temi speculativi. Ora che ci siamo, mi accorgo che nell’itinerario logico che ho tracciato nella mia scrivania e poi nella decima puntata del vestirsi Uomo non si definiva il ruolo e la posizione di questa attitudine. La classe è ciò che permette di apprezzare lo stile, che è a sua volta la cifra personale, l’impalcatura individuale sulla quale si regge ogni eleganza. Lo stile può infatti anche essere riconoscibile, ma grezzo, personalissimo, ma fastidioso, inimitabile, ma stonato. La classe è l’armonia che da a questo spartito l’orecchiabilità e lo rende memorabile, desiderabile. Diciamo che la classe ha attinenza col fascino e ne è la parte visibile, la traduzione in gesti, atteggiamenti, scelte. Da ciò concludiamo, rispondendo al quesito, che l’Uomo di Classe sia colui che rende accettabile ed anzi piacevole la forza d’animo espressa in modo sottile, suggerita e mai dichiarata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-04-2004 Cod. di rif: 1081 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Domani a Napoli Commenti: Domani 8 Aprile dalle 18.oo alle 21.oo si celebrerà da Marinella a Napoli la seconda puntata dell'evento bicipite sui NODI. Della prima serata si possono consultare qui nel sito immaggini e resoconti. In questa seconda occasione, parleremo in modo particolare dell'abbinamento tra collo di camicia e nodo di cravatta. Visto l'interesse che desta l'argomento, si tratterà di barba e capelli anche in questa seconda serata. Ospite d'eccezione il Maestro barbiere Gianni Cirillo, nostro Fornitore. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-04-2004 Cod. di rif: 1082 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un tour de force per pochi incrollabili Commenti: Cavalieri, Visitatori, sinceri appassionati del tessile, venerdì 16 Aprile, dalle ore 13 in poi, si terrà la prima sessione di Ricerca dei Laboratori d'Eleganza. La destinazione è lontana e il giorno è lavorativo. Mai come in questo caso si tratta di un evento dedicato solo agli appassionati più incrollabili, che si preannuncia però ai limiti dell'esaltazione mistica. Ecco il programma: Ore 13.00 - Buffet confidenziale. Ore 13.45 - Il signor Alberto Barberis Canonico terrà una breve conferenza sugli aspetti meno conosciuti della lana: i fattori che incidono sulle caratteristiche del vello, lo "Stile" della lana, le principali varietà, i criteri di selezione, gli strani sistemi di acquisto ed altri retroscena. Poiché egli raggruppa le competenze di un allevatore, di un buyer e di un imprenditore tessile, Alberto Barberis Canonico può essere considerato tra le massime autorità al mondo nella materia. - 14.00 - Insieme ai tecnici ed a Francesco Barberis Canonico, visita dello stabilimento. Poiché esso lavora l'intero ciclo, il nipote partirà da dove ci avrà lasciato lo zio Alberto, cioè dalla lana semilavorata, per proseguire lungo tutto il ciclo di tintura, filatura, tessitura e finissaggio. 16.00 Prende il via la parte metafisica dell'incontro. Sfogliando l'incredibile raccolta di campionari italiani ed inglesi, che raccolgono il meglio della produzione tessile da 1890 in poi, ci tufferemo nella storia del prodotto finito. Attraverso la sua evoluzione, grazie solo a ciò che vedremo e a ciò che non vedremo, sarà possibile ricostruire la vicenda dell'immaginazione maschile dell'ultimo secolo. Non attraverso le parole, ma grazie al linguaggio silenzioso ed evidente dell'abbigliamento, al cui studio nessuna organizzazione al mondo ha dedicato tanta attenzione quanto il Cavalleresco Ordine. Tra i piaceri che ci attendono, non ultimo sarà la decisione corale di un tessuto esclusivo per stile e disegno, che la Vitale Barberis Canonico graziosamente produrrà ad esclusivo beneficio dei Cavalieri e dei presenti, in commemorazione dei coraggiosi che si saranno sottoposti a questo tour de force. L'evento, irripetibile come spesso sono i nostri appuntamenti, sarà seguito anche dalla rivista MONSIEUR, che invierà un fotografo. Io scriverò il pezzo e così anche chi non sarà intervenuto potrà in qualche modo godere dei risultati di tanto lavoro. Inutile illudersi, però. Solo la partecipazione personale garantirà agli intervenuti un'accelerazione definitiva nella comprensione della qualità vera e dei significati del tessuto virile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-04-2004 Cod. di rif: 1084 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Leggerezze ed ideali - Al Cavaliere Villa Commenti: Egregio Villa, nel Vestirsi Uomo, una modesta summa dei linguaggi estetici dell'abbigliamento maschile classico e cosciente, espressi nella seconda puntata il mio pensiero sui materiali per la camicia. Credo che in estate il vero problema sia di evitare quelli con tendenza ad appiccicarsi addosso. Non è la leggerezza a dare freschezza, ma la "croccantezza" del tessuto. Un certo peso, in situazioni di caldo veramente sensibile, non solo non è dannoso, ma aiuta a non impregnare il cotone di umidità. Ricordiamo che, menre la lana è fortemente igroscopica, il cotone non regge l'umido e una volta bagnato diviene un ciclicio. I cotoni ritorti sono quindi da preferire e la scelta di tessuti leggeri rischia di essere controproducente se non orientata a selezionare quelli veramente adatti. La batista svizzera di cui Lei parla è piuttosto scattante e quindi astrattamente valida. Il problema è nella trasparenza, che nei voile e nella batista è eccessiva per una certa idea di Uomo, quale io dichiaratamente vedo come la più rispondente al suo mondo di valori e immaginazione. Quest'uomo non è servo della comodità o dello sfoggio, ma tende con metodo e conoscenza alla costruzione di un'apparenza coincidente con una tensione ideale alla dignità ed alla compostezza. Si può tranquillamente restare in questo campo ed allo stesso tempo utilizzare un tessuto leggero, utilizzando una tecnica che una volta era normale. Cioè foderando la parte anteriore della camicia con la stessa stoffa (che viene rivoltata verso l'interno) o con una batista bianca (applicata come uno scudo diviso nelle due metà). ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-04-2004 Cod. di rif: 1087 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Regole e eccezioni, bellezza o eleganza - A M. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, nella tenuta cittadina l'uomo dovrebbe coprire convenientemente le estremità. L'esibizione di un decolleté maschile è quasi sempre uno spettacolo di scarso interesse. Esso rappresenta un modo di vedere il mondo di cui non condivido le linee guida. Queste continue sottrazioni: del cappello, del cappotto, della cravatta, delle calze, dei lacci alle scarpe, vengono presentate come una liberazione, eppure esse non vengono per promuovere l'uomo, ma per mortificarlo. Questa esibizione di carni assortite, di polpacci e di braccia, di pance e di caviglie, sottolinea l'avvento del triplice idolo della Comodità, Fisicità e Gioventù e sottrae terreno all'antica fede monoteista nella Dignità. Va anche detto che le leggi dell’abbigliamento traggono autorità non solo dalla sensazione di far parte di una tradizione, ma anche dal fascino di trasgredirla. Occorre però trovare la via giusta. Una giacca slacciata, nelle occasioni opportune, permetterà ad un uomo di buon appeal fisico di sottolineare questa dote, mentre chi non l’abbia non guadagnerà nulla nel rinunciare alla cravatta. Credo che la presenza o meno della pochette non influisca sull’equilibrio dell’insieme. Essa ha però un evidente significato e ci dice che chi la indossa vuole stimolare una valutazione, essere in partita. Poiché si è iscritto alla gara, siamo tutti autorizzati, se non chiamati, ad un giudizio. Prima di esprimerlo dovremo risalire alla spinta emotiva, cosciente o incosciente che sia, col chiederci: quest’uomo vuole essere bello o elegante? Nel primo caso, egli non rientrerà nell’estetica maschile classica e la valutazione potrà essere fornita sulla base dei nuovi “Regolamenti”, quelli che come abbiamo detto privilegiano i parametri della Praticità o Comodità, della Fisicità o Bellezza e della Gioventù o Giovanilismo. Sono i registri del presente e del futuro e se sono di grande interesse da un punto di vista storico ed antropologico, l’Ordine non li propone come stile di vita. Nel secondo caso, anche la rinuncia alla cravatta potrebbe essere un’eccezione giustificata dal contesto, dallo stile del personaggio, dalla sua storia personale, dagli scopi immediati che sta perseguendo nell’occasione in cui lo vediamo. Proprio perché parliamo di eccezione, normalmente il tentativo di risultare eleganti aggiungendo una pochette ad una scollatura finisce nel vuoto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-04-2004 Cod. di rif: 1089 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una metafora - Al sig. Migliaccio Commenti: Egregio signor Migliaccio, una volta giocavo frequentemente a bridge. Il gioco della carta e la licitazione hanno molti stili, molte regole. Il mediocre passa una vita a studiarle, ma ne lla sua mente si affastellano in modo impreciso. Il fuoriclasse estrae ta tante la mossa giusta e tutti coloro che ricostruiscono la sua giocata la vedono come l'unica possibile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Andrea Girometta Data: 16-04-2004 Cod. di rif: 1090 E-mail: andrea.girometta@tin.it Oggetto: Che metafora! Commenti: Egregio Gran Maestro, complimenti. Complimenti per il potere di sintesi, la forza immaginifica e il contenuto didattico della Sua metafora. Dovendo partecipare anch'io fra breve a due matrimoni, avevo un piccolo dubbio che volevo sottoporLe, ma dopo aver letto la Sua risposta al Sig. Migliaccio non ne sento più il bisogno. Grazie. Cordialmente Andrea Girometta ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-04-2004 Cod. di rif: 1093 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Missione riuscita - A Longo & C. Commenti: Egregio signor Longo, nel rivolgermi a Lei mi rivolgo a tutti coloro che hanno partecipato al Laboratorio di Ricerca del 16 Aprile. La ringrazio per aver partecipato ad una missione così difficile, destinata ai coraggiosi. Anche se non è stata completata, perché come Lei ha detto è mancato il tempo per la consultazione degli archivi, è stata un successo per l'associazione e per tutti coloro che hanno avuto fiducia nel suo lavoro, Soci o meno che fossero. Organizzatori e pubblico, addetti ai lavori ed appassionati, quanti abbiano giocato il proprio tempo al nostro tavolo non hanno certo perduto. Il numero dei presenti ha del resto superato di molto ogni aspettativa. Venti persone, tra cui quattro sarti, sono giunte da ogni parte d'Italia: Bari, Napoli, Roma, Udine, Bologna, Milano, Torino. Sistemeremo presto negli Atti e Fatti dell'evento un Resoconto e delle Scene dell'avvenimento. A presto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-04-2004 Cod. di rif: 1100 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Anche il GM ha dei limiti - Al sig. Tarulli Commenti: Egregio Tarulli, non ho mai conosciuto Rea e non ho quindi fonti di prima mano per esprimere un parere sul suo gusto. Non dispongo di un corredo iconografico sufficiente a farmene un'idea. In genere, prima di affrontare un personaggio, studio molto a lungo una quantità di foto. La Sua domanda resta quindi in attesa che altri Visitatori si pronuncino o contribuiscano inviando qualche immagine nel Taccuino. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-04-2004 Cod. di rif: 1103 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bentornato Dante Commenti: Ullallà, non mi sbaglio. Quello che leggo è De Paz. Aspettiamo con ansia gli sviluppi della sua analisi del "Classico internazionale" e speriamo che prenda la buona abitudine di arricchire questa Lavagna con il suo punto di vista colto ed intransigente. A presto, Dante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-04-2004 Cod. di rif: 1104 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Misure sensibili e senso della misura - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, nel recente gesso n. 1096 mi esortava ad esprimermi sulla lunghezza di gamba e gambetta nella cravatta. Se vogliamo non dico esaurire, ma trattare degnamente l'argomento, dobbiamo suddividere il problema in due capitoli: 1) La lunghezza della cravatta e 2) La lunghezza relativa delle sue parti. 1) Una cravatta misura normalmente dai 145 ai 148 cm. Ciò che conta non è però questa lunghezza assoluta, ma quella relativa. Ricorderete che per far confezionare le Cravatte dei Paladini in occasione dell'evento NODI, chiesi di comunicarmi la distanza tra il collo e la cintura, cioè tra il primo bottone della camicia e quello che chiude il pantalone. Questa distanza, che potremmo chiamare Meridiano della Cravatta e di cui avrete sentito parlare qui per la prima volta, oscilla molto sensibilmente e va dai 42-43 cm ai 49-50 cm e oltre. Non è solo questione di altezza, ma di conformazione e di stile. Aumenta per i brevilinei e per coloro che indossino pantaloni a vita piuttosto bassa, come avviene spesso con gli uomini dalla pancia piuttosto pronunciata. In tal caso va considerata anche la curvatura: il Meridiano si allunga e si comprende come per ottenere degli effetti precisi possa essere necessario ordinare qualche cravatta su misura. La cravatta è al suo meglio quando scende al di sotto della cintura solo per i pochi centimetri della parte appuntita. Troppo lunga o troppo corta genera effetti spiacevoli. Ripeto in ogni occasione che queste non sono regole, ma ricostruzioni di una media la cui stretta osservanza genererà un uomo mediocre. L’Uomo Elegante conosce le regole, ma sa anche quale, quando e quanto ignorarla. Si badi bene che questo è il verbo che rende il significato della situazione. La letteratura in materia, poco attenta ai valori semantici e spesso impegnata a parlare di cose che non comprende, usa per essa un “trasgredire” che non ha alcuna cittadinanza negli alti livelli della piramide estetica. Si guardi quanto sia diffusa infatti la trasgressione e quanto poco il buon gusto. 2) La gamba sarà sempre più lunga della gambetta. Teorici accreditati come Salvatore Parisi, nostro Primo Guardiano, sostengono che esse vadano perfettamente appaiate o quasi. I risultati di Parisi sono ammirevoli, direi anzi esemplari, ma la sua regola non mi convince. Vi sono in gioco fattori che possono modificarla, primo tra tutti la larghezza della cravatta. Io affermo che la luce tra la punta della gamba e della gambetta possa aumentare col diminuire della sezione massima della cravatta. Una cravatta sottile, da sette centimetri o meno, sarà bellissima anche o soprattutto se portata un po’ sfalsata. Se veramente vuole una risposta alla Sua domanda, di cui ora giungiamo all’essenza, non ascolti me o altri, ma giunga Lei stesso ad una conclusione. Senza andare troppo lontano Le suggerisco il materiale adatto, i minerali che, lavorati da un occhio attento e da una coscienza orientata alla vera ricerca estetica, potranno rivelare preziosi metalli. Apra il Taccuino e mediti a lungo sulle differenze tra il Fred Astaire “largo e pareggiato” dell’Appunto n. 282 e il Bond “sstretto e sfalsato” riportato nel Taccuino all’appunto n. 172, pag 25 (apra la foto allegata al n, 172, perché nel173 il dettaglio che ci interessa non si legge altrettanto bene). Lo stesso distacco, se esibito su una cravatta da dieci centimetri, risulterebbe disastroso. Può capitare di vedere un uomo di grande talento estetico con la gambetta esuberante dalla gamba (Veda il Taccuino: Agnelli nell’ Appunto n. 334 a pag 53 o Cocteau nell’Appunto n. 296 a pag. 47). Cosa fare? Potrà riconsiderare il giudizio che ha di lui, ovvero trarne nuove leggi, dedurne che la sua fama sia stata costruita proprio sull’imprevedibilità o ancora (e meglio) provare a ricostruire ciò che egli ha voluto dire. Una cosa, come sempre, occorre evitare: rifarsi il nodo ad imitazione pura e semplice di un modello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-04-2004 Cod. di rif: 1108 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Torno subito Commenti: Egregi Visitatori, vedo che la Lavagna è quanto mai animata. Mi rammarico per qualche arretrato che si accumulerà, per qualche risposta che ritarderà, ma lascio il castello per qualche giorno. Sono diretto a Siviglia e vi resterò sino a Mercoledì. Pur viaggiando molto, riesco anche da lontano a mantenere una certa presenza nel sito, ma già so che la vita sivigliana di questi giorni non ha alcuna pausa. Alcuni trarranno da questa assenza auspici tragici, come il signor Conforti del gesso n. 1055. Ma tornerò. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Bondi Data: 26-04-2004 Cod. di rif: 1120 E-mail: gianlucabondi@tiscali.it Oggetto: Negoziante milanese Commenti: Illustri Cavalieri, Nobile Gran Maestro, vorrei un Vostro dotto parere sui capi indossati in fotografia da un noto negoziante/imprenditore milanese a cui è dedicato un servizio sull'ultimo numero della rivista Monsieur. Non entro nel merito dell'articolo, anche se alcuni passi sono censurabili ("meglio i freschi di lana del lino"), ma desidererei un'analisi dello spezzato/doppiopetto con catena portasoldi e della giacca a scacchi con monk strap dalla fibbia slacciata indossata in foto. Distinti saluti Gianluca Bondi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 30-04-2004 Cod. di rif: 1130 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Legge dei bottoni Commenti: Interessante teoria quella della corrispondenza biunivoca tra i bottoni frontali e quelli delle maniche delle giacche illustrata dal signor Poerio. Poichè il gentiluomo genovese, temo, sventuratamente, non potrà più soddisfare la mia curiosità, chiedo al signor Poerio se lo sviluppo coerente e rigoroso di tale legge debba portare alla logica conclusione che un doppio petto a sei bottoni si accompagni a sei bottoni per manica. O forse, in tal caso, si applicherebbe, adeguatamente parafrasandolo, il brocardo latino: "Summum ius, summa iniuria". Numquam servavi, Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-04-2004 Cod. di rif: 1132 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Per una legge delle leggi - Al sig. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, dopo l'intervento del cavaliere Forni al gesso n. 1112, prima del problema dell'esistenza di una legge è opportuno porsi quello della validità delle leggi in generale. Forni stigmatizza i "misuratori di centimetri", paragonandoli a quei sommelier che mortificano l’emozione del vino suddividendolo in particelle senza significato. Tutti avvertono nell’abbigliamento la presenza di codici, eppure occorre stare attenti a non ridurre queste regole a formule matematiche, perché il vestire rientra in quelle tradizioni che restano vitali finché restano leggibili nei fatti e tramandate con l’esempio. Le schematizzazioni scritte, se maneggiate da mani inesperte, sembrano suggerire l’idea di una riproducibilità di ciò che resta unico. Orbene, se la bellezza è riproducibile, non lo è di certo l’eleganza, che è bellezza resa viva, quindi individuale, quindi irripetibile, dallo stile. L’idea di formule in grado di costruire o ricostruire ciò che abbiamo detto essere irriproducibile e che, per il sommo rispetto che le si deve, non nomino mai più di una volta, è contraria al principio basilare della diversità degli uomini e degli stili. Eppure a mio modo di vedere è proficuo cercare dei punti fermi, avvicinarsi coi giusti strumenti alle strutture che reggono questa impalcatura che è così solida da durare secoli e così delicata da cadere appena la si tocca. E’ anche un problema di interlocutori, perché i discorsi di livello generalizzante possono essere facilmente fraintesi. Qui, dove le persone si conoscono se non di persona per lunga frequentazione epistolare, gli anni e l’impegno hanno creato un luogo sicuro, dove ho l’impressione che anche certe discese nel dettaglio abbiano svolto una funzione positiva. Suggerita una buona dose di prudenza, una piccolissima spruzzata di ironia e una generosa annaffiata di relativismo, sappiamo ora quanto siano ferree le norme del vestire, ma anche quanto e perché risultino così trasparenti ed ambigue appena scoperte e recitate verbalmente. Disinnescato quel potere esplosivo che le fa facilmente scoppiare in faccia agli inesperti, parliamone pure. Il gentiluomo genovese mi sembra aver torto su un piano universale. Non credo che si possa individuare una proporzione o una relazione tra i bottoni anteriori e quelli che allacciano le maniche. Si possono invece riscontrare abitudini legate ad aree stilistiche. Ad esempio, la giacca napoletana porta tradizionalmente quattro bottoni leggermente accavallati nei completi o nei blazer e molto spesso uno solo nelle giacche spezzate. Anche la giacca inglese porta quattro bottoni e quella internazionale tre o quattro, secondo le sartorie, ma non accavallati. In tutti e tre i casi, non c’è alcuna dipendenza dalla tipologia a uno o due petti. Poiché non esistono però solo leggi universali, ma anche quelle del singolo, il fatto che il nostro gentiluomo genovese avesse seguito sempre una sua regola, rende per questo solo fatto quest’ultima attiva ed incontestabile. Credo che ognuno di noi segua dei principi: metto quel tipo di cravatta con quel tipo di abito o con quel colore di camicia, quella calza con quel pantalone o quella scarpa etc. Finché non si tratta di abitudini che contravvengono a leggi estetiche dimostrabili o comunque accettate, ovvero a convenzioni di larga diffusione, queste leggi individuali fondano un mondo che va rispettato. I numeri sono infiniti, ma anche da zero ad uno c’è un infinito. Poiché l’infinito ci è inconcepibile, non possiamo pensarlo in termini relativi e intendere la relazione tra queste grandezze. Allo stesso modo, ogni individuo è un infinito ed ha il potere di creare una legge semplicemente obbedendole. Alcuni, più carismatici di altri, vedono diventare collettiva una norma che nacque individuale. Ciò rende viva la tradizione e giustifica ciò che facciamo: una sua costante osservazione e interpretazione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-05-2004 Cod. di rif: 1135 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scienza e sapienza - Ancora al giovane Poerio Commenti: Egregio Poerio, i tre gradi della conoscenza espressi dal Suo motto zen reintroducono un altro argomento che, con particolare efficacia, si è dibattuto negli ultimi gessi tra Forni e Carnà. Mi riferisco alla connotazione iniziatica del vestire, che può essere estesa a tutto quel sapere non scientifico di cui noi ci interessiamo. Poiché il Cavalleresco Ordine non è una società iniziatica, l'argomento diventa difficile, ma allo stesso tempo ineluttabile. E' innegabile che i codici dell'abbigliamento siano così sofisticati, anche al di fuori di quello classico, da distinguere con precisione un livello dall'altro. Un jeans e una cintura o una camicia e cravatta sono coordinate geometriche che parlano chiaro. Chi non possiede un denominatore comune coglierà dei significati che non sembrano scelti dall'individuo, ma propri all'oggetto. Il fiume è solo un fiume. A quelli che si trovano al livello di comprensione di chi li indossa, tali oggetti suonano differentemente: come una dichiarazione di appartenenza, un rifiuto della stessa, un'inadeguatezza, una speranza, una conquista. Le montagne non sono più solo montagne. A coloro che si trovano al di là, le medesime cose non sono più interessanti in se stesse, ma perché raccontano un'intera storia con un passato, un presente e - volendo - un futuro. Fiumi e montagne sono proprio tali, ma si intende la loro armonia al punto da immaginare la montagna che non si vede, l'ansa del fiume dietro la collina. Se ciò è vero (io lo dico, ma non posso dimostrarlo) allora si intende perché qui si parla di Maestri. La scienza si insegna, la sapienza si semina. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-05-2004 Cod. di rif: 1145 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Differenze sincroniche e diacroniche - A L. Villa Commenti: Rispondo al gesso n. 1139 Egregio Cavaliere, è la conoscenza a tradursi in scelta e non il contrario, ma credo che Lei volesse dire proprio questo. Ciò che poi si deposita nell’oggetto sono vita e storia personale, ma anche gusto e personalità. Le prime generano un’evoluzione verticale, nel tempo. I secondi una differenziazione orizzontale, sincronica. Lo stesso oggetto appare infatti molto diverso in mani diverse, anche nuovo. Ma appare anche diverso, nelle stesse mani, in tempi successivi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-05-2004 Cod. di rif: 1147 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una cena importante - Al sig. Taranto Commenti: Egregio signor Taranto, il gessato blu è oggi leggermente abusato. Se già lo possiede, lo indossi con calza scurissima a microdisegni, scarpa nera semplice, camicia bianca e cravatta jacquard blu e bianca. Potrà, se vuole, rifinire con una pochette in seta o con un fazzoletto bianco di lino o bastista al taschino. Eviti ogni accessorio che non sia un orologio, buttando nella spazzatura bracciali brasiliani, braccialetti d'oro o altri materiali, spille che non appartengano ad un club di alto profilo o siano ricordi di famiglia o frutto di ricerche in intimo contatto con la Sua personalità. Eventuali fermacravatte potrà conservarli, perché potranno tornarLe utili tra una quarantina d'anni. Se invece non ha ancora acquistato l'abito, propenda per un blu unito di saglia leggera, con il quale potrà usare una cravatta stampata, evitando i fondi rossi. Quanto al guardaroba, troverà indicazioni ricercando con questa parola nella mia Posta e in questa stessa Lavagna. A presto ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-05-2004 Cod. di rif: 1150 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due vie per la conoscenza - Al cav. Villa Commenti: Il ribaltamento da Lei proposto tra causa ed effetto non è privo di interesse, né di riscontri concettuali. Se alla conoscenza segue un'azione conseguente, come può essere la scelta di un oggetto, seguiamo un percorso deduttivo, o dorico. Quella in senso contrario, cui Lei ha fatto ripetutamente riferimento, è la via induttiva o ionica. L'azione è affidata nel primo caso al ragionamento e nel secondo all'intuizione. La riflessione avviene allora successivamente, come ascolto ed interpretazione. Una lampada ed una giacca possono quindi essere il risultato di una conoscenza di se e del prodotto, ma anche esserne all'origine, come spunto che ci impone di penetrare i motivi per cui l'abbiamo voluta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-05-2004 Cod. di rif: 1154 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La vita eterna - A Villa e Carnà Commenti: Egregi Cavalieri, abbiamo già parlato della triplice idolatria bifronte da cui il volgo è stato irretito. Gioventù/Giovanilismo, Fisicità/Bellezza e Comodità/Praticità hanno imposto un culto dogmatico che impone grandi sacrifici. Condurre una vita comoda significa distinguerecosa è pratico e cosa no. Venerare la comodità significa invece adottare acriticamente ciò che si dichiara pratico e che quindi viene in nome del nuovo Dio. Per quanto sia paradossale, questo atteggiamento, questa accettazione dogmatica, comporta che in nome della comodità si soffrano le più grandi privazioni. Quello dell'omvrello è un esempio molto indicativo, ma che dire delle scarpe. Poiché in qualche notte di plenilunio il Terzo Dio, sempre quello della Comodità/Praticità, parlò e disse che la scarpa morbida era più comoda, tutti i suoi fedeli si precipitarono ad acquistare la scarpa a panino. Dopo una giornata hanno male ai polpacci, dolori alla schiena, ma anche lamentandosi non demordono e non hanno paura: è stata loro promessa la vita eterna. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2004 Cod. di rif: 1156 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un blazer doppippetto - Allo scudiero T. Carrara Commenti: Egregio Carrara, non credo che il blazer di cui Lei ha bisogno possa essere quello del Principe Carlo, che ne possiede in quantità. Il famoso capo da Lei riportato nel taccuino ha una derivazione militare, evocata in modo inequivocabile dalla sequenza parallela e serrata dei sei bottoni bassi. Non so di che materiale sia il taglio in Suo possesso. Visto il Suo orientamento attuale, dovrebbe trattarsi di una saglia. In tal caso, continui a pensare ad un doppiopetto, ma lo faccia comfezionarte a sei bottoni. In questa tipologia i bottoni di metallo bianco non si trovano a loro agio, quindi se scarta l'oro non Le resta che il nero di corno. Corni o corozi in contrasto sono di un'eccentricità leziosa che non le renderebbe giustizia. Se proprio vuole aggiungere un dettaglio militare, faccia costruire la manica col paramano riportato recentemente nel Taccuino all'appunto n. 490. In tal caso ricadrà nei bottoni dorati, che a Lei non piacciono e che sono in realtà quelli con cui nasce il blazer. A quanto mi risulta, questo particolare è o era in uso sui blazer degli ufficiali della marina inglese fuori ordinanza. Lo vedo abbinato con baveri asciutti, non molto larghi, con taglio non angolato. Il nostro maturo Cavaliere Augusto Micheli ha una giacca di questo tipo, bellissima. Un blazer doppiopetto può essere confezionato con doppio spacco o senza, mentre va evitato quello centrale. La fodera più adatta è di bemberg rosso vinaccia, virante al blu. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2004 Cod. di rif: 1158 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il blazer cinque tasche - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, sconsigliavo l'otto bottoni all'ottimo Carrara non perché sia un capo brutto o sbagliato e nemmeno per le difficoltà di esecuzione, ma perché diventa un capo impegnativo, il che è la negazione della versatilità che i primi blazer del proprio guardaroba devono offrire. Coperti i ruoli principali, ci si preoccupa delle riserve e un capo così appariscente non può che essere considerato tale. Per gli stesi motivi penso il meglio possibile del monopetto a spacchi laterali. Io ne ho almeno cinque o sei, contro i due a doppiopetto, che non si sommano tra loro perché di varie taglie e diversi pesi e bottoni. Su tre capi a petto singolo ho non solo il taschino portabiglietti, ma un doppio taschino a toppa, utile in viaggio per avere i biglietti a portata di mano. Questa tipologia è da far confezionare solo in tessuti molto scuri, per evitare l'effetto mosaico di tutte queste tasche, che devono restare mimetizzate. Il taschino in più permette di portare il fazzoletto a destra, cosa che sbilancia lo sguardo dell'osservatore, il quel vede che c'è qualcosa di strano, ma non realizza subito di cosa si tratti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2004 Cod. di rif: 1159 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Napoli a Roma Commenti: Visti i favorevoli commenti espressi nel gesso n. 1110 dall' assiduo frequentatore di questa Lavagna sig. Migliaccio, facio avviso che in data 18 Maggio p.v. in Roma, presso l'Hotel Flora di Via Veneto, il Maestro napoletano Giovanni Marigliano terrà un'altra sessione di ricevimento clienti, prove e amene discussioni con gli appassionati. I modi con cui ha ricevuto il nostro giovane simpatizzante dimostrano che chiunque potrà trovare un'accoglienza non finalizzata al solo rapporto commerciale e trovare il modo di approfondire lo stile partenopeo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2004 Cod. di rif: 1162 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Precisazioni - Al sig. Barone Commenti: Egregio signor Barone, anche io non uso da tempo la giacca a bottoni dorati, mentre ne ho tre coi bottoni in argento o argentati. A prescindere dalle simpatie o dagli scopi, la conoscenza della tradizione, della storia e degli usi permette però di scegliere con vera consapevolezza e talvolta di trovare nuove strade. Il gusto personale cambia anche per questo. Il Maestro Marigliano sarà al Flora tutta la giornata, dalle 11.00 circa sino a sera. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2004 Cod. di rif: 1163 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Torno subito Commenti: Cavalieri e frequentatori tutti del castello, tra poche ore partirò e per otto giorni sarò all'Avana, piuttosto lontano dalla rete. Non è facile collegarsi da Cuba, ma non mancherò di tentare qualche breve sessione. Al mio ritorno risponderò comunque a tutte le domande rivolte direttamente a me ed interverrò nelle discussioni cui creda di poter dare un contributo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 11-05-2004 Cod. di rif: 1170 E-mail: giuseppe.defalco@fastwewbnet.it Oggetto: Classico internazionale Commenti: Esimio Cavaliere De Paz, ho letto con avidità il suo piccolo e agile manualetto sui tessuti che mi ha gentilmente e celermente (quanto celermente!) spedito. Lei non immagina dunque con quale ansia aspettavo il secondo "episodio" sul "classico internazionale" e con quale trepida attesa mi preparo a compulsare gli esempi paradigmatici grazie ai quali vorrà illustrarci il sobrio equilibrio dell'eleganza moderna, i suoi tessuti, le sue sfumature, la sua tradizione temperate dal gusto e dalla originalità che è propria di ciascuno di noi. Una sola preghiera, non mi faccia e non si faccia attendere! Numquam servavi Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 11-05-2004 Cod. di rif: 1173 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Consigli per un giovane Commenti: Saggio Gran Maestro, Signori Cavalieri, Visitatori, scorgo questo sito come abbagliato sulla strada per Damasco. Forse trovete ingenue queste mie parole. Sono un giovane di trent'anni, che cerca con difficoltà di uscire dalla adolescenza della mia generazione, per diventare finalmente uomo. E' difficile, perchè è difficile confrontarsi tutti i giorni con coetanei con i pantaloni corti, mentre si cerca di mantenere un tono; perchè è difficile trovare i canoni giusti, i consigli. Ma dove sono finiti i Maestri con la M maiuscola? Mi accingo quindi a esporvi i miei dubbi sull'abbigliamento, che forse, appunto, troverete ingenui: - altezza dei pantaloni: attualmente li porto sulla vita, intorno all'ombelico; può essere considerato corretto? E' la posizione che trovo più consona e comoda al momento. - lunghezza dei pantaloni: troppo lunghi, troppo corti: la cosa mi fa impazzire; mi pare giusto portarli in modo che rimangano dritti, ma che coprano almeno le calze mentre cammino; quindi abbastanza larghi in basso. - Sartoria: a chi appoggiarmi nella landa desolata in cui vivo (Milano). Ho individuato la Sartoria Duca. E' conosciuta? - Cravatte: per fortuna è arrivato Marinella a Milano! Ma come mai le cravatte al giorno di oggi sono così lunghe? Io utilizzo un semplice tiro a quattro, ma mi rimane sempre la parte piccola troppo lunga per avere la pala anteriore appena sulla fibbia. Forse sbaglio qualcosa. Spero di non averVi annoiato, e che mi acceterete in questa congrega; Vi saluto rispettosamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 11-05-2004 Cod. di rif: 1181 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Nodi e lunghezze Commenti: Rispondo al volenteroso signor Granata su un solo punto: la lunghezza delle cravatte che mi ha a lungo tormentato prima di risolverlo con due misure differenti ed efficaci. La prima, già suggerita dal Cavaliere Rizzoli consiste nel far confezionare le cravatte su misura. Per una persona della mia altezza (1,72 cm.) trovo sia più adatta una cravatta lunga 145 e, coerentemente, ridotta nella larghezza a 9 o 8,5 cm. Il secondo rimedio, atto a faciltare l'uso delle numerose cravatte industriali che già posssedevo prima di scoprire l'artigianato, è sato quello di sperimentare nodi diversi dal semplice tiro a quattro. Se leggerà il prezioso libriccino di Thomas Fink e Yong Mao (due ricercatori di Meccanica Statistica al Cavendish Laboratory) scoprirà che esistono 85 modi di annodare una cravatta - ed è proprio questo il titolo del piccolo manualetto (Bompiani, le Chiavi d'oro, 2000) Può spingersi oltre e imparare che esistono "188 nodi da collo" secondo quanto illustrano nell'omonimo libercolo, gli autori Davide Mosconi e Riccardo Villarosa (Idealibri, Milano 1991). Oggi uso raramente il tiro a quattro e a seconda del collo della camicia o della consistenza della cravatta o della forma che il triangolo del nodo voglio che assuma so di poter spaziare dal nodo Windsor, al mezzo Windsor, al Victoria, al Christensen, al Cavendish, al Hanover o al Grandchester, al Cavendish o al Pratt o, perchè no?, al Balthus, e quanti altri... Numquam Servavi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 12-05-2004 Cod. di rif: 1183 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Risposta A Lor Signori Commenti: Gentilissimi Signori, ringrazio calorosamente per le risposte che mi avete dato, in particolare il Signor Carrara, sulla quale ho lungamente riflettuto. Con Rispetto, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 12-05-2004 Cod. di rif: 1185 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Per il Signor Calisto Bruno Commenti: Egregio Signor Calisto Bruno, ringrazio anche lei per gli ottimi suggerimenti. Cordiali saluti, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 12-05-2004 Cod. di rif: 1186 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Sartoria a Milano Commenti: Egregi Signori, nella mia ricerca di una sartoria a Milano, vedo che c'è Rubinacci a Milano in via Montenapoleone. Il dubbio però, vista la zona "da stilista", rimane: sarà una sartoria su-ordinazione o su-misura? Cordiali saluti, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 13-05-2004 Cod. di rif: 1189 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Commenti: Egregi Signori, Innanzitutto mi scuso per la mia ennesima missiva, non vorrei abusare di questo spazio; ma non saprei con chi parlare di queste mie esperienze: di certo non con i miei coetanei in T-Shirt. Sapete della mia continua ricerca di un sarto a Milano; ieri mi intrattengo con quello che si dice un "sartino", fermandomi sulla strada di casa. Inizio quello che potrebbe chiamarsi un "percorso", e chiedo di un blazer e due paia di pantaloni da abbinare. Il sarto mi mostra un tessuto super 120's della Holland & Sherry, di peso 200gr; il tessuto, nella mia inesperienza mi pare molto bello; chiedo se è possibile confezionare una giacca sfoderata, e mi viene sconsigliato in quanto questo andrebbe bene solo per il lino. Il costo per blazer e 2 pantaloni sarebbe 1250. Adesso passerò da Rubinacci, dal quale come minimo prenderò qualche cravatta e magari una camicia su misura; però mi rimane il dubbio di non essere pronto per qualcosa di questo livello; non tanto per questioni di prezzo, ma sento di dover percorrere tutti gli scalini. Vediamo se trovo qualcosa di intermedio tra Rubinacci e il sartino. Saluto rispettosamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 13-05-2004 Cod. di rif: 1190 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Duca Sartoria a Milano Commenti: Signori, sono su tutte le furie. Scrivo questo gesso per evitare ad altri allocchi milanesi come me di commettere lo stesso errore. Torno or ora dalla "Sartoria" Duca: http://www.ducasartoria.it che sartoria non è! E' una vergogna! Ho ritirato la camicia che mi sono fatto fare: 140 euro per una camicia che scopro solo ora chiaramente industriale, con alcune parti su misura; infatti il collo è fatto su misura, ma essendo il mio molto piccolo (35), crea un fastidioso effetto increspatura sullo sparato che in una vera camicia su misura non dovrebbe esserci! Effetto Frankenstein, altro che su misura! Naturalmente chiedo informazioni circa il blazer e i pantaloni che vorrei farmi fare: scopro - leggendo tra le righe ciò che mi viene detto - che praticamente si tratta di un "su-ordinazione"; ma perchè non dirlo chiaramente? E cosa me ne importa che "le asole della manica sono vere" se poi il vestito è fatto industrialmente? L'etichetta di "Sartoria" dovrebbe essere data solo a chi se la merita! Tralascio altre chicche, come il tessuto gessato che mi viene proposto alla mia richiesta per un blazer ... mi veniva da piangere. Scusare per lo sfogo. Forse faccio prima a prendere un aereo per Napoli. Saluto rispettosamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 13-05-2004 Cod. di rif: 1191 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Per il Signor Villa Commenti: Egregio Signor Lorenzo Villa, mi permetta di ringraziarLa per i Suoi consigli ed incoraggiamenti. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 13-05-2004 Cod. di rif: 1195 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: All' Egregio Carrara Commenti: Egregio Signor Carrara, lei ha proprio centrato il punto! Ha espresso in perfetta prosa ciò che si cela nel mio animo. Il punto è proprio questo: attualmente non saprei reggere un "percorso" con un Rubinacci. Sarebbe come voler vestire un doppiopetto, od uno smoking, cosa per cui non mi sento pronto, e a cui voglio arrivare passo per passo. Per cui sono alla ricerca di un percorso più consono alle mie attuali attitudini e conoscenze. La camicia sarebbe un bel punto di partenza; peccato che a Milano il mestiere di camiciaia sia praticamente scomparso. "Sartino" è un termine non spregiativo, e, almeno nel dialetto milanese, designa il sarto della porta accanto, che non sarà un Caraceni, ma comunque sa fare il suo lavoro. Alla fine seguirò tutti gli ottimi consigli che sto ricevendo. Molto sto imparando, sia leggendo queste pagine che dai miei errori: il che mi mette nella necessità di elaborare lentamente le molte nozioni e sensazioni; cercherò di pazientare questo sacro fuoco che mi pervade, per decidere la strada con maggior lucidità. E chissà che non scelga per un viaggetto, come viene proposto nel Portico dei Maestri, per Verona o Parma. Ringrazio calorosamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 14-05-2004 Cod. di rif: 1201 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Ancora sulla ricerca di un Maestro Sarto Commenti: Egregi Signori e Cavalieri, Ho parlato con il Singor De Togni, e sono rimasto colpito dalla disponibilità e affabilità del Maestro Adamo. Credo che presto Verona meriterà una gita, per un bel paio di pantaloni come prima cosa. Ringrazio il Dott. Carraro per questa ottima segnalazione e per gli insegnamenti. Altresi ringrazio il Sig. Pugliatti per le successive indicazioni, che non mancherò di sondare. Ma sarebbe poco elegante ora tornare sui miei passi, visto la disponibilità del Maestro Adamo, e visto anche che scrive e legge questa lavagna. Inoltre Verona è a pochi chilometri da Milano ed è una splendida città. Intanto ho trovato una camiciaia, e stasera ordinerò l'ennesima camicia. Vedremo i risultati. Nella mia attuale ricerca di una camiciaia, trovo a scontrarmi continuamente con la questione linguaggio: la sua ambiguità mi pare massima in questo campo; "su-misura" mi par contenere un ventaglio di significato impressionante: significa la possibilità di provare separamente le taglie di colli, maniche e spalle poi prodotti industrialmente; oppure che viene creato un modello, ma la lavorazione avviene a macchina; ancora che la lavorazione avviene interamente o in parte a mano. Ringrazio il Dott. Carrara per l'invito a Bologna, del quale sono un pò emozionato, e segno sin d'ora l'appuntamento sulla mia agenda. Mi scuso ancora per la prolissità. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 14-05-2004 Cod. di rif: 1203 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Valigeria Commenti: Signori, non so se questo sia la lavagna giusta per questo gesso; oltre che di abbigliamento in senso stretto mi appassiono di valigeria. In particolare mi affascinano le valigette ventiquattrore; ho scovato questo bel sito: http://www.classicluggage.com/ che espone diverse collezioni di valigeria (e di ombrelleria), in particolare di noti produttori inglesi come: Swaine Adeney Brigg Papworth Daines & Hathway Anche i prezzi, stante la forza attuale dell'Euro, mi paiono degni di considerazione. Spero di aver fatto cosa gradita. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 17-05-2004 Cod. di rif: 1208 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Guarda caso il Mohair Commenti: Egregi Signori, guarda caso, proprio riguardo al Mohair, stavo pensando di farmi fare un paio di pantaloni in questo tessuto, di colore grigio-medio, da abbinare ad un blazer; è un accostamento azzeccato a vostro modo di vedere? O forse meglio in Lino irlandese. E riguardo ad un Blazer in Mohair, è forse troppo azzardato? In effetti ho letto che la serge pettinata sarebbe il tessuto tradizionale per i Blazer. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 17-05-2004 Cod. di rif: 1209 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Alla ricerca della camicia Commenti: Egregi Singori, la mia ricerca di una camiciaia di riferimento a Milano continua. Attualmente sono venuto in possesso di due indirizzi - che posso pubblicare a chi me ne faccia richiesta; dai quali mi sto facendo confezionare due camicie. La prima camiciaia l'ho visitata venerdi; è un negozietto laboratorio, in realtà stracolmo di tessuti, e con le macchine da cucire in vista; lavorazione tutta a mano a parte le asole per cui viene usata l'occhiellatrice: mi è stato detto che sono momentaneamente sprovvisti di ricamatrice a mano, che stanno cercando. Il secondo lo visiterò in settimana: mi hanno garantito che le asole vengono orlate a mano. Vi farò poi sapere dei risultati. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-05-2004 Cod. di rif: 1212 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Combinazioni tra tessuti. Leggi e princìpi - Al sig. Granata Commenti: Egregio signor Granata, il mohair tipico, una tela piuttosto brillante, è tessuto da destinare ad abiti completi, non a giacche o pantaloni sciolti. Diverso il caso in cui il mohair intervenga in altre armature, come la rara barathea citata da Carrara. La saglia blu, scura e pesante, è in effetti la stoffa "madre" del blazer, giacca le cui origini militari si ritrovano citate al meglio in questo materiale piuttosto rigido. Oggi, a parte quello tipico da circolo con bottoni oro, un blazer si adatterà alla sua natura versatile se confezionato in due, tre o quattro capi ritorto, in hopsack o in flanella, in ordine crescente di peso e di impegno. Quanto ai pantaloni, il lino non va molto bene per accompagnare un blazer in lana, ma solo quello in seta shantung. Non mi piace lasciare che queste affermazioni restino apodittiche. Perché esse abbiano un senso è opportuno indagarne e svelarne i principi. A questo proposito, è opportuno affrontare un argomento complesso: la differenza tra regole e principi. Una norma è gelida e immobile come un cadavere ed altrettanto inutile. Rigida per definizione, invecchia e si stacca dal suo oggetto come una vernice. I principi sono il significato, la ratio legis, come tali dinamici e sensibili alla storia. Formalmente si presentano anch’essi come regole, ma non sono semplici precetti, rivelando le proprie origini e scopi. Le cose inanimate possono avere strutture semplici, ma ogni cosa vivente è composta di meccanismi complessi. Proprio perché vivi, i principi richiedono analisi lunghe e complicate e possono quindi essere pedanti. E' sempre a questa parte umanistica e relativa che noi dobbiamo comunque riferirci, a preferenza dell'erudizione manualistica, che si compiace di banalità falsamente assolute, del tutto fuori dalle strade che conducono veramente lontano. Il principio che governa la combinazione tra tessuti implica la compatibilità quantitativa e qualitativa di tre parametri principali: 1-Peso 2-Lucentezza 3-Gradazione formale A prescindere dalla validità nell’accostamento dei colori ed eventuali fantasie, sono tra loro compatibili tessuti anche diversi per materiale ed armatura, purché abbiano peso e lucentezza pari o simili e siano corrispondenti per utilizzo “sociale”. In realtà la lucentezza è elemento costitutivo anche della gradazione formale, che va dallo sportivo al formale, passando per l’informale. Pertanto, una pari attitudine alla riflessione della luce comporta quasi automaticamente una gradazione formale compatibile. Interviene in questa anche un fattore storico, legato agli usi, al costume, più che alla ragione. Certi tessuti vanno utilizzati solo per la confezione di abiti completi, mentre altri possono giocare in più ruoli. Guardando i modelli degli anni venti e trenta, si nota che molti spezzati portavano pantaloni gessati, mentre oggi non ci piacerebbe. Al contrario, si concepiva il Principe di Galles solo come completo, mentre in epoche successive lo si è visto indossare con successo anche come giacca isolata, per tornare oggi ad essere usato solo in combinazione completa. Carrara, ad esempio, dichiara che indosserà pantaloni Principe di Galles sotto al suo blazer, facendo rivivere un'usanza da anni abbandonata. Io ritengo che l'operazione non avrà successo, ma non c’è un motivo logico per questo. La percepibilità di questi atteggiamenti comuni prova però come il gusto sia qualcosa che si basa su principi universali, anche se non per questo immutabili. E’ insomma una manifestazione dello spirito, che è proprio di ogni individuo eppure è in comune tra tutti. Di tanto in tanto grandi uomini agitano queste acque, portando alla superficie ciò che era in fondo, ridisegnando ciò che sembrava immutabile o dando vita lunghissima a cose nate per una sola sera. Essi però non agiscono con una forza di origine esclusivamente personale. Non sono l’onda, ma chi la cavalca e la rende in tal modo più visibile. Meravigliosamente in sintonia con essi, sono come antenne che leggono le frequenze dei tempi e danno loro la voce. Sul peso non c’è molto da dire, se non che il peso apparente conta più di quello fisico. Quanto alla lucentezza, possiamo distinguere le stoffe in matte, semimatte, semilucide e lucide. I tweed e i cardati in genere sono completamente matti. Se però in una flanella utilizziamo lane pregiate e pettinate, poi poco follate, il tessuto inizierà a riflettere la luce ed avremo così un semimatto. Insomma un semimatto è un tessuto in cui la luminosità si aggiunge ad una base che per storia e natura è tendenzialmente matta. Ovviamente, in questa teoria, un semilucido sarà un tessuto in cui la luminosità tipica o naturale, cui la stoffa tende, è stata limitata. Questa analisi, ancorché noiosa e basata solo su osservazioni personali, può trovare qui un minimo di utilizzo pratico. Volevo infatti arrivare a suggerire un registro al quale ispirarsi per la combinazione dei tessuti, evidenziando che in essa una delle cose da tenere in conto, ma delle quali non si è mai parlato, è l’attitudine a riflettere la luce. I commenti, se ce ne saranno, riveleranno se si tratta di una pista su cui continuare a cercare, ovvero di un binario morto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-05-2004 Cod. di rif: 1216 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Per una soluzione del problema fotografico - A D. De Paz Commenti: Caro Dante, per favorire l'inserimento di foto dettagliate dei tessuti, ti suggerisco di inviare la selezione dei campioni che intendi proporre al nostro socio Carrara, il quale ha l'attrezzatura e le capacità per fotografarle. In attesa di avere una Porta dell'Abbigliamento aperta e completa, di cui una succosa sezione sarà dedicata ai tessuti, Carrara potrebbe poi pubblicare un ritaglio a grandezza naturale, un ingrandimento in macro ed un supermacro. Il primo mostrerebbe l'effetto, il secondo l'armatura, mentre il terzo giungerà a rivelare la composizione e la struttura del filato. Le foto così pubblicate nel taccuino saranno riprese e commentate adeguatamente quando ci sarà l'area tessile con uno spazio ed un'organizzazione adeguate. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1217 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una previsione, non una certezza. A T. Carrara Commenti: Egregio Carrara, il cruccio ed il fascino di ogni fatto estetico risiede nell'impossibilità di ricondurlo tutto a leggi e principi. Anche un'analisi come quella che ho proposto lascia nella compatibilità dei tessuti parecchio di imprevedibile e inesplicabile. C'è quella componente storica, che vuole certi usi graditi in certe epoche e luoghi e sgraditi in altri. non si tratta di una soggezione alla moda, ma di una coerenza cronologica che può essere interpretata, forzata, ma non ignorata. poiché nella stagione che oggi viviamo il Glen Urquhart non si vede nei capi singoli, credo che combinarlo con un blazer finirà per offrire un insieme stridente. Non c'è un motivo razionale, a meno di volerlo cercare con strumenti retorici o logici assolutamente inadeguati a questa sede dove la scienza non è uno scopo, non una padrona, ma una serva del gusto. Con adeguate riserve, potremmo dire che il principe di Galles nasce come uno sportivo evocativo di atmosfere country, ma è diventato però un cittadino con pieni diritti e passaporto per occasioni formali mattiniere e lavorative. Il blazer nasce come sportivo di estrazione marinaresca e si è guadagnato una patente cosmopolita che anche da un punto di vista della "gradazione formale" lo rende astrattamente cmpatibile allo scopo cui vuole destinarlo. Potrei quindi sbagliarmi, ma non mi sarei sbilanciato se non fossi stato certo che il risultato non sarà come crede. Se ha già deciso, Lei segua il Suo gusto e nulla mi darebbe maggiore soddisfazione di una ricerca conclusasi con un risultato positivo, anche contro una mia previsione. Tenga presente solo che per il principio della compatibilità dovrà rispettare uno stesso standard di luminosità e quindi per la giacca non le rimane molta scelta: una flanella come il Lady Sanfelice sarebbe perfettamente compatibile col saxony. Se il principe di Galles è in altri tessuti, scelga un tessuto blu di armatura o lucentezza simile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1218 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dati - A Puglitti ed altri Visitatori Commenti: Egregio professore, mi riferisco al Suo gesso n. 1196 per chiederLe di offrire ai Visitatori, se in Suo possesso, i recapiti dei sarti milanesi da Lei citati: Domenico Casiero e Livio Colombo. Approfitto per ricordare a tutti che gli scopi di ricerca di questa Lavgana consigliano di fornire sempre questo tipo di dati. Poiché qui non ci sono scopi commerciali, nessuno ci taccerà di fare pubblicità ed anche se accadesse noi faremo finta di non sentire. I Visitatori non temano nemmeno alcuna censura su eventuali pareri. Naturalmente un sarto o un addetto ai lavori dovrà ripesttare la sua deontologia, ma chi scrive come privato ha qui tutta la libertà di esprimere i propri pareri e gli altri di approfondirli o contestarli, purché tutto si svolga con quel garbo lontano dall'amore perverso per la polemica che è ormai uno stile consolidato di questo castello e che difficilmente potrà smarrirsi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1219 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dal futile all'universale. Commenti: Incrollabili Cavlieri ed attentissimi Visitatori, ho finito adesso di leggere tutti i numerosi gessi prodotti negli otto giorni di mia assenza dal castello. Sono orgoglioso della qualità degli interventi, tra cui spiccano (solo per fare un esempio) contributi come quelli di De Paz e la new entry del maestro Calisto Bruno. Non meno interessanti, allo scopo della creazione di una liberaaccademia libera di ricercatori, delle curiosità e degli entusiasmi come quelli di un G.V.Granata e delle risposte cui ha dato corso. Nei taccuini continua la ricerca iconografica di Pugliatti ed altri. Nulla mi avrebbe potuto dare più soddisfazione di questa vitalità. Grazie a nome anche dei tanti lettori che non intervengono, ma che certamente seguono in silenzio i lavori e man mano scorgono che, attraverso la fede e la coerenza, la futilità apparente degli argomenti giunge all'universale. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1220 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Ancora sulla ricerca Sarti nel milanese Commenti: Egregi Signori, spronato dall'invito del Gran Maestro, scrivo ancora sulla ricerca di Maestri Sarti nel milanese. In realtà vi dico che mi sto anche divertendo, a girare per atelier e chiaccherare con questi artigiani. E continuerò per curiosità e mio divertimento. Ieri ho visitato l'atelier del Maestro Martinato in Via Col di Lana, e di Vito Curci in Via Caldara. Il lavoro del primo mi ha subito colpito: la giacca ha perfette proporzioni; la spalla è imbottita ma senza esagerare. Il Maestro Martinato è un signore piuttosto anziano, aimè, ma in gamba; e ha diversi lavoranti sotto la sua guida. Inoltre i prezzi sono competitivi per il mercato milanese. Per quanto riguarda il lavoro del Maestro Vito Curci, è di ottima fattura; ma la spalla e la manica sono troppo "pesanti" per i miei gusti. Ai miei occhi non si distingue dai tanti sarti del milanese, mentre il lavoro del Maestro Martinato si distingue subito, anche ai miei occhi inesperti. Proseguirò le mie indagini visitando alcuni sarti del varesotto, di cui ho lette bene sul florilegio, e del biellese, zona che ha dato i natali ai miei avi. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1221 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Per il Signor Carnà e Il Gran Maestro, Commenti: Egregi Signori, innanzitutto ringrazio il Gran Maestro per la chiara disamina sulla lucentezza dei tessuti; un ABC come questo è interessantissimo per me. Al Signor Carnà vorrei dire che stavo anche io per cascare dentro ad un inganno simile; in verità la recente frequentazione del Castello mi ha aiutato non poco nell'evitare tali trappole. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1223 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Una piccola sfida Commenti: Egregi Signori, mi unisco innanzitutto al Signor Villa nel chiedere lumi sull'accostamento Blu / Marrone: infatti porto spesso un paio di full brogue marroni con completo blu, cercando in questo modo di aggiungere una nota di informalità. Aggiungo allo stesso quesito l'accostamento Grigio Scuro o Nero / Marrone. In aggiunta volevo lanciare una piccola sfida: sono amante delle motociclette, e le uso spesso anche in città; quale abbigliamento consigliate, considerando che deve essere adatto anche in ambito lavorativo, ma deve essere sufficientemente resistente, sia d'inverno che d'estate? Comincerei considerando la calzatura corretta: io pensavo ad uno stivaletto liscio stile anni 60. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2004 Cod. di rif: 1224 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blu e marrone. Da Bond a Mike per finire con Picasso. Commenti: Nel fondamentale film 007 Missione Golfinger, Bond si presentava sul campo da golf del club di Auric Goldfinger (che indossava knickerbocker plus-four chiari) con una polo blu su pantaloni a sigaretta di un bel marrone deciso. L'effetto, restato memorabile ed ancor oggi impeccabile dopo oltre quaranta anni, conferisce all'abbinamento blu-marrone l'autorità della citazione classica. Se per sostenere che la parola zaffiro sia piana e non sdrucciola rileggiamo l'enedecasillabo di Dante: "...dolce colore d'oriental zaffìro ... che fa rima se ben ricordo con "... insino al primo giro", così anche nell'abbigliamento la frase estetica si giova dell'esempio autorevole delle grandi voci del passato. Ricordo che anche Mike Bongiorno, sottovalutato veicolo del classicismo taciturno e - se non vogliamo considerarlo uomo elegante - sapientissimo interprete ai suoi tempi d'oro del ben vestire italiano, ebbene anche Mike nelle prime trasmissioni a colori sfoggiò, lo ricordo bene, una mise con giacca blu su pantaloni marroni.Avevo probabilmente meno di venti anni, ma l'immagine mi influenzò non poco. Erano tempi in cui il mondo dello spettacolo non era del tutto corrotto dall'esigenza di cimentarsi nei continui tentativi, quasi mai riusciti se non alla Berté, alla Pravo e alla Oxa e comunque mai ad un maschio, di stupire gli spettatori. Prendo le mosse da queste lontane icone per sotttoscrivere la validità dell'accostamento in oggetto. Al signor Granata aggiungo che l'abito maschile, blu o di qualsiasi altro colore, non bisogno di informalità e sdrammatizzazione. Questi criteri, nati come curiosità personale e recepiti acriticamente come valore assoluto, hanno distrutto ciò che noi difendiamo: la dignità virile. Via libera alla full brogue marrone, quindi, ma purché si sappia che un abito blu si coniuga con le scarpe nere. Picasso, prima di mettere due occhi dalla stessa parte del viso, sapeva ben disegnare una brocca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-05-2004 Cod. di rif: 1230 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blazer 1° - Tipologie, bottoni, abbinamenti Commenti: Blazer. E' il primo capo da farsi cucire e forse suscita tanta curiosità perché molte domande provengono proprio da frequentatori del castello, giovani e meno giovani, che hanno trovato proprio qui le notizie e la fiducia per intraprendere i primi passi verso la costituzione di un guardaroba che sia veramente virile, veramente individuale, veramente gratificante e durevole. E' forse giunta l'ora di tracciare una mappa genetica delle razze che questa giacca, evolvendosi e riproducendosi, ha generato. Dal ceppo nativo, piuttosto rigido e pesante e decisamente sportivo, la giacca blu ha cominciato ad assumere diversi pesi, materiali e costruzioni, che l'hanno portata alla possibilità di coprire ruoli informali e anche formali non cerimoniali, secondo gli stili e gli abbinamenti. Il blazer blu si può classificare secondo la tipologia e secondo i materiali. Ovviamente nella creazione dell’effetto definitivo le componenti si intrecciano. Anche se qui le tratteremo separatamente, i richiami continui tra una componente e l’altra cercheranno di dare un’idea delle diverse possibilità e delle relative attitudini e linguaggi. A) In origine era la giacca da circolo, doppiopetto in saglia con bottoni oro. Abbiamo già detto che i bottoni oro, per la loro simbologia e tradizione nautico-militare, sono formali solo in questo ambito. Al di fuori di esso la connotazione sportiva di questa tipologia è molto evidente e la rende compatibile solo col tempo libero. B) Abbiamo visto come il blazer sia nato a doppioppetto. Tutti quelli che conservano questa costruzione conferiscono una maggiore autorità alla figura e sono quindi tendenzialmente più adeguati alle occasioni informali impegnative ed a quelle formali non impegnative. Vista la natura del capostipite, sarebbe naturale pensare che il primo diretto discendente sia il doppiopetto con bottoni in metallo bianco, ma qualcosa a questo punto cambia, dimostrando che l’estetica non ha molto a che fare con la genetica. Il blazer più vicino al doppiopetto bottoni oro è il monopetto con gli stessi bottoni. In effetti non si tratta di una discendenza, ma di una diluizione in soluzione inerte al 50%. Insomma, i principi attivi sono gli stessi, ma meno concentrati. Più che di una mezza misura, si tratta comunque di una misura intermedia. Come tale non è errata o deprimente, ma comunque da prendere in considerazione nel proprio guardaroba quando già si hanno i capi testa-di-serie e si devono coprire piccoli spazi vuoti. La differenza tra capi o scarpe testa-di-serie, e capi intermedi, solo parzialmente soggettiva, dovrà prima o poi formare oggetto di un altro dei miei gessi riassuntivi. C) Qui occorre introdurre il discorso dei bottoni, che orienta molto la giacca in una direzione o in un’altra. Abbiamo visto al capo A) che il doppiopetto a bottoni oro, che in genere si usa in materiali pesantucci, resta uno sportivo di razza pura. I bottoni in argento o metallo bianco conferiscono maggiore flessibilità. Perfetti in viaggio, vanno bene dal tempo libero alle occasioni di lavoro non ad alta tensione. Interessante notare come il doppiopetto con bottoni argento si senta un po’ spaesato. Non so dirne il motivo, ma credo che guardando la foto recentemente allegata da Pugliatti all’appunto n. 520 del Taccuino mostra tutti vedranno quello che vedo io: una vaga tristezza, un disagio, una polvere che offusca. I bottoni argento reggono sino al cocktail o in una sera distratta, mentre se la sera è una “serata”, lasceranno volentieri il passo a quelli in materiali non metallici. Corozo o corno nero per i tessuti decisamente scuri, madreperla in tinta per i blu intermedi. Per i colori un po’ particolari che danno sull’avion o carta da zucchero c’è ancora una quarta possibilità: la madreperla naturale. Quest’ultima si abbina bene su tessuti semilucidi e vuole restare attiva solo finche c’è luce e possibilmente in belle giornate. Poiché il campo di azione è ristretto, questa soluzione rende il blazer un capo intermedio, anche se di grande fascino. D) Poiché abbiamo nominato la sera, è il momento di porsi la domanda: il blazer è a suo agio la sera? Abbiamo già visto che la sera va distinta dalla serata. La serata si distingue dalla sera perché è preceduta almeno una o due volte dalla domanda: “cosa mi metto?”. Se si arriva alla terza senza essere convinti, non è serata da blazer. E) Ovviamente il capo precedente richiede la trattazione degli accessori, a cominciare dai pantaloni. La sera sono d’obbligo quelli grigi, che vanno abbinati prima al colore della giacca e poi al tono dell’appuntamento. Può anche essere che la Vostra giacca non si abbini al meglio con un pantalone grigio medio-scuro, ma in un’occasione serale quest’ultimo sarà indispensabile e qui si giunge all’unica considerazione utile che forse troverete in questa lunga prolusione: la convenienza viene prima della bellezza, perché l’Eleganza è figlia della prima e della seconda solo nipote. F) Quanto alle scarpe e camicie, la legge riportata con un commovente episodio nel bellissimo libro della Tatiana Tolstoij vuole che col blazer non si usino MAI calzature nere. Per commemorare il gentiluomo che dava questo consiglio sul suo letto di morte, io mi attengo e mi atterrò per tutta la vita a questo rigoroso principio, ma è anche vero che l’uomo di gusto conosce tutte le norme, ma se vi aderisce con piacere le trasgredisce con entusiasmo. Chi vorrà vestire un blazer di sera senza usare le scarpe nere potrà adottare una sfumatura rossa nella lustratura o un pellame decisamente color vinaccia. Detto questo è detto tutto. Resta l’ovvia indicazione che con le scarpe nere sarà preferibile la camicia bianca. G) Abbiamo già parlato delle diverse tipologie a doppiopetto e di alcuni monopetto. Ovviamente l’aggiunta di spacchi rende il tutto più disinvolto, mentre la loro assenza, mi si passi il termine riferito ai club in cui tutto nacque, è più “presidenziale”. Lo spacco centrale è da evitare, in quanto evoca attività equestri, cioè una sportività, ma di taglio stridente. H) Mi sono avvalso di un mio sommario grafico, riportato nel taccuino all’appunto n. 521, per evidenziare le diverse possibilità secondo un tracciato continuo ed organico. Rimando al testo illustrativo di questo disegno, in verità alquanto approssimativo, per una descrizione riassuntiva del blazer da un punto di vista della tipologia riferita alla versatilità di utilizzo. Spero che il disegno spieghi meglio delle mie parole il percorso ideale lungo il quale ciascuno potrà trovare il punto dove fermarsi secondo il proprio stile ed attitudini. Questo gesso rappresenta la prima puntata dedicata al blazer. La seconda parlerà dei tessuti in cui essi possono essere realizzati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 19-05-2004 Cod. di rif: 1231 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Sartorie nel biellese Commenti: Egregi Signori, vorrei raccontare questo piccolo aneddoto; come avevo segnalato in un gesso precedente, ho contattato un sarto nella provincia di Biella, il Maestro Barberis Organista. Il Maestro è molto cordiale, molto simpatico, sarà che parliamo la stessa lingua, essendo io di origini biellesi; purtroppo non accetta più clienti: ha molto lavoro, troppo; ma non trova lavoranti. Un lavorante abbisogna di molta pazienza per la formazione - mi dice il maestro - e non tutti sono disposti a "perdere" il tempo necessario. E' un peccato, anche perché la regione è attraversata dalla crisi del tessile, con una disoccupazione - non alta - ma considerevole rispetto alla lombardia e al veneto. Inoltre mi dice che nella zona, una volta ricca di sartorie, hanno chiuso quasi tutti: in sostanza sono andati in pensione senza ricambio generazionale. Confesso che la cosa mi rattrista non poco. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 19-05-2004 Cod. di rif: 1232 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Ringraziamento Commenti: Pare scontato, ma non lo è mai, ringraziare il Gran Maestro per le preziosissime informazioni riguard al blazer, di cui io faccio tesoro. Ringrazio anche il Signor Pugliatti e Il Signor Carnà; in realtà avevo già recuperato i riferimenti dei sarti nominati, in maniera piuttosto semplice: le pagine gialle. Ho contattato alcuni sarti di Varese, di cui si parla bene proprio in un articolo nel florilegio; a presto visiterò la cittadina per vedere il loro lavoro, e naturalmente riferirò. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-05-2004 Cod. di rif: 1233 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Barberis Organista Commenti: Egregio signor Granata, il maestro Barberis Organista, già citato in questa Lavagna, appare in assoluto tra i più bravi sarti attivi al nord. Partecipò anche all'ultimo nostro Laboratorio di Ricerca e lo riconoscerà nelle foto allegate negli Atti e Fatti della relativa pagina nella colonna degli Eventi. Professionista di elevato spessore tecnico ed umano, vanta anche una raccolta di rare riviste e figurini che rende una visita al laboratorio doppiamente interessante. Lodo la Sua iniziativa di visitare la sua ed altre sartorie e segnalo il Suo esempio anche ad altri. E' così che ci si fa una cultura. Non si abbia paura di risultare importuni. Un maestro, se è tale, ha sempre piacere a ricevere persone interessate al proprio lavoro. Anche se, come nel caso di Barberis, non accetta più clienti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 19-05-2004 Cod. di rif: 1234 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Una segnalazione per la Pulizia delle Cravatte Commenti: Signori, nel tentativo di dare qualche notizia utile, magari anche scontata per gli esperti, e non solo apprendere informazioni, vorrei spendere due parole sulla pulizia delle cravatte. Questo è un argomento che per parecchio tempo mi ha angustiato, finchè ho trovato due soluzioni. Naturlamente ho scartato a priori tutto ciò che obbliga ad un comportamento non consono - durante il momento più pericoloso: pranzo e cena - ma che aimè vedo applicato sovente come: slacciatura della cravatta, nascondere la cravatta nella camicia, protezione con fazzoletto a mò di scudo etc etc; l'unica accortezza che applico, è quello di tenere indosso la giacca - direi naturalamente! - e allacciarne i bottoni. Dopo una lunga ricerca ho trovato una Tintoria a Milano che usa le accortezze indicate per un capo come la cravatta; ho pellegrinato a lungo trovando sempre Tintorie che avrebbero aimè, stirato a sogliola le mie cravatte, e che avrebbero usato aggressivi detergenti chimici per il lavaggio a secco; poi ho scoperto la Tintoria Wagner, di Piazza Wagner (a Milano naturalmente): lavaggio leggero, naturalmente a secco, e no assoluto alla stiratura; invece le cravatte vengono appese ed esposte al vapore; il risultato è soddisfacente per quanto mi riguarda. La seconda soluzione è molto più semplice, ma riguarda solo le cravatte Marinella; è possibile affidarle alle mani sapienti dello stesso produttore, che le spedirà a Napoli; la cravatta viene completamente smontata lavata e rimontata a nuovo. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 20-05-2004 Cod. di rif: 1239 E-mail: gionavalerio.granata@poste.it Oggetto: Imbarazzante Situazione Commenti: Egregi Signori, Ho comunicato agli indirizzi email del Cavalleresco Ordine e del Gran Maestro tutti i riferimenti per potermi contattare. Non so come mai si è verificata questa situazione. Come ho scritto agli organi suddetti ho parlato telefonicamente con il Signor De Paz, e scambiato email con il Signor Carrara, utilizzando senza problemi proprio l'indirizzo email incriminato. Da esperto dell'ambiente posso azzardare una spiegazione: l'indirizzo IP del castello è finito nella black list del mio provider email - cioè ogni corrispondeza viene rifiutata; il motivo può essere individuato in due strade diverse: 1- qualcuno ha utilizzato fraudolentamente l'indirizzo del castello per produrre spamming = qualcuno ha attaccato in un certo qual modo questo sito. 2- il provider del castello utilizza una versione bacata/non aggiornata di smtp, che potrebbe lasciar passare qualche virus; in questo caso il mio provider non consente la corrispondenza. Cordialmente, un mortificato Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 20-05-2004 Cod. di rif: 1241 E-mail: gionavalerio.granata@poste.it Oggetto: Al C.O. Commenti: Egregi Signori, lodo incondizionatamente la vigilanza che è attuata sul presente sito; essa è garanzia di qualità e verità. Come ho detto precedentemente, sarò lieto di partecipare al prossimo Laboratorio, di modo da affiancare agli aridi dati anche un viso da riconoscere. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-05-2004 Cod. di rif: 1243 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dalla sartoria classica alla postmoderna - A sig. Vidali Commenti: Egregio signor Vidali, innanzitutto saluto in Lei l'appassionato della vita,titolo col quale Lei si presenta e che qui è tenuto in gran conto. Il passaggio dalla sartoria classica a quella postmoderna non sarà come quello tra la prima e la seconda repubblica. Le cose cambieranno veramente e forse in un senso che non Le piacerà. Il fatto che Lei mi senta sereno quando parlo dell'argomento, pur essendo io notoriamente un cultore della sartoria classica, non deve rassicurarLa. Una cosa è fare una previsione ed altra è una profezia. La seconda è infatti rispettosa della fede, mentre la seconda solo della scienza. Dall'osservazione e conoscenza dei gusti umani traggo la certezza che la sartoria, intesa come offerta di abiti unici, non scomparirà. Come ho detto molti gessi fa, apparirà tra poco una nuova generazione di botteghe che puntino sempre meno sull'abilità manuale nella lavorazione. Quest'ultima andrà inesorabilmente decadendo, in favore di una maggiore sensibilità al cliente ed alla scelta di materie prime esclusive. Già la guerra dlle fibre nobili ha raggiunto vertici di tensione impensabili qualche decennio fa. La gente, sollecitata dalla comunicazione serrata, da importanza a fattori come il titolo del filato o la razza dell'animale, di cui una volta si parlava poco o punto. Ciò ci mostra la via attraverso la quale si affermeranno le nuove leve. Abbandonata quella della classe, che non interessa e non vende, sembra promettemte quella del lusso. E' naturale che questo nuovo tipo di sarto sia in realtà in gran parte imprenditore e comunque uomo di estrazione elevata o elevatissima. In Milano si è già aperto il Laboratorio Italiano, bellissima sartoria di cui sono soci quattro grandi imprenditori ed un principe. Non Le sembra abbastanza convincente quanto alla affidabilità delle mie teorie? Lei si chiede chi lavorerà al banco, chi materialmente produrrà gli abiti. Innanzitutto alla nuova sartoria corrisponderà quella nuova clientela i cui gusti sono già - fuori di queste mura - allo sbando più completo per la mancanza di sistemi di trasmissione della cultura tradizionale. Sarà quindi più facile accontentare le persone da un punto di vista tecnico, rimediando su altri piani. Il prodotto sarà sempre un capo su misura e artigianale a tutti gli effetti, in quanto prodotto su specifica esigenza del cliente. Solo che l'esigenza non sarà quella di avere la spalla precisa come una spada giapponese o la manica sagomata come una colonna dorica, ma ci si accontenterà di molto meno. In cambio la sartoria diverrà sempre più accogliente e gratificante come locale, sino a diventare quasi un club in grado di offrire anche altri servizi. Quali saranno non lo so bene, ma non credo di sbagliarmi. Io farei così. Il cambio nella gestione sposterà insomma la gratificazione dall'oggetto al trattamento. Ricordiamo che la durata degli oggetti è mediamente molto abbattuta e che l'uomo tendera sempre più a soddisfazioni immediate, a gratificazioni non connesse al possesso, ma al riconoscimento. Molta della domanda tenderà alla personalizzazione più che all'eleganza e in verità non sappiamo se a quest'ultima si giunga anche per queste vie che per ora sono quasi tutte da tracciare. Vista la minore perizia che sarà necessaria, si abbatteranno i tempi di formazione ed a mio avviso se ne stanno modificando anche i luoghi. All'insaputa di tutti, la formazione di nuove forze sta avvenendo proprio in quegli stabilimenti del su-ordinazione che a suo tempo hanno saccheggiato la forza lavoro artigianale più competente. A contatto con maestri qualificati, sono certo che qualcuno stia apprendendo qualcosa che gli sarà utile un domani, quando comincerà a pensare di mettersi in proprio. Non sarà bravo come il suo maestro, ma nessuno se ne accorgerà. In tal modo l'industria pagherà il suo debito all'artigianato. Quanto alle fasi meno complesse, almeno per i primi tempi, resta poi l'inesauribile serbatoio nel quale si cerca quando c'è un lavoro che nessuno vuole fare: i negri, gli orientali, gli immigrati in genere. Non ne ho mai visto uno all'opera nel settore tessile, mentre in calzolerie artigianali sono già attivissimi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1246 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il naso contro le vetrine - Commento ad un testo di Dante Commenti: I ricordi di Dante sul blazer (gesso n. 1242) ci riportano l'immagine di un passato mitico in cui prima di comprare si guardavano a lungo le vetrine. Egli tace del desiderio che questa prima giacca doveva ispirare, ma la semplicità del capo e della sua descrizione ci fanno tenerezza in questi tempi in cui tutto è possibile e subito. Allora è proprio vero che ci fu un tempo in cui i giovani desideravano diventare grandi e non i grandi diventare giovani! ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1248 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Sarti a Varese Commenti: Egregi Signori, ieri ho passato il pomeriggio a Varese, bellissima cittadina prossima alla Svizzera, anche se piena di - come li chiamiamo noi - "fighéta", cioè sciatti individui vestiti all'ultima (?) moda. Ho visitato con estremo divertimento 4 sarti, i quali sono probabilmente gli ultimi rimasti in città. Intanto vorrei dire, sempre precisando che i miei occhi sono inesperti, che il loro lavoro mi è piaciuto molto a prima e seconda occhiata, cosa che non posso dire dei molti sarti che ho visitato nel milanese, a parte uno (Maestro Martinato). Segue resoconto: Maestro Egidio Lucchini Persona veramente piacevole, questo sarto lavoro in zona centralissima all'interno di un antico edificio; fa tutto da sè, a parte i pantaloni e le asole; praticamente ormai lavora per hobby, avendo 10-15 clienti, ma qualche giacca la realizza - secondo me a chi gli sta simpatico. La giacca, come d'altronde tutte quelle che ho visto in Varese, è veramente morbida, la spalla leggerissimamente imbottita e il giro manica a pennello. Abbiamo parlato a lungo della sartoria e del suo futuro, dei tessuti: alla fine mi ha quasi ringraziato per la visita. E' venuto fuori anche il discorso di questo giovane sarto, Mauro Bettoni, che purtroppo è dovuto andare a lavorare da Zegna - in Svizzera -, probabilmente a cucire abiti su-ordinazione; il lavoro è noioso, cuce sempre lo stesso pezzo, ma al momento maggiormente conveniente per lui. Maestro Mario Coppi Sartoria familiare, lavora con la moglie; ho visto dei bei lavori, in particolare una giacca a 3 bottoni con revere a lancia, e senza spacchi, mi pare di ottima fattura. Quando ho parlato di tempi, mi ha subito ammonito che con lui non si parla di tempi, ma di lavori per estate e inverno; in fondo sono d'accordo con lui. Maestro Giuseppe Mandica Lavora in casa, in pieno centro. Il lavoro mi è piaciuto; mi è solo parso che imponesse il modello a lui più consono. Cosa normale, credo. Maestro Cleopazzo Gianni (Sartoria Vergallo) Sarto molto giovane, credo intorno ai 35-40 anni; possiede una sartoria estremamente curata e storica in Varese; abbiamo parlato per una buona mezz'ora di tutto ciò che ruota intorno a questo magnifico mestiere. Ho visto parecchi lavori, tutti di ottima fattura; in particolare mi ha colpito un tre bottoni "spezzato a due". Ha voluto anche che provassi diverse giacche. Signori, non lo avessi mai fatto! Sebbene fossero notevolmente fuori misura per me - troppo piccole o troppo grandi - ho apprezzato l'estrema comodità (si, comodità!) di questi lavori, la morbidezza, il modo in cui seguono e si adattano alla conformazione: mai provato nulla di simile, e sfido chiunque a portarmi un capo su-ordinazione di questo livello. Come avrete compreso - la carne è debole - ho ordinato seduta stante giacca e pantalone. Vorrei segnalare che anche la scelta di tessuti (e bottoni) è veramente completa, comprendendo tutti i nomi da Holland & Sherry e Vitale Barberis in giù; e a prezzi non accessibili ai privati come me. Per chiudere, per quanto riguarda i prezzi - veramente ottimi -, sono in possesso del dettaglio per ognuno dei sarti nominati, e chiedo eventualmente al Gran Maestro se sia opportuno o meno pubblicarli; sono altresì disponibile in privato. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1249 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria di dopodomani - Al Prof. Pugliatti Commenti: Insostituibile Pugliatti, nel Suo ultimo gesso Lei dichiara di non essere in accordo con la mia ricostruzione del futuro della sartoria. Le discussioni sui se e sui forse non sono forse altrettanto interessanti quanto quelle sull'architettura reale del vestire, ma i timori sul futuro dell'abbigliamento su misura tornano spesso in questa Lavagna e vale la pena parlarne, ora che ho trovato un contraddittore. Non sono però riuscito a comprendere in cosa Lei trovi fallace la mia previsione. Si tratta di un modello "matematico" basato sulla previsione di come interagiranno certi fattori ed in particolar modo il cambio della domanda e della forza lavoro. Posso sbagliarmi ed ho piacere a discuterne, visto che in qualche modo anche questa è ricerca. Mi farebbe piacere capire in cosa Lei non concorda, visto che nel Suo ultimo testo la sua critica resta apodittica. Lei infatti ricostruisce egregiamente il passato, ma non presenta nemmeno parzialmente un quadro alternativo degli sviluppi a venire. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1250 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dati scientifici - Invito al signor Granata ed altri Commenti: Egregio signor Granata, quest'opera cui anche Lei collabora non ha gli scopi di una rivista. E' un laboratorio di ricerca, non una vetrina. I risultati di essa vanno però pubblicati, perché ogni dettaglio qui è destinato a durare, a d essere riletto molte volte da tante persone, anche a distanza di decenni. Già in altre occasioni ho esortato Lei ed altri a riportare i dati di cui si sia in possesso e che in qualche modo favoriscano la conoscenza a distanza di realtà artigianali. Il lavoro che sta svolgendo potrebbe essere utile a molti, ma resta monco. La invito nuovamente a pubblicare i recapiti dei maestri visitati ed ora che li conosce, anche i prezzi. tutti sanno che si tratta di valori indicativi, poiché la stoffa può incidere non poco. In altre occasioni, potrà anche chiedere se il maestro lavora con tessuto del cliente, atteso che molti appassionati preferiscono portare un tessuto ricercato da loro stessi. Parlo di tessuti vintage o specialità, non di residui acquistati a poco prezzo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1251 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Precisazioni Sui Sarti di Varese Commenti: Signori, esortato dal Gran Maestro, completo la mia "recensione", che rimarrebbe effettivamente monca, con i dati di cui sono in mio possesso: Lucchini Egidio 21100 Varese (VA) - Piazza del Podesta', 2 0332.286407 €700 per la confezione + tessuto a parte Mauro Bettoni: Chiuso ex-Atelier : via Magenta 17 21050 Saltrio (VA) - Via Grasso, 13 0332.440327 COPPI MARIO 21100 Varese (VA) - VIA BAGAINI GIOVANNI 6 tel: 0332 289590 €430 per la confezione + tessuto e fodere a parte MANDICA GIUSEPPE - €650 + €150 21100 Varese (VA) - VIA BAINSIZZA 49 tel: 0332 240244 €800 per la confezione + tessuto a parte SARTORIA VERGALLO DI CLEOPAZZO GIANNI 21100 Varese (VA) - VIA DONIZETTI GAETANO 17 tel: 0332 231072 €700 per la confezione + tessuto a parte Tutti questi sarti lavorano volentieri su tessuto del cliente. Non credo di incorrere in problemi relativi a Privacy, in quanto i riferimenti sono facilmente reperibili sulle Pagine Gialle. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1253 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: A completamento Commenti: Egregi Signori, vedo che non ho aggiunto una precisazione, e me ne dolgo; prossimamente starò più attento a includere tutti di dati coerentemente. La precisazione è questa: i prezzi che ho dato per i sarti di Varese sono relativi a GIACCA + PANTALONE. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1256 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Futuro della Sartoria Commenti: Egregi Signori, se c'è la domanda c'è l'offerta; e la mia generazione si sta a piano a piano svegliando: fino a poco tempo fa si beveva solo Coca Cola, ora finalmente è tornato il vino sulla nostra tavola; abbiamo ricominciato a figliare; prevedo che molti - non tutti - riscopriranno il gusto di vestire dal sarto. Forse il lavoro del sarto cambierà, cambieranno le modalità, come prevedere il Gran Maestro, ma mi rifiuto di pensare che in futuro potrò vestire solamente un su-ordinazione industriale o simile. Intanto ho già due indirizzi al Nord di Maestri Sarti giovani che potranno seguirmi per una trentina d'anni: la SARTORIA VERGALLO DI CLEOPAZZO GIANNI di Varese, e SARTORIA ADAMO & LUCIANO DE TOGNI di Verona. Sono sicuro che con la ricerca se ne scopriranno altri, in altre parte di Italia e mi associo con il progetto di stilarne una lista, di più: di appoggiarne e favorirne la crescita economica e culturale. Io di sicuro mi adopererò che nessun centesimo dei miei euro vadano dispersi nel su-ordinazione, ma che vadano da ora tutti nell'artigianato. E' una battaglia, ma sono pronto a combatterla. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-05-2004 Cod. di rif: 1257 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Futuro della Sartoria Commenti: Egregi Signori, se c'è la domanda c'è l'offerta; e la mia generazione si sta a piano a piano svegliando: fino a poco tempo fa si beveva solo Coca Cola, ora finalmente è tornato il vino sulla nostra tavola; abbiamo ricominciato a figliare; prevedo che molti - non tutti - riscopriranno il gusto di vestire dal sarto. Forse il lavoro del sarto cambierà, cambieranno le modalità, come prevedere il Gran Maestro, ma mi rifiuto di pensare che in futuro potrò vestire solamente un su-ordinazione industriale o simile. Intanto ho già due indirizzi al Nord di Maestri Sarti giovani che potranno seguirmi per una trentina d'anni: la SARTORIA VERGALLO DI CLEOPAZZO GIANNI di Varese, e SARTORIA ADAMO & LUCIANO DE TOGNI di Verona. Sono sicuro che con la ricerca se ne scopriranno altri, in altre parte di Italia e mi associo con il progetto di stilarne una lista, di più: di appoggiarne e favorirne la crescita economica e culturale. Io di sicuro mi adopererò che nessun centesimo dei miei euro vadano dispersi nel su-ordinazione, ma che vadano da ora tutti nell'artigianato. E' una battaglia, ma sono pronto a combatterla. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 23-05-2004 Cod. di rif: 1265 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Adunanza romana Commenti: Egregi Cavalieri tutti, il 21 maggio scorso si è tenuta in Roma l'Adunanza Provinciale. E' stata per me un'occasione meravigliosa per conoscere da vicino Cavalieri di cui conoscevo solo il nome, nuovi volti e volti già veduti la cui vicinanza mi ha rinfrancato. Volevo con questo mio gesso rendere pubblico il mio ringraziamento a Italo Borrello, Primo Prefetto, Paolo Liberati, Secondo Prefetto e al Cavaliere e Fondatore Maestro Giovanni Celentano per la perfetta organizzazione, l'atmosfera giocosa, goliardica e la scelta accurata dei luoghi in cui siamo convenuti, dal laboratorio artigianale del Maestro Celentano con la presenza del dott. Merola alla delicata ristorazione del Myosotis. Avanti così. Numquam servavi Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Bondi Data: 24-05-2004 Cod. di rif: 1266 E-mail: gianlucabondi@tiscali.it Oggetto: La qualità delle Lavagne Commenti: Gent.mo Gran Maestro,Illustri cavalieri, apprezzo da alcuni mesi il Vostro sito e ammiro il Vostro operato in difesa del bello e di ciò che esso significa. Non manco di ammirare l'immensa opera culturale realizzata nelle varie lavagne e nella Posta del Gran Maestro. Se mi permettete vorrei però porre alla Vostra cortese attenzione lo scadimento che la Lavagna dell'Abbigliamento ha avuto nell'ultimo periodo. Se confrontate i gessi recenti con quelli passati credo che il divario sia netto ed evidente. Maggiore era la cura e l'attenzione alla forma , migliori i contenuti.Quelli che a mio giudizio erano i "best", come Villa,Forni,Alden, Marseglia, Chiusa sono stati "rimpiazzati" da autori spesso non all'altezza del livello raggiunto in queste lavagne. Molti testi sono scritti di fretta e con scarsa attenzione,in pochi hanno "monopolizzato" la lavagna, tra cui ricordo il Sig. Granata, certamente meritevole,attento e bravo, ma credo troppo irruente. Mi scuserete la critica, ma spesso un estraneo e semplice lettore nota cose che sfuggono a chi è direttamente coinvolto. Cordialità Gianluca Bondi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-05-2004 Cod. di rif: 1267 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tramonti ed albe - Al sig. Bondi Commenti: Egregio signor Bondi, come parte in causa non mi esprimerò sul livello del sito né su quello degli interventi e darò per scontato che la decandenza che Lei nota sia in atto. La Sua analisi è però condotta su un tempo e una modalità non tarata sulla reale natura del castello. Come evocato dalla simbologia e da un linguaggio anche informatico volutamente "datato", quest'opera nasce per durare secoli. Per la sola struttura base impiegheremo almeno dieci anni e quindi i risultati che ci interessano sono solo quelli di lungo periodo. Tracciare bilanci annuali o semestrali è compito delle società, non delle istituzioni. Inoltre noi non consideriamo le zone interattive come una passerella dove dimostrare la propria scienza ed eloquenza, ma come un'area di ricerca. Anche se glieli ho dovuti estrarre con le tenaglie, alla fine il signor Granata ha pubblicato dati rari ed interessanti su sartorie in zone a scarsa densità artigianale. Non trova che ciò illumini la sua presenza? Questa non è una rivista dove si faccia selezione dei pezzi belli e brutti, ma un laboratorio. In certi periodi si potrà lavorare a progetti più interessanti o interverranno relatori più brillanti, in altri si sgobba su dati aridi. La biologia non studia solo le balene, ma anche le piattole. Credo che se frequenterà il sito per qualche decina d'anni ancora, vedrà nuovi rinascimenti e nuove decadenze ed alla fine concorderà con me. Non si metta in allarme ogni volta che il sole tramonta o è oscurato da una nube. E' normale. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-05-2004 Cod. di rif: 1269 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Made in Italy: qualità e tradizione Commenti: Nella Scrivania del Gran Maestro è da tempo attiva una discussione sul Made in Italy che ha visto molti interventi. Il problema, di fronte alla diffusione di prodotti che recano questo marchio, è quello di identificare con esso quelli che realmente siano stati realizzati nel nostro paese e siano pertanto abilitati a rappresentarlo. Un marchio del genere, legato ad un disciplinare, avrebbe anche un ritorno positivo sulla qualità. Il tema non è di poca importanza, atteso che si tratta di difendere un'immagine, di tutelare gli otto milioni di persone che attualmente lavorano nel manifatturiero, ma soprattutto, per quanto riguarda il nostro spirito, di alimentare le possibilità di continuare a fare e vendere qualità e tradizione anche in un mercato con concorrenza sempre più agguerrita da parte orientale. Rimando alle ultime mie risposte sul tema, di data odierna, che riportano in forma integrale tre lettere scritte dal leader di questo movimento, il sig. Luciano Barbera. Egli si è anche espresso dalle colonne della rivista MONSIEUR e di altre testate nazionali in favore della creazione diun movimento d'opinione che solleciti un adeguato intervento legislativo. Le lettere di barbera, indirizzate ad organi politici ed al direttore di MOSIEUR, chiariscono con grande lucidità il problema ed individuano scopi e soluzioni. Il sig. Barbera si dichiara disponibile a tenere un piccolo convegno a beneficio dei cavalieri e frequentatori del nostro sito, per animare un dibattito tra appassionati in particolare del mondo tessile, che è tra quelli più a rischio. Qualora ricevessi sufficienti incoraggiamenti privatamente, su questa Lavagna o nella discussione appena citata della mia Scrivania, procederò all'organizzazione dell'incontro, da tenersi in Milano. Il signor Barbera mi comunica anche l'indirizzo del sito appena attivato, ma da completare, che è la punta avanzata della "battaglia" per il Made in Italy. E' già possibile registrarsi e sottoscrivere una petizione per il riconoscimento in termini legali di una definizione più concreta ed utile dei prodotti realmente realizzati su territorio nazionale, secondo le nostre tradizioni. Eccolo: www.fattoinitalia.org ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 25-05-2004 Cod. di rif: 1271 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Dei tessuti , tasche e convegno Commenti: Egregi Signori, vorrei innanzitutto ringraziare il Signor De Paz per la documentazione enciclopedica che sta fornendo. E' utilissima, e mi incuriosisce: in particolare il Gabardine, che mi pare tessuto desueto; va utilizzato solo per completi, o magari anche per un pantalone abbinato a Blazer? Leggo inoltre diversi riferimenti sulle tasche da giacca, e non ne vedo una trattazione completa; provo ad azzardarne le diverse tipologie, e chiederei conferma al Gran Maestro: - tasche applicate sono quelle tasche che vengono costruite da un pezzo di tessuto applicato sopra la giacca; utilizzate in particolar modo nelle giacche estive sfoderate, in quanto permettono di avere l'interno della giacca poco lavorato. - tasche a filo tasche ricavate da un taglio sulla giacca; possono essere con o senza pattina (o toppa?), cioè quel tessuto che viene applicato per nascondere e chiudere il taglio. A mio modo di vedere, ma chiedo ancora conferma al Gran Maestro, le tasche applicate paiono sportive; le tasche a filo con pattina informali / sportive, sensazione che aumenta con il ticket pocket; le tasche a filo senza pattina mi sembrano più formali. Per quanto riguarda il Convegno del Signor Barbera, io accetto con entusiasmo; ho naturalmente sottoscritto senza indugio la petizione sul relativo sito. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Alfieri Data: 25-05-2004 Cod. di rif: 1273 E-mail: giovannialfieri@tiscalinet.it Oggetto: incontro con il Sig.Barbera Commenti: Egregio Gran Maestro, aderisco pienamente al possibile incontro con il Sig.Barbera. Cavallereschi saluti Giovanni Alfieri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-05-2004 Cod. di rif: 1283 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I veri rischi della nuova sartoria - Al sig. Vidali Commenti: Il signor Vidali, al gesso n. 1252, chiede qualche altro chiarimento sulla questione del futuro della sartoria, in merito al quale credevo di aver esposto il mio pensiero in modo chiaro. Io ho preconizzato una sartoria in cui i contenuti tecnici siano parzialmente sostituiti da altri atout, come l'attenzione al cliente, l'offerta di nuovi e più chiari servizi, l'accoglienza. Resta però la natura artigianale del prodotto, perché altrimenti non avremmo più sartoria. I capi saranno scelti dal cliente e realizzati su-misura, né in alcun punto mi sembra di aver accennato a caratteristiche che possano avvicinare questo nuovo assetto a quello del su-ordinazione. Una sartoria o qualunque altro laboratorio si può definire artigiana se lavora senza parcellizzare o dislocare le lavorazioni e realizzando un'idea specifica del cliente a misura del suo corpo o delle sue esigenze. Il che, credo, continuerà a verificarsi, anche se magari le tele non saranno impunturate a mano. Quelli che vorranno vestire d'organza potranno farlo, ma verranno serviti anche gli amanti delle flanelle cardate. Credo piuttosto che in questa ed altre attività artigiane si andrà sempre più aggiungendo una vena artistica propria dello stilismo, che sinora è stata una minaccia e probabilmente continuerà ad esserlo. E' questo il punto pericoloso del nuovo assetto, che rischia di svuotare la tradizione e sostituirla con una personalizzazione capricciosa che tenda all'originalità più che alla compostezza ed allo stile. La natura imprenditoriale di questi esercizi potrebbe inoltre promuovere un'idea di lusso che corroda quella di Eleganza. Ciononostante resteranno sempre buoni motivi per andare in sartoria, perché io non posso credere che la natura umana possa essere ridotta ad una totale obbedienza alle leggi del mercato e della moda. Resteranno sempre dei pesci fuori dal branco e troveranno i sarti a servirli. Chi continuasse a credere nella tradizione ed a conoscerla, potrà ottenere ciò che desidera, compatibilmente con una ridotta offerta di materiali tradizionali e di manodopera specializzata. Come Lei dice, credo che queste nuove sartorie stiano nascendo e si svilupperanno nei grandi centri, dove una vita competitiva stimola un ricorso alla personalizzazione di per se stessa, anche fuori da un sincero amore per l'abbigliamento. Dalle città, la loro influenza si farà sentire anche nei piccoli centri, dove una sartoria più tradizionale resterà comunque attiva per decenni. Naturalmente, tutto ciò prevede che le realtà tradizionale ed innovativa si mescolino e convivano a Milano come a Parigi. Quanto al Suo appello alla costituzione di un data base sui sarti attivi nella nostra penisola, non posso che rilanciarlo. Nei gessi passati e in altre aree del castello troverà comunque parecchie indicazioni già inserite. In futuro cercheremo di raggrupparle, ma un simile lavoro, soprattutto se si ricerca col criterio di età da Lei proprosto, richiede innanzitutto l'apporto di Visitatori che forniscano dati e in secondo luogo di una redazione che li organizzi. Vedremo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 27-05-2004 Cod. di rif: 1285 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Calorosi ringraziamenti Commenti: Inarrivabile Cavaliere De Paz, ero ansioso di leggere sulla lavagna i suoi gessi sul classico internazionale accompagnati dalle illustrazioni del taccuino e la mia attesa trepida è stata ampiamente ripagata con spiegazioni semplici, illustrazioni complete, annotazioni sobrie. Non posso che ringraziarla di cuore per le preziose stille di sapienza stilistica e per il concentrato di eleganza di cui fanno mostra i suoi interventi. So che lei è della partita per Barcellona ma è in quel di Bologna che sarà mio vivo desiderio poterla incontrare. Grazie ancora. Numquam Servavi Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-05-2004 Cod. di rif: 1286 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratorio sul Classico Internazionale Commenti: Egregio cavaliere De Falco, naturalmente sarò anch'io con Lei e De Paz tra i Soci che parteciperanno a Barcellona alla fondazione del Governo Cavalleresco di Spagna. Pochi giorni dopo, nonostante sia richiamato a partire piuttosto presto per un impegno partenopeo, sarò anche a Bologna per il prossimo Laboratorio di Eleganza. Approfitto anzi dell'occasione per ricordare agli abituali frequentatori di questi appuntamenti che il 9 Giugno ci riuniremo in Via Ugo Bassi 4/D, presso la ditta De Paz, dalle ore 12.30 alle 16, per discutere come al solito temi legati alla cultura dell'abbigliamento. All'ordine del giorno sarà una discussione intorno il Classico Internazionale, ricostruzione concettuale che ha destato grande interesse. Sollecito ad intervenire anche e soprattutto gli appassionati che non hanno mai partecipato e che trovino interessante l'argomento. E' tra l'altro un'occasione per conoscere e confrontarsi direttamente con alcuni degli abitué di questa Lavagna. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-05-2004 Cod. di rif: 1289 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Acquistare una guayabera Commenti: Egregio Villa, la guayabera, cui avevo accennato nel mio Vestirsi Uomo sull'abbigliamento sportivo come forma alternativa alla sahariana, è un capo versatile e ricco di una tradizione che il Suo gesso ha messo in luce. Difficile inventarsi qualcosa e pericoloso cercare di rendere lussuoso un capo che nasce semplice, per ambienti semplici. Il gusto europeo tenderebbe a snaturarla eliminando le piegoline o l'abbondanza di bottoni inutili. Privata di queste caratteristiche, essa perde ogni significato. Come una camicia con collo e polsi bianchi si addice a chi abbia in qualche modo rapporti di sangue, di studi o di esperienze lavorative col mondo anglosassone, così una guayabera classica sarà a suo agio su chi frequenta i Caraibi ed in particolare Cuba. Invece di trascinare le nostre camiciaie in avventure a rischio, consiglio in questo caso il prodotto industriale, consono allo spirito degagé. Il sito fondamentale dove acquistare una perfetta guayabera è il www.guayaberashirt.com. I modelli in lino cinese, con le giuste piegoline, sono assolutamente perfetti, soprattutto quello a mezze maniche che viene presentato in un ottimo bordeaux. Magari si potranno cambiare i bottoni, eccessivamente al di sotto della tolleranza cavalleresca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-05-2004 Cod. di rif: 1291 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dry cleaning? No thanks - Al sig. Consolini Commenti: Egregio Consolini, in realtà la stragrande maggioranza delle guayabere in uso a Cuba è in fibra sintetica. Il sito che ho consigliato è tra i posti migliori dove acquistare senza andare troppo lontano ed offre anche materiali più compatibili con la natura umana. Lo stile è quello giusto, come ho potuto riscontrare coi miei occhi da capi ivi acquistati. La guayabera bordeaux, quella mostrata come esempio e che è stata riportata nel Taccuino da L. Villa, l'ho vista indossata da Valerio Cornale, personaggio splendido di collezionista, fumatore e amante della vita. Ha una casa e una moglie a Cuba ed anche se il centro dei suoi affari è Grand Cayman, dove ha un'altra famiglia, passa parecchio tempo nella sua bella casa all'Avana. Orbene, non credo proprio che qui si faccia lavare le camicie in tintoria, abitudine totalmente inesistente in quella località. Le avvertenze vanno quindi prese molto alla leggera, ma la camicia no. La lavi pure in acqua, ma affidandola a persone con un minimo di competenza e una certa attenzione ai detersivi e temperature. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-05-2004 Cod. di rif: 1294 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Taglie della guayabera Commenti: Egregio Cavaliere Carnà, una guayabera non deve essere lunga quanto una giacca, ma un pò meno. Ho visto frequentatori di Cuba, innamorati del capo, che avevano tentato di farlo realizzare da nostri artigiani con materiali molto nobili. Un disastro. Immediatamente si era allungata di mezzo palmo, perdendo ogni significato e diventando una sahariana destrutturata. Se ci mettiamo mano noi europei finiamo per cambiare qualcosa dove Le assicuro che non c'è nulla da cambiare, altrimenti non avrei consigliato un acquisto così squallido come quello in rete. Orbene, credo che per evitare di passare il segno, sia bene mantenersi in una Medium. Dopotutto la 48 è una taglia media. La small sarà per il 44/46, la Large vestirà intorno alla 50/52, la XL per 54/56 e poi via con altre x per ogni scatto di ciccia in più. Pur avendo visto guayabere (chissà se si può dire al plurale, ma io ci provo) acquistate nel sito e quindi essendo in grado di certificarne la buona qualità e lo stile, non so altro sulle taglie. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-05-2004 Cod. di rif: 1298 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Immenso Dante Commenti: Immenso Dante, la Tua meticolosa, sapiente, inedita opera di catalogazione, si chiude con considerazioni di estrema rilevanza. Quest'opera basata sul prodotto sta completando il mio sforzo sui codici che MONSIEUR ha avuto il coraggio di pubblicare in dieci puntate che hanno suscitato infinite polemiche. Ricordo che comunque tutto il Vestirsi Uomo è accessibile nel nostro Florilegio. Tutti i testi sono pienamente accessibili, copiabili e stampabili, perché questo sito non ha alcuna paura di essere imitato e se pubblica qualcosa non è per farsi bello, ma per conoscere il bello. Credo che sia emerso da tanto lavoro che il Classico non è o non è solo il grigio scuro, ma un sistema che si evolve sotto la spinta delle nazioni e dei singoli, venendo a costituire un patrimonio espressivo in cui trovano legittimazione tutte le spinte. Le grandi aziende multinazionali non ci ascolteranno e continueranno a sfornare il total look per le masse inebetite, ma chi abbia preso coscienza che la nobiltà della tradizione è il miglior suggello anche dell'originalità, avremo anche in piccola parte contribuito alla resistenza ad una decadenza estetica che non coinvolge solo l'abbigliamento, ma il contenuto umano della vita. Al di fuori di esso non c'è che alienazione, servitù, barbarie. Ciascuno vesta a suo modo, ma conosca il classico o almeno lo riconosca. Chi vuole lanciarsi in proporzioni ed abbinamenti inediti come alcuni appunti sui taccuini hanno messo in luce, faccia pure, ma ricordi - come ho già detto un'altra volta - che prima di disegnare due occhi dallo stesso lato del volto Picasso sapeva disegnare molto bene una brocca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de falco Data: 03-06-2004 Cod. di rif: 1309 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Cravatte su misura a Roma Commenti: Stimati Cavalieri, desidero comunicare ai Cavalieri romani in particolare ma anche ai non romani la felice scoperta di un artigiano della cravatta (in verità, già ben noto specie a chi gravita nell'ambiente politico di quella zona di Roma) che mi ha regalato grandi soddisfazioni per la qualità, lucentezza, compattezza e lavorazione della seta cui si accompagna un'anima ben costruita, solida. Si tratta di un piccolo negozietto sito in via del Seminario 93 (tel. 06-69942199) a due passi due dal Pantheon guidato dal simpatico e disponibile signor Ezio. So che è possibile anche un servizio a domicilio per chi vive fuori Roma. Per i Cavalieri che mi conoscono favorisco volentieri l'uso del mio nome per presentarsi al signor Ezio Pellicanò. I prezzi, specie per ordinativi di discreta quantità, sono interessanti. Cavallereschi saluti, Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 03-06-2004 Cod. di rif: 1310 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Abito Jeans Commenti: Egregi Signori, mi piacerebbe avere un commento riguardo all'abito che ho visto oggi; purtroppo non ho una immagine da proporre, posso solo descriverlo sommariamente. L'abito che ho visto era piuttosto bizzarro. Sicuramente tagliato da un sarto; si tratta di un completo realizzato interamente con tessuto Denim, quello utilizzato per i Jeans. Il signore che lo indossava era piuttosto distinto; mi sono avvicinato per capire se mi fossi sbagliato sul tessuto: era proprio Jeans. La giacca era un doppiopetto a 6 bottoni, con revere a lancia. Bottoni di corno nero. Pantaloni a due pinces, con risvolto. Cravatta Bordeaux con piccoli disegni. Pochette. Non saprei cosa dire, sul momento sono rimasto piuttosto spiazzato; da una parte ammirando il coraggio, dall'altra la sensazione di "sbagliato"; cosa dire, sicuramente la persona si propone come Dandy, non sono sicuro del risultato. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 09-06-2004 Cod. di rif: 1320 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Camiceria Urbano Commenti: Egregi Signori, ho appena ritirato la camicia che mi sono fatto confezionare da Urbano a Milano. Mi piacerebbe avere qualche commento in proposito: ho aggiunto qualche dettaglio fotografico. In particolare cosa mi consigliate di guardare per capire la qualità del prodotto? Il tessuto è un fil a fil, e mi pare, alla prima impressione sufficientemente consistente e resistente. Le asole sono fatte a macchina, per ammissione della Urbano, perchè non disponibile - e impossibilitati a trovare - una ricamatrice degna di nota. Aimè, hanno rinunciato a cercarla. A merito della Urbano posso dire che mi hanno consegnato tessuto e polsini per eventuali ricambi, senza averne fatto richiesta, compresi nel prezzo (€140). Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-06-2004 Cod. di rif: 1323 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pronto Soccorso - Al Cav. Villa Commenti: Caro cavaliere Villa, eccomi a soccorrerLa. Attrezzatissima l'ANTICA MODISTERIA LONGO in Calle del Lovo, 4813 - VENEZIA Tel: 041.5226454, in cui Le consiglio una visita lunga per scegliersi un Panama. Notevole, cortese e fornita, forse più vicina a Lei, l'ANTICA CAPPELLERIA MALAGUTI di Via Galliera, 32 A/B - BOLOGNA Tel: 051.233756 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-06-2004 Cod. di rif: 1324 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Errore Commenti: Naturalmente rispondevo col mio precedente al gesso di Carrara, non a quello di Villa. Mi scuso per il refuso sul nome. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2004 Cod. di rif: 1326 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Classico Internazionale Commenti: Egregio Villa, prima di rispondere alla Sua domanda, voglio proporre a Lei ed tutti i Visitatori, ma in particolar modo ai Cavalieri, una riflessione su quanto De Paz ci ha trasmesso parlando del Classico Internazionale. Innanzitutto dobbiamo assumere la consapevolezza che si tratta di un’invenzione di grande potenza innovativa e comunicativa. Tutti i capi citati ci dicono molto e la dimestichezza che abbiamo con loro può farci credere che essi siano stati sempre insieme, così come li abbiamo visti nei gessi e negli appunti di Dante. Le cose non stanno così, in quanto la letteratura sull’abbigliamento è sempre partita da altri presupposti e si è fondata su altri sistemi. In genere si è partiti dalla teoria per giungere alla pratica o tutt’al più il contrario. Quanto ai metodi, si è largheggiato in norme e consigli. Tutto ciò è totalmente assente dalla sublime astrazione Depaziana, che passa dall’osservazione alla scienza. Non detta ordini, ma nemmeno lascia alle spalle dei dubbi. Non è basata su opinabili teorie o gusti, ma sulla valutazione in tempo e spazio della tradizione. Il Classico Internazionale, nella prodigiosa visione del nostro Cavaliere, è formato da tutti quei capi la cui lunga militanza li ha impregnati di significati stabili. Non si tratta di una passerella delle cose più belle, ma di quelle più dense di storia e ricollegabili ad un’immaginazione non solo locale, ma largamente condivisa. L’Uomo di Gusto non utilizzerà il Classico Internazionale come un bambino gioca coi cubi. Non ne metterà insieme i pezzi a casaccio, ma conoscendo la natura del singolo capo ne rispetterà la specifica utilizzazione. Il Classico va usato in armonia a quei significati che lo hanno reso tale, altrimenti si cade nell’approssimazione, nel ridicolo, nel cattivo gusto o nel migliore dei casi nella stravaganza. La conoscenza e l’osservanza dei codici dell’abbigliamento maschile, sono oggi considerate un peso inutile, alla stregua di tutti gli altri valori umani. Questo spinge a domandarsi perché mai attenersi a principi non sanzionati e in definitiva poco condivisi. E’ il momento allora di prendere partito e di decidere da che parte stiamo. La triplice idolatria bifronte oggi dominante, cioè la venerazione dogmatica di Praticità/Comodità, Fisicità/Bellezza e Gioventù/Giovanilismo, considera scopo ultimo la libertà e la promette ai suoi adepti. L’atteggiamento umanistico non vede nella libertà il bene supremo, specie se essa è riferita al singolo e non alla società. Concepisce invece tutta la civiltà come una serie di sagge rinunce agli appetiti immediati in cambio di soddisfazioni più profonde e di una garanzia di continuità della propria stirpe e cultura. Non esclude ed anzi presuppone un principio trascendente, uno scopo che vada al di là della vita del singolo. Chi crede in Dio di preoccuperà della salvezza per la vita eterna, ma in questa terrena tutti faranno i conti con la dignità. Come vede l’apprezzamento di una cravatta o di una calzatura ci portano, o per meglio dire provengono, da molto lontano. Sia chiaro che non è necessario approfondire e praticare l’arte del vestire per essere persone degne, ma certamente il modo in cui si vede il mondo influenza ed è influenzato da quello con cui si vede l’Eleganza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2004 Cod. di rif: 1327 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il messaggio dei jeans - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, dopo la disamina generale, appare chiaro che il jeans ha pieno titolo ad entrare in qualsiasi guardaroba, ma va utilizzato secondo la sua natura ed il suo linguaggio. Se indossato per e con trascuratezza perderà il suo significato e ne ssumerà altri. La volontà di apparire giovani e disinvolti è uno dei pericoli che rendono odioso questo capo se indossato al di fuori del suo campo d'azione, che è il lavoro, l'aria aperta, la necessità di un capo resistente e confortevole in situazioni heavy-duty. Anche la scelta della casa non potrà allontanarsi da quelle syoriche, che hanno contribuito alla definizione delle forme e del linguaggio di questo importante attrezzo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-06-2004 Cod. di rif: 1335 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Palm Beach - A Pugliatti e De Paz Commenti: Per trovare un argomento nei taccuini, ormai ricchissimi di testi ed immagini, il sistema è simile a quello delle Lavagne. Bisogna digitare la parola chiave ed evidenziare col pallino se la ricerca è riferita all'autore, al titolo o alla descrizione della foto o disegno. Digitando "palm beach" viene fuori anche il mio Appunto n. 279, In quella occasione commentavo una terna di Palm Beach (ripresi da Apparel Art) che hanno una grana molto simile al three ply, ma in effetti sembra che il tessuto fosse ancora più largo di maglia. L'appunto 324 riproduce una pubblicità dei "Palm Beach Suits" che fa intendere che il nome indichi una marca, ma probabilmente si tratta di una tessitura prodotta anche da altri marchi. Nell'appunto che ora inserisco e che prenderà il n. 634, offro un'altra immagine presa da Apparel Arts (1934), in cui un tessuto viene chiamato Palm Beach, ma se ne indica un produttore di nome diverso. Come dicevo nell'appunto n. 279, siamo quindi di fronte ad una tipologia, più che ad una casa. In questo ingrandimento al n. 634 sembra quasi un giro inglese in lana, mentre nell'immagine della pubblcicità riportata da Pugliatti al n. 324 abbiamo una gamma che sembra anche più vasta e che va dal tropical al giro inglese, passando per il three ply. E' difficile concludere in modo definitivo, ma il principio sembra che col nome di Palm Beach si indicassero tessuti molto ritorti e areati, leggeri in peso. Deve comunque essere esistita una Palm Beach Suits, perché la documentazione è inequivocabile, ma non sappiamo ancora se avesse ripreso un nome esistente o avesse esa stessa dato il prorpio nome alla tipologia. La ricerca filologica sull'argomento non è conclusa e nuovi contributi potranno venire in futuro a chiarire cosa intendessero i nostri antenati con questo nome, ormai scomparso da tempo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 11-06-2004 Cod. di rif: 1338 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Palm Beach Suits Commenti: Egregi Signori, sto effettuando una piccola ricerca su questa denominazione. In pratica pare che Palm Beach Suits sia ad oggi un marchio registrato di una grossa multinazionale tessile USA: la Hartmarx (che possiede anche Burberry's); chiaramente questo marchio pare ad oggi svuotato dei suoi contenuti storici. Da alcune mie ricerche pare che il marchio esista come tale dal 1922. Questi i riferimenti: Hartmarx Corporation 101 North Wacker Drive Chicago, IL 60606 United States "Hartmarx Corporation manufactures and markets men's and women's apparel in the United States. The men's apparel group manufactures a wide variety of products including men's suits, sportcoats, golfwear and slacks under established brand names or private labels of major retailers. The company owns two of the most recognized brands in men's tailored clothing, "Hart Schaffner & Marx(R)" and "Hickey-Freeman". The products are also sold under other brand names including "Sansabelt(R)", "Racquet Club(R)", "Palm Beach(R)", "Brannoch(R)", "Barrie Pace(R)", "Hawksley & Wight(R)", "Desert Classic(R)", "Pusser's of the West Indies(R)", "Cambridge(R)", "Coppley(R)", Keithmoor(R)" and "Royal Shirt(TM)". Hartmarx also produces moderately priced women's sportswear and accessories. The company has entered into a license agreement to market and distribute products in 13 countries. Hartmarx markets its products throughout the United States and has direct marketing in Europe and Asia" Links: http://www.hartmarx.com http://www.muldoons.com/palmsuit.html http://www.shopfords.com/better.htm Pare che esista un film promozionale (del '32) sul tessuto Palm Beach prodotto dalla Goodall. http://www.maine.rr.com/Around_Town/nhf/feb2003.asp Secondo questo articolo il Palm Beach della Goodall era un misto cotone/mohair. http://www.cigaraficionado.com/Cigar/CA_Archives/CA_Show_Article/0,2322,436,00.html Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-06-2004 Cod. di rif: 1340 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Palm Beach, termina la ricerca Commenti: Ottimo lavoro, signor Granata, Lei ha trovato il bandolo della matassa. Ho letto l'articolo di Bruce Boyer da Lei citato, apparso nel sito di Cigar Aficionado e datato 1998. Questo brano riannoda tutti i fili appesi: "During the '30s the Goodall Worsted Co. devised and produced the first successful "blended" fabric--a cotton/mohair combination that it named the "Palm Beach" suit. At around two pounds, nine ounces, it weighed just half of what a normal winter suit did". Grazie alla Sua ricerca sulla proprietà del marchio, riassumiamo così la storia e la natura del Palm Beach: Negli anni '30 la Goodall Worsted Co. crea una miscela di cotone e mohair e le da il nome Palm Beach, probabilmente in qaunto già proprietaria del marchio Palm Beach Suits, registrato già dal 1922 come proprietà della Goodall. Il nome di Palm Beach indica quindi una "formula" e ciò spiega perché abbiamo visto lo stesso nome accompagnare tessiture diverse. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-06-2004 Cod. di rif: 1344 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Made in Italy Commenti: Dall'impareggiabile Luciano Barbera mi giunge questa mail, con la preghiera di farla circolare in tutta la mia rubrica. Non arriverò a tanto, perché leggendo la petizione noto che il gruppo biellese, fondatore del sito www.fattoinitalia.org, propone al primo posto della petizione argomenti di tipo sindacale-umanitario. Forse non a caso non ci figura Barbera, che si limita ad un'analisi dell'influsso di una legge sul Made in Italy sull'economia e sulla qualità. La nostra associazione è l'unica a non dichiarare alcuno scopo solidale, umanitario, di beneficenza e tantomeno sindacale o politico. Non voglio quindi utilizzare la mia rubrica, che è quella sociale. Qui posso invece spiegarmi meglio e dire che una regolamentazione del Made in Italy che tenga fuori coloro che ciurlano nel manico facendo produrre nell'Est europeo o in Oriente, insomma un marchio tutelato dalla legge e sia il risultato di una tracciabilità del prodotto, sarebbe certamente utile per vivificare e motivare le aziende che vogliono fare vera qualità e la vogliono fare secondo la tradizione. Io ho firmato la petizione e mi ritengo dalla parte di Barbera. Avrei preferito che chi sta lavorando ai suoi progetti tacesse dei bambini e dello sfruttamento e si concentrasse sulla parte fattiva della proposta, sulla sua ricaduta positiva come incentivo alla produzione di alto profilo. Questa è la parte che interessa qui al castello. __________________ CAMPAGNA DI DIFESA DEL 'MADE IN ITALY' Gentile amica, caro amico, ti scriviamo questa email perche' hai accettato di essere uno dei volontari che ci aiuteranno a lanciare nel web la nostra campagna informativa in difesa del Made in Italy. 1. FRA POCO CHIEDEREMO IL TUO AIUTO SUL WEB Stamattina, giovedi' 10, abbiamo messo online la versione completa del sito www.fattoinitalia.org Prevediamo di raccogliere adesioni di nuovi volontari per una settimana, e poi, GIOVEDI’ 17 GIUGNO, VERSO LE ORE 11, manderemo a te e a tutti le altre persone che hanno deciso di collaborare, la email-appello DA RILANCIARE CONTEMPORANEAMENTE A TUTTI GLI INDIRIZZI DELLA PROPRIA RUBRICA, per indirizzare migliaia di persone –anche di altre citta'- a firmare la petizione per il Made in Italy 2. NEL FRATTEMPO TI CHIEDIAMO UN ALTRO PICCOLO AIUTO Oggi parte il sito, giovedi' prossimo lanceremo le email: NEL FRATTEMPO vorremmo raccogliere altri volontari come te e quelli che finora hanno aderito. Puoi aiutarci anche in questo? Puoi coinvolgere almeno un tuo collega di lavoro, o compagno di scuola, o conoscente? Basta che gli chiedi di fare come hai fatto tu: andare sul sito www.fattoinitalia.org e registrarsi come volontario ENTRO MERCOLEDI’ 16 GIUGNO ! Ancora grazie per il tuo aiuto, le associazioni di categoria biellesi: Antonio Arnaldi, presidente Ascom Federico Trombini, segretario Cgil Liliana Rosazza Prin, segretaria Cisl Luciano Bora, segretario Uil Gianfranco Fasanino, segretario Cia Silvano Raviolo, presidente Coldiretti Rino Bazzani, presidente Collegio edile Edmondo Grosso, presidente Cna Franco Prina Cerai, presidente Confartigianato Alfredo Pino, segretario Confesercenti Renzo Penna, presidente di Federmanager Ermanno Rondi, presidente Uib ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-06-2004 Cod. di rif: 1345 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Marigliano. Terza missione a Roma Commenti: Il signor Maria Vittorio Vidali chiedeva di sarti under 45. Il maestro Gianno Marigliano ne ha meno di quaranta e già da tempo fa parlare di se. Il giovane talento napoletano continua il suo apostolato in Roma e anche il giorno 18 Giugno, dalla 11 di mattino sino a sera, riceverà gli appassionati di sartoria presso l'Hotel Flora in Via Veneto. Poiché abbiamo ricevuto commenti molto favorevoli da coloro che, su nostra indicazione, sono andati a perdere e far perdere una mezz'ora di tempo sugli argomenti a noi cari, segnalo con piacere questa nuova data. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-06-2004 Cod. di rif: 1346 E-mail: gran.maestr@noveporte.it Oggetto: Abbigliamento e letteratura - 1 Commenti: Dalle Note di Viaggio di Blaise Cendrars traggo questo piccolo capolavoro. Il Poeta non si guarda allo specchio, ma riassume se stesso affidandosi agli oggetti, certo che essi sapranno dire ciò che egli non sa e non può dire con le parole. Ciò che si ha indosso non è frutto del caso, ma un racconto. ___________ COMPLETO BIANCO Passeggio sul ponte col mio completo bianco comprato a Dakar Ai piedi porto le scarpe di corda comprate a Villa Garcia Tengo in mano il basco portato da Biarritz Le mie tasche sono piene di Caporal Ordinaire Ogni tanto annuso il mio astuccio di legno di Russia Faccio suonare dei soldi in tasca insieme a una sterlina d'oro Ho il mio fazzolettone calabrese e dei fiammiferi di cera di quelli grossi che si trovano solo a Londra Sono pulito lavato strofinato più delle tavole del ponte Felice come un re Ricco come un miliardario Libero come un uomo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 14-06-2004 Cod. di rif: 1348 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Sarto "giovane" Commenti: Egregio Signor Vidali, ripeto le informazioni che già avevo dato: SARTORIA VERGALLO DI CLEOPAZZO GIANNI 21100 Varese (VA) - VIA DONIZETTI GAETANO 17 tel: 0332 231072 Questo sarto di Varese è sotto ai 40. Nei prossimi laboratori di eleganza porterò un suo prodotto, di modo che possa essere valutato. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-06-2004 Cod. di rif: 1349 E-mail: gra.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti giovani - Primi risultati della ricerca Commenti: Egregio signor Vidali, so che Marigliano ha una vasta clientela in Parma e di tanto in tanto si reca in questa città per incontrarla. Per dati e date potrà contattare il maestro al numero che troverà nella sua scheda nel Portico. Come vede, i sarti non mancano ancora, nemmeno quelli giovani. In pochi giorni di ricerche sono stati segnalati come under forthy-five: Adamo de Togni a Padova, Marigliano a Napoli e Cleopazzo a Varese. Dei primi due sono state redatte schede illustrate nel nostro Portico dei Maestri. Se ne abbiamo già contati tre, ne esisteranno certamente almeno una quindicina nella sola Italia. Più che sufficienti per salvare il mondo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 16-06-2004 Cod. di rif: 1353 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: A Pugliatti e De Paz Commenti: Egregi Signori, volevo ringraziare il signor Pugliatti per i suoi interessantissimi taccuini, che leggo sempre avidamente. Su quale publicazione è allegato il DVD in questione ("Il Conte Max")? Altresi ringrazio il Signor De Paz: dietro alle sue lavagne, che studio con la massima attenzione, scorgo una profondissima cultura, che mi riempe di curiosità. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 17-06-2004 Cod. di rif: 1358 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: District Checks Commenti: Egregio Signori, oltre al tessuto, sarebbe forse interessante qualcosa di simile - personalizzato - per quanto riguarda i bottoni; pensavo a bottoni di argento per un blazer, che presentassero un simbolo legato all'Ordine delle Nove Porte. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 17-06-2004 Cod. di rif: 1359 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: District Checks Commenti: Egregio Signori, oltre al tessuto, sarebbe forse interessante qualcosa di simile - personalizzato - per quanto riguarda i bottoni; pensavo a bottoni di argento per un blazer, che presentassero un simbolo legato all'Ordine delle Nove Porte. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-06-2004 Cod. di rif: 1363 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Cinture del classico internazionale Commenti: Egregi Signori, sono molto interessato al tema delle cinture, poichè ormai porto solo queste. In particolare chiederei lumi sulla differenza e utilizzo dei diversi pellami, per esempio vitello e coccodrillo. Mi parrebbe che una cintura liscia, un pò lucida, si addica meglio ad un vestito formale, anche se il coccodrillo è materiale pregiato. Riguardo alle fibbie, io preferisco l'argento sempre. Ma di questo argomento mi pare ci siano già alcuni gessi. Altro discorso riguarda la ricerca di un artigiano: ho visto citare la manifattura ZOHAR di Milano, Via Monte di Pietà 1/A; ci farò un salto. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-06-2004 Cod. di rif: 1368 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Calzature Alden a Milano Commenti: Egregi Signori, sono alla ricerca di un buon negozio che venda calzature Alden a Milano. Ho fatto una piccola ricerca, ma non riesco a localizzarne l'importatore. Gli indirizzi presenti sul sito della Alden stessa sono vecchi. Sarei gratissimo a chiunque mi dia una piccola indicazione in merito. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 22-06-2004 Cod. di rif: 1372 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Sulla Pence Aperta / A Ridosso Commenti: Egregio Signor Villa, chiedo venia, ma ancora rattristato dall'impossibilità di partecipare al laboratorio in questione, le chiedo se fosse possibile avere un esempio - magari nel taccuino - di pence aperta oppure a ridosso. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-06-2004 Cod. di rif: 1374 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'amore non sia poi troppo cieco Commenti: Egregio Villa, personalmente concordo con il gradimento della pince e delle cuciture in rilievo, ma credo che non siano adatte per tutti i materiali, le occasioni e i personaggi. Bisogna evitare di trasformare l'amore per il lavoro manuale in una sua esaltazione acritica, avulsa dal contesto. Ho maneggiato un'antica giacca di Rubinacci, realizzata in quegli anni in cui la mano d'opera aveva un costo irrilevante, soprattutto quella addetta alle finiture. Si trattava di un capo molto sportivo, uscito negli anni trenta da quella grande sartoria, eppure aveva le impunture date a macchina. Si era voluta conferire una grande resistenza ai punti e permettere, trattandosi di una tela di cotone bianca,un gran numero di lavaggi, che avrebbero consumato la seta usata per i mezzi punti manuali. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 23-06-2004 Cod. di rif: 1378 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Grazie al Signor Villa Commenti: Egregio Signor Villa, desidero ringraziarla per i taccuini che ha inserito: ora mi è chiaro l'argomento. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-06-2004 Cod. di rif: 1379 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cuciture in evidenza e tenuta formale - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, la presenza di cuciture in emersione da maggiormente nell'occhio man mano che si passa dallo sportivo verso il formale e - all'interno di questo - si arriva al cerimoniale. La scarpa da cerimonia non avrà né punti marcati, nè giunture o disegni. Credo che allo stesso modo una giacca decisamente formale non si giovi molto delle cuciture in evidenza. Si quindi alla cucitura alle maniche, dove è nascosta e comunque guarda verso dietro, ma forse meglio evitarla sugli anteriori. Si noti che il formale tende alle grandi superfici in tinte uniche, con tessuti un pò lucidi per la sera. Queste caratteristiche sono un pò in contrasto con le cuciture, che fermano lo sguardo sui dettagli in un tipo di linguaggio che mira ad affermare un complesso. Le cuciture nascoste evitano di complicare troppo le cose, ma naturalmente questo è come sempre, un discorso che va intessuto con lo stile personale. Va comunque valutato che tra le tenute memorabili di uomini memorabili, quasi sempre formali, difficilmente vediamo cuciture appariscenti. Ci sarà un perché? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-06-2004 Cod. di rif: 1382 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Clerici, ci è mancato Commenti: Egregio Clerici, quella del 21 Giugno è stata effettivamente una riunione molto vivace e Lei ci è mancato. Come spesso accade, si è parlato molto anche di cose estranee all'Ordine del Giorno. Quanto al Cavalleresco Club del Tessuto, andrò in pellegrinaggio in Scozia dal 25 al 27 Luglio per visitare stabilimenti storici e stabilire un itinerario ed un programma per un viaggio inaugurale del Club. Graziue anche a Dante De Paz, i contatti non ci mancano, ma occorre una pianificazione dettagliata. I dilettanti credono che il divertimento sia improvvisazione, ma noi specialisti del Piacere sappiamo che, quando le esigenze sono di alto profilo, le cose stanno ben diversamente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 25-06-2004 Cod. di rif: 1384 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Camiciaie a Milano - Atto II Commenti: Egregi Signori, ritirata la camicia dalla Valentini: cancellare dalla lista. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 25-06-2004 Cod. di rif: 1385 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Calzature Alden Commenti: Egregi Signori, ringrazio per le indicazioni ricevute: ho visitato Pellux e Illiprandi. Purtroppo non è disponibile il modello da me cercato. Segnale anche che attraverso: http://www.aldenshop.com è possibile ordinare le calzature direttamente dagli USA. Certamente è più gratificante l'acquisto in negozio, ma talvolta può essere utile un acquisto di questo tipo, conoscendo già il proprio "fitting" con le Alden (e si risparmia qualcosina). Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-06-2004 Cod. di rif: 1386 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ricerche di Alden Commenti: Egregio Granata, seguo le Sue ricerche di Alden e Le offro una soluzione. Anche con posta privata, mi faccia sapere modello e misura e Le faremo pervenire qualche paio da provare presso il negozio di Marinella a Milano. Normalmente Marinella vende Alden solo a Napoli, ma per gli amici dell'Ordine esse viaggeranno volentieri. Sono cose che abbiamo già fatto. Poiché Marinella non usa posta elettronica, Le faccio presente che per esaudire questo Suo desiderio dovrò scrivere, stampare e spedire almeno un fax e mettere in movimento persone e merci. Poiché alla fine risparmierà anche moneta, perché quando si arriva tramite il nostro circuito finisce sempre così, La prego di chiedere solo se è veramente interessato. Per ogni informazione sul prodotto, Le fornisco anche nome ed indirizzo dell'importatore esclusivo per l'Italia del marchio Alden. Si tratta di Gianni Klemera, presidente della Pedi s.r.l. recapito gianni.klemera@pedi.it. Può scrivergli come simpatizzante dell'Ordine e frequentatore del castello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-06-2004 Cod. di rif: 1387 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cucire o non cucire, questo è il problema - A T. D'Ambrosio Commenti: Egregio signor D’Ambrosio, rispondo con un certo ritardo al Suo gesso n. 1364, ma poiché Lei aveva omesso il cognome, è rimasto per così dire “indietro” rispetto ai ritmi fisiologici tra domanda e risposta. Il condizionale che utilizza nel dire che potrebbe essere la terza generazione, fa comprendere che Lei non si senta ancora sarto. Questo è un bene, perché i sarti di domani non nasceranno tali o comunque non cominceranno più a lavorare, come quelli del passato, con estrema precocità. I mestieri artigiani sono ad una svolta epocale. Offrono prospettive economiche di gran lunga superiori a quelle di una volta, ma impongono una competizione sempre più forte. Bisogna quindi essere convinti, avere idee e strategie, non solo abilità manuale. Quella del mestiere è quindi una scelta da fare con oculatezza e – come Lei già fa – ponendosi delle domande sulle direzioni da prendere. Quella di orientarsi su più linee è una scelta che presuppone investimenti e capacità imprenditoriali nel gestire la distribuzione del prodotto. Ci si arriva man mano, come hanno fatto Sabino e Rubinacci, ma la cosa è facile o possibile solo dopo aver affermato il proprio nome in campo artigianale. La sartoria come laboratorio artigiano ha più che un futuro. Ha già un presente brillantissimo e si prefigura un avvenire luminoso. Legga quanto ho scritto sulla sartoria di domani, che soprattutto nelle grandi città dovrà orientarsi a servire un pubblico che chiederà estrema personalizzazione sia nel rapporto che nel prodotto. In passato l’artigianato era orientato a confrontarsi con se stesso, cioè con la tradizione. Un sarto dovrà invece sempre più confrontarsi con fattori esterni ed orientarsi al cliente. Laddove quest’ultimo si limitava a chiedere una giacca, ora vuole un servizio, un’accoglienza. Desidera comandare, divertirsi, sentirsi importante, originale. Il successo arriderà a chi sappia dare tutto ciò non come un trucco da teatro, preordinato e finto, ma con naturalezza e gusto. Se Lei crede di essere tagliato per questa attività, si avvii con decisione all’attività sartoriale e farà un macello. Quanto ad un’attività tradizionale, cioè per intenderci quella che antepone il fare la migliore giacca all’arrivare al miglior cliente, i Suoi dubbi mi fanno intendere che non sia il suo campo. Cavallereschi saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-06-2004 Cod. di rif: 1396 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al castello si lavora sodo Commenti: Prodigioso. Ieri notte, intorno alle 01.30, ero in giro per il castello e vidi nel Taccuino le prime immagini che Dante dedicava al Paisley. Subito ne arrivava un'altra ed un'altra ancora, annunciando un gesso di commento che avrebbe portato il n. 1394. Il gesso non c'era ancora, la Lavgana era ancora ferma a quota 1393. De Paz era partito con la parte destinata ai Taccuini, ma aveva già considerato quale numero d'ordine avrebbe preso il gesso cui si riferivano. Giravo qualche pagina del Dandy, del Salotto e del mio Studio, rileggendo qua e là in attesa che sulla Lavagna comparisse il nuovo testo. Pentola guardata non bolle mai. Quando è giunta questa prima puntata sul Paisley, l'ho immediatamente trovata al di sopra di ogni aspettativa. Poiché il setificio Ratti aveva organizzato una decina d'anni fa una mostra dal titolo PAISLEY, so che Dante sta cercando di recuperare del materiale importante per la seconda puntata. Per ora non commento che con lo stupore e l'approvazione incondizionata per l'opera svolta, ma mi riservo un'orazione conclusiva sull'argomento. Quanto alle segnalazioni di testi proposte dallo stesso de Paz nei gessi nn. 1391,2,3, il primo è stato appena inserito dalla cancelleria, il secondo spero che possa presto essere recuperato. Quanto a quelli a mia firma sulla lana e sulla concia, apparsi rispettivamente su MONSIEUR e SutorArt ancora in edicola, saranno presto inseriti nel Florilegio, come sempre in versione integrale e cioè come sono stati consegnati, ma con le foto e la grafica della rivista. Ringrazio Dante per le belle parole con cui ha commentato il mio lavoro e le raddoppio in favore del suo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-07-2004 Cod. di rif: 1399 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Onassis - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, non ho mai studiato il personaggio Onassis e non sono pronto ad esprimere un giudizio all'altezza delle Sue aspettative. Mi sono subito dato da fare, ma occorre un certo tempo perché l'analisi cominci a dare dei frutti. Credo che Lei abbia avuto buon fiuto nel ripescare un personaggio affrettatamente dimenticato. Mi prendo un'altra diecina di giorni di tempo per focalizzare un aspetto di fondo che già si comincia a delineare, trovare una chiave che non si trovava sotto lo zerbino e trovare la risposta ad una domanda che mi ronza in testa. Diciamo che Le risponderò tra sette giorni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-07-2004 Cod. di rif: 1403 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Puntini sospensivi ... - Al sig. Vidali Commenti: Egregio signor Vidali, Le risponderei molto volentieri, se Lei non chiudesse la Sua lettera con dei puntini sospensivi. A cosa dovrei rispondere? A quello che dice o a quello che non dice? E qualora rispondessi, avendo Lei alluso e non chiarito, potrebbe affermare che voleva intendere qualsiasi altra cosa. Di coerenza si parla in altro modo o non si parla affatto. Ci riprovi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-07-2004 Cod. di rif: 1406 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dopo i puntini - Al sig. Vidali Commenti: Egregio Vidali, questo non è luogo di polemiche e quindi farò come se Le avessi creduto. Per ricordare di cosa parliamo, estraggo anch’io qualche brano dal mio articolo su Borrelli per MONSIEUR: “Con l’abbinamento a testimonial d’eccezione riesce a far parlare di se, ma avendo imparato prima a conoscere e poi a prevedere cosa piace alla gente, sfrutta la leva della comunicazione con una rapidità ed un’efficacia napoleoniche. A questo punto l’aura pionieristica dei vecchi tempi viene arditamente consegnata al passato”. “Con Borrelli nasce un artigianato postmoderno che offre tutti i livelli di personalizzazione, limitando al minimo le sorprese e le buone perdite di tempo che restano care a un gruppo ristretto, che comunque viene tentato dai mezzi e dai risultati”. “Devo confessare che nutrivo non pochi pregiudizi, ma nonostante il mio favore per una tradizione molto misurata mi piace vedere in opera il talento. Un’intervista serrata ed un pranzo rilassato con Fabio Borrelli, nonché un puntiglioso esame dei procedimenti utilizzati, mi rimandano l’impressione di una persona estremamente competente che, grazie anche a soci non meno determinati, ha saputo avviare una realtà orientata al futuro. Sono certo che quest’ultimo gli sorriderà, se saprà continuare ad adeguare i mezzi agli scopi, preferire il contegno dell’immaginazione all’eccessiva libertà della fantasia stilistica, restare un attento lettore della storia, un ricercatore delle tecniche del passato ed un aggiornato conoscitore non tanto dei mercati, ma di coloro che li compongono: gli uomini”. “Comincia a proporre anche le scarpe, ma sa immediatamente tornare indietro…” Veniamo alla Sua perplessità, che nasce da un raffronto tra quello recentemente apparso su MONSIEUR ed un testo che io scrissi proprio quando Borrelli si era lanciato nella calzatura. Quest'avventura sembrava avviare la Borrelli verso uno stilismo da total look, ma è stata poi improvvisamente abbandonata, come segnalato proprio nell'articolo che Lei cita. La cosa da sola cambia non poco lo scenario, ma ci sono altri motivi per cui ho scritto quel pezzo. Alcuni sono strategici e non vanno spiegati. Altri sono pratici ed hanno qualche utilità per il lettore e per i fini che cerco di imporre alla mia azione, anche quando essa si svolge al di fuori di questo luogo in cui sono vincolato da un mandato. L’articolo non è tra quelli più importanti, ma mi ha dato l’opportunità di riassumere i punti fondamentali della giacca napoletana. Quando l’ho consegnato era diviso in due zone, una dedicata a Borrelli e l’altra alla giacca napoletana. La redazione ha poi fuso i due corpi. Poiché non sistemerò il brano nel Florilegio, a meno che altri lo segnalino, ricopio in calce l’ultima parte del testo originale, che è qui pertinente alla materia trattata e chiarisce uno dei miei scopi. Un altro era quello di bacchettare gli usurpatori del nome Napoli. L'occasione mi ha dato una tribuna per farlo e non è difficile intravedere tra le prime righe una censura ad un marchio come Kiton, che a Napoli ha dovuto chiudere il negozio, mentre quello di Borrelli funziona da dieci anni. Se leggerà un’altra volta la rivista o anche solo i brani che ho riportato, vedrà che io non aderisco intimamente al prodotto o al produttore e implicitamente mi dichiaro tra coloro che preferiscono le strade in salita, le “buone” perdite di tempo e qualche problemino dato dalla sartoria classica. Indico chiaramente che lo scopo della Borrelli è quello di spingere il pronto ed il su-ordinazione, ma non vedo perché tacere che c’è vera qualità, una volta che l'ho riscontrata. Io sospetto degli stilisti, non sono contro gli industriali. Sostengo gli artigiani, ma né come persona, né come rappresentante dell’Ordine, sono votato a combattere le grandi aziende. Comunque, per chi voglia servirsi su-misura, viene lasciata una corsia. Ho fatto molte domande su questo punto e finché ciò resta vero, permette di parlare di un artigianato post-moderno. Andiamo avanti, anzi indietro. Qualche anno fa la stessa rivista mi chiese di parlare di Kiton e di Borrelli, ma io rifiutai. A distanza di molto tempo, Botré mi propose gli articoli che avrà letto nei numeri in edicola di MONSIEUR e SutorArt, tutti dedicati ad aziende e personaggi, ma tutti anche arricchiti da contenuti tecnici che molti, anche se non forse Lei, hanno trovato interessanti. Quanto a Borrelli, mi riservai. Chiamai Sergio di Yugoslavia, che come autorevole esponente della famiglia Savoia è o avrebbe dovuto essere un cliente di Borrelli molto addentro alle sue cose. Gli rivelai senza indugi o sotterfugi gli scopi della telefonata: “Come vanno le cose con Borrelli?”. Con il suo accento iperfrancese, Serge mi rispose: “Sono contentissimo, anzi ora che vedi Fabio fammi chiamare. Ho urgente bisogno di qualche camicia per l’estate”. Non solo le parole, ma tutto l'atteggiamento faceva trasparire una completa fiducia ed un'ottima relazione. Le mie intenzioni più maligne, quelle di trovare qualche episodio piccante o qualche incongruenza nel rapporto tra Borrelli e i suoi clienti più noti, venivano duramente rintuzzate. Fino ad allora non conoscevo personalmente Fabio Borrelli, né avevo mai conosciuto Luigi, se non di fama. Andai allora di mia iniziativa per un lungo sopralluogo, che diede esiti positivissimi. Anche il secondo esame era superato e non trovai più motivi per negare la mia firma all’analisi del lavoro di Borrelli. L’azienda lavora bene e quello che ho detto in vari tempi di essa va comunque riferito ad un contesto. Forse le due posizioni non sono in contraddizione, anche a prescindere dal fatto che quella del gesso da Lei richiamato si riferiva proprio al fenomeno dell’invasione, oggi rientrata, nel settore calzaturiero. Qui al castello si vedono le cose in una certa ottica, mentre una rivista che parla (anche) di abbigliamento le vede in un altro. Ci sarà probabilmente qualche interesse della casa editrice a parlare di Borrelli piuttosto che di altri, ma la stessa casa mi ha dato spazio per dire molte cose scomode o comunque certamente “infruttifere”. A proposito di contesti, dobbiamo ricordare entrambe che Lei non mi ha scritto presso la rivista, ma qui dove non sono un critico di abbigliamento o il collaboratore di un periodico, ma il Gran Maestro. Il mio operato è evidente. Ciascuno può valutarlo come crede, ma nella mia qualità non sono tenuto ad accettare su di esso un contraddittorio. I motivi che muovono un maestro non sono evidenti e non vanno sempre dichiarati. Possono essere … strani. APPENDICE LO STILE NAPOLETANO IN BORRELLI – DA MONSIEUR N. 29 A proposito. Come mai molti uomini tra i più esigenti amano vestire a Napoli e perché un capo napoletano è così riconoscibile? La risposta a entrambe le domande è in una concezione organica dell’abbigliamento, specie quello maschile, che traspare da tecniche, proporzioni e dettagli, affinati da generazioni di clienti ed artigiani e infine depositatisi in profondità nel gusto dei primi e nell’abilità dei secondi. Esiste quindi una sorta di codice della napoletanità che, poiché non è fondato su un linguaggio scritto, resta suscettibile di diverse letture. Ripetuto in diversi modi da diversi interpreti, esso risponde comunque ad una matrice unica, un principio costituzionale che si riassume in una sola parola: scioltezza. Lo stile partenopeo si fonda sulle forme del classico, ma sembra aver tolto a questo prezioso frutto la buccia ed i semi di ogni rigidità fisica e geometrica. In tal modo esso coniuga la tradizione con la libertà espressiva, la forma ben costruita con una vestibilità senza confronti. Questa facilità estetica e funzionale ha conquistato molto spazio in tempi in cui l’uomo - e in special modo il consumatore che è in lui - ha portato la praticità e la leggerezza molto in alto nella propria considerazione. Quanto al capo spalla, la costruzione è estremamente morbida. Grande attenzione si presta ai “quarti” anteriori, che devono risultare comodi e capaci senza essere appariscenti e voluminosi. Tutto si regge su di una concezione minimalista che elimina il superfluo per concentrarsi su un’ immagine di naturalezza conferita in sommo grado dai davanti che – come usano dire i nostri sarti – “corrono all’ indietro”. Con questa tendenza a scivolare via, la parte anteriore della giacca appare un po’ più lunga di quella posteriore. La spalla giunge al suo punto naturale, dove si apre un giro manica piuttosto stretto. Per far combaciare con esso una manica dalla circonferenza molto più ampia si distribuisce la lentezza in pieghe verticali. Nasce così, da un lavoro di ferro ed ago, la cosiddetta “manica a mappina”. Il cran o bavarese, cioè lo spacco a triangolo tra collo e bavero, si trova piuttosto in alto. Il bavero è ripiegato con una curvatura ampia, che si disperde armoniosamente. La spalla appoggia morbidamente, risale alta al collo e scende verso la manica senza essere rettificata o allungata da alcuna imbottitura, ma solo sagomata dalla lavorazione. Il punto vita è lungo, ma evidente, sia nella visione frontale che in quella laterale. Comincia piuttosto in alto e viene disperso intorno all’ altezza naturale. Anche prescindendo dalla linea, la giacca napoletana presenta un dettaglio tecnico tipico: la pince anteriore è più lunga e giunge sino al lembo inferiore, mentre la posteriore termina nella tasca. Di questo complesso menu, Borrelli non ha voluto cambiare nulla. Sa che i buongustai cercano piatti saporiti. Non è possibile però trovare una vera affermazione senza una via personale, che la casa ha deciso di cercare non nell’invenzione, ma nella storia stessa della sartoria più tradizionale. Borrelli è consapevole che nulla si inventa e che di nuovo non c’è che la sensibilità, il modo di guardare e combinare le cose, non quello in cui sono fatte. Dei laboratori attuali e di quelli di un glorioso passato ha così cominciato a ricercare i segreti nascosti o dimenticati. Ha dedicato innanzitutto la massima attenzione alle fodere, dove altri sono più superficiali. Nella parte anteriore ha ripristinato la vecchia pince a martello, con una ripresa orizzontale ed una verticale che donano vestibilità ed una facilità di movimento che completa la costruzione estremamente leggera. Nel prossimo futuro verrà riproposta la fodera staccata, libera nella parte posteriore. Non cucendone il lembo inferiore, questa lavorazione permette di sbirciare gli interni come in un orologio a fondo trasparente e soprattutto raddoppia l’aerazione e di conseguenza il comfort. Borrelli, come abbiamo già detto, propone una linea pronta, ma anche la possibilità del vero su-misura, realizzato su cartone specifico del cliente. Per chi non vuole subire il minimo di due prove necessarie, c’è il su-ordinazione basato su taglie, che comunque garantisce una giacca con le stesse ore di lavorazione: ventiquattro. Niente trucchetti: i mezzi punti che fermano il tessuto e gli impediscono di scorrere ribattono ogni cucitura, ma sono veramente dati a mano. Senza l’ausilio della macchina detta Columbia, che simula il punto artigianale nella maggior parte della confezione pretenziosa. Questo su-ordinazione ad alta definizione concilia la rapidità nella consegna con una personalizzazione che giunge comunque ad una specifica costruzione del giro, della spalla e dei dettagli. Quanto a questi ultimi, vengono rispettati quelli che appartengono alla tradizione artigianale, permettendo di abbandonare la riconoscibilità passiva delle etichette in favore di quella attiva dello stile. Le doppie impunture. Vezzo nato e coltivato solo a Napoli e come tale un po’ regionale e non gradito a tutti. E’ destinato alle giacche in cotone o lino e su richiesta a quelle sportive. Si tratta di quella doppia collana di mezzi punti che incorniciano il bavero e le tasche applicate. La manica ha la caratteristica forma a tromba, decisa ed armoniosa. Ricca in alto, è decisamente sfumata all’avambraccio per terminare con una circonferenza al polso piuttosto ridotta, intorno ai quattordici centimetri di diametro. I bottoni sono cuciti con la tecnica a zampa di gallina, che richiede attenzione nel posizionarla verticalmente. Questo particolare è un po’ la firma della casa ed ha una storia. Sembra che la madre del signor Luigi, naturalmente camiciaia, inventasse questo sistema per aiutare i suoi occhi non più giovani. Passando l’ago sempre dallo stesso buco, le riusciva più facile ottenere risultati uniformi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-07-2004 Cod. di rif: 1407 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una ricetta personalizzata - Al sig. Commenti: LisiEgregio signor Lisi, se effettua una ricerca con i sistemi che la Lavagna mette a disposizione e digita Berluti come parola di testo, Le verranno fuori qui numerosi gessi e nella mia posta alcune lettere che analizzano il prodotto da ogni punto di vista. Una serie fu anche pubblicata da MONSIEUR (vedere Rassegna Stampa - Lettere dal castello - Scarpe). Tempo fa il Visitatore sig. Bondi chiedeva qualcosa di molto simile e potrà rintracciare quella corrispondenza ai gessi nn. 1016, 1019, 1020 e 1023. Troverà ogni spiegazione ed anche il costo della scarpa, ma consulti anche la mia posta, dove ci sono altre cose interessanti su questo argomento difficilmente esauribile. Prima che Lei prenda una decisione sulla base razionale dei dati, dei gusti e dei prezzi, Le do però il mio parere, che è quello che in fondo ha chiesto. Sottolineo che si tratta di una risposta ad un caso personale, data leggendo tra le righe. Per altre persone la "ricetta" che sto per prescriverLe non sarebbe efficace. Non ordini la scarpa a Milano. Se vuole tutto, se vuole un sogno ed un ricordo, faccia almeno l'ordinazione a Parigi. Non nelle boutique, ma nel laboratorio privato di Olga. Mi assumo io l'incarico di prenotarLe un incontro, per il puro piacere di servire l'immaginazione. Ogni fantasia che concepisce non è infatti solo Sua e ciò è dimostrato dal fatto che molti sogni, progetti ed ideali ci sopravvivono. Con Olga prenderebbe le misure e la cosa più importante: la decisione sul prodotto da realizzare e sui suoi dettagli. Le prove le farebbe poi a Milano. Mi sto un pò sbilanciando su qualcosa che non ho mai fatto, ma conosco Olga abbastanza da potermi assumere questa responsabilità. Poiché Lei di certo conosce il personaggio, non devo dirLe che l'impresa varrebbe la spesa. Valuti i costi già alti, ci aggiunga un volo ed un pernottamento a Parigi e tiri le somme. Non sarà uno scehrzo, ma nel Suo caso solo a queste condizioni posso assicurarLe ciò che voleva: la certezza di non restare deluso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 02-07-2004 Cod. di rif: 1409 E-mail: giuseppe.defalco@fastwenet.it Oggetto: MONSIEUR Commenti: Egregio Gran Maestro, esimio Signor Vidali, sarò sincero come impone la fratellanza di chi è partecipe di questo consesso senza tener conto delle conseguenze del mio gesto e vi dirò che non ho potuto trattenere un sorriso nel leggere il vostro appassionato dibattito sul tema Borrelli. Perchè ogni cosa sia ridotta al ruolo che è suo proprio, perchè lo stupore scompaia dalle parole del signor Vidali e l'offesa sparisca dalla difesa strenua del Gran Maestro, suggerisco di non scambiare il grano con la pula e di considerare MONSIEUR per quello che è, non il verbo dell'eleganza o la bibbia del bon vivant, il metro di un superiore giudizio estetico o la stella polare del gentiluomo, non una rivista ma un foglio pubblicitario, vedrete che allora il Castello meriterà di rimanere immune da simili contaminazioni. Cavallerescamente Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 03-07-2004 Cod. di rif: 1413 E-mail: madhatter Oggetto: MONSIEUR Commenti: Egregio Cavaliere Poerio, lei interpreti, deduca, desuma pure da ciò che legge, ma il precipitato delle sue elucubrazioni rimane una sua, sua propria, sua esclusiva, conclusione e pertanto a lei appartiene e non a me la supposizione che vi sia qualche forma di accordo promozionale in taluni articoli della sedicente rivista MONSIEUR. Di più, a me non interessa se tali accordi vi siano o meno. Di più, le confesso che se vi fossero la cosa non mi scandalizzerebbe poichè la trovo del tutto naturale, la réclame è uno dei motori dell'iniziativa privata nelle economie capitalistiche. Ma ciò non mi impedisce di riconoscere la differenza tra una rivista seria ed una che non lo è, MONSIEUR essendo per la maggior parte (il 90%) per l'appunto, foglio pubblicitario con qualche piccola eccezione (vedi gli articoli del GM su Churchill). Ma mi meraviglio del suo stupore visto che i limiti del mensile sono già stati oggetto di un'aspra polemica proprio su questo sito e lo stesso direttore ha, ovviamente, giustamente, correttamente, sottolineato che MONSIEUR non è l'organo di stampa dei Cavalieri ma si indirizza ad un bacino più ampio dell'immacolato mondo del Castello. Quanto all'articolo del Gran Maestro nutro le stesse riserve del signor Vidali ma mi sono ben guardato dal palesarle perchè esso non è apparso in questa lavagna nè in altro loco di questo nobile sito ma, infine, proprio su un "mero foglio pubblicitario". cavalleresc ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 03-07-2004 Cod. di rif: 1414 E-mail: madhatter Oggetto: MONSIEUR Commenti: Egregio Cavaliere Poerio, lei interpreti, deduca, desuma pure da ciò che legge, ma il precipitato delle sue elucubrazioni rimane una sua, sua propria, sua esclusiva, conclusione e pertanto a lei appartiene e non a me la supposizione che vi sia qualche forma di accordo promozionale in taluni articoli della sedicente rivista MONSIEUR. Di più, a me non interessa se tali accordi vi siano o meno. Di più, le confesso che se vi fossero la cosa non mi scandalizzerebbe poichè la trovo del tutto naturale, la réclame è uno dei motori dell'iniziativa privata nelle economie capitalistiche. Ma ciò non mi impedisce di riconoscere la differenza tra una rivista seria ed una che non lo è, MONSIEUR essendo per la maggior parte (il 90%) per l'appunto, foglio pubblicitario con qualche piccola eccezione (vedi gli articoli del GM su Churchill). Ma mi meraviglio del suo stupore visto che i limiti del mensile sono già stati oggetto di un'aspra polemica proprio su questo sito e lo stesso direttore ha, ovviamente, giustamente, correttamente, sottolineato che MONSIEUR non è l'organo di stampa dei Cavalieri ma si indirizza ad un bacino più ampio dell'immacolato mondo del Castello. Quanto all'articolo del Gran Maestro nutro le stesse riserve del signor Vidali ma mi sono ben guardato dal palesarle perchè esso non è apparso in questa lavagna nè in altro loco di questo nobile sito ma, infine, proprio su un "mero foglio pubblicitario". cavalleresc ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 03-07-2004 Cod. di rif: 1415 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Saluti Commenti: Faccio seguire i saluti cavallereschi improvvidamente saltati per chissà quale mistero informatico. Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-07-2004 Cod. di rif: 1417 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: De profundis (o quasi) Commenti: Mi sembra che il sottoscritto sia un argomento non solo impertinente (nel senso di non-pertinente, naturalmente), ma anche inferiore alla media di quelli qui trattati. La discussione introdotta dal signor Vidali mi ha visto replicare nella mia veste di "giornalista", come se avesse scritto alla rivista. In tale veste ho mantenuto volontariamente un livello di comunicazione e di strumenti concettuali non completamente evoluti e dei quali si avverte l'inadeguatezza. Il Cavalier De Falco sorride, perché sa che non sto dicendo tutto. Un autore deve preoccuparsi di scrivere bene e di scrivere il vero, un professore corregge ed insegna, un maestro stimola, suggerisce ed influenza le cose in modi sottili, non sempre percepibili in modo diretto. D'altro canto, le censure provenienti dall'esterno dell'Ordine posso accettarle come privato e non come Gran Maestro. Le eventuali perplessità che muovono dai Cavalieri mi giungono per altre vie o, nel castello, dalle sue aree interne. Quanto ai problemi che vengono dalla mia attività magistrale, posso solo constatare che idealisti, innovatori, creatori, profeti, molti illustri pensatori hanno seduto a più riprese sul banco degli imputati. Sembra che anch'io debba abituarmici, ma guarderò la parte migliore della cosa e cioè la buona compagnia nella quale mi sistema. Anche chi ha compiuto opere immense e meravigliose viene additato come traditore o incompetente al primo dettaglio che non venga compreso. E' perfettamente normale, perché attiene ad un'inclinazione ancestrale della mente umana. Non ha molto senso difendersi, perché i motivi che possono essere addotti vengono recepiti solo da coloro che già li avevano intuiti o da quanti avevano comunque fiducia che li avrebbero intesi più tardi. A beneficio di queste categorie intendo addentrarmi nell'analisi del meccanismo specifico che è stato messo in moto e di quelli generali che governano ogni attività etica-estetica. Non lo farò qui ed ora, dove si è detto già abbastanza. Ne parlerò dalla mia Scrivania tra qualche tempo, quando avrò completamente zittito il mio detestabile orgoglio, che indirizzerebbe in modo parziale la speculazione. Quando ulula quel lupo là, inutile cercare di ascoltare le armonie delle sfere celesti. Ci sono anche altri motivi per guardare da altre parti. Innanzitutto il lavoro di De Paz sul Paisley, conclusosi con una rassegna di considerazioni storiche e tecniche imnportantissime. Tra poco saprete inoltre quante e quali altre cose urgono qui alla Porta dell'Abbigliamento. E' ad esse che speriamo si dedichino i migliori talenti noti o ancora sconosciuti che la frequentano. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-07-2004 Cod. di rif: 1424 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La verità non è in cimosa - Al sig. Villa Commenti: Egregio Villa, ritengo che quanto mi ha riportato di aver sentito nella Sua sartoria sia falso. Lei riporta che ivi si sostiene, come del resto anche in altre occasioni ho io stesso udito, che "oggigiorno buona parte delle pezze cimosate “Made in England” sono in realtà prodotte in Italia". Non è vero. In Italia si fabbricano moltissimi tessuti che poi vengono rivenduti da converter inglesi come Dormeuil, Holland & Sherry etc., ma in questo caso essi portano in cimosa solo il nome della casa o diciture inglesi come Savile Row, London, ma non la scritta "Made in England". Questo fenomeno, se pure esiste, è ridottissimo. un simile comportamento integra una truffa penalmente perseguibile e non è una prassi che potrebbe essere seguita dalle migliori case, cioé proprio quelle cui avrebbe senso commissionare un prodotto da parte di marchi che hanno comunque un alto standard qualitativo. Se scendiamo di livello, certamente aumentano le possibilità di una frode, ma non si tratta di prodotti interessanti per il mondo della sartoria, che utilizza solo stoffe di qualità. Concludendo sul punto io affermo e sfido chiunque a dimostrare il contrario, se non con i soliti sospettucci che tanto piacciono alla gens italica, che le stoffe di alta qualità che recano in cimosa la scritta "Made in England" sono confezionate nel Regno Unito, mentre non solo una parte, ma praticamente tutte quelle che recano nomi inglesi privi di questa dicitura sono per ora tessute nel biellese e forse domani verranno dalla Cina. Non si può trattare questo argomento senza dire che il cliente di sartoria e l'appassionato del bel vestire deve lavorare sulle proprie conoscenze ed esperienze per portarsi ad un livello di competenza tale da distinguere i tessuti non dalle cimose, ma dalla qualità. Un tessuto con le giuste battute, con materia prima sana, ha le carte in regola senza che mostri il certificato di nascita. Se è un prodotto di tradizione, esso conserva senz'altro un DNA inglese, da qualunque parte provenga. Riconosciamo una volta per tutte e senza problemi che l'Inghilterra è la grande madre di quasi tutto il tessile in lana, ma una volta che essa stessa ha abbandonato la produzione, altri sono subentrati con le stesse tecniche e con gli stessi stili. L'Uomo di Gusto sorvegli la qualità, la vera qualità e consideri la cimosa come un plus, non come un presupposto. Tutto il tessile italiano è nato da costole inglesi, come quello cinese sta nascendo da costole italiane. Se però non si conserva la certezza di cosa e come deve essere fatto, guardare solo il dove non è più un sistema valido per ottenere qualità, bensì quello per alimentare malintesi. Oggi ci sono molti tessuti italiani che hanno qualità e dignità tali da non dover invidiare nulla a quelli made-in-england. Naturalmente, per certe tipologie "regionali" ome il tweed la nascita è determinante in quanto vanno utilizzati materiali autoctoni, ma ancora una volta torniamo alla necessità di sapere, di distinguere. Si disilludano tutti dalla possibilità di delegare la qualità ad organismi specializzati o alla legge. La qualità seguirà sempre e solo la richiesta del mercato, facendo continuamente tentativi per svicolare. Solo la diffusione dei principi basilari, la conoscenza della tradizione e la capacità di distinguere i dettagli può arginarne la caduta, non certo qualche sigla, etichetta o cimosa. Questa necessità fa comprendere quali siano gli scopi dell'Ordine, schierato da anni in un'azione di "apostolato" che affranchi quante più persone possibile dallo stato di cliente passivo. Noi promuoviamo la conoscenza, che anche in questo campo è l'unica chiave della libertà. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-07-2004 Cod. di rif: 1426 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tutto e di più - Al sig. Lisi Commenti: Egregio signor Lisi, si è discusso con Olga Berluti e con Paolo Dall'Aglio, direttore della produzione, il miglior finale per questa storia. Essi hanno letto i Suoi interventi e sono incoraggiati dalla Sua fiducia. Olga, sensibile ai sogni ed ai principi senza titolo, ha "tranchée" con questa decisione: quando verrà a Milano Le prenderà lei stessa le misure e su quelle realizzerà la prossima "proeuve d'artiste". Io ho un paio di Berluti proeuve d'artiste e sono in attesa di un altro in coccodrillo venezia. Ci sono anni di attesa per averne un paio e molti non riusciranno mai ad averne una. E' il modello pilota di una collezione, particolarmente curato, sul quale si decidono eventuali modifiche. E'realizzato in un paio unico, concepito e lustrato direttamente da Olga. In questo caso avrebbe la Sua taglia e Le sarebbe fornito al prezzo più basso del pronto. Comincio a farLe gli auguri per la laurea, ma glieli ribadirò di persona. Non voglio perdermi questa piccola cerimonia e - nel caso accettasse la proposta - presenzierò anch'io. Sia chiaro che Lei dovrà: A) Fidarsi B) Essere preciso Due prove tremende, alle quali accettando sarà sottoposto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-07-2004 Cod. di rif: 1427 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: PAISLEY - Ringraziamenti e conclusioni Commenti: A nome dell’Ordine, mio personale e di Dante De Paz, che lascia a me il gradito compito, ringrazio la Fondazione Antonio Ratti e segnatamente la signora Teresa Saibene. Come persona sensibile e come rappresentante di questa istituzione, ci è stata preziosa per aver fornito materiale raro raccolto o prodotto in occasione dell’evento RATTI AND PAISLEY ,organizzato alcuni anni fa al Fashion Institute of Technology di New York. Nel taccuino sistemo la copertina, in bianco e nero, dell’opuscolo in italiano che illustrava la mostra, ricco di testi ed immagini. La Ratti è un vero serbatoio di sapienza tessile e spero che in futuro si possa collaborare con la casa e con la fondazione anche per gli studi sul madder. Si tratta di un materiale, ma per meglio dire di un sistema di stampa su seta che da ad essa anche una mano particolare, estremamente complesso da realizzare e da discutere. Pochi al mondo ancora ricordano i suoi tempi d’oro e ricostruire i passaggi tecnici, i luoghi e i dettagli non è facile. Mi auguro che Dante, con l’aiuto della ratti, possa proseguire qualcosa che avevo appena cominciato. Si potrà infatti leggere qualcosa sull’argomento, forse l’unica volta che esso è stato trattato pubblicamente, spulciando dal nostro Florilegio ciò che ne dissi nell’ambito del quinto Vestirsi Uomo, dedicato ai tessuti, nella parte in cui parlavo della cravatteria (Vestirsi Uomo – Quinta Puntata – La Stoffa – Pagg. 8 – 13). L’impressionante ricostruzione del viaggio compiuto dal Paisley nella storia e nell’immaginazione dell’uomo, attraverso epoche, razze e culture differenti, dimostra con l’evidenza della scienza la ricchezza dei contenuti dell’abbigliamento inteso come cultura. Come espressione leggibile, non solo come estetica. Fonda inoltre, questo studio depaziano, il terzo pilastro dell’edificio del Classico Internazionale. Dopo aver parlato dei capi e dei materiali, il Maestro ci ha detto dei disegni, insomma della pura forma. Sappiamo quindi ora che il Classico Internazionale non è solo un linguaggio comune, ma il linguaggio dei linguaggi, che spiega il senso dei brani e delle singole parole di molti idiomi e dialetti. In esso si ritrovano, si fondono e a volte si confondono, i materiali, cioè i sostantivi; i capi, gli attributi che li definiscono e giustificano; infine i disegni, il puro aspetto svincolato dal mezzo, che rappresentano in questa metafora i verbi che collegano e indirizzano. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-07-2004 Cod. di rif: 1428 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria napoletana Commenti: Una breve segnalazione della prossima missione romana di Gianni Marigliano, sempre all'Hotel Flora e dalle 11 in poi. Solita occasione per qualche chiacchiera sulla sartoria napoletana. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-07-2004 Cod. di rif: 1429 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dimenticavo Commenti: Dimenticavo nel gesso precedente di indicare la data: domani 7 Luglio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-07-2004 Cod. di rif: 1433 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Riabilitazione e shantung - A C. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, professore nostro, si faccia riabilitare. La Sua puntualizzazione evidenzia un errore che era restato sottaciuto, ma il Suo mea culpa seppellisce la svista sotto lo spessore del vero ricercatore. I finti esperti come il sobillatore citato da Villa sono una piaga che ha messo in giro una leggenda metropolitana molto nociva sia all'immagine del made in England che a quella del made in Italy. Abbiamo rimesso le cose a posto, ma Lei comunque diceva una cosa giusta. Il prezzo dello shantung è esagerato. Ne ho acquistato 4,80 mt non più di un mese fa e sono stato salassato. Non posso dire il prezzo perché accedo direttamente alla fonte, ma mi sono fatto l'idea che il ricarico sia molto elevato. Il tessuto resta insostituibile, anche se un'altra leggenda metropolitana sostiene che sia poco durevole, facile a macchiarsi e caldo. Di tutte e tre le cose siamo all'esatto opposto e certamente tutti quelli che dicono il contrario non hanno mai avuto un completo di shantung. Troppo caro per chi ama parlare o sparlare piuttosto che fare e vestire. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1435 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Storico appuntamento in laguna Commenti: Imperscrutabili Cavalieri, incrollabili appassionati del Vero Vestire, Noi Gran Maestro del Cavalleresco Ordine, in applicazione degli Statuti sociali e dei piani del nostro Castello, annunciamo per il 21 Luglio l'Apertura definitiva della Porta della Gola, retta da Luca Gargano. Proseguendo nell'incessante azione costruttiva convochiamo in Venezia, presso l'Hotel Centauro in Venezia, per il giorno 22 Luglio 2004, ore 16, un congresso per la costituzione della guardiania della Porta dell'Abbigliamento. In tale data presenteremo ai convenuti il programma per la redazione dell'area cavalleresca dedicata alle grandezze note ed ignote dell'abbigliamento maschile, decidendo collegialmente dell'attribuzione delle cariche e dei compiti. Considerati il prestigio e la forza dell'Ordine in questa materia, riteniamo questo un appuntamento storico da cui prenderà il via la costruzione di un sistema di influenza planetaria, uno spazio organizzato cui lavoreranno menti libere e fattive, un punto di partenza per un'attività che porterà gloria e risultati assoluti. Invitiamo dunque Soci e Simpatizzanti che abbiano competenza e volontà a partecipare da questo primo momento ad un' progetto senza precedenti. Anche la scelta del luogo, lontano dai nostri abituali centri e pertanto destinazione per tutti faticosa, è stata effttuata per dare il senso di una partenza per un lungo, avventuroso viaggio. Numquam Servavi Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ------------------------------------------------- Note. Per l'occasione l'Hotel Centauro in Campo Manin 4297, 30124 Venezia, offrirà ai congressisti una camera superior (costo Euro 230,00) al prezzo di euro 100,00 e si impegna a reperire altre sistemazioni a prezzi di favore per quanti non possa ospitare. Per le prenotazioni chiamare il cavaliere Riccardo Tomasutti presso Hotel Centauro Ph.: +39 041.5225832 Fax: +39 041.5239151. Tutti coloro che riceveranno questa mail o che frequentino questa lavagna sono invitati a dare il loro contributo. Chi sia risoluto a partecipare ai lavori è tenuto a informare la Cancelleria all'indirizzo cavalleresco.ordine@noveporte.it. La riunione, abbondantemente rifornita di champagne Billecart-Salmon, necessario all'elevazione degli spiriti e nostro portafortuna , andrà avanti sino alle 18.00. Nel prosieguo si cenerà all'hotel ristorante Agli Alberetti, della cui cucina non diciamo altro se non che ce ne facciamo garanti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1436 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Rettifica alla data di convocazione del Congresso Commenti: PORTA DELL'ABBIGLIAMENTO Convocazione del Congresso di Fondazione Cavalieri, amici, il convegno per la presentazione e discussione del programma della Porta dell'Abbigliamento e per la fondazione della Guardianìa, cioè della redazione che lavorerà al progetto, è indetto per il giorno Venerdì 23 Luglio 2004 ore 16.00 presso l'Hotel Centauro in Venezia, campo Manin 4297, Ph.: +39 041.5225832 Fax: +39 041.5239151 L'indicazione data nel gesso precedente per il 22 Luglio va quindi ritenuta errata e mi scuso per 'errore. Colgo l'occasione per esortare quanti siano già abituali frequentatori di questa Lavagna e del taccuino dell'Abbigliamento a riflettere, a non sottovalutarsi, a credere, a decidersi per l'azione, a dare un contributo anche solo in questo momento in cui viene lanciata un'iniziativa che è facile prevedere avrà una grande inluenza nella piccola nicchia degli amanti del vestire classico. Il nostro sito viene visitato da decine di nazioni ed ultimamente, cioè da quando i testi introduttivi alle diverse aree sono stati offerti anche in inglese, le percentuali di accessi dall'estero sono in forte aumento. Nelle statistiche dell'ultimo mese di giugno 2004 sono stati contati 11961 accessi e buona parte di questo traffico è indirizzato alla Porta dell'Abbigliamento, dalla quale abbiamo già in questo assetto "primitivo" segnali di notevole gradimento e fiducia da parte dei frequentatori. E' tempo di riorganizzare l'immenso materiale già raccolto e di crearne di nuovo secondo un programma preciso, alla cui messa a punto possono partecipare tutti coloro che abbiano confidenza con lo stile dell'Ordine, ne siano Soci o meno. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1437 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Porta dell'Abbigliamento Commenti: Supremo Gran Maestro, la rettifica dell'indicazione del giorno dell'Adunanza di Venezia mi ha provocato un dolore paragonabile solo alla gioia con cui avevo accolto il messaggio precedente. Infatti, il 23 luglio rischia per me di essere un giorno proibitivo al contrario del 22 luglio. In ogni caso non posso che felicitarmi per l'encomiabile iniziativa augurandomi uno strepitoso successo di cui sono già certo. Una richiesta cui temo lei non vorrà dar corso: dove è riuscito a reperire l'introvabile shantung ? Le sarei sinceramente grato se volesse soddisfare questo mio desiderio. Non parlo di curiosità ma di desiderio perchè anelo vivamente a farmi confezionare un abito in shantung. Naturalmente prenda queste mie parole con beneficio di inventario, si tratta solo di ciò che scrivo io. Infatti, lei sa che io dispongo, mio malgrado, di un interprete autentico del mio pensiero, tal Marino Poerio, il quale potrebbe anche comunicarci con un gesso che quello che intendevo dire, ciò che era implicito nel mio discorso, era altra cosa. Cavallereschi saluti, Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1438 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Un sogno da realizzare Commenti: Ill.mo Gran Maestro, quale profondo ammiratore e cultore del genio espressivo, creativo di Olga Berluti e della Sua Maison leggo con gioia dell'iniziativa, della piccola cerimonia che si sta concretizzando in Milano. Ciò testimonia quanto scrissi a suo tempo a proposito della Maison in una stimolante discussione avvenuta nel Suo studio, ovvero che chi sa veramente innovare, chi rivoluziona non tanto l'oggetto in sè, quanto la percezione e la funzione dello stesso è in grado di andare oltre gli schemi del commercio e della mera logica del profitto proponendo inziative di questo tipo. L'azienda è Maison, l'imprenditore Maestro e artista, il fare è valutato non solo in base a cifre,ma la dimensione morale assurge a filo conduttore dell'operare. Realizzare sogni... non è forse una delle azioni più nobili che l'uomo possa realizzare? Una Maison che si propone di realizzare sogni, che recupera la dimensione etica non è forse l'emblema di quanto di buono la nostra società contemporanea è ancora in grado di esprimere? Se la "cerimonia" sarà pubblica spero sia almeno raccontata al fine di poter quanto meno condividere l'emozione, l'atmosfera che si creerà nell'atelier. Parma, 07/07/2004 Suo Scudiero Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1439 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un concerto per una sola persona - Allo scudiero Chiusa Commenti: Egregio Chiusa, sino ad ora il signor Lisi non ha accettato la proposta, ma concordo con Lei che il solo averla formulata, l'aver organizzato un concerto che anche se piccolo è concepito da grandi strumentisti e per una sola persona, è segno di una qualità umana che sorpassa ogni discorso. Come avvenne per i paladini dell'evento sui Nodi, cui Marinella dedicò una cravatta in edizione speciale e su misura, c'è anche da tenere in debito conto la funzione feconda del castello. La sua atmosfera stimola la nascita di specie rare, che altrove non attecchiscono, come le belle storie ed i sogni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1440 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Non sogni ma realtà Commenti: Egregi Signori, Egregi Cavalieri, non posso esimermi dal comunicare che, su proposta del Gran Maestro partita da questa stessa lavagna, tramite Maurizio Marinella verrà realizzata una scarpa Alden con modifiche su mia esplicita richiesta, che viaggerà per Londra, Napoli e, finalmente, Milano. Non aggiungo altro. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2004 Cod. di rif: 1442 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le storie non sono intercambiabili Commenti: Egregio carrara, le monete si cambiano una con l'altra, ma non le storie. Lisi aveva usato le parole giuste al momento giusto, così come il sig. Granata è stato costante e fiducioso. Qualora scomparisse nel nulla, il "concerto" non si terrà, perché era stato scritto per lui. Noi non siamo l'outlet di Holland&Sherry, Barberis, Berluti, Alden, Marinella, Swaine Adeney o altri, ma di tanto in tanto utilizziamo la nostra potenza per accelerare un singolo treno, per realizzare un desiderio o alimentare un sogno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-07-2004 Cod. di rif: 1447 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Attenti a non diventare giacobini - Al Cav. Carnà Commenti: Egregio cavaliere, è' sempre triste dover pensare che un Principe non sia all'altezza di governare il popolo, se non altro sotto il profilo delle convenienze. Da chi ha una nascita e frequentazioni elevate ci si aspetta un esempio, una devozione alla forma che incoraggi gli indecisi, un rispetto della tradizione che contribuisca a tenerla viva, una precisione nel protocollo che tacitamente aiuti a comprenderne il linguaggio e la funzione. A questi livelli il codice formale dell'abbigliamento deve essere osservato quanto quello diplomatico, perché noi legittimamente ci aspettiamo che esso continui ad essere tutelato e tramandato dalle famiglie coi più alti titoli, almeno quando si presentano ufficialmente in questa qualità. Il rispetto che si deve ai titoli è il reciproco del rispetto che i titolati devono ai valori che una repubblica non può tutelare in via istituzionale. La sopravvivenza delle monarchie è detrminata dall'istintiva percezione che esiste una divisione dei ruoli, sicché i poteri costituzionalmente affidati ai parlamenti elettivi sono quelli che incidono sulla vita pratica e sulla politica, mentre la corte incarna i valori residuali, su cui la legge non ha modo di incidere e che si mantengono con l'esempio. Se manca l'esempio morale e/o formale viene a scomparire la carica simbolica che giustifica al giorno d'oggi l'innalzamento di una dinastia ad un rango superiore. Non a caso occultamente ed inesorabilmente abbiamo considerato come nostra dinastia reale gli Agnelli, sempre lontani dagli scandali, sempre rispettosi delle forme e delle istituzioni, sempre congrui nei modi e nell'apparato alle diverse situazioni, sempre capaci di mostrarsi al di sopra degli altri e non solo per la barca più lunga, ma per una compassata riservatezza, che se talvolta ha destato il sospetto di essere contaminata dall'interesse si è sempre mantenuta vergine dalla volgarità e dal vile mercato dei sentimenti. Gli Agnelli non possono essere una dinastia reale perché un Re è tale, lo dice la formula, non solo per volontà del popolo, ma anche per volontà di Dio. I simboli della regalità sono sempre anche religiosi e trovano espressione nell'incoronazione, con la quale di fronte non solo al popolo, ma al Signore, il Re assume le proprie responsabilità. L'avvocato, i suoi antenati ed i suoi discendenti non hanno certo mai avuto in mente qualcosa del genere, ma hanno anche qualche altra cosa che li allontana da una dignità di tipo aristocratico. Se ci si pensa bene, un'altra caratteristica importante di una dinastia reale è che si astenga da lavori che non siano la cura di vigne, l'arte, la guerra, la solidarietà, l'allevamento di cavalli o altri animali nobili, come i falchi cari a Federico II ed ai re mediorientali. L'accettazione da parte di Emanuele Filiberto di incarichi diversi da queste attività tradizionali comporta un inesorabile scadimento di tutta la famiglia. Non dico che questo la porti ad un livello borghese, ma senz'altro minaccia l'intima considerazione della dinastia come interprete di un atteggiamento regale. Diciamo che oggi essi, a parte i titoli e le considerazioni dinastiche sulla successione alla corona d'Italia (che peraltro non solo non esiste da tanto tempo, ma fu accantonata in circostanze non proprio onorevoli), possono essere considerati come degli aristocratici al pari di altri, con quel qualcosa in più che non viene però dalla dignità particolare, ma dall'eccezionale notorietà. Anche questa, anche la fama dovrebbe essere vissuta con responsabilità. Sulla base di queste considerazioni, sarei amareggiato di dover esprimere un giudizio negativo sulla condotta del Principe, di cui come è noto posseggo l'automobile. Non solo perché non ho visto e mi mancano i dati minori, quelli che a volte possono determinare una scelta. Credo invece che in linea generale sia saggio per me e per tutti soprassedere a questi giudizi sulle figure che vorremmo ci fossero d'esempio. Lo si faccia con i politici, che hanno assunto un incarico ed obblighi civili, con chi ha raggiunto la gloria e non sa utilizzarne nemmeno un poco per il bene di chi lo ha innalzato, ma non con chi è incaricato dall'immaginazione, dalla storia, dalle leggi dinastiche e dall'incancellabile volontà di conservare qualcosa di astratto e pulito, di essere portatori di valori superiori e silenziosi. Essi sono sottoposti comunque all'inesorabile giudizio della coscienza collettiva, che è meglio agisca in silenzio. Denigrandoli esplicitamente noi abbattiamo non loro, che sono soggetti alle sentenze tacite della collettività, ma ciò che rappresentano. Una cosa è criticare una giacca o una calza, perché aver scelto di parlare di quella giacca e di quella calza conserva intatto il rispetto, almeno sino a che si tratta di semplici considerazioni estetiche. infatti, per i motivi di cui sopra, un Principe di sangue reale può portare una giacca brutta, ma non una giacca sbagliata o nessuna giacca quando ci vorrebbe. Lasciamo allora la nostra critica al campo estetico, che è quello dove ci muoviamo bene. Conserviamo invece, non solo noi Cavalieri, ma noi italiani, la carica simbolica del titolo, pur se in cuor nostro traiamo dalle azioni di chi lo porta le dovute conseguenze. Lei, Carnà, non è andato alla cena e ciò non solo sarebbe bastato, ma avrebbe risposto sul piano adeguato, sul piano dove perde l'uomo e non ciò che esso rappresenta: quello della forma e dell'esempio. Chiedere ora espressamente la testa del principe su un vassoio è da carnefice, da giacobino. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-07-2004 Cod. di rif: 1449 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cartoni o misure - Ai sigg. Villani, Villa e maestro C. Brun Commenti: Egregio maestro, concordo con la Sua iniezione di sapienza. Alle 18.30 non può trattarsi di un'occasione da morning-coat, che come la parola stessa spiega chiaramente è destinato alle attività - ormai solo alle cerimonie - con inizio precoce. Diamo una risposta anche al sig. Villa, relativamente alla domanda posta col gesso n.1443. Ritengo che se un cliente domanda almeno un abito l'anno ed effettua ogni volta almeno due prove, non si ha un vantaggio netto a definire un cartone. Il sarto può infatti partire dalle misure e dalle correzioni che ha già in mente, sistemando eventuali problemi con le due prove canoniche. Se invece dopo un primo abito si intende ordinare i successivi da lontano e si vuole effettuare una sola prova o nessuna, come oggi è tendenza, meglio partire da un cartone. In ogni caso, è anche questione di stile di lavoro. Ci soo stati e ci sono grandi sarti che si vantano di tagliare e mettere a seconda prova o terminare un abito non solo senza cartone, ma addirittura senza misure. Personalmente preferisco le sartorie dove si lavora col cartone. Chiedo ora a Lei di continuare o di corregermi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-07-2004 Cod. di rif: 1450 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una lettura di Onassis - A Villa e Pugliatti Commenti: Col gesso n. 1397 ed alcuni seguenti, Lorenzo Villa proponeva di commentare la figura di Aristotele Onassis. Carmelo Pugliatti si è già espresso con un'interessante analisi personale col gesso n. 1402. Dopo qualche giorno di riflessione, sono anch'io pronto ad uno schizzo sommario. Molto spesso, per comprendere una persona cerco di risalire, quando è possibile, ad una sola parola, ad un verbo o un aggettivo che possano definirla. Una simile chiave apre almeno la porta principale, ma non sempre si trova sotto lo zerbino ed occorre alzare qualche vaso. Mi sembra che la cifra del grande armatore sia AVERE. Egli volle di tutto il meglio, di ogni cosa una gran quantità. Incarnò l’apoteosi di una concezione che confonde il possesso materiale come comprensione e adeguatezza alle cose. Il suo Cristina fu lo Yacht più grande e costoso del mondo, un simbolo di potenza che però non ci deve distrarre dal campo in cui la sua volontà di possesso fu veramente esemplare: quello femminile. Egli non solo ebbe due delle donne più importanti dell’epoca, ma ci tenne a sposarle, ad esibirle. Nello stesso secolo solo John Kennedy arrivò vicino a questo record, ma la seconda donna dovette tacerla, mentre la prima arrivò alla gloria e dimostrò le sue grandi qualità proprio con la sua morte. Quest’ansia di possesso ed esibizione è visibile anche nell’abbigliamento. Difficile dire che dietro ciò che ci mostra con tanta arroganza (parola più volte e giustamente usata dal Villa) ci sia un gusto raffinato. Ci furono piuttosto un talento personale, una forza straordinaria, un apparato di contorno da imperatore. Pensiamo a Napoleone, che influenzò un’epoca e creò uno stile, pur non essendo un uomo elegante. Pensiamo a Picasso, la cui inarrivabile estroversione ed il talento giunsero a trasfigurare, a farci sembrare esemplare ed anzi a farlo diventare anche un gilet di tela sdrucita, una maglietta a righe da bancarella o un paio di mutande come ce ne sono a milioni. Ciò che in questi casi ci convince o ci influenza non è la classe, ma una perfetta fiducia in se stessi. Simili individualità, invero rare e purissime, possono aiutarci ad intravedere la labile linea di confine, la differenza tra il blocco di qualità attinenti alla sfera psichica ed alla personalità (fascino, carisma, talento, forza d’animo) e un altro che si riferisce all’inclinazione artistico-estetica (grazia, classe, eleganza, gusto). Mi sembra evidente che nel personaggio Onassis si colga una prevalenza netta del primo. Ma veniamo ad un'altra similitudine, ad una linea che non corre parallela e che se anzi diverge è importante a definire il piano. Anche l’Avvocato fu un imperatore ed un paragone è quindi inevitabile e proficuo. Agnelli si distinse con dettagli personali, finte o vere distrazioni, ma mai con un risultato aggressivo. La base delle sue evoluzioni era sobria. Non avrebbe mai portato una montatura così appariscente o compiuto gesti di spavalderia come le mani in tasca esibite con un sorriso da dominatore. Guardiamo il taglio degli abiti e la qualità dei tessuti. Per l’armatore il primo si evolve costantemente, mentre resta costante per tutta la lunga vita dell’Avvocato. I tessuti matti di quest’ultimo sono così diversi dai lucidi, leggeri capi del secondo, che non possiamo dire che cada nell’ostentazione in quanto è esattamente ciò che cercò e che portò ad una forma espressiva quasi artistica. Possiamo dire Agnelli danzò il classico con qualche passo azzardato, mentre Onassis ballò il moderno. Agnelli fu in un certo modo fuori dal tempo, mentre Onassis ne era vittima e padrone. Se fosse sopravvissuto, possiamo immaginare che avrebbe ottenuto gli stessi risultati vestendo dallo stilista più affermato. Sul piano personale, Agnelli seppe mantenere il riserbo sui suoi vizi, senza farne una bandiera. Fu il pubblico a cercarlo mentre lui viveva una vita eccezionale lontana da ogni necessità di competizione. Onassis cercò il suo pubblico e lo ipnotizzò con il gesto iperbolico. Entrambi nutrirono un appetito ipertrofico per la vita, ma Agnelli se ne nutrì per quanto possibile in silenzio, mentre Onassis divorò innanzi a tutti i bocconi più preziosi, ma più facili a vedersi e ad essere desiderati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-07-2004 Cod. di rif: 1453 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Taccuini, veniamone a capo - Al sig. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, innanzitutto la Lodo per la Sua continua azione di illustrazione e commento dell'abbigliamento d'epoca, che ultimamente ha aggiunto immagini rare al nostro Taccuino. Quanto alla Sua segnalazione, non sono riuscito a riscontrare il problema ed ora dovrò lasciare la scrivania. Se volesse essere così gentile da indicare qualche caso di sovrapposizione cercheremo di rimediare. Io credo comunque di capire cosa accada. L'anteprima viene presa direttamente dal computer da un data base. non appare se vi sono spazi o simboli strani come il %. Altre volte, ora che ci sono tante immagini, può ripescare un'altra cronologicamente formata in tempo precedente e con lo stesso nome. In tal caso, però, cliccando sull'anteprima dovrebbe venir fuori ed ingrandirsi comunque l'immagine inserita originariamente dal Visitatore. Provi e mi relazioni. Questo dialogo avrà lo scopo di approfondire il funzionamento e migliorare la fruizione dei Taccuini, evidentemente aggiunbgendo altri dispositivi, come avvenne quando furono scaglionati in pagine. Grazie Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2004 Cod. di rif: 1456 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A presto a Milano - Al sig. Pietro Lisi Commenti: Egregio signor Lisi, innanzitutto auguri per la laurea. Sappai poi che la Sua attesa ci aveva tenuti sulle spine Belve affamate di bellezza (ce ne sono molte che frequentano quest'area) erano pronte a lanciarsi sul succulento boccone a Lei destinato, qualora fosse stato abbandonato. Qualcuna era già uscita allo scoperto e di altre vedevo brillare gli occhi nel folto della foresta. Si faticava a tenerle a bada. Invierò a Parigi e Ferrara copia del Suo ultimo gesso e Le farò conoscere la data dell’appuntamento milanese. Ci divertiremo. Tutti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-07-2004 Cod. di rif: 1460 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Del ventaglio - Alla sig.na Grimaldi Commenti: Gentilissima signorina Grimaldi, il Suo gesso n. 1457 sul ventaglio mi ha messo un pò in crisi, come persona e come responsabile dell'Ordine e quindi del castello. Quest'area è dedicata all'abbigliamento maschile e se possiamo con una certa facilità gettare uno sguardo su quello femminile, che mewglio sarebbe posta nella Lavagna delle Donne, la questione che Lei propone non attiene tanto all'abbigliamento, quanto al costume. Sottoporrò la questione anche all'esimio Lancillotto, che nel suo Salotto si occupa di comportamenti, chiedendogli di intervenire qualora lo ritenga. Non voglio però fuggire dalle responsabilità di una domanda diretta, sulla quale forse qualcosa posso dire. Il ventaglio è uno strumento espressivo di estrema sofisticazione, da sempre appannaggio delle classi aristocratiche. Il giappone ne ha fatto un'arte marziale per gli uomini ed un linguaggio di seduzione per la donna. Anche presso la nostra cultura ha avuto molto spazio ed ancora lo conserva presso l'aristocrazia spagnola. Soprattutto in Andalusia. Non stiamo parlando di regioni, ma di mondi e per noi un piccolo mondo vale quanto un universo. So di alcuni uomini italiani che lo usano, ma si tratta anche in questo caso di aristocratici di altissima classe. Credo comunque che la Sua domanda colga un oggetto che in questo momento riveste un certo interesse da parte degli strati sociali più avanzati nel gusto e pertanto lodo la Sua sensibilità, perchè è solo con l'intuito che ci si lancia così lontano. Come un abito non deve mai mostrare troppo la necessità di coprire, così un ventaglio non deve essere uno strumento legato solo alla sua funzione. Proprio in ossequio a questo prncipio che svincola le cose dal prorpio livello oggettivo e da loro un valore aggiunto, usarlo per strada non è signorile. Alla Sua perplessità in materia mi sentirei di rispondere che esso si usa solo al coperto o all'aperto da seduti. Diversamente rischierebbe di mostrare che ha caldo, il che è sempre una debolezza inammissibile. Naturalmente il gesto va studiato, come si studia il modo di portare un ombrello, di togliersi il cappello o di aprire la porta o la portiera ad una dama. La mancanza di buona volontà e di umiltà di fronte agli impegni sociali che forgiano un'immagine ha preceduto quella di buona educazione e Lei non vorrà certo precipitare in questa barbarie. Complimenti. Continui ad essere donna e ci darà un buon motivo, anzi il migliore, per essere uomini. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-07-2004 Cod. di rif: 1462 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Filo di scozia e camicia "napoletana" Commenti: Il discorso sul filo di Scozia proposto da De Paz mi coglie in un momento nel quale stavo anch'io, per così dire, con le mani nella stessa pasta. Fino ad alcuni anni fa, diciamo fino a quando è esistita la mezza età, gli uomini napoletani non più giovani usavano vestire d'estate, nelle occasioni informali, con una camicia di jersey di filo di scozia. Sembra oggi lontana o leggendaria, ma ci fu veramente un’epoca, lunga molti secoli, in cui il mondo era stato libero dalla schiavitù di una gioventù eterna. Le persone, dopo i quarant’anni, usavano dire: “quando ero giovane” o cose del genere, senza sentirsi per questo sminuiti. Oggi avere venticinque anni non è più facoltativo, ma obbligatorio, sicché per esistere occorre dichiarare di non avere quarant’anni, ma due volte venti, di sentirsi giovani o giovanili, che gli anni non sono passati etc… Ciò comporta che oggetti ed atteggiamenti legati alla piena dignità virile, come ad esempio il cappello ed il silenzio, siano in bassa fortuna. Mentre la musica avanza dappertutto, invade taxi, cinematografi e negozi, da questi ultimi silenziosamente scompaiono alcuni oggetti che vengono definiti “datati”. Chi conosce la partita che si sta giocando, comprende che in realtà essi vengono emarginati non per il loro riferimento ad un periodo storico, ma in quanto simbolo di un’età vietata sotto il profilo sia biologico che psicologico, insomma implicitamente ritenuti “datanti”. Come dicevamo, c’era una volta una camicia di filo di scozia. Una camicia vera, non una polo, che poteva avere le maniche lunghe o corte secondo le occasioni. Sui fondi luminosi si sovrapponevano piccoli disegni cravatta con due, tre o quattro colori. Un capolavoro di tecnica, su materiali selezionatissimi. Alcune tra le più belle erano realizzate dalla maglieria Fedeli, ma certamente la stampa doveva essere realizzata presso qualche stabilimento comasco, specializzato sulla seta. La lucentezza del fondo, la definizione dei disegni e dei singoli colori, non accusavano alcun cedimento per molti anni e resistevano a centinaia di lavaggi. Il prodotto era insomma molto costoso, ma estremamente durevole. La manutenzione era poco impegnativa, in quanto era possibile lavarla in casa ed era di facile stiratura. Come lo stesso Dante ha detto, il gran filo di scozia è anche molto resistente alle macchie. Un articolo tanto importante doveva certamente avere un mercato in tutta Italia, ma credo che nel Sud e soprattutto a Napoli abbia rappresentato un capo praticamente obbligatorio nel guardaroba maschile, da una certa età e censo in poi. Credo che l’ultima camicia di questo tipo sia stata acquistata una diecina di anni fa, proprio da me, nel vecchio, tradizionalissimo negozio di Lama in Via Guantai Nuovi. Successivamente ho visto anche qualche imitazione, ma la grana della maglina e la qualità della stampa non avevano nulla a che vedere con l’originale. Poi più nulla, nemmeno una speranza, finché non mi è venuta un’idea. Ho visto recentemente una bella serie di camicie in nido d’ape di alta qualità, certamente frutto di applicazione e ricerca, realizzate dall’antichissima ditta Cilento di Napoli, in Via Medina. Si tratta di qualcosa che per disegno e qualità può ricoprire la stessa funzione pratica della vecchia gloriosa camicia di filo di scozia a microdisegni, ma nulla può far dimenticare il fascino della capostipite. Ho chiesto quindi al giovane Ugo Cilento, tra l’altro nostro Socio, se avesse voluto interessarsi della riedizione di questa vecchia bandiera e gli ho portato come campione la camicia di cui sopra dicevo, l’unica ancora in mio possesso, che dopo dieci estati d’uso conservava ancora intatti i colori, anche sul collo e sui polsi. Lui ci proverà, ma scrivetegli per incoraggiarlo: info@cilento1780.com. Non so se sarà possibile riorganizzare la produzione di questo capo, che richiede materiali e processi costosi e complessi. Come sempre accade, in realtà avrebbe potuto essere addirittura migliorato e quindi non dobbiamo disperare. Io personalmente metterò a disposizione tutta la mia modesta influenza e quella del castello per abbattere le difficoltà che si incontrassero durante il cammino. Non voglio alimentare illusioni, ma sperare è lecito ed io spero, quanto e più di altri, che possa risorgere una nuova generazione di camicie “napoletane” a disegni cravatta. Nel tempo che si spenderà per realizzarne la bandiera, noi aspetteremo e stimoleremo la nascita della nazione di cui è simbolo: quella di una maturità vissuta come un traguardo e non evitata come una decadenza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-07-2004 Cod. di rif: 1465 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lo spirito della ricerca Commenti: L'ultimo intervento di Dante, che sembra puntare il dito su un impreciso utilizzo dei termini Tasmania e Blazer da parte del signor Longo, non va letto come un rimbrotto e nemmeno come una questione di livello personale, ma apre un problema di fondo che ritengo vada portato alla superficie. In uno spirito di collaborazione tra tutti i partecipanti all'impresa di esegesi e rifondazione di un mondo estetico maschile dato troppo presto per spacciato, il linguaggio utilizzato in questa sede va sottoposto alla massima vigilanza. La ricerca che da anni si conduce deve in qualche modo purificare la terminologia dalle approssimazioni. La tasmania non è un tessuto, questo vuol dire Dante, ma un marchio. Anche se il senso di ciò che Longo voleva dire era comunque chiaro, la parola non è tecnicamente corretta. Penso che invece Dante abbia interpretato in modo troppo restrittivo la seconda parte dell'appunto. In questa parte, infatti, Longo non definisce la giacca illustrata come blazer, ma come doppiopetto a sei bottoni, aggiungendo che a suo parere esso raggiunge alcuni effetti tipici del blazer. Dal gesso di Dante si deve però trarre un invito a porsi e porre domande. Non aggiungerei altro e non tornerei per il momento su questi argomenti. La ricerca continua ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-07-2004 Cod. di rif: 1467 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Immagini della camicia "napoletana" Commenti: Egregio Carrara, mi sono subito reso conto di aver fatto un errore nel lasciar uscire la camicia, unica in mio possesso, senza fotografarla. Già ieri chiamavo Ugo Cilento per chiedergli di non spostare la camicia dalla sede della ditta, dove andrò a ritrarla. Naturalmente conta molto la mano, la lucentezza, la durata, cose che una foto non può riprodurre, o almeno non una foto di un dilettante come me. Successivamente etrrò acceso questo fuoco cercando altre di queste camicie. Sono certo di reperirne nel cassetto di mio padre, appena tornerà dalle vacanze. Il vecchio reprobo, ad ottantaquattro anni, avendo molto fumato e assai mangiato si trova in buona salute, guida ancora l'automobile e va a farsi un paio di mesi di villeggiatura e bagni di mare. Quando tornerà, a fine agosto, farò una visita accurata nei suoi cassetti. Lui appartiene proprio alla generazione che ha sempre utilizzato il prodotto di cui parlavo e ancora lo utilizza. Ripeto che si tratta di oggetti dalla durata irragionevole, per cui chi ne ha comprati parecchi ne conserva sicuramente ancora qualcuno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2004 Cod. di rif: 1472 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abiti senza esperienze - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, l'uomo moderno ama sentirsi sempre impegnato. La sicurezza offerta dalla pareti domestiche è stata sostituita da quella che scaturisce da una gionata piena, da un carnet traboccante di appuntamenti, da un ritmo elevato che in qualche modo addomestica l'ansia del vuoto facendola precedere da quella, più tollerabile, del troppo pieno. La pentola degli affari è sempre sul fuoco e distoglierne lo sguardo comporta qualche senso di colpa. L'appetito per gli oggetti, per quello che con una parola diventata così comune e antipatica si definisce il lusso, non manca, ma il tempo di scegliere e costruire si. Ci si riesce ad astrarre per la cura fisica, purché altrettanto alienante come un'ora di palestra, ma concentrarsi su una relazione umana, su una scelta estetica, su una costruzione concettuale, su un'esperienza artistica, questo si può fare solo e qualche volta nel fine settimana. Questi ritmi serrati lasciano all'homo managerialis che abita le città di tutto il mondo e dapperutto è uguale, poco tempo per le prove. Va da se che chiedere al sarto di non provare, senza quindi vedere materialmente il lavoro nella sua evoluzione e tecnica, produce alla fine abiti, ma non esperienze. Se questa nuova razza umana non si estingue ed anzi rafforza il proprio potere, occorrerà fare qualcosa di diverso per attirarla. Quei sarti del futuro cui accennavo, tra i vari servizi che offriranno o già stanno offrendo ai clienti, prevederanno prima una stazione di posta elettronica, poi una lampada solare. Vedrà. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-07-2004 Cod. di rif: 1477 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Immagini Gianni Agnelli Nel Taccuino Commenti: Egregi Signori, Egregi Cavalieri, sono finalmente riuscito ad inserire correttamente nel taccuino le immagini di Gianni Agnelli; mi soffermavo sul due bottoni con revere a lancia e sulla modellazione del cran, sui quali chiedevo commento al Gran Maestro. Mi scuso per gli inserimenti errati; pregherei di cancellare i tentativi precedenti andati a vuoto. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-07-2004 Cod. di rif: 1479 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gilet - Al signor Poerio Commenti: Egregio Poerio, non credo che valga la pena di rischiare tempo e denaro per un risultato altamente incerto e comunque di profilo minore. Abbinare un gilet artigianale ad un abito industriale o viceversa non produrrebbe fenomeni notevoli. Molto pregio ha inoltre l'eccezione che Lei muove spontanemente sulla possibilità che un eccessivo richiamo possa essere fuori luogo. Conservi quindi le energie per missioni maggiormente meritevoli ed efficaci, destinando magari le risorse ad una bella camicia, ad una cravatta immacolata scelta per l'occasione. A proposito, in queste occasioni cerimoniali, dove l'azione si svolge al coperto, andrebbero evitate le cravatte a stampa e privilegiati i jacquard. In ogni caso, ilgilet formale prevede sei bottoni, di cui l'ultimo praticamente posticcio. La fodera posteriore dovrebbe essere in bemberg, a meno di essere particolarmente freddolosi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-07-2004 Cod. di rif: 1482 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Makò, Filo di Scozia e Camicia Napoletana Commenti: Egregio signor Migliaccio, quanto alla differenza tra cotone makò e filo di scozia, si tratta nel primo caso del nome di una materia prima, nel secondo di un prodotto in cui sono disciplinati alcuni importanti procedimenti, tesi a esprimere al meglio le caratteristiche e la durata di una materia prima che deve comunque rispondere a standard molto restrittivi. Passo comunque la parola a Dante De Paz, che ha già stupendamente introdotto il filo di scozia da un punto di vista storico e tecnico e potrà quindi aggiungere qualcosa di importante, spiegando magari un po’ più nel dettaglio cosa sia il makò. Insomma la camicia da Lei vista si discosta probabilmente in modo radicale dalla “Camicia Napoletana” in filo di scozia. Questa era in jersey e non a nido d’ape, come la maggior parte delle camicie in altri filati. Inoltre si caratterizzava per la stampa accuratissima a disegni cravatta. Ho recuperato qualche immagine della camicia e ne fornisco un commento nel Taccuino agli appunti da # 843 a 845 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-08-2004 Cod. di rif: 1492 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Del bemberg e altre fibre - Al sig. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, mi compiaccio per il ruolo che la nostra organizzazione ed il castello hanno avuto nel sostenerLa nell’avventura che va ad intraprendere. Mi auguro che sia soddisfatto del risultato e che questa sia la prima tappa di un viaggio che per la gran parte dei pochi che lo intraprendono dura sino alle soglie della cinquantina, mentre per altri può non terminare mai. I costi molto bassi di manifattura di cui mi parlava, se ben ricordo 380 scudi, possono far pensare, ma ripeto pensare, a qualche scorciatoia in sede di lavorazione. Se ha saputo scegliere bene il tessuto, il prodotto sarà comunque valido e congruo al momento che sta vivendo. Le avevo risparmiato ogni consiglio, avvertendola solo di badare ai foderami e suggerendo il migliore ed il più diffuso in commercio: il bemberg. Prima di parlare del bemberg, fibra artificiale tra le più importanti nel mondo maschile, sarebbe il caso di affrontare la differenza tra fibre sintetiche e fibre artificiali. Le prime, come dice il nome, sono sintetizzate da derivati del petrolio. Nel 1941 J.R. Whinfield e J.T. Dickson sintetizzarono il Terilene e da allora l’industria non ha mai interrotto la ricerca in questo settore fondamentale. Le fibre sintetiche sono flessibili, leggere, resistenti ed elastiche e mescolate a fibre naturali conferiscono ingualcibilità e durata e pertanto sono molto utilizzate nel settore dell’abbigliamento maschile. Sono però cattive conduttrici di calore e non assorbono l’umidità, sicché tendono a soffocare chi ne faccia troppo o errato uso. Si dividono in quattro gruppi: 1. FIBRE POLIAMMIDICHE (NYLON, LILION, PERLON): scarsa capacità di assorbimento; buona resistenza; buona elasticità; 2. FIBRE POLIESTERE (TERITAL, TERILENE, TREVIRA): sono usate per gonne, abiti, impermeabili, corde, reti; scarsa capacità di assorbimento; scarsa resistenza; buona ingualcibilità; con l'usura fanno palline in superficie; 3. FIBRE POLIVINILICHE (MOVIL): sono usate per tendaggi, maglieria, coperte; scarsissima capacità di assorbimento; scarsa resistenza al calore; non infiammabili; buona ingualcibilità; 4. FIBRE ACRILICHE (LEACRIL, DRALON, ORLON): scarsa capacità di assorbimento; buona resistenza al calore; indeformabilità. Le fibre artificiali sono invece ottenute partendo da prodotti naturali, quali la cellulosa e le proteine. Queste sostanze, attraverso procedimenti chimici, vengono rese solubili e le soluzioni ottenute, estruse attraverso forellini piccolissimi, vengono raccolte in un bagno di coagulo che fa rapprendere la sostanza di partenza sotto forma di fili più o meno lunghi. L'inizio dell'industria delle fibre artificiali è più recente e risale circa al 1984, quando in Francia fu fondata una società per la preparazione di fibre attraverso il procedimento di filatura e coagulazione, sotto forma di fili, di soluzioni dense di nitrocellulosa. Questi fili furono chiamati seta artificiale perchè, nonostante la diversa natura, avevano la stessa lucentezza della seta. Successivamente si è cercato di produrre fibre artificiali partendo da proteine animali (latte) o vegetali (soia). Tra le fibre artificiali più famose, usate nei capi di abbigliamento, figurano la viscosa, l'acetato e il nostro bemberg. Il sostantivo prende il nome dalla ditta tedesca Bemberg ed è il nome commerciale e il marchio registrato del rayon cuproammonio prodotto dall’omonima casa. Esiste anche una Bemberg Italia S.p.A., con circa seicento dipendenti e fatturato ultimo di 66 milioni di euro. La fibra tessile è ottenuta sciogliendo la cellulosa nell'idrossido di rame ammoniacale, detto reattivo di Schweizer. Il liquido viene poi estruso da filiere aventi fori di 0,5-1 mm di diametro; le bave (da 0,5 a 3 den di finezza), dopo lavaggi per asportare il rame e l'ammoniaca, vengono essiccate e raccolte su aspi o bobine, ottenendo un filato che può essere successivamente sottoposto a crettatura se usato in fiocco o a torcitura se in filo continuo. Viene impiegato nella produzione di abiti estivi, bluse, cravatte, ombrelli, foderami, tendaggi, tulle e maglieria. Il bemberg è traspirante, anallergico, confortevole per le buone caratteristiche igroscopiche, non accumula cariche elettrostatiche, è cedevole, lucente, scivoloso come deve essere una fodera. Quanto appunto alle fodere della Sua giacca e di quelle future, il bemberg è l’unica alternativa alla pura seta. A quest’ultima giungerà in futuro, se e quando lo riterrà opportuno, ma ora non rinunci ad un prodotto importantissimo per l’abitabilità della giacca. Il bemberg si presenta in vari pesi e finiture. Per le giacche invernali potrà usare la duchesse, che è più pesante, un po’ più rigida e quindi ottima per tessuti di peso importante. Per gli abiti più morbidi, drappeggianti, potrà utilizzare quello più diffuso (e meno costoso) a costina diagonale. Per l’abito estivo, come quello che credo stia facendo confezionare, userà senz’altro la qualità di bemberg detta “piuma”, una tela sottilissima, leggera e traspirante. Soprattutto i due ultimi prodotti sono imitatissimi e bisogna vigilare, perché molti sarti risparmiano con piacere quei pochi copechi che in questo caso separano un prodotto di qualità da robaccia. Interni e foderami sono invece importantissimi per il comfort, per la stiratura, l’indeformabilità dell’abito e per l’aspetto complessivo, che comprende anche l’interno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-08-2004 Cod. di rif: 1495 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualche scorciatoia - Al sig. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, la sartoria autentica, a prescindere dallo stile generale e dalla classe specifica del maestro, finisce il vestito utilizzando forbice, ago e ferro da stiro senza vapore (questo si usa solo per i pantaloni e mai per la giacca), con minimo utilizzo della macchina da cucire. Le scorciatoie più comuni consistono nell' applicazione di interni lavorati a macchina al collo e al bavero e di piastroni prefabbricati al petto. In queste zone si dovrebbero lavorare tutti i materiali singolarmente, sagomandoli col ferro, realizzando pinces con la forbice e poi ricucendo ed applicando bindelle dove con la macchina e dove con l'ago, ma unendo tutto in un prodotto unico, fatto di volta in volta sulle esigenze specifiche del cliente. Gran risparmio di tempo si ha poi con la stiratura al mangano. Lei, sapendo poco, poco parli. Ora che è partito non si fermi in curva, vada avanti. Se dovesse aver preso una via sbagliata, La informo che su questo circuito la marcia indietro non è prevista e cagiona a chi volesse comunque ingranarla i peggiori disastri. Vigili sulle prove: la prima deve avvenire senza fodere e senza tasche. Alla seconda dovrebbe già avere le fodere ai quarti anteriori, ma il collo è ancora solo imbastito. Viene deciso il lato basso, il punto vita, la montatura posteriore, la lunghezza delle maniche e del pantalone e poi l'abito può essere consegnato. Lei controlli che la giacca non scolli troppo e che abbia una caduta naturale all'anteriore. Faccia fare le maniche belle corte. No, un pò più corte. I sarti largheggiano quasi sempre su questo dettaglio fondamentale. Alla consegna controlli che le maniche cadano senza torcere e via! Una guardatina al retro del bavero le dirà qualcosina. Se la finitura è artigianale, troverà una grattugia di piccoli punti dati a mano. Essi sono indispensabili per dare consistenza e permettono una stiratura ricca di volume ai revers, che altrimenti tendono ad aderire in modo un pò piatto. Ci tenga informati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-08-2004 Cod. di rif: 1497 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Foderare i pantaloni - Al cav. Villa Commenti: Inestimabile cavaliere Villa, a Napoli, per ovvi motivi climatici, non si è mai usato foderare i pantaloni. In realtà credo che si tratti di un trucchetto per aiutare il funzionamento alla giuntura, dove un taglio non corretto genera quella fastidiosa sensazione del ginocchio che si impiglia quando si solleva la gamba, ad esempio per salire un gradino. Se così non fosse, se lo scopo fosse solo rendere il capo più caldo ed evitare il contatto col tessuto, perché non foderare anche la parte posteriore, atteso che un uomo sta seduto almeno per un tempo pari a quello in cui sta in piedi? Io sono ormai abituato al contatto con i tessuti e nessuno di essi mi gratta o da fastidio, nemmeno i mohair o i ritorti più secchi. Nemmeno credo che ci possa essere un rapporto tra fodera e durata. Nella mia lunga militanza, non ricordo di capi che mostrassero segni di usura a partire dalla parte interna, se non, come comunemente si può verificare, proprio nei foderami o in posti non foderabili, come al bordo delle maniche, alle labbra delle tasche ed al collo. Ritengo quindi che la scelta di foderare o meno i pantaloni sia solo questione di gusti, di abitudini, o di temperatura. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-08-2004 Cod. di rif: 1503 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pantaloni Trucchi nel taglio - Al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, il risultato cui lei tende è raggiungibile tagliando la parte anteriore del pantalone più piccola e orientando la cucitura della parte superiore verso avanti. In tal modo la tasca, pur tagliata nella cucitura, risulta di più pratico accesso anche con lo stesso diametro generale del mantesino. L'accesso alla tasca (come la giusta profondità e capacità) rappresenta infatti uno degli standard più importanti in un paio di pantaloni. Le tecniche descritte, soprattutto quella del taglio leggermente inclinato, sono attualmente in possesso solo di alcune sartorie e non mi risulta che il taglio industriale ci sia ancora giunto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 08-08-2004 Cod. di rif: 1505 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: sarto Liverani di Firenze Commenti: Illustri ed infaticabili Cavalieri, sulle pagine del quotidiano "Il Foglio" un arguto, divertente scrittore di cui apprezzo la prosa priva di complessi, piena di citazioni e intrisa di consapevole assimilazione delle regole del piacere, menziona più volte un sarto di Firenze a nome Liverani. Confido nella sapienza dei Cavalieri tutti e del Gran Maestro in special modo per ricevere informazioni sul maestro Liverani. Cavallereschi saluti, Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 09-08-2004 Cod. di rif: 1507 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Camillo Langone Commenti: Egregio signor Poerio, avevo consapevolmente taciuto il nome dello scrittore e dico scrittore perchè giornalista è termine riduttivo nonostante i risultati narrativi di questa valorosa penna del Foglio siano largamente inferiori e deludenti per chi è abituato a Maccheronica et similia. La ragione delle volontaria omissione stava nel serbare un piacere esclusivo di una scoperta gelosa che immagino riservata a pochi aficionados ma lei ne ha fatto regalo ai lettori delle lavagne: la cosa quasi mi dispiacerebbe se non mi avesse fatto scoprire che lei deve essere indubitabilmente un palato raffinato, aduso alle buone letture e, comincio a sospettare, alla buona cucina, il che sarà propizio, mi auguro, per l'avventura della nuova porta della Gola. In merito, mi preme segnalare al Gran Maestro che non riesco ad accedere alla seconda versione di tale porta, c'è un probelma tecnico o una mia incapacità ? Cavallereschi saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-08-2004 Cod. di rif: 1509 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Porta aperta - Al cav. De Falco Commenti: Egregio cav. De Falco, anche se la cosa non ha attinenza a questa Lavagna, rispondo qui dove mi è stata posta la domanda. Nessun ostacolo mi sembra impedisca l'accesso alla Porta della Gola e credo che riprovando troverà la via d'accesso a tutte le sue aree. Sapendola un buongustaio militante, mi aspetto anzi di leggerLa presto. Mi sarebbe di conforto sapere una forchetta come Lei tra i Liberi Ricercatori della nostra guardianìa. Buon divertimento ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-08-2004 Cod. di rif: 1510 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualche ricordo di Liverani - Al Cav. De Falco Commenti: Inestimabile cav. De Falco, visitai la sartoria Liverani circa una diecina di anni fa. Non saprei nemmeno tornarci e non conosco l'indirizzo. Ho anche girato decine di pagine in Google e Virgilio con le chiavi "Liverani Firenze" e mi ha molto sorpreso non trovarne alcuna che corrispondesse a questo splendido laboratorio. Spero che qualche altro Visitatore possa completare queste note con notizie aggiornate e fornire i recapiti dell'attività. Non so se si trovi dove io l'ho conosciuta, ma la cosa è molto probabile. Aveva una piccola vetrina fronte strada, nella quale notai un paio di pantaloni chiuso col bottone rovescio e la pancierina a due bottoni, come è in uso presso i più bravi pantalonai artigiani (sono dettagli ancora sconosciuti all'industria). I tessuti che facevano capolino erano di gran gusto: entrai, se ben ricordo salendo qualche gradino. Fui accolto gentilmente da un signore molto gentile e da una pila di tessuti splendidi, tra cui moltissimi "vintage" di prima scelta. Chiesi anche se fosse stato possibile acquistarne un taglio. Ero stato colpito da uno splendido crossbred a quadroni, alto come un materasso e dalle tonalità strepitose. Poiché non avevo intenzione di cucirlo presso la sartoria, non mi facilitarono le cose e il signore, molto gentilmente, mi propose un prezzo molto alto: trecentomila lire al metro di quei tempi. Pazienza, rinunciai, ma senza avermene a male. Il modo di agire era stato ineccepibile ed il prezzo non era eccepibile, atteso che si trattava già allora di tessuti fuori produzione. Per queste meraviglie non c'è un prezzo di listino. Tutto sommato posso dire poco, se non che ebbi un'ottima impressione dell'ambiente e della stessa strada, come se la presenza di quella sartoria, di quella vetrina così rigorosa ed eloquente, avesse elevato il livello del gusto degli uomini che vi vivevano. Non lo escludo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-08-2004 Cod. di rif: 1530 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'opera. A Dante De Paz e a tutti i Visitatori Commenti: Estremo Dante, dopo qualche giorno di assenza dall'Italia e dal castello, trovo che gi instancabili Tuoi contributi continuano ad arricchire quest'area con un tocco entusiasta che porta la ricerca ad un livello artistico ed umanistico quale è il più alto intendimento dell'Ordine. La storia del Lino, che hai fatto iniziare dai padri, giunge a noi sena alcuna interruzione. Ogni vuoto è stato colmato dal tesuto connettivo di un'adesione intima alla materia, ai suoi significati, alla vita sociale del prodotto ed alla sua instancabile, infinita lettura individuale. Il Tuo lavoro nella codificazione napoleonica del Classico Internazionale, in quella enciclopedica del Dizionarietto e nella visione scientifica, culturale e storica delle materie prime, integra un atteggiamento illuminato ed illuminista che non ha precedenti. Mi fa piacere pensare che quest'opera è stata a lungo preparata dalle migliaia di Visitatori, dal piccolo nucleo dei Cavalieri, dalla visione spregiudicata mia personale e di quanti hanno inteso il senso di un particolare che è spinto così in profondità e tanto in estensione da diventare generale concezione umana. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-08-2004 Cod. di rif: 1533 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: A Bologna Commenti: Egregi Signori, Egregi Cavalieri, Sono finalmente riuscito a ritagliare uno spazio di tempo sufficiente, e mi sono recato in quel di Bologna. Naturalmente destinazione il negozio De Paz. Cosa posso dire: il paese dei balocchi! Poche ore non sono sufficienti per vedere e ascoltare tutto quello che ha da offrire. Ringrazio innanzitutto Dante De Paz per la grande cortesia: sono infatti arrivato in grande anticipo, e ho probabilmente rubato tempo alla pausa pranzo. Di ciò mi scuso. Ma credo che la passione lo abbia preso: egli infatti non mostra i tessuti al cliente per venderli, ma perché li ama; e ho il sospetto che se ne separi volentieri solo con la sicurezza che vadano in mani "giuste". Mi ha guidato nella scelta dei tessuti giusti per me: tessuti comunque mai banali, splendidi, in gran parte opere "singole". Vorrei anche segnalare, e mi scuserete dell'argomento "volgare" - ma in tempi come questo non tutti hanno dsponibilità infinite -, che i prezzi sono abbordabili soprattutto in questo periodo; anche il confezionato è fatto con i medesimi tessuti e a prezzi abbordabili: evidentemente chi ha gusto non necessariamente ha da essere ricco. Non sono certo rimasto a mani vuote, ma il coinvolgimento è stato tanto che quasi lasciavo la merce in negozio … Grazie Cavalier De Paz. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 20-08-2004 Cod. di rif: 1537 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Cappelleria Melegari - Milano Commenti: Egregi Cavalieri, so che la Cappelleria Melegari a Milano in via Paolo Sarpi è già stata segnalata, ma devo aggiungere alcune considerazioni: infatti è un vero e proprio laboratorio artigianale. Di recente ho visitato questo indirizzo per portarvi un bel cappello Barbisio di fine anni '50, appartentente alla mia famiglia, per il relativo restauro. Ho trovato una persona preparatissima, giovane che ha ereditato la passione dal padre, che non solo ha preso in consegna il lavoro, ma ha condotto una ricerca direi filologica per trovare il corretto modello dell'epoca; i materiali usati in sostituzione di quelli usurati sono materiali vintage d'epoca. Insomma un indirizzo da tenere ben presente per tutti gli appassionati. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-08-2004 Cod. di rif: 1546 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pancierina, spacco e tasche nei pantaloni - A L. Villa Commenti: Egregio, vigile ed immaginifico Villa, mentre De Paz continua a versare il miele dela sua sapienza con le “rubriche” del Dizionarietto del Classico Internazionale e con i “pezzi liberi” sui materiali, passo a rispondere ad una domanda da Lei posta con il gesso n. 1542. La pancierina è una larga lingua, dello stesso cotone delle fodere, che termina con due asole. Esse si agganciano ad una piastra sagomata che a questo scopo si protende dalla parte opposta, come un promontorio della patta di chiusura (veda nel taccuino gli Appunti n. 975 e 976. E’ sostituita a volte da una lingua lunga e sottile, inclinata verso l’alto, che parte dalla stessa parte destra della patta, quella coi bottoni, recando in punta un’asola e non un bottone. Infatti essa si aggancia ad un bottone predisposto all’interno. La pancierina non è indispensabile, ma utile. Essa si trova all’altezza della massima circonferenza di vita, dove noi maschi acculiamo spesso un po’ di ciccia. Il pantalone sta su anche se si aggancia la sola pancierina, che quindi si sobbarca parte del lavoro del bustino e della cintura e crea un punto di aggancio interno, distribuendo i carichi e contribuendo così al comfort. La lingua che compone la pancierina è almeno da un lato indipendente dal tessuto anteriore del pantalone ed è cucita al foderame proprio a ridosso della pince esterna. In tal modo essa cerca di contenere le tensioni nella parte interna e lascia così le pinces libere di esprimersi, senza dover essere loro a sacrificarsi e lavorare in tensione quando si guadagna qualche centimetro di circonferenza. L’altezza strategica fa comunque in modo che la parte del pantalone che lavori a contenere i chilogrammi in più sia la zona alta delle pinces, dove il danno estetico e pratico è minore. Se ne conclude che per chi sia nello stesso peso da venti anni la pancierina non avrà grande importanza, mentre chi oscilla di peso la troverà utilissima. Qualcosa di simile avviene per lo spacco posteriore, che sarà più apprezzato da chi ha tendenza a mettere e togliere un po’ di peso, ma ha però un’utilità universale alla quale non si dovrebbe rinunciare. Lo spacco permette al bustino rigido di dividersi in due ganasce elastiche, che praticamente si regolano da sole sulla circonferenza di vita. (Veda nel taccuino l’Appunto n. 979).Ciò è sempre confortevole quando ci si siede, desiderabile quando si mangia troppo in una sera, indispensabile quando si ingrassa. Per essere efficace, lo spacco deve essere un po’ più profondo del bustino e per essere solido deve essere fermato da uno o due travetti robusti. Lo spacco raggiunge la massima elasticità quando si accompagna con le bretelle. Quando si usa la cintura esso consente comunque respiro, assecondando le necessità fisiche quando la cintura stessa va allargata di un buco o anche due. Aggiungo agli Appunti n. 977 e 978 un commento fotografico a quel dettaglio di cui parlavo nel gesso n. 1503, relativo all’inclinazione della tasca anteriore dei pantaloni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-08-2004 Cod. di rif: 1547 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Melegari - Una proposta a G.V.Granata Commenti: Egregio Granata, l'entusiasmo e la profonda soddisfazione da Lei espressa nel gesso n. 1533 dopo il contatto con la cappelleria milanese Melegari mi inducono ad invitarLa, in occasione del ritiro del Suo Barbisio, a redigere una scheda tecnica ed emotiva dell'azienda, corredata da immagini. La utilizzeremmo per il Portico dei Maestri, attesa la carenza a livello mondiale di luoghi di rimessaggio per gli amanti (come me) del copricapo. Non so se Lei sia versato nella fotografia, ma non essendo il castello una rivista patinata, quanto piuttosto un laboratorio di ricerca, ci basta piuttosto poco. Non credo invece che avrà difficoltà col testo, ma tenga presente che le notizie scientifiche come costi, tempi, recapiti, orari, specificità tecniche, lavorazioni particolari, materiali utilizzati, anzianità dell'azienda, nomi delle persone che il cliente vi incontra, sono da privilegiarsi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-08-2004 Cod. di rif: 1548 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le Berluti per la laurea: si procede - Al dr. P. Lisi Commenti: Egregio signor Lisi, Olga Berluti ha deciso di lavorare alle Sue scarpe già prima di incontrarLa, ma ha chiesto maggiori informazioni. Due cose sono importanti: la Sua misura, magari corredata da una descrizione della conformazione del Suo piede (pianta, collo, arco) ed un'analisi del Suo stile personale, di come è e/o come vorrebbe essere, nonché di ciò che si aspetta da Berluti in generale e dal Suo paio in particolare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 27-08-2004 Cod. di rif: 1550 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Cappelleria Melegari - In missione per l'Ordine Commenti: Gentilissimo Gran Maestro, accolgo con entusiasmo la proposta da lei avanzata! Non sono un fotografo professionista, ma ho una macchina digitale, anche se scarsa (1 Mega Pixel). Per quanto riguarda il testo, raccoglierò tutte le informazioni utili, e mi atterrò allo stile che vedo nel Portico dei Maestri. Le farò sapere appena il materiale è pronto (penso entro fine Settembre). Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-08-2004 Cod. di rif: 1554 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pince lunga alla tasca dei pantaloni - A Villa ed Ambrosi Commenti: Ottimo Villa, col gesso n. 1551 mi chiedeva dettagli sulla pince posteriore dei pantaloni. Quella lunga, che passa oltre la tasca, è caratteristica dei capi artigianali e permette una maggiore pulizia del retro. Credo che, come Lei suppone, si tratti di un dettaglio sviluppatosi specialmente nella zona partenopea, ma sull'argomento invito a pronunciarsi il nostro assiduo maestro Salvatore Ambrosi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 30-08-2004 Cod. di rif: 1556 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Tasca Anteriore e Pince Posteriore Commenti: Egregio Gran Maestro, Dott. Villa, seguo con grande interesse la discussione riguardante i - gustosi - particolari dei pantaloni artigianali. Come da foto allegata al Taccuino 999, potete vedere la soluzione adottata dal Maestro Cleopazzo di Varese: la tasca è tagliata tra la pince e la cucitura, e leggermente inclinata in avanti. Mi chiedevo se questa soluzione è da ritenersi valida: a me pare comoda ed elegante. Inoltre noto la mancanza della pince posteriore allungata attraverso la tasca. E' forse caratteristica esclusiva degli artigiani partenopei? E' comunque soluzione interessante, che forse varrebbe la pena di proporre al proprio sarto. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-08-2004 Cod. di rif: 1562 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risposte ai gessi 1559 e 1560 - Al cav. Carnà. Commenti: Egregio Cavaliere Carnà, nel gesso n. 1559 Lei ci fa sapere come un pantalonaio della categoria su-ordinazione abbia compreso ed utilizzato il taglio inclinato della tasca nella cucitura. Mi sembra di cogliere nel Suo racconto una vena di amarezza, che vorrei risparmiarLe. Noi dobbiamo rammaricarci delle eventuali perdite che subisca il nostro mondo, quello dell’artigianato e quindi del gusto personalissimo, non delle conquiste altrui. Se l’offerta degli altri piani si arricchisce, questo non rappresenta un problema. Non è l’industria, soprattutto se attenta ed onesta, il nemico dell’artigianato, ma la distrazione del singolo, la volgarità che si erge a istanza liberatrice, il cattivo esempio, il mercato dell’immagine privo di ogni senso morale ed estetico, la proposizione del consumo come liberazione e non come schiavitù. Nello stesso gesso Lei introduce, seppure di profilo, il tema del silenzio. Come Lei sa, esso può anche essere considerato come un acceleratore dell’apprendimento, quindi come un dono che viene concesso a chi voglia crescere nella conoscenza. Naturalmente il silenzio non basta né al singolo né alla comunità, che richiedono entrambi lo scambio delle idee. Il vero problema non è nella parola, ma nell’uso improprio di essa come quantità, qualità e luogo. Rispetto al resto del WEB, questo nostro castello resiste con un giusto rapporto tra ascolto ed intervento, evitando con naturalezza le passerelle e le polemiche dettate da quel tipo di vanità perniciosa che spinge ad esibirsi salendo sulle spalle altrui. Resta un laboratorio in cui non pochi trovano risposte e domande e sono molto contento che Lei abbia trovato giovamento dalla sua frequentazione. Dopotutto, essendo lei un Cavaliere, questa è casa Sua. Quanto allo smoking di cui al gesso n. 1560, ciò che non si è visto di persona è impossibile da giudicare, ma si può ragionarne. La grande lezione di Dante De Paz con la ricerca del Classico Internazionale è quella di un linguaggio comune e profondo, universalmente conosciuto e riconoscibile, ovunque recepito con identico significato e simile forma. Esso è una lingua nobile, ma non è l’unica. Esistono linguaggi comprensibili o utilizzabili solo in contesti limitati, come può essere un’epoca, un luogo, un ruolo o un’età. A proposito di luoghi, la serata in cui è stato indossato il capo da Lei descritto si teneva in un Circolo di Golf. Credo che la cosa abbia potuto avere una notevole influenza e magari lo stesso gentiluomo che portava lo smoking verde andrà a teatro con quello nero e a ballare con quello blu notte. Stesso dicasi per lo spacco, che in altre occasioni, formali anche per luogo, sarebbero più difficilmente proponibili, ma che in un ambiente dichiaratamente sportivo hanno appigli da non trascurare. Probabilmente il Suo occhio, influenzato dal contesto, ha tenuto presente che gli strumenti critici andavano tarati considerando il luogo e proprio per questo hanno trovato queste soluzioni un segno di “maturità stilistica”. Non è escluso che sull’esempio di questo per ora ignoto signore si sviluppi una tolleranza e poi un’abitudine dello smoking verde alle feste dei circoli del golf. Dopotutto, il verde vi sta a casa sua. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-09-2004 Cod. di rif: 1565 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Da castello a tribunale - Al sig. Granata Commenti: Egregio signor Granata, vedo che ha inserito un appunto, il n. 1019, dove illustra la giuria del Festival del Cinema di Venezia, in verità mediamente piuttosto dimessa. Non vorrei sembrare pedante nel sottolineare che la critica sottesa a questa operazione non è qui nel suo luogo più indicato. Se tutti ci dessimo a trovare esempi di cattivo gusto, riempiremmo centinaia di pagine, ma di cosa? A cosa servirebbe? E quelli che poi fotografassero noi, quante risate si potrebbero fare? Condannare e giustiziare non è opera da cavalieri, ma lavoro da giudici e boia. Seguiamo senza tentennamenti la nostra stella, ma lasciamo che altri seguano la loro e a chi preferisca il buio non accendiamo una sgradita lampada negli occhi. Se anche giungessimo al cielo con le nostre torri, nessuno per questo ci dovrà nulla o sarà tenuto a dimostrarci qualcosa. La critica, se deve esserci, sia lasciata alla coscienza e rivelata nell'esempio. Eviteremo così che un castello unico nel suo genere diventi un tribunale tra i tanti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 03-09-2004 Cod. di rif: 1566 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Al Gran Maestro Commenti: Egregio Gran Maestro, incasso la critica; anche perchè mi accorgo che il taccuino sotto accusa è piuttosto triste da vedere e rivedere. Molto meglio esempi in positivo. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-09-2004 Cod. di rif: 1567 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vigilanza necessaria - Al sig. Granata Commenti: Egregio Granata, avrà certo compreso che non v'era nulla di personale nelle mie recenti considerazioni. Esse erano intese a realizzare quella vigilanza sulle mura del castello che quanto alle procedure è affidata alla Cancelleria ed è invece compito magistrale quanto ai programmi ed allo stile. Lei è sempre benvenuto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 08-09-2004 Cod. di rif: 1586 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Harris Tweed da De Paz Commenti: Egregi Cavalieri, mi arriva oggi da Bologna, naturalmente De Paz, lo splendido - anzi direi entusiasmante - Harris Tweed disegno pied-de-poule, del quale ho inserito una foto nel taccuino 1044. Lo splendido tessuto diverrà presto una giacca monopetto tre bottoni, per accompagnarmi questo e i prossimi inverni. La prima cosa che ho fatto è stata sottoporla al giudizio di mia moglie; esame passato a pieni voti, infatti assolutamente non le piace; la frase testuale è stata: "con quel tessuto sembrerai tuo nonno"; mai ho ricevuto complimento migliore. Da parte mia cercherò di essere all'altezza di tale tessuto, "importante e molto personale" come dice De Paz. Ancora grazie! Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-09-2004 Cod. di rif: 1595 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Orologio da tasca ed altri dettagli - Al sig. Poerio Commenti: Egregio Poerio, forse giungo fuori tempo massimo per la prova, essendo già le ore 17. Vedo comunque che se la cava bene e che annzi in questa iniziazione si sta divertendo. Me ne compiaccio e sono subito a Lei. 1) Le tasche interne non condizionano la linea. A destra va una tasca chiusa da un bottone. La cosa è importante, perché quando il cavalleresco viaggiatore, che si imbarca indossando la giacca, vuole riporla nella cappelliera dell’aereo per qualche tempo, deve sentirsi psicologicamente sicuro che documenti e qualche “cartuscella” che si ha cara non ne escano. E’ questo l’unico caso in cui questo bottone viene utilizzato, ma non è infrequente. 2) Con abito completo, soprattutto in considerazione della preferenza da lei accordata alle camicie con polsini rivoltati e gemelli, è preferibile usare le bretelle e quindi far confezionare i pantaloni senza passanti. Non potrà quindi utilizzarli nemmeno per assicurare la catena dell’orologio. Nel caso di pantaloni ormai già confezionati, quest’ultimo può essere ricoverato in uno dei due taschini del pantalone. Non nella tasca, dove altri corpi lo danneggerebbero entrando in contatto con cassa o quadrante. Dal punto di vista di chi guarda, taschino destro o sinistro è lo stesso. Meglio scegliere d’istinto, senza pensare affatto. Lasciando fare alle mani e non alla testa si avrà il risultato giusto. Dall’altra estremità, l’eventuale catena (se sufficientemente lunga per poi permettere estrazione ed osservazione dell’ora) può finire nella tasca laterale ed essere agganciata al portachiavi, che non si estrae mai durante una serata e può fungere egregiamente da “corpo morto. La catena non è comunque del tutto necessaria, in quanto la sua funzione è di impedire la caduta eventuale dell’orologio ed è quindi un’assicurazione, non una decorazione prevista dal protocollo per chi porti l’orologio da tasca.. Nel caso di un pantalone sartoriale e in quello Suo specifico, dove il capo non è stato ancora confezionato, la soluzione proposta dal sarto è ottima: un taschino interno alla tasca proteggerà il quadrante dal contatto con altri oggetti e le permetterà di tenere l’orologio nella tasca laterale. La catena potrà assicurarla ad un passante, qualora li facesse applicare, o in loro difetto ad un passantino interno, da far cucire dove sia ad una distanza adeguata e permetta una giusta catenaria. In entrambe i casi la catena partirà da una maggiore altezza e sarà più facile osservare l’ora. Il dormiente della catena verrà spinto nel taschino insieme all’orologio, lasciando fuori quel tanto che basta per un effetto gradevole. 3) Faccia fare i risvolti da 5 cm, senza ammettere discussioni sul punto. Ciò vale qui, ora e per Lei. Non si tratta di una legge universale e non vorrei che altri si sentissero incoraggiati alle stesse misure. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-09-2004 Cod. di rif: 1589 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Eroica determinazione Commenti: Egregi Visitatori, lodo incondizionatamente lo stupendo gesso n. 1586 del signor Granata. Laddove è sgradevole al senso comune del politically correct, esso consegue la perfetta dimostrazione di un assunto che non dichiaratamente è sotteso a quest'opera grandiosa e cioè che la verità profonda, il sentirsi bene, è un raggiungimento altamente sovversivo, che l'unica vera novità risede nel comprendere e far propria la tradizione. Non esiste altra vera rivoluzione che quella dell'individuo che giunga a sapere cosa voglia e lo raggiunga. Essere se stessi non può che risultare un'avventura pericolosa e una lotta senza quartiere. Possedere è un risultato banale, accessibile a tutti e spesso più mortificante che gratificante. Aderire alle cose, amarle e comprenderle è invece trasmettere attraverso di esse. E' fonte di ispirazione per se stessi e per gli altri, baluardo alla banalità, eroica resistenza alla moltiplicazione orizzontale in nome di quel risultato definitivo e verticale che da personale diventa automaticamente universale: l'identità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-09-2004 Cod. di rif: 1593 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Modesto suggerimento - Al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, conoscendo la Sua figura ed avendo pratica del tessuto da Lei illustrato, solo in quanto da lei invitato a farlo mi permetto di suggerire nel caso in oggetto un tre bottoni puro. Tasche a piacimento, con una leggera preferenza per quelle a filo, meglio se realizzate all'inglese (con pattina e senza il friso, cosa di più difficile realizzazione - veda appunti da 1045 a 1048). Non condivido infine l'entusiasmo per le giacche sfoderate, che vanno ordinate quando ce ne sia motivo. In questo caso ed ogni volta che sia possibile, mi divertirei con un foderame di alta qualità, morbido e sontuoso a contrastare con l'asciutto rigore delle lane Cheviot. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-09-2004 Cod. di rif: 1599 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Precisione ed espressione - Su Dante De Paz Commenti: Inestimabile Dante, la similitudine cavalleresca e ancor più partecipata rievocazione storica rendono il Tuo contributo ricco di quei significati che sono il vero contenuto dell'abbigliamento vissuto come espressione e non solo come precisione. Per chi non lo sapesse, Dante De Paz è ebreo, praticante come tutti quelli della sua religione, dotto come pochi, grande come nessuno. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-09-2004 Cod. di rif: 1607 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Buone notizie Commenti: Inattaccabili Cavalieri, instancabili Visitatori, ho belle notizie per gli amanti del grande abbigliamento maschile. Domenica 12 Settembre ho partecipato in Giaveno, località collinare non lontano da Torino, ad una cerimonia nuziale il cui gusto, il numero e la qualità degli invitati, lasciavano senza fiato. Non dico delle signore perché non formano oggetto di questo spazio, ma è facile immaginare che fossero all’altezza ed anzi il sigillo stesso della situazione. Erano presenti circa centocinquanta uomini, di cui una sessantina in morning coat e gli altri in abiti “corti”. Tutte le grandi scuole di sartoria erano rappresentate in un carosello di cura, estro e tradizione. Molti dei tight erano di taglio italiano, sagomati e con baveri importanti dai ricchi volumi, ma non mancavano quelli confezionati a Londra. Certamente tra questi, quello di S.E. l’Ambasciatore del Belize, intervenuto con un tre pezzi tutto in tela blu notte (ma non a mezzanotte) in un summer-kid mohair luminoso senza essere brillante, con gilet dal bavero a scialle ed abbottonatura a due petti convergente ad uno, cioè a triangolo. La proporzione perfetta e l’originalità della tinta rendevano questo capo assolutamente notevole. Anche altri, soprattutto tra i giovani e giovanissimi, indossavano tight spezzati con pantalone chiaro e giacca blu. Ben rappresentati i gilet a doppiopetto in lino ecru, nella più perfetta tradizione della cerimonia estiva. Tra gli abiti senza code non pochi avevano preferito il blu, soprattutto nella fascia d’età sino ai quarantacinque anni. Buona presenza di giacche a un petto e mezzo, cioè con baveri a lancia ed abbottonatura singola. Tra questi spiccava un completo a due bottoni in ritorto a tre capi di pieno peso (direi 12/13 once), in tinta blu mare. Ero certo che si trattasse di un tessuto vintage, visto che oggi questo colore non si produce più ed il tre capi si è leggermente alleggerito tra le 9 e le 11 once. Non ho potuto resistere, incontrando il personaggio, a toccarne il braccio per saggiare il peso e la mano del tessuto, che mi ha confermato l’impressione ricevuta all’esame visivo. Nel volgere dell’incontro, durato un attimo, ho giustificato il mio furtivo gesto dicendo: “Un abito meraviglioso”. Come l’avesse preparata, lo sconosciuto Elegante aveva pronta la replica: “Anche Lei”. Chiedo a questo punto una licenza per descrivere il mio abito, a suo modo esemplare. Non ho piacere a parlare né di me stesso, né di centimetri, poiché di questi argomenti il primo può apparire una presuntuosa celebrazione ed il secondo potrebbe far credere che io stesso creda che l’eleganza sia riducibile ad una o infinite formulette. Sull’onda dell’entusiasmo, farò comunque questa pericolosa eccezione. Indossavo un doppiopetto sei bottoni nel più rigoroso stile anni trenta. Vita alta, spaziatura orizzontale dei bottoni da 14 cm e verticale da 13 cm, baveri rettilinei, volumi importanti nel torace e gonna un puntino corta. I pantaloni a due pinces, fermati in vita senza né passanti, né bretelle, si discostavano dal taglio anni trenta per l’ampiezza ridotta rispetto a quella dell’epoca, che oggi giudicheremmo eccessiva. Il fondo, con rivolti da 4,5 cm, era rastremato a 21 cm. Nell’insieme avevo voluto sottolineare la sobrietà cerimoniale con una cravatta taglio a bottiglia in seta a piccoli pied-de-poule alternati blu e bianco, con nodo “Nicki” perfettamente simmetrico effetto “Scappino”, piuttosto piccolo. Il tessuto, scelto direttamente nello stabilimento di Vitale Barberis Canonico tra innumerevoli altri, durante un nostro laboratorio, era un quattro capi grigio matto, con motivo pin-stripe bianco poco leggibile da lontano, sottilissimo e ravvicinato a circa otto mm. Non per vanità, ma per mostrare come ancor oggi sia possibile indossare un capo attuale, eppure nello stile di settanta anni fa, illustrerò questo capo nel Taccuino, avendone ripreso una foto a Torino prima di partire per il matrimonio. Lodo incondizionatamente il gusto della sposa, che aveva scelto le decorazioni, l’incredibile allestimento floreale di stile rinascimentale e ogni dettaglio di un ricevimento sontuoso, tenuto per oltre trecento persone nella villa di famiglia. Era stato allestito un gazebo illuminato a giorno da candelabri-centrotavola a otto braccia realizzati per l’occasione, il cui motivo era ripetuto anche da altri, a piantana, disseminati nel giardino, perché una volta calata la sera, avventurandosi dopo la piscina verso la macchia che nascondeva l’immensa struttura pavimentata in legno, nessuna luce elettrica guastasse l’atmosfera. Lo sposo, di antica famiglia patrizia e tra gli uomini più eleganti che conosca, aveva evidentemente raccolto nel corso dei suoi circa quarantadue anni una spontanea selezione di appassionati dell’abbigliamento. Intervenendo da Francia, Svizzera e Italia, i suoi ospiti hanno dato vita ad una passerella in cui l’evidente competizione tra gentiluomini non inquinava ed anzi giustificava il gioco individuale della ricerca che aveva condotto ciascuno a vestire così brillantemente. Sono restato così edificato dallo spettacolo che ho voluto confortare tutti coloro che leggeranno questo gesso, partecipando loro un’esperienza che dimostra come la virtù della cura, la scienza del dettaglio, la passione per l’armonia, la frequentazione dei linguaggi sofisticati dei materiali e delle proporzioni, non sono lettera morta. La coltivazione dei linguaggi del vestire è anzi un’attività spirituale, i cui risultati sono certamente una crescita per l’individuo anche nel silenzio della semplice gratificazione personale, ma che, esibiti nel luogo giusto, portano ciò che alcuni chiameranno vanità ad un livello commovente di celebrazione umana e civile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-09-2004 Cod. di rif: 1610 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il doppiopetto del Gran Maestro - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti mi stupisce, anzi no, mi lusinga una richiesta di approfondimento iconografico su una giacca palesemente fuori dal Suo stile di riferimento. Grosso modo, potremmo dire che la sua linea vuole esprimere lo spessore della dignità, mentre quello che Lei ama è la leggerezza della disinvoltura. Da uomo di gusto qual è, non ha potuto non rendersi conto comunque che quello che indosso è un autentico capolavoro, ancorché una mia fissità da attaccapanni e il colorito da stoccafisso non lo aiutino molto. Credo che quello che si vede, cioè praticamente la silouette, sia sufficiente a comprendere la linea del capo e la sua unicità, ma capisco che quando una cosa interessi non se ne abbia mai abbastanza e quindi esaudirò, seppur privatamente, il Suo desiderio. Affrontare in modo esauriente l'argomento sarebbe comunque prematuro. Purtroppo siamo solo ai primi anni di attività, mentre la comprensione dei punti che rendono un abito come quello illustrato riuscito e difficilmente imitabile richiedono ancora molto approfondimento. Si dovrà parlare della costruzione della giacca e del pantalone entrando nei minimi dettagli e nelle lavorazioni desuete, ignote a molti artigiani attuali. E anch’io dovrò capire ancora parecchio, prima di poter rivelare con certezza ed eloquenza come il sarto e il pantalonaio abbiano potuto ritrovare la linea che avevo chiesto loro: la corrispondenza armonica dei volumi e la sensazione di un peso che si avverta e che allo stesso tempo non gravi in alcun modo e in alcun punto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 15-09-2004 Cod. di rif: 1612 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Il Doppiopetto del Gran Maestro Commenti: Gentilissimo Gran Maestro, credo che la cosa sia ormai di interesse pubblico. Mi accodo alle richieste. In particolare vorrei ammirare da vicino i revere a lancia. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-09-2004 Cod. di rif: 1614 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le piste nere Commenti: Egregio Pugliatti e non meno preclari Granata e Carnà, l'interesse così entusiasticamente dimostrato per un abito che in realtà mostra una tappa di un percorso caparbiamente seguito in anni di studio, analisi, innamoramenti, delusioni, errori e faticosi passi in una direzione che ho sempre ritenuto quella giusta, ebbene tanta passione merita che io vinca ogni ritrosia e ne pubblichi qualche altra foto. Saranno più dettagliate, più chiare, ma non più eloquenti, perché quello che conta è lo stile, la linea, le quali vengono percepite dalla silouette e non dai dettagli. Per questo avevo fatto in modo che, come in quella foto dei Tacciuini dove apparivo con l'ombrello a spillo, si vedesse solo quello che si vede in un disegno e non di più. Avrò bisogno di un giorno o due, ma vedrete presto comparire qualche altra immagine, anche dei pantaloni. Purtroppo come modello non sono gran cosa, ma poiché l'abito è stato costruito per una sola persona, nessun'altra potrebbe indossarlo. A Pugliatti rispondo che il doppiopetto è stato confezionato a Napoli, da sartoria di mia antica fiducia, al cui avviamento ho non poco contribuito inviandole i migliori clienti. Non ne ho mai parlato, perché si tratta di una piccola realtà, non capace di soddisfare le esigenze del cliente che aspiri ad un servizio ineccepibile. Le sue giacche non sono tutte dello stesso livello, ma è certo capace di cucire ad un'altezza dove pochi al mondo possono giungere. Tanta incostanza non può essere consigliata a chi non abbia già dimestichezza con la sartoria e pertanto, per le delusioni che ciò può comportare, ho sempre preferito nominare quelle che sono più regolari ed il cui risultato sia quindi prevedibile. Scendere sulle piste non tracciate non è per tutti gli sciatori ed inviare i neofiti sulle piste nere è una responsabilità che non ci si può assumere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 16-09-2004 Cod. di rif: 1616 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Al Signor Poerio - Ancora sul due bottoni Commenti: Egregi Cavalieri, siccome gli argomenti e le opinioni sedimentano lentamente dentro di me, mi permetto di intervenire su due argomenti passati su questa Lavagna. Al Signor Poerio. Sono anche io alla prima esperienza sartoriale; capisco benissimo e condivido, quindi, tutti i dubbi, le perplessità, ed anche le angoscie; ma ho capito, almeno credo, una cosa: il proprio abito lo si costruisce nel tempo, con l'esperienza e l'assiduità; è un lavoro che continua nel tempo, nel quale l'ultima abito è la summa di quelli che l'hanno preceduto: infatti mi sono convinto che l'ultimo abito è il punto di partenza per il prossimo - fatto sta quindi che sul "primo" abito si possa in realtà intervenire poco; almeno questo è il modo in cui io lo sto vivendo, in questo momento. E credo che sia questo che rende l'abito sartoriale qualcosa di veramente diverso dal confezionato: cioè esso è un fatto culturale, che cresce e si sedimenta nel tempo, nel senso proprio del "coltivare". Il monopetto due bottoni. In realtà mi sono molto guardato in giro, questi giorni, e vedo parecchi monopetto due bottoni; quello che non vedo è il doppiopetto. C'è forse una difficolta, a livello di lavorazione industriale, a confezionare questo capo? Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-09-2004 Cod. di rif: 1626 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La Tavola delle Pieghe - Al sig. Poerio Commenti: Egregio Poerio, alla seconda prova l'avevo lasciato da solo, perché gustasse in pace l'amaro calice della delusione e della paura, giungendo poi con le proprie forze alla soddisfazione della consegna. Vediamo un pò. Quanto alle maniche, L'avevo avvertita che al primo vestito sarebbe stato difficile averle abbastanza corte. Rilegga in proposito il gesso n. 1495. Non dovrebbero esserci problemi a sistemarle in modo che lascino intravedere una striscia di polsino dell'altezza a Lei gradita. Alla prossima occasione, visto che La vedo poco soddisfatto della linea generale delle maniche, provi a farle prima assottigliare solo nella parte terminale. Le pieghe alle scapole, quelle verticali, sono necessarie al movimento. E' vero, possono disporsi in diversi modi ed essere quindi più o meno gradevoli, ma hanno un ruolo importante nel movimento orizzontale delle braccia. La piega sotto il collo dipende probabilmente da un piccolo eccesso di montatura e deve essere recuperata. Ricordi il semplice principio istituito nella Tavola delle Pieghe: Nel capo-spalla le pieghe verticali sono errori perdonabili se non - come spesso accade - dispositivi desiderabili. Le pieghe diagonali o orizzontali se va bene sono errori, se va male disastri. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-09-2004 Cod. di rif: 1630 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le due pieghe porteriori - Risposta al gesso n. 1627 Commenti: Egregio Poerio, in genere le giacche di sartoria, proprio per essere su-misura, hanno le spalle più "misurate", cioè più aderenti alla realtà individuale del fisico. La confezione usa maggiori ampiezze, in qualche modo "appendendo" i quarti posteriori ad un paio di spalle larghe, a loro volta sorrette da imbottiture. In questo modo, la parte posteriore appare spesso senza pieghe verticali, ma essendo più ampia del necessario consente comunque i movimenti del braccio. L'attaccatura del giro, la spalla e la caduta della manica in sartoria sono più aderenti e quindi cedono meno. La sartoria napoletana, che prevede un'attaccatura manica molto ridotta in tutti i parametri, avrà una particolare necessità di quelle due pieghe, dove in effetti si arccoglie una quantità di tessuto sufficiente all'articolazione. Nella sartoria internazionale, dove la spalla aggetta un pò di più, il fenomeno si riduce, ma mai quanto nella confezione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-09-2004 Cod. di rif: 1636 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualche riga sul Solaro Commenti: Egregio Poerio, se cerca la parola solaro coi sistemi di ricerca della Lavagna e del Taccuino troverà già qualche commento in merito. Riporto inoltre la descrizione che ne feci per la quinta puntata del Vestirsi Uomo: 8 – SOLARO – E’ un esempio di come il linguaggio dei tessuti assorba significati che vanno al di là dell’aspetto estetico. A dispetto della superficie cangiante, le origini militari e gli stessi uomini che l’hanno indossato hanno fatto col tempo del Solaro uno dei tessuti più composti, il paradigma di un understate estremamente intellettuale. Da professori in su. Ciò premesso, rispondo alla Sua breve raffica finale: 1) Un abito in solaro è da considerarsi formale, oppure meno impegnativo rispetto ad altri? Il solaro è al confine tra "formale" e "informale", spostandosi da un lato o dall'altro secondo la situazione e le abitudini di chi lo indossa. Certamente non tocca l'area dello "sportivo" ed è comunque un materiale molto impegnativo per la tradizione, la scarsa diffusione e l'abitudine a vederlo solo indosso a cultori dell'abbigliamento con molta esperienza. 2) Che tipo di eleganza esprime? I tessuti, i capi o altri accessori non esprimono eleganza di per se stessi, ma significati. L'uomo che utilizza i linguaggi del vestire può giungere con la sensibilità e la storia personale all'eloquenza elegante, ma essa non risiede negli strumenti più di quanto la chirurgia non sia contenuta in un bisturi. Capisco quel che vuole dire, ma è bene abituarsi ad usare questa parola poco ed a proposito. Il Solaro esprime rigore, cosa confermata dal fatto che non può confezionarsi se non in abito intero. Esprime dignità attraverso la voce segreta della sua storia militare e civile, ma il suo aspetto cangiante aggiunge a queste corde gravi quella più sonora dell'estroversione, della disponibilità al nuovo. E' abito per chi è capace di concentrarsi molto, anche un'intera vita, su uno scopo in cui crede. Tessuto di chi sa soffrire e godere con misura, ma conosce gli eccessi. Di chi sa apprezzare la conversazione, ma di essa comprende e pratica anche il lato più difficile: tacere. 3) Quale sarebbe il suo "uso" più appropriato? Non ci possono essere dubbi, il Solaro è tessuto con una naturale inclinazione alla mattina. Ce lo dice lui stesso, con il suo titolo ed il suo marchio. Questo, come si vede nella piccola illustrazione che troverà nel Taccuino, è illustrato con l'astro virile per eccellenza: il sole. Il suo terreno saranno le situazioni di lavoro, ancor meglio se non troppo cariche di tensioni. Per questo è abito da professori o professionisti, più che da manager o lottatori della politica e della finanza. Come immagine è indicato anche per viaggio, ma è da preferire solo in situazioni climatiche prevedibili come stabili e piuttosto confortevoli. La miscela di lana è cotone non facilita infatti l'adeguamento a forti escursioni termiche. Sinceramente, credo che possa essere un alleato anche in situazioni galanti, ma solo dove non sia un danno dare una sensazione di affidabilità preponderante su quella di imprevedibilità. Passo la parola a Dante De Paz perché inserisca il Solaro nel dizionarietto e magari aggiunga un commento teorico. Egli conosce ed ama questi tessuti di grande contenuto ed è tra i pochi che possa parlarne con competenza superiore alla mia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-09-2004 Cod. di rif: 1643 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una scelta sicura - Al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, la Sua struttura fisica e morale, la confidenza che ha già con i rigati, il gusto per i colori del bosco, la necessità di un completo semiformale da mezza stagione, tutto converge in una scelta che non mi sembra lasci spazio a dubbi: ciò che Le occorre adesso è un due pezzi fondo bruno, tra la nocciola e la castagna, su cui farei cadere una riga color del cielo. Se lo trova, il materiale potrebbe essere un ritorto armato a tela, come li faceva Gagniere. Come altrenativa, validissima e leggermente più formale in quanto più lucida, una saglia. Pesantezza sulle 11/12 once. Ci vediamo domani sera all'Adunanza Bolognese in palazzo Isolani. Indosserò quel famoso doppiopetto di cui ho promesso di pubblicare altre immagini. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Chiusa Data: 30-09-2004 Cod. di rif: 1645 E-mail: gianluca.chiusa@abcz.biz Oggetto: Impunture Commenti: Nobile Gran Maestro, sulla scia del Cav. Villa subentro nel Vs carteggio con un quesito. Il Maestro Parmelli mi sta confezionando un due pezzi in un rusticissimo crossbred grigio che con l'amico Cav. Villa avevamo inserito nel caveau del Maestro (caveau contenente tessuti vintage che apprezziamo, fortuna nostra, solo noi due...).Le tasche sono a toppa,lo spacco è doppio. Il dubbio riguarda le impunture. Il Maestro le ha effettuate in filo di seta nero, tuttavia data la grana del tessuto risultano quasi invisibili. Mi ha proposto di doppiare il filo, risulteranno forse troppo "pesanti"?Esistono soluzioni alternative? RingraziandoLa per l'attenzione ed i preziosi consigli, Le porgo cavallereschi saluti Gianluca Chiusa ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-09-2004 Cod. di rif: 1646 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non si faccia rubare la scena - Allo scudiero Chiusa Commenti: Egregio Chiusa, credo che su un abito con tasche a toppa il gran numero di impunture, generosamente proposte dal maestro Parmelli, andrebbero ad appesantire il capo, rendendo chiassosi i sottili significati virili del tessuto da Lei scelto. Direi quindi di lasciare le cose come stanno: l'abito in tal modo non le ruberà la scena. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-10-2004 Cod. di rif: 1652 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ci siamo Commenti: Signori, ci siamo. Arricchiti di testi ed immagini, per farsi perdonare il ritardo, sono stati sistemati nell'area degli Eventi gli Atti e Fatti del convegno veneziano per la fondazione della Guardiania di questa Porta dell'Abbigliamento. Che dire? Siamo in attesa che il Rettore nomini i suoi collaboratori ed affidi i relativi incarichi. La Porta non aprirà in un sol colpo come quella della Gola, ma quasi certamente verrà "montata" pezzo per pezzo, partendo dalla sistemazione dei materiali già prodotti (come quelli per il Classico Internazionale) e dalla Biblioteca. Cavallerescamente Il Gran Maestro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-10-2004 Cod. di rif: 1654 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un paio di errori - Al prof. Barone Commenti: Illuminato Professore, proprio prima di leggere questo Suo gesso, scorrendo il testo del Verbale mi accorgevo del refuso. Verrà corretto domani, come anche accadrà per i materiali del Laboratorio di Eleganza, che per errore sono stati attribuiti all'Adunanza Provinciale. Per il momento farò staccare il link e domani, come prima cosa, verranno sistemati al loro posto tra gli Atti e Fatti del ciclo. Conosciamo il Suo valore e teniamo presente la Sua disponibilità. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-10-2004 Cod. di rif: 1659 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Londra, l'ultima Atene - Al sig. Albricci Commenti: Egregio signor Albricci, lo stile di vita occidentale ha avuto negli ultimi venticinque secoli poche capitali, intese come centri di irradiazione culturale che hanno concentrato in se il magistero universale sul bene e sul male. Siamo tutti nati ad Atene ai tempi delle città Stato ed abbiamo imparato allora a sopportare la democrazia come il minore dei mali possibili, a considerare il valore personale come un dato eroico che ha comunque un limite da un lato negli dei e dall'altro nella collettività le cui leggi sono espresse nell'ordinamento giuridico e politico. Roma ha eplorato in un'avventura di proporzioni epiche tutte le possibilità fisiche e psichiche, rivelandoci la grandezza dei piaceri umani dall'arte al potere, dal pensiero puro all'arena. Firenze, in una breve stagione, portò con l'umanesimo la nostra razza a quel ruolo centrale che era stato annunciato dai profeti, ma aveva bisogno di una dimostrazione laica credibile, potente, oggettivamente dimostrata al di fuori della speculazione. Le ghigliottine e le ciprie di Parigi fecero in modo che la parola libertà, sino ad allora appena sussurrata o a stento pensata da generazioni di servi di privilegi altrui, si potesse prima gridare e poi dare per scontata come indiscutibile premessa di ogni attività pubblica o privata. Forse l'ultima nostra capitale fu la Londra imperiale, che mostrò un orgoglio al riparo dalla ubris blasfema, dalla conquista pura, contenuto da un sentimento di civiltà e cittadinanza che porta il rispetto all'estrema conseguenza del silenzio. Anche se la globalizzazione oscura gli esempi difficili e ce ne propone di sempre più raggiungibili, riferirsi allo stile inglese è cosa naturale per chi abbia senso della tradizione e dei valori. Fu infatti a Londra che essi furono visti per l'ultima volta e da lì dobbiamo partire per rintracciarli, come farebbe un investigatore. Anche se dai massimi sistemi passiamo alle tipologie, fogge, materiali e nomi dell'abbigliamento, ci accorgiamo che molte delle parti dove poggiamo i piedi portano la scritta Made in England. Detto questo, tutto appare messo al suo posto. Rifarsi allo stile inglese richiede una comprensione innanzitutto della sua cifra silenziosa, dove ogni bellezza è subordinata alla tradizione ed alla situazione e se lasciata libera viene valutata come un sentimentalismo bizzarro, effeminato, scostumato. Un gentiluomo non può essere elegante se non è proper, il che significa che non può essere elegante se lo vuole essere, perché non è la volontà quanto la disciplina, sapientemente seguita e interpretata, il veicolo con cui essa viaggia. Immagino che risieda in questa adesione all'understate il Suo amore per la lezione inglese e tutti dovremmo tenerla sempre presente, in quanto in qualche modo essa ancora alberga nei segreti meccanismi che una cosa ci fanno ammirare ed un'altra considerare grezza. Attualmente l'Italia, o meglio ancora Napoli, fa la parte del leone e Londra è in parte morta e in parte lottizzata. Come paese produttore o artigiano conta sempre meno ed è difficile pensare che possa cambiare. Quello che fa è spesso ancora il meglio, ma un meglio riconoscibile da pochi estremisti, appassionati e conoscitori che non escono certo sulle copertine delle riviste. Resta la patria di un modo di immaginare l'uomo e in cui l'uomo immagina il mondo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-10-2004 Cod. di rif: 1662 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Stile inglese e foggia inglese Commenti: Egregio Albricci e mai troppo lodato Pugliatti, non v'è motivo per rinunciare ai nostri sarti o al nostro stile. Importare oggi quello inglese sarebbe come tornare da Cuba con semi di tabacco. L'epoca dei pionieri è finita e la lezione inglese è già nella fibra intima della nostra sartoria come il patrimonio genetico del tabacco cubano è in tutti quelli da sigaro. Quello che si propone è già stato fatto cento anni fa e poi ripetuto fino alla nausea. Non dobbiamo mostrare il modello inglese al sarto, ma a noi stessi. Se le troppe impunture invise all'Albricci si ritengono superflue, si facciano eliminare. Lo stile inglese va considerato come uno stato mentale, non come una misura tecnica. Sarebbe il caso anzi di fare una distinzione linguistica che elimini la confusione tra stile inteso come modello culturale ed estetico e stile inteso come somma delle caratteristiche e dei materiali dell'abbigliamento. Se chiamiamo stile il primo, che come concetto è eterno, faremmo meglio a dare un altro nome al secondo, che è contingente in quanto calato nella storia. Lo stile inglese attuale non è infatti meno "regionale" di quello napoletano e lo si può notare dalle immagini dei taccuini n. 73 e 74, prese a Savile Row. Naturalmente resta molto della tradizione, ma una clientela internazionale che se esiste è mediamente priva di profilo morale, sta saccheggiandola da tempo. Anche Roma cadde così, ma noi non facciamo come quei barbari e non portiamoci a casa un pezzetto di Colosseo. Risaliamo all'origine concettuale dello stile inglese e facciamolo nostro. Chiamiamo "foggia inglese" la sua modellistica e iniziamo a studiarne la storia e l'evoluzione, ma se lo abbiamo compreso lo rispetteremo tanto da non imitarlo pedissequamente. A quel punto vestire in Italia non sarà una condanna come per quel cliente che vada in giro con un modello inglese pensando: "Ah, vorrei essere a Londra, ma posso permettermi solo Napoli o Terni". Rispettandone i princìpi concettuali e le premesse formali, egli possiederà non solo Londra, ma tutto il suo impero, cosa che non accadrebbe per il solo fatto di modificare l'altezza del taschino. Non è escluso che si faccia qualche sforzo per recuperare o creare qualche disegno o qualche immagine della modellistica inglese, ma per pura ricerca. Quanto alla domanda sulle manifatture inglesi, dirò che negli studi per la redazione dell'ultimo pezzo su MONSIEUR, quello su Holland & Sherry che è anche stato segnalato nel Florilegio del castello, ho potuto verificare che sino alla fine degli anni cinquanta nella sola Scozia figuravano 91 "mills" o lanifici. Attualmente ne sono attivi quattro. Nei taccuini abbiamo anche visto la produzione di un sarto di Savile Row, ma Molti marchi inglesi, come Swayne Adeney Briggs, hanno venduto. Per invertire questa tendenza, più che portarsi via i bachi da seta nel bastone come all'epoca di Marco Polo, bisogna andare da quel che resta del Gran Khan a rendergli omaggio. Sostenere la riproduzione dello stile inglese attraverso i suoi materiali originari significa comprare inglese, come per sostenere la tradizione italiana occorre comprare italiano. Alcuni diranno che alcuni prodotti di foggia inglese sono realizzati in Italia ed è vero, ma questo non cambia nulla ed anzi arricchisce entrambe gli scenari. Vorrei sul punto sentire il parere di un esperto e frequentatore del mondo inglese come Dante De Paz, cui passo la palla. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-10-2004 Cod. di rif: 1664 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Foggia e Stile, nuove definizioni - A Franco Forni Commenti: Caro Franco, il problema delle definizioni è centrale in qualsiasi lavoro. Individuati i concetti, bisogna dal loro un nome. Ciò evita discussioni tra persone che dicono la stessa cosa con nomi diversi e riescono quindi ad essere in diaccordo pur pensandola alla stessa maniera. Inoltre permette di andare avanti, perché una definizione è uno strumento efficacissimo di studio. Essa permette di trasmettere una situazione complessa senza ricominciare ogni volta da capo il balletto delle domande e risposte per capirsi. Pochi ricorderanno che la definizione della differenza tra su-ordinazione e su-misura, oggi sempre più diffusa nel linguaggio comune, nacque nei primi giorni di esistenza di questa stessa Lavagna. Proponevo ora di distinguere la "foggia" dallo "stile", cosa che come tu dici può aver valore anche al di fuori dell'area inglese. La prima è composta da dati pratici, autonomi e interni all'oggetto: modello, taglio e linea. Il secondo si compone di dati spirituali, relativi al modo in cui il soggetto vede e si relaziona con l'oggetto: abbinamento alla situazione, abbinamento dei colori e dei motivi, scelta del modello e degli accessori, durata. A cavallo tra i due mondi vi sono i materiali, che sono portatori di contenuti pratici e teorici nella stessa misura. Qualora si accetti questa definizione, si potrebbe correttamente individuare qualche situazione che senza questi strumenti resta taciuta. Immaginiamo una giacca cucita a Londra, nella più rinomata sartoria. Qualora essa venga utilizzata fuori dal contesto che la tradizione le assegna e/o abbinata con accessori di pura fantasia, potremo dire che si tratta di una giacca di foggia inglese, ma potremo evitare di dire la corbelleria che chi la indossa ha uno stile inglese. Ovviamente può accadere anche il contrario. L'individuazione, lo studio e la creazione di un sistema linguistico di trasmissione di situazioni sempre più complesse, è lo scopo più nobile della ricerca che qui si attua. Naturalmente, altri interventi sull'argomento "foggia e stile" potrebbero correggere la sintonia fine, arricchire la definizione e favorire la comprensione, l'assimilazione e la condivisione dei concetti espressi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-10-2004 Cod. di rif: 1666 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Che siano gli archetipi? - Al cav. carnà Commenti: Stimatissimo cavaliere Carnà, io intendevo solo solo dire che la riproduzione della foggia senza l'assimilazione dello stile non conferisce i significati voluti. Se metto l'aggettivo prima del sostantivo come nella sintassi inglese, ma dico con parole italiane "Desidererei un nero ombrello", non per questo aiuterò il commesso londinese di Briggs a capirmi. Sinceramente credo che un italiano possa ben vestire all'inglese e farlo anche in Italia. Lei conosce il nostro decano. Nel guardaroba ha solo abiti di Mario Caraceni, eppure il suo portamento, l'assenza di ogni compiacimento, la durata imposta ad ogni capo attraverso prima la scelta e poi la cura, l'abbinamento a pochissimi accessori poco evidenti, la scelta della cravatta secondo un codice classico estremamente poco conosciuto (stampati a disegni più grandi per gli spezzati e piccoli per i completi, lane per i tessuti sportivi pesanti, reps per il blazer e tinto in filo "grisaille" per la sera), ma infine e soprattutto la leggibilità del suo profilo stilistico solo sul lungo periodo, rifiutata nei linguaggi estetici ogni comunicazione rapida e concitata, ebbene, anche attraverso abiti e cappotti fatti a Milano, il nostro è senz'altro un interprete dello stile inglese, anche quando la foggia del suo abito è più internazionale che inglese. Questa differenza tra foggia e stile è un pò quella tra forma e contenuto, tra fatto e linguaggio, tra materia e spirito. Questo ulteriore passaggio ci fa capire che essi sono allo stesso tempo legati e indipendenti come corpo e anima e certamente entrambe allo stesso modo importanti. Poiché la costruzione dell'intero universo è basata su un principio binario (pieno/vuoto, essere/non essere, etc), mi viene da pensare che forse, con questa analisi terminologica, siamo andati involontariamente vicini a toccare i due archetipi fondamentali: lo yin e lo yang dell'abbigliamento. Attendo commenti in merito. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-10-2004 Cod. di rif: 1668 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora su Foggia e Stile Commenti: Eccellentissimi cavalieri e Visitatori, l'entusiasmo del cavalieri Forni, non facile da suscitare, mi ha spinto a riflettere ulteriormente sulle nuove definizioni di Foggia e Stile. Le scrivo con la maiuscola per suggerire il significato proprio che hanno in questo contesto e passerei a sviluppare le conseguenze di alcune considerazioni già fatte. La Foggia è definizione dell'oggetto, mentre lo Stile del soggetto. La prima descrive la relazione tra oggetto e oggetto, ad esempio tra una giacca ed altre giacche. Con il criterio espresso, una giacca si può descrivere e distinguere dalle altre per la sua foggia tirolese o americana. Il secondo è invece un attributo della persona umana e descrive la relazione tra soggetto e soggetto e tra soggetto e oggetto. Ci dice insomma qualcosa sulla personalità di un individuo, sui suoi cardini morali ed estetici, ci descrive un'atmosfera, un tracciato storico e morale che è stato preso come riferimento. E'l'Uomo ad avere lo Stile, non il suo abito. Non sono ancora ben chiare le conseguenze di queste definizioni, ma in linea generale va tenuto presente che aver potuto vagamente distinguere forma e contenuto non significa che i due principi siano per questo separabili. Le necessità scientifiche di una descrizione dei fenomeni ci rendono necessarie le definizioni, ma non dobbiamo innamorarcene al punto da credere che la cosa, perché definita, assuma caratteristiche lontane dalla sua natura e quindi, in questo caso, che divenga indipendente ciò che è indissolubilmente legato al suo reciproco. Sarebbe interessante poter leggere i contibuti di altri su questa distinzione, che potrebbe rivelarsi una scoperta epistemologica di grande utilità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-10-2004 Cod. di rif: 1670 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La ricerca continua - Al sig. Poerio Commenti: Egregio Poerio, eccellente tracciato il Suo. Mi dimostra però che abbiamo ancora molta acqua da navigare. Vedo infatti che l'avulsione del concetto di Foggia da quello di Stile è già chiara, come fosse sempre esistita. Il modo con cui pensiamo allo Stile resta però ancora una nebulosa indistinta ed è necessario puntare i nostri telescopi in questa direzione, allo scopo di individuare i principali sistemi e, dato loro un nome, comprendere le leggi del loro movimento. Lo Stile è senz'altro attributo del soggetto, che può essere singolo o collettivo. Una nazione ha uno stile, una società ha uno stile, anche un ristorante ha uno stile,. Potremmo dire che la nebulosa gassosa di cui dicevamo ha originato alcuni corpi celesti organizzati in sistemi rotanti intorno ad una stella. Così possiamo parlare di uno stile giapponese o inglese o americano, perché tutti riconosciamo dei canoni-base che, pur non essendo verbalizzati e canonizzati, sono stati precocemente e profondamente calati nell'inconscio valutante attraverso l'educazione e la frequentazione della cultura, sia quella raffinata che quella di massa. A prescindere da questi Stili di riferimento, che si definiscono sempre con un aggettivo (appunto stile inglese, francese, etc.) ciascuno ha poi il proprio Stile personale e come abbiamo visto possono averlo anche entità pluripersonali. Nei miei lavori sulle gradazioni estetiche ho dedicato attenzione a tanti termini, ma poca allo Stile ed alla Classe. Credo sia giunto il momento, con l'aiuto di tutti, di affrontare questo mare e attraversarlo. Nuove scoperte ci attendono. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-10-2004 Cod. di rif: 1673 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Benevuto al Rettore Commenti: Sommo Rettore, benvenuto nella Tua nuova dignità. Il nostro Consiglio non poteva individuare persona migliore per il compito che vai ad assumere. Non solo per i meriti e quindi per quello che hai già fatto, ma per la volontà di fare ancora e per la lucidità ed originalità della tua visione dell'argomento. Come Gran Maestro la mia influenza si esercita in modo diffuso, ma d'ora in poi nelle scelte operative riconoscerò in questo luogo l'autorità rettorile e come responsabile dell'Associazione disporrò che vi si esegua la tua volontà. Altri Rettori ed altri Gran Maestri verranno dopo di noi. Tanto più avanti e tanto più in profondità potranno spingersi, quanto più duratura ed efficace sarà la struttura che noi forniremo ai nostri successori ed alle generazioni future di Visitatori e Cavalieri. La scelta della Redazione e la definizione del progetto generale della Porta, relativamente al quale ho a lungo esposto a Venezia il mio punto di vista, sono essenziali. Non dubito che le tue scelte saranno illuminate e ti auguro buon lavoro. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 14-10-2004 Cod. di rif: 1682 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Pince Giacca Commenti: Egregi Cavalieri, nell'ultima visita presso il mio Maestro Sarto, mi è stato proposto di terminare la pince posteriore della giacca sulla tasca, in opposizione alla classica pince che attraversa completamente la tasca per terminare assieme alla giacca. Secondo il mio sarto questa costruzione obbliga ad un taglio diverso della giacca, più "sartoriale", in quanto si distingue maggiormente dal confezionato. Ho deciso di continuare con questo tipo di costruzione, ma ero curioso di sapere di più di questa soluzione e se altri la adottano; vedo per esempio che le giacche napoletane usano spesso questa costruzione, affiancancola però con un allungamento della pince anteriore; una firma particolare che rende la giacca in qualche modo, mi pare, più vistosa. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2004 Cod. di rif: 1684 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Volumi mimetici - Al signor Granata Commenti: Egregio Granata, la pince anteriore lunga è molto diffusa nella sartoria partenopea, che la abbina ad una pince posteriore corta e obliqua, che termina nella tasca. Questa soluzione permette uno straordinario controlo della parte anteriore, della sua inclinazione, dimensione e proporzione. La scuola napoletana cerca infatti di produrre una giacca che sia grande dentro e piccola fuori, con volumi mimetizzati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2004 Cod. di rif: 1685 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Decalogo in camiceria - Al sig. Poerio Commenti: Egregio Poerio, riassumo i punti chiave da tener presenti nell'ordinare una camicia: 1)Scegliere la forma del collo e dei polsi e continuare sceglierla, provando e riprovando, per tutta la vita o almeno per alcuni lustri. Lei ha già cominciato a individuare una Sua strada, bene. 2) Quanto al collo, operare la scelta tra interno incollato e libero, tra lastra d'acciaio e duna di sabbia. E' una posizione filosofica, che attiene all'immagine che si ha e che si vuole trasmettere di se stessi. 3) A meno di un amore specifico per questo dettaglio, eliminare il "cannolo" anteriore. 4) I punti che devono essere realizzati a mano sono: asola, cucitura dei bottoni, ribattitura al giro manica. Facoltativi: attaccatura del collo, mosca alla giunzione inferiore tra davanti e dietro, travetti all'apertura della manica. Da evitare che sia fatta a mano qualsiasi impuntura del tipo in uso nella sartoria. 5) Stabilire una linea tra queste tre: attillata, sagomata, ampia. La prima si tende sia in alto che in basso, la seconda si tende solo in alto, dove si apre la giacca, la terza non si tende affatto. 6) Decidere come distribuire l'ampiezza posteriore nel carré: con due riprese laterali, con grinze diffuse o con cannolo centrale. 7) La camicia deve essere lunga, molto lunga, ancora un pò più lunga. Basta così. Prima o poi deve finire, ma che finisca tonda. 8) Non avere altro bottone che in madreperla, ma fare attenzione alle dimensioni e spessore, che comportano grandi cambiamenti nell'impatto finale. Non trascurare nessuna possibilità. Qui l'immaginazione va lasciata libera: largo e piatto, alto e carnoso, non per forza sempre lo stesso. Si ricordi che un bottone cucito a croce è più bello, uno cucito a giglio è più dichiaratamente artigianale, uno cucito a binario è più sobrio. 9) La circonferenza del polsino non deve lasciar passare un ETR 500, ma solo il polso. Qualunque dimensione che permetta il passaggio della mano, anche forzata, è eccessiva. 10) Da sapere: come linguaggio, il polsino che termina arrotondato è più estetizzante, quello a spigolo è più performante. Basta così, per ora. Ulteriori dettagli e considerazioni sono per gli stadi successivi e potrebbero solo confonderLa. Questo è il decalogo dal quale partire. Subito si staccherà da esso e si convincerà di poter cambiare il mondo, ma poi ci tornerà ad evoluzione compiuta. Rilegga il mio gesso n. 1028, che l'aiuterà a capire a che punto è e cosa l'aspetta. Quanto allo spazio tra nodo e collo, esso è in un uomo un difetto ben peggiore della gobba e della zoppia, ma non dipende d quello che Lei crede. Lo spazio tra le due vele del collo, detto spazio-cravatta, non etermina di per se stesso il problema ed anzi ha uno scopo preciso e nobile: quello di evitare che le vele stesse vadano ad interferire con la sagoma di un nodo piuttosto grosso. Lo studio di molte foto ha permesso di individuare che questo spazio-cravatta, in genere usato con colli piuttosto flosci, era utilizzato da uomini del calibro del Duca (seguono due righe di silenzio) anche coi colli normali, non button-down. Eppure il Nostro (altre due righe di rispetto) non lasciava certo alcuno spazio tra collo e nodo. Il problema è quindi altrove: nella qualità della cravatta, innanzitutto, nell'eccessiva altezza della pistagna rispetto al nodo in uso e iinfine nel modo in cui chiude il bottone, che a volte lascia un lembo ribelle che tende a spingere fuori il nodo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 14-10-2004 Cod. di rif: 1686 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Sulla camicia Commenti: Egregi Signori, intervengo su questo argomento in quanto sono stato proprio l'altro ieri da una nuova camiciaia a Milano per prendere le misure. Sono stato indirizzato verso questo laboratorio, della signora Rita Masuri, da Clerici di Milano (negozio di via Dante). Apro una parentesi: devo un ringraziamento al Signor Pancotti (frequentatore di queste lavagne) che mi ha suggerito Clerici per i tessuti da camicia, il quale possiede anche una lista delle migliori camiciaie di Milano. Chiudo la parentesi. Ho visto i lavori della camiciaia e sono ottimi, tutto cucito a mano, colletto e polsini cuciti. Mi ha fatto vedere i cartamodelli dei clienti, che lei stessa realizza. Tutto magnifico: però imporre le proprie scelte è una lotta; l'altezza del collo "dipende dalla struttura della persona etc."; così l'ampiezza della camicia e altri particolari. Tutto vero, ma io voglio intervenire proprio su questi particolari; provando e riprovando. Per la prima camicia le prove saranno diverse, probabilmente più di due, e al prossimo inconro comporremo il cartamodello del collo. Sarà una vera battaglia. Per completezza di informazione aggiungo che la camicia costerà €65, tessuto a parte. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 15-10-2004 Cod. di rif: 1689 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Commenti: Gentilissimo Signor Carnà, naturalmente sottoscrivo in pieno le sue parole. Proprio nella mia visita dell'altro giorno presso la camiciaia, questa mi ha confermato che molti le chiedono esplicitamente di incollare il colletto! Cosa che lei fa' di malavoglia. Io credo che in questi casi ci sia lo zampino della moglie. Infatti, come diceva in altra discussione il Gran Maestro, i tessuti che amiamo, come il popeline e il fil a fil sono difficili e lunghi da stirare. Ho inizia ad avere camicie di questi tessuti, e mia moglie mi sta odiando, assieme alla donna che ci fai i mestieri. Per fortuna pare che l'Oxford sia più facile da stirare. Comunque una camicia interamente artigianale è più difficile da trattare per sè. Resto anche io in attesa della risposta del Gran Maestro al Signor Poerio. Cordialmente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-10-2004 Cod. di rif: 1690 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualcos'altro sul collo-camicia - A M. Poerio Commenti: Egregio Poerio, il collo della camicia è tenuto in forma dagli interni, che possono essere di due varietà: 1) Tela adesiva. In fase di lavorazione, si fa aderire il lembo superiore della tela al collo della camicia. Poiché il tessuto forma con la tela un corpo unico, la stiratura è più facile. 2) Tela non adesiva, che resta come una sorta di imbottitura. Pizzicando il lembo superiore del collo, ci si accorge che il tessuto è libero, staccato dal supporto. Resta una certa incompatibilità tra le differenti densità dell’interno e del tessuto. Quest’ultimo, essendo morbido, viene sospinto dal ferro, mentre la tela resta schiacciata. Soprattutto se la sagoma degli interni non è perfettamente corrispondente a quella del collo, sicché questo non è teso bene, la stiratura tende a generare pieghette a scalino. La prima soluzione conferisce una compostezza duratura (tendenza alla lastra d’acciaio) e per questo è molto amata dall’industria. Anche la più importante, come ad esempio Borrelli. La seconda soluzione lascia che il collo viva e quindi alla sera appaia stanco (tendenza alla duna di sabbia). La scelta dell’impostazione è filosofica e dipende dall’immagine che si ha e/o si vuol trasmettere di se stessi. Esistono comunque tele di diverso peso e rigidezza, che potranno accentuare o ridurre l’effetto lastra o duna, a prescindere dall’adesivo. Nell’effetto complessivo va infine tenuta presente la possibilità di usare le stecche, che possono a loro volta essere di varie dimensioni e materiali, lasciando più o meno la possibilità di curvature. Gli effetti più affascinanti si ottengono con la tela non adesiva, ma non sono per tutti i gusti. Vista anche la perplessità sullo spazio-cravatta e sul cannolo, che certamente avrà visto molte volte e la cui definizione letteraria resterebbe sempre inferiore a quella aiutata da un’immagine, cercherò di illustrare nel Taccuino i dettagli oggetto del mio gesso n. 1685. In ogni caso, l’ottimo Carnà ha già descritto cosa sia il “cannolo”. La comprensione di questa e altre definizioni è resa più difficile dal fatto che molti dettagli vengono chiamati con molti nomi. Proprio per questo, per la necessità di un vocabolario comune in qualsiasi ricerca, dedicheremo col tempo un’area alla nomenclatura illustrata di tutte le parti principali che compongono i principali capi maschili. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-10-2004 Cod. di rif: 1696 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Soddisfazioni profonde - Ad A. Pancotti Commenti: Egregio Scudiero Pancotti, Lei ha sperimentato la vicinanza dell'Ordine già da tempo, ma vedo che ora che è dei Nostri la Sua soddisfazione e l'apprezzamento per l'opera cavalleresca scende maggiormente in profondità, in quanto la sente anche Sua. Spero di vederLa mercoledì 20 p.v. a Milano, per l'incontro sociale straordinario indetto dal me e dal locale Prefetto. Quanto alle doti di Dante De Paz, furono da me sperimentate circa dodici anni fa, quando entrai nel Suo negozio per ordinare una vestaglia. Ciò che ne venne fuori fu non solo un capolavoro, ma un sodalizio morale ed estetico che promette di durare ancora molto a lungo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-10-2004 Cod. di rif: 1699 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Cliente Commenti: Visitatori, autori e lettori dei testi di questa Porta, con il gesso n. 1685 della Lavagna dell’Abbigliamento compilavo, seppur piuttosto superficialmente, un decalogo per il cliente di camiceria ed ho appena terminato una rassegna di esempi nel taccuino per illustrare meglio alcune teorie ivi esposte. Lo spunto mi era stato dato col gesso n. 1683 dal signor Marino Poerio, che pur chiedendo lumi solo su alcuni punti specifici, sembrava bisognoso di qualcosa in più. Nelle domande di questo genere non c’è solo curiosità e nelle risposte di chi ha il privilegio della conoscenza deve emergere il rispetto per una condizione umana in cui tutti ci troviamo e che troppo spesso non vediamo riconosciuta nel modo giusto. Parlo della situazione in cui l’uomo si trova quando cerca, quando ha bisogno, quando vuole e desidera, quando sogna e vuole svegliarsi felice: la posizione complessa e misconosciuta del Cliente. Al Cliente si addicono la costanza del trovare, la scienza del discernere e l’arte di ottenere, non il banale, insaziabile appetito di acquistare. Il Cliente con la maiuscola è un motore positivo, il destinatario di una tradizione secolare ed il giudice supremo per soddisfare il quale si sono impegnate intere dinastie di artigiani, mercanti e industriali. Per lui si sono sacrificate razze biologiche e comunità umane. Foche ed elefanti, tribù e foreste hanno sofferto o sono scomparse per soddisfarlo ed ora che il patrimonio si assottiglia, giustificare questo prelievo è più che mai un dovere. Egli non deve sentirsi arbitro più di quanto non sia partecipe, perché è anzi sempre in gioco. Apprende ed insegna, segue attraverso gli oggetti la propria evoluzione e, comprendendola, comprende qualcosa in più di se stesso. Il mio modesto contributo, destinato a mettere a fuoco l’ottica del Poerio nel momento in cui si dichiarava prossimo ad intraprendere la carriera del Cliente di Camiceria, non era forse sufficientemente chiaro e suscitava altre domande e commenti. Non solo per lui, ma per la Nazione del Desiderio noi continuiamo a costruire questo castello. Illustrerò, come promesso, i temi trattati n un libero collage di immagini sul Taccuino. Spero che il Cliente che è in Voi ne tragga profitto e motivazioni. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-10-2004 Cod. di rif: 1703 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al signor Poerio Commenti: Egregio Poerio, sono certo che Lei abbia compreso che in quell'ostensione di reliquie cui ho dato corso nei recenti appunti sul Taccuino, non c'era alcuna intenzione di colpire Lei personalmente, ma quella di dimostrare la verità della Fede. Ad un certo punto mi è venuto naturale nominarLa perché lo spunto iniziale era stato proposto da Lei e da un'osservazione che - come splendidamente teorizzato dal Popper che Lei cita perfettamente a proposito - mancava di un supporto critico organizzato. Ho cercato di mantenermi equidistante nell'illustrare le soluzioni di cui si era parlato nel famoso gesso n. 1685 e seguenti. La questione dello spazio cravatta ha occupato parecchio spazio non per infliggerLe qualche colpo basso, che sarebbe notato subito dagli occhi attenti dei tanti arbitri che ci osservano, ma perché questa soluzione, praticata da numerosi maestri dell'Arte che qui ci occupa, non è conosciuta e non ne erano chiare le modalità e gli scopi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-10-2004 Cod. di rif: 1704 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: E' proprio lei - Al signor Pugliatti Commenti: Acutissimo Pugliatti, quello che commenta nell'Appunto n. 1171 è effettivamente un perfetto esempio della camicia napoletana. Non riesco ancora a credere che possa essere scomparso un capo così bello, durevole e funzionale, peraltro dotato di una certa flessibilità agli orientamenti dei diversi periodi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 19-10-2004 Cod. di rif: 1705 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Belstaff e dintorni – Alla cortese attenzione del Signor De Commenti: Gentile Signor De Paz, riallacciandomi alla discussione sulla Belstaff e alle Sue dotte notazioni, mi piacerebbe molto avere un Suo parere riguardo allo snaturamento di molte case storiche, che (anche concedendo il proprio marchio ad altre aziende), finiscono spesso per mettere in commercio di tutto purche’ marchiato e di “tendenza”. Mi vengono in mente (oltre a Belstaff) Mon Cler, Fred Perry, Husky, Church’s, Burberry’s, le quali, cambiando radicalmente filosofia, invece di fare poche cose ma bene (come nella loro tradizione), ne fanno mille tradendo la propria storia e peggiorando la qualita’ delle materie prime e della lavorazione. A mio parere, i tessuti usati attualmente dalla Belstaff nella proliferazione infinita di modelli, non hanno piu’ nulla a che spartire con quelli del Trial Master Belstaff che Lei ha ben inserito nei taccuini. Il tutto per seguire incondizionatamente la moda e il mercato. Mi risulta che anche la Alpha (madre di tutte le Field Jacket) faccia soltanto piu’ un modello “slim”. La giacca Capalbio, in origine confezionata da una piccola cooperativa di sarti in maremma, ha perso tutto delle sue peculiarita’ artigianali diventando un prodotto di marketing, che esaurita la sua parabola commerciale sta gia’ declinando. Ma queste scelte alla lunga pagano? A mio parere, c’e’ scarsa lungimiranza da parte di imprenditori che mirano esclusivamente a un utile immediato, senza considerare che le mode tramontano. Eppure la Barbour, così in voga da noi all’inizio dei ’90, continua a fare gli stessi capi storici dalla qualita’ immutata, e non mi risulta che rischi il fallimento. Le faccio i miei complimenti per gli stimoli che sa offrire e La ringrazio per quanto vorra’ aggiungere o correggere in merito. Giorgio Pasino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-10-2004 Cod. di rif: 1708 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Immagini Taccuini 1176-1180 Commenti: Egregi Cavalieri, Gran Maestro, mi interesserebbe leggere i vostri commenti alle immagini in questione. In particolare il doppiopetto di James Stewart al taccuino 1180 mi sembra magnifico. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 26-10-2004 Cod. di rif: 1713 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Per Sig. Pugliatti Commenti: Egregio Signor Pugliatti, La ringrazione per i Suoi commenti, sempre preziosissimi. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-10-2004 Cod. di rif: 1714 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Parka ed Eskimo - Al Rettore Commenti: Magnifico Rettore De Paz, amico Dante, ho trovato di particolare interesse la relazione sul parka. Il concetto di Classico Internazionale diventa sempre più chiaro attraverso i suoi oggetti, ma la tua capacità di individuarli e di porgere a tutti la loro storia e natura ancora ci sorprende. Esortando anche altri a richiedere approfondimenti su eventuali punti che li richiedessero, vorrei che mi chiarissi meglio le differenze tra eskimo e parka. Mi sembra che il primo sia più cilindrico ed ampio ed il secondo più sagomato, avvitato. Entrambe possono essere dotati di coulisse in vita? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 29-10-2004 Cod. di rif: 1726 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Ancora al signor Villa Commenti: Egregio Signor Villa, in attesa di leggere un eventuale gesso del Gran Maestro e del Rettore, sottolineo e condivido per intero la risposta del Cavalier Carnà, il cui gusto per le camicie si sovrappone perfettamente al mio; per esemplificare le dirò che indosso con piacere completi blu con scarpe marroni e con ancora maggior soddisfazione con quelle di color Bordeaux scuro; naturalmente non durante le serate o in occasioni formali, per le mi adatto al nero. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gia Data: 31-10-2004 Cod. di rif: 1735 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: In blu all'opera - Risposta al gesso n. 1727 Commenti: Egregio signor Fonte, Lei è registrato come simpatizzante presso il nostro sito, ma nel compilare la scheda ha taciuto dell'età, che si rivela spesso un parametro importante per poter dare certi pareri a distanza. Non avendo altri dati, mi baso sull'economia di maiuscole e punteggiatura che ho notato nel registro per dedurre che Lei è piuttosto giovane, diciamo un po’ sotto la trentina. In questo momento il blu sta riscuotendo un particolare favore nella Sua fascia di età e la cosa mi sembra lecita, anzi ottima. Probabilmente Lei già possiede quell'abito blu e ora si chiede e ci chiede se esso possa reggere alla situazione descritta. Io dico di si. Il numero dei bottoni non ha alcuna importanza, soprattutto se il taglio è classico come Lei dice e quindi senza estremismi. Come è tradizionale, se non naturale, scarpe nere, camicia candida e una cravatta piuttosto rigida tinta in filo completeranno l’insieme. Ma manca ancora un dettaglio importante. Tenga presente che se ha più di quei trenta anni dovrà procurarsi un soprabito idoneo, anche del babbo o di un amico, purché scuro e dignitoso. Non prenda esempio dagli altri e legga dentro se stesso. Anche se il teatro è molto al Sud e la serata è calda, giungere all’opera in sola giacchetta La farebbe sentire un pezzente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-10-2004 Cod. di rif: 1736 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Testi nel Florilegio - Al Rettore Commenti: Caro Dante, stimato Rettore, a cura della casa scozzese l'articolo su Holland & Sherry è stato tradotto anche in inglese e francese ed è diventato il testo in cui essa maggiormente si riconosce e col quale si presenta. Non mi meraviglierei se tra qualche tempo lo si trovasse anche nelle sartorie. Co, titolo de "L'universo della lana" è già presente nel Florilegio, dove è stato segnalato da Francesco Barberis Canonico. Colgo le tue segnalazioni per far pubblicare anche gli altri due testi e ti ringrazio per i commenti favorevoli. Quanto all'attività della Camera, credo che l'appoggio dell'Ordine possa essere determinante. Abbiamo più volte dimostrato quale sia la nostra forza quando appoggia certi valori in cui crediamo fermamente. In particolare, la mia esperienza nella comunicazione via rete di contenuti che in rete non sono comuni, potrà fare la differenza. L'idea del loro sito è stata suggerita da me e forse la curerò personalmente. Senza menti esterne a quella della sartoria, anche una buona idea come questa sarebbe destinata ad avvizzire, ma sembra che in questo caso il presidente sia sufficientemente illuminato da comprendere che chi suona le tastiere non può allo stesso tempo soffiare nei fiati. Il mese prossimo MONSIEUR pubblciherà un'altra mia intervista, al maestro romano Franco Sagripanti. Parleremo del significato della parola maestro e del grande problema della sartoria: il ricambio e l'apprendistato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Pasino Data: 03-11-2004 Cod. di rif: 1740 E-mail: pasino.giorgio@seat.it Oggetto: Grenfell - Al Rettore De Paz Commenti: Gentile Rettore De Paz, anch'io possiedo due capi della Grenfell: un cappotto e una sahariana, acquistati molti anni fa nello stesso negozio del Signor Carnà, che mi sembrano realizzati nel solco della migliore tradizione inglese. Mi piacerebbe sapere qualcosa circa la storia di questa casa, se ne ha e se esiste ancora. La ringrazio cordialmente. Giorgio Pasino - Torino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 03-11-2004 Cod. di rif: 1742 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Taccuini 1229/1230 Commenti: Egregio cavalier Carnà, doverosamente in seconda battuta dopo il Rettore De Paz, mi permetto di aggiungere queste poche notule circa l'impermeabile da Lei citato: già semplicemente la fama del negozio dove all'epoca esso fu acquistato avvalora l’ipotesi che si tratti di un capo pregevole: infatti “Jack Emerson” (via Cesare Battisti 1) è un negozio storico di Torino dedicato proprio all’uomo elegante appassionato dell’English style. Per quanto concerne specificamente il marchio Grenfell, va detto che esso nacque dall’abbigliamento originario ideato e realizzato per il dottor Wilfred Grenfell, missionario in Canada nell’ultima decade del 1800. Particolarmente il “Grenfell Top Coat” è entrato nella leggenda; ad oggi capi sia per l’uomo che per la donna fanno parte della produzione di questo marchio, che figura anche tra i Fornitori della Casa Reale inglese. La cifra dei capi Grenfell è la fusione tra il classico stile inglese e l’esigenza di combattere i freddi climi nordici coniugando insieme efficienza ed eleganza; è possibile acquistare detti capi presso il rinomato negozio londinese “J. C. Cordings & Co.” (19, Piccadilly) specializzato proprio nel settore dello sportswear tradizionale inglese. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 04-11-2004 Cod. di rif: 1745 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Taccuino 1223 Commenti: Egregi Cavalieri, trovo nella rete questo figurino, Apparel Arts del 1936, e inserisco nel taccuino 1223. Mi paiono francamente discutibili i vari abbinamenti, doppio petto e gilet grigio scurissimo, pantaloni principe di galles. O sbaglio? Attendo commenti. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2004 Cod. di rif: 1746 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risposta negli Appunti del taccuino - Al cav . Granata Commenti: Egregio Granata, con Appunto n. 1236 esamino la questione da Lei posta col precedente gesso. Sarò a Milano il prossimo 11 Novembre per una serata culturale da Marinella dal titolo: "Dove finisce la logica, inizia Napoli". La cosa terminerà in una cavalleresca cena con Maurizio, di cui comunicherò per vie ufficiali gli estremi L'invito è già da ora naturalmente esteso a tutti i Cavalieri, ma poiché la cosa è stata decisa ora, è il primo a saperlo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2004 Cod. di rif: 1747 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piccola correzione Commenti: Correggo. L'appunto co, quale rispondo è il n. 1234. A presto a Milano. G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 05-11-2004 Cod. di rif: 1749 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Al Gran Maestro Commenti: Gentilissimo Gran Maestro, La ringrazio per la profonda discettazione sul taccuino 1234. Rimango sempre a "bocca aperta" a leggere i Suoi commenti, ed ora mi è chiaro il contesto del figurino in questione. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2004 Cod. di rif: 1756 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Classico Internazionale - Al Rettore Commenti: Esimio Rettore, con il Chesterfield ed il British Warm altri due veterani si aggregano alla Compagnia del Classico Internazionale. Ho apprezzato particolarmente la scelta e la presentazione di questi ultimi due capi, che amo incondizionatamente e che ho visto indossare nella maniera più strabiliante. Man mano che i punti da collegare aumentano, il disegno diviene più chiaro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-11-2004 Cod. di rif: 1758 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fustagno e Moleskin Commenti: Risposta al gesso n. 1744 del Cav. Villa Egregio Villa, poiché la conoscenza dei materiali ed il vocabolario tessile sono invero molto poco diffusi anche presso gli stessi sarti, ho sentito più volte definire con lo stesso termine di fustagno due diverse tipologie. Il fustagno vero e proprio è un cotone pesante, adatto per situazioni sportive. Il Presidente del RYCC Savoia, Pippo Dalla Vecchia, napoletano di origini romane, veste esclusivamente su misura sin dalla nascita ed è suo malgrado un uomo di gran gusto. Indossa in estate pantaloni in “massaua” ed in inverno quasi sempre in fustagno, insomma cotoni adatti alla vita dinamica che egli conduce, curando del club praticamente tutto: dal quotidiano giardinaggio alla cucina, dalla darsena agli arredi. Nelle attività molto sporchevoli, come la caccia, lo sport o il giardinaggio, si usa spesso il cotone in quanto resiste ai lavaggi molto meglio della lana. Ricordo che la vera vita di un capo in lana non supera i sei viaggi in tintoria, entro i quali il contenuto in lanolina si sarà disperso al punto da svilire il tessuto. Naturalmente in esterno e per condizioni disagiate come quelle dell'escursionismo e caccia, si usano solo cotoni col vello, come appunto il fustagno o il velluto. C'è chi si accontenta dei capi tecnici e variopinti di moderna costruzione, ma il gusto del Classico resterà ancora in vita, soprattutto se troverà paladini decisi a farne comprendere l'altezza civile e morale. Il fustagno si presta ad essere confezionato in stile country, anche un po’ addomesticato con dettagli più cittadini come i risvolti, Chi cammina tra i fossi e gli sterpi avrà necessità di tante cose, meno che di un paio di risvolti che raccolgano polvere, vegetazione ed animali. Ma se si pensa di usare il capo in situazioni promiscue si potrà indulgere alle pinces, alla piega etc., fino ad abbinare una giacca in tinta. Questi ammiccamenti della campagna verso la città riescono molto bene, mentre non è mai vero il contrario. Come dicevo, il fustagno viene talvolta confuso con un altro prodotto in cotone: il moleskin. I vecchi pantalonai napoletani lo chiamavano “pelle di divolo”, perché è impenetrabile e per cucirlo causava la rottura di moltissimi aghi e vere sofferenze alle dita. Soprattutto quando è nuovo è un tessuto semirigido, simile ad una pelle non molto conciata. Col tempo, molto tempo, si ammorbidisce. L’aspetto è in tutto simile al fustagno, avendo anch’esso una superficie vellutata, ma la mano è differente ed il numero delle battute al telaio è sicuramente molto superiore. Anche a Napoli, città dal clima mite, veniva molto richiesto da categorie di lavoratori in esterno o in cui sfregamenti continui avrebbero consumato altri tessuti. E’ infatti, più che da attività sportive, un tessuto da lavoro. Questo materiale heavy-duty non si presta affatto alla costruzione con piega e tasche nella cucitura. Il più bel pantalone da lavoro di tutti i tempi, paradigma insuperato dei velluti, fustagni e moleskin con questa impostazione, è quello (in velluto color zucca) immortalato nel film “My Fair Lady” ed indossato dal signor Doolittle. Qualora Pugliatti, capace di queste imprese, possieda questo fondamentale capolavoro, lo prego di fornire all’umanità tutta questo esempio, che potremo così meglio commentare. In ogni caso si trattava di un pantalone basso di cavallo, largo alla coscia e stretto al polpaccio, dove nel film appare anche legato con un laccio. Le tasche sono alla carrettiera, sormontate da ampie fonde. Orbene, caro Villa, qualcosa è stato detto. Lei non ha bisogno di consigli, ma qualche conoscenza in più La aiuterà a trovare da solo la strada giusta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-11-2004 Cod. di rif: 1761 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Me lo immaginavo - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, qualcosa me lo diceva che Lei, pur parlando di fustagno, avesse messo le mani su un raro moleskin. Per questo ho tardato a rispondere alla Sua domanda sul fustagno e alla fine ho risolto per esporre una distinzione tra quello che diceva di aver trovato e ciò che invece la mia magistrale sfera di cristallo mi avvertiva Lei avesse veramente tra le mani. Per la confezione dei pantaloni senta anche il Rettore, espertissimo in questo tipo di tessuti rari. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-11-2004 Cod. di rif: 1763 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La giacca di velluto Commenti: Egregio signor Consolini, direi innanzitutto che la giacca di velluto è per molti, ma non per tutti i guardaroba. E’ un capo versatile, ma ogni volta sostituibile. A livello di linguaggio è un capo estremamente maschile, Nato per l’aria aperta, tradotto negli interni cittadini ha un significato non molto vagamente intellettuale, disinvolto, informale nel senso più pieno del termine. Non è infatti per situazioni, ma per persone informali, che siano per intima coerenza e non per scelta al di fuori degli schemi di abbinamento tradizionali. Sia chiaro che questo stare fuori dagli schemi non è un valore in se stesso, ma una possibilità di valore. La sua parte migliore è nell’evocazione della protezione esercitata dal paterfamilias, ma come tutti i capi ricchi di storia non si limita ad una sola nota e secondo la persona che la indossa può essere percepita con varie sfumature. Ciascuna può essere evocata da altri capi e per questo resta fungibile, ma non per chi la ama veramente e desidera farla invecchiare. Perché il velluto non ha molto significato quando è nuovo e raggiunge il suo status solo con l’età, quando il vello si consuma e le toppe hanno significato. Proprio per questo non mi piacciono le giacche nuove con le toppe, che vanno sistemate quando sia maturo il loro tempo ed il loro scopo. Quanto alla confezione, molte fogge sono adatte. Il doppiopetto con gli spacchi, il petto singolo con spacchi o senza e lo spacco centrale. Per congruità con il comfort che essa evoca, ritengo leggermente superiori le tasche applicate, che sono un po’ meno capaci e inadatte a sprofondarvi le mani. Non è una regola, ma una preferenza personale. Va riccamente foderata, perché in un uomo così uomo la parte interiore non deve essere spoglia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-11-2004 Cod. di rif: 1767 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Classico e novità - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, se i pantaloni di velluto sono destinati ad usi cittadini, i risvolti saranno senz'altro perfettamente coerenti e così le pinces. Quanto ai velluti con aggiunta di fibre nobili, io stesso ho molto ammirato il capostipite di questa tipologia: il cashko di Zegna. Non ne ho mai acquistato, ma ho riscontrato presso laboratori artigiani che i pantaloni si rivelavano troppo deboli, mentre le giacche, ancorché destinate ad una vita più breve, sono interessanti. In effetti essi permettono un effetto-usato quasi immediato, con tutto quello che consegue. La giacca è bella subito, ma meno durevole. Le consiglio di guardare con attenzione la foto che illustra l'appunto n. 1155 e quella, molto simile del n. 49 (mi accorgo che quest'ultima non è apribile, ma la farò sostituire in poche or con una attiva. Le foto sono di grandi dimensioni e permettono di esplorare bene il capo e di farsene un'idea personale piuttosto precisa. La mia impressione è che l'effetto, grazie anche agli accessori ben scelti, non sia da criticare. Ferraris, che non dobbiamo dimenticare esserne il produttore, indossa un bel doppiopetto in Cashko spezzato con un chino. Questa giacca, pur essendo certamente di recente fattura, appare già vissuta. Dobbiamo anche tenere in conto lo stile di vita e le possibilità economiche. Queste tipologie “lussuose” sono adatte a chi possa spendere denaro e non abbia tempo o voglia di attendere la maturazione del tessuto, anche in considerazione di una veloce rotazione dei capi in uso. Il discorso si fa etico, più che estetico. Il gusto per il pronto-effetto può essere dettato da motivi professionali che spingano a voler apparire sempre di attualità. Il pericolo sta nel fatto che questo gusto per la novità diventa facilmente dogma e come tale può comportare una negazione acritica della tradizione. Non bisogna però cadere nella tentazione di rispondere a questa posizione apodittica con una delegittimazione altrettanto semplicistica del nuovo. Fino a quando c’è scelta, sarà sempre l’individuo a fare la differenza. La ricerca e l’approfondimento che si svolge in queste aree hanno lo scopo di permettere a quante più persone di sapere quanto più possibile, affinché possano scegliere con consapevolezza e congruità. La conoscenza crea il desiderio e questo il mercato. Se quindi alla base di tutto c’è la conoscenza, noi Cavalieri possiamo dire di star facendo in materia del nostro meglio. Purché resista una domanda che permetta di produrre il classico, ben vengano le novità. Alcune di esse potranno essere un classico domani. Io so già da quale mazzetta lei sceglierà il Suo velluto, ma la selezione di Lorenzo Villa o di chiunque altro non deve essere propagandata come la Verità. Noi dobbiamo cercare, difendere, chiarire, talvolta rivelare, mai indottrinare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-11-2004 Cod. di rif: 1781 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Diritti e doveri - Al sig. Albricci Commenti: Egregio signor Albricci, Lei non ha bisogno di un consiglio, ma di una sentenza che assolva ai Suoi occhi ciò che ha già scelto col cuore. I Suoi toni appaiono rilassati quando parla del negozio dove si trova a proprio agio, divenendo tesi e contrattu quando parla dell'ambiente che ha trovato nel laboratorio artigiano. Non tutti i punti dove si vende su-ordinazione sono così e nemmeno le sartorie. Tutt'altro. In genere, dietro le belle vetrine dai grandi marchi, vedo dei bambolotti di plastica irrigiditi dalla prosopopea e dai colli troppo alti, così come la sartoria sa spesso generare una certa complicità. Poiché è palese che Lei si diverte con il "giovane valente e capace", continui pure per quella strada. Andando in una sartoria dove non viene introdotto ai piaceri ed ai segreti dell'Arte, dove viene tenuto fuori dal meccanismo di scelta dialogata che Lei giustamente cerca, non guadagnerà alcuna indulgenza per i Suoi peccati. Poiché il cliente che spende ha il diritto ed il dovere di divertirisi, nonché il dovere e il diritto di far capire che le cose non vanno bene ed eventualmente di cambiare strada, per il momento continui a servirsi dove viene meglio apprezzato. Noi Cavalieri sosteniamo la sartoria, ma non ne facciamo un dogma di fede. Quando ne abbia l'opportunità, entri da un altro sarto, magari con un amico che ne sia cliente. In questo modo non si sentirà pressato e potrà guardarsi in giro, respirare l'aria che tira. Quando troverà quella giusta per le Sue ali, si butti giù. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-11-2004 Cod. di rif: 1787 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una domanda Commenti: Egregio Tarulli, sono io a ringraziarLa dei complimenti. Poiché la mia analisi Le è piaciuta, aggiungo un'appendice. In favore del signor Elkan va la scelta del polso a gemelli, azzeccatissima con la tipologia d'abito. Le farei infine, girandola ad altri Visitatori, una domanda che non è un quiz, ma un sistema per acuire la vista. la cosa più difficile da vedere, ma necessaria per la valutazione di ogni cosa, persona, ambiente, situazione, progetto, non è quello che si può vedere, ma quello che non c'è. Cosa ha voluto lasciare a casa il buon Lapo (ed ha fatto molto, molto bene)? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-11-2004 Cod. di rif: 1789 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un pubblico encomio Commenti: Egregio Catalano, Lei vince un pubblico encomio per la finezza e prontezza dell'occhio. Del resto non si avevano dubbi su queste Sue qualità, evidenti nella profondità dei Suoi gessi sull'Architettura. Una tenuta ellittica dell'orologio ci rivela anche un tratto interessante del carattere del Lapo, che avrebbe potuto sfoggiare qualche mezza chilata d'oro e complicazioni svizzere, ma ha preferito evitare, in nome di una composta semplicità e di una naturale tendenza (non una legge) ad evitare l'orologio da polso con i polsi a gemelli. Grazie per aver aderito a questo piccolo test di osservazione al negativo. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-11-2004 Cod. di rif: 1791 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Occorrono esploratori - A L. Villa Commenti: Egregio Villa, quanto alle Sue specifiche richieste sulla situazione del cappello a Londra, non vorrei sbilanciarmi con dichiarazioni datate. Il mondo del gusto ha un moto di rivoluzione sempre più accelerato e il sole tramonta velocemente su molti prodotti, lasciando a volte solo fuochi come i nostri ad illuminarli. Solo una constatazione personale e aggiornata potrà sciogliere questi dubbi e rivelare la situazione generale del cappello e specifica dei siongoli cappellai. Esorto quindi i nostri Visitatori e Cavalieri che si trovassero in questo periodo a Londra per gli acquisti di Natale o - successivamente - per i saldi di Harrod's e altri, a sguinzagliarsi sui principali indirizzi e verificare: 1) Se abbiano un laboratorio in città o addirittura una lavorazione interna dei coni grezzi, ovvero essi giungano tutti già lavorati e montati. 2) Provenienza dei coni (questa è una domanda imbarazzante) 3) Tipologia delle fasi dell'eventuale lavorazione. 4) Possibilità di ottenere a propria misura modelli scelti non dalla vetrina, ma da cataloghi storici della ditta. Appena mi troverò a Londra, cercherò di dedicare almeno una giornata a questa importante ricerca e ne pubblicherò i risultati. Nel frattempo attendo insieme a Lei i resoconti di altri eventuali esploratori. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-11-2004 Cod. di rif: 1794 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti e Laboratori Commenti: Egregio cavaliere Liberati, se la mia opinione ha qualcosa di illustre è perché nasce sempre da esperienze personali e viene espressa solo su materie lungamente approfondite. Purtroppo, per quanto riguarda il maestro Pastena non ho mai visto nulla del suo lavoro e quindi non posso esprimermi. Di Pirozzi ne sono attivi ben due ed entrambe si chiamano Domenico. Uno si trovava a Piazza S. Nazzaro ed ora si è trasferito in zona ferrovia. Il secondo lavora in Via Chiaia n. 197 ed è uno dei più bravi maestri al mondo. L'ho sempre protetto da un'eccessiva fama ed ho in qualche modo voluto proteggere anche i futuri clienti, soprattutto i più inesperti, da un Maestro dallo stile non a tutti comprensibile. Come tutti gli artisti, è capace talvolta di qualche caduta che solo coloro che sono ben avvezzi alla sartoria e sanno quanto il lavoro artigianale possa essere mutevole, sono disposti a perdonare. Colgo l'occasione per anticipare che dal prossimo Laboratorio d'Eleganza, chiusosi con Solito il ciclo teorico, ne cominceremo un altro di livello pratico con Domenico Pirozzi. Maggiori informazioni verranno pubblicate nell'area eventi, appena fissata la data. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-11-2004 Cod. di rif: 1795 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Come nasce un cappello Commenti: Sotto ogni latitudine, in ogni epoca, nessuna alta carica sacerdotale ha fatto a meno di un copricapo. Insomma, il cappello non solo ripara dal freddo o dal sole, ma, per la sua inevitabile evidenza, dichiara una collocazione sociale. Oggi l’uomo sembra propenso ad eliminare alcuni segnali di virilità che teme possano essere letti come arroganti. Forse per questo motivo, una sorta di understate simbolico, tende ad evitare modelli che furono in uso comune fino alla scorsa generazione. Ma la lingua del cappello è ben lungi dal potersi dire morta. I cappelli possono essere fatti con feltro di varia origine. Alcuni credono che si tratti di lana, ma non è così. Il pelo più usato è quello di coniglio, mentre quello di lepre è destinato ad arricchirlo o a sostituirlo totalmente per i prodotti più pregiati. In questa fabbrica il processo di lavorazione parte proprio dalla cernita del pelo, di coniglio e di lepre. Appena tosato e non tinto, così come giunge dagli allevamenti, viene fatto passare in gallerie ventilate (soffiatrici) per dividere le fibre lunghe dagli scarti inutilizzabili. A questo punto vengono realizzate delle miscele secondo il colore, la qualità, la tipologia del prodotto che dovrà nascere. La fase immediatamente successiva è la creazione del cono. Esso prende forma in una camera stagna in cui viene fatto vorticare il pelo già miscelato. In basso essa presenta una grossa campana conica, interamente bucherellata, che è in pratica il terminale di una tubazione con una valvola a farfalla, a valle della quale c’è il vuoto forzato. L’apertura improvvisa della valvola crea un brusco e violento risucchio attraverso le centinaia di buchi. I peli, per la velocità alla quale urtano gli uni sugli altri, si ammassano sulla campana assumendone la forma conica. La quantità del pelo immesso è rigorosamente predeterminata secondo le necessità del tipo di cappello che si vuole ottenere. Naturalmente, in questa prima fase il cono è delicato e bisogna infeltrirlo perché le fibre si leghino. A questo scopo, si versa acqua caldissima in gran quantità. Infatti il cono non potrebbe essere staccato dalla campana e maneggiato se non si generasse in questo modo una prima di coesione del vello. Se però venisse solo lasciato asciugare, il pelo tornerebbe ancora libero in fiocchi. Perché assuma la giusta consistenza, il cono viene allora fatto passare in una serie di cilindri d’acciaio, tra i quali viene iniettato vapore surriscaldato. In questo modo il pelo infeltrisce, il che vuol dire che le fibre si legano intimamente. Un ultima stabilizzazione dei legami tra le fibre avviene in una macchina a rulli. Il semilavorato passa poi nello stiraconi, dove viene regolato lo spessore. A questo punto un attimo di pausa: il cappello ha bisogno di riposo per asciugare. Una volta asciutto, viene pesato e tinto in vasche, dalle quali finisce nell’allargatesta. Qui si da una sgrossata alla punta, che comincia a prendere la forma di una cupola. Un’altra macchina a rulli tira poi la tesa o ala. Dopo questa fase di prima informatura, i cappelli vanno nuovamente asciugati e poi lavorati secondo la finitura desiderata, che può essere a pelo lungo, rasato e vellutato. La misura della testa viene conferita modellando ogni singolo pezzo su cerchi in legno. La tesa viene rifilata e i cappelli sono ormai pronti per essere guarniti. Marocchino, nodino, nastro e fodera sono gli ultimi dettagli in ordine di tempo, ma non di importanza. Nessun particolare può essere trascurato per dare personalità ai diversi modelli. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-11-2004 Cod. di rif: 1796 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappelli e cappellerie Commenti: Nel gesso precedente ho riassunto le varie fasi della fabbrica di un cappello maschile mettendole tutte in linea. La gran parte delle cappellerie piccole e grandi acquistano però i coni semilavorati e procedono solo alla fase di formatura e rifinitura. Un esempio quasi unico di questo tipo di manifattura lo si può vedere a Milano, in pieno centro, presso la Cappelleria Melegari in Via Paolo Sarpi n.19. Un miracolo che vale un viaggio, o almeno una deviazione dalle solite rotte. Il nostro Cavaliere Giona Valerio Granata ha redatto una bella scheda di questa antica manifattura, che presto verrà pubblicata nel Portico dei Maestri. Una curiosità. La Cappelleria Melegari è stata fondata nel 1914, stesso anno in cui a Napoli nacque Marinella. Occorre veramente dire che è una "classe di ferro", o forse meglio una "classe di classe". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 01-12-2004 Cod. di rif: 1798 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Ancora sui cappelli Commenti: Egregio Cavaliere Villa, azzardo, in attesa di leggere la risposta del Gran Maestro, che con "nodino" si intenda il fiocco del nastro che orna il cappello. Aggiungo che Sergio Anzani, Maestro Cappellaio della Cappelleria Melegari, mi stava spiegando proprio ieri la tecnica costruttiva descritta magnificamente dal Gran Maestro; il Maestro Anzani azzardava anche una possibile visita alla ditta Barbisio a Sagliano Micca (ora proprietà della Cervo). Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-12-2004 Cod. di rif: 1799 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Cappellificio Cervo Commenti: Egregio Villa, nei cappelli guarniti in marocchino, la giunzione della banda interna in pelle è in genere ornata da un nastrino annodato a fiocchetto, quasi sempre con una piccola frangia. Quello è il "nodino". Al Cavaliere Granata direi che la fantasiosa annodatura del nastro esterno si chiama "galla", ma potrà chiedere conferma o rettifica al Melegari. Quanto alla visita alla manifattura, io l'ho condotta più volte e vi ho addirittura girato a mie spese alcune ore di riprese televisive, il cui materiale ho poi donato a Mediolanum Channel perché ne traesse un breve documentario. L’antico Cappellificio Cervo, fondato nel 1897, occupa in effetti un posto d’onore tra le manifatture di cappelli. Si trova non lontano da Biella, dove un tempo la lavorazione del feltro era così diffusa da dare a questo luogo il nome di Valle dei Cappellai. L’edificio, isolato e di grandi dimensioni, si nota da lontano. Le forme e i colori di una belle epoque di provincia, lo rendono al tempo stesso appariscente e confidenziale. Sorge a cavallo di un torrente e forse questo è stato il segreto di una longevità quasi secolare. A questo tipo di manifattura, infatti, l’acqua corrente è indispensabile in grandi quantità. L’interno ricorda quello di una fabbrica di sigari a Cuba: vasto, con colori naturali ed un’atmosfera datata. Alle pareti abbondano foto, locandine, materiali pubblicitari che ricordano i tempi d’oro del cappello, quando esso rappresentava un capo necessario quanto le scarpe. E’ uno dei pochi opifici al mondo in cui un prodotto così complesso venga seguito in tutte le fasi: dalla lavorazione della materia prima fino al confezionamento. Il tutto viene eseguito con macchinari che risalgono all’epoca di fondazione dell’impianto e anche gli arredi conservano il fascino dei vari stili che si sono susseguiti nel ventesimo secolo. In questo luogo incantato si può osservare, come in un documentario permanente, ogni più piccolo segreto della nascita di un cappello. Nonostante io consigli ai singoli di avventurarsi in una visita, di farne un evento cavalleresco non se ne parla nemmeno. Almeno per il momento. La ditta è splendidamente conservata e le auguro lunga vita, ma attualmente è nelle mani di un certo Borrione, individuo privo di classe che trasmette a tutto il sistema la sua rustica impronta. Dopo aver personalmente sostenuto tutte le spese, comprese quelle logistiche, per inviare sul luogo una troupe di tre persone, il Borrione non solo mi faceva pagare tre cappelli che avevo ordinato, ma me ne spediva uno differente da quello da me richiesto. Inoltre scriveva all'interno: Avv. Giancarlo Maresca e non solo Giancarlo Maresca, come da me specificato per iscritto. Il colmo fu quando tentarono di convincere me, che ricordo con quante passate erano cuciti i bottoni di una persona che ho incontrato un anno fa, che io avevo ordinato proprio quel cappello. Non ci misi molto a demolire questa ridicola teoria, ma non accettai scuse. Pagai e cancellai (con dolore) il nominativo dalla mia agenda, attendendo da allora che qualche gruppo acquisti l'azienda e vi sistemi a capo qualcuno più attento. Non posso dir male del prodotto, che anzi consiglio. Sono certo che i coni di Melegari provengano proprio da lì e non so se ve ne sono di migliori. Esorto gli appassionati ad un pellegrinaggio sul luogo, dove vi è anche uno spaccio, quello che oggi si chiama outlet, dai prezzi convenienti. C'è molto da imparare, ma finché sarò io alla guida dell'Ordine e Borrione a capo del Cappellificio Cervo, nessun rapporto ufficiale potrà intaurarsi. Per completezza, dirò che il Cappellificio Cervo è titolare del Marchio Barbisio e del marchio Bantam. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-12-2004 Cod. di rif: 1803 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ispezioni cavalleresche a Londra Commenti: Egregio Carnà, ho prenotato proprio oggi pomeriggio per una missione londinese dal 7 all'11 di Gennaio, ma Lei mi anticipa di un mese. Andrò con mio figlio Giuseppe Maria, che in tal modo verrà premiato per il buon rendimento scolastico. Sono quindi al suo servizio e dedicherò solo una giornata all'esplorazione. Lei cominci a tastare il polso a Lock&C Hatters, in S. James Street. La autorizzo a presentarsi come un rappresentante di un club di appassionati italiani che sarebbe interessato a visitare la manifattura, operazione che si concluderebbe con la redazione di un articolo su riviste nazionali del settore e sul sito dell'associazione, visitato da oltre sessanta paesi. Capirà subito se la manifattura esiste, ovvero la roba arriva bella che pronta. Il resto delle domande trabocchetto l'ho già predisposto in un recente gesso. Visiti anche Herbert Johnson al 38 di New Bond Street e magari si faccia indicare qualche cappellaio meno conosciuto. Del resto, se fossimo inglesi in visita in Italia, andremmo a visitare qualche negozio di Borsalino e non certo la Cappelleria Melegari. Potrà magari contattare quel Michael Alden che scriveva sul nostro sito, prima di aprirsene uno suo. Ritornando a bomba, ovvero a Londra, chi si trovasse sulle rive del Tamigi nelle date indicate si facesse vivo per un eventuale rendez-vouz cavalleresco. Bye Bye ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-12-2004 Cod. di rif: 1809 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un altro "oggetto mancante" - Al sig. Tarulli Commenti: Ottimo Tarulli, dal Suo ultimo gesso sembra possa arguirsi che, nel gioco dell' "oggetto mancante", Lei aveva pensato a qualche altra cosa. Sarei curioso di sapere quale. Proprio perché è un gioco, La inviterei a sottoporci la Sua riflesione, che potrebbe riservarci qualche sorpresa. Cavallereschi, cordiali saluti. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-12-2004 Cod. di rif: 1812 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Con e senza - Al Cav. Carnà Commenti: Intrepido cavaliere Carnà, poiché non seguo le vicende e lo stile di Lapo, non conoscevo questo suo "risparmio" di orologi. Potrebbe essere positivamente valutabile, perché in in questo momento in cui tutti hanno tutto e lui certo più degli altri, un pataccone non sorprende più, mentre una rinuncia può essere un grido. Naturalmente ad infrasuoni, cioè tarato per raggiungere solo chi disponga di sensi molto acuti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-12-2004 Cod. di rif: 1814 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Missione Cuoio di Russia - All'Agente 00Carnà Commenti: Egregio e volenteroso Esploratore, ho un'altra missione da affidarLe. Sotto la Royal Arcade, non lungi dall'uscita che mena verso la statua di Brummell, c'è un piccolo negozio di calzature, del quale voglio redigere una scheda per il Portico. Si chiama Cleverley e per gli appassionati non è certo una scoperta. Le cose che si hanno sotto gli occhi sono però a volte trascurate e, dandole per scontate, non comprese nei dettagli. Inserisco nel Taccuino una foto di una sua scarpa su misura, di recente fattura, realizzata in Cuoio di Russia. Non so dove abbia potuto reperire questo materiale introvabile, alla cui rinascita ho deciso di orientare le forze mie personali e, se mi seguirà, dell'Ordine. Almeno sino a due anni fa, Cleverley ne disponeva. La foto che vedrà è stata scattata il 24 Aprile del 2003. Stampi la foto e chieda se sarebbe possibile avere ancora scarpe con questo materiale. Inoltre avrei bisogno di qualche altra foto di sue calzature e in particolare dei fondi stretti, a schiena d'asino, coi quali viene rifinito il bespoke di questa prestigiosa casa. Scatti foto chiare, prenda appunti e raccolga immagini e biglietti da visita delle persone con cui parla. Faccia anche una foto alla vetrina esterna. Buon cavalleresco lavoro. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-12-2004 Cod. di rif: 1817 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un tutor personale - Al sig. Albricci Commenti: Egregio signor Albricci, per recuperare un uomo alla vera fede sono disposto ad ottemperare alle condizioni da Lei proposte. Lei riceverà tutte le indicazioni e molto di più, ma invece che leggerle sulla Lavagna ne potrà discutere personalmente con persona di grande esperienza e infallibile gusto. La affido ad un tutor della Sua stessa città, che è già stato allertato sul compito da svolgere e, grazie all'incontro personale ed al suo straordinario talento, potrà portarlo avanti meglio di me, assistendola nelle fasi difficili di un passaggio esistenziale che potrebbe essere definitivo. Le invierò i recapiti con posta personale e Lei non dovrà fare altro che contattarlo. Da quel momento, sarà lui a indicarLe cosa fare, come e quando. In ogni caso, avrà avuto la possibilità di incontrare una persona di assoluto interesse, che Le farà toccare con mano l'importanza che le frequentazioni artigiane possono avere per un uomo. In bocca al lupo. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-12-2004 Cod. di rif: 1820 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lettera ad un vero Rettore Commenti: Immenso Dante, rileggo per la seconda volta il tuo intenso studio sulla maglieria e sono contento che si tratti solo della prima puntata. Si tratta infatti di un vero capolavoro non solo nel merito, non solo nella forma, ma anche nei metodi. Riscontro infatti come la tua missione di Rettore cominci ad influenzare la tua penna ed il tuo spirito e lo indirizzi all'alta missione di elevare gli altri più che elevarsi con quella vanità che anche la sapienza può talvolta nascondere. Nel tuo brano si avverte il lavoro di studio e lo si desidera come il vero mezzo che ci avvicina alle cose. Queste aree meritano sempre più pienamente il nome di scuola o di Accademia che talvolta le attribuiamo e non posso che sperare che nella mia opera dispersa in queste lavagne, taccuini eccetera, tali principi si avvertano anche solo la metà di quanto si leggano nelle tue elaborazioni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-12-2004 Cod. di rif: 1822 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Storia e leggenda - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, la storia, che non sapevo fosse stata pubblicata, vuole che il pellame che ho illustrato nei Taccuini nn 1334 e 1336 abbia giaciuto un secolo o giù di lì sotto il mare. Una volta recuperato, trovatolo in condizioni ancora plausibili, venne donato dal Principe di Galles alla New & Lingwood e da questa sottoposto a un lungo trattamento per estrarne il sale. Tutto ciò avveniva una quindicina di anni fa, ma una parte non era andato all'asta e venne offerto a clienti privati, tra cui il coraggioso Socio di cui non faccio il nome. IL paio in questo Cuoio di Russia effettivamente straordinario gli venne venduta al prezzo non confortante di tremiladuecento pounds (circa cinquemila dei nostri scudi), che io sappia il più alto pagato per una scarpa non realizzata in coccodrillo nano albino della Mosella o dipinta a quattro mani da Van Gogh e Leonardo. Ho parlato di questa vicenda con Chicco Giay Arcota, presidente della ILCEA, la più importante conceria del mondo per i pellami per calzature di alta qualità e lui si è mostrato scettico sulla veridicità della vicenda, ma è anche vero che le scarpe sono famose per creare intorno ad esse la leggenda. Quindi noi ci crederemo, perché una bella storia lo merita. Dopo aver pubblicato le foto della sua scarpa, ho telefonato a Cleverley ed ho saputo che dispone ancora di Cuoio di Russia sufficente alla realizzazione di qualche paia di capolavori. Avrà notato che la sua armoniosa modellistica si coniuga ad una lustratura semplicemente perfetta, con una luminiscenza vitrea estesa sino al tallone. Non credo che oggi si possa esibire al mondo qualcosa che possa stare al pari con questo prodotto e sfiderei chiunque, anche addetti ai lavori, a battere in bellezza la demi-brogue illustrata negli Appunti citati. I prezzi di Cleverley sono molto più contenuti, ma vanno tenute in conto due misure e i conseguenti viaggi. Ho aspettato molto tempo per rivelare questo piccolo segreto, ma è giunto il tempo che i lupi escano dai boschi e si rechino alla Royal Arcade n. 13 (Old Bond Street). Sarò più preciso in una scheda del Portico dedicata a questa prestigiosa manifattura, che redigerò appena il nostro agente 00Carnà tornerà con altro materiale fotografico, atteso che quello in mio possesso è insufficiente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-12-2004 Cod. di rif: 1824 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Coscritti e veterani - All'Agente 00Carnà Commenti: Prezioso Cavaliere ed ora Agente a Londra, la Sua rischiosa missione si rivela proficua. Non nutriamo per ora molte speranze sul cappello, dove gli indirizzi sono un po' "sfruttati", ma i risultati sulla scarpa sono molto positivi. Se non l'avesse già fatto, tra gli altri dati raccolga da Mr. Glasgow quelli relativi ai prezzi attuali del pronto e del bespoke., poiché quelli che ho io risalgono a quasi due anni fa e in una scheda dovremo puntualizzarli con precisione. Se possibile, raccolga anche qualche dato sulla provenienza e disponibilità del Cuoio di Russia e cioè se esista ancora qualche conceria in grado di replicarlo o - come ritengo - si lavora solo sulle riserve. Non avevamo dubbi che un materiale così potente spaventi le truppe di coscritti, ma i veterani sono un'altra cosa ... ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 08-12-2004 Cod. di rif: 1826 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Russian Calf Commenti: Egregi Signori, nei gessi precedenti ritengo che facciate riferimento al naufragio e poi al recupero del carico della nave “Metta Catharina”; al riguardo sono reperibili in Internet molti documenti (testi ed immagini) utilizzando semplicemente come chiave di ricerca il suddetto nome. Esiste anche un libro inglese specificamente dedicato a questa storia, del quale l’eventuale interessato potrebbe iniziare a leggere il seguente breve estratto: From Plymouth Sound to Petworth House - conservation using salvaged Russia leather from the wreck of the Metta Catharina On December 10th 1786 a strong gale blowing from the southwest forced the Danish brigantine, the Metta Catharina, to seek shelter in Plymouth Sound. She had been bound for the Mediterranean with a cargo of hemp and leather from the Russian port of St. Petersburg. By 10 o’clock that night a full gale caused her to break free from her anchor. The Catharina struck Drakes Island and was blown towards Mount Edgecumbe before sinking on the Cornish side of the Sound. The crew got ashore but the cargo was lost until 200 years later. In 1973 divers from the Plymouth Sound branch of the British Sub-Aqua club found and identified the wreck (Fig. 1). Investigation revealed bundles of hides on the sea bed, remarkably well-preserved after two centuries of immersion in black mud. The hides had been tanned in the traditional Russian way, soaked in pits with willow bark and birch oil. Most had a cross hatched grain embossed by hand. The same diced grain can be seen on contemporary upholstery and book bindings, the “Russia” leather being renowned for its ability to resist water and repel insects. Conservation at Petworth House 2002 Two hundred years later the retrieved leather has been employed in the conservation of an eighteenth century wooden chest covered with mid brown Russia leather. The chest, which is decorated with metalwork bands, coronets and dome headed nails, had passed by descent to Lord Leconfield at Petworth House, and thence to the National Trust. From: Garbett G. and Skelton I. - “The Wreck of the Metta Catharina” - Truro, 1987. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-12-2004 Cod. di rif: 1828 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Da Via Filangieri a Via Veneto Commenti: Il maestro Gianni Marigliano ci comunica che il suo ciclo di visite a Roma continua ed anzi conclude l'annata 2004 con una giornata speciale. Lunedì 13 Dicembre porterà una parte del suo staff tecnico e dalle 12.30 alle 19.30 all'Hotel Flora riceverà gli appassionati ed offrira non solo qualche specialità gastronomica partenopea, ma soprattutto una dimostrazione di alcune lavorazioni artigianali. Sinora coloro che hanno partecipato a questi blitz del giovane sarto di Via Filangieri ci hanno mostrato grande apprezzamento e così segnalo ancora una volta questa succulenta possibilità. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-12-2004 Cod. di rif: 1834 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La Civiltà della Sottrazione - Al sig. A. Longo Commenti: Egregio Longo, Venerdì si terrà riunione della Guardiania di Porta dell'Abbigliamento. Tra i primi sforzi che essa compirà, figurerà una grande esplorazione del mondo tessile che offra sinteticamente le basi per comprendere i temi fondamentali, tra cui le sottili differenze tra titolo del filato, spessore della fibra e peso del tessuto, il tutto alla luce dei principali parametri di comfort. Per non duplicare gli sforzi, ci riserviamo di rispondere ad alcuni interrogativi approfittando del fatto che il Suo gesso non li pone, ma li presuppone. Nella corsa alle fibre sottili non c'è solo desiderio di leggerezza, in quanto alla fine un tessuto da filati Super 180'S può pesare quanto e più di un tessuto da filati Super 130'S. Il fatto è che si sta diffondendo il cancro del lusso, le cui cellule mutanti e sempre bisognose di nuove mutazioni attaccano gli antichi tessuti di cui era composto l'organismo della cultura del bello, in gran parte di origine maschile. Il lusso fu ben altra cosa, ma oggi è da temere come una piaga. Mi sono rifiutato di presenziare alla Fiera del Lusso, Kermesse patinata che si tiene da un paio di anni a questa parte, trovando che questo stesso nome sia di una perversione diabolica. C'è poi sullo sfondo la pressione ideologica di quella che abbiamo chiamato l'era del caffè decaffeinato (vedi Porta dell'Azione, gesso n. 58, che abbiasi qui per riportato), nella quale molte cose hanno perso la radice prima, quella che le avevano giustificate e generate. Si tende ad un tessuto senza peso come si tende ad un prosciutto senza grasso e ad un dolce senza zucchero. Questa civiltà della sottrazione trova noi cavalieri immobili sulla sponda opposta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-12-2004 Cod. di rif: 1840 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una piccola rivelazione - Al prefetto Liberati Commenti: Incrollabile Prefetto Liberati, altre volte mi hanno chiesto chi fosse l'autore di alcune mie giacche ed io ho quasi sempre tergiversato. Il mio guardaroba è composto da lavori di almeno sette diversi sarti e un numero ancora superiore di pantalonai. Credo che sia così per tutti i grandi appassionati che abbiano una lunga militanza, in quanto la monogamia è in questo campo insostenibile, se non limitante. Parlare di un sarto può quindi innanzitutto attribuire meriti ingiustificati, in quanto relativi a capi confezionati da altri. In secondo luogo il sarto non può molto se il cliente non sa quello che vuole, non sa spiegarlo, esigerlo e all'occorrenza - cosa sommamente difficile - rinunciarvi appena dovesse accorgersi, dall'impostazione delle prime prove, che non sarà più possibile realizzarlo. E' in questa fase della rinuncia che si distingue il vero competente, così come il gran giocatore si distingue nella perdita più che nella vincita. Infine i migliori sarti sono oggi incostanti nel rendimento, cosa che ha dei motivi precisi, di cui per ora preferisco non parlare. Io non consiglio un sarto o l’altro, ma dire che mi sono servito di uno piuttosto che di un altro indurrà inevitabilmente qualcuno a credere che io lo abbia fatto. E quando poi, recandosi dallo stesso sarto senza i giusti presupposti, avrà ottenuto un risultato ben difforme da quello che si aspettava, ebbene allora questo ignoto signore potrebbe ritenermi un millantatore, un banditore, un chiacchierone. Tutto ciò premesso, ad un Prefetto dell'Ordine non posso negare una risposta chiara e quindi ti rivelerò che la giacca dell’Appunto n. 299 è stata confezionata dal maestro Domenico Pirozzi di Via Chiaja in Napoli. La linea delle spalle è identica a quella della giacca illustrata in allegato all’Appunto n. 72, sull’ombrello a spillo. Il maestro mi ha chiesto di non pubblicare il suo numero di telefono, ma nell’ambito dei cavalieri non ti sarà difficile reperirlo. Nel caso, contattalo a nome dell’Ordine, presentandoti con la tua carica. Io lo saprò ed interverrò nei modi opportuni. Cavallerescamente Giancarlo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-12-2004 Cod. di rif: 1846 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tessuti da smoking - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, la raccolta di immagini che ha dedicato allo smoking è notevole per originalità e coerenza ed è certo molto istruttiva. Ai tessuti che ha indicato per la confezione di questo difficile capo aggiungerei la flanella, naturalmente da lana pettinata. Con i filati più raffinati essa raggiunge straordinarie lucentezze, adatte alla bisogna, ma ha una grazia nel drappeggio che conferisce un fascino particolare. Per uno smoking invernale non avrei dubbi. Guardando le foto del principe de Curtis e di Bond sembra di vedere, proprio dall'"atteggiamento della stoffa, che essi vestirono lo smoking di flanella. Nella foto in cui De Sica prova dal sarto, non si possono avere dubbi: il Nostro, che di fascino se ne intendeva, preferiva questo tessuto. Per un raffronto, si guardi il diverso effetto, più "fisico" e scattante, del mohair di Dapporto. Oggi le flanelle più raffinate hanno raggiunto pesi pari o inferiori a quello della barathea, ma nonostante ciò credo che sia improponibile utilizzarle in estate. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-12-2004 Cod. di rif: 1848 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Flanelle e teroria del light-weight - A C. Pugliatti Commenti: Egregio professor Pugliatti, che io sappia, la flanella bianca non esiste più in commercio, anche se non presenterebbe difficoltà farne realizzare una pezza. Non figura in nessun campionario del mondo, eppure appare impossibile pensare ad un abbinamento più squillante e gioioso di un blazer in saglia leggera, con bottoni oro, su un paio di pantaloni di flanella bianca. Proprio ora che tutti credono di essere liberi, di poter stupire, accade che quanto sia in grado veramente di colpire l'immaginazione venga considerato un estremismo. I significati fanno paura, perché non sono alla portata di chiunque e come tali per nulla democratici. Una flanella bianca, come tante altre "voci" del linguaggio del vestire, appare quindi un elemento "politically uncorrect" e archiviato, per evitare problemi, anche da chi ne conosca il senso, il luogo ed il valore. Per mettere tutti in grado di comunicare, questi strumenti sofisticati vengono sostituiti da qualcosa di più superficiale: i riferimenti ad uno stile, le citazioni di un personaggio, le tendenze del momento. Queste lavagne, come l'intero castello, vogliono offrire un porto in cui fare una scorta di sicurezza e di conoscenza tale da permettere, a chi lo voglia, di navigare i mari più solitari, dove si incontrano pochi navigli e pochi scali. Quanto ai pesi, la flanella moderna è certo più leggera di quella dell'epoca da Lei investigata. Si sono raggiunti pesi tra le otto e le nove once, cioè pari a quelli dei tessuti estivi, ma il loro successo non è collegato alla bella stagione, ma al desiderio di leggerezza e flessibilità in quelle intermedie. L'occhio, infatti, non è più abituato a leggere questo tessuto come estivo. A questo proposito, chiedo l'aiuto del Rettore per un intervento sui pesi e usi delle flanelle negli ultimi decenni. Quanto al paragone tra le abitudini degli anni trenta e quelle odierne, è ovvio che c’è qualche milione di impianti di aria condizionata di mezzo, ma il discorso non è così semplice come lo si propone. La verità è che la praticità, cui oggi si da una tale importanza da farla sembrare una discriminante necessaria, era all’epoca subordinata a moltissimi altri valori, estesi tra due poli opposti. Da un lato figurava l’economia, in quanto le possibilità di acquisto erano infinitamente più limitate e si dovevano sostenere più situazioni con uno stesso strumento. Dall’altro figuravano le convenienze sociali e il loro prodotto più nobile: l’eleganza. Apparire fashonable meritava qualsiasi sacrificio, anche sul piano fisico. Questo piano fisico di sfida, di accettazione di piccole e grandi sofferenze, era scontato nella mentalità virile a tutti i livelli, mentre oggi lo si sta confinando nelle palestre. I nostri nonni soffrivano eccome, anche senza effetto serra. Solo che una specifica attrezzatura psicologica permetteva loro di non darlo a vedere. Oggi vediamo nella pesantezza non più una garanzia sottintesa di durata, valore, stabilità, ma semplicemente il contrario della leggerezza e così, poiché questa è posta all’apice della scala di valori, dall’alimentazione all’abbigliamento tutto tende al light-weight. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-12-2004 Cod. di rif: 1853 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sobrietà e Felicità - Al signor Bellucci Commenti: Egregio signor Bellucci, la Sua scelta di vita e di abiti è alquanto sobria, esattamente come ci si aspetta da un giovane di quest'epoca sobria. A noi vecchi sileni resta il culto dell'ebbrezza e quindi di un certo estremismo che l'esperienza, una vaga sapienza e un buon pizzico di ossessività hanno reso metodico, ma non statico. E' buffo pensare che l'entusiasmo inestinguibile di più uomini, tale da mettere insieme un lavoro di questa portata, possa dare l'impressione di reprimere o trascurare la felicità. Se si riferisce ai limiti che ci si impone nel classico, Le ricordo che sono proprio le privazioni a donare l'estasi. Non voglio fare paragoni coi Santi, ma solo offrirle un argomento di meditazione. Quanto alle cose che ha letto, non si può dire che abbia rubato alcunché. Tutti i testi sono disposti in un formato copiabile, perché il nostro lavoro non è quello di una setta che persegue un obiettivo privato, ma un laboratorio che ha uno scopo di civiltà. Come tale, presuppone la comunicazione dei risultati e il confronto dei metodi. Ci terrei che rileggesse tutto quanto ha già letto, per vedere se ci sia stato un solo punto, un solo rigo tra decine di migliaia in cui da parte mia o di altri Soci si sia fornito un consiglio non richiesto. Noi non dettiamo le nostre regole, ma ricerchiamo quelle di una lingua che per alcuni è morta e che per noi può essere parlata ed aggiornata, purché compresa nei termini e nei costrutti grammaticali. E certamente non diamo consigli, se non in quanto ci sia chi li chiede. Quando verrà a Napoli, me lo faccia sapere. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-01-2005 Cod. di rif: 1856 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Praticità, necessità ed estetica - Al sig. Zaccaro Commenti: Egregio signor Zaccaro, il Suo piede cavo è un oggetto di studio di estremo interesse, in quanto propone quell'intersezione tra necessità ed estetica che reca spesso alla regione del "su-misura". Quando due valori o due persone stanno bene insieme, la coppia che formano ha una personalità sua, differente dai componenti singoli. Questa unione tra l'opportunità di rispondere ad esigenze fisiche e la ricerca del bello, è feconda di risultati e spesso ha generato fogge divenute classiche. Possiamo infatti ragionevolmente pensare che il Duca di Windsor abbia pensato alla giacca a V per migliorare le sue spalle, ma il lavoro che fece divenne un patrimonio dell'umanità. Sta invece diventando sterile un altro matrimonio che fu importante, quello tra estetica e praticità. Quest'ultima, idolatrata senza senso critico, ha assunto talmente il sopravvento da lasciare il partner nell'angolo. In tal modo essa non si combina e non genera nuove figure. Il Suo problema non è comunque alla mia portata e richiede competenza profonda nella fisiologia del piede e sue necessità. Interverrà pertanto il Maestro Bruno Peron, nostro Socio da molti anni, calzolaio tra i più bravi, Fornitore dell'Ordine e - ciò che qui conta ancora di più - specialista in piedi difficili. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-01-2005 Cod. di rif: 1865 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tasche sul tweed - Al sig. Poerio Commenti: Egregio signor Poerio, se si tratta della Sua prima giacca del genere, faccia tagliare le tasche dritte ed a filo. Anche se sui tessuti rustici molti preferiscono le tasche applicate o inclinate, quelle tagliate sono più compatibili con usi cittadini e in definitiva meno appariscenti. Ideali insomma per un capo-base quale sembra essere quello cui sta lavorando. Aggiunga a destra il ticket pocket e pretenda pattine belle alte, intorno ai sei centimetri. Ci faccia sapere. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 21-01-2005 Cod. di rif: 1871 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Commenti: Buonasera , ho letto le osservazioni e i commenti riguardanti la resa alla confezione dei tessuti ottenuti utilizzando fibre dal micronaggio elevato .In particolare quelli che si identificano principalmente con la produzione della Loro Piana e poi via via con quella dei suoi seguaci , adepti , o emuli industriali . Non ho nessuna perplessità in merito : sono assolutamente da evitare se , come a volte nel mio caso , non si vuole rischiare di indossare l'abito ( o la giacca ) meno di due,tre volte , per poi riporlo sconsolatamente , mortificato lui e voi, in cabina armadio e dimenticarlo. Purtroppo a volte l'errore è indotto da un colore o una fantasia del tessuto ( in questo, a volte, li disegnatori della Loro Piana sono molto bravi ) di cui ci si invaghisce ,ma è poi la vestibilità dell'abito una volta confezionato che non si rivela all'altezza delle aspettative e le vanifica.Questo purtroppo sempre . Lo stesso Caraceni non nascondeva la sua insofferenza a Sergio Loropiana ogni volta che assumeva l'incarico di tagliargli e confezionargli un' abito con il "famigerato" tasmania . Ritengo quindi che non debbano esserci perplessità o tentennamenti in proposito : sono tessuti costruiti con materiali nobili , fibre finissime , con costi elevati di produzione ( assolutamente giustificati ) e dal prezzo finale elevato , destinati a non soddisfare ,mai ,chi ama vestire in un certo modo .Saranno invece sempre uno status per chi ha bisogno di simboli per sottolineae il suo stato sociale .Potere del marketing ! Se mai dovessero omaggiarvi di un taglio per un' abito il mio consiglio è : regalatelo ! Con tutta l'ammirazione il rispetto per un'azienda come la Loro Piana per quanto ha saputo realizzare nell'ultimo ventennio in termini d'impresa ( immagine e risultati ). Gentili ossequi a voi tutti. Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 24-01-2005 Cod. di rif: 1875 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Loro Piana - tessuti Commenti: buonasera , in merito al disorientamento del Signor Franco Foni tengo a chiarire che la qualità dei tessuti di Loro Piana , intesa come il risultato dell' impiego di materie prime ( fibre - filati ) , metodi di tessitura e finissaggio è di standard in assoluto tra i più elevati oggi al mondo . Ne consegue che i prezzi dei tessuti Loro Piana sono , come ho avuto modo di dire , altrettanto assolutamente giustificati ; quello che invece mi interessava precisare era il mio modestissimo parere sulle difficoltà che i sarti ( Caraceni compreso )incontrano nella confezione dei medesimi , ed in particolare esternare il mio punto di vista , purtroppo ,sulla resa finale .Per " resa " intendo il contributo dato dalla stoffa al risultato finale , in che misura lo influenza , in sintesi quanto riesce , o meno , a soddisfare , piuttosto che vanificare, l'impegno del sarto ,nonchè deludere le aspettative del cliente ( quello attento ).Poi, e in particolare quando si parla di abbigliamento ,tutto è estremamente soggettivo e ognuno è libero di pensarla e di abbigliarsi come crede , ci mancherebbe. Io resto fedele ai 400 grammi al metro (e anche qualcosina in più ) , possibilmente di "mano" piena e sostenuta . Cordialità . N. Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 27-01-2005 Cod. di rif: 1879 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Loro Piana - tessuti Commenti: buongiorno , constato che le mie riflessioni dei giorni scorsi sui tessuti di Loro Piana hanno incontrato consensi ma anche sollevato commenti sul contenuto dei quali non posso essere in totale sintonia . La mia voleva essere solo un' opinione , personale e soggettiva , su un certo tipo di prodotto così come può capitare di esprimere opinioni conversando tra fedeli appassionati dell'abito sartoriale e dell'abbigliarsi in genere . Questo in un contesto in cui , trattandosi appunto di abbigliamento , la "sega mentale" ( se mi è consentita questa espressione non del tutto formale ) non solo è d'obbligo ma è libera di ...galoppare all'infinito . Certo , alcuni , come me , trovano inadatti o poco sofdisfacenti questi tessuti e non ne fanno uso , ma arrivare a definirli quasi degli "straccetti" mi sembra eccessivo .Stiamo in definitiva parlando del risultato di una strategia di prodotto che i fratelli Loro Piana perseguono con successo esponenziale da anni e che ha consentito alla loro azienda ( azienda italiana ! ) di arrivare ad essere conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo per la qualità e l' eccellenza dela sua produzione , vantando peraltro una clientela che in questi prodotti trova motivo di soddisfazione per le sue esigenze e che , proprio per questo ,la pensa in modo diametralmente opposto al mio . Da quanto leggo sembrerebbe quasi che tutta la produzione Loro Piana sia da non prendere in considerazione ; questo non posso condividerlo assolutamente!!, e , in particolare , se certe prese di posizione ( come mi sembra di capire )dipendono dall'aver ricevuto qualche pezza fallata o , peggio ancora , dalla speranza disillusa di essersi guardati allo specchio vestiti di un'abito in Tasmanian senza vedere riflessa l'immagine di un Gary Grant piuttosto di quella di un Sergio Loropiana ( come è capitato anche a me ! ). Per quanto riguarda i falli o la difettosità , chi produce o vende o comunque tratta stoffa , sa perfettamente che bisogna avere un minimo di tolleranza ( in un metro di tessuto si incrociano intrecciandosi infinite volte più di 3000 fili con quasi altrettante trame ! )e qualche fallo può scappare anche a chi controlla per professione centinaia di metri al giorno per evitarlo , mentre , per quanto riguarda l'immagine allo specchio , bisogna anche capire che non tutti hanno l'appeal ,o lo charme , piuttosto che il phisique du role di un Gary Grant o dello stesso Sergio Loro Piana ( elementi questi che condizionano la resa finale dell'abito tanto quanto il tessuto e lo stesso sarto , se non di più in alcuni casi! *** ) , e quindi cercare di essere un pò più indulgenti , ...specie verso se stessi . Concludo dicendo che c'è tutta una serie di prodotti Loro Piana ( maglieria , camiceria , giubbotteria , ma anche tutta la confezione più assimilabile alla giacca e al pantalone che merita di essere apprezzata per il buon gusto ed in particolare per il fatto - altra opinione personale - che non segue le tendenze della moda più esasperate , ma piuttosto rifacendosi ed evolvendosi secondo uno stile fatto di sobrietà moderna anno dopo anno . Tutto questo nel rispetto di una certa tradizione , altro aspetto importante ). Scusandomi per essere stato più prolisso del solito saluto tutti ossequiosamente . Nanni Boggio *** il richiamo per fare un esempio pratico in merito a quanto sostengo : monsieur Taittinger ( vedasi rif. 1414 e rif.1413 taccuino dell'abbigliamento )che vesta un abito realizzato in tasamanian piuttosto che in herringbone twill difficilmente potrà , guardandosi allo specchio , vedere qualcosa di diverso ,o di insolito da quanto vede abitualmente :vedrà infatti solo e sempre se stesso , ritenendo , ahimè ! ,di non avere nessun motivo per ricorrere all'indulgenza nei propri confronti . Io mi chiedo sempre come sia possibile che l'Avvocato Maresca vedendolo comparire con quella cravatta ( e quella camicia !!! ) abbia ritenuto il caso di portarlo prima da Maurizio Marinella e poi da Rubinacci , non era il caso di consigliargli un barbiere prima ? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 27-01-2005 Cod. di rif: 1880 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Commenti: ... chiedo scusa ma qualcuno mi dia conferma ,cortesemente , la camicia di monsieur Taittinger era proprio marrone come sembrerebbe , oppure è il risultato sviante dell' immagine a video ?? E secondo voi la cravatta era in tono ? con la camicia e il vestito e i capelli ? Ma se non era marrone di quale altro colore poteva essere ?? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 27-01-2005 Cod. di rif: 1882 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Commenti: Egregio Signor Pugliatti non posso che essere solidale con lei per quanto afferma . Cordiali saluti Nanni Boggio cordiali saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 27-01-2005 Cod. di rif: 1884 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Rispondo al Signr Lorezo Villa Commenti: Gentilissimo Signor Villa , la ringrazio per le sue precisazione e per il tempo che mi ha dedicato . Premesso che qui si sta disquisendo di abbigliamento , io nello specifico do , credo quanto lei , molta importanza al rispetto della tradizione e allo stile . Ora abbiamo tutti purtroppo modo , in alcune occasioni , di constatarne la mancanza ; per quanto mi riguarda , pur non restando indifferente , cerco , in queste occasioni , di mantenere un certo distacco trovando inelegante l'intransigenza di giudizio in un campo in cui nessun è depositario della verità e in cui la "sega mentale" spadroneggia in lungo e in largo . Vado quindi avanti per la mia strada lasciando che gli altri percorrano quella che nelle loro convinzioni ritengono sia la migliore ( ripeto : stiamo parlando di abbigliamento , non di morale piuttosto che di principi o di educazione ). Trovo quindi che esprimere opinioni troppo intolleranti ( di fuori di un certo contesto ) nei confronti della libertà altrui sia disdicevole e non aiuti un granchè quello che comunemente identifichiamo con il termine "stile" ; quando mi capita di farlo , come in questo caso , cerco di essere il meno drastico possibile non ritenendomi assolutamente depositario di nessuna , nemmeno mezza , verità e pur continuando ad avere le mie "quasi" certezze . In apparente contraddizione a quanto affermo , mi sono permesso di esprimere un giudizio sull'"insieme" di monsieur Taittinger solo dopo averne constatata la spocchia , la maleducazione , l'ineleganza ( in questo caso mi riferisco a quella interiore e quindi ben più riprorevole di quella imbarazzante in cui si può cadere indossando una camicia marrone e che monsieur Taittinger ritengo abbia nel suo dna ) leggendo il suo articolo colmo di ironie sprezzanti su Napoli e sull'Avvocato Maresca . Per cui la lascio rispettando molto la sua opinione in merito alla maglieria di Loro Piana ma non condividendola nel modo più assoluto . Sobriamente la saluto con simpatia . Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 28-01-2005 Cod. di rif: 1885 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: L'abbigliamento e i principi Commenti: Gentilissimo Signor Boggio, non vedo dove siano state espresse opinioni intolleranti. Di certo Loro Piana non scomparirà con la violenza. Lei parla di intransigenza: Intransigenti lo siamo con noi stessi, prima che con gli altri. Qua non si vuole insegnare niente a nessuno, ma trovare se stessi, e nello specifico trovare se stessi nell'abbigliamento, e nelle altre 8 porte per ora definite; gli altri sono tutti liberissimi di fare quello che vogliono; noi però dobbiamo essere liberissimi di dire quello che pensiamo di Loro Piana, e cioè che ha diretto la propria produzione verso una larga scala inseguendo il gusto effimero della moda. Dopodichè ognuno faccia quello che vuole. Egregio Signor Boggi, qui si parla di abbigliamento, QUINDI di morale, QUINDI di principi, QUINDI di educazione. Nel momento in cui Lei astrae l'abbigliamento dal resto, si producono i Loro Piani, che non è certo il peggio; perchè ovviamente c'è molto di peggio. Come vede, nessuno qua ha sprecato fiato per produrre giudizi su Taittinger; sebbene ne pensiamo lo stesso e forse peggio; meglio affermare se stessi, invece di negare l'altro. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 28-01-2005 Cod. di rif: 1886 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Commenti: Gentilissimo Signor Giona Granata , pur con qualche perplessità , capisco che la passione per l’abbigliamento si può coltivare attribuendole contenuti e significati che vanno oltre all’apparenza . Sono certo che la sua pazienza la porterà ad indulgere su qualche piccola stravaganza di pensiero in proposito . Spero non se ne dolga se le porgo i miei saluti con sincera simpatia .Cordialità . Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 28-01-2005 Cod. di rif: 1887 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Abbigliamento e principi Commenti: Gentilissimo Signor Boggi, non vorrei che il mio intervento Le fosse sembrato oltremodo aggressivo, in quanto voleva solo essere veemente. Auspico anzi che questa civile ed interessante discussione possa continuare, nel pieno rispetto delle divergenti opinioni. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-02-2005 Cod. di rif: 1892 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori d'Eleganza appuntamento a Bologna per il 9 p.v. Commenti: Cavalieri, Visitatori, il 9 Febbraio alle opre 12.30, presso il negozio del nostro Rettore in Bologna, riparte in grande stile un nuovo ciclo dei Laboratori d'Eleganza. L'impostazione pratica permetterà di elevare in modo massiccio e definitivo la competenza degli intervenuti in materia di sartoria. Durante l'anno, vedremo in puntate bimestrali tutte le fasi di lavorazioni di una giacca, che nascerà dalle mani dell'artigiano direttamente sotto i nostri occhi. Prima le misure ed il taglio; poi l'applicazione delle tele e le lavorazioni preparatorie alla prima prova; poi lo smontaggio e rimontaggio per la seconda prova, con applicazione delle fodere; poi la messa a punto del lato basso, gli eventuali ritocchi e l'applicazione delle maniche e bavero; infine la stiratura. Dopo aver esaminato le differenze stilistiche, potremo ora comprendere le tecniche che ci sono dietro certi effetti e certi dettagli. Non ci risulta che esistano altre organizzazioni che si interessano dell'abbigliamento maschile al punto da farne motivo di studi, eventi, riunioni. Il Cavalleresco Ordine organizza da anni, coi Laboratori di Eleganza, degli appuntamenti dove è possibile incontrare veri appassionati e professionisti del settore senza trovarsi in un mercato, ma piuttosto in un'Accademia. Scorrendo la pagina degli Eventi, si vedrà con quali nomi e da quanto tempo l'Ordine ha lavorato per approfondire e difendere il punto di vista virile sull'abbigliamento. da tempo ci si incontra a Bologna, con cadenza bimestrale, per parlare di sartoria. Riparte ora un nuovo ciclo, che durerà per tutto il 2005 e sarà la conseguenza dei precedenti. Dopo le discussioni teoriche, eccoci all'attesissimo momento pratico, in cui le conoscenze stilistiche si confronteranno con la costruzione effettiva dell'abito e dei suoi dettagli. Dal 9 Febbraio e sino ad esaurimento del programma, lavorerà con noi e per noi un artigiano di incomparabile perizia: Domenico Pirozzi. Nato a Casalnuovo, patria di grandi sarti, il Maestro lavora a Napoli per una selezionata clientela. Giovane e spiritoso, tecnicamente non teme confronti ed è in possesso di tutte le tecniche più sofisticate della tradizione napoletana. Dopo averne detto così bene, per evitare fraintendimenti non gli faremo pubblicità e non dichiareremo né il suo numero di telefono, né l'indirizzo, ma potete vederlo in foto accanto al Gran Maestro, suo vecchio cliente. (La didascalia della foto dirà: D. Pirozzi ed il G.M.). In questo nuovo ciclo vedremo nascere l'abito davanti ai nostri occhi, come in un film ad episodi. Naturalmente la moviola rallenterà nelle parti più importanti e spesso si fermerà, permettendo a ciascuno di portare la propria esperienza personale, di chiedere il perché, il se ed il quando. Lo scopo è quello di mettere l'appassionato di sartoria in condizioni di intervenire saggiamente nella richiesta di un abito al proprio sarto, senza perdere il proprio e l'altrui tempo e cercando di ottenere il massimo in senso relativo ed assoluto, cioè il meglio per se stessi ed il meglio che sia realizzabile. Manca infatti una sufficiente diffusione di una conoscenza tecnica sulla costruzione del capo che permetta di distinguere il difetto dall'errore, il bello dal perfetto, il costoso dal buono. In cinque puntate, durante il 2005, cercheremo di organizzare l'esposizione verbale e lo show manuale in modo da fornire a chi intervenga una conoscenza organizzata, che aiuti a capire ciò che piace, perché piace e come ottenerlo. Tutti i veri appassionati sono invitati e con essi i Maestri Sarti che vogliano contribuire a quest'opera culturale. Nel primo appuntamento partiremo dalle misure e arriveremo al taglio. Innanzitutto si comprenderanno quali misure prende il sarto e perché. Poi si vedrà praticamente come esse si trasformano in un piano, che a sua volta diventerà un volume, affrontando anche i problemi geometrici che già in questa fase rivelano con la semplicità dell'evidenza le differenze stilistiche tra impostazioni diverse e l'origine di alcuni errori o caratteristiche. In questa edizione interverrà, con giornalisti e fotografi, una rivista tedesca del mondo maschile interessata al lavoro dell'Ordine ed in particolare ai Laboratori. Già lo stesso fece la rivista francese Dandy, che pubblicò un bel servizio sull'Ordine, illustrato con foto scattate dal nostro Socio Gianluca Ardizzoni in occasione di un Laboratorio del 2004. Potete predere visione del pezzo all'indirizzo: http://www.noveporte.it/rassegna/dandy_fr.htm . ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-02-2005 Cod. di rif: 1894 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Preda dei venti - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, nella foto cui si riferisce, in cui appaio (e sfiguro) accanto al Cavaliere Vittorio Cozzolino, indossavo una cravatta realizzatami su misura da Marinella. Stampata a piccoli disegni pied-de-poule blu e bianco, ha due interni leggerissimi e grazie alla seta foulard di basso peso, alla sagoma a bottiglia, alla gamba da 7,5 cm priva di fodere, resta vaporosa preda di ogni movimento o soffio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2005 Cod. di rif: 1898 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: British style Commenti: Egregio Villa, anche la giacca più eloquente è comunque uno strumento nelle mani di un musicista. Certo, ci sono i violini delle industrie nipponiche e quelli dei liutai cremonesi, oggetti freddi e muti o cose rese praticamente viventi dall'arte, ma solo attraverso la mano del musicista se ne esprimerà la personalità, il suono peculiare. Lei ha visto della giacca tutto quello che c'era da vedere, ma ciò che l'ha colpita era certamente nel signore che la indossava. Ciò che rende ammirevole lo stile sinceramente inglese è la sua distrazione. Noi italiani siamo domatori di leoni. Ci piace l'atmosfera del circo e per meritare un applauso tendiamo ad indossare nel modo più appariscente la giacca più pericolosa. Dobbiamo sempre tenerla d'occhio, perché non ci morda appena le voltiamo le spalle. L'inglese di educazione classica tende ad accompagnarsi a bestie tranquille e se ne dimentica, guardando in tutt'altra direzione. Questo distacco ci appare il segno di un potere superiore e in effetti lo è, ma il trucco è nel rapporto con le cose, in cui la vanità non interviene mai in modo diretto ed è costretta a muoversi al di sotto della superficie, dove resta percepibile eppure invisibile. Come Le dicevo nella mia posta, ho redatto un pezzo per il prossimo MONSIEUR proprio sullo stile inglese. A questo punto, poichè la rivista sta forse uscendo oggi stesso, l'occasione è troppo ghiotta e non rimanderò la pubblicazione di questo elaborato, che in sede di commento alla Sua esperienza è particolarmente pertinente. Troverà familiari molti concetti, che hanno esordito proprio da queste Lavagne. Purtroppo, avendo consegnato il pezzo in ritardo, per rispettare gli spazi rimasti la redazione me lo ha rifilato di parecchio. La cosa per la verità accade molto di rado. Tra articoli firmati e sotto pseudonimo ho scritto per le pagine di MONSIEUR (quindi esclusi Torpedo ed altre testate della casa editrice) cinquantacinque articoli, sempre superando il numero di caratteri affidatomi e quasi mai vedendoli ridurre. In questa occasione, la versione che leggerà qui in calce è decisamente più vasta di quella che vedrà, ben completata dalla scelta di immagini, prima sulla rivista e poi nel nostro Florilegio. Lo consideri parte integrante della mia risposta. __________________________ LO STILE Ciascuno tende a ripetere costantemente alcune scelte di gusto. Un profumo, una pettinatura, un tono di voce o una certa lunghezza dei pantaloni ci accompagnano a lungo se non addirittura ci precedono, distinguendoci. Lo Stile è il luogo geometrico di queste preferenze stabili, il tracciato cui ogni atteggiamento aggiunge un punto sino alla creazione di un grafico caratteristico. Alla tastiera del gusto tutti sediamo e suoniamo in modo diverso: poche le note, innumerevoli le possibilità. Il gusto somiglia molto al nostro universo. E’ mutevole, incommensurabile e complesso, ma retto da poche leggi fondamentali. La materia solida, ben poca cosa rispetto all’immensità del nulla, gode spesso di una luce propria, che a sua volta si riflette su altri corpi. Gli esploratori di questo deserto infinito si incontrano sempre nelle stesse oasi, dove ognuno è giunto lungo una rotta solitaria. Se lo Stile è unico e intrasmissibile in quanto linea che unisce i modi individuali di vivere, il gusto, o meglio il buon gusto, trova molti d’accordo. La sua cultura si tramanda lungo le generazioni e si diffonde tra i contemporanei, creando un consenso comune su parecchi punti. Assaggiando un vino di nobili origini, tutti concorderemo nell’apprezzarlo come prodotto di gusto. Lo Stile individuale governerà poi le preferenze di ciascuno, il tempo e la quantità in cui viene goduto, insomma il rapporto personale con esso. Se immaginiamo lo Stile come grafico delle tendenze stabili, esso allora non è attributo esclusivo dell’individuo. Epoche, nazioni, riviste, aziende e squadre di calcio ne possiedono o possono possederne. Ogni compagnia telefonica è contraddistinta da un colore o da una combinazione di colori, il che rende evidente la ricerca di uno stile. E’ anche normale dire di un mobile che ha uno “stile anni cinquanta”. Anche se è stato prodotto oggi, vogliamo intendere che esso risponde al paradigma che le scelte estetiche di quel periodo hanno creato e reso riconoscibile. Lo stile di un periodo o di un'area culturale, quello che con termine più ambiguo viene detto anche moda, è contenuto ed espresso nelle fogge e nei materiali ricorrenti, possibili, prevedibili. Una giacca con baveri sottili fa pensare ai primi anni sessanta, così come una cravatta di crepe de chine, oggi impensabile, non può che risalire ai settanta, quando nel mondo maschile spirava un forte vento proveniente da Parigi. In realtà un singolo capo, ad esempio una Sussex shooting jacket dalle tasche a bisaccia, possiede una foggia, non uno stile inglese. Le fogge usuali o codificate contribuiscono poi a tracciare uno stile, che abbiamo già visto essere una linea composta di vari punti o segmenti. Nella comprensione dell'abbigliamento, l'individuazione della differenza e delle relazioni tra stile e foggia è fondamentale. Il loro rapporto è quello tra contenuto e forma, tra spirito e materia. Orbene, nel mondo maschile è impossibile muovere due passi senza imbattersi in oggetti che siano o si dichiarino di foggia inglese ed è difficile trovare una città in cui non esista un negozio all’insegna Old England, Brummell o simili. Da dove nasce questo predominio e quali sono i principi su cui lo Stile Inglese fonda il successo delle sue fogge? DA PERICLE ALLA REGINA VITTORIA La nostra visione del mondo è fondata su un complesso di parametri morali, aspirazioni individuali e collettive, concetti estetici e relazionali, che diamo per scontato, considerandolo eterno ed inevitabile. In realtà quel sistema di valutazione che chiamiamo stile di vita occidentale non è che un modello tra gli altri. Anche se risulta vincente, non è stato e non è tuttora il solo possibile e nemmeno l’unico attivo. Si evolve linearmente da venticinque secoli, talvolta dando l’impressione di ristagnare e altre volte accelerando. In certi momenti storici esprime una capitale, un luogo dove una serie di circostanze e di uomini crea il nuovo ed esercita un magistero etico che individua e legittima i cambiamenti nel confine tra bene e male che ogni progresso determina. In un certo senso possiamo dire di essere nati tutti ad Atene, ai tempi delle città-stato, quando imparammo una volta e per sempre a sopportare la democrazia come il minore dei mali possibili. Fu anche un tempo di Eroi, attraverso il cui valore individuale si riconobbe l’indipendenza del singolo, anche se non ancora di tutti i singoli. Roma, qualche secolo dopo, ci condusse in un’avventura epica ai confini delle possibilità fisiche e psichiche di un uomo che stava scoprendo la complessità della vita ed il gusto di viverla, esplorandone con metodo tutte le grandezze e le miserie. Se talvolta Roma ci appare cinica, avventata o crudele, dobbiamo pensare che quelli erano tempi di pionieri, cui dobbiamo non solo mura e acquedotti, ma la rivelazione e il primo riconoscimento dei piaceri umani: dall’arte al potere, dalla speculazione alla buona tavola. Non a caso essa fu governata nell’arena quanto in senato. Firenze, in una breve stagione, portò con l’Umanesimo la nostra razza a prendere coscienza di quel ruolo centrale già annunciato dai profeti, ma che per essere efficace nella vita civile aveva bisogno di una dimostrazione laica razionale e potente. Le ghigliottine e le Accademie di Parigi fecero in modo che la parola Libertà, sino ad allora a stento anche pensata da generazioni di servi del privilegio altrui, si potesse prima gridare dalle barricate e poi dare per scontata nel patto tra stato e cittadini. A questa fondamentale parola ne furono abbinate altre due: Uguaglianza e Fratellanza, per cui non era ancora tempo. Dopo qualche secolo, la prima è solo parzialmente realizzata e la seconda non lo è affatto. Eppure, se quei filosofi tagliatori di teste avevano ragione, da essi sappiamo quale lavoro ci aspetta e quale sia la vera via alla pace, che presentata come uno scopo autonomo e non come un risultato diviene paradossalmente una giustificazione della guerra. Ed eccoci arrivati. In attesa che se conosca o riconosca un’altra, l’ultima capitale dell’umanità fu la Londra del grande impero britannico. Vi si coltivò un orgoglio civile e militare che, proponendosi come servitore della civiltà, sdoganò gli imperialismi passati e quelli futuri, tuttora molto in voga sotto altri nomi. Ma con tutti i suoi errori, Londra si mantenne al riparo sia dall’alterigia ellenica che dall’ingordigia romana. La forza si dichiara al servizio del bene comune ed infatti appartiene al paese, non ai sudditi. Tra essi si stringe però una fiducia profonda e bilaterale, che rappresenta una novità fondamentale. Dal Regno Unito ci vengono i più grandi esempi di amore per una tradizione intesa come pozzo della memoria collettiva, patrimonio inesauribile sino a che la sua falda non venga manomessa e prosciugata. Il rispetto per se stessi e per i valori sociali giunge sino all’estrema conseguenza del silenzio, alla subordinazione della voce individuale all’intonazione corale. Gli inglesi hanno forgiato un senso profondo di appartenenza non solo alla nazione, ma anche ad una scuola o a un circolo di bocce. Questo adattamento della sfera personale alle esigenze ed alla storia comuni non fu imposta o sofferta, ma volontaria e partecipata. Ridusse molti comportamenti in convenienze, ma attraverso la partecipazione di molte persone ad un unico e duraturo progetto permise la creazione di molte entità che furono esempio al mondo: dagli istituti scientifici ai musei, dai club sportivi al sistema democratico. BRITISH STYLE Per comprendere qualsiasi fenomeno umano occorre considerare la contraddizione come una cosa naturale e inevitabile. Lo stile inglese non fa eccezione, teso com’è tra l’austerità dell’obbedienza e lo scintillio con cui il rigore creato e approvato nella quotidianità viene infranto nelle occasioni o dalle persone eccezionali. Nato con Brummell, che codificò l’uniforme borghese e porse alla nuova classe dirigente un modello di eleganza compatibile coi tempi, esso giunse alla maturazione e forse al canto del cigno con il Duca di Windsor, virtuoso in grado di indossare con la stessa disinvoltura fantasie a grandi scacchi o vertiginose code. Di questi uomini ogni atto fu sempre congruo all’opera estetica. Avendola vissuta in modo totale, possiamo ben dire che la loro fu arte e considerarli con l’occhio con cui si guardano i poeti. Il magistero inglese si estese a tutta l’arte di vivere, dove i suoi modelli divennero universali. Nell’automobile impose una leadership nelle piccole sportive, nelle grandi berline e infine, insieme al meraviglioso guizzo della swinging London, nella prima auto orientata ai giovani ed al tempo libero: l’immortale Mini. In Inghilterra nacquero o trovarono la loro definitiva sistemazione non solo alcuni sport come il tennis, il polo, il golf, il calcio, ma quel concetto stesso di sport come rifugio incontaminato dell’etica che ancor oggi, mentre le esigenze televisive lo erodono, viene esibito come principio fondante dell’agonismo. Negli ultimi tempi della supremazia che andiamo ripercorrendo, vi sorsero con una luminosità accecante miti immaginari come James Bond, o in carne ed ossa come i Beatles. Sordi interpretava un indimenticabile italiano a Londra, fissando in modo definitivo un cliché di grande valore storico. Va detto che all’epoca in cui Londra era capitale del gusto, più o meno dall’incoronazione della Regina Vittoria al sessantotto, le differenze tra campagna e città, tra lavoro e tempo libero, tra il mondo maschile e quello femminile, erano ancora chiaramente leggibili. Alcune contaminazioni, con molta parsimonia, mettevano di tanto in tanto in contatto i poli opposti, generando corti circuiti ad alta energia. Esauritosi questo schema, che col dandismo aveva anche raggiunto le vette del sublime, inutilmente si prova ora a stupire con settantasette orecchini, mentre negli anni trenta un duca faceva parlare i giornali e i salotti solo per aver calzato scarpe di camoscio nella city. Un degno epigono e un guardiano inflessibile del grande stile inglese è senz’altro il principe Carlo. Egli sembra combattere da solo, contro un mondo di gessati blu, una battaglia per l’uomo che conosca il chiaro. Sapendo di lui che è un bravo pittore, possiamo meglio comprendere il suo genio cromatico. La sua posizione è evidente, ma sottovalutata. Anche nelle visite ufficiali, lo vediamo al mattino in lino beige o bianco, con boutonniere floreale e coloratissime cravatte dai piccoli nodi stretti a ferro. In occasione di cerimonie o grandi appuntamenti mondani mattutini, lo abbiamo visto spesso con il suo morning coat in fil-a-fil di lana grigio chiaro, certamente tra i più begli abiti oggi esistenti al mondo. Non lo ha portato solo a Deauville, ma anche al recente matrimonio di Felipe di Spagna e addirittura al funerale del nonno di quest’ultimo, padre del re Juan Carlos. Lo stesso Principe del Galles ci illumina su un altro aspetto del British way of life. A Luglio sono scaduti dieci anni dall’attentato che subì in Nuova Zelanda o giù di lì. Chi ricorda la freddezza con cui reagì allo sparo ha un esempio limpidissimo del migliore self-control inglese. E’ nelle penombre, nel sussurro, nella banalità delle considerazioni sul tempo, nell’understatement, che si celano gli archetipi dello stile inglese, che segretamente si uniscono e quando appaiono hanno infiniti aspetti. Basta visitare un mercatino delle pulci per stupirsi dell’incredibile cura che gli inglesi hanno dedicato ad ogni attività, influenzandola intimamente. Dagli stiracravatte alle scatole per tabacco, dal set per il pic-nic all’ombrello con fiaschetta, hanno creato di tutto. Molti di questi oggetti sono scomparsi, altri sono entrati nell’uso comune. In essi manca spesso qualcosa che oggi è sopravvalutato: la praticità. L’Inghilterra non volle mai dire cosa fosse giusto, ritenendo che una cosa fosse già giusta per il solo fatto che la facesse un inglese. Volle invece fortissimamente insegnare a se stessa ad essere elegante, ma nella vita elegante si tiene presente la comodità, cioè l’attitudine statica di un oggetto a raggiungere il suo scopo meglio di ogni altro, ma non la praticità, cioè la funzionalità dinamica. Ogni sforzo è infatti lasciato a terzi, nascosto o negato. Una valigia inglese è bella, ma pesante. Chi ama il grosso cuoio bridle, i punti da selleria, i coperchi sovrapposti e le finiture in ottone pieno, non vedrà alcun problema e prima dirà che è pesante, ma bella, poi solo che è bella e a quel punto ne apprezzerà sino in fondo la semplicità e l’infinita durata. Il tramonto dello stile di vita inglese è sincronizzato con l’alba di un uomo che non ha servitori e non aspira ad averli. Associando la rinuncia alla praticità a quella all’esibizione, ci avviciniamo forse alla sorgente che cerchiamo. Facciamo l’esempio di un abito. Quello italiano è un affresco, quello inglese una divisa. Noi infatti siamo orgogliosi della cappella Sistina e loro di aver vinto la guerra. La nostra vanità ha un meccanismo semplice. Indossiamo una cosa e godiamo sia del piacere di possederla di per se stessa, sia dell’approvazione che presupponiamo in quanti la vedano. Un inglese con un’educazione classica giudica questo atteggiamento su una scala che va dall’eccentrico all’effeminato. Pochi anni fa un gentleman-rider milanese, persona che ha passato più ore a cavallo che in casa, si recava a Londra per ordinare una giacca da equitazione. Nella sartoria troneggiava un cavallo in legno, dove al cliente si prendono le misure che permettono di far aprire nel modo giusto lo spacco posteriore mentre si monta. Il nostro connazionale, trattandosi di un simulacro, salì inforcando la staffa destra invece della sinistra, come vuole una tradizione inglese universalmente accettata. Immediatamente il commesso ebbe un moto di sorpresa e disappunto, dicendo qualcosa del tipo: “il solito continentale”. La cultura e la passione equestre del protagonista sono fuori discussione quanto la serietà della casa londinese, ma il rapporto a quel punto si interruppe. L’orgoglio inglese è forte quanto la disobbedienza italiana ed in questo caso risultarono inconciliabili. Dietro questo rigore, che gli inglesi riservano anche a loro stessi, non manca la vanità, ma essa è costretta ad un cammino più lungo. Un oggetto non viene valutato per se stesso, ma per la rispondenza ad un criterio di opportunità. L’apprezzamento estetico è subordinato alla tradizione ed alla situazione, sicché il desiderio di avere un abito bello viene tradotto nell’ordinazione di un abito consono. E’ dominando ogni appetito immediato e segnatamente quello di una vanità riconoscibile come tale, che l’uomo diviene gentiluomo. Secondo questo criterio, nessuno potrà essere elegante se non è “proper”, cioè coerente. L’eleganza non offrirà il suo braccio a chi la desidera, ma a chi sa presentarsi rispettando una disciplina. La giacca italiana, massimamente quella napoletana, è facile e dinamica quanto quella inglese è intima, impassibile. Non si esprime in rime baciate, ma in una prosa austera che soddisfa i lettori attenti e pazienti. E’ destinata in maggior misura ad un silenzioso compiacimento personale che ad un giudizio pubblico palese. Per apprezzarla è quanto meno necessario aver superato l’ostacolo dove scivolano in molti: quello di confondere la bellezza con l’eleganza. Napoli, Febbraio 2005 Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 19-02-2005 Cod. di rif: 1899 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Thomas Mahon Commenti: Eccelso Cavaliere Villa, il nome di Thomas Mahon mi ha riportato nostaligicamente al mio anno (e poco più)londinese quando vestivo da modesto studente della London School of Economics e curiosavo a distanza in Savile Row. Un amico autoctono, mosso a pietà dallo sguardo cupido che leggeva nei miei occhi riflessi nelle scintillanti vetrine della strada-tempio della sartoria mondiale, mi accompagnò con lui al numero 20, il giorno che aveva appuntamento con un giovane, brillante sarto cresciuto alla scuola di Anderson & Sheppard: Thomas Mahon. Una fugace apparizione che rappresentò per me la folgorazione sulla via di Damasco della sartoria. Un giorno vorrò sperimentare con un piccolo sacrificio economico, una insana follia (semel in anno insanire licet!), un appuntamento nello studio di Mahon tra i cottages della Cumbria: non solo abiti ma autentica campagna inglese. Si colleghi su www.englishcut.com, ne saprà qualcosa di più. Cavallerescamente, Giuseppe de Falco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-03-2005 Cod. di rif: 1907 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un abito particolare - Al sig. Sgarlata Commenti: Egregio signor Sgarlata, benvenuto sulle nostre Lavagne. Ai quesiti sul Suo abito per le nozze ho risposto poco fa nella Posta del Gran Maestro, comprendendovi anche le aggiunte di questi due ultimi gessi. Spendo altre due righe sulla questione spacchi, che ovviamente evocano quella, taciuta, sui risvolti. Per star certo di far bene, dovrebbe rinunciare ad entrambi, ma se ama il rischio, se è alto e con un portamento disinvolto, se è bello, purché sia vestito di scuro tutti Le perdoneranno tutto e quindi faccia come vuole. Diversamente ... dovrà ascoltare il grillo saggio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-03-2005 Cod. di rif: 1909 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bravo Rizzoli Commenti: Egregio Rettore, mi compiaccio con Lei - e ovviamente con l'Autore stesso - per l'ottimo intervento del cavaliere Rizzoli, che dal punto di vista storico e sociale offre una completa visione dell'argomento. Peccato per le immagini sul Taccuino, prive dell'anteprima. Occorre sempre inserire file con un nome di una sola parola, formata di soli caratteri e numeri, senza simboli. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-03-2005 Cod. di rif: 1913 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cere e miti - Risposta ai gessi 1911/12 Commenti: Villa carissimo, egregio Cavaliere, ho lasciato la Sua penultima inevasa per un po', tentennando sul partito da prendere. Avevo molto da dire, ma proprio per aver detto molto in casa Berluti sono ormai ritenuto un personaggio tra il dannoso e lo scomodo. Le gerarchie commerciali non hanno mai digerito l'analisi del prodotto che è stata condotta proprio in questo sito, che a me è sembrata un'esegesi equilibrata e, nel complesso, di segno più che positivo. Non così ad esse, che si ritengono superiori ad ogni giudizio. Per mia fortuna Olga Berluti continua in un rapporto privato a criticarmi, a segnalarmi gli errori che commetto, a mettermi di fronte ai miei difetti, insomma ad essermi amica. Tanto mi basta per continuare come sempre, senza alcun compromesso. I lucidi che si usano nei cirage veramente importanti, quelli sotto le insegne dell'inafferabile Swan Club, sono realizzati direttamente da Olga con una quantità di olii essenziali che li rende nulla di meno che un voluttuoso unguento. In altre occasioni si usano talvolta prodotti di minor pregio, ma sempre e comunque esclusivi. E’ probabile che siano realizzati nello stesso laboratorio di quelli della Avel, avendo pari consistenza ed odore, ma le sfumature sono diverse e di gran varietà. Un cirage non è una semplice lustratura, ma può essere paragonato ad un'estemporanea di pittura. Ciascuno, al momento, vede e dipinge ciò che vorrebbe vedere, ma per farlo ha bisogno di una buona tavolozza. E’ questo il momento per raccontarLe come conobbi la grande, piccola Signora delle Scarpe. Faccia Lei la tara tra storia e leggenda, tra fantasia e realtà, ma se anche sottrarrà qualcosa resterà sempre quanto basta per giustificare un mito. Era il Giugno del 2001 ed ero stato invitato a Milano per una serata di cirage in Via Pietro Verri, dove da poco aveva aperto la boutique Berluti. Quaranta gli invitati, tra cui ero l’unico a risiedere a Sud di Bergamo. Finanza, imprenditoria, moda. I pilastri dell’economia nazionale e non solo erano ben rappresentati da giacche appena sfornate e sorrisi ben collaudati ad ogni prova. Sulla porta vidi per la prima volta il Professore, l’uomo in panama e guanti. Si cominciava bene, con il fascino di un personaggio dal gusto e sensibilità impareggiabili, così evidenti anche ad un isolato di distanza. Era presente, bello ed abbronzato, anche il Presidente del gruppo Moet. Quando me lo presentarono capii come mai da capaci zuppiere, facessero capolino così numerosi i colli sottili delle bottiglie di Dom Perignon, raccolte come appetitose famigliole di funghi. Mi aveva invitato Franz Botré, che di lì a poco ed in un tempo record avrebbe fondato e messo in edicola la sua rivista. Lo stesso Franz mi introdusse ad Olga, che conoscevo da libri e riviste. “Questa spalla napoletana ha una linea meravigliosa. Vorrei poterla fermare nelle mie scarpe”. Poiché sono un po’ impacciato, bacio la mano alle signore in poche occasioni e, lo ha capito, fu questa una di quelle. Mentre mi avvicinavo, Olga si pronunciò con un commento che tutti poterono udire, poiché, per una di quelle coincidenze che esaltano una gaffe o una bella figura, tutti tacevano. Il mio completo in “brillantino” del colore del marron glacée, mohair vecchio di quasi trent’anni confezionato almeno cinque anni prima, visse il suo più alto momento di gloria. I suoi colleghi, acquistati al mattino precedente, impallidirono in un fremito. Ci accingemmo alla lustratura con diligente impegno ed Olga, di piccola statura, dirigeva l’orchestra da un piccolo scranno che qualcuno le aveva sistemato sotto i piedi. Con grande attenzione, cercai di adeguarmi a tutte le fasi e grande fu la mia soddisfazione quando, all’ultimo passaggio, lo champagne gelato fece scorrere la pezza come su un vetro. Le mie scarpe non erano meno vecchie del vestito e al momento giusto emisero quel gemito di piacere con cui il cuoio avverte che tutto è compiuto. I candelieri si spensero, come è tradizione nelle riunioni di cirage. Andrea Molinari mi invitò a seguirlo ad un evento sul sigaro, ma nonostante fosse quello il momento in cui io ero tra i più impegnati nella materia, non ebbi esitazioni. “Caro Andrea, tra champagne e scarpe qui sono tra amici. Sarò l’ultimo ad uscire e ci vedremo più tardi al CIGAIR”. Prima di riprendermi dalla trance credo di aver azzerato non meno di due magnum. E già, è ovvio, secondo la sua vera natura lo champagne era servito solo da magnum. Quando erano rimaste poche persone o forse nessuna, chiesi qualcosa all’assistente di Olga, che sussurrava l’ italiano con un accento francese che ipnotizzava il Suo povero Gran Maestro, pur sempre un maschio già provato dall’alcool. “Crede che madame Berluti mi regalerà queste lattine di lucido?”. “Bisogna chiederlo a Lei. Non è cosa che posso prometterLe” Olga sedeva presso la porta come un papa santo. Calma, leggera, inarrivabile, incomprensibile, eppure io credevo di sapere qualcosa di Lei. Il Suo Gran Maestro è persona cui è difficile negare qualcosa, perché al momento giusto sa chiedere col cuore. Credo di aver parlato poco, ma devo aver usato nei vocativi qualche ingrediente che resta segreto anche a me. Olga disse che la quantità di olii che aveva utilizzato per i lucidi quella sera non aveva precedenti e fece un riferimento, venale eppure non banale, al loro valore intrinseco. Non lo disse così, ma il succo era qualcosa del tipo “Prenda quello che crede”. Non ne approfittai. La serata si concluse effettivamente al CIGAIR, con il Presidente, Franz. Molinari e ancora magnum di Dom Perignon, ma non fu quest’ultimo la cosa più memorabile. La storia proseguì, ma nel raccontarla rischierei di diventare noioso, il che è molto peggio che vanitoso. Ne parleremo da vicino. Resta qualcosa. La tasca. All’altezza di 26,5 cm va benissimo per un tre bottoni, dove si oscilla appunto tra 26 e 27 cm. In un due bottoni puro, foggia in grande rimonta e degna di ripensamento, si può salire sino a 30. Quanto alla fodera in tessile, si tratta di una soluzione poco utilizzata nella nostra tradizione e scarsamente utile. Vorrebbe suggerire una maggiore traspirazione, ma queste promesse non vengono poi mantenute. Come sa, o dovrebbe sapere, chi utilizza scarpe anche interamente in tessuto, i collanti e gli appretti utilizzati per sostenere il materiale limitano significativamente ogni via di fuga. C’è poi qualcosa che non è stato mai detto. La calzatura classica affida il comfort ad un sistema indiretto, basato sul forte assorbimento e sul lento rilascio dei vapori da parte della sua struttura specializzata. Un sottopiede carnoso, una porosa imbottitura, la spessa suola, il tutto in materiali naturali, accumulano e disperdono il carico enorme di umidità che il piede emana durante la giornata. Le calzature di nuova concezione vogliono sostituire questo circuito con un’eliminazione diretta, che in presenza di materie sintetiche non funziona affatto. Un sandalo, anche un apertissimo shangai, portato in piscina o al mare emette un bell’odorino di cacio dopo un solo giorno. Una scarpa chiusa, purché di buona qualità, la si può togliere e mettere in guardaroba dopo una camminata in Luglio, avvertendo solo un profumo di cuoio e cere. Avvicini il nasino chi non crede. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 25-03-2005 Cod. di rif: 1916 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Al Signor Musarra Commenti: Egregio Signor Musarra, ci sono in questo consesso persone più titolate di me, che a breve le risponderanno in maniera più consona e non scontata. Giunge fino a me la Sua sofferenza, che in parte ho condiviso, e nell'attesa Le espongo la mia esperienza, forse più fortunata. Nella mia esperienza, sono giunto ad ottenere da un artigiano una giacca "come la volevo io" non prima di 3 o 4 tentativi (leggasi giacche complete e finite). Sicuramente al primo tentativo è difficile ottenere di più del pattern standard del sarto; non dico che sia impossibile ma bisogna avere esperienza e capacità superiori. Partendo da questo primo prodotto sono riuscito a far modificare nelle giacche successive particolari importanti: lunghezza, giromanica, rever, posizionamento di bottoni e punto vita, girocollo. Sempre per approssimazione verso quella che è la "perfezione" per me. Mi pare strano che un sarto non segua se, mettiamo, si chiede una lunghezza inferiore di 3cm della giacca. Perchè nel caso il sarto si sbagli, nella prima, nella seconda e nella terza prova, se ripetuto l'errore, mi sentirei in diritto di reclamare. Cosa a me mai successa sinceramente. Dire che la sartoria su misura non è per tutti è fin troppo facile, seppur vero; la invito invece a scorrere le pagine di questa Lavagna, dove troverà interventi del Gran Maestro riguardo alla suddivisione del rapporto cliente/sartoria in 3 fasi; forse ci si ritroverà cosi come mi ci sono ritrovato io. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2005 Cod. di rif: 1917 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il desiderio è un cammino Commenti: Egregio signor Musarra, non sarò io, nè l'equilibratissimo Cavaliere Granata, nè altri ad dirLe cose del tipo "a noi che ce ne importa?". Le delusioni che Lei ha riportato sono sinceramente descritte e certamente sono state vissute nel modo in cui le racconta. Non è un mistero che noi si prediliga l'artigianato su ogni altro tipo di produzione, in quanto astrattamente fonte di risposte ad un bisogno inimitabile del singolo. Dall'astratto al concreto passano però degli spazi che non sono sempre gli stessi, che non tutti sono disposti a valicare e che non è affatto un dovere affrontare. Nel ciclo in corso a Bologna dei nostri Laboratori d'Eleganza stiamo infatti conducendo un esperimento mai tentato prima: una sorta di corso per il cliente che lo metta in grado di sapere cosa chiedere e quando. Io credo, noi crediamo, che sia importante sapere cosa si vuole e - ci consenta - se Lei usa un certo linguaggio è anche perché un piccolo, instancabile consesso di appassionati ha aiutato certi problemi a venir fuori. Lei dimostra di conoscere le differenze del prodotto industriale rispetto a quello artigianale e questa è l'unica cosa importante. Non sarà una bella giacca a darLe l'Eleganza e nemmeno una brutta a togliergliela. Tanto più che il su-ordinazione di qualità di giacche brutte non ne fa affatto. Segua la Sua stella come ciacuno di noi ha seguito e segue la propria. L'importante è nella quantità e nella qualità del cammino percorso, nei risultati ottenuti. La destinazione conta molto meno, perché nessun traguardo degno di essere perseguito è coscientemente raggiungibile. Quando anche ci si arrivi, non ci si può accompaganre nessun altro in quanto risulta imposibile spiegare per quali vie ci si sia giunti. Mi permetta in conclusione di riflettere sulla parte finale del Suo gesso, quando dice che " “per quel che puo valere il mio parere ho scoperto che non è scontato che per la produzione artigianale riesca sempre a fornirci cio che vogliamo”. Ebbene, egregio Visitatore, nessuno ci fornisce ciò che vogliamo, se non noi stessi. Allora le strade sono due. O si impara a desiderare ciò che si ottiene o si impara a ottenere ciò che desideriamo. Molto tempo fa commissionai un completo ad un modesto sarto del mio paese natio, Piano di Sorrento. Molte prove furono necessarie e il Maestro profuse ogni Sua capacità per realizzare alla fine un abito con la giacca un po’impiccata ed il pantalone che mi tirava leggermente alle ginocchia. Fino a quando ho potuto indossarlo, l’ho amato più di ogni altro. Lo sforzo che era costato mi gratificava quanto e più della linea brillante di un sarto cittadino di gran nome. Ancor oggi, dopo quasi venti anni, appena perdo qualche chilo vado a verificare se riuscissi a entrarci. Certo, c’entra anche la rarità ed il comfort del tessuto, il mitologico Frigidus di Zegna, ma chi ama comincia e finisce sempre per credere a qualcosa che non c’è. Molto ci dilunghiamo sulla tecnica e la storia, sulle misure ed i materiali, ma al fondo ci sono sensazioni e sentimenti. Così, quello che vorrei dirLe non può spiegarsi se non attraverso questi simbolici aneddoti. Cavallerescamente Le porgo il benvenuto nella nostra Lavagna Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-03-2005 Cod. di rif: 1918 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratori d'Eleganza - Tappa del 6 Aprile 2005 Commenti: LABORATORI D'ELEGANZA Prossimo appuntamento: 6 Aprile 2005 alle ore 12.30 presso il negozio del nostro Socio e Rettore Dante De Paz Via Ugo Bassi n. 4/D in Bologna Imperscrutabili Cavalieri, cari Visitatori e appassionati, il nuovo ciclo, amministrato dal Maestro napoletano Domenico Pirozzi, ha rivelato subito di avere gli ingredienti giusti. L’intensità ed il ritmo dei lavori, la preparazione dei relatori e un adeguato programma, puntualmente seguito, hanno alimentato una partecipazione che è andata ben al di là di un convegno di appassionati. mai come in questa occasione si è centrato l’obiettivo di creare un momento ed un luogo di studio ed approfondimento su argomenti, come lo stile ela tecnica in sartoria, trattati in genere con troppa superficialità. Il Maestro Pirozzi mostrava subito di dominare la materia con una sicurezza senza paragoni e affrontava il pubblico come se non avesse mai fatto altro nella vita. Dopo aver preso le misure al sottoscritto, avviava la definizione di una giacca di cui seguiremo tutta la storia. Annotati i valori, spiegava come, perché e di quanto li avrebbe modificati per ottenere un prodotto che non è solo matematica, ma interpretazione. La sartoria artigianale rivelava così i suoi molteplici scopi: creare un capo che sia comodo, adeguato alla persona, ma ricco di linea. Esso non deve solo essere una seconda pelle, ma costituire un sistema organico in cui i particolari si armonizzano tra loro e con un'insieme che a sua volta deve armonizzarsi al cliente. Erano presenti anche Maestri Sarti di altre regioni, venuti confrontare le proprie tecniche con la tradizione partenopea. Non solo non sono tornati delusi, ma due di essi si sono recati successivamente nel laboratorio di Pirozzi in Via Chiaia per uno stage di tecnica napoletana tradizionale, che probabilmente non resterà l’ultimo. Anche i fotografi e la giornalista tedesca Sabine Holznecht, tutti venuti da Monaco di Baviera per seguire una delle attività dell’Ordine, restavano senza parole e si trattenevano sino alla fine. Sotto gli occhi di una ventina di convenuti, giunti da varie regioni d’Italia e anche dall’estero, il Maestro tracciava prima una giacca a tre bottoni e poi il disegno definitivo: un doppiopetto sei bottoni. La stoffa, sino ad allora un oggetto inanimato steso sul bancone, cominciava a vivere. Dopo averle dato forma con le forbici Pirozzi la riprendendeva con le mani e mostrava in quali punti sarebbe intervenuto con le pinces e dove con il ferro, per estrarre i volumi necessari a plasmare la sua opera. Pizzicato come un violino, il tessuto si alzava dal piano per assumere le tre dimensioni della realtà e quella astratta della fantasia. Per la cronaca, si trattava di una grisaglia grigio medio di Holland & Sherry da lane super 140 ‘S. Nel prossimo appuntamento, quello del 6 Aprile p.v., troveremo le tele già montate, ma il Maestro procederà a stirare in estemporanea i quarti anteriori della nascitura giacca. Il ferro è lo strumento principale del sarto ed in questa sessione lo si potrà seguire in un'azione rallentata e commentata. Seguiranno l'imbastitura e la prima prova, nella quale esamineremo meticolosamente cosa il cliente deve osservare in questa fase, come e dove deve intervenire, cosa può chiedere e a cosa deve rinunciare. Tutto questo ciclo, infatti, vuole essere una sorta di corso per il cliente di sartoria. Cavallereschi saluti ed arrivederci a Bologna Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2005 Cod. di rif: 1922 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fodera delle scarpe - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, ribadisco il concetto secondo il quale la calzatura classica utilizza per lo smaltimento dell'umidità un sistema bifase: accumulo e dispersione. Questo metodo funziona benissimo e chiunque avrà sperimentato che una scarpa di qualità, cioè cucita (a mano o a macchina questo conta meno) e costruita con materiali nobili, profuma di pelle anche dopo una giornata di lavoro. La maggior parte dell'umidità emanata dal piede vien fuori dalla pianta e quindi proprio qui va posta la massima attenzione. La costruzione tradizionale prevede un bel sottopiede, un'imbottitura in sughero e suole in cuoio. Se il piede poggia invece su materiali sintetici, non c'è nulla da fare: anche un sandalo aperto, se con fondo in plastica finirà per assumere un cattivo odore. Naturalmente il mondo del gusto è fatto anche di illusioni. La fodera in tela, utilizzabile comunque solo per l'avampiede, fornisce quella di una fresca traspirazione, di una brezza che naturalmente resta solo nell'immaginazione. La fodera in tela è uso da sempre anche nella nostra tradizione artigianale ed alcuni la richiedono espressamente. In astratto non è meno durevole di una in capra o vitello, ma in concreto presenta due problemi: 1) Se la scarpa, non confezionata su misura, subisce delle tensioni, la fodera in pelle è in grado di assorbirle e di adeguarsi alla forma del piede. La fodera in tela non è altrettanto plasmabile e finirà per cedere in qualche punto. 2) Tra le allergie in aumento vi è quella ai sali di cromo usati per la concia delle tomaie. In Italia vi è ancora una conceria che produce pellami conciati all’olio di oliva, assolutamente anallergici, ma possono essere richiesti solo dai pochi che calzano prodotti artigianali al cento per cento. Gli altri dovranno vigilare sulla propria salute in altro modo. Le fodere, conciate ad acqua, isolano efficacemente il piede dal contatto con queste sostanze, non certo positive anche per chi non sia ad esse sensibile. La tela non è in grado di fare altrettanto e quindi in caso di sospette allergie dovrà essere assolutamente evitata. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-04-2005 Cod. di rif: 1928 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al Rettore Commenti: Rettore Magnifico, la Tua visione ci gratifica e ci abbaglia con quella purezza formale che marcia sugli opinabili contenuti come un calesse sulle pozzanghere. Tanti hanno scritto, e hanno scritto tanto, senza cogliere la vastità simbolica della cerimonia citata nel tuo gesso, poliglotta ed universale. L'oggetto, la materia, appaiono evidenti, ma in questo caso più che in altri sono soggetti alle interpretazioni opposte, alle inconcludenti opinioni da rivista. Fatte proprie dall’emozione, restano invece visibili solo agli occhi avvezzi ai chiaroscuri l'inarrivabile composizione del passato col presente, ovvero ciò che noi chiamiamo TRADIZIONE, la fermezza in un’ideale personale che rappresenti attraverso i codici comuni una storia irripetibile, ovvero lo STILE, infine la materia fatta significato estetico attraverso l’azione e la scelta, cioè il GUSTO. Grazie Giancarlo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-04-2005 Cod. di rif: 1930 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Partenze e finali - Ripsosta al gesso n. 1924 Commenti: Egregio Villa, risponderanno ancor meglio al suo gesso i Resoconti dell'ultimo Laboratorio, che verranno pubblicati appena l'ottimo Gianluca Ardizzoni, la cui mano tutti avrannno notato nel possente miglioramento della qualità delle Scene, mi farà pervenire le immagini. Nell'ultima sessione almeno due sono state le inconciliabili disparità di vedute tra me ed il Maestro Pirozzi. La sua perizia e la sua competenza sono fuori discussione, ma per un avanzamento teorico restano indispensabili la filosofia e la storia, rappresentati dagli interventi critici a latere. La manica stirata può non essere bella, non essesre giusta, non essere italiana, ma ha un suo preciso significato, che mi sembra di aver sviscerato in modo credibile attribuendo ad essa la dichiarazione di appartenenza ad una categoria (non per forza una classe) che dispone di una servitù in grado di stirare la manica ogni volta che si indossa la giacca. Non è l'unico modo di leggere questo dettaglio, che ci riporta anche ad un'impostazione militaresca in cui la precisione viene prima dell'estetica. E l'estetica ama essere seconda a qualcosa, perché essa recupera e vince nel finale, mai nella partenza. Cavallerescamente G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-04-2005 Cod. di rif: 1933 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Questo principe è un Re - Risposta al gesso, n. 1931 Commenti: Egregio signor Tarulli, bentornato. Esistono molti modi in cui l'eleganza o la grandezza di un uomo si possono manifestare. Alcuni sono meno espliciti e per essere compresi richiedono una particolare sensibilità o l'aiuto del tempo. Giovanni Paolo II già prima del Giubileo e poi durante la grossa esposizione mediatica di quel periodo e del successivo, negli anni ultimi della malattia, sembrava essere sempre più inadeguato, quasi fastidioso. Pochi vedevano come i più potenti del Paese e del Mondo fossero, al suo cospetto, nulla più che rane che vogliano imitare un cervo. Molti si chiedevano: quando torna a casa il vecchio? Alla sua morte tutto è apparso così chiaro che quelle sensazioni, quelle polemiche, sono state dimenticate in un attimo. Poiché tutti le negheranno e anzi saranno convinti di non averle provate, a tutti gli effetti possiamo dire che non siano mai esistite. Mutatis mutandis, anche l’opera dell’attuale ed eterno Principe del Galles è continua, coerente, ma ancor più silenziosa e misteriosa. Eppure qualcosa si muove, perché se ne parla tanto e almeno qui se ne è parlato – e tanto – anche in tempi non sospetti, quando di questo clamoroso matrimonio nulla si sapeva o almeno si diceva. Egregio ed appassionato Visitatore, non si fermi su una giacca o su un gilet. L’eleganza è un percorso e va valutata come tale, sulla e dalla lunga distanza. E’una produzione senza prodotto, un’arte che non lascia tracce riproducibili, ma che proprio per questo non va valutata nell’istante, ma guardando l’attività e l’espressione complessiva. Ad un certo punto Carlo ha deciso di divenire in qualche modo Re, se non proprio d’Inghilterra, almeno dello Stile Inglese. Ha cancellato ogni attività, dettaglio, atteggiamento che non fosse proprio della tradizione della sua nazione, della sua casta e della sua famiglia. Per trovare un linguaggio personale attraverso questa corazza di assoluto rigore, ha escogitato due sistemi. Innanzitutto è passato al doppiopetto “assoluto”, concedendosi in alternativa solo divise o abiti scozzesi. Questo vezzo, utile anche a conferirgli quella dignità regale negatagli dalle vicende dinastiche, è diventato quasi una firma. Il Nostro non manca però di esplorare tutte le possibilità del capo e questo spiazza i commentatori. Il secondo stratagemma è stato quello di utilizzare gli stessi codici che a tanti appaiono catene, ma con meticolosità li ha battuti e ribattuti da tutti i lati, sino a farne un veicolo di originalità e non un peso che impedisca di giungere ad essere se stessi. Ecco quindi l’uso del chiaro, che al mattino era una tradizione dimenticata in tutti gli ambienti, ma che lui ha caparbiamente seguito e segue tuttora. Sembra grottesco, ma quest’uomo che appare così freddo ha la sua forza nell’amore. Oh, si tratta di un amore particolare, ma non meno autentico. Se guarda bene, senza porsi il problema della bellezza della sua giacca o delle scarpe, vedrà con chiarezza che egli ama profondamente e sinceramente quella tradizione, quelle norme, quei significati. Non è un apparato da protocollo il suo ed allora io dico, assumendomene ogni responsabilità e lo dico con riguardo non al singolo capo, ma all’opera di decenni: quest’uomo è un principe e questo principe è elegante. Per questo, come segnalavo al Cavaliere Villa nella mia Posta, egli era riuscito a far notare e commentare un fermacravatta, quando nella stessa foto indossava un bastone da pastore scozzese in pieno deserto. In questo periodo l’eccentricità, la sdrammatizzazione, soprattutto l’esportazione di significati e significanti dall’alto verso il basso (come a dire dal mondo sportivo a quello formale), è una politica che ha chiuso la sua missione e che ormai può appartenere solo ai pezzenti del mondo estetico. Carlo d’Inghilterra si è quindi arroccato ed ha deciso di combattere da solo anche per tutti quegli aristocratici d’animo e di nascita che non remano più e se lo fanno è secondo la corrente. Il suo è un linguaggio astratto, elitario ed è normale che non piaccia a tutti. Poiché egli è certamente ben consapevole di tutto ciò e certo si accorge di essere il solo vestito in chiaro tra tanti gessati blu e grigi scuri, allora aggiungo che quest’uomo è un principe e questo principe è coraggioso. Lo dimostrò anche durante l’attentato che subì in Nuova Zelanda, quando sotto gli spari non abbassò né la testa né lo sguardo e si aggiustò i polsi come è solito fare, non avendo una sigaretta da maneggiare, davanti ai fotografi. Egli sa bene di parlare ai pochi. Il suo magistero estetico non ha il sapore internazionale di quello dei suoi predecessori, come il Duca di Windsor o Eduardo VII. Avendo scelto di parlare una sola lingua e di farlo nel modo più puro e intransigente, risulta meno comprensibile di altri portabandiera del passato, a meno di uno sforzo interpretativo. Il suo mondo, il regno che egli ha scelto di governare, è quello squisitamente inglese. Ha scelto di restare sul suolo dove è nato e di coltivare una radice che rischia di seccare nell'abbandono, dopo aver dato vita a tutte le vigne del mondo. Poiché egli protegge ciò che appare forte ed in realtà è fragile, concludo dichiarando che quest’uomo è un principe e questo principe è un re. Questo merito non sarà chiaro, al di fuori di questo castello, che quando il buon Carlo non ci sarà più. Passeranno quindi molti anni prima che Lei debba ricordarsi di queste parole, il che avverrà quando tutti avranno compreso ed esse non serviranno più. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-04-2005 Cod. di rif: 1937 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Valentino Garavani Commenti: Egregio signor Tarulli, non volevo contraddirLa e non so se l’ho convinta di qualcosa con un parere che immette su una certa mia scienza oggettiva una dose massiccia di interpretazione personale. E’ comunque normale che la conoscenza comporti qualche cambio nell'orientamento, man mano che dalle opinioni si passa alle idee e ai principi (in questo caso quelli con l'accento sulla seconda "i"). In ogni caso, non credo di aver sminuito in qualche modo Valentino, se non attribuendogli ciò che lui stesso ha cercato per tutta la vita: un'immagine ITALIANA con tutte le lettere maiuscole, come Carlo ha cercato quella inglese utilizzando solo le minuscole ed una sola lettera cubitale, quella della B di British.. Ciò che comunque commentavo nel Taccuino (V. Appunto n. 1517 e foto 1519) è un gesto rivelatore, non l’abbigliamento. Le due cose sono comunque legate intimamente, quando si deve tracciare il bilancio finale. In realtà, quando ci si deve porre la domanda: “quest’uomo è elegante?”, la risposta non può che essere negativa, in quanto l’eleganza ha qualcosa di universale che la rende evidente a tutti. In questo senso è più Lei che fa pensare me di quanto non sia il contrario. Il caso di Carlo, che usa nell’espressione estetica dei codici poco noti al di fuori di un circuito dotto, potrebbe presentare comunque gli estremi di un’eccezione. Credo, come ho già detto, che alla lunga la regola sarà da essa confermata e che tutti, tra qualche anno, in un attimo corale riconosceranno a Carlo il magistero che individualmente gli hanno negato per decenni. Quanto a Valentino, si tratta di un colosso che non è giusto liquidare come un quisque de populo. Queste le sue credenziali e la sua storia: Valentino Clemente Ludovico Garavani nasce l'11 maggio del 1932 a Voghera. Attratto dal mondo della moda, si iscrive ad una scuola professionale di figurino a Milano, ma viaggia spesso all'estero. Studia francese alla Berlitz School e poi si trasferisce per un lungo periodo a Parigi. Studia anche a l'Ecole de La Chambre Syndacale. La moda non è il suo unico interesse. Amante del bello e dell'armonia, frequenta lezioni di danza. Comincia a sperimentare per i suoi vestiti diverse soluzioni, ancora però poco definite. Nel corso di una vacanza a Barcellona scopre il suo amore per il rosso e da questa folgorazione nascerà il suo famoso "rosso Valentino", cangiante fra le tonalità dell'arancio e del rosso vero e proprio.Negli anni '50 partecipa al concorso IWS ed entra nella casa di moda di Jean Dess. Nell'atelier parigino conosce donne come Michelle Morgan e la regina Federica di Grecia Maria Felix. Nel 1954 collabora con la Viscontessa Jacqueline de Ribes alla sua rubrica di moda su un periodico femminile. L'affermazione internazionale però è ancora lontana. Durante quel decennio si impegna con grande umiltà e spirito di sacrificio nell'atelier di Guy Laroche, lavorando nella sartoria e impegnandosi sia a livello creativo che organizzativo. Conosce altre donne molto importanti quali Françoise Arnoul, Marie Hèléne Arnault, Brigitte Bardot, Jane Fonda e la mannequin-vedette Bettina. Visti i buoni risultati fin qui conseguiti, il padre lo finanzia e anche piuttosto generosamente, visto che già la prima sartoria Valentino apre in Via dei Condotti. Dal rapporto con il magazzino inglese Debenham & Freebody per la riproduzione in serie di alcuni modelli di Alta Moda, nasce il Valentino prêt à porter. Nel 1962 avviene la consacrazione definitiva. Durante una sfilata di Alta Moda a Palazzo Pitti, il Marchese Giorgini gli concede l'ultima ora dell'ultimo giorno per presentare i suoi modelli. Gli abiti della collezione autunno-inverno che sfilano in passerella colpiscono in maniera inequivocabile la platea, con sincere ovazioni da parte dei compratori stranieri. L'edizione francese di "Vogue" gli dedica due pagine e presto anche la stampa americana apre le porte allo stilista italiano. Sempre negli anni '60 Valentino, ormai sulla cresta dell'onda, riceve personalità di grande prestigio, come la principessa Paola di Liegi, Jacqueline Kennedy e Jacqueline de Ribes, che visitano la sua la maison di via Gregoriana in Roma. Nel 1967 gli vengono conferiti due premi in America: il Neiman Marcus Award di Dallas, equivalente all'Oscar della Moda, e il Martha Award di Palm Beach. Disegna le divise per gli assistenti di volo della TWA e, nello stesso, anno, presenta la prima collezione Valentino Uomo. Sul mercato, le prime collezioni appaiono però solo a partire dagli anni Settanta. Valentino e' il primo couturier italiano a stipulare contratti di licenza con aziende manifatturiere per la produzione e la commercializzazione sui mercati internazionali di prodotti con la sua griffe. Le creazioni di Valentino appaiono sulle copertine di Time e Life. Nel 1971 apre due boutique in svizzera, a Ginevra e a Losanna, il grande pittore americano Andy Warhol lo ritrae e a Parigi sfila per la prima volta la sua collezione Boutique. Tutto il mondo gli riconosce il talento e apre altre tre boutique a New York. In tale occasione il couturier organizza una memorabile serata di gala a Parigi, durante la quale la stella del balletto classico Mikhail Barisnikov e' il protagonista della Dama di Picche di Chaikowski. Non tutti ricorderanno che il quegli stessi anni è stata prodotta una macchina con la griffe dello stilista, l’"Alfa Sud Valentino color bronzo metallizzato, con tetto nero. Negli anni ottanta la stella Valentino brilla sempre più alta nel firmamento della moda, con numerosi riconoscimenti. Franco Maria Ricci presenta "Valentino" un libro sulla vita e le opere dello stilista mentre, insieme ad altre personalità dello sport, della cultura e dello spettacolo, riceve in Campidoglio il premio "I sette re di Roma". In occasione delle Olimpiadi di Los Angeles, disegna le tute per gli atleti italiani. Nel 1984 celebra i suoi primi 25 anni di moda e riceve dal Ministro dell'Industria Altissimo una targa di riconoscimento per "l'importantissimo contributo dato alla moda e al costume". E' accolto in visita ufficiale al Quirinale dal Presidente Pertini, in un incontro ripreso dalla stampa mondiale. L'anno dopo dà vita al suo primo progetto espositivo, l'Atelier delle Illusioni: una grande mostra al Castello Sforzesco di Milano con tutti i piu' importanti costumi di scena indossati al teatro della Scala dai più famosi cantanti. La mostra si avvale della regia di Giorgio Strehler ed e' inaugurata dal Presidente del Consiglio. Lo stilista e' insignito dal Presidente Pertini dell'onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Anni dopo, il Presidente Cossiga lo nominerà anche Cavaliere di Gran Croce. Tra i riconoscimenti internazionali, va ricordato che il sindaco di Beverly Hills organizzò addirittura un "Valentino's day", donandogli in quell'occasione le chiavi d'oro della città. Sempre a proposito degli Stati Uniti, un altro importante riconoscimento arriva da Washington, dove riceve il premio N.I.A.F per i suoi "inestimabili contributi alla moda negli ultimi trent'anni". Sul finire degli anni ottanta nasce a Roma "l'Accademia Valentino", promotrice di eventi culturali, sociali e artistici e fonda l'associazione "L.I.F.E." ("Lottare, Informare, Formare, Educare"), che utilizza i proventi dell'Accademia per il sostegno della ricerca contro l'Aids e delle strutture che si occupano di malati. Parallelamente apre a Los Angeles la sua più grande boutique: oltre mille metri quadrati che raccolgono tutte le linee create dallo stilista. Nel 1991, il 6 e il 7 di giugno, Valentino festeggia i suoi trent'anni di moda. Il festeggiamento prevede una serie di manifestazioni, tra cui la presentazione in Campidoglio di "Valentino", cortometraggio sulla vita e l'opera del couturier. Il Sindaco di Roma organizza in suo onore una mostra ai Musei Capitolini, con disegni originali e dipinti realizzati da grandi fotografi ed artisti. Alla "sua" Accademia Valentino espone in una mostra retrospettiva di trecento abiti, le sue più celebri creazioni.La mostra "Trent'anni di Magia" viene allestita anche a New York dove registra 70.000 visitatori in meno di due settimane. I proventi vengono donati da Valentino al New York Hospital per finanziare la costruzione di una nuova ala dell'Aids Care Center. Nel 1993 inaugura a Pechino la più importante manifestazione del tessile cinese. Lo stilista e' ricevuto dal Presidente e dal Ministro dell'Industria della Repubblica Cinese. Nel gennaio del '94 debutta in America come costumista teatrale per l'opera "The Dream of Valentino", ispirata alla vita di Rodolfo Valentino e prodotto dalla Washington Opera, mentre a New York nove abiti disegnati dal couturier sono scelti come opere simbolo per la mostra "Italian Metamorphosis 1943-68" allestita al Museo Guggenheim. Nel 1995 Firenze festeggia con una sfilata evento alla Stazione Leopolda il ritorno di Valentino, trent'anni dopo la sfilata a Palazzo Pitti che lo consacrava stilista di successo. La città gli consegna il "Premio Speciale all'Arte nella Moda" e il sindaco annuncia ufficialmente che Valentino sarà il prestigioso padrino della futura biennale della moda nel 1996. Il resto è storia recente. Una storia che non ha mai visto incrinature dell'immagine Valentino, ma che si chiude con la vendita della maison e del marchio alla tedesca HDP. Al momento della firma della cessione, ripresa dalle telecamere, tutto il mondo ha potuto vedere che le lacrime firmarono insieme alla penna la separazione dello stilista da ciò che aveva creato. Anche se Valentino non è più il presidente di se stesso, non significa che non sia nessuno. Osservando qualche misera foto da me inserita, noterà quello che aveva già notato: uno stile ben definito. Il suo paradigma è nella composizione di contrasti tra colori e forme semplici, la stessa cifra che ne ha decretato il successo nel suo vero mondo, quello femminile. Lo stile inglese, al contrario, ma non all’opposto, è grande nell’intarsiare patterns complessi. Mentre Valentino porta una cravatta e degli abiti in tinta unita, Carlo indossa anche in una cerimonia al massimo livello formale possibile delle fantasie diverse nella camicia, nella cravatta, nel fazzoletto. Usa sempre i gemelli, quasi sempre le camicie con collo a contrasto e la boutonniere. Se l’effetto di carlo è rigoroso, l’impatto personale del Valentino è sempre un po’ legato, condannato però più da un capello finto che da una carenza nel gusto compositivo. Giungiamo ora alle conclusioni. L’eleganza, caro Visitatore, è nell’avvicinamento ad una condizione di coscienza personale indipendente, è nel toccare il segreto dell’universo, non nel portare un bell’abito. A questa condizione il grande stilista risponde senza cedimenti, e quindi Lei ha ragione ad ammirarlo per questo, ma nonostante i suoi sforzi o forse proprio per quelli, più che un’icona appare una maschera. L’eleganza suprema, quella che insegna e non che mostra, quella che mostra e non insegna, è l’unica cosa che fu negata a una personalità e ad un gusto eccezionale per quella degli altri e delle altre. Quindi “Viva Valentino!”. Sinceramente mi sento ben rappresentato da tanto uomo. Dovremmo chiederci come mai non lo nominano senatore a vita, facendo in sua vece nomi e nomignoli che non ne hanno lo spessore. E non sono nemmeno invitati a corte. Cavallerescamente al Suo servizio. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-04-2005 Cod. di rif: 1941 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piccoli nodi - Risposta al gesso n. 1939 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, ricorderà di certo che l'anno scorso in Napoli e Milano, presso l'amico e nostro Fondatore Maurizio Marinella, si tennero due eventi cavallereschi deidcati alla tecnica e psicologia dei nodi di cravatta. Durante i lavori espressi una teoria ancora da migliorare. Il registro espressivo del nodo di cravatta varierebbe secondo alcune caratteristiche fisiche: la dimensione, l'angolazione, la tensione. La prima e l'ultima sono in relazione, in quanto un nodo piccolo può ottenersi con i sistemi da Lei evidenziati, ma anche grazie ad una forte tensione. Quanto agli interni, con la seta tinta in filo, che ha un alto peso, sarà opportuno ridurre al minimo gli interni, ma nel caso inglese credo che essi siano sempre almeno due: una tela ed una lana. Quanto alla forma, nel caso di Carlo l'osservazione a distanza delle cravatte a me note non ne rivela alcuna costruita con la più rara sagoma a bottiglia. Questa fa sbuffare l'ampiezza subito sotto il nodo ed impone ai lati della gamba un’angolazione variabile, più accentuata in alto. Il Principe sembra prediligere la cravatta a sponde rettilinee, che con gli stampati allunga leggermente il nodo, in quanto il loro grip è molto minore dei reps e il tessuto tende a distendersi. La gamba ha un'angolazione fissa, anche se non sempre uguale, in quanto dipende da fattori variabili: lo larghezza della cravatta nel segmento destinato al nodo e la larghezza massima della gamba (Esempi: Suo appunto n. 1489, Appunto del Rettore n. 1463, il già molto commentato Appunto n. 1451, etc). In tutti i casi vediamo però un’evidente e marcata tensione del nodo, che in genere noi italiani, sommamente i napoletani, amiamo più morbido. Sui significati di queste scelte, rimando per il momento ai Resoconti dell’evento NODI del 4 Marzo 2004, restando a disposizione Sua e di altri per eventuali, ulteriori approfondimenti della lettura psicoestetica di questo importante elemento del Primo Occhio. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-04-2005 Cod. di rif: 1942 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Terreni dove pochi hanno osato. Il vestito buono Commenti: Instancabili Visitatori, nell’esplorazione dell’abbigliamento maschile abbiamo immediatamente lasciato le affollate terre dell’ovvio per avventurarci in un viaggio attraverso i materiali e gli stili, gli uomini e i loro mezzi espressivi. Siamo partiti dagli argomenti conclamati e condivisi, cioè dai classici. Il Rettore ha inquadrato l’argomento con una struttura concettuale innovativa ed allora ciò che sembrava immutabile ci è apparso intramontabile, ciò che appariva fisso ci è sembrato fermo, ciò che appariva duro ci è apparso solido. Poiché la lettura del Classico è inesauribile, sempre ci ritorneremo e con sempre rinnovati strumenti. Possiamo infatti riscontrare come la frequentazione del Classico ci abbia già portato ad una diversa coscienza della funzione e fruizione generale del vestire, grazie all’assunzione di nuove unità di misura. La passione per l’abbigliamento ha via via rivelato nella Conoscenza seguita dall’oblio, nella Divertita Scienza che mai si arroga diritti e tanti si impone doveri, gli strumenti più efficaci per esprimerla ed esprimersi. Dopo una lunga preparazione mi sembra che, negli ultimi mesi, gli emozionanti risultati dei Laboratori d’Eleganza e la complessa critica della figura di Carlo d’Inghilterra abbiano affondato la trivella del dialogo al di sotto di una prima scorza, il che vuol dire che tutta la comunità del castello attinge ora da acque più profonde. Poiché inequivocabili segnali lo dimostrano, è tempo che il Gran Maestro usi qui per la prima volta del suo titolo, per dichiarare solennemente che è avvenuta una crescita del team di ricerca che qui si ritrova e dei singoli che vi si riconoscano, sicché d’ora in poi ne va tenuto conto. Inutile quindi che vadano avanti i pochi curiosi che vogliano trovare qui solo formulette o indirizzi. Silenzio, prego. Qui si contempla, si studia, si elabora. Un’evoluzione, nel bridge o nel biliardo, spirituale o intellettuale, comporta nuove responsabilità, nuovi campi d’azione e nuove soddisfazioni. Ritengo ora possibile e proficuo affrontare temi che qualche anno fa sarebbero stati improponibili e così, certo di essere compreso, sottopongo un argomento privo di stelle e di prìncipi, di canoni e di lussi, ma ricco di umanità. Esso ci porterà lontano, verso la comprensione dell’autentica fragilità e potenza della natura umana, che in questi tempi di distratta abbondanza, di ostentata esteriorità, è cosa che si fa molto desiderare. Parlerò di un tema che richiede un’esegesi personale e collettiva insieme, in quanto non sarò da solo in grado di sviscerarlo e devo far conto sui mezzi individuali per la riflessione e per nuovi, indispensabili contributi. Parlerò, o se non mi sono sbagliato parleremo, del “vestito buono”, quello che si usava la domenica, nelle feste e nelle cerimonie, nelle occasioni importanti. La comprensione delle corde segrete dello stile inglese, silenzioso e coerente, intransigente e scostante, fondato sulla tradizione e giammai sull’ammirazione, sul consenso dei pari e non del volgo, ha già condotto coloro che seguono o creano queste pagine ad un livello di analisi dove l’eleganza fa a meno della bellezza, dove l’eleganza può fare a meno dell’eleganza stessa. Proprio questo passaggio ci ha avvicinato al difficile argomento di questo gesso: il “vestito buono”. Innanzitutto, come tale esso è unico. In quanto unico, si pone al di fuori di quel guardaroba che abbiamo idealizzato come luogo delle scelte, palinsesto delle variazioni attraverso le quali si crea e si modula – almeno fino allo stato delle precedenti conoscenze – ogni risultato estetico: la sfumatura cromatica, la composizione dei volumi, il sottile accordo con il contesto. Privo di una scelta di accessori, manca necessariamente quella raffinata inflessione d’accento che attraverso il dettaglio concede spazio allo stato d’animo. Senza questi strumenti, qualunque sensazione positiva ci sembra irraggiungibile. Non sto per dire che sinora abbiamo sbagliato, ma che esistono altre vie ed altri modi di vedere le cose. Tutto dipende dal livello di penetrazione dello sguardo, del limite cui esso riesce a giungere in lontananza e profondità. Nella disposizione d’animo che lo giustifica, nel dare a Cesare quello che è di Cesare, non è difficile scorgere nel “vestito buono” significati civili e morali così grandi da non poter essere disconosciuti. Poiché sappiamo che la grandezza d’animo è uno dei principali fattori positivi tra quelli che, moltiplicati, danno luogo al prodotto estetico, cominciamo a drizzare le antenne. In questo caso, la grandezza non è per forza o non solo dell’individuo, ma di una famiglia, di una categoria, di una comunità e in definitiva di un tempo che ha creduto, che ha avuto certezze che noi relativisti d’oggi (per usare un termine d’attualità) non abbiamo più il coraggio di avere. Nel “vestito buono” non risiede alcuna intenzione di gareggiare a chi sia il fico più bello del bigoncio, ma la volontà di adeguarsi ad una tradizione che si accetta, ammettendo che molti altri avranno potuto interpretarla con migliori risultati. Talvolta in questa accettazione si vede come un capo chino, ma si tratta di umiltà e non di sottomissione. Altre volte – spero di poter produrre o che altri producano esempi di questo genere – da sotto ad un cappello di cattivo feltro brillano occhi fiammeggianti di volontà. Dalle maniche, come nel caso qui illustrato, escono mani grosse, in cui c’è però tanto più onore di quanto possa mai essercene in una croce di cavaliere appiccicata come un distintivo. Il vestito buono non si indossa per apparire belli, ma dignitosi. Non si indossa nemmeno per se stessi, ma in parte o in tutto per un dovere d’immagine che coinvolge la propria famiglia. Caspita! Dignità, senso del dovere e senso dinastico! Ma allora, scavando dove nessuno avrebbe creduto di trovare alcunché, siamo finiti in una cava di gemme del sentimento aristocratico?! Il “vestito buono” è morto con la moltiplicazione e diffusione delle possibilità di acquisto, in seguito alle quali ciascuno ha accesso all’usa e getta voluto dalla dittatura del consumo. Non vale la pena rimpiangerlo, perché non è mai bene che le pance piene invidino quelle vuote, rivelando di non saper apprezzare ciò che hanno. Se però esso non è più concepibile, lo studio di quanto lo abbia animato è tuttora importante non solo per una ricerca umanistica intorno all’abbigliamento ed al costume, ma anche per l’affinamento di quelle qualità spirituali che coloro che aspirano al supremo raggiungimento dell’eleganza devono sviluppare e saper apprezzare, ovunque esse si trovino. E spesso si trovano in luoghi o i personaggi imprevedibili: su uno zingaro, su un operaio, su un giovanotto in blue jeans. Meglio passare a questo punto dalla teoria all’osservazione pratica, che il sistema dei Taccuini ci consente. Con l’Appunto n. 1524 vi introduco un’immagine esemplare ed un (quasi) breve commento. In calce, un po’ come un’introduzione in nota, riporterò anche questo testo. Cavallerescamente ringrazio il Magnifico Rettore, i nobilissimi Cavalieri e tutti i gagliardi Visitatori che, con le parole e i silenzi, hanno contribuito a portare le nostre truppe su terreni dove pochi hanno osato. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-04-2005 Cod. di rif: 1946 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Siluri ben mimetizzati - A Carmelo Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, rincasando con mia moglie, ho trovato mia figlia che guardava lo sceneggiato su De Gasperi. Ad un certo punto, mentre cenavo sul tavolo con vista sulla gigantesca TV, la regia mostrava un'assemblea di rappresentanti democristiani che nella quasi totalità appariva in camicia. Mi sono rivolto a mia moglie dicendole: certamente qui c'è una mano femminile. Mi rifiuto di credere, se non dietro adeguata documentazione, che nel 1952 tanti uomini si siano tolti la giacca in una riunione al parlamento o in un congresso. Non so di cosa si trattasse, perché mi sono rifiutato di continuare a vedere quello scempio. Quella sola scena mi è bastata e dopo avervi assistito non mi interessano più la parte storica, la fedeltà o la fantasia della sceneggiatura, la qualità della recitazione etc. Non concordo, quindi, che si sia trattato di una produzione "non spregevole", ma al contrario del solito siluro ben nascosto, mirato, magari inconsapevolmente, ad abbattere un'immagine maschile che all'epoca era ben salda dentro i suoi paramenti. Guardi nella pubblicità, quanti di questi siluri sono lanciati contro la nostra linea di galleggiamento: uomini senza midollo, asserviti alle mogli, zimbello dei figli, intenti alle faccende domestiche, preoccupati della pulizia dei piatti e, naturalmente, senza giacca. Vigili attentamente e, per sicurezza, tenga indosso la sua corazza anche quando tutto sembra sicuro. E' chiaro, a questo punto, che non lo si fa solo per difendere se stessi. Cavallerscamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-04-2005 Cod. di rif: 1948 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Profondità e intransigenza - Al Cavaliere Villa Commenti: Egregio Villa, ho molto apprezzato la Sua analisi a doppio stadio, che rende evidente quel passaggio che io riconosco come avvenuto e che non è non da un metodo all’altro, ma da una concezione estetica semplice e fissa ad una complessa e mobile, permeata di intuizione ed emozione, che permette di adeguarsi ad oggetti d’indagine altrimenti inafferrabili. A questo livello, certi giudizi si rivelano pregiudizi e come tali, appena esaurita la loro funzione, possono essere rimossi dal loro incarico. Ne consegue il sovvertimento di certe valutazioni, come nel caso di specie il passaggio del vestito buono da travestimento a sincerità, da vanità provinciale a tempio di valori tradizionali. Come ho già annunciato, la "comunità" del castello ha percorso tanta strada. Basta voltarsi indietro, per rendersene conto. Solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile imbastire una discussione come quella che si sta dipanando sul "vestito buono". Il problema è che coloro che via via si aggiungono al gruppo potrebbero trovare difficoltà ad ambientarsi. Innanzitutto, grazie ad una specifica ricerca etimologica ed epistemologica, si è sviluppato un linguaggio comune. Ma, a parte la lingua, è questione anche di argomenti e di toni. Ad esempio, l'ultimo mio gesso sui siluri nascosti nello sceneggiato su De Gasperi e nelle pubblicità televisive, a chi ci legga per la prima volta apparirà sopra le righe, mentre credo che i vecchi frequentatori ne colgano l'amarezza e condividano la necessità di tanta intransigenza. Proprio questa, l'intransigenza, è roba forte, che oggi si distilla solo clandestinamente e alla quale pochi palati sono avvezzi. Essa è lontana dal totalitarismo in quanto proviene da un ideale e non da un'ideologia. Diversa dal fondamentalismo in quanto è rivolta innanzitutto verso se stessi e, anche, quando è indirizzata a terzi, essa si interessa solo di valutare e giammai di imporre. L'intransigenza è utile nella scienza, nell'etica, nell'educazione dei figli e nella produzione del vino. Come tutte le cose, va presa nelle giuste dosi ed è lì che ci deve soccorrere quella sensibilità umanistica che invochiamo come nostro sistema e nostro traguardo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-04-2005 Cod. di rif: 1950 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tolleranza, affrancamento, identità. I prii tre frutti di un Commenti: Egregi Visitatori, dagli interventi intrecciatisi nella Lavagna e nel Taccuino, non mi sbagliavo nel certificare una crescita delle torri spirituali del castello. Per la complessità intellettuale e per la semplicità di cuore che la sua comprensione richiede, l’analisi del “vestito buono” non avrebbe potuto essere proposta ad un pubblico vasto e rumoroso, mentre è stato immediatamente fatta propria dalla nostra piccola Accademia. Il seme ha tutto in se stesso: il programma e le risorse, ma solo gettato nella giusta terra e nella giusta stagione trova la forza per compiersi. Dalla vigna piantata solo pochi giorni fa, possiamo già vendemmiare alcuni importanti risultati: 1) Nel suo gesso, Villa ha dimostrato con l’evidenza di una telecronaca come alzando il suo punto di vista abbia ampliato il proprio orizzonte, accedendo così ad una valutazione più serena di ciò che da sempre aveva misconosciuto. Quindi più in alto ci si trova e più sono le cose, le persone, le situazioni che si comprendono. E dal comprendere al giustificare, come dal giustificare all’amare, i passi non sembrano tanto lunghi. Ne ricaviamo un programma di ricerca, per non dire di vita, basato sulla tolleranza. Non si tratta di cosa da poco, perché significa aver trovato il ritmo per vogare in senso opposto a quello della corrente ed essere quindi liberi di andare dove veramente si vuole. Infatti nella sua diffusa accezione, quella di tipo televisivo o giornalistico, l’esperto è tanto più credibile e la sua critica tanto più acuta quanto più esclude e condanna, giudica ed emargina, ironizza e distrugge. 2) In una pellicola del suo archivio di memorie, Forni ci ha fatto rivedere l’abito buono del proletario, mentre Pugliatti ha mostrato nel Taccuino quello del borghese. Siamo quindi giunti a dividere l’esperienza del vestito buono in almeno due piani, ma non è detto che non se ne aggiungano altri. Manca un esempio aristocratico ed allora il ricercatore deve porsi la domanda: se questo fenomeno si verifica per due classi sociali, si verificherà anche per una terza? Staremo a vedere, ma intanto, trovando o non trovando altri pezzi del mosaico, noi avremo compreso che esso esiste e che molto di quello che si dice intorno all’abbigliamento è limitato da un’assenza di metodo e da una carenza del principio fondamentale: la sua accettazione come una metafora, come un linguaggio, come un universo di ricchezze umane il cui studio arricchisce a prescindere dalla pratica. Lo studioso d’arte non ha bisogno di avere un Monet in casa per comprendere l’impressionismo e così, da queste pagine e per la prima volta nella storia, noi tentiamo di affrancare lo studio dell’Eleganza dall’inseguimento personale dell’Eleganza. 3) L’inesauribile, paradigmatica immagine che ho pubblicato e commentato nell’Appunto n. 1530, ben preparata dall’intervento di Pugliatti su de gasperi, ha offerto la visione di tre uniformi. Insieme a quella del prelato e del milite, ve n’era una terza che non si poneva come tale e che ha rivelato invece di esserlo. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Insieme alle divise, così a proprio agio non avrebbe potuto trovarsi che un’altra divisa: l’abito buono borghese, appunto. Il contenuto simbolico di questi paramenti è orientato ad un riconoscimento dell’individuo all’interno di un sistema in cui egli si riconosce stabilmente, sicché stabile sarà l’aspetto. Dal confronto con ciò che nella stessa foto vediamo invece indosso al quarto uomo, che per una splendida coincidenza simbolica cammina con un altro passo e su un'altra linea, capiamo ciò da cui la moda vuole liberarci e leggiamo il suo programma di liberazione. Nel suo manifesto, essa offre un affrancamento dal sacrificio cui il singolo era tenuto per la dignità della sua casta, della sua categoria sociale, della famiglia o della dinastia. In cambio di un’identità, che va curata per la vita, propone l’acquisto, col facile denaro e non con l'arduo comportamento, di un lasciapassare estetico rinnovabile ogni volta che lo si ritenga vantaggioso. Essa consiglia a ciascuno di correre da solo, ma di non sudare, se non per se stesso. Ora che tutti corrono sulla stessa strada, solo ora e solo chi sta fuori da questa ressa, vede che l’individuo non è mai tanto massificato che nel momento in cui tenta una via di originalità senza ideali, iscrivendosi ad una maratona stracittadina cui partecipano in tanti che nemmeno si distinguono i bianchi dai neri. C’è in queste considerazioni qualcosa di già udito altrove e forse, oltre al commissario di Petri, il nostro uomo in nero somiglia anche a quello di Matrix. La terza lezione è quindi quella sul valore dei vincoli e delle radici, che affondano nel terreno etico e producono inevitabilmente una vegetazione estetica, non sempre apprezzabile da chi non sappia ciò che si nasconde sotto il suolo. Alla prossima puntata, per un aggiornamento dal Vostro non ancora completamente umile, ma già in tutto servitore Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 01-05-2005 Cod. di rif: 1951 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Il vestito buono Commenti: Egregio Gran Maestro, con un pizzico di ritardo ho letto gli ultimi gessi sul tema del "vestito buono"; d'altronde tale ritardo mi ha consentito di leggerli tutti in rapida sequenza e di apprezzarne al meglio lo spirito comune che li pervade e li caratterizza: effettivamente il dialogo su questa Lavagna ha ormai raggiunto un livello d'approfondimento di difficile replicabilità. Mi permetto di allegare un articolo giornalistico dello scorso autunno, che avevo conservato e che mi sembra coerente col tema in discussione. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia "UNA CLASSE A SE’, OVVERO: CENT’ANNI DI CARY GRANT" Oggi ricorre il centenario della nascita di Archibald Alexander Leach, noto al mondo come Cary Grant. Non sappiamo se tale nascita fosse da tempo annunciata nelle costellazioni, o se sia stata preceduta da bizzarri eventi, comunque fu un evento importante, per motivi che andiamo a elencare. Qualcuno penserà che la nostra sia un’autentica fissazione. Come collettivo di narratori, abbiamo citato quest’attore innumerevoli volte, ne abbiamo studiato la vita e l’opera e, soprattutto, lo abbiamo inserito tra i protagonisti del nostro romanzo 54 traendo spunto da un importante e poco conosciuto capitolo della sua biografia: la collaborazione coi servizi segreti britannici per scoprire infiltrazioni e simpatie naziste nel cuore di Hollywood. Può darsi sia una fissazione, ma lasciateci spiegare chi era costui e forse capirete. Archie Leach/Cary Grant è stato ed è uno dei personaggi più amati della cultura pop del XX¡ secolo. Nato nella città inglese di Bristol (nella cui Millenium Square si può oggi ammirare una sua statua in bronzo), di famiglia proletaria e poverissima, da ragazzo si unisce al circo di Bob Pender e diventa acrobata (in molti film si esibirà senza controfigura in capriole, salti mortali e giravolte). Quando il circo va in tournée negli Usa, Archie decide di fermarsi a New York, dove fa tanti lavori tra cui, memorabile, quello di uomo-sandwich sui trampoli. Lavora in teatro, ottiene qualche particina nei primi film, infine si trasferisce in California e adotta il nome d’arte con cui diventerà più che famoso. Inizia un lungo periodo di disciplinata e meticolosa creazione di una nuova identità, lavoro a tempo pieno che il suo più acuto biografo, l’inglese Graham McCann, chiama “the making of Cary Grant”. Nella fase in cui esce dal bozzolo, recita in diverse pellicole senza infamia e senza lode finché non ottiene, nel 1937, un vero trionfo come protagonista di The Awful Truth [L’orribile verità], pietra miliare del genere chiamato screwball comedy. Nel baseball, lo screwball è un tiro a effetto interno. In senso figurato, rimanda a qualcosa che arriva diverso da com’era partito, quindi nello slang significa “svitato”, “eccentrico”, “bizzarro”, “fuori di testa”. Si trattava di pochades sentimentali esagitate, anfetaminiche, con dialoghi sopra le righe, concatenamenti di equivoci e colpi di scena, conflitti di personalità e - in quasi tutti i film - inseguimenti e corse contro il tempo. Era il principale passatempo popolare degli anni della Depressione, e lo rimase fino al dopoguerra. Cary è la screwball comedy fatta persona, essendo il protagonista maschile dei film che pongono le basi del genere: oltre a The Awful Truth, vanno citati Bringing Up Baby [Susanna, 1938], His Girl Friday [La signora del venerdì, 1940], The Philadelphia Story [Scandalo a Filadelfia, 1941] e I Was A Male War Bride [Ero uno sposo di guerra, 1949]. Lo aiuta la sua capacità di improvvisazione, eredità che gli hanno lasciato il circo e il vaudeville (alcune delle migliori battute delle sue commedie non erano nei copioni). Attenzione, però, perché Cary non fa soltanto ridere: la sua “metà oscura” viene esplorata da Alfred Hitchcock in Suspicion [Il sospetto, 1941], con la celeberrima scena del bicchiere di latte, e in Notorious [1946], in cui (caso raro) offre una recitazione introversa e glaciale. Nel frattempo, uno shock lo riporta al passato, alla sua precedente identità: Elsie Leach, la madre che credeva morta da una trentina d’anni, viene trovata nel manicomio in cui il padre (da poco defunto portandosi il segreto nella tomba) l’aveva fatta rinchiudere. Archie/Cary è felice di avere di nuovo una madre, la fa trasferire in una casa di riposo più confortevole e per tutta la vita la terrà in palmo di mano. Nell’economia politica di Hollywood, Cary è portatore di innovazione: è la prima star indipendente, freelance, fuori dal controllo dagli Studios. Indipendenza che, tra le altre cose, gli permette di decidere se e quando ritirarsi dalle scene. All’inizio degli anni ‘50, con l’affermarsi di una nuova generazione di attori (Brando, Dean, Clift), la sua stella si offusca un po’, e decide di tirare i remi in barca. Dopo un anno e mezzo di whiteout, Hitchcock lo convince a tornare per recitare in To Cath A Thief [Caccia al ladro, 1954]. Alla fine del decennio, Cary è il più importante e famoso attore di Hollywood, è l’uomo che ha ridefinito radicalmente i canoni dell’eleganza maschile (se dal rigido completo a tre pezzi si passa definitivamente a quello senza panciotto, gran parte del merito va all’immagine da lui proiettata), è un role model per quanto riguarda lo stile, alfiere di una virilità leggiadra, rilassata, mai imposta (nei film è sempre il sedotto, mai il seduttore). Ormai può fare ciò che vuole, anche sperimentare allucinogeni (dirà di aver preso LSD un centinaio di volte) e presentarsi in versione (perfettamente) trasandata e arruffata in Father Goose [Il gran lupo chiama, 1964]. Nel 1966 abdica dal cinema. Nel 1970 riceve l’Oscar alla carriera (con la motivazione: “Per essere stato Cary Grant”). Nel 1986 passa a nuova vita come leggenda. Post mortem, Cary è divenuto una sorta di santo laico. Intorno al suo culto di eleganza fioriscono articolate sottoculture di fandom, ieri per posta e nei cineforum, oggi su Internet. Vastissimo il campionario di siti (il più ricco è www.carygrant.net) e liste di discussione (Warbrides). Cary è uno di quei personaggi in grado di sconfiggere il tempo e diventare icone aperte, storie che creano vincoli comunitari, trasformano la qualità della vita di chi le racconta e le tramanda. In questo senso, la cultura pop fa leva su certi “prerequisiti di comunismo” che la sinistra “apocalittica” ha spesso frainteso come elementi di ideologia borghese o risultati del lavaggio del cervello sociale. Capire il mito di Cary Grant può essere utile per affrontare il nostro presente, e trovare adeguate strategie di resistenza umana. La biografia scritta da McCann s’intitola Cary Grant: a class apart. Una “classe a sé”, in entrambe le accezioni: savoir faire e classe sociale. C’è molto di working class nel duro lavoro di self-improvement, nell’autodisciplina maniacale con cui l’ex-Archie Leach interpreta il personaggio che ha inventato. Personaggio che, è bene ribadirlo, si nutre della continua sfida ai ruoli sociali, alle identità di nazione, classe e genere. “Cary Grant” è un personaggio “trans-atlantico”, sintesi di Europa e America in continua ridefinizione (il suo accento era indefinibile). “Cary Grant” non è più working class come Archie Leach ma non è nemmeno upper class o middle class. E’ una classe a sé, appunto. E’ inequivocabilmente maschio, ma - come dicevamo poco sopra - la sua è una mascolinità molto diversa da quella granitica dei Clark Gable e dei Gary Cooper. In questi tempi di merda e di sconforto, di fine di una fase del conflitto sociale (quella inaugurata a Seattle nel novembre 1999), è più che mai importante riscoprire la non-chalance come arma di lotta individuale e collettiva. Lo stile è un’arte marziale, come a suo tempo aveva ben compreso la classe operaia europea. Far vedere al padrone che, con un po’ di inventiva e spendendo poco, si poteva esser più eleganti e dignitosi di lui. Le foto delle manifestazioni del Primo Maggio o dei funerali di Togliatti mostrano espressioni e atteggiamenti fieri, completi un po’ logori ma perfettamente stirati, cravatte dal nodo impeccabile strette intorno a colletti ben inamidati; le donne hanno foulard dai nodi complicati e abiti cuciti in casa dal taglio perfetto. Si nota la cura per i dettagli, l’amore per la pulizia di chi tutti i giorni è costretto a sudare e sporcarsi. Il messaggio è più o meno questo: “Padroni, non avete di fronte delle bestie o dei primitivi, e la stessa cura che mettiamo nel dimostrarvelo la metteremo nel lottare contro di voi”. Nel suo libro Cose di cosa nostra, Giovanni Falcone descrive così il proletariato di Palermo negli anni Cinquanta e Sessanta: “Abitavo nel centro storico, in piazza Magione, in un edificio di nostra proprietà. Accanto c’erano i catoi, locali umidi abitati da proletari e sottoproletari. Era uno spettacolo la domenica vederli uscire da quei buchi, belli, puliti, eleganti, i capelli impomatati, le scarpe lucide, lo sguardo fiero.” Dopo l’uscita di 54, due anni or sono, fu una grande soddisfazione ricevere questo commento da una lettrice: “Mio padre, compagno attivo e militante, quarta elementare, gran ballerino, poverissimo, a dieci anni lavorava già in fabbrica, ma nella sua semplicità aveva un portamento da gran signore. Alimentato da mia madre che passava nottate intere a confezionare camicie e abiti che erano perfetti, senza difetto. Stirare le camicie era una specie di rito, che ancora adesso mi affascina. Con i ferri scaldati sulla stufa, non sbagliava un gesto, una piega; un rito quasi religioso che non mi stancava mai. Stirare la camicia bianca per il papà perché, alla domenica mattina, avveniva la grande trasformazione. Io aspettavo mio padre seduta sullo scalino del bagno, lui usciva ben rasato, pettinato e lo guardavo mentre si vestiva a festa, perché poi doveva andare in sezione per diffondere l’Unità. Lui usciva da casa allegro, elegantissimo, con il fazzolettino di seta nel taschino della giacca intonato alla cravatta e le scarpe lucidissime. I vestiti erano sempre quelli, ma questo per lui era solo un dettaglio.” Analogo atteggiamento si può trovare nella cultura afroamericana (ulteriore elemento di riflessione sui rapporti tra classe e “razza”). Scrive Lloyd Boston, autore del volume Men of Color: Fashion, History, Fundamentals (1998): “Per i neri americani, e per gli uomini in particolare, l’abbigliamento ha sempre avuto una funzione simbolica. Ciò che indossiamo segnala ciò che siamo e, soprattutto, ciò che vogliamo essere. Che l’aspetto sia duro, rampante, afrocentrico o fighetto, la nostra abilità nel vestire è anche strategia di sopravvivenza”. Di suo, Cary ha aggiunto qualcosa di fondamentale: la leggerezza. Non la “lightness” della Coca light o del Philadelphia light, e nemmeno il “leggero” inteso come superficialità, bensì la leggerezza di cui parlava Calvino nelle Lezioni americane, quella che serve a sfuggire l’inerzia e l’opacità del mondo, e si associa “con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”. Cent’anni fa, a Bristol, nasceva un uomo destinato a lasciare il segno. WUMING FOUNDATION. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-05-2005 Cod. di rif: 1953 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La leggerezza non ci salverà - Al Cav. Marseglia Commenti: Egregio Cavalier Marseglia, il testo da lei così ben compreso nelle sue implicazioni, ricordato, conservato ed oggi riportato nel gesso n. 1951, è effettivamente calzante. Devo attribuire al prode Cavaliere Forni il primato delle considerazioni “estetiche” sul primo Maggio, del quale egli mi parlava già anni fa. Forse fu proprio lui ad innestare nella mia mente il seme che è germogliato quando le condizioni lo hanno permesso. Mi sembra piuttosto buona anche l’analisi dell’estetica Grantiana, condivisibile sino al punto in cui mostra la corda e le intenzioni scontate, stigmatizzando ciò che l’immagine maschile era prima del grande divo. La leggerezza non è una soluzione definitiva, né la scoperta che ci salverà. Lo ripeto, perché qui la scuola cavalleresca si divide dal pensiero comune in un modo insanabile. La leggerezza non è una soluzione definitiva, né la scoperta che ci salverà. Qui, dove essa non ha alcuno spazio, qualcuno si sente elevato anche con tutti i pesi del pensiero. Qualcuno per noi vuol dire tutti, perché, per vie sottili, la conoscenza, che appare così grave, viaggia lontano, da uomo a uomo, da tempo a tempo, da virgola a virgola, finché punto non venga. Sino a quando un sol uomo parla una lingua essa non è morta, perché la forza che muove l’universo non è attivata dalla quantità, ma dalle differenze e quindi dalla qualità. Così ciò che un nostro simile conserva nella sua memoria a Shangai è patrimonio di noi napoletani. Questo problema della vera natura e del vero scopo della qualità, motore del cosmo diventato slogan da etichette, sarà oggetto di future riflessioni. Per ora non voglio combattere la leggerezza ed anzi la ammiro, ma in chi la possiede come una dote naturale e non come un codice di accesso. Molti la cercano e la mimano, credendo che porti a chissà quali tesori e scoprendo troppo tardi che essa mena spesso nell’insipienza, talvolta nella volgarità. Non è la leggerezza, ma la tolleranza, la chiave del tesoro. Ma ora stiamo andando troppo avanti e per chi è pesante come me non sta bene compiere certi balzi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-05-2005 Cod. di rif: 1954 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quando ero vivo io ... - Al Cav. Prete Commenti: Egregio Cavalier Prete, le cause di una nascita sono sempre meno limitate, ma ancor oggi circoscritte a poche possibilità, tra le fecondazioni che si giovano del freddo e quelle vecchio stile, col calduccio. Quelle di morte invece diminuiscono, almeno secondo i nostri ministeri, che ne attribuiscono il settanta per cento al fumo, il trenta ad altre condotte sconsiderate in auto, a tavola, a letto e nessuna, proprio nessuna, al nemico che si vuole ritenere sconfitto: il tempo. Credo che il tempo non riconosca come valide queste vittorie al tavolino e probabilmente si starà sganasciando dalle risate, vedendosi combattere con paroloni, siliconi e buone intenzioni. Prima di quest’epoca della salute eterna e necessaria, insomma quando io ero ancora vivo, le cause di morte erano molteplici. Pensi che c’era anche il crepacuore, cioè si riconosceva possibile che qualcuno credesse o amasse tanto qualcosa da non volerle sopravvivere. Ridicolo, non è vero?. L’argomento tende a dimostrare che, qualora non si sia così ubbidienti da crederci veramente, a quei famosi ministeri, le cause di una fine sono molteplici e spesso composite. La Sua teoria non ne esclude altre e non nega nemmeno la mia, a meno che non sia Lei stesso a negarla. Quanto al secondo punto, credo che non ci sia nessun collegamento e che l’abito buono sia stato il coinquilino e l’ultimo erede del costume popolare, col quale quindi ha avuto un rapporto strettissimo. Il costume è divenuto ingombrante non solo per un contenuto di identità superiore a quello ammesso dalle nuove leggi in materia di uniformità culturale, non scritte come tutte quelle che vengono applicate, ma anche da un punto di vista fisico. Oggi non si può più portare cappotto e cappello perché non si sa mai dove poggiarli ed anche da un notaio dove si va a costituire una società o acquistare un immobile da milioni di euro si è costretti a restare col soprabito in mano. Che spazio potrebbe mai esserci per merletti, stivali, ciocie e parapalli? Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-05-2005 Cod. di rif: 1956 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualche parola sul castello - Al Cav. Prete Commenti: Egregio Cavalier Prete, qualificando questo come il "mio" castello, Lei rischia di far torto a se stesso ed alla nostra Associazione. Certo ne fui architetto, ma non ne sono padrone. Sin dalla fondazione esso appartiene all'Ordine ed è quindi Suo quanto mio. Se si giova delle capacità mie e di altri, è vero anche il contrario. Il castello, come l'Ordine, durerà più di me e sarà sempre ospitale, ma per essere efficace nella sua difesa non potrà essere più democratico di quanto non sia qualsiasi milizia. Come vede esso sorge sulle rocce, come sente perennemente vi risuona l’acciaio, come sa costantemente ci si lavora, ma affrontare argomenti come quelli che Lei apprezza richiede libertà dal compromesso, dalle servitù politiche, ideologiche ed economiche, insomma autonomia. Ma cos’è l’autonomia senza poteri? Un pannicello caldo da imbonitore populista. Occorre quindi che l’Ordine abbia potere sul suo castello e il condottiero abbia potere sull’Ordine, ma con sufficiente fiducia da esercitarli senza che di essi si debba mai dire. Poiché Lei avverte questo potere e ancora non ci si è abituato, visto che il potere è un altro di quegli argomenti scomodi di cui sopra, ha l’impressione che il castello sia in qualche modo una cosa mia. Eppure Le dirò che nei tre mesi nei quali ho partecipato pochissimo alle discussioni, Dicembre, Gennaio e Febbraio scorsi, le visite si sono incrementate nella consueta misura. Lo scopo del castello, lo abbiamo già detto altre volte, è quello di offrire riparo a chi viaggia perché cerca qualcosa. Diversi e più complessi sono gli scopi dell’Ordine, che non a caso ha altre attività fuori di qui. Esso però si giova di questa fortezza visibile da lontano, conosciuta e prevedibile, scostante e sicura. Essa non è una casa e non ne ha il calore, ma un quartier generale dei valori maschili o al maschile. Qualcuno viene qui per dissetarsi, altri per curiosare, ma altri sentono che quella guerra è anche loro e decidono di condividere il peso della nostra spada. Numquam servavi Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-05-2005 Cod. di rif: 1957 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Riconsiderazioni sulla leggerezza e note motoristiche Commenti: Egregio Marseglia, rileggendo l’articolo da Lei riportato al gesso n. 1951, mi accorgo di non avergli reso giustizia. La penna rivela ottima cultura e sensibilità adeguata al discorso. Poiché non molti scrivono con talento di queste cose, non avrei dovuto nemmeno dare l’impressione di sminuire il critico che ha firmato quella pagina. Chiedo venia alla squadra per questa palla gettata frettolosamente fuori campo. Se qualcuno volesse rimetterla in gioco non sarà mai troppo tardi, ma per sicurezza è meglio che per un po' stia in panchina. Purtroppo so di essere particolarmente sensibile al mito della leggerezza, diffusosi acriticamente negli anni novanta come terza pietra di una collezione di atteggiamenti che avrebbe dovuto essere l’amuleto definitivo contro i mali del mondo: la dissacrazione degli anni settanta, il disincanto negli ottanta. Inoltre, come se si avesse fretta di sdoganare ciò che era venuto dopo, si liquidava troppo velocemente l’immagine maschile anteriore, quella interpretata dai Gary Cooper e dei Clark Gable. In effetti, il commentatore cerca egli stesso di esorcizzare il demone della leggerezza, distinguendone una positiva da una negativa. Qui i risultati lasciano un po’ a desiderare, perché si resta nell’ambito di una concezione salvifica, che, ancorché avallata da nomi prestigiosi, non condivido. La leggerezza è un sistema, non un’energia. Non mi convince nemmeno il Calvino che la prende a panacea contro l’inerzia del mondo. Orbene, mentre le scelte non devono mai giudicarsi dai risultati successivi, ma dalla moralità al momento in cui furono assunte, i sistemi si giudicano dagli effetti e non mi sembra che la storia possa dimostrare una prevalenza della leggerezza. La scienza e l’arte, che sono le ruote sterzanti del nostro carro e come tali il più lontane possibile, hanno entrambe girato sia sull’asse della leggerezza che su quello dell’impegno severo. O no? Cavallerescamente Giancarlo Maresca N.B. Per non lasciare nel dubbio gli appassionati di motori, direi che se le ruote sterzanti sono quelle già dette, quelle motrici sono, ancora una volta agli opposti, l’economia e il desiderio di libertà. I fari sono la filosofia, i freni (questa era scontata) l’etica, l’abitacolo e i sistemi di sicurezza sono la religione, etc. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 02-05-2005 Cod. di rif: 1958 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: La leggerezza e Calvino Commenti: Egregio Gran Maestro, in difesa di Calvino, che in realtà non ne avrebbe bisogno, vorrei sottolineare che, nelle sue Lezioni Americane, le Leggerezza viene affiancata pure dalla Lentezza e dalla Pesantezza; insomma la Leggerezza non è un valore in se per Calvino, ma un mezzo espressivo che di volta in volta può essere utilizzato per il proprio discorso. In questo senso, e solo in questo, mi pare che si possa legittimarne l'utilizzo, nel caso specifico da parte di Cary Grant. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-05-2005 Cod. di rif: 1959 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sia leggera la leggerezza Commenti: Egregio Cavaliere Granata, la Sua precisazione riporta all'equilibrio, almeno nel pensiero di Calvino, la Leggerezza rispetto ad altri metodi e atteggiamenti. Il mio cruccio è che proprio essa, che per definizione e per legge fisica deve stare sopra le cose e non sotto, venga presa troppo sul serio e Le sia così affidato un ruolo che non può sostenere. Grazie Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2005 Cod. di rif: 1972 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Agnelli e Nuvoletti - Al signor Tarulli Commenti: Egregio signor Tarulli, con quell’incipit sopra le righe, Lei colpisce la vanità mia più intima, quella che so essere non un peso, ma una positiva spinta al fare. Sotto i colpi incessanti di una cultura ai siliconi, che sdogana come Esperto chiunque sia apparso in televisione o abbia pubblicato un libercolo, che conferisce diplomi di degustatore dopo un corso profondo come una pozzanghera e non degno per parzialità nemmeno della peggiore inquisizione, che con eretica superbia vuole ridurre la sublime arte dell’abbigliamento e la complessa e divertita scienza del vestire a tristi decaloghi, i quali, come una penitenza o una litania, avrebbero il potere di donare i paradisi del Gusto e del Giusto, la Conoscenza autentica è perseguitata e come tale va comunicata sottovoce. Diversamente, si viene derisi o, nel migliore dei casi, incompresi. Qui nel castello, le poche eppur rigide norme di accesso alla scrittura, una tradizione immacolata di ricerca, l’evidenza sincera della passione che si è fatta strada con lo studio e l’applicazione, creano quell’atmosfera iniziatica libera dai nefasti vapori dell’indottrinamento. Se il Rettore ed il Gran Maestro hanno una voce più autorevole, hanno pagato e pagano questo potere a usura, con una vita dedicata all’elevazione di questi argomenti e non al loro sfruttamento. Leggo nel Suo gesso la gioia che dona la soluzione di un vecchio dubbio, la risposta a una domanda che ci si è stancati di porre. Questo e non altro conferisce senso al nostro lavoro. Tutti possono accedervi e ricalcarlo, perché in ottemperanza agli altissimi nostri scopi ogni testo è fatto in modo da poter essere ricopiato, ma difficilmente altri potranno imitarci, perché ogni singolo Cavaliere è sostenuto dagli altri. Quando è fuori è protetto dalla fede e in casa sua è difeso da mura cui tanti hanno contribuito. La nostra spada non serve una causa da poco o di pochi, ma un patrimonio di tutti. Patria, padre, patrimonio, tutte queste parole vengono da una sola radice, che evoca doveri e rispetto e forma il nucleo più antico della mentalità maschile. In questo senso, come servitori di una nobile insegna, io sono potente e ammirevoli i Cavalieri. Quanto all’argomento in oggetto (V. Appunto n. 1535 del taccuino di questa Porta), avrei potuto parlarne in passato, ma solo ora i tempi erano maturi. Avrà notato che dai gessi sul Vestito Buono in poi, le conversazioni sono più rade e mirate. Così la lava, risalendo e scendendo dalle fucine di Efesto, viaggia veloce in superficie e lenta in profondità, ma poi tutta rallenta, addensandosi. Tempo verrà in cui non dovremo più apportare che pochissima nuova materia, dedicandoci solo a rifinire la vecchia, fattasi solida pietra. Chiedo scusa per questa scrittura un po’ aulica, ricca di virgole e lunghi periodi, in verità fuori dalle corde che sono solito usare, ma concederanno i generosi Visitatori qualche licenza al fallibile Gran Maestro, che Lei ha colpito al cuore con la semplice storia che ha raccontato. Agnelli e Nuvoletti? Chi potrà alla barbarie descrivere questi eroi classici, degni degli epinici di Pindaro? Ci piace pensare alle loro conversazioni come qualcosa all’altezza più perfetta, che è quella del desiderio. Forse essi parlarono di queste cose e forse no, ma un simile dialogo tra i due ci sembra arduo. Il primo era un multiforme ingegno, basato sulla velocità e su un’affezione sempre capace di fermarsi e continuare su un altro scenario. Nella stessa giornata ne viveva sei. Un’ora e mezzo di telefonate private e altrettanto di lavoro, due bordi con la sua barca in Sardegna, poi un solo tempo di una partita di calcio, per poi eclissarsi ed apparire nella prima parte di un ricevimento, proseguire con la seconda di un altro, arrivare alla fine di una festa e quindi finire a letto, spesso non da solo. Nuvoletti, sopravvissuto a se stesso, è stato invece sempre schivo, fermo almeno quanto irraggiungibile. In entrambi l’abbigliamento fu portato alle estreme conseguenze. Formale e riscattato da finti e coscienti errori per l’Avvocato, affascinante e venato di colta eccentricità per il Conte. Nuvoletti da per scontate certe nozioni tanto da tacerne, come fece nella celebre prefazione che Lei cita. Al contrario, resta difficile credere che Agnelli sia stato tipo da lustrare o far lustrare le scarpe con l’osso di montone, ma questo ci libera da un dovere più di quanto faccia vacillare un mito. Non è infatti necessario attenersi a procedure astruse o adorare dei totem, quanto sapere. E valere. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2005 Cod. di rif: 1973 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Triplo ritorto - Al cav. Zaccaro (Risp. gesso n. 1970) Commenti: Egregio Cavaliere Zaccaro, La so abituale ed attento frequentatore dei nostri Laboratori in Bologna e, poiché giunge ogni volta da Milano, colgo l'occasione per lodare il Suo impegno. Ho atteso un po’ prima di risponderLe, consultandomi con esperti del settore come il nostro sapientissimo Rettore ed il signor Michele Colombo della prestigiosa ditta Crovetto, certamente il miglior negozio di tessuti per camiceria d’Italia e tempio incontaminato della mentalità maschile genovese, silenziosa e colta. Lo vada a trovare, qualche volta, in Via Venti Settembre, poco più giù del ponte monumentale. Troverà un’accoglienza impeccabile e con tutta calma potrà approfondire la discussione e verificare con mano le differenze. Tenga presente che la cultura del tessuto è fondata sul tatto ancor più che sulla vista e la conoscenza teorica attraverso testi e foto può preparare e non sostituire all’esperienza sul campo. Innanzitutto va chiarito che per triplo ritorto si intende un filo unico, composto da tre fili ritorti. Dalla discussione è emerso che l’uso di questa tipologia è piuttosto recente e serve a supplire in qualche modo al deficit di varietà nei filati. La produzione di questi ultimi, nei cotonifici come nei lanifici, è orientata a produrre le qualità molto sottili gradite al mercato, togliendo dalla produzione quelle di maggior titolo, necessarie ad ottenere certi pesi. Se però si utilizza un triplo ritorto in un tessuto che tradizionalmente doveva avere un filo singolo o doppio, l’effetto sarà ibrido. Poiché questo capita e non c’è soluzione, i conoscitori di tessuti devono ormai abituarsi a questa dittatura così come i vecchi fumatori di Avana devono fare buon viso al cattivo gioco delle nuove varietà di tabacco, etc. etc. Resti però la memoria delle cose fatte bene, con un senso estetico e non solo commerciale, in un mondo immensamente più povero eppure ricco delle diversità che abbiamo barattato con l’abbondanza. Nel mondo tessile tutto cambia e le flanelle, che una volta erano cardate, oggi sono pettinate. Tutti vogliono essere più realisti del re e più raffinati del più raffinato, dimenticando che nessuno come i veri raffinati ha in odio le raffinatezze. L’oxford di una volta, di cui nel mio recente articolo sulla camicia bianca lamentavo la scomparsa, era ottenuto con filati singoli, cioè non abbinati. Era ottenuto da cotoni ordinari, però risultava molto morbido, pastoso, in quanto la semplicità del filato e della tessitura lasciavano la mano estremamente cedevole. Fatto per coprire, copriva molto bene, riscaldava. Non costava molto e durava poco, ma offriva una soluzione precisa ad un’esigenza precisa, al contrario di questo mercato dove tutto si standardizza, soprattutto la raffinatezza di cui sopra, per poi essere presentato come il massimo dell’originalità e dell’individualità. Si usavano, quando ero ragazzo, anche filati dai titoli bassi, mentre oggi si va dai 120 di titolo metrico in su. Per ottenere certi spessori, oggi si abbina un filo in più e si passa dal doppio al triplo ritorto, di cui si sente parlare da non più di dieci anni. Naturalmente la mano non è quella che si sarebbe ottenuta con un filato semplice di sezione più ampia ed è piuttosto nervosa. Questo può essere un bene per un panama, ma nel caso di un oxford, come mi è capitato di vedere, è un’eresia per i miei polpastrelli ben memori delle glorie passate. Lei pensi con la Sua testa e giudichi col Suo gusto. Ora sa qualcosa in più e non altro significato va dato a questo mio gesso che di testimonianza, non di condanna. Il tessuto, forse secondo solo al laterizio, è il manufatto più comune al mondo ed è inevitabile che si evolva. Ciò una volta avveniva per soddisfare un pubblico che, avendo poco denaro, desiderava a lungo e si divertiva molto a guardare, quindi imparava tanto. Non possiamo certo alimentare il rimpianto delle tasche vuote, ma è innegabile che oggi basti far luccicare lo specchietto del lusso, dei materiali preziosi, per far credere che un oggetto sia di qualità. Va bene, perché chi conserva ben stretto in mano il filo della storia non si perderà né nel buio, né nel labirinto. Ringraziando ancora una volta De Paz e Colombo, cavallerescamente La saluto. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-05-2005 Cod. di rif: 1976 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tempi duri per Faust - Al signor Tarulli Commenti: Caro Tarulli, le nostre anime, consumate dal molto e corrotte dal troppo, non sono affreschi del Beato Angelico, quanto figurine in un album e come tali non interesserebbero Mefistofele al punto da spingerlo a concedere simili favori in loro cambio. Tempi difficili per chi intraprenda questo commercio, sia per i tetri acquirenti che per i volenterosi fornitori. Dissi tempo fa, quando l’Avvocato ci lasciò orfani della sua grandezza, che non avrei scritto di lui senza aver percepito i segnali che il suo ruolo fosse stato compreso. La sua ultima è il primo di questi segnali e subito mi sono lasciato andare a qualche commento. Chissà, ne vedessi altri potrei lanciarmi in questa impresa, che da sola varrebbe settimane di ricerca e di interviste. Grazie per i ringraziamenti, che giungendo tempestivi mi fanno comprendere che Lei, ancorché non vesta la nostra fredda armatura, frequenta assiduamente le sale del castello. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 20-05-2005 Cod. di rif: 1979 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Agnelli ed Elkann Commenti: Gentile Signor Tarulli, mi permetto di tirarle le orecchie: non tanto perchè chiunque, confrontato con Gianni Agnelli, avrebbe da perdere; ma perchè il confronto che lei propone nel taccuino 1547 è improbabile; un giovanissimo John Elkann con un ormai anziano e malato Gianni Agnelli. E questo perchè John porta la cravatta infilata nei pantaloni, evidentemente essendo in quella età in cui si emula il proprio modello, infatti lo stesso Agnelli e altri grandi facevano lo stesso. Nella stessa immagine vediamo Agnelli noncurante di mostrare una cravatta con la gambetta troppo corta, e pantaloni probabilmente troppo bassi; se ci fermassimo a queste osservazioni dovremmo dedurne un disastro. Sappiamo che Agnelli "ricercava" questi errori, anzi li commetteva con noncuranza. Attendo anche io commenti da parte del nostro Gran Maestro. Cavallerescamente, Giona Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 23-05-2005 Cod. di rif: 1982 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: La cravatta dell'Avvocato Commenti: Leggo l'appunto 1547 del Signor Tarulli nella Lavagna dell'abbigliamento . Sono stato anch'io un incuriosito osservatore , ed in alcuni casi un ammiratore , dello stile del compianto Avvocato Gianni Agnelli.In particolare ho sempre apprezzato , e invidiato , il suo regale distacco e la sua indifferenza per il rispetto di certe regole in termini di abbigliamento , regole alle quali solo apparentemente , e solo all'immaginario collettivo , dava l'impressione di attenersi, grazie anche ai suoi ottimi , eccelsi, fornitori di abiti, camicie,ecc...; ma in particolare , come si è detto , grazie ad un suo stile indubbiamente unico ed inimitabile . Un pratico esempio ci viene dal Signor Tarulli che , giustamente , fa notare il"tremendo" nodo della cravatta del nipote ma trascura di evidenziare l'altrettanto "tragico" nodo dell'Avvocato nell'occasione . Nonno e nipote , quel giorno , devono aver fatto a gara ( forse sapendo che sarebbero stati immortalati ? )a chi se lo faceva peggio e per una volta l'Avvocato oltre ad uscirne sconfitto , per quanto sfoggia , ritengo non sia assolutamente da scimiottare . Cordiali saluti N. Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 23-05-2005 Cod. di rif: 1983 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: L'Avvocato e la camicia del suo ospite Commenti: Rif. appunto 1149 Lavagna dell'abbiglamento Egregio Signor Tarulli , l'immagine è emblematica per quanto riguarda la contrapposizione di stili e conferma un certo qual nostro atteggiamento , se pur inconscio , di sudditanza ad uno stile piuttosto che ad un altro . Secondo me poi sbaglia nel dedurre l'origine della camicia indossata dall'ospite di Gianni Agnelli ; non è infatti da escludere che il capo d'abbigliamento a cui Lei si riferisce possa essere stato concepito , pensato e in definitiva fatto realizzare da qualche famoso camiciaio di Milano dal suo stesso proprietario . Ecco perchè ritengo che il minore dei mali sia quello di lasciare che il signore in questione continui a dedicarsi a quello di cui si occupa da un pò di tempo a questa parte e non ne trovi altro per occuparsi di camicie che non siano le sue . Nell'interesse generale . Cordiali saluti . N. Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-05-2005 Cod. di rif: 1986 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Plagio di questa Lavagna Commenti: Indomabili Cavalieri, animosi Visitatori del castello, ricopio in calce la lettera che ho spedito al signor Calabrese, direttore di Panorama. Sia nell'edizione cartacea che in quella in rete sono state utilizzate frasi ricopiate integralmente da questa Lavagna, senza citare la fonte ed anzi attribuendole ad altri che abbiamomotivo di credere, visto il loror ragngo, estranei alla triste vicenda. Spero che l'indignazione per l'accaduto spinga molti di Voi a far sentire quella voce che usiamo così poco. Poiché non è possibile scrivere dalla csaella di posta del Direttore e contemporaneamente inoltrare il testo ad altri indirizzi, Vi chiedo di scrivere eventuali messaggi in formati dai quali potrete poi ricopiare i testi e spedirli a me o alla cancelleria, perché in questa faccenda non intendo fermarmi senza aver avuto soddisfazione per l'Ordine e per voi tutti. Ogni forcone, ogni picca o fucile è utile alla causa. Cavallerescamente Il Gran Maestro ------------------------------------------------- Egregio signor Calabrese, nelle pagine del Suo magazine in rete compaiono, come pronunciate da Gaddo della Gherardesca e da Giulia Fieschi, frasi interamente copiate dal sito www.noveporte.it. Questo immenso spazio rappresenta un castello immaginario in cui ha sede l’associazione che dirigo: il Cavalleresco Ordine dei Guardiani delle Nove Porte. Ci interessiamo di molti argomenti, ma nel campo dell’abbigliamento nessuna rivista e nessun altro sito possono competere con la qualità e qualità del nostro lavoro. L’azione di ricerca sui materiali, gli stili, i personaggi, attira appassionati da settanta paesi. Tra tante visite, qualcuna proviene da qualche giornalista in cerca di ispirazione e fin qui tutto bene. Male invece quando si passa al plagio. Io non credo che siano stati gli stessi della Gherardesca e Fieschi a copiarci, quanto la Vostra redazione. Non fa molta differenza, di fronte al fatto incontrovertibile che materiale di nostra proprietà intellettuale sia stato presentato come proprio, senza nessuna citazione dell’autore. Come Gran Maestro dell’Ordine e suo rappresentante, intendo tutelare i diritti del nostro sito, registrato a mio nome e proprietà del Cavalleresco Ordine. Le segnalo in calce i punti dove il plagio è maggiormente evidente e che Le chiedo di far rimuovere. Credo che riceverà dai Visitatori del castello e dai suoi Cavalieri altre rimostranze, ma forse un semplice chiarimento potrà evitare una guerra. Non ritengo opportuno minacciare azioni legali o pronunciare anatemi. Chiedo però che sia data soddisfazione ad un gruppo che silenziosamente svolge un’opera unica, a molti di conforto nella solitaria ricerca della verità. Riceverei con piacere una sua lettera di spiegazioni in merito. Cavallereschi, cordiali saluti Giancarlo Maresca Testi a confronto: Gaddo della Gherardesca, o chi per lui, alla pagina http://www.panorama.it/societa/style/articolo/ix1-A020001030653/idpag1-3 «L'oggetto più prezioso per me? Non ho dubbi: le mie vecchissime Lotus "penny loafter"» afferma Gaddo della Gherardesca. «Risalgono ai tempi del college. Scarpe belle, pesanti, indistruttibili. Ci si infilava dentro un penny vero e si domavano, fino a calzarle con estrema comodità». Franco Forni nel gesso n. 15 della Porta dell’Abbigliamento. http://www.noveporte.it/guestb_abbi/index.php?todo=view&show=1560 Non ho mai posseduto un paio di scarpe che non mi fosse stato fatto su misura eccettuato qualche paio di splendide Lotus "penny loafter": A quei tempi, e mi riferisco ai primi anni sessanta, non appena arrivavi in collegio in Inghilterra era quasi d'obbligo averne un paio. E poi erano belle, pesanti, e indistruttibili. Ci infilavo dentro un penny vero e dovevamo domarle; avevo solo sedici anni. Commento: Noti che è stato copiato e incollato anche un errore di digitazione: loafter invece di loafer. Ciò prova il plagio in modo incontrovertibile. Giulia Fieschi, o chi ha firmato per lei, dalla pagina http://www.panorama.it/societa/style/articolo/ix1-A020001030653/idpag1-4 Giulia Fieschi, contessa e anima cultural-mondana di Genova: «Un giorno ero da Finollo e ho sentito con le mie orecchie la telefonata di un noto imprenditore milanese che ordinava cinque dozzine di camicie. Sono pur sempre 70 milioni di lire. Quando i ricchi incominceranno a comportarsi da signori sarà la fine». Franco Forni nel gesso n. 388 del 16.07.03 http://www.noveporte.it/guestb_abbi/index.php?todo=view&show=1930 Per quanto riguarda Finollo …(omissis) gode ancora dei favori di una clientela ricchissima ed internazionale che fa ordini telefonici di una dozzina di camicie per ogni colore. Ho sentito con le mie orecchie l'ordine di cinque dozzine di camicie da parte di un Agnelli (non l'Avvocato). Sono sempre sessantasei milioni di vecchie lire in cinque minuti. Quando i ricchi cominceranno a comportarsi da signori per loro sarà la fine. Commento: Qui si utilizza una frase assolutamente unica e tipica, non certo il nome di un prodotto. La situazione e le quantità non lasciano adito a dubbi. Qui si è copiato nel modo più volgare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-05-2005 Cod. di rif: 1989 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non cediamo all'indifferenza. Una lettera ai Visitatori Commenti: Uomini del castello, sacri Ospiti, chi di Voi ha visitato Les Invalides? L’immenso complesso fu costruito come ospedale, ricovero e simbolo di patria gratitudine per l’esercito ed è dominato dalla cupola dorata della chiesa di Saint Louis, dove dal 1679 i soldati dell’Armée ascoltano la messa. L’atmosfera marziale dello spoglio tempio rivela sulla guerra alcune cose che non si possono dire. Cose grandi, ma poiché tutte cominciano col dovere, parola messa all’indice, a ricordarle non restano che i simboli. A fianco dell’altar maggiore guizzano, da ambo i lati, due composizioni di bandiere francesi. Sembrano vive, sono vive, perché molti le vedono tali. In alto, lungo le navate, pendono due lunghe file di trofei. Non si tratterebbe in realtà che di logori panni, ma in quel luogo e in quel numero diventano un monito ed un grido d’orgoglio. Sono le bandiere prese al nemico. Come molti altri, vedendo tra esse alcune del nostro paese, ci chiediamo: ci fu gloria anche per noi? Sepolti i cadaveri e dimenticati i motivi, solo questo conta. Orbene, è noto a tutti i Visitatori come nel castello sia penetrato un nemico e che questo nemico ha un nome. L’attacco, senza onore, non è avvenuto in campo aperto, ma ciò non toglie che la nostra bandiera sia a rischio. Se, pur accorgendosi del plagio, coloro che trovano conforto in queste pagine non ne difendono l’orgogliosa indipendenza in nome non dei soli Cavalieri, ma della Nazione del Gusto, allora questa nazione è ben debole e il castello non abbastanza forte da sostenerla. In questa guerra di una piccola struttura contro un colosso dei media c’è tutto quel sentimento di esclusività, di indipendenza dal comune modo di sentire, di riscatto del singolo, che si è sempre sentito come il sistema vascolare di questa Lavagna e di tutto il castello. Quello in cui Voi credete e che è tempo di dimostrare. Per me questa guerra non è finita e non è di scarsa importanza. La nostra fortezza deve essere difesa e la vittoria è nel crederci, perché nel tentativo già si rivelano la fede e la fierezza e noi non abbiamo bisogno di nulla di più e nulla di meno. Ho mandato al proposito una lettera di esortazione, che si concludeva col grido inequivocabile: All’Armi! Chiedevo di inoltrarmi copia o almeno avviso delle lettere spedite al Direttore di Panorama sul plagio in oggetto. I Cavalieri che frequentano il castello hanno risposto, come era ovvio, in buona percentuale, ma mi ha sorpreso e deluso la scarsa risposta a questa mobilitazione da parte dei Visitatori e di coloro che, registrandosi, si sono dichiarati nostri Simpatizzanti. Qui al castello molti hanno trovato qualcosa, anche senza chiederla, ma il solo raccoglierla e farla propria crea un legame che è il momento di verificare. Forse in molti avete stimato l’accaduto un furtarello da poco. Anche se fosse così, come ultimo scudo e prima spada di queste mura ho il dovere di preoccuparmi per la loro difesa. Diciamo che si tratta di una prova generale, di collaudare se la coesione sia sufficiente a sostenere battaglie che in futuro certamente si dovranno combattere. Non crederete che l’Orco lì fuori si accontenti di rubarci la marmellata? Quando cercherà di portarci via tesori più preziosi, noi come ci opporremo noi? Torno quindi a richiamare tutti al modesto impegno di far sentire la propria voce, ciascuno la sua e a suo modo, consapevoli che non ha importanza che la nostra forza prevalga, purché se ne dimostri l’esistenza e l’unità. Non dobbiamo riconquistare un terreno che resta nostro, ma salvare la dignità del castello e della sua opera. Attenderò gli sviluppi, fiducioso che la fierezza prevalga sulla pigrizia. A che scopo, in passato molti si saranno chiesti, a che scopo viene impiegato tanto tempo e denaro, senza mai chiedere nulla? Rispondo: per creare una nuova via ed un gruppo che sapesse percorrerla e difenderla. Ebbene, la via già si vede, con ponti e gallerie che rendono agevole un cammino una volta impensabile. Non lasciamo che a qualsiasi bandito sia permesso il saccheggio senza rivolgergli contro la spada, il moschetto il forcone, o qualunque arma si abbia a disposizione! Il castello rischia di subire una sconfitta che non merita e non certo nel soggiacere alla prepotenza di forze preponderanti, quanto nell’esprimere quella stessa indifferenza che noi Cavalieri combattiamo in nome di un principio che, se pur non avete giurato di servire, avete dimostrato di condividere. Cavallerescamente. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca Ricordo che i termini della questione sono chiariti nel gesso n. 1986 di questa Lavagna. L’indirizzo per scrivere al Direttore di Panorama è il seguente: http://www.panorama.it/home/scrivialdirettore/index.html Sistemerò questa mia anche nella Scrivania del Gran Maestro, dove attendo copia delle prossime lettere al signor Calabrese. Meglio scriverle in Word e poi riversare il testo nel form di Panorama, in modo da poter copiare il testo e comunicarlo per la pubblicazione. In tal modo esso colpirà due volte ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-06-2005 Cod. di rif: 1993 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: E' mezzanotte e tutto va bene Commenti: Cavalieri ed Alleati, le polveri del primo assalto si posano e nella pace ancora si avverte come un rimpianto o una stanchezza per l’eccitazione della battaglia. E’ tempo che il castello ritorni alla tranquillità, perché la minaccia è stata azzerata e le sentinelle hanno dato prova di poterne respingere altre. Con la mia seconda lettera al Direttore, che ricopio in calce, si chiude questa fase campale e comincia la guerra fredda. Chi non l’ha fatto e voglia ancora scagliare il Suo dardo, sappia che sarà utile quanto i precedenti, ma inesorabilmente il fronte si sposta negli studi legali e nelle aule di giustizia. Apparentemente sembra che i risultati siano mancati, ma io dico che circa sessanta lettere su un solo tema non giungono facilmente, nemmeno ad una rivista che tira due o trecentomila copie. Esse rappresentano comunque la dimostrazione di una forza e quindi abbiamo tutti qualcosa in più, la consapevolezza di poter contare su essa. Ringrazio pertanto, personalmente ed a nome dell’Ordine, quanti si sono mobilitati per la nostra causa, pur non vincolati da un patto sociale. Vi saluto cavallerescamente Giancarlo Maresca ------------------------------------------------- Egregio signor Direttore, non ho ricevuto risposta alla mia del 26 u.s. e allo stesso modo sono restate inevase le molte altre lettere di cui ho contezza, che hanno chiesto spiegazioni sulla stessa vicenda. Questo silenzio rappresenta comunque un messaggio, cui farà seguito in modo altrettanto chiaro la nostra azione. Non Le basterà più star zitto per coprire i responsabili del plagio in oggetto, perché cercheremo giustizia e con la giustizia le pene. Non deve preoccuparsi, perché, a differenza della Sua rivista, noi ci limiteremo solo ai mezzi leciti. Non deve preoccuparsi, ripeto, per carità, né di questo problema né di altri. Come ha visto dalle lettere che Le sono giunte, mentre Lei è distratto ci sono altri a vigilare. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-06-2005 Cod. di rif: 1995 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'attesa - Al cav. Villa Commenti: Egregio Cavaliere, ho riletto anch'io quel gesso 244 che Lei citava. Certo, all'epoca io La chiamavo Scudiero ed ora è Cavaliere. Certo, all'epoca io associavo al collo i polsi, non avendo ancora compreso che in effetti in Inghilterra la maggior parte delle volte e nella migliore tradizione ci si limita ad avere il solo collo in bianco e non anche i polsi. Certo, all'epoca io Le dicevo come sarebbero andate le cose, ma poiché non approfittò allora, non può farlo adesso. Eviti, aspetti ancora. Consideriamo che nel Suo caso, mi faccia un po' vedere, bene, ha la convenzione cavalieri..., buono il curriculum..., sì sì, si potrebbe ottenere uno sconto dai settanta ai sessantacinque anni, non si tratta che di una trentina d'anni o poco più, per poi avere ciò che vuole. Io aspetto la stessa età per portare la lobbia, quindi siamo nella stessa barca, solo che io scendo prima. Vuol mettere la soddisfazione di sapere cosa regalarsi per un compleanno, il piacere di comprarla e non usarla sino a quella data? Io la lobbia già ce l'ho, anzi ne una per colore, ma non le ho mai messe. Potrebbe fare così: provi a farsi fare una prima camicia col collo bianco, senza però essere sicuro di indossarla. Se ci si sentisse proprio a Suo agio, chi potrebbe trattenerla e perché? Se invece dovesse sentire un certo gelo tra Lei e quel collo, aspetti ancora. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-06-2005 Cod. di rif: 2004 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sempre meglio Commenti: Magnifico Dante, si è subito avvertito il positivo influsso della ripresa della Tua attività, impareggiabile nell'originalità dell'oggetto e sempre profonda, imparziale e severa nell'approccio. Nulla è imprevedibile quanto l'oggettività, perché la partigianeria viaggia su un binario, mentre una visione obiettiva conduce lo sguardo su sentieri laterali. I tuoi ultimi gessi in Lavagna e gli appunti nel Taccuino hanno richiamato col signor Savaré un altro Visitatore che, vista la dimestichezza che dimostra col sito, deve seguirlo silenziosamente da parecchio. Un acquisto di notevole peso, che dimostra la fiducia che possiamo infondere in persone che hanno notevole cultura, gusto ed attitudine all'analisi, ma che probabilmnete non avevano uno scenario in cui collocare le proprie riflessioni ed un uditorio all'altezza. Mi sembra che Savaré vada ad arricchire quella corrente apollinea, serena, positiva e positivista, qui fondata da Pugliatti. Anche le immagini da quest'ultimo fornite negli anni trovano ora una maggiore comprensione, il che dimostra il valore della ricerca. Le cose si scoprono lentamente, perché, se la fede è rivelata, la sapienza si acquista con l'applicazione. Lo spessore delle ultime considerazioni mi sembra confermare quell'upgrade della Porta che avevo già notato e dichiarato quando introdussi il tema del vestito Buono. Grazie a tutti per quanto anch'io ho imparato negli ultimi giorni. Giancarlo Maresca N.B. Onde far apparire l'anteprima delle immagini nel taccuino, cosa importante per il confronto col testo e per ovvi motivi estetici, ti ricordo di inserire foto con un titolo che sia: 1) SEMPRE DIVERSO 2) FORMATO DA UNA SOLA PAROLA 3) PRIVO DI SIMBOLI DIVERSI DA CARATTERI E CIFRE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-06-2005 Cod. di rif: 2014 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Venti e bonacce - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, le quattro foto da Lei inserite nel Taccuino con numeri dal 1621 al 1624 mi offrono, anzi in virtù della Sua richiesta mi obbligano, a un passo ulteriore nell’analisi dell’estetica agnelliana e della sua capacità di trasmettere un senso di superiorità. Le ultime tre foto lo ritraggono immerso in quelle che furono solo alcune delle sue passioni. L’Avvocato fu appassionato di vela e fu armatore di alcune delle barche più ammirate al mondo. Appassionato di auto, acquistò e condusse la più prestigiosa scuderia. Innamorato del calcio, presiedette la più forte squadra del momento. Dietro questo curriculum impeccabile non v’è solo il censo, ma una competenza, un’intelligenza, una capacità di relazioni internazionali, una comprensione dell’essenza e dell’attualità di ogni materia – e non furono poche – che egli affrontò. Egli non sfiorava, ma afferrava ogni oggetto o comportamento per infondervi qualcosa di suo e insieme rispettarne la tradizione e la natura. Sono sempre stato e sono ancora restio a parlare di questa figura perché ritengo che l’Italia non abbia ancora compreso cosa abbia perso con lui. Più re dei re, la sua presenza era dominante in qualsiasi situazione e tanta autorità si trasferiva alla nostra bandiera. Invitato alle corti ed alle feste, ovunque andasse era il primo attore. Il suo solo carisma valeva al nostro paese quanto una vittoria in guerra o una coppa del mondo e la decadenza del peso internazionale italiano non può comprendersi prescindendo dalla mancanza di una simile individualità. Pensi agli uomini che oggi ci rappresentano. Cosa capiscono, in cosa eccellono, dove risiede la loro umanità e la loro esemplarità? Nel denaro? Ahimé, le classifiche della ricchezza occupano poco più di una pagina all’anno, mentre già un Raul Gardini riempiva interi quinterni di riviste sportive. Un Agnelli, come recentemente dimostrato dalla traduzione che il Taccuino riporta di un vasto brano francese a lui dedicato, occupa ancora spazio. I nostri primi, secondi e terzi ministri, i presidenti del Consiglio e della Confindustria, non hanno al loro attivo nessuna autentica competenza e cercano con qualche vezzo di ingraziarsi un pubblico che vuole carne e presto riconosce e si stanca del brodo. Agnelli sciava, navigava, andava a donne, seguiva il calcio e i motori, tutto ciò praticandolo assiduamente e senza alcun bisogno di un codazzo di conforto. Perché è così che si distingue una passione vera. Quando una cosa la si ama, la si fa per una vita e, soprattutto, da soli. La supremazia spirituale dell’uomo è la vera radice di quella sua estetica esemplare. Non dico morale, ma spirituale, cioè relativa alla profondità delle attitudini e alla forza della sua personalità. La giacca che Lei ammira non ha nulla di speciale e se ce l’ha non è in un principio riproducibile, in una scelta di proporzioni auree che possano essere ricondotte ad una legge universale. E’ per tutto il complesso, non esclusa la bellezza del personale e la cura del capello, per la peculiarità di uno stile imprevedibile eppure organico, per il portamento, che la stella di Agnelli brilla fissa nel cielo dei Grandi. Il vento incessante di un'anima potente e instancabile, che amava la vita e conosceva gli uomini, fa garrire una bandiera che su altri alberi penderebbe e pende esangue. Certo, ci provano ad issarla, ma tutta la barca degli omuncoli che vogliono dare lezioni e non esempi resta ferma e insignificante nella bonaccia della prevedibilità, nei sargassi del salutismo che vuole essere salvezza ed è dannazione, nei bassi fondali di una morale non sostenuta non dico dalla santità, ma nemmeno dalla coerenza. Spicca della giacca il contrasto di una tenuta sobria e scontata con il solito errore che Agnelli amava inserire. In questo caso è rappresentato dalla cravatta, troppo lunga e molto sfalsata. Una sola è la considerazione finale, quella che lo pone agli antipodi delle icone che i media vorrebbero sostituirgli: egli visse giocando, ma non visse per gioco. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 18-06-2005 Cod. di rif: 2025 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Wine Academy Commenti: Egregi Cavalieri, scrivo di un argomento non strettamente attinente con l'Abbigliamento, ma che si colloca in una linea di pensiero più ampia. Sono reduce dalla prima sessione della Wine Academy, ieri sera al Ristorante "Gustibus" di Milano. Ebbene, è stato come nascere una nuova volta; mi perdonerete il confronto, ma mi sento come il protagonista di quel film di fantascienza, "Matrix", a cui viene offerto di conoscere la verità tramite la pastiglia blu. Ebbene molti di noi avrebbero forse preferito rimanere nell'oblio e scegliere la pillola rossa. Infatti è stato come conoscere la differenza tra la vita e la morte, tra terreni morti tenuti in vita artificialmente e terreni vivi, tra vigne in coma e vigne viventi, tra vini vivi e vini morti. La cosa "peggiore" è stato forse uno dei piatti del ristorante: una semplicissima insalata scondita; una insalata scondita appena colta dall'orto affianco al ristorante, che mi ha fatto capire che forse negli ultimi venti anni, da quando coglievo l'insalata nell'orto dei nonni, mi sono nutrito di insalata sintetica probabilmente; la quale abbisogna poi di un litro di aceto balsamico per sapere di qualche cosa. Ringrazio tutti gli organizzatori dell'evento, e miei "compagni di banco" per l'eccellente compagnia! Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 21-06-2005 Cod. di rif: 2031 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Linen Cap Commenti: Egregi Cavalieri, vedo nelle ultime immagini dei taccuini le foto di alcuni Tweed Caps e Linen Caps. Si, gli inglesi chiamano Linen Cap la versione estiva, e Tweed Cap quella invernale. Una tipologia di copricapo di cui sono particolarmente appassionato e dalla quale non mi stacco praticamente mai nè in estate nè in inverno, e di cui posseggo numerose versioni in tweed e in lino. La versione di Lock di cui si parla è il modello Turnberry, la cui misura è "extra full shape": http://www.jameslock.co.uk/prod2.taf?groupId=100023&_UserReference=060D90BAA9812BF742B8210D In realtà la versione "larga" portata dal Duca di Windsor è impossibile a trovarsi nel "pronto". Inoltre il cap di Lock, come Sergio Anzani della Cappelleria Melegari fa sempre notare, ha una fastidiosa - e inaccettabile - pellicola di plastica a coprire il logo di Lock. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Alfieri Data: 29-06-2005 Cod. di rif: 2037 E-mail: giovannialfieri@tiscalinet.it Oggetto: Laboratorio scozzese Commenti: Eccellentissimo Gran Maestro, reduce dalla "Campagna di Scozia" sento il dovere di ringraziare tutte le persone che hanno permesso il verificarsi di questo storico ed ineguagliabile evento;per cui rendo onore all'estrema ospitalità ed organizzazione di tutto lo staff della Holland & Sherry,ringrazio il Gran Maestro per aver studiato e preparato il terreno per la storica "Campagna" e ultimo,ma non ultimo il Rettore Magnifico Cav.Dante De Paz che con la sua estrema competenza,caparbietà e perseveranza ha permesso a noi Cavalieri di godere completamente tutti i momenti di questo storico avvenimento. Cavallereschi saluti Giovanni Alfieri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Stefano Meriggi Data: 30-06-2005 Cod. di rif: 2039 E-mail: smeriggi@hollandandsherry.it Oggetto: Laboratorio in Terra di Scozia Commenti: Esimio Gran Maestro, Gentili Cavalieri. Ritengo doveroso, dopo aver letto gli interventi dei Viaggiatori in terra di Scozia, di esprimere pubblicamente il mio più sentito ringraziamento e se me lo concedete vorrei in questa occasione brevemente portare a conoscenza anche a chi in Scozia non Vi è stato da dove questo evento ha preso forma e perché la Holland & Sherry ha avuto una parte nello svolgimento. Sono ormai diversi mesi che frequento il vostro sito o meglio il vostro Castello dove sono arrivato per puro caso, giusto digitando in un motore di ricerca il nome della mia azienda , per vedere in quali meandri del mondo di internet si parlava o compariva Holland & Sherry. Raggiunta così la lavagna dell’abbigliamento, dove un Cavaliere raccontava di un nostro tessuto, rimasi impressionato dalla profondità e dalla accuratezza della maggior parte degli interventi riferiti al mondo della sartoria ma ancor di più di quello del tessuto o meglio della drapperia. Ciò che era iniziato come un mio interesse meramente commerciale o di marketing si è trasformato così in un piacere personale;infatti non manca giorno , impegni permettendo, che non dia un occhiata alla lavagna o al taccuino dell’abbigliamento. Il primo incontro non virtuale con i Cavalieri delle Nove Porte avvenne giusto un anno di questi tempi, quando mi venne confermato che la rivista Monsieur avrebbe pubblicato un pezzo sulla Holland & Sherry e che il pezzo sarebbe stato scritto dall’Avvocato Maresca. Fui veramente contento che tale incarico venisse affidato al Vostro Grande Maestro, poiché già ne conoscevo la prosa ma ancor di più la grande conoscenza del nostro mondo, un mondo che credo nessun altro avrebbe mai potuto trasferire con uno scritto ai lettori. L’incontro avvenne presso la nostra sede in Scozia e fu senza dubbio al di sopra di ogni aspettativa, prova ne fu l’immediata stima ed amicizia fra il nostro CEO Mr. Charles Stewart ed il Gran Maestro, una stima che fu sanzionata con un importante dono di cui sono certo rimase stupito anche Egli. All’inizio di quest’anno ci sentimmo con il Gran Maestro che molto gentilmente chiese alla Holland & Sherry di poter aiutare l’associazione nella parte logistica di un laboratorio di eleganza in terra di Scozia. La stima e l’amicizia di cui sopra insieme con un innata ospitalità delle genti scozzesi hanno reso quindi possibile una bella avventura ed un viaggio che credo rimarrà a lungo nei ricordi dei Cavalieri. Questa seconda opportunità di incontro con i Cavalieri è stata ancor più significativa, in quanto per un periodo più prolungato e in un contesto di condivisione di esperienze diverse. Una condivisione particolarmente coinvolgente, visto che mi ha portato all’acquisto di un costosissimo Montecristo n°2 durante la visita di Edinburgo, da fumare dopo la cena della sera stessa alla Wiskey Society ( per inciso mai fumato sigari avana in vita mia ). Sono quindi particolarmente contento di leggere commenti soddisfatti quando anche entusiasti della Vostra o meglio nostra avventura in terra di Scozia e a nome mio e della Holland & Sherry vorrei nuovamente ringraziare tutti i Cavalieri e le loro Dame che ci hanno onorato con la loro presenza. Con i miei migliori saluti. Stefano Meriggi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-07-2005 Cod. di rif: 2041 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scopi cavallereschi - Al signor Migliaccio Commenti: Non è un caso, egregio signor Migliaccio. L'inaccessibilità del progetto cavalleresco ci ha guadagnato molti nemici e detrattori, ma poiché molte volte e senza alcun aiuto attraversammo il deserto, pochi possono superarci nella conoscenza delle oasi. Le nostre carovane sono ancora in moto e ad ogni viaggio riportano qualche tesoro. Certo, alcuni segreti li conserviamo tali, ma non per gelosia, quanto perché non è bene che alcuni luoghi siano troppo conosciuti o che si sappia tutto in una volta. Ricorderà che tempo fa parlai del Cuoio di Russia e di Cleverley. La letteratura mondiale del settore non era mai riuscita a descriverlo e tantomeno ad analizzarlo in foto. In tutti i libri che ho letto se ne parlava senza mai dirne realmente niente. Dopo quella discussione, che occupò a lungo il taccuino, i prezzi delle ultime paia di scarpe realizzabili in questo materiale triplicarono. Non è grave, perché in realtà, finché resta autentico, esso è inestimabile. Sapevo che sarebbe accaduto, ma era tempo di uscire allo scoperto. Perché si potesse capire la differenza tra il vero Cuoio di Russia e quello che un domani si dovesse spacciare per tale, era necessario che la sua morte non avvenisse in silenzio. Per anni avevo taciuto con tutti sulle qualità di questo prezioso materiale, come si vede dall'anzianità del materiale fotografico raccolto su esso. Quando stava ormai per estinguersi, pensai che fosse ora di rivelare dove vivevano gli ultimi esemplari. Qualcuno, leggendo le nostre pagine, ha così avuto l'ultima occasione per toccarlo, vederlo, tramandarne coscientemente la memoria, sapendo bene cosa aveva avuto tra le mani. In molte altre occasioni, dire di qualcosa è deleterio. Pensate alla fine che hanno fatto il salmone affumicato e il culatello, distrutti dalla volgarizzazione del loro consumo. Se le riviste di gastronomia e i media si accanissero a parlare delle ultime spiagge del Grande Gusto, anch'esse verrebbero coperte di villaggi. Il problema cavalleresco non è solo creare un indirizzario, perché questo si rivela non solo mutevole, ma sarebbe tanto più dannoso quanto più fosse veramente completo. La nostra strategia è quella di mantenere le condizioni perché il Gusto si trasmetta da uomo ad uomo, non quella di dimostrare di essere i più bravi o i più eleganti. Ogni "dove" che si rivela, bisogna dare due "perché" e instillare una dose di vitamina A. A sta per Amore, vitamina che previene quel fenomeno per cui da un'informazione si passi ad un'altra senza che esse diventino mai cultura. I nomi che ha citato sono quelli di torri inespugnabili, alleati preziosi nella nostra incomprensibile battaglia. Merola espone a Pitti un tale campionario di guanti che qualsiasi altra casa del settore appare una società metalmeccanica. E lo fa ogni anno, due volte all'anno. Peron ha dalla sua la forza di un sangue giovane e la solidità di una sapienza antica. Accetti i loro inviti e renda loro visita. le nozioni che acquisirà non saranno importanti solo per Lei, in quanto giustificheranno il lavoro che qui si svolge, il cui scopo è la creazione internamente agli appassionati di un sapere duraturo e trasmissibile, non la superficiale diffusione di qualche notizia da settimanale. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2005 Cod. di rif: 2044 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ogni dolore al posto suo. Commenti: Egregio Pugliatti, il Suo dolore, la sua rabbia, non trovano qui il giusto tempio o un'adeguata tribuna. L'Ordine non tratta attualità, politica, economia. Ha la sua guerra, i suoi martiri, non può portare altri lutti. Chiamiamo barbari coloro che minacciano il gusto, di coloro che minacciano la vita si interessi chi di competenza. Non porti qui certe banalità da stadio di calcio: applausi e silenzi di circostanza. Quando sarà il momento, anche io darò la vita per la mia fede, ma sappia sin d'ora che vorrò essere ricordato da soldato, non da vittima. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2005 Cod. di rif: 2045 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non qui si pianga Commenti: Egregio Villa, non condivido un rosario di buone intenzioni recitato in un luogo di ricerca e non di culto. Chi ha lacrime da piangere, lo faccia, ma senza usare queste pagine come una chiesa od un teatro. Le parole sono così inadeguate alla situazione che ritengo saggio tacere, nel silenzio giudicare, almomento opportuno agire. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-07-2005 Cod. di rif: 2047 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La civiltà sa tacere. Commenti: Molto bene. Grazie. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-07-2005 Cod. di rif: 2049 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I codici delle emozioni Commenti: Egregio Villa, non mi giudichi male ancora una volta se porterò le situazioni drammatiche cui Lei faceva riferimento a reagire con altre di diversa natura e peso. Siamo in un'area dedicata all'abbigliamento e di questo monumento faticosamente costruito dobbiamo fare un uso specialistico. Cedere su questo punto sarebbe cedere all'approssimazione, ammettere il nemico entro le nostre mura o, il che è ancor più cieco, dichiarare che il nemico non esiste. Quando la Contrada del Bruco vide vincere il suo cavallo dopo quarantuno anni di digiuno, per qualche secondo un silenzio irreale congelò la Piazza del Campo. Tutti attendevano la reazione dei brucaioli, ma essa tardò a venire per un attimo che si percepì come un'eternità. Certo, dopo anni di delusioni, volevano essere sicuri di non sbagliarsi, di non doversi svegliare da un sogno. Ma ciò che li fece esitare fu un'altra cosa. Molti dei contradaioli in piazza non avevano mai vinto il Palio e quindi mancava loro qualcosa di cui non sospettavano l'esistenza: i codici della gioia. Non seppero subito come esprimerla e quindi ci pensarono sopra per un lungo, indimenticabile momento. La felicità ed il dolore, secondo la loro origine e qualità, hanno anch'essi dei codici, proprio come l'abbigliamento. Questi linguaggi sono traducibili l'uno nell'altro e così abbiamo, ad esempio, le rigorose tenute da lutto o quelle, più libere, che mostrino benessere. Un uomo di gusto non deve ignorare queste verità, tenute nascoste o sconfessate. I media incoraggiano un atteggiamento fintamente umanitario e libertario, che dia sfogo ai sentimenti come e dove venga la voglia di farlo, senza regole. Ma la civiltà è proprio quella cosa che suggerisce una norma in ogni attività, della persona o del gruppo, che tocchi il sociale. E’ bene chiarire questo punto. I modi delle emozioni sono coniugati solo per quanto attiene ad una loro esternazione rituale e collettiva. L’interiorità resta libera e, come sempre, se dentro c’è qualcosa di solido, essa troverà il modo di uscire all’esterno anche attraverso una griglia di comportamenti schematizzati. Rifletta, infatti, sul fatto che la natura umana è così complessa che qualsiasi cosa, anche una divisa, non può trovare uno schema che la personalità del singolo non pieghi con estrema facilità alle proprie esigenze. Chi crede il contrario, o non ha fiducia nella personalità o non ne possiede affatto. Inoltre i riti cambiano. Il defunto, che una volta veniva salutato con la solennità del silenzio, oggi si accompagna volentieri con gli applausi. Poiché gli applausi appartengono anche ad altre manifestazioni, si dimostra matematicamente che utilizzare queste forme ci spoglia di un linguaggio specifico in favore di uno generico e quindi spegne le sottigliezze espressive. Poiché già si applaude allo stesso modo ai servizi matrimoniali ed a quelli funebri, è verosimile ipotizzare che in futuro qualsiasi emozione, o presunta tale, verrà sottolineata, sottintesa, evocata o sostituita da un applauso. Il terreno su cui avviene mortificante unificazione del sistema emozionale umano è piuttosto evidente. Tutte le emozioni, anche quelle che avevano una sede deputata, vengono portate in giro e mostrate dappertutto. Con la scusa di dichiarare la propria incontenibile solidarietà, si commemorano vittime e caduti alle partite di calcio, agli spettacoli di varietà, nelle scuole e sui posti di lavoro. Segue l’ applauso, con il quale ci si libera dal dovere di prendere altrimenti posizione, di pensare, di agire. Orbene, il Cavaliere, vocato alla solitudine della ricerca, può guardare un po’ più lontano e un po’ più in profondità. Ha gli strumenti per comprendere che questo gioco ci sottrae molto, proprio nel momento in cui sembra volerci dare qualcosa. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2005 Cod. di rif: 2052 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Classici sul naso - Al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, come sempre il classico è sempre molto duro a morire e, anche quando sia morto, può resuscitare ad opera degli uomini di buona volontà e di buon gusto. In questi ultimi anni, gli occhiali e segnatamente quelli da sole si presntano, insieme alle scarpe, come gli oggetti dal maggiore contenuto di tendenza. Il cinema e losport ne sono diventati la vetrina e da questa continua doccia mediatica l'umanità non ha scampo, se non l'approfondimento dell'offerta meno sensibile alle stagioni. In entrambe i casi si tratta di materiali ad altissimo valore aggiunto e non è un caso che l'uomo con la dichiarazione dei redditi più alti del nostro paese sia quel signore che possiede le più grandi manifatture di occhiali. Qualche grammo di acetato , un paio di vetri, un buon testimonial ed il gioco è fatto. Un prodotto dal valore intrinseco di pochi centesimi viene venduto a centinaia di euro. Nessuna droga rende altrettanto. Naturalmente, anche in questo campo i piccoli marchi tradizionali sono stati acquisiti, o stanno per esserlo, da parte dei grandi "poli". La Allison s.p.a., ad esempio, grosso gruppo padovano, ha recentemente acquisito la più bella marca italiana per le montature in metallo: la Desil. Questa casa ha delle fogge estremamente sobrie, come il modello Panthos che uso da anni, ma ha il suo vanto nella laminatura. Il metallo non è dorato galvanicamente, ma ricoperto meccanicamente da una lamina di metallo nobile. In tal modo, a parte l'assoluta anallercicità, si ottiene una durata estremamente superiore. Senza nessun logo appariscente, la Desil ha sempre puntato sulla qualità intrinseca e non ha mai fatto pubblicità. Naturalmente, l'immissione di nuovi capotali porterà ad una politica più aggressiva, ma c'è da sperare che la struttura concettuale del prodotto non cambi. Altre case che hanno sfornato grandi classici sono la Lozza, insuperabile nei materiali plastici, e la Bausch & Lomb, che mi pare sia stata acquisita dalla stessa Lozza. Naturalmente, resta anche la possibilità di materiali pregiati, come l'oro o la tartaruga. Non so se sia restato in Italia qualche artigiano in grado di lavorare una montatura in oro, ma io stesso ne ho usata una, che mi è durata una ventina d'anni e che comunque è sempre riparabile. La tartaruga è vietata, ma resta qualche oggetto in commercio. Io sono riuscito a far realizzare all'Avana qualche esemplare e ne ho in uso uno sul modelello Wayfarer. La tartaruga è leggera, piacevole al tatto, durevole, insomma perfetta. Non si può trovare nulla di meglio. Possiedo qualche esemplare d'epoca, che mi servirà a testimoniare come lavoravano gli artigiani di questo prezioso materiale. Gli occhiali sono comunque un accessorio molto importante e non sono rari i personaggi che tipicizzano la propria figura proprio attraverso un paio di occhiali dalla forma o dal colore particolari. Basti pensare a Lagerfeld o al nostro Daverio, che certo non mancano di gusto, ma anche nella fossa dei leoni, dove il gusto manca, troviamo tentativi in tal senso. Elton John, fermo restando il valore della sua musica, mi sembra un esempio plausibile. Gli occhiali rispondono alla legge dei metalli qui già enunciata: la tartaruga, vera o finta, è sportiva, l'oro è informale, il metallo bianco è estremamente sportivo o molto impegntivo. Quindi vagamente e con tutte le eccezioni e modifiche del caso, relativamente agli occhiali potremmo applicare in questo modo la Legge dei Metalli: tartaruga per la mattina, oro al pomeriggio o sul lavoro, argento la sera, acciaio all'aria aperta. Resta fuori parecchio, come le plastiche colorate o l'usatissimo titanio. Le prime hanno uno scopo espressivo evidente e conferiscono il piacere di distinguersi. Il secondo ha il pregio della leggerezza e, poiché si sceglie per questo motivo tecnico e non estetico, anch'esso non è soggetto alla Legge generale. L'argomento merita un approfondimento, che credo non mancherà. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-07-2005 Cod. di rif: 2054 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Caccia all'uomo Commenti: Egregio Villa, la citazione della Bausch & Lomb è solo un errore. Intendevo appunto citare la Ray Ban. Cerchiamo ora di sapere qualcosa in più su questo artigiano parigino e su altre eventuali botteghe. Mi rivolgo a tutti i Visitatori perche sia data una caccia all'uomo. L'individuo che cerchiamo è un artigiano in grado di realizzare montature sulla misura e sul disegno del cliente. Non ha importanza la nazionalità. In bocca al lupo! ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Granata Data: 15-07-2005 Cod. di rif: 2055 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Occhiali Commenti: Egregi Cavalieri, ci sarebbe anche il corno, che forse potrebbe essere una alternativa odierna alla tartaruga: http://www.bensilver.com/fs_storefront.asp?root=145&show=155 Cosa ne pensate? Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-07-2005 Cod. di rif: 2058 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A presto . Per i baveri e per il resto. Commenti: Egregio Professore, parto per una quindicina di giorni, che dedicherò ai figli. Mi riservo, al ritorno, di rispondere alla Sua domanda e nel frattempo lascio a Villa, da Lei stesso consultato, ma anche ad altri che vogliano cimentarsi con l'argomento, l'incarico di risolvere il problema geometrico da Lei posto col gesso precedente. Io aggiungerò, se sarà ancora utile, qualcosa di carattere generale. Approfitto dell'occasione per salutare i Visitatori di questa Lavagna e dei Taccuini, sempre più numerosi e sempre da un maggior numero di Paesi. Mi ritiro in una situazione dove non avrò molte occasioni per avvicinarmi ad una tastiera collegata ad interenet, né molto tempo. Spero di fare qualche improvvisata, ma come sempre, dopo ogni assenza, tornerò più agguerrito che mai. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 18-07-2005 Cod. di rif: 2060 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: occhiali Commenti: buonasera , si possono trovare montature in corno naturale presso alcuni negozi di ottica qualificati ( non tutti ). La Ditta che li produce è la Hoffman che oltre ai sui modelli replica ( solo in corno ) montature su disegno o , se si preferisce , il modello di un altro produttore . La gamma delle tonalità di colore è molto vasta e alcuni sono splendidi , il tempo di attesa è di circa 45/60 giorni , il prezzo , non economico , in linea con la qualità e il servizio . Grazie per l'ospitalità e cordiali saluti Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-07-2005 Cod. di rif: 2064 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Guayaberas - Risp al gesso n. 2062 Commenti: Egregio Cavalier Falletto, le camicie cui Lei fa specifico riferimento, quelle con il marchio Vegas Robaina, non sono ancora disponibili. Ho segnalato la Sua richiesta all'ottimo amico Gianni Klemera, che oltre ad essere distributore per l'Italia delle calzature Alden si sta interessando anche della distribuzione di questo capo. In ogni caso, se effettua una ricerca con la parola di testo "guayabera", il sistema della Lavagna Le richiamerà alcune discussioni sulla materia. Il signor Klemera risponderà personalmente alla Sua domanda. Nessuno più di lui saprà dirLe qualcosa di aggiornato sulla reperibilità. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-08-2005 Cod. di rif: 2066 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La riduzione degli oggetti Commenti: Egregio Cavaliere, tra orsi possiamo capirci. Appartengo da sempre alla Sua stessa razza, quella che ama la compagnia di se stesso e di pochi amici. In estate, però, si esce dai soliti circuiti e per noi padri di famiglia si pone il problema di conciliare il ruolo di padre con le esigenze estetiche. Ebbene, questo problema non è grave e si risolve secondo i principi generali. Accompagnare i figli si addice al gentiluomo ben più di qualsiasi ostentazione mondana e quindi basta imbroccare la strada buona per trovare una facile discesa. L’Uomo di Gusto, prima acquisendo metodo e conoscenza e poi tutto assimilando in un oblio che non è superficialità, ma la parte buona della leggerezza, tende sempre più alla semplicità, alla nettezza, all’armonia, all’unità. In nome della semplicità ridurrà gli orpelli, massimamente in una situazione dove ogni esibizione gratterebbe come unghie su una lavagna. Ridurrà anche gli oggetti che porta con se, abbattendo il problema. I pantaloni classici, quelli che ordina al Suo sarto, hanno tasche molto capaci e due taschini. Basta dotarsi di una camicia con taschino, anzi meglio due, per rendere superfluo non solo l’innominabile marsupio, ma anche il valigino (che può apparire troppo abillé per l’occasione) e il gilet da esploratore. Non è difficile. Innanzitutto bisogna ridurre le chiavi al minimo. Io porto a destra il fazzoletto, il fermasoldi e le chiavi. Solo le due per portone e porta d’ingresso, ma spesso nemmeno quelle in quanto ho a casa una governante a tempo pieno. Bisogna ricordare sempre che lo scopo, o meglio il criterio sistematico della Vita Elegante, è la delega di molte funzioni quotidiane. La servitù è il fondamento sul quale essa si basa e sino a quando non ci si dota di almeno una persona di servizio, ogni sforzo è un tentativo che può fallire. Ma torniamo alla logistica dei pantaloni. A sinistra il telefonino, nei taschini tagliasigari ed accendino. Nel taschino della camicia il portaocchiali e un sottile astuccio per patente e carte di credito. Avendo un secondo taschino, che sulle camicie estive va realizzato più profondo, si può avere con se un portasigari ben carico. Diversamente, un solo sigaro si ricovererà in un essenziale astuccio di alluminio, che alloggia perfettamente a fianco del portaocchiali. Nelle tasche principali, se ben realizzate, Le assicuro che resta ancora spazio per qualche altro accessorio personale. Restano ancora completamente vuote le tasche posteriori, che normalmente si tengono sgombre proprio per qualche emergenza. Quanto a colori e materiali, la montagna e/o la campagna non mi sembrano adatte al lino e viceversa. Meglio il cotone, nelle tinte intonate al bosco. Perfette le chukka boot o altre calzature scamosciate con fondo in gomma o para. Per il fresco della sera, pullover di filo se si resta in albergo o nel patio di casa e giubbino leggero per le piccole trasferte, dove le sue tasche saranno indispensabile sostitutivo di quelle della camicia. In ogni caso, quando leggerà questo gesso, prego il Cavaliere Forni, Uomo di Gusto quanti altri mai ed esperto frequentatore dell’aria aperta, di intervenire con la Sua saggezza. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-08-2005 Cod. di rif: 2071 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pantaloni e camicie sportive, cioè per l'aria aperta. Commenti: Egregio Cavaliere Zaccaro, la foggia classica dei pantaloni è quella da Lei descritta, anche se importanti cambiamenti possono intervenire secondo le necessità estetiche e pratiche di utilizzi diversi. Su un campo da golf, ad esempio, si vedono in genere linee più asciutte, il cui scopo mi sembra quello di migliorare l’appeal del giocatore e l’estetica del suo swing. Anche qui, comunque, non tutti la pensano allo stesso modo ed i pochi che vogliono ancora stare comodi, più che apparire belli e giovani, usano ancora i plus four. Lo stesso dicasi per la montagna semiprofessionale, quella delle passeggiate che sconfinano con l’arrampicata. Le posizioni di estrema flessione imposte da questa attività agli arti inferiori fanno capire intuitivamente che nulla può esserci di più giusto dei pantaloni alla zuava, che permettono ogni movimento. Il totem della comodità/praticità, che ha corroso gran parte della Vita Elegante, accusa qui un cedimento nei confronti del suo collega, quello della la fisicità/bellezza. Un paio di pantaloni dalla linea asciutta, anche se saranno meno pratici, conferiranno anche le doti richieste dal terzo totem, quello della gioventù/giovanilismo. Quest’ultimo, anzi, orienta il popolo verso la scelta di materiali tecnici, che promettono performances mirabolanti e vanno abbinati a colori forti e scritte cubitali, che evocano imprese estreme e fanno sentire qualsiasi impiegato più audace di Lindberg o di Messner. Tra i materiali offertici dalla chimica, dall’infamia della banalità va comunque salvato qualcosa. Prima di tutti il Goretex, che supera la tela impregnata per essere più traspirante, ma è infinitamente meno durevole. Diciamo che, in condizioni di effettivo, continuo lavoro, il rapporto è di due/tre anni contro venti/trenta. Naturalmente, si tratta di un tessuto un po’ croccante e che produce un certo fruscio quando la manica passa sul corpo. Questi rumori possono essere pregiudizievoli per alcune attività comuni nei boschi. Nel caso di un bird-watcher o di un cacciatore che non riuscissero ad avvistare nulla, consiglierei di togliere il panno-acqua o il Goretex in favore di tele naturali, più silenziose. I cercatori di funghi, prede meno sensibili, potranno anche portarsi lo stereo. Credo, comunque, che i boschi profondi, quelli veri, siano una cattedrale dove la produzione di qualsiasi rumore vada evitata per un principio superiore di rispetto del loro equilibrio e della loro particolare sonorità. Non in un circolo, non ad un concerto, è richiesta all’Uomo di Gusto una maggiore discrezione. Quanto alla camicia, apprezzo molto la Sua domanda sulla tipologia delle tasche. Io l’ho risolta facendo confezionare camicie che portano a destra una tasca chiusa con pattina, mentre quella a sinistra è più profonda e con apertura libera. In tal modo, documenti e titoli potranno essere ospitati in luogo chiuso, mentre gli oggetti a sinistra potranno avere uno sviluppo verticale maggiore (sigari, ad esempio, di grosse dimensioni) ed essere comunque al sicuro da cadute accidentali grazie alla maggiore capacità della tasca. Nella camicia con tasche, l’importante è bilanciare durante le prove l’altezza delle stesse, che va posta in relazione all’altezza della cintura dei pantaloni. Generalmente, la tasca più è bassa e più è pratica, ma bisogna rispettare delle proporzioni. E’ facile vederle posizionate solo un pollice sopra la vita, il che è indubbiamente antiestetico. Perché la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato sia più evidente, richiamo la Sua attenzione su quell’immenso archivio di immagini che ci offre il Taccuino. Osservi i figurini pubblicati da Pugliatti negli Appunti nn. 1613 e 1615. Vedrà che, proprio in considerazione di un punto vita alto nel primo caso ed altissimo nel secondo, il taschino è stato rimpicciolito ed alzato. Osservi poi il deprimente spettacolo offerto dall’Appunto n. 785, dove le tasche (due) sono basse e toccano la cintura. Più di qualsiasi parola, l’attento studio dei fatti, della storia, degli esempi di piccoli e grandi, permette a ciascuno di risalire ai principi generali e di comprendere che essi sono l’unica via che porta lontano, mentre le altre, pur essendo valide per una stagione, alla fine conducono al nulla. Buon lavoro. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-08-2005 Cod. di rif: 2073 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Intervista ad Ignatious Joseph Commenti: Egregi Visitatori, incrollabili appassionati, impagabili Cavalieri, allo scopo di moltiplicare le vie della ricerca, ho deciso di partire con una serie di interviste sulle varie attività che sono oggetto delle Nove Porte, consultando persone di acclarata competenza. Mi rivolgerò di preferenza pewrsone di altri paesi, in modo da importare anche sensibilità lontane.- Credo che emergerà che il mondo del gusto è un universo che parla una sola lingua, ma dobbiamo sempre verificare, guardare in tutte le direzioni. Credo che l'Ordine attiverà qui al Castello una sezione apposita, ma in ogni caso le interviste verranno pubblicsate anche nelle Lavagne di competenza. Inizio con un'intervista ad un personaggio tedesco nato a Sri Lanka, produttore di camicie a Dusseldorf, uomo dalla vita quanto mai internaziknale ed accreditato uomo di gusto che tiene anche conferenze sulla materia dell'abbigliamento maschile. ne avevo parlato qualche tenpo fa negli appunti nn. 15 e 16 del brogliaccio del Dandy, dove si trovano anche alcune imagini riprese da me stesso al Pitti uomo di Firenze del gennaio 2004. Avendo letto questi brani (il che ce la dice lunga sulla diffusione del nostro sito), il signor Joseph si complimentava per i testi e per il contesto in cuyi erano inseriti. Io afferravo la palla al balzo e gli proponevo un'intervista. Lui si dichiarava prontissimo, ma io gli proponevo domande di soluzione complessa, che hanno richiesto qualche tempo per le risposte. Sono arrivate in inglese e le ho tradotte io stesso. Non sarà certo una traduzione all'altezza di quelle professionali che in genere usiamo nel sito, ma d'estate ho dovuto arrangiarmi ed inoltre i testi erano brevi ed in materia che, diciamolo, conosco piuttosto bene. Non volevo privarvi di questo piccolo patrimonio, ma tutto sarà reso in maniera migliore quando sarà inaugurata l'area dedicata alle interviste cavalleresche. Quello che leggete subito è il testo con cui scrivevo al signor Joseph e gli proponevo le quattro domande dell'intervista. Di seguito leggerete le risposte, prima ininglese e poi in italiano. Si parte. Giancarlo Maresca Preziosissimo signor Joseph, il mondo maschile sembra non solo cambiare, ma restringersi. Se una maggiore libertà permette di ampliare il repertorio dei capi in relazione alle occasioni, la quotidiana estinzione di materiali e lavorazioni minaccia il tesoro ereditato dagli antenati. Ad un personaggio che sembra aver trovato un proprio stile, che sa coniugare la tradizione e l'invenzione, che non fa rimpiangere nulla del passato, domando: 1 - L'uomo ha sempre cercato l'eleganza, mentre non si era mai tanto preoccupato di essere giovane e bello. Continuerà ad esistere una cultura maschile dell'abbigliamento, oppure l'esperienza dello stilismo ha innescato un meccanismo di erosione della differenza tra i sessi che porterà inesorabilmente ad una visione unisessuale dell'espressione attraverso il vestire? 2 - La cultura dell'abbigliamento, intesa come sintesi globale di ciò che si può dire, sentire e capire attraverso l'abito, ha oggi lo stesso peso complessivo di quello di cinquanta anni fa, o insieme alla sua forma si è alleggerito anche il contenuto? 3 - Il ruolo delle icone mediatiche è sempre stato importante, dai tempi di Brummell a quelli del Duca di Windsor, dall'epoca di Hollywood fino ad Agnelli. Improvvisamente la scena estetica sembra essere dominata da modelli molto meno longevi ed esperti di quanto non siano stati aristocratici, attori e politici. Il loro posto è stato preso da calciatori, presentatori, protagonisti di reality show e in genere di figure senza grande personalità, quindi molto deperibili, in grado di resistere poche stagioni. Crede che un Agnelli, tanto per fare un esempio, possa tornare ad esistere? Ritiene che, se esistesse, il mondo lo riconoscerebbe ancora un Maestro, come ha fatto negli ultimi trent'anni della sua vita? 4 - Si considera un dandy, un uomo elegante, un eccentrico, un uomo di gusto? Se non fosse nulla di tutto ciò, vorrebbe rientrare in una di queste categorie? Le domande non sono di pronta soluzione e non mi meraviglierei se ci pensasse su qualche giorno. In ogni caso, non Le ho posto domande di cui conosca le risposte e quindi sono in attesa di leggere il Suo parere. Cordialmente da Napoli Giancarlo Maresca Le risposte: As to 1) In our world today, fashion is really concerned with the roles we learn or choose to play. The idea of "unisex" fashion is that gender roles -- especially since the 60s-- have become ambiguous and therefore clothing has come to express this ambiguity. Then the conservative reaction was that men and women have lost their sense of place in society. This critique is partly justified but for the wrong reasons. Unisex fashion allows people to dress in ways which suggest that their gender is not as important as, let us say, the work or sports or events they are involved in. But that does not mean that the role of the cultivated man has disappeared or that it will disappear. The man of distinction, the elegantly dressed man, the man of mature taste, the men who pursue these roles are no more endangered by unisex fashion than Chateux Margaux is endangered by the demand for wine coolers. Risposta alla prima domanda: Nel mondo d’oggi, la moda è molto legata ai ruoli che noi impariamo o scegliamo di interpretare. L’idea di un fashion “unisex” è nel fatto che i ruoli legati al genere maschile o femminile - specie dopo gli anno sessanta – sono diventati ambigui e quindi l’abbigliamento ha cominciato ad esprimere questa ambiguità. I conservatori reagirono affermando che uomini e donne avevano perso il senso del loro posto nella società. Questa critica è parzialmente giustificata, ma per una diversa ragione. La moda unisex permette alla gente di vestirsi in modo che il sesso non sia così importante come, ad esempio, il lavoro, lo sport e in genere la situazione in cui è calato. Ma ciò non significa che il ruolo dell’uomo raffinato sia andato perduto o possa andar perso. L’uomo distinto, vestito elegantemente, di gusti maturi, gli uomini che scelgono questi ruoli non saranno danneggiati dal fashion unisex più di quanto lo Chateaux Margaux non sia danneggiato dalla domanda di cantine refrigerate. As to 2) Indeed there has been a change in clothing culture as the world has become more instantaneously exposed to trends through television. Today there is almost nothing which is NOT shown on television. That has made clothing even more important as a form of expression than it was 50 years ago. The question is what has it come to express? If we talk about this mass fashion then we have to talk about brands-- not clothes. In the past there were very few ready-made clothing brands, let alone those with global recognition. The high-end brands were still ateliers or workshops. Today many luxury brands are no longer connected to a particular product or craft. They are marketed for their own sake while the product has become secondary. The reasons for this are complex. But it is enough to say that there is a difference between making or selling clothes and clothing people. The relationship between the demanding man of taste and elegance is personal: the cultivated man wants to be clothed not to buy clothing. Risposta alla seconda domanda: In verità un cambiamento nella cultura dell’abbigliamento c’è stato, ma il mondo è molto più esposto a improvvisi cambi di orientamento, indotti dalla televisione. Oggi non c’è quasi nulla che NON sia mostrato in TV. Ciò comporta che l’abbigliamento, come fora di espressione, sia ancora più importante che cinquanta anni fa. Il problema è cosa si vuole esprimere. Se parliamo della moda di massa, dobbiamo parlare di marchi, non di vestiti. In passato c’erano pochissimi marchi di abbigliamento pronto,di cui sono rimasti solo quelli di universale notorietà. I nomi più importanti erano ancora di atelier o laboratori artigiani. Al giorno d’oggi molti marchi del lusso non sono più connessi a specifiche produzioni artigianali. Sono commercializzati per il loro intrinseco significato, mentre il prodotto è diventato secondario. Le ragioni di questo processo sono complesse. Ma è sufficiente dire che c’è differenza tra fare o vendere abiti e vestire la gente. Il rapporto con la domanda dell’uomo di gusto e l’eleganza è personale: l’uomo avvertito non vuole comprare vestiti, ma essere vestito. As to 3) The media has changed, too. We must remember that the Duke and Duchess of Windsor for example belong to the era of radio, newsreels and illustrated papers. The people they met were preselected by the environment in which they moved. Take the most recent fashion icon of the nobility-- the deceased Princess of Wales, Diana-- she was a child of television. The same can be said of the athletes and other public personalities. They are icons of mass fashion made instantaneous by television worldwide. In contrast, the mass media pays almost no attention to the men of this class. To give you an example, how many men do you think modelled their wedding suit after that of Prince Charles? The clothing for his state wedding and the recent marriage in civilian dress were not television material. In fact, gentlemen's dress has never been a mass media phenomenon and it is not likely to be in the future. You will not find a future Agnelli displayed on television. Risposta alla terza domanda: I media sono cambiati. Dobbiamo ricordare che, ad esempio, il Duca e la Duchessa di Windsor appartenevano all’epoca della radio e dei rotocalchi. Essi incontravano persone selezionate dallo stesso ambiente in cui si muovevano. Prenda la più recente icona della moda – la scomparsa principessa del Galles, Diana – essa era figlia della televisione. Lo stesso può dirsi degli atleti e delle altre personalità pubbliche. Sono icone della moda di massa, create istantaneamente dalla diffusione universale della televisione. Al contrario, gli stessi mass media non prestano alcuna attenzione agli uomini di quella classe. Per fare un esempio, quante persone pensa che ispireranno le proprie nozze a quelle del Principe Carlo? L’abbigliamento per il suo matrimonio di stato e per quello civile non era materiale televisivo. In realtà, l’abbigliamento da gentiluomo non è stato mai un fenomeno da mass media e non lo sarà in futuro. Non sarà certo la televisione a mostrare un futuro Agnelli. As to 4) The term "dandy" implies that the attention to detail, the cultivation of taste and pursuit of mature elegance is something superfluous. To call this eccentric would be more accurate-- if you take eccentric in its literal sense of being outside the orbit, the gravitational control of the planet. Both of these terms are often used to criticise anything unconventional or differing from the mass. But let's be honest, if you really believe in individuality or the integrity of each individual person in his or her uniqueness, then it is only logical to seek quality, style, taste and ultimately elegance in life in a personal way. It is the most reasonable thing in the world for someone who believes in himself to express this conviction in clothing, too. I am passionate about my belief in this kind of individuality and my clothing is the necessary expression of this passion." Risposta alla quarta domanda: Il termine “dandy” implica che l’attenzione al dettaglio, la coltivazione del gusto e la ricerca di un’eleganza matura siano qualcosa di superfluo. Chi è chiamato eccentrico sarà più accurato, sempre che parli di eccentricità in senso letterale, cioè di essere fuori dall’orbita, dall’influenza gravitazionale di un pianeta. Entrambe questi termini sono usati spesso per criticare qualcuno che sia anticonvenzionale o differisca dalla massa. Ma siamo onesti, se Lei crede veramente nell’individualità, ovvero nell’integrità di ciascuna persona nella sua unicità, allora l’unica logica conseguenza non può che essere che la ricerca della qualità, dello stile e infine della vita elegante, vada condotta da ciascuno a modo proprio. Questa è la cosa più ragionevole del mondo per chiunque creda di poter esprimere se stesso e di poterlo fare anche con il vestire. Io sono appassionato della mia fede in questo tipo di individualità ed il mio abbigliamento è la necessaria espressione di questa passione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-08-2005 Cod. di rif: 2076 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tarli e tarme, giacche ed alchimia, diritti e privilegi Commenti: Egregio Villa, il piacere ha molti nemici e non tutti hanno solo due gambe. Il tabacco ha il suo "bicho", il legno i suoi tarli, gli abiti di lana le tarme, la carta poi, è una vera cioccolata, che attira una quantità di mandibole golose. Conservare gli abiti in un vecchio armadio non attira affatto più parassiti, in quanto quelli del legno disdegnano le fibre tessili e viceversa. Al contrario, esistono legni ormai completamente estinti, come la canfora, che combattono efficacemente le tarme della lana. Forse avrà visto qualche vecchia cassettiera inglese in canfora: dopo secoli, i cassetti ancora profumano. Questo legno era molto usato nel mobilio nautico, ma credo che se cercasse di comprarlo oggi negherebbero che sia mai esistito. Credo che il freddo, come nel caso del bicho del tabacco, sia un buon nemico delle tarme quanto la polvere e lo sporco ne sono alleate. Se ne deduce, qualora ciò fosse vero, che gli abiti rischiano molto nella stagione calda e quando non sono ben spazzolati, mentre sono meglio protetti da attacchi mortali se tenuti in ambienti ben chiusi e freschi. Ci si può aiutare con alcuni prodotti. Detestando quei sacchetti puzzolenti che vengono proposti dall'industria, mi limito ad esorcismi di tipo tradizionale. Nella mia sterminata raccolta di tessuti tengo infilate qua e là foglie di lauro e di tabacco. Il loro servizio è preciso e inappuntabile, visto che da anni non accuso attacchi che alle calze, che invece tengo profumate alla lavanda. Probabilmente più che un veleno, quest'ultima appare alle tarme come un condimento. Quanto alla seconda domanda, conosco uomini eleganti che amano vestire un po' attillato e quindi hanno i davanti molto aperti, come li usava l'Avvocato. La stessa eleganza è in possesso di altri uomini che vestono con giacche vaste quanto una nazione, come quelle, certo a Lei note, usate dal nostro inarrivabile decano. Se ne deduce ancora una volta che certe misurazioni, tendendo a fornire una legge fissa dove invece vige solo l'armonia delle proporzioni, quindi un codice variabile, sono un esercizio pericoloso. Queste quote potrebbero indurre i Visitatori a credere che noi si sia scoperta la pietra filosofale che elevi la materia e lo spirito dagli stati vili a quelli nobili. Non è escluso che a questo si arrivi ed anzi in parecchi siamo intenti al nostro athanor per cercare una via verso la Grande Opera. Ma anche per chi l'ha compiuta, essa resta un segreto intrasmissibile, in quanto è un percorso e non un indirizzo. Fumare necesse est, vivere non necesse. Come ho dichiarato altrove, il popolo ha contaminato il lusso, cioè lo spreco, facendo di un privilegio un diritto. Non c'è cosa più triste o priva di valore estetico, sicché mi sono trovato, senza nemmeno volerlo, in una stagione di parsimonia. Le faccio compagnia con un Toscano Riserva e riduco gli Avana ad un paio la settimana. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-08-2005 Cod. di rif: 2083 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La grandezza è nell'uomo - Al signor Fontana Commenti: Egregio signor Fontana, lo stesso Sarto che ha cucito quella giacca di tweed che Lei ha ammirato sta ora amministrando il ciclo 2005 di Laboratori d'Eleganza, la cui prossima sessione sarà probabilmente in programma per la mattina del 22 Ottobre prossimo. Lei ha già avuto l'occasione di servirsi di un maestro in qualche modo "certificato" dall'Ordine, ma alla fine ha cercato altrove. Cosa posso dirLe? La conefzione ed il su-ordinazione hanno compiuto grandi passi, proprio immettendo nei punti chiave della lavorazione e della progettazione forze artigianali qualificate. I prodotti che ne risultano sono, come quello di Borrelli, ineccepibili, tanto più che è possibile personalizzarli. Tra su-misura e su-ordinazione passa però proprio la differenza che c'è tra personalizzazione ed esclusività, tra essere uno dei pochi ed essere un unico. Questo spazio non è facile da colmare e percorrerlo, come più volte abbiamo avuto modo di dire e constatare insieme ai Visitatori, espone a immancabili delusioni. A volte, non sono determinate da un fornitore poco accorto o distratto, ma da un'incapacità di chiedere, dall'incertezza del risultato cui si tende o dalla volotnà di perseguire un risultato inesistente o impossibile. Traggo dal prossimo articolo della serie "Maestri dell'ago e del filo" che verrà pubblicato da MONSOEUR alla fine di Settembre, questo passaggio di un'intervista a Mario Caraceni: Anche il cliente ci da molto e spesso ci insegna o ci ricorda qualcosa. Qualcuno resta memorabile, come il principe Aldobrandini. Aveva una figura magnifica, un portamento superbo e sapeva perfettamente cosa volesse. Don Clemente, come lo chiamavamo in sartoria, si tratteneva a lungo eppure non si guardava mai allo specchio. Dedicava molto tempo alla scelta del tessuto e alle indicazioni sull’effetto generale, ma non si fermava sui dettagli e provava con rapidità, lasciando che fossi io ad effettuare le modifiche. Al momento della consegna indossava la giacca, piantava i pugni nelle tasche e li spingeva giù, guardandosi le spalle. Se restavano dritte faceva un cenno di approvazione e si complimentava per il lavoro ben fatto. Se per caso si curvavano all’estremità, lasciava trasparire il proprio disappunto. Questo strano test è basato su un principio generale della costruzione sartoriale, che vuole che la spalla sia lavorata in modo da appoggiare nella parte vicina al collo e perda peso man mano che si allontana da esso. Non faccio nomi che Lei già conosce, ma tra altri clienti indimenticabili voglio ricordare il principe Colonna ed il marchese Guglielmi di Vulci. Questi personaggi, dotati di un fascino speciale e di una sicurezza ineccepibile nel gusto, sono un vero fermento per qualsiasi sartoria. Non si fermano al particolare tecnico, ma proprio perché il loro occhio non è distratto dalle piccolezze sanno indirizzarsi e indirizzare verso quella scelta che conferisca all’abito un che di superiore. Qualcosa però sta cambiando. L’uomo che si riconosce in un’ideale aristocratico cerca nell’abito lo chic, lo charme dell’insieme. Come può leggere dalle parole dell'anziano Maestro, i grandi clienti non sono sempre così' esigenti o non lo sono in un modo specifico. Non chiedono un risultato pronto da portare indosso, ma uno strumento, un motore che saranno loro stessi a far girare al meglio. Ciò significa che bisogna sapersi accontentare quanto al prodotto ed essere instancabili nella ricerca dello stile, dei dettagli. Tutti vogliamo una cosa bella, ma chiedere una cosa perfetta è decisamente una battaglia di retroguardia. Se quindi Lei ha avuto cose belle, assolva gli artigiani e condanni se stesso. Se belle non erano, continui a chiedersi se è Lei ad aver chiesto qualcosa che non andava chiesto, inadatte a Lei stesso o al laboratorio che doveva produrle. Qualora Lei risulti assolto in primo ed in secondo grado, potrà scegliere di trovarsi insoddisfatto tra qualche anno dal su-ordinazione o di rischiare ancora di essere insoddisfatto subito dal su-misura. Per evitare l'insoddisfazione, migliori la fiducia in se stesso, sino ad essere convinto che la camicia imperfetta della Sua camiciaia sarà ammirata proprio per le sue imperfezioni, quando indossata da un uomo inimitabile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-08-2005 Cod. di rif: 2086 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Montature classiche e d'epoca Commenti: Egregio Freni, i frequentatori di questa Lavagna, in rapporto alla specificità dell'argomento e del modo in cui è trattato sono veramente numerosi, tra Cavalieri e Visitatori. Tra essi, l'unico che sia certo abbia una certa competenza in materia di montature classiche e d'epoca per occhiali (seppure sia intervenuto sui Ray Ban) è il signor Alessandro Vecchiato. Potrà cercare il Suo indirizzo nell'Albo dei Presenti e contattarlo, anche su casella privata, per una consulenza. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-08-2005 Cod. di rif: 2092 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A tempo di musica Commenti: Egregio signor Scurati, proprio perché è così giovane, Lei gode di una certa impunità etsetica e quindi Le sarà difficile sbagliare. Non ho ben capito se va a suonare o ad ascoltare, né conosco bene il mondo della musica e le abitudini delle sale milanesi, ma il blu, come Lei del resto, non lo vedo tanto per la quale. Vada alla grande su un bel nero, in una saglietta brillantedi alta qualità, con camicia immacolata e scarpa tirata alla militare. Eviti, per carità, cravatta, fazzoletto o qualsiasi altro accessorio rosso. La combinazione rosso-bianco-nero è alquanto rischiosa e quasi tutti coloro che sfidano queste sfingi restano fulminati. In questa prova ho visto cadere colossi dal gusto e dal carisma di un Karl Lagerfeld. Lui che è così autorevole in bianco e nero (http://www.noveporte.it/dandy/taccuino/grande.php3?idfoto=188) , guardi come si riduce quando abbina il rosso: http://www.noveporte.it/dandy/taccuino/grande.php3?idfoto=200. Anche il grigio è tabù, per non sembrare ucito da un matrimonio o dal bancone di un concierge. Si orienti su un tinto in filo pesantissimo con fondo nero e fantasia bianca. Calza liscia, cioè senza coste, eventuali bretelle in moiré bianco e lacci in tessile dello stesso colore. In bocca al lupo, ma sentiamo qualche altro eventuale commento, magari da qualche milanese. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-08-2005 Cod. di rif: 2094 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il re degli scacchi Commenti: Egregio Scurati, il soprabito è indispensabile. Alla Sua età, purché non metta un loden o un piumone, Le è concesso un largo margine, che in una serata uggiosa potrebbe comprendere l'impermeabile anche in una tonalità chiara. L'ideale sarebbe un chesterfield grigio scuro, ma anche un'altra foggia andrà bene. Più importante il soprabito, più difficile fare a meno del cappello. Qui però si rischia, perché per qualche strano motivo la gente non ha più freddo alla testa e, non usandolo nessuno, si rischia di mostrare un'eccentricità che non ci appartiene. L'abitudine aiuta a sopportare questa etichetta e la scolorisce. Portando il cappello quotidianamente, si apprende la sua gestualità e la si assorbe. In tal modo chi lo porta e chi guarda vede il tutto in un modo più naturale. La regola del cappello è quindi più o meno questa: o sempre o mai. Ma certamente, un cappotto dalle ampie spalle e importanti baveri, senza il cappello avrà sempre qualcosa che non quadra. E' una questione di proporzioni, perché sopra un apparato bellico (tutti i cappotti vengono da fogge militari) che porta il torace ad un volume doppio, quella capuzzella ignuda che spunta piccola e indifesa fa la figura di un re degli scacchi con la testa di un pedone. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 24-08-2005 Cod. di rif: 2095 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Al Signor Scurati Commenti: Egregio Signor Scurati, mi permetto di darLe qualche consiglio, in quanto milanese, come richiesto dal Gran Maestro. Conoscendo le abitudini dei Milanesi , difficilmente troverà qualcuno in smoking, se non ad un evento come la prima della Scala. Troverà molte scarpe marroni e magari qualche blazer. Il rischio di vedere qualcuno in jeans, c'è. Detto questo, ciò Le dà qualche flessibilità verso gli altri, bisogna vedere quanta Lei ne dà a se stesso. Le direi come procederei io, quindi; più che dare consigli, i quali sono appannaggio del Gran Maestro. Se questo è il primo, o secondo abito che Lei fa presso un sarto, io farei senza indugio un worsted twill navy scuro o midnight blue nel peso maggiore che lei riesca a trovare,l'ideale sarebbe 15-16oz ma anche 13oz farà fatica a trovarli. Rigorosamente scarpe nere tirate a lucido e fazzoletto bianco; io lo farei due bottoni, che viene considerato più formale (soprattutto nel mondo anglosassone). In questo modo avrei un abito più flessibile di un abito nero, e aggiungendo un gilet avrei qualche possibilità in più; la giacca potrebbe essere utilizzata anche con pantaloni di flanella grigia. L'abito blu Le sarà sicuramente perdonato, bisogna vedere se Lei se lo perdona. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe de Falco Data: 25-08-2005 Cod. di rif: 2100 E-mail: giuseppe.defalco@fastwebnet.it Oggetto: Maglia Marinara Commenti: Egregio signor Ariot, all'inizio del mese ho comprato una maglia marinara proprio con le caratteristiche e i colori da lei descritti presso Burberry a via Condotti a Roma. In questo momento, tuttavia, il negozio succitato ha sbaraccato la collezione estiva per sostituirla con quella autunno-inverno.Nei suoi panni non dispererei tentando di ordinarla alla Burberry. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-08-2005 Cod. di rif: 2102 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Maglia bretone Commenti: Egregi Cavalieri, darei una mano di terzaruoli alla definizione di maglia marinara, riducendola così alla sua autentica essenza. Pochissimi sanno che anche la maglia alla marinara ha un suo codice, che viene dalla sua lontana origine bretone. Quella originaria di queste regioni ha il collo a barca e un numero preciso di righe orizzontali, che mi sembra (ma su questa questione della quale non si parla ormai da secoli non mi fido della memoria) essere pari a ventitre. non una di più, non una di meno. I motivi? Sarebbe bello andarli ora a cercare. L'infinito ha infinite porte. E una cassa di rhum a chi torna con la mappa del tesoro. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-08-2005 Cod. di rif: 2104 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cavalieri e Professori - Al signor Pilat Commenti: Egregio signor Pilat, purtroppo si trova in luogo tre volte sbagliato. 1) Innanzitutto il castello è un luogo dichiaratamente formalista e quanto a forma mi sembra che sia rimasto un po' tirato di maniche. Qualche maiuscola, ad esempio avrebbe migliorato la compatibilità del suo testo con l'ambiente. 2) L'Ordine non è un'istituzione discente, ma errante. Non spiega, ma cerca. Non educa, mostra. Le istruzioni sono utilissime per le lavatrici, ma per l'abbigliamento ci vuole qualcosa di diverso. 3) Abbigliamneto, proprio questo è l'argomento che qui si tratta, non di altro. In conclusione, legga e scriva meno velocemente e troverà ciò che cerca senza doverci ringraziare. Cavallerscamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-08-2005 Cod. di rif: 2105 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Adeguatezza e Bellezza Commenti: Cavalier Prete carissimo, la domanda che pone alla fine del Suo gesso è una domanda cruciale. Se un tema come quello dell’abbigliamento fosse una fornace, potremmo dire che Lei, invece di visitarla dall’apertura frontale, è andato a scoperchiarla dall’alto, dove le fiamme potrebbero abbrustolire Lei e chi si avvicinasse per rispondere. Un vecchio fuochista mi spiegò come trattare certe temperature. Innanzitutto proteggiamoci dal calore più immediato, ponendo tra noi e le fiamme una griglia isolante, quelle che nel mondo verbale sono rappresentata dalle definizioni. Se in qualche modo separano dall’oggetto, sono comunque necessarie a lavorare. Orbene, il dilemma si può ridurre alla scelta tra Adeguatezza e Bellezza. Prendere una fa rimpiangere l’altra e sembra impossibile trovare un equilibrio senza poter spostare a proprio modo tutti e due i pesi. Come Lei ha già detto, la cosa è possibile in presenza della moneta, ma pur rispettando il ruolo di quest’ultima dovremmo dare precedenza al gusto. Già, il gusto, ma questo sistema di desideri e percezioni non è stabile, si affina (o si ottunde) con noi. I più attenti si accorgono subito quando, col tempo, una cosa non piace più loro, mentre i distratti ci mettono un po’ di tempo. Ma inesorabilmente il gusto si evolve sia nelle scelte pratiche che in quelle stilistiche, ammesso che esista un differenza sostanziale. A questo punto, la risposta non è una sola, ma ce n’è una per ciascuna stagione. Quando, giovani e con poche risorse di conoscenze, esperienze e disponibilità, non si possono manovrare tutti i cursori, allora bisogna trovare la migliore sintonia possibile. Se non si può trasmettere in stereofonia, ci si accontenta del mono, purché si mandi in onda una musica orecchiabile. Il primo passo è quello di rendersi conto della situazione e sin qui, dove era importante arrivare, il nostro giovane corrispondente mi sembra essere arrivato. Come Cavalieri noi dovremmo attenerci ad una regola e poiché la nostra è un’ispirazione formale, dovremmo subito dire che dove c’è più forma, c’è più sostanza. Quindi, tradotto in pratica, dovremmo subito liquidare la questione dicendo: si scelga l’Adeguatezza. Dopo aver pensato di fare così, mi sembrava di trascurare la parte dinamica della questione, quella che abbiamo affrontato parlando dell’evoluzione personale di ciascuno. Questo percorso non ha una fine, ma diciamo che da un certo punto in poi si raggiunge uno stato di compenetrazione automatica, di coscienza istintiva, che indica una soluzione e i modi per far capire, a chi può capire, che era una soluzione giusta. Dico una, perché la complessità dell'argomento che ci occupa viene dal fatto che, al punto in cui tutti qui sono giunti, si è capito che la soluzione non è mai una sola, dipendente da una regola fissa valid per tutti. Ad esempio, ammiro nell’amico Forni la perfetta scelta dei materiali e delle fogge in sintonia con l’età, la posizione, la cultura, l’occasione e l’ambiente. Non sempre i suoi abiti sono impeccabili tecnicamente, ma la naturalezza cui la sua frase estetica si inserisce e addirittura arricchisce il contesto in cui si trova, fanno di lui un uomo elegante. Molto più di me, che a volte sacrifico qualche parametro ad un amore per certi effetti un po’ stonati. Diciamo quindi che l’uomo giunto al traguardo dell’eleganza ha bilanciato i due pesi in un modo tutto personale, aggiungendone talvolta un terzo, l’innovazione. Ma questi uomini sono pochi. Per essere sicuri non di arrivare al traguardo, ma almeno di stare su quella strada, bisognerà comunque non perdere mai di vista l’Adeguatezza. Per questo, la scelta del nero, più mimetico in un concerto, mi trova favorevole. Avrei dovuto dirlo prima, ma c’è un presupposto non completamente corretto nella Sua preparazione alle splendide domande finali. E cioè che un completo di buona confezione costa quanto un abito dal sarto, che spesso si crede più caro di quanto non sia. Naturalmente, c’è la confezione non tanto buona. Anche questa, indosso a chi sta con essa facendo il massimo, ha la sua dignità, come ha dimostrato la breve e intensa ricerca sul “Vestito Buono”. Uno smoking, e in questo ha ragione, è invece decisamente più caro in sartoria, in quanto quest’ultima è costretta a stuirature e procedure molto dispendiose in termini di tempo, nonché all’uso di materiali costosi acquistati in piccola quantità e quindi a prezzi poco vantaggiosi. Quanto all’altra domanda, quella sul tight, è naturale che ad un matrimonio in cui si spapia esserci molte code, chi ne ha un paio nell’armadio non farà male a tirarle fuori dalla naftalina, anche se vecchie. Magari, potrà farsi cucire un gilet nuovo. Grazie per il bel contributo Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-08-2005 Cod. di rif: 2108 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Principi e variabili Commenti: Egregio Carrara, la foto di Comi, con relativo commento, è stata pubblicata con un certo ritardo proprio perché ho voluto chiedergli un'autorizzazione a mostrare una foto in cui la giacca mostrava un difetto, quel distacco dal collo, che altrove sarebbe passato inosservato, ma non certo qui. Il problema convolgeva anche l'immagine del laboratorio A. Caraceni, dichiarato fornitore del signor Comi e la cosa non mi faceva piacere. Si tratta comunque di un documento e lo avrei sottratto all'avidità del nostro laboratorio solo dietro un diniego di chi aveva diritti sull'immagine, diniego che non c'è stato. Comi, ovviamente ben conscio dell'inestetismo, dichiarava che l'abito era alle prime uscite e sarebbe stato revisionato. Non possiamo essere così avventati da giudicare altro oltre quello che vediamo. La giacca è imperfetta, ma l'uomo ha una storia che parla per lui e gli serve da salvacondotto perché non si trancino giudizi affrettati. Diverso sarebbe stato solo se la foto fosse stata scelta tra tante dallo stesso protagonista. Quanto all'abito nero, nonsi tratta di una stravanganza da usare in casi isolati, ma di un capo che ha un utilizzo particolare. Tenendo in grande considerazione la responsabilità che viene dalla mia autorità in questa materia, almeno nei confronti di quelli che me la attribuiscono, prima di dare un consiglio valuto numerosi parametri. Come sempre, ci si ispira innanzitutto al mio principio di base, che è quello secondo cui un guardaroba si costruisce scegliendo quello che piace tra quello che serve e non quello che piace e basta o quello che serve e basta. Nel porimo caso, infatti, si hanno troppi capi simili. Nel secondo, troppi capi che dopo la prima volta si mettono senza piacere e senza identificazione. Nel caso dello Scurati abbiamo una serie di concerti, cui certamente ne seguiranno altre negli anni a venire, perché chi ama la musica difficilmente cesserà di amarla. Inoltre, sembra che l'importanza data dallo Scurati a questa situazione è particolare e dobbiamo calarci nella realtà di un giovane che probabilmente nelle altre sere uscirà senzagiacca ecravatta e che quindi di un abito ad ampio spettro non avrebbe potuto sfruttare le potenzialità in termini quantitativi. La scelta è stata allora qualitativa. Posso essermi sbagliato, ma non di molto. In ogni caso, ho ripercorso l'itinerario logico del caso perché possa servire non tanto da esempio, quanto da punto di partenza per chi chieda consiglio a se stesso o per chi altri debba darne. I principi esistono, ma senza le variabili diventano leggi e noi, alle leggi, ci crediamo poco o almeno poche ne riconosciamo. Mi sbaglio? Cavallereschi saluti ad uno Scudiero così acuto. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 27-08-2005 Cod. di rif: 2109 E-mail: mocchia@libero.it Oggetto: Un doppio petto in rodaggio Commenti: Egregio Carrara, la ringrazio molto per i complimenti, e per le critiche utilissime; quella cravatta in maglina di seta era una recente acquisto romano, e la tentazione di indossarla con quella giacca mi ha fatto passare sopra al difetto dei toni più accesi rispetto a quelli della giacca stessa. Da parte mia e dello stesso Comi (che ci sta leggendo ora) tengo a confermare quanto specificato dal Gran Maestro: il doppiopetto di Caraceni che Comi indossa in quella foto usciva dal laboratorio per la prima volta; lo stesso Comi me lo disse quando ci incontrammo quel giorno a Cannero. Inoltre ho avuto modo di incontrare Comi diverse altre volte e posso ben dire che il suo stile è sempre stato ipeccabile quanto, se non più, dei suoi libri. Il rimprovero, se rimprovero deve esserci, va fatto alla sartoria che veste il signor Comi da decenni ed ha tuttavia commesso un errore così banale. Ma, si sa, anche i grandi possono sbagliare. Quel che è certo, è che sanno rimediare meglio di altri. Cordiali saluti Massimiliano Mocchia di Coggiola ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-08-2005 Cod. di rif: 2110 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Godet nobilitato. Commenti: Egregio Mocchia, l'evidenza della Sua mise nella foto allegata all'Appunto n. 1835 non riesce a nascondere nemmeno un po' il dettaglio più raro e prezioso, quel godet nobilitato nell'essenza del manico. Feci coctruire anch'io anni fa un pezzo simile, con una ferratura a vite e compasso che lo rendeva ripiegabile alle estremità. Il manico era di tale bellezza, per la densità dei nodi, per le sfumature che andavano dal panettone alla pastiera, per la perfetta curvatura, per la uniformità del profilo della sezione e del suo spessore, che un mio collaboratore, ogni volta che veniva allo studio, si genufletteva innanzi al portaombrelli per riconoscere l'assoluto primato di quel manico su tutti gli altri che aveva visto. Trattandosi di un collezionista e in considerazione di tanta fede, acconsentii dopo un paio d'anni di ostentate adorazioni e pressanti richeste a cedergli il pezzo, che ora vive in una famiglia molto numerosa. Al momento di consegnarmelo, dopo due anni dall'ordine, l'artigiano mi garantì che mai avrebbe realizzato un altro pezzo del genere. Si tratta di un nostro Fornitore e per questo ed altri motivi dovrebbe essere legato all'Ordine ed a me in particolare per il successo della sua azienda e non vorrei avessero dimenticato del tutto certi impegni. Credo che il Suo bell'ombrello possa provenire da quella stessa fonte e so per certo che per un Cavaliere sia già stato realizzato un altro pezzo, identico al mio, seppure non certamente per quel famoso manico. In virtù dello status del committente e per non metterlo in difficoltà, sono passato e sono ancora disposto a passare sopra la rottura della promessa. Lei, però, non è nostro Socio e le cose cambierebbero. A questo scopo mi permetto di chiederLe se l'ombrello della foto sia del tipo da viaggio, se nel caso abbia le viti di punta e manico che si separano dagli alloggi o piuttosto trattenute e snodate da un compasso. Infine, da dove venga. Qualora lo ritenga più opportuno, potrà rispondermi anche privatamente. La pubblicazione di questo gesso serviva a far capire alcune cose, diciamo a fare una tiratina di orecchie. Anche se abbia acceso la curiosità, il seguito della faccenda riguarda in effetti solo l'Associazione ed in particolare il suo Gran Consiglio, responsabile dell'assegnazione e revoca delle Patenti. Complimenti. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 28-08-2005 Cod. di rif: 2112 E-mail: mocchia@libero.it Oggetto: L'ombrello fotografato Commenti: Egregio avvocato, per rispetto di quanto l'Ordine si impegna a fare (ovvero evitare qualsiasi genere di pubblicità), Le risponderò privatamente. Confermo comunque in questa sede che l'ombrello proviene dal vostro fornitore. Cordialmente Massimiliano M. di Coggiola ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-02-2012 Cod. di rif: 4565 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chiarimenti sul puntale - Risposta al Gesso n. 4562 Commenti: Illustre cavaliere Villa, vorrei chiarire che la rusticità è un carattere attribuibile al puntale riportato, cioè sovrapposto, non a quello incassato a livello. Mentre il primo è da riservare a calzature pesanti e per l'aria aperta, il secondo può degnamente guarnire ogni scarpa che ne abbia motivo. tanto per dare dei parametri, direi che i problemi di rullata che favoriscono il consumo partono con una suola pari o superiore agli otto millimetri, quindi abbastanza rigida. A maggior ragione se ne avverte il bisogno se anche il guardolo si inspessice e quindi rende più facile che la punta, oltre a consumarsi nella parte inferiore, rincagni tutta come un naso schiacciato. Fanno eccezione le scarpe da cerimonia e da sera, che comunque hanno per la maggior parte suole inferiori alla quota limite suggerita. Il puntale rinforzato con lamina incassata è costoso e riservato a chi si serve su misura. La sua origine è imputabile a ragioni squisitamente estetiche. Quanto all'origine del puntale riportato, sono certo che sia nato per economia, un motivo che è più che sufficiente a giustificarne sia la nascita che il tramonto. Un tempo si era parsimoniosi anche se ricchi, oggi si è propensi allo spreco anche se impoveriti e in piena crisi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-02-2012 Cod. di rif: 4566 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quadri con quadri, la caduta delle regole - Risp. Gesso 4563 Commenti: Egregio signor Folli, nelle ultime due sessioni di DRESS CODE, tenutesi a Bologna il 16.12.11 ed a Napoli il 27.01.12, ho presentato una nuova teoria sui fondamenti dell'estetica classica. Troverò prima o poi il tempo di enucleare tutto il ragionamento che conduce a questi risultati, ma il succo della mia prolusione era nella dimostrazione che il sentimento classico è basato su valori morali e governato da principi di armonia e coerenza storica. Se i principi diventano valori e le regole consistono nei principi, non resta più spazio per una normativa di livello spicciolo, che con l'autorità di un formalismo incolto possa sindacare il genio del singolo. Le regole propriamente dette, i decaloghi che conterrebbero verità rigide ed incontrovertibili, non sarebbero che invenzioni tese a volgarizzare ciò che è nobile, mentre l'abbigliamento è un'arte alchemica ed iniziatica che come tale tende ad un processo esattamente inverso. Dunque, se qualcuno ha detto o scritto che le righe non vanno con altre righe ed i quadri non si abbinano ai quadri, non ha ascoltato altro che forme di mortificazione. Il divieto è una forma di penitenza che l'umanità postclassica, caduta in un neomisticismo privo di autentica fede, ama disperatamente. Come è diventato popolare vietare la circolazione, il fumo o gli alcolici, così il popolo si sente guidato verso la salvezza da obblighi, proibizioni, prescrizioni, ma soprattutto condanne e sanzioni in altre materie, non esclusi il fisco e l'abbigliamento. Ed ora veniamo all'oggetto della Sua domanda. La combinazione di quadri è oggettivamente complicata, in quanto il rischio di conflitto è molto elevato. Come è possibile che qualcuno riesca dove altri falliscono? Cancellata, o almeno desautorata la regola che prescrive di evitare questa difficoltà, vediamo qual'è il principio. In base ai criteri di armonia, le combinazioni di quadri potranno risultare piacevoli, o addirittura geniali, se verranno rispettati i caratteri naturali e storici dei materiali. Osservando meglio l'immagine da Lei citata, noterà che tutti i tessuti utilizzati sono a bassa luminosità. Solo il gilet offre una risposta di luce maggiore e pertanto appare il pezzo più estraneo. La composizione resta affascinante e se Le faccio notare questi dettagli non è per criticarla, quanto per renderla partecipe dei meccanismi che promuovono o bocciano le soluzioni. Come abbiamo visto, oltre a quello squisitamente estetico, basato sull'abbinamento di colori e soprattutto di luminosità, c'èda tener presente anche il fattore storico. Ciò significa che i disegni si abbineranno meglio, se non solo, quando hanno antenati e/o esperienze comuni. I quadri che Parisi ha utilizzato sono district checks per la splendida giacca in scottish tweed di pieno peso, tartan per il gilet e la cravatta, tattersall per la camicia, naturalmente di twill matto. Insomma tutte disegnature scozzesi, rispettose dei motivi e delle tinte originali. In questo contesto qualsiasi altro quadro, piccolo o grande, se privo di uno spessore tradizionale sarebbe risultato incompatibile o peggio mostruoso, come una testa di cervo trapiantata su un corpo coccodrillo. In conclusione, quando proverà abbinamenti del genere dovrà avere a disposizione un guardaroba ricco di materiali classici ad alta densità. Non è facile che le cose si trovino bene con altre cose, anche se prese singolarmente sono belle e buone. Allo stesso modo, gli uomini non si trovano sempre bene con altri uomini, anche se della stesa lingua e religione. Ciò che consente ad uomini e cose di avvicinarsi di più e meglio è la sincerità, che è una forma della verità. Compri dunque cose vere ed alla fine sarà più facile che si combinino con grazia e naturalezza. Ma non lo dia per scontato. Tenga sempre presente che la visione oltre le regole compete al genio, non all'improvvisazione. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-09-2005 Cod. di rif: 2122 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cerchi e segmenti. Al giovane sig. Moscatelli Commenti: Egregio signor Moscatelli, la forma in cui si esprime fa ben sperare per i Suoi studi. Qui ha già potuto verificare che esiste un Umanesimo che non è solo lettere e letteratura, ma un atteggiamento complessivo che mette l’uomo al centro di un progetto in cui c’è continuità tra passato e presente e di cui lui stesso è interprete. Non proprio o non unico arbitro e autore, altrimenti saremmo all’Illuminismo, illusione che nasce da un’altra illusione: la Giustizia. Scoprirà presto, almeno Le auguro, che questa grande madre non esiste, contro ogni ragionevole previsione. Proprio per questo difetto, così piccolo da risultare impercettibile agli Utopisti e cioè in generale ai non-Umanisti, non partorirà mai la Felicità. L’Umanista non ha il cruccio di dover inventare per forza. Se capita, bene, altrimenti definisce, cerca, comprende, adatta, prevede e poi ricomincia da capo, per sorprendersi infine non di qualcosa di nuovo, ma di essere giunto allo stesso punto degli antenati pur facendo un giro diverso ed adatto alla sua velocità e ai suoi tempi. Così come esistono quelle per la sua componente fisica, questa è l’arena in cui l’uomo di diverte a cimentare la propria parte intellettuale, meravigliosamente illudendosi di una gloria infantile che potrebbe essere l’unica che gli compete. Fuori da essa ci sono i campi arati della scienza e le cime della religione, coi suoi nevai di misticismo. Regioni queste, a differenza di quella umanistica, che si prendono tanto sul serio da chiedere sempre indipendenza, talvolta dominio. Ma soprattutto, almeno in termini di estensione, si avvicendano vasti deserti di noia e le maleodoranti, sterminate paludi dell’informazione, che sul serio non va mai presa. Questa divagazione ha preso le mosse dai Suoi studi, ma non è completamente estranea a quel concetto che Lei ha condiviso ed in cui il nuovo non è nell’oggetto, ma nel soggetto e nei suoi metodi. Questa relatività non appartiene solo all’Eleganza, un risultato che da universale è divenuto iniziatico e che pertanto interessa pochissimi. E’ piuttosto una caratteristica di tutta la semantica estetica, che essendo divenuta a tutti accessibile e per tutti doverosa, sin dall’infanzia, è sempre più praticata e indagata. Un oggetto attualissimo può apparire datato, mentre la cosa da altri ritenuta polverosa può rivelarsi esplosiva, nelle mani di un rivoluzionario. Man mano che questi boati diventano più frequenti attirano meno l’attenzione e non ci si è ancora accorti che i giacimenti di stupore vanno verso un inevitabile esaurimento. Un linguaggio, un sistema che viveva sul bello e sul nuovo, era rappresentabile con un cerchio, perimetro lungo il quale ci si muove all’infinito. Muovendosi su questa figura sembra di tornare indietro, ma non è così, perché la coscienza umanistica di cui sopra ci istruisce sul fatto che in realtà l’uomo non può ritornare due volte nello stesso punto, perché non è mai lo stesso uomo e quindi vedrà il punto e da quel punto in maniera diversa. Un linguaggio ed un sistema che tendano alla demolizione di un canone e non alla sua interpretazione, si muovono lungo un segmento, tracciato limitato da un inizio e da una fine. Se non si consolidano nuovi canoni, o non si riassumono i vecchi, accadrà come per l’Auto, che è già morta. C’è una differenza, però, in quanto l’Abbigliamento è così diffuso nel tempo, nello spazio e nella profondità dell’immaginazione che anche nell’estinguersi lascerà sempre da qualche parte una traccia del suo codice genetico. E poiché esso è riproducibile con risorse molto minori, in qualsiasi momento, finché ci sia o se appena risorga un Uomo, potrà avere un vestito da Uomini. La possibilità che interi mondi, come fu per quasi un secolo quello dell’Automobile, possano estinguersi in modo definitivo, deve far riflettere sulla delicatezza della gestione dei patrimoni ancora vivi ed attivi. Ogni scelta è grave, per chi sa o intuisce. Lo vediamo non tanto nel nostro accanimento, ma proprio nell’attenzione posta da giovani interlocutori. Nella paura di sbagliare e nella solennità con cui Lei, ad esempio, si accinge a intraprendere quel movimento circolare rinnegando quello rettilineo. La gioia che proviamo nel poter passare il testimone è solo leggermente appannata dalla responsabilità di una staffetta in cui non si sa quanti frazionisti siano schierati e fin dove si potrà arrivare. Lei sta per afferrare questo leggero carico. Faccia poi la Sua corsa come noi la nostra, rischi la pelle e si diverta, due cose che sono la stessa cosa. Nessuno di noi deve preoccuparsi se ci saranno altri a proseguire, perché l’uomo opera bene quando opera per un ideale e non solo per un risultato. La Sua idea di partire con un tre pezzi è quanto mai centrata. Un uomo in giacca e cravatta comincia a destare meraviglia in un numero sempre maggiore di situazioni e presto, per intere legioni di subumanisti, la meraviglia si muterà in terrore e poi in odio. Di fronte a questi sentimenti piuttosto forti, un gilet tende sempre meno ad apparire overdressed e si presenta anzi come una scelta di campo decisa e precisa, senza essere smaccata. Il problema è che i gilettai sono quasi completamente scomparsi ed i sarti non sanno lavorare molto bene questo capo. In un tre pezzi il gilet rappresenta il punto focale. La sua linea deve integrarsi con il resto, ma allo stesso tempo domina il tutto e attribuisce a giacca e pantalone i relativi compiti e pesi. Inserisco nel Taccuino un immagine molto eloquente, che chiarirà questo concetto. Quando sarà dal sarto, se perservererà nell’idea del tre pezzi, sondi le sue capacità parlando subito del gilet. Sia chiaro che un buon gilet è molto lavorato. Ammesso che il Suo sarto sia all’altezza di realizzarlo, per vederlo finito non c’è che pagarlo caro e far capire che intende farlo, altrimenti la richiesta si insabbierà in un fuggi-fuggi confuso, con un artigiano che sguscia da una parte ed il cliente che si nasconde dall’altra. La vera causa della scomparsa del gilet nella sartoria è stata la mancanza di chiarezza da parte dei sarti e l’insistenza da parte della committenza nel cercare di ottenere tre pezzi al prezzo di due. Un gilet deve avere cinque caratteristiche, che influiscono anche su giacca e pantaloni: 1) La V della scollatura deve essere BILANCIATA con l’apertura della giacca, esserne per così dire una porzione aurea. La giacca stessa deve essere confezionata in previsione del gilet: ben accostata al collo e con vita alta, con una caduta anteriore poco aperta in modo da risultare più abillé. 2) Deve essere ACCOSTATO al collo, in modo da ospitare le vele della camicia sotto la sua augusta protezione. Naturalmente, se il gilet è accostato e la giacca no, siamo al disastro totale, alla catastrofe di magnitudo massima. 3) Deve essere ATTILLATO. Non solo perché stretto in un punto da una fettuccia posteriore, ma lungo tutto la sua sezione ed anche a prescindere dalla fettuccia stessa. La fettuccia è un trucco per fare un gilet che possa vestire taglie differenti e restare in uso anche se si cambia peso, ma un grande gilet è fatto su misura nel senso più estremo. 4) Onde assumere quella funzione di guaina che abbiano visto al punto 3, deve essere STRETTO DI GIRO MANICA. Quei ridicoli arnesi all’americana con uno sparato anteriore tenuto da una fettuccia attorno al collo e un’altra attorno alla vita fanno pensare che il gilet sia un bavaglino. Nulla di più errato. La sua bellezza, oltre che nella proporzione, è in una certa tensione orizzontale. 5) Deve essere completo eppure CORTO, in quanto il suo compito è quello di alzare il baricentro dell’abito a un livello e con una precisione cui un abito due pezzi non può aspirare. Stiamo parlando di uno o due centimetri, ma in termini estetici sono un abisso. Anche i pantaloni, per collaborare a questo lavoro di sollevamento e non restare scollegati, fuori gioco, saranno in sintonia con il gilet ed avranno vita molto alta. Quanto al tessuto, guardi le flanelle della mazzetta Victory di Holland & Sherry, che certamente il Suo sarto terrà da qualche parte. E’ costoso, ma il rapporto qualità-prezzo assolutamente corretto. Verifichi se se lo può permettere e, nel caso, si tuffi con fiducia. Lì l’acqua è profonda. Ne verrebbe fuori un tre pezzi da gran signore, da leccarsi i baffi. Il colore lo scelga Lei, ma moltiplichi il Suo voto personale per un fattore 1,2 quando il Suo occhio è soddisfatto da un grigio unito e per 1,1 se si tratta di un fondo grigio con fantasia. Il finissaggio straordinario del Victory dona una lucentezza sontuosa, perfetta per un vestito abbastanza impegnativo, quale il Suo finirà per essere. Per i giovani, a mio avviso, è bene cominciare con pezzi piuttosto impegnativi, in quanto l’uso del completo resta per loro (per voi e penso per Lei) confinato, almeno all’inizio della “carriera” in una nicchia di occasioni. Qualora le cose stessero diversamente, potremo rifilare il discorso sui materiali e potrebbe anche, a quel punto, ripensare sulla foggia a tre pezzi cui questo gesso è dedicato. Penso che per ora sia abbastanza ed è anzi sin troppo. Non si preoccupi di altro che delle quote e lasci fare il resto al Maestro. Di fogge e stili, di altri dettagli si parlerà in seguito. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-09-2005 Cod. di rif: 2127 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un mohair d'antan Commenti: Egregio cavaliere Villa, per le difficoltà di filare un pelo che non ha le scaglie come la lana, un mohair puro è una rarità assoluta e, se la lettura della cimosa dovesse interpretarsi come "100% mohair" e non come "si è utilizzato il miglior mohair", si tratterebbe di un reperto interessantissimo, che varrebbe la pena conservare anche così. Lei, avendolo in mano, potrà giudicare se la composizione prevede lana (in genere in alta percentuale) o meno. In ogni caso, la consistenza che Lei descrive fa optare per la seconda ipotesi. Per quanto riguarda il materiale, un pantalone andrebbe più che bene, ma il colore? Probabilmente questo pantalone blu, che in estate si usa molto con camicie e polo, d'inverno resterebbe nell'armadio. Rifletta, quindi. Se ne farà uso con giubbini di camoscio o altre combinazioni, proceda, ma se deve farsi confezionare un pantalone solo per utilizzare il tessuto, senza avere uno scopo che trovi rispondenza nelle sue reali abitudini, lo ceda piuttosto a qualche Cavaliere di taglia più piccola. In tal modo il suo destino di giacca, dopo tanta attesa, si compirà. Felicitazioni per il ritrovamento. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-09-2005 Cod. di rif: 2129 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dulcis et decorum est pro patria mori Commenti: Egregio Villa, l'appiattimento dei tessuti verso pesi leggeri viene comunemente ricondotto alla climatizzazione degli ambienti e alle mutazioni climatiche. La spiegazione è insufficiente e giustamente Lei fa riferimento non alle stagioni in se stesse, ma al modo in cui vengono percepite. In realtà c'è una scontentezza latente che deriva da un'eccessiva importanza data alle cose materiali, le quali sono inadatte e sempre lo saranno a soddisfare l'uomo. Avendo consumato la sua spinta, la nostra civiltà va a terminare il suo ciclo rifugiandosi nella sua parte fisica, come un toro va spesso a morire appoggiandosi alla barrera. Nonostante la grande attenzione che vi si pone e la disponibilità di apparecchi prodigiosi, non sembra sia stata realizzata una reale crescita del benessere fisico, se non nel grandioso e meritevole distacco dalla fatica. A parte questa conquista, che ha rappresentato la sfida e la vittoria dell’unica razza che è costretta da se stessa al lavoro, potremmo dire che si avvertono lamentele continue: fa caldo, fa freddo, è umido, etc. Innanzitutto va accettata una mutazione genetica delle ultimissime generazioni, che non avvertono più il freddo. O crede che le nostre madri avrebbero potuto giurare con l'ombelico da fuori senza incorrere in mal di pancia e diarree? La scienza è in ritardo su questa osservazione e riduce tutto a cambi epocali nella temperatura, rivelando poi che sono nell'ordine di un grado o poco più. Un'entità importante a livello universale, ma poco percepibile a quello particolare C’è inoltre un distacco dalla percezione del mondo fenomenico, che non avviene se non attraverso una sorta di sensibilità schematica, indotta per via subliminale. Il popolo già sa, o meglio crede di sapere, cosa sia buono o cattivo prima di assaggiare. Non si riporta alle reali sensazioni, ma ad un progetto di se stesso ricalcato su modelli generalizzati. Così, tanto per fare un esempio, la maggioranza della gente troverà disgustoso il profumo di un sigaro e nemmeno si accorge che nel taxi è bombardato da due o tre deodoranti chimici che sarebbero capaci di asfissiare un coccodrillo. Diciamo quindi che questa fisicità è una fisicità due volte patologica: innanzitutto perché sbilanciata come importanza rispetto alla componente morale e spirituale, in secondo luogo perché difetta di una reale sensibilità individuale. Questa, ad esempio, è stata un’estate fresca, ma quanti se ne sono accorti? Io ho sentito le stesse noiose lamentele di due anni fa. C’è ancora da dire come stia intervenendo una modifica anche alle attitudini psicologiche, dove un nuovo meccanismo improntato alla brutalità e immediatezza del rapporto causa-effetto ci impedisce di sopportare qualsiasi metodo e quindi qualsiasi - anche momentanea - sofferenza. Anche Lei se ne accorge, quando il computer ritarda un attimo, che la nostra mente è portata verso un'impossibilità di accettare anche l'attesa di pochi secondi. La civiltà qualitativa che stiamo inesorabilmente lasciandoci alle spalle aveva fiducia nel futuro e quindi nei fenomeni che potessero svilupparsi su lunghi archi di tempo. Quella quantitativa che adesso le sta mettendo fine, ha fretta di farlo ed ha fretta in tutto. I motivi per i quali i nostri padri - e in linea di principio ancora noi Cavalieri - siano stati propensi a sopportare la giacca in qualsiasi situazione cittadina viene comunque da un’influenza reciproca tra sfera mentale e fisica, ma di segno opposto. In questo caso non era il fisico a voler dettar legge, ma la mente a disegnare un’idea di uomo che richiedeva che la sua dignità si manifestasse attraverso simboli e abitudini. E le imponeva anche al fisico, rendendogli normali o addirittura impercettibili alcuni disagi. Appena il culto della dignità e dell’onore è stato soppresso in favore di quella triplice idolatria di cui già si è detto in questa stessa Lavagna, questa costruzione è crollata e la lana si è fatta insopportabile. Troviamo, tra i motivi di una maggiore pesantezza degli abiti di un tempo, anche un motivo economico. Un tessuto spesso dura molto, ma molto di più di uno leggero, sia per la resistenza all’usura che alle deformazioni. Infine c’è una considerazione tecnica di non poca importanza, che in una visione serena lascia spazio a una conclusione felice, almeno per noi. Il progresso nel settore tessile ha reso facile ciò che quaranta anni fa era difficile o impossibile. Così abbiamo tessuti veramente molto abitabili. La posizione giusta è quella di accogliere con il massimo favore il nuovo che venga a risolvere un problema e godersi al massimo questo miglioramento. Sembra che avvenga il contrario e cioè che quanto più leggeri siano gli abiti e freschi gli ambienti, tanto più il popolo soffra. E' qui che bisogna distaccarsi da questa morta gora e portarsi nella zona giusta, quella dove si apprezza quello che si ha e a maggior ragione si apprezza quello che non si aveva ed ora si può avere. Intanto, occorre rifiutare il nuovo che venga a gabbarci e quindi cercare di saperla abbastanza lunga sulla materia e su noi stessi da non incappare nelle trappole di immagini astratte. Non basta. Doveroso resta coltivare la conoscenza di quanto un glorioso passato ci ha lasciato, mettendolo in uso nei momenti in cui sentiamo che la cosa più giusta e più nobile, insomma l’unica possibile, sia quella di aderire alla tradizione. Qui, però, solo chi ha un preciso punto di riferimento troverà giusto andare a soffrire in piena estate in abito scuro alla cena del proprio club, sapendo in tal modo di portare più in alto e rendere più ferma una bandiera in cui si riconosce. Chi manca di riferimenti, faccia come crede, o come gli fanno credere. Quanto a noi: dulcis et decorum est pro patria mori. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-09-2005 Cod. di rif: 2135 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre questioni sul gilet - risposta al gesso n. 2131 Commenti: Egregio signor Longo, il Suo gesso, nonostante sia ben fermo sull’argomento gilet, spazia al suo interno ponendo più di una questione interessante. Esaminiamole 1 – L’origine della decadenza. Conclusioni e conseguenze. E’ ovvio che imputare il diradarsi dei gilet alla mancanza di chiarezza tra cliente e sarto aveva un po’ dello spettacolare. Serviva per richiamare l’attenzione su questo problema atavico, che ha assunto effettivamente un ruolo rilevante e, in vista di un rilancio di questo capo nella nicchia che ci interessa, va messo in evidenza. E' quando un problema non lo si vuol risolvere, che lo si tace. Così fa il marito che non vuole litigare, evitando di parlare della suocera. Così fanno i politici, che per non affrontarla parlano del mezzogiorno senza mai un accenno alla delinquenza organizzata. Poiché per l’anno prossimo il programma dei Laboratori d’Eleganza, non ancora pubblicato, prevede un’intensa, storica puntata sul gilet, ritengo che più si dica degli ostacoli che esso incontra e meglio è. Ovviamente, primo tra questi è stato il tono espressivo dell’uomo, che si è abbassato – dove più, dove meno - in tutti i registri: dal drammatico si è scesi sino al confidenziale; dall’eroico addirittura all’ironico; dall’austero ci si è fermati più o meno al semplice; dalla forza si è sbandati verso la gioventù; dall’eleganza le pretese sono calate alla bellezza, etc. Il gilet, troppo serio ed eloquente, veniva sacrificato in ossequio alla necessità di una comunicazione estetica più leggera. Proprio questa ricostruzione dell’accaduto apre la via ad una considerazione su ciò che sta accadendo e può accadere. Un uomo in giacca e cravatta è osservato con meraviglia in un numero sempre crescente di situazioni e luoghi. Come avvenne per il cappello, che improvvisamente sparì dalle teste maschili per liberarli dal loro dominio, ora dilaga il costume di usare la giacca senza cravatta: con la camicia aperta, con la polo o con la maglietta a giro collo. E’ ovvio che la tenuta “classica” è identificata con un modo di pensare che il popolo non conosce e crede di conoscere, condizioni ideali perché nascano prima il sospetto e poi l’odio. Non a caso i politici (ancora loro, ma chi conosce meglio i suoi polli?) già da tempo maneggiano con molta cautela i loro completini. Il limite su cui li fermano è lì dove essi perdono la funzione rassicurante di tipo istituzionale e rischiano di dichiarare un gusto personale che non condivida quello “light” del volgo, insomma degli elettori. L’incomunicabilità tra l’uomo in classico e quello coi peli da fuori spinge quest’ultimo dalla meraviglia al sospetto e lo condurrà rapidamente all’odio. Naturalmente ci sono anche altre posizioni, tra cui quella serena di chi si disinteressa del problema o ancora di chi trova nella felpa non una soluzione imposta dal dogma, ma una risposta ad una reale domanda. Per il resto, è una lotta tra una maggioranza forte di essere tale ed una minoranza forte della tradizione. In questo scontro, visto che ormai la propria posizione è dichiarata già da una cravatta ben annodata, il gilet non fa più la differenza di una volta. Tanto vale, allora, sparare con tre pezzi piuttosto che con due e questo riaprirebbe una piccola porta a questo bel capo uscito in gran fretta dalla finestra. 2 – L’origine dell’effetto-gilet Nella mia teoria degli occhi, cioè dei punti focali della tenuta maschile, qualche volta ho definito quell’incrocio di accessori e dettagli che si trova all’altezza della cintura come il quarto occhio. Che sia un “occhio” è fuor di dubbio, visto che quando ci si tolgono la giacca e la cravatta e si esce in camicia e pantaloni, la zona delle pinces, della cintura, dei passanti, diviene un punto di importanza pari a quella del collo, dei risvolti dei pantaloni e dei polsi. Da un punto di vista ottico, lei centra a mio avviso l’argomento. Il gilet, soprattutto se in tinta coi pantaloni, sviluppa la verticalità dell’insieme. C’è però dell’altro. Innanzitutto il gilet, se cucito veramente su misura e rispondente alla sua natura tradizionale, introduce una tensione orizzontale che è sconosciuta in tutti gli altri capi maschili. Perché? A mio avviso questo particolare rivela la vera origine archetipica del gilet, che è da ricercarsi nell’armatura. Le corazze anatomiche o antropomorfiche di tutti i tempi mettono in risalto la tensione addominale, esattamente come fanno le pieghe orizzontali che tendono i bottoni d i questo moderno usbergo. Se questa considerazione avesse pregio, essa rivelerebbe in un sol colpo l’origine della sacralità, dignità e distacco che il gilet ispira alla tenuta virile. L’addome è sede di due importanti apparati simbolici. La piastra muscolare,che rappresenta protezione, e la zona ombelicale, che evoca la fragilità della nostra natura ed è inoltre una seconda bocca per gli appetiti più bassi. Non è un caso che le corazze latine abbiano evitato o stilizzato questo secondo punto, valorizzando al massimo il primo, che oggi, in un mondo materiale, si trova invece al centro dell’attenzione e viene scoperto con voluttà. A ben vedere, anche l’iconografia greca di eroi e dei riduce nelle statue l’ombelico ad una citazione quasi mimetizzata, mentre calca la mano sul volume dei muscoli dal torace all’inguine. Coprire l’ombelico e valorizzare la muscolatura ventrale è un modo di esprimere forza interiore, che è uno degli attributi negati dalla moderna estetica. Si può parlaredi forza più interiore che fisica in quanto il muscolo non ha valore per le dimensioni, ma per la tensione e la grazia delle proporzioni. Nel gilet, come nei corpetti metallici ancor oggi visibili sui corazzieri o guardie svizzere, la muscolatura scompare e lascia il posto alla sola tensione, portando il simbolo all’estrema stilizzazione. 3 – La camici-gilet di Pirandello Si tratta di una scoperta intrigante. Dall’esame e confronto dei testi da Lei citati e dal corredo iconografico sembra trattarsi di un capo peculiare al solo Pirandello. Ridenti già parla di camicie-panciotto con maniche, ma per uso campestre. Il Maestro sarebbe stato quindi il primo e l’ultimo a trasformare questo panciotto, che poteva anche avere maniche, in un capo compatibile per colore e disegno con la tenuta cittadina. La differenza dal panciotto tradizionale si intende proprio dove lo stesso Petronio dice che non doveva mostrare grinze, il che è ovvio visto che una camicia è in tessuto morbido e può non nascondere altra biancheria. Un panciotto “vero”, invece, come abbiamo già visto, non può prescindere da una certa tensione. Grazie per il bel contributo e complimenti per la ricerca, che certo le sarà costata tempo. Come vede, le risorse dedicate alla vera ricerca non restano mai prive di senso e quelle che Lei ha impiegato hanno senz’altro ulteriormente arricchito questa Lavagna Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-09-2005 Cod. di rif: 2137 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappotti e cappelli Commenti: Egregio signor Leonardi, bentornato. Come ha capito, ci troverà sempre qui e allo stesso tempo sempre più avanti. Le Sue soddisfazioni in sartoria sono le mie e le nostre. Non tutti raggiungono tali risultati ai primi tentativi. In questa Lavagna è stato più volte palesato da me e da altri un certo disinteresse per il cachemire, ma si tratta di un atteggiamento che vuole richiamare questa nobile fibra alla sua natura e ai suoi usi nel momento in cui l'industria tessile ha cominciato a infilarlo dappertutto e proporlo come un rimedio universale, un Mosé che avrebbe condotto tutti alla terra promessa dell'Eleganza. Quando si parla di cappotti, i velli di queste sacre capre possono veramente parlare la loro lingua. Mentre una giacca di cachemire sarà tutt'al più la quindicesima, il cappootto può essere anche il primo, soprattutto se in blu o in grigio. La giusta lunghezza di un capo disinvolto ed allo stesso tempo di buon contenuto formale è al ginocchio o poco più giù. Conoiscendo il Suo sarto, non serve dire altro, perché la modellistica di Solito in questo settore è ineccepibile ed il suo senso della misura basta e avanza perché Lei abbia un capo meraviglioso. Tra le fogge più riuscite del Maestro, un trapezio non troppo ampio, con vita segnata da una martingala, piegone, maniche abbottonate, petto a bavero e giromanica nel miglior stile partenopeo. Un passepartout che non ha bisogno dei miei consigli per essere abbinato, in quanto basta un po' di freddo per poterlo indossare e un po' meno per tenerlo sul braccio. Tenga d'occhio il copricapo e faccia uno sforzo di immaginazione e di personalità. Un bel cappotto, nonostante i tenpi così duri per questo accessorio virile, si sente più se stesso sotto ad un cappello. Ci provi. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-09-2005 Cod. di rif: 2139 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappelli a Roma - Al signor Leonardi Commenti: Egregio signor Leonardi, l'altezza non è che una delle caratteristiche fisiche, come ad esempio la forma del volto o l'ampiezza delle spalle, che possono orientare verso una scelta a preferenza di un'altra. Non è comunque una pregiudiziale ed anzi il cappello slancia. Diciamo che sarà bene orientarsi verso un feltro rasato, leggero di peso e di linea. Per rispondere alla domanda sulla cappelleria in Roma, mi sia cocesso citarmi. Digitando http://www.noveporte.it/florilegio/vestirsiuomo_cappello.htm entrerà nel Florilegio e precisamente nella puntata di Vestirsi Uomo dedicata a Guanti, Cappello ed Ombrello. C'è un indirizzario ancora validissimo, ma deve mettere una croce sul nome di Radiconcini, glorioso caduto che lascia un vuoto proprio nel centro di Roma. Sui cappelli c'è poco altro da consigliare. Sono come gli occhiali: appena indossati, ma appunto solo indossandoli, si sa in un sol colpo se vanno bene o no. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-09-2005 Cod. di rif: 2148 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Berluti a Milano - risp. al Gesso n. 2141 Commenti: Egregio signor Verricelli, in questa Lavagna si è parlato tanto e così approfonditamente di Berluti che la rivista MONSIEUR pubblicò un florilegio del nostro carteggio sull'argomento, visibile nella Rassegna Stampa all'indirizzo: http://www.noveporte.it/rassegna/lettere_scarpe.htm . Sia qui che nella mia Posta, digitando Berluti nella casella di ricerca per parole di testo, Le verrà fuori parecchio materiale. Non è un mistero che io sia amico e discepolo di Olga Berluti, che annovero tra i miei Maestri. Lo spessore artistico, la grande esperienza e la profondità delle sue nozioni psico-anatomiche sul piede maschile le permettono di realizzare collezioni sempre imitatissime e mai eguagliate. La cucitura standard è comunque generalmente a blak, particolare che da un punto di vista esclusivamente costruttivo colloca il prodotto di base ad un livello non superiore a molti altri. Quando, come nel Suo caso, ci si interessa di scarpe artigianali su misura, la lavorazione è in genere a guardolo o ancora più complessa. Berluti, che come tutte le grandi case non taglia mai la sua prima radice, continua a produrre il su misura e anche Milano è in grado di servirLa. Devo però dire che non mi sono mai giunte notizie confortanti sul rapporto instaurato tra il negozio di Via Pietro Verri e la clientela del tipo cavalleresco. Annoveriamo alcuni Berlutiani di ferro e alla riunione di Febbraio a Cortina, ultimo Cirage rituale tenutosi in Europa, i Cavalieri riuniti intorno ad Olga rappresentavano una buona percentuale dei convitati. Nel magazzino, però, abbiamo sempre trovato scarso calore. Il direttore del negozio è cambiato, ma non è chiaro se ciò abbia prodotto grandi miglioramenti. In definitiva, il prodotto è lo stesso di Parigi o di Londra, ma l'atmosfera no. C'è anche da dire che Milano è diventata una città ormai esageratamente finta, sempre più piena di vetrine stagionali, di luci che dovrebbero ipnotizzare e finiscono per annoiare, di fascino congelato ed esposto senza il pudore che è così necessario alla bellezza, di facciate che dietro non hanno spessore. Ciò riduce inesorabilmente anche la credibiità e la "presa" dei luoghi più densi di significato e certamente anche Berluti sconta questa condanna. Lo straordinario contenuto, che ha influenzato in modo irreversibile la storia delle scarpe e anche la figura dei calzolai, continua a fare di Berluti un punto di riferimento ed uno dei nomi da fare obbligatoriamente tra i primi, quando si parla di questo argomento. La serenità del rapporto che l'uomo instaura con queste scarpe, la gioia che esse possono dare, non sempre trova però riscontro sul piano commerciale. Questo potrebbe non essere il Suo caso ed anzi sarei contento se qualcuno ci relazionasse per iscritto sui pregi e difetti di Via Pietro Verri. In ogni caso, un paio di Berluti a misura costa quasi tremila svanziche e la loro clientela ha un trattamento di riguardo. Non tanto per il denaro, ma perché l'uomo che calza su misura appartiene quasi infallibilmente ad uno stadio elevato del gusto ed è spesso un capobranco. Poiché Lei mi domanda una cosa ben precisa e cioé se a Miano potrà avere una Berluti su misura, ebbene la risposta è si. Credo anche che, con questa richiesta, troverà grande disponibilità e la massima professionalità. tenga però le antenne ben puntate in tutte le direzioni e ci faccia sapere. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-09-2005 Cod. di rif: 2150 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un po' presto per rispondere - Risp. al gesso. n.2143 Commenti: Egregio signor Freni, formulando la Sua domanda in modo generico e rivolgendola alla generalità dei Cavalieri, Lei sembra quasi indire un referendum sulla foggia migliore per il Principe di Galles, la qual cosa non porta da nessuna parte. Ciascuno di noi si è posto infinite volte la stessa domanda e, quando e se è stato chiamato alla scelta finale, ha optato in modo diverso secondo la stagione della propria vita e quella meteorologica. Io La so piuttosto giovane e, andandosi verso l'inverno, suppongo sia interessato ad un capo invernale. Non posso però sapere se Lei andrà dal sarto o in un negozio, la qual cosa ha una certa rilevanza. Le chiedo quindi di chiarire un po' meglio la situazione, magari dandoci dei ragguagli sugli scenari in cui il futuro capo si muoverà. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-09-2005 Cod. di rif: 2151 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Maggioranza e minoranza, decisioni e idee Commenti: Sommo Rettore, non dubitavo che un uomo del tuo spessore speculativo avrebbe colto nella discussione sull'uniformità un punto centrale, un varco che va aperto verso la comprensione di fenomeni in cui una maggiore consapevolezza potrebbe indirizzare con maggior efficacia le nostre forze. Villa è giunto ad un'intuizione sulle cui implicazioni già stavo lavorando da qualche tempo: tutti desiderano le stesse cose, nello stesso modo e per gli stessi motivi, MA QUESTA UNIFORMITA' E' OPERA DEL SOLO MARKETING O DIETRO AGISCONO FORZE DI SCALA PIù VASTA? Faccio notare che Villa è giunto a questa conclusione utilizzando la locuzione "corrente uniforme" al posto di un lemma di quattro lettere di cui avevo implicitamente sconsigliato l'uso, dichiarando che io stesso, che scrivo di queste cose ogni giorno, non lo digito più di una volta l'anno. Nel poderoso ciclo VESTIRSI UOMO, in mezzo milione di caratteri dedicati all'abbigliamento quei quattro non figurarono MAI. Questa sola osservazione basta a far notare come anche certe parole-chiave, apparentemente innocue o addirittutra banali, siano in realtà i segnali che guidano occhi, gusti e anche ragionamenti sempre nelle stesse direzioni. Basta prendere una via laterale per trovare nuovi scenari o per scoprire cosa c'è dietro le quinte dello spettacolo. Tornando al Tuo gesso, trovo rilevante l'introduzione dei concetti di maggioranza e minoranza, il cui ruolo nel pensiero cavalleresco va subito chiarito. La maggioranza è un criterio che va bene per assumere decisioni, non per indirizzare il pensiero. La democrazia è un male, ma è il minore possibile e quindi per ciò stesso desiderabile, almeno come forma di governo di strutture molto vaste e influenti come gli Stati Nazionali. In un sistema democratico tutti debbono rispettare le decisioni della maggioranza, ma non per forza ritenerle giuste. Il pensiero resta libero e poiché è per sua natura qualitativo e non quantitativo, nessuno dovrebbe dar peso al pensiero della maggioranza, che spesso non è nemmeno un vero e proprio pensiero, ma il simulacro di un pensiero, cioè un dogma. Insomma, poiché ciò che decide la maggioranza è legge, ma non sempre giustizia, per poter valutare il bene e il male le idee debbono restare su un altro piano. Un piano dove non contano i numeri quanto la coerenza, che invece, come tutti sappiamo, è nella democrazia elettiva una palla al piede che tutti si tolgono appena possibile. Ciò che interessa in questa discussione non è l'uniformità come manifestazione estetica, ma come sintomo di altri e più vasti fenomeni. Pertanto non è opportuno proseguirla su questa Lavagna, dedicata alla ricerca sull'Abbigliamento, quanto dove è iniziata e cioè nella Posta del Gran Maestro. Ricopierò quindi questo intervento ed il Tuo in calce a quelli già presenti nella discussione sull'uniformità, esortando altri che vogliano contribuire a farlo in quella sede. Cavallerescamente Ti saluto Giancarlo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-09-2005 Cod. di rif: 2153 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sentenza finale - Al signor Freni Commenti: Egregio signor Freni, poiché l'abito avrà un abiente confidenziale più che professionale, opti per un petto solo. Dalla taglia non proprio esile, direi che raggiungerà la perfezione con un due bottoni con panciotto a sei. Attendiamo sviluppi. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-09-2005 Cod. di rif: 2156 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fumo e profumo - Al sig. Verricelli Commenti: Egregio Verricelli, il prezzo milanese o parigino deve tenere conto di un canone, del personale e di altri costi, tra cui l'andirivieni via corriere della scarpa tra negozio e laboratorio, che non possono essere paragonati a quelli di un artigiano a conduzione familiare con vendita diretta. Il nome, inoltre, nonché una modellistica particolare, fanno in modo che prima o poi quasi tutti i grandi appassionati vadano a finire comunque con l'accettare questo prezzo, che peraltro è gravoso per molti, ma non per tutti. Il fumo propriamente detto lo vende chi propone, anche a costi minori, oggetti privi di qualità intrinseca e quindi di pregio. Una montatura per occhiali o un paio di scarpe da ginnastiche, senza lavorazioni manuali o materiali preziosi, arrivano con facilità duecento euro ed hanno un valore intrinseco dai due ai dieci. Questo sì che è fumo, ma va bene a tutti. Qui il rapporto è tra un paio di scarpe che si può comprare a 1400 da Peron o a 2800 da Berluti, ma che al fondo resta un manufatto di assoluto valore. C'è un po' di condimento, che si paga caro, ma non è tutto fumo. E' anche profumo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-09-2005 Cod. di rif: 2159 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cavanagh - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, La ringrazio a nome di tutti gli studiosi e appassionati che frequentano questa Lavagna. Puntualizzando senza mezzi termini l'avvento di un'estetica effeminata e uniforme, il Cavanagh ci offre un importante spunto di riflessione. Non tanto su cose che abbiamo già detto, essendo tra l'altro passato tanto tempo e meglio precisatasi la situazione, ma sulla possibilità e sul modo di esprimerle. Oggi nessuna rivista accetterebbe un articolo così e, se anche lo pubblicasse e sostenesse, tutti griderebbero allo sandalo. Certe opinioni potevano uscire alla luce solo in un mondo che, alla fine, era ancora largamente maschile e oggi solo qui, dopo settanta anni, troveranno nuovamente un uditorio attento. Grazie Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-09-2005 Cod. di rif: 2160 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La corazza del Cavaliere Villa Commenti: Egregio Villa, visto il peso del tessuto, per il Suo gilet suggerirei una foggia a due punte e senza baveri, che tenderebbero a ingombrare. Sei bottoni, quattro tasche, tutto molto classico. Alla lunga, questo tipo di silenzi è il modo di esprimersi più eloquente. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-09-2005 Cod. di rif: 2162 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni - Al cav. Villa ed al Suo gilet Commenti: Egregio cavaliere Villa, il corno è perfetto in ogni occasione, dipende dalla finitura e dal colore. Purtroppo oggi la scelta è molto limitata, ma ci stiamo attrezzando. Sabato 22 mattina, al Laboratorio d'Eleganza presso De Paz, interverrà ancora (fu dei nostri un anno fa) Ernesto Conti, patron della Conti-Wej. Con il signor Conti potremo discutere un argomento importante: come ottenere corni neri e lucidi? Per tessuti come il Suo occorre il corno nero, che da quando ha chiuso la merceria di Via della Croce, a Roma, l'ultima a disporre di una certa riserva, sono diventati irreperibili. A Londra c'è qualcosa, ma gli inglesi preferiscono le finiture matte, che nel nostro gusto non riescono a far breccia. La Conti-Wej non avrà problemi a riprodurre questa tipologia, fondamentale anche per il blu. Poiché il momento di piazzare i bottoni sul Suo abito è ancora abbastanza lontano, avrà tempo per verificare quesat disponibilità, che comunque do per scontata, e sistemare le cose per benino. Tenga presente che i bottoni del gilet, visto che qui parliamo di produzioni per i Cavalieri e non per la massa, potrà averli nella dimensione giusta. Per motivi economici, negli ultimi anni le mercerie prendono come bottoni per giacche solo due diametri: quello per le maniche e quello per l'anteriore. Quando c'è da cucire un gilet, il sarto o il cliente acquistano altri sei bottoni da manica, ma c'è qualcosa che non va. In realtà, il gilet dovrebbe essere chiuso con un diametro intermedio e così sarà per il Suo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-10-2005 Cod. di rif: 2169 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Predicatori e Cavalieri - Risp. al gesso n. 2164 Commenti: Egregio Scudiero Pancotti, l'articolo di Alberoni è tanto inutile quanto condivisibile nei contenuti. Rigore e dignità sono le prime parole che egli usa per definire l'atteggiamento tradizionale verso se stessi ed il mondo. Noi siamo perfettamente daccordo, ma per farli comprendere e sentire desiderabili non bastano prediche, occorrono esempi. Il predicatore si innalza su un pulpito dal quale è facile scendere e salire. Per riconquistare le terre cadute in mano agli infedeli, tocca al cavaliere avventurarsi lontano dalle folle plaudenti. Cavallerescamente, per l'appunto. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-10-2005 Cod. di rif: 2171 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tornano praticità e comodità - Al sig. Pugliatti. Commenti: Egregio Pugliatti, è proprio vero che a fronte del presente si può sempre vantare un passato più glorioso e questa umana debolezza va tenuta in conto per valutare ogni valutazione. Anche vedere che il fioraio all'angolo è diventato una jeanseria evoca i fantasmi della nostalgia, ma non si tratta di un meccanismo puramente mentale, quanto del risultato logico di un'evoluzione incessante, in cui il terreno ci manca costantemente sotto i piedi. Il mondo cambia e con i fiorai periscono intere civiltà. E' capitato a Sumeri, Egiziani, Greci, Romani e capita anche a noi, che quanto a gusto e organizzazione sociale siamo eredi della Londra imperiale e protocapitalista, cioè di un pionierismo borghese che della nobiltà aveva già messo in discussione o rifiutato i privilegi e l’astrazione, ma non l’impianto morale e gli archetipi fondamentali. Il sentimento della fine di un'epoca è già molto vecchio e la mia teoria riprende quelle ben più autorevoli e motivate di Renée Guenon, che scriveva già nel 1927 “La Crisi del Mondo Moderno” e nel 1945 “Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi”. Lei si dichiarava in disaccordo con la mia affermazione che il ciclo della nostra civiltà acceleri in vista della sua disgregazione, ma i tempi in questione non sono brevi, né prevedibili. Le profezie cui Lei faceva riferimento nel gesso 2132, quelle degli anni settanta, erano politicamente schierate e limitate all'assetto sociale e quindi il loro fallimento non rileva ai fini di un discorso molto più generale. Io parlo piuttosto di uno slittamento morale dovuto alla pressione di un aspetto materiale che si ingigantisce e appesantisce, prefigurando un collasso a sua volta preparatorio di un nuovo ordine. Le civiltà non finiscono per forza con le rivoluzioni, ma anche con le lagne, con la siccità etica. Tornando al testo da Lei riportato, è effettivamente di notevole interesse. Noto come già allora si facesse la distinzione comodità-praticità che io proponevo nei gessi 1087, 1154 e 1326, parlando della triplice idolatria bifronte che ha soppiantato il monoteismo della dignità-onore. In questi abbinamenti il primo termine è un valore visto nella fase statica, il secondo ha lo stesso contenuto, ma in fase dinamica. La dignità ha una sorgente interiore inattaccabile e indipendente, mentre l’onore si misura nell’azione e nella considerazione degli altri, anche dei posteri. Allo stesso modo c’è una differenza nemmeno troppo sottile tra praticità e comodità. Quest’ultima appartiene alla vita elegante, cioè all’aspirazione di quella civiltà di cui noi del castello ci sentiamo figli. La praticità no. Una poltrona può essere comoda in quanto svolge al meglio la sua funzione., ma non pratica, in quanto sporchevole o magari difficile a spostarsi. Così un’auto può offrire il massimo del comfort e allo stesso tempo aver bisogno di più manutenzione, cioè avere la comodità senza praticità. Lo stesso vale per le valigie, gli abiti etc. Nel concetto di vita elegante, le attività conseguenti alla mancanza di praticità divengono esse stesse desiderabili (come può accadere per la lustratura delle scarpe), oppure si dispone o si desidera che le compia la servitù. Parlando su MONSIEUR dello stile di vita inglese, non mancavo di dire che la sua fine è dovuta alla mancanza di servitù e soprattutto di un’aspirazione ad averla, anche da parte di chi potrebbe permettersene. Le cose, infatti, non esistono solo in quanto visibili e tangibili, ma anche se di esse permangono la conoscenza ed il desiderio. Sull’ipotesi che questa affermazione abbia un fondo di verità è basata la validità di gran parte del lavoro che qui si svolge, mirato appunto a tramandare la conoscenza ed il desiderio di cose che a volte non siamo certi siano ancora disponibili. L’autore da Lei riportato alla luce aveva ben individuato il ruolo della comodità, nonché i rischi e la sostanziale differenza della praticità.. Pur non portando questa analisi ad un livello cosciente di definizione, i suoi estremi sono espressi molto bene negli ultimi capoversi. Cavallereschi saluti e complimenti per il lavoro, anche analitico, che sta svolgendo in taccuini e Lavagne. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-10-2005 Cod. di rif: 2176 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Crombie e Chesterfield - Risp. al gesso n. 2173 Commenti: Egregio signor Zanin, l'antica casa scozzese Crombie ha compiuto quest'anno due secoli di attività, lungo i quali ha prodotto ogni possibile tipo di soprabito. idee. Si aggiunga una certa superficialità nel definire crombie-cot qualsiasi soprabito e si capirà che non è facile dire una parola definitiva sulla foggia corretta di questo capo. Credo quello che un "chap" chiamerebbe crombie-coat è un tre quarti svasato in blu o nero, manica a giro, un sol petto tre bottoni con collo in velluto, fodera rosso cupo ed etichetta Crombie. Va quasi su tutto e, se scuro, vecchio e ben tenuto, su tutto e dappertutto. E' un capo informale e, come abbiamo visto, non precisamente formalizzato e anzi in continua evoluzione. Difficile dire, ad esempio, se un crombie-coat per essere tale debba o meno avere il taschino e quanto siano necessari alla sua essenza il collo di velluto o i due colori che ho citato. Infatti lo si produce, lo si vede e lo si sente definire tale anche nei colori tabacco o in fantasia. Su questi ardui tornanti lascerei la guida al nostro Rettore. Il Chesterfield è invece un capo formale e formalizzato, con una foggia canonica. E' in pratica una giacca allungata sino al ginocchio o poco più, anche se alcune fonti sostengono che debba fermarsi prima. Può essere ad uno o due petti, sempre e solo tre o sei bottoni Come una giacca, avrà l'ultimo bottone ad altezza della tasca e le maniche chiuse da una bottoniera. Naturalmente, ha la manica a giro ed il taschino. le tasche sono tagliate orizzontalmente e portano la pattina. Sempre come per la giacca, è ammesso il ticket pocket. I colori fondamentali sono quelli naturali del cammello, il grigio da medio a scuro, il blu notte. Nero, è un capo da sera che in passato si vedeva anche con collo in pelliccia. Quanto agli abbinamenti, il grigio si presta a coprire anche gli spezzati, che in genere sono composti appunto su pantaloni grigi, mentre il blu, specie se doppiopetto, si trova a suo agio su abiti completi. E’ fin troppo evidente che i beige sono mattutini o pomeridiani, i grigi polivalenti e il blu tende a brillare la sera o nelle occasioni più formali. Quanto al fazzoletto, è ovvio che nel taschino di un crombie-coat si vedrà più spesso una pochette fantasia e in quello di un Chesterfield un lino bianco, anche se questa non è una legge. Nel primo caso si sarà messo un accento sul carattere disinvolto del soprabito, nel secondo si sarà approfondito – e di molto - il carattere formale, sicché bisogna andarci cauti quando la situazione non è di questo tipo. Ovviamente si può giocare invertendo i fattori e cioè sistemando la pochette nel Chesterfield e viceversa, ma Lei chiedeva un orientamento generale e credo che non ci sia molto più di quanto abbiamo già detto. Fuori da queste brevi considerazioni, la libertà che le regole lasciano a chi le conosca è molto ampia e nessuno che sappia gestirla ha bisogno di consigli per farlo. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-10-2005 Cod. di rif: 2179 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Siano caric he le molle - Risposta al Visitatore sig. Freni Commenti: Egregio Freni, comincio io a rispondere al Suo quesito. Prima però mi consentaò di dirLe che ho avvertito, nella sicurezza con cui elenca gli accessori, un suono un po’ sordo, che quando si arriva alla semplicità e sobrietà diviene quasi freddo. Il formalismo non ha nulla a che vedere con la passività, come la semplicità non è una forma di sincerità. Il primo è l’espressione massima della forza, in quanto aggiunge alla propria quella degli antenati. La seconda è, quasi sempre, il risultato di un processo estremamente sofisticato, materiale o spirituale. Quindi mi aspetterei più entusiasmo da chi si appresta a toccare le corde formali, peraltro cimentandosi nell’arduo compito di ridurne la musica su un registro contenuto. Vigili bene su questo punto, perché se manca l’emozione il formalismo non è più una molla tesa, che senza muoversi contiene la potenzialità del movimento, ma diviene inerte formalità. La differenza è quella tra chi resta in silenzio, ma si impone allo sguardo di tutti, e chi sta zitto, facendo da tappezzeria. Potrei comunque essermi sbagliato. Quanto all’abito, la “giurisprudenza” del Castello si è orientata, dopo anni di ricerca ed elaborazione concettuale e storica, a consigliare per il matrimonio all’italiana (il film non c’entra nulla, ma la nostra tradizione estetica si) il grigio, lasciando un margine al blu per gli invitati giovani o creativi, ovvero per i matrimoni dichiaratamente degagé. Sembra che le scelte siano fatte, ma non è così. Grigio non vuol dire nulla, perché ne esistono tanti, in tanti pesi e tipologie di tessuto. E anche il gilet potrà essere più o meno “visibile”. Dosi con attenzione i toni, ricordando che oggi tutto è invertito. Ciò che è veramente tradizionale appare di un’originalità che può essere sconveniente, tanto è assordante, mentre ogni libertà che ci si prende finisce per perdersi nell’oblio della scontatezza, inabissandovisi con qualche lugubre gorgoglìo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-10-2005 Cod. di rif: 2182 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'indicibile bombetta Commenti: Due settimane fa lo Scudiero Carlo Zichittella mi chiedeva, scrivendo nella Posta del Gran Maestro, come e quando indossare la bombetta di lapin nero che possiede. Poiché il nostro giovane Socio ha capelli lisci e lunghi, gli sconsigliavo di indossare la bombetta. Inevitabilmente sarebbe apparso come il fidanzatino di Peynet e ciò non avrebbe giovato alla sua immagine. Il piccolo cappello rigido e tondo è in assoluto il capo più teatrale di tutto l’abbigliamento maschile. Nessun attore e pochissime attrici potrebbero affermare di non averlo mai calzato in scena, almeno una volta. Grandi comici ne hanno fatto una componente essenziale della loro maschera: Chaplin, Stan Laurel e Oliver Hardy, Totò, ma la bombetta è così indipendente da non essersi mai legata a nessuno di questi nomi, continuando ad essere disponibile a nuove avventure. Nella sua rigidità, temperata dalla grazia, è un concentrato di simbolismo virile e di sentimento aristocratico. Cercando qualcosa che la illustrasse, mi sono imbattuto in un filone profondo e fecondo e ne ho estratto vari minerali interessanti e qualche preziosa gemma. Per utilizzare il materiale che si raccoglieva, ho deciso di dedicare nel Taccuino (a cominciare dall’Appunto n. 1959) un omaggio a questo copricapo, che ci porterà lungo decenni di storia. Esamineremo abbinamenti, personaggi, situazioni, cercando di cogliere l’essenza della bombetta. Per quanti sforzi noi si possa fare, non ci riusciremo, ma ho in serbo per il finale qualche foto che, dopo adeguata preparazione, potrà portare vicini all’illuminazione. Qualora giungesse, questa resterà un fatto personale, non trasmissibile e non dicibile come è del resto tutta l’Eleganza. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-10-2005 Cod. di rif: 2185 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Arredo urbano - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, mi dolgo con Lei e con tutti coloro che comprendono e pertanto amano la tradizione per quanto accaduto al negozio di LOBB a Parigi. Occorre però notare che la spinta alla scelta devastarice può essere venuta dall'esterno dell'azienda (che sappiamo essere ora HERMES) e trovare in essa l'alimento, ma non la prima origine. Noto dalle Sue foto che la vetrina era esuberante rispetto alla muratura e sappiamo che a livello internazionale sono stati varati provvedimenti comunali volti a riportare alla luce le strutture murarie degli edifici. Le relative ordinanze hanno imposto ai negozi di far rientrare le vetrine aggettanti e questo è quello che potrebbe essere accaduto anche a Parigi. Naturalmente non concordo con questa posizione. L'arredo urbano non è cosa che può essere gestita dagli architetti e ancor meno dai politici. Soggetto solo alla natura della città e a quella umana, dovrebbe essere in mano ad umanisti, quindi a gente che sappia cogliere l'aspetto relativo delle situazioni e non emettere provvedimenti generalissimi dove vi sono situazioni di estrema particolarità. Che io sappia, in questo campo solo l'Avana si distacca dal resto del mondo per civiltà. Lì le scelte architettoniche, culturali ed estetiche sono assunte da un ufficio autonomo anche economicamente, quello del Historiador de la Habana, retto da un uomo di cultura e non da un fantoccio politico come avviene negli altri settori cubani (e spesso anche da noi. Historiador de la Habana! Solo il nome è un programma. Certo, l'esportazione di questo ufficio non è possibile verso i nostri Paesi, dove i poteri sono suddivisi a volte in maniera così capillare d arendere impossibile il loro esercizio. L'Historiador ha natura dittatoriale e non è un ufficio, ma una sola persona, che risponde direttamente al Capo dello Stato. Se avessimo comunque qualcosa del genere, si potrebbe tener conto delle differenze che corrono tra un tempio come LOBB ed una struttura già decaduta o snaturata, ovvero di scarso interesse culturale. Dal rapporto con l'importanza dell'edificio verrebbero fuori delle eccezioni per quelle attività ad alto contenuto, che rappresentino per la città e per il mondo un valore maggiore di qualche metro quadrato di stucchi o di pietre. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-10-2005 Cod. di rif: 2187 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Eusebio Leal - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Cavaliere, se vuole toccare con mano, visiti il sito: www.historiadordelahabana.cubasi.cu Da quasi quaranta anni l'Historiador è il dr. Eusebio Leal, persona di assoluto valore culturale e morale, studioso attento e Uomo di Gusto che ha saputo mantenere il timone di questa nave sia quando i denari mancavano, sia ora che, con i finanziamenti internazionali per la ristrutturazione dell'Habana Vieja (dichiarata Patrimonio dell'Umanità), i fondi non mancano più da qualche anno. E si vede, perché i lavori procedono al galoppo. In questa operazione il tocco di Leal è quello dell'uomo di buona volontà che si impegna a rimuovere un velo che si è dove poggiato, dove incollato su un'opera sottostante. Assolutamente alieno da ogni protagonismo, mai gioca a fare il demiurgo o il ricostruttore, il grande architetto o l'innovatore. Egli intende restituire, non creare. Pagare un debito alla città, non fare in modo che se ne generino altri. Un uomo eccezionale, degno di ricoprire questo incarico che forse resta unico al mondo proprio perché di Eusebio Leal non ce n'è molti in giro. Di certo non tra i politici e men che meno tra quanti gli accordi tra politici, filtro attraverso cui passano ben altre doti, possano premiare con dei poteri. Mi dispace essere andato fuori tema, ma il problema di una coscienza umanistica di certi problemi urbani si fa sentire in profondità. Da tempo, a Napoli, assistiamo all'agonia della Libreria Internazionale Treves, tempio della cultura più sinceramente partenopea. L'attività va bene, ma non abbastanza da pagare i canoni di un grande terraneo in centro, tutti ormai condannati ad andare in mano a fare a gruppi multinazionali o comunque grandi capitali, per poi fare la fine di Lobb o peggio. Così si cancellano attività tradizionali che potrebbero e vorrebbero ancora vivere, arricchendo le città, ma che non riescono a farlo in competizione con altre attività più potenti e aggressive. Le soluzioni ci sarebbero, ma a che pro parlarne? Purché l'uomo sia schiavo di mille obblighi e divieti, la sua economia può e deve restare "libera". Se i negozi di fiori, di libri o di cappelli scompaiono, che fa? Basta un bel lampione disegnato da Philip Stark o un chiosco progettato da Renzo Piano perché tutti siano contenti e la stampa gridi il miracolo del progresso. Mi sono lasciato andare a uno sfogo, ma non troppo lontano dall'argomento centrale. In ogni caso il nostro silenzioso lavoro cavalleresco è nella ricerca e nell'esempio, non nelle proposte. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-10-2005 Cod. di rif: 2190 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Guanti a Napoli - Al sig. Prisco (risp. Gesso n. 2188) Commenti: Egregio signor Prisco, fa piacere anche solo sentir desiderare dei guanti. Su una donna sono più seducenti di qualsiasi reggicalze, ad un uomo conferiscono autorità e carisma almeno quanto un’auto di grossa cilindrata. Lei li cerca per se stesso, ma rappresentano anche uno dei regali ideali. Molti infatti trascurano quest'accessorio, per poi apprezzarlo se, entrandone in possesso, lo usano. Napoli è da sempre una capitale nel settore, tanto che una strada del centro, quella che parte da Piazza Matteotti andando verso Piazza Municipio, porta il nome di Via Guantai Nuovi. A Roma potrebbe rivolgersi ad uno dei nostri antichi Fornitori, l'impareggiabile Merola. A Napoli Le suggerisco questo indirizzo: Portolano Via Chiaia, 140 – Napoli – Tel. 081.418354 E' un nome noto a livello internazionale, che produce guanti sin dal 1895, sempre a Napoli. L'azienda è ancora nelle mani della famiglia fondatrice ed è l'unica ad avere sia il punto vendita che l'impianto produttivo all'interno delle "mura" della città. Lo stabilimento di Via Galileo Ferraris n. 108 merita una visita da parte di chi voglia capire qualcosa in più della materia, mentre il bel negozio all’angolo tra Via Chiaia e Via Filangieri offre una gamma che viene aggiornata ad ogni stagione e mette chiunque nell’imbarazzo della scelta. I prezzi vanno da i 30 ai 100 Euro. Per il materiale, la mia personale preferenza va al cervo per i guanti da freddo vero e alla nappa per quelli da freddo finto, cioè con prevalenza dello scopo estetico. Detesto tutti i guanti foderati, se non per usi tecnici. In questo, purtroppo, sono completamente in controtendenza, perché quasi tutta l'offerta di guanti è oggi foderata in qualche modo: cachemir, pelo, seta o altre diavolerie. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 03-11-2005 Cod. di rif: 2200 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Blazer e jeans (gesso 2195) Commenti: Egregio cavaliere Villa, circa il dilemma da lei proposto sul binomio blazer - jeans, l’elemento da tenere “sotto sorveglianza” non è il blazer, ma ovviamente sono i jeans. Personalmente rifuggo dalla demonizzazione che talora è affiorata nei confronti di tale capo d’abbigliamento, più semplicemente ritengo che rappresentino una tipologia di pantaloni da indossare in circostanze informali. Dal suo gesso mi sembra evidente che tutto ciò le è ben noto e perdipiù già attuato, quindi prosegua così quando le va e finché le va di farlo, e non presti troppa attenzione a formule matematiche utili in tanti settori dello scibile umano, ma non in quello dell’Eleganza maschile. Mi permetto di allegare una pagina di Jeeves, mio ben più illustre concittadino, sull’argomento in questione, sperando di non rubarle troppo tempo. “Come è antipatico il jeans griffato”: Vi avevo promesso qualche riga sui jeans, e sono qui a mantenere la promessa. Partiamo da una premessa: il mio signore dice sempre - e sono d’accordo con lui - che il jeans da cinquant’anni a questa parte non ha alcun «valore reale», ma «valori simbolici» sempre meno aderenti alle realtà che viviamo. Intende dire, in altri termini, che il vero valore - reale e innovativo - del jeans, si ebbe a fine ‘800 quando fu inventato da Levi Strauss per i lavori duri e pesanti: aveva un valore reale perché sopperiva a dei bisogni sentiti. Da allora, due grandi cambiamenti di immagine hanno conferito invece al jeans «valori simbolici». Il primo cambiamento, negli anni Cinquanta, fece divenire questo capo sinonimo di libertà, di avventura, di ribellione, e alcuni irriducibili nostalgici, oggi ultrasessantenni, lo vestono ancora con questo spirito, ma essendo le loro ansie di libertà o di avventura o di ribellione inevitabilmente sopite il risultato è spesso quello di sembrare leggermente ridicoli. Il secondo cambiamento di immagine si ebbe negli anni Settanta, quando al jeans si conferirono significati-moda derivati da quel pret-a-porter che iniziò proprio in Italia il suo fulgente cammino. I jeans divennero allora «raffinati» - una vera contraddizione, un vero orrore, quindi! - disegnati dai più grandi stilisti del mondo, i quali grazie a questa intelligente operazione di marketing sdoganarono un capo che fino ad allora era appannaggio di classi lavoratrici, contestatrici o giovanili per farlo divenire un capo «glamour», ad un costo quattro o cinque volte superiore al suo reale valore, e - supportato da campagne di advertising ossessionanti e malandrine - indossato da tutti coloro che volevano sentirsi up to date ad ogni costo. La cosa antipatica è che da allora sono passati circa trent’anni e il jeans continua ad essere cavallo di battaglia di molte griffes dai nomi roboanti. Voi - signori veri che non Vi lasciate ammaliare dalle lusinghe del marketing (il marketing crea dei bisogni facendo leva sulla umana vanità e sul desiderio di competizione, e Voi non siete né vanesi né competitivi, ma semplicemente superiori) - lasciatelo stare, il jeans griffato, e usate soltanto il 501 Levis, il padre di tutti i jeans, l’unico ad avere diritto di cittadinanza nel Vostro guardaroba, un guardaroba di un vero signore. I Vostri jeans dovranno essere quindi aderenti ma non tanto stretti da dar fastidio; dovranno essere consumati e vissuti ma non arrivare ad esser lacerati e mostrare parti del Vostro sia pur curato fisico; dovranno avere le cinque canoniche tasche e assolutamente non una di più; dovranno essere nati blu e divenuti col tempo più chiari, anche se è tollerato talvolta un nero. Siffatti jeans si esaltano con una camicia bianca o di chambray azzurro e convivono bene con un blazer blu notte. Decisamente fuor di luogo l’abbinamento jeans-blazer-cravatta, compromesso forzato tra eleganza e informalità, compromesso a cui non bisogna scendere mai, nemmeno se per avventura fate uno dei lavori più stravaganti del mondo, che so, nella moda, nella pubblicità, nello sport o nello spettacolo. In una intera vita ne bastano due, non di più. (19-07-2002). Coerentemente con la mia natura tollerante, io mi permetterei soltanto di allargare la rosa dei jeans papabili a qualche altro marchio italiano oppure straniero di buona tradizione industriale. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Stefano Di Giovanni Data: 05-11-2005 Cod. di rif: 2202 E-mail: diggio@hotmail.it Oggetto: stile inglese e stile partenopeo Commenti: Illustre Gran Maestro, cercando su Internet informazioni sulle diverse scuole sartoriali, mi sono imbattuto nel Vostro Sito. Mi devo complimentare con Voi e coi Vostri Cavalieri. E' veramente molto sfizioso. Da informazioni inedite e contemporaneamente accresce il desiderio di saperne di più. Sono un appassionato di abbigliamento maschile. Passione tramandatami da mio padre che era un autentico dandy. Con le sue camicie di Battistoni, i suoi colletti duri fatti venire da Londra, i suoi abiti fatti confezionare dal Maestro Bizzarri, con le sue scarpe rigorosamente inglesi. Oggi, purtroppo, la sua perdita, tra le tante cose, si fa ancora più palpabile laddove io voglia farmi confezionare un abito su misura e mi ritrovi privo di un faro così illuminante. Mi rivolgo quindi a Voi, pur non essendo un membro del Vostro Circolo, affinchè possiate aiutarmi a distrcarmi trai tanti dubbi che mi affliggono. Per ora una domanda. Forse la madre di tutte le domande. Qual'è la differenza tra lo stile inglese e quello partenopeo? a lume di naso mi sembra che vi siano alcuni punti di contatto ma spero, da lei, un'argomentazione più esaustiva o la indicazione di un testo su cui documentarmi. Grazie in anticipo e distinti saluti. Stefano Di Giovanni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-11-2005 Cod. di rif: 2203 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Jeans/blazer. Problema di metodo - Risp. gesso 2195 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, si narra che in una remota edizione del Bal de la Rose, una delle più importanti occasioni dell’anno mondano, Gianni Agnelli sia apparso al Casino di Montecarlo in jeans e blazer, si recasse al bar a sorbire un drink, scambiasse una piccola dose di saluti, raccogliesse un vagone di commenti e poi, movendosi tra smoking e abiti da sera come una tigre nell’erba alta, sparisse nel volgere di pochi minuti. Sembra che la stessa combinazione sia stata indossata dal Nostro anche in altre occasioni e, se non sono riuscito a rintracciare una documentazione fotografica in materia, ne ricordo testimonianze. La faccenda non ha nessuna rilevanza per quanti considerino l’Eleganza una raccolta di leggi, quindi aggiornata da giuristi, ma ne ha molta per quanti la ritengano un’arte, quindi una regione in cui entra ciò che è prodotto dagli artisti. Appartenendo alla seconda categoria, credo che la critica dell’abbigliamento abbia ruoli e limiti simili a quelli della critica d’arte. Se si arroga il diritto di distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è, una volta che in un soggetto abbia individuato l’artista, sarà vincolata a valutare ogni sua opera come opera d’arte. Potrà dire “questo è bene”, “questo meno”, ma non potrà più dire: “questo non esiste”, “non è rilevante”. Lo scopo della critica è la decodificazione, il suo piacere la valutazione gerarchica, il suo dovere quello, una volta dato un passaporto, di rispettarlo. Poiché l’intero mondo ha riconosciuto all’Avvocato la padronanza ed anzi il pieno magistero di quest’arte, si deve considerare sdoganata la combinazione tra jeans e blazer. Dopo che Leopardi ha scritto, nel Sabato del Villaggio, “il zappatore”, avremo voglia a riprendere i nostri studenti o figli e dire che davanti alla zeta si deve usare solo l’articolo “lo”. Si potrà dire che l’invenzione è sgradevole, che il suo uso è limitato a una licenza, ma come privarla oramai di una cittadinanza? Entrata nella letteratura grazie a un letterato, comincia a ricavarsi un suo posticino, resistendo ad ogni mormorio. Diventa infine un risultato acquisito e così apre la via a passi ulteriori. La soluzione leopardiana mi ha sempre affascinato, al contrario di quella agnelliana. I Grandi Eleganti sono sempre dei Grandi Liberatori, ma c’è differenza, in termini di possibili conseguenze, tra aprire la gabbia dei fenicotteri e quella delle iene. Ripeto spesso che la mia e quella della Porta in generale è una ricerca, ma in essa non si può trovare solo ciò che piace. Questo punto fondamentale distingue il critico gastronomico dal gourmet e lo studioso dell’abbigliamento dal semplice appassionato. Quest’ultimo riterrà giusto solo ciò che gli appare bello,mentre il primo è costretto a porsi prima un problema di legittimazione e solo dopo potrà divertirsi nella valutazione personale. Questi presupposti metodologici sono tipici della nostra “Scuola” e non vengono dall’esterno, ma dal suo stesso interno, come è evidente dal fatto che la gran parte degli interventi tacitamente li rispettino. In loro ossequio, non posso esprimere la mia opinione senza parlare della legittimazione. Anche l’ordine in cui esprimerò i concetti ha la sua importanza. Non dirò quindi che “l’insieme jeans-blazer non mi garba, però rappresenta una combinazione valida”. Devo esprimermi con un ordine diverso e concludere così: “l’insieme jeans-blazer rappresenta una combinazione valida, che non incontra il mio favore”. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-11-2005 Cod. di rif: 2206 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Napoli e Londra - Al signor Di giovanni Commenti: Egregio signor Di Giovanni, la sensibilità alla musica, all'arte, alla bellezza, al talento linguistico, è in buona parte trasmissibile. Il figlio di un dandy potrà anche disinteressarsi dell'estetica, ma se invece matura autnomamente una passione per l'abbigliamento, troverà che il bagaglio con cui parte non è vuoto. Certo, al di là del gusto occorrono conoscenze e quelle che non sono state tramandate occorre reperirle in proprio. Diciamo che l'Ordine, quale ultimo difensore della Tradizione Maschile, si fa carico di una ricerca nei settori che compongono la nostra immaginazione ancestrale. Gli scopi e i metodi di quest'opera sono scelti dall'Associazione e mai discussi fuori da essa, ma per attingere a quanto abbiamo fatto o faremo non c'è bisogno di essere dei nostri. Veniamo quindi alla Sua domanda, che è meno complessa di quanto non sembri. La questione resta nebulosa perché nella letteratura sull'argomento nessuno ha mai organicamente affrontato la sartoria maschile da un punto di visto concettuale, epistemologico. Nessun libro, cioé, ha mai tracciato categorie stilistiche, descritto le differenze tra Stile, Foggia, Linea, Classe, né ha individuato come e dove andare a riscontrare la presenza di questi dati. Qui si è fatto parecchio in materia e se avrà pazienza potrà recuperare molti studi interessanti, ma dovrà studiare a Sua volta. Nel frattempo, posso dirLe che nel mio ciclo "Vestirsi Uomo", apparso su MONSIEUR in dieci puntate, nella prima parlavo della giacca e fornivo un breve riassunto sul tema su cui si interroga. Le consiglio di leggere la versione integrale, pubblicata qui al castello nel Florilegio, ma ho estratto la parte che comincia a rispondere alla Sua domanda. Dico "comincia" perché ovviamente c'è dell'altro. Andando all'essenza ultima, lo Stile Napoletano è tendenzialmente estroverso e chi lo ama ed applica si ritiene soddisfatto di aver suscitato un'emozione estetica, anche in un primo e fugace sguardo. Lo Stile Inglese è invece introverso. Impone da una parte il sacrificio del silenzio e dall'altra quello di un'apparentemente eccentrica testardaggine. Tutto si giustifica nel sentimento di esaltazione per l'intima adesione ad una tradizione. Questa emozione è anch'essa trasmissibile, ma non ad un primo sguardo. Poiché l'estetica non sempre vi è un fine, ma talvolta solo un mezzo, occorre più tempo per comprendere cosa stia dicendosi attraverso questo linguaggio. Se la tenuta napoletana è fiera d'essere un cavallo di razza e viene curata come tale, spesso l'abbigliamento inglese accetta di fungere da bestia da soma. Resta allora al discernimento di chi guarda, saper vedere cosa ci sia SOPRA o DENTRO il basto, evitando di giudicare quello che c'è sotto e lo trasporta. Eccole comunque il brano promesso: LO STILE INGLESE Quanto alle categorie stilistiche, possiamo leggerne tre: la sartoria Inglese, quella Internazionale e quella Napoletana. Dopo oltre un secolo di predominio, la prima si dibatte in una crisi dovuta al mancato ricambio di mano d’opera e d’immagine. Lo stile inglese che appare a Londra è quanto di più diverso si possa immaginare da una traduzione italiana e napoletana così remota e ripetuta da essersi imposta sul testo originale. Se osserviamo attentamente le giacche che Bond indossava nel film “Missione Goldfinger” abbiamo già tutti i parametri per definire i confini della tipologia londinese. Punta vita netto, spalle abbastanza naturali, ma guidate oltre la scapola, spacchi centrali per lo sportivo, laterali o assenti per il formale, gilet corti ed aderenti, svasati in modo che l’ultimo bottone non possa mai abbottonarsi. Carlo d’Inghilterra ci fornisce il paradigma del doppiopetto: ampiezza notevole, bilanciata da una certa lunghezza e assottigliato da revers lunghi e da una bottoniera accostata. Dal più profondo mi rammarico di non essere un abituale frequentatore di Savile Row come lo sono stato delle sartorie italiane e quindi non voglio spingermi oltre in un’analisi che necessiterebbe di una maggiore esperienza sul campo. Quello che ammiro dello stile inglese è la sua invincibile sensazione di superiorità. Il gentiluomo inglese non concede nulla alla leziosità ed anzi indulge nel portare l’understatement ai limiti della trascuratezza. Nel 1991, nell’ambito di un servizio di cui non ricordo l’oggetto, la rivista Class pubblicò a tutta pagina una foto del 75° Conte di Perth. Sullo sfondo della porta di casa, la cui antichità potete immaginare dal numero delle generazioni, appariva un ometto con un buffo bastone, alto quasi sino alla spalla. Portava una giacca di tweed color ruggine, un gilet di shetland un po’ smagliato al bordo inferiore, una mano affondata nella tasca di un pantalone di flanella pesante senza risvolti, scarpe grosse dalle rughe annose e dal colore ormai indefinibile. La cravatta, in lana, mostrava un nodo leggermente allentato. Presa pezzo per pezzo si tratta della descrizione di un pastore, ma l’immagine complessiva era ben altra cosa. Me ne resta un ricordo così vivido che il Conte potrei disegnarlo qui a fianco e se lo vedessi per strada mi verrebbe naturale invitarlo ad una partitina a freccette. Ignorando la scontatezza del “ritratto col vestito buono” egli conciliava l’estremo distacco dalle convenzioni con il rispetto assoluto per la propria tradizione, che citava in ogni particolare. In uomini come lui è concentrata tutta la grandezza che fu di un impero e che ancor oggi palpita nei gessati e in certi grigi scurissimi che ad un italiano darebbero facilmente l’aspetto di un preside in pensione o di un ennesimo promotore finanziario. Per lo stile inglese la parola d’ordine è: TRADIZIONE, il motto: ”GOD SAVE THE QUEEN”. LO STILE INTERNAZIONALE E’ quello dei capi di Stato, dei mezzi busti, di chi non passa comunque inosservato, ma che non vuole che un linguaggio regionale possa minacciare l’assolutezza della propria posizione. I suoi campioni cuciono in tutte le grandi città ed hanno in comune la cura estrema degli interni, la scelta dei tessuti più pregiati, il rigore, la continuità di stile del singolo laboratorio. Queste giacche presentano una perfezione formale silenziosa ed autorevole. Parlano con una voce profonda e sanno imporsi all’attenzione senza gridare, bensì aspettando che la loro solennità sia compresa e rispettata. Ogni eccesso è bandito ed è meticolosamente rispettata l’esigenza del cliente di vedersi bene allo specchio in un’architettura stilistica approvata in ogni luogo ed avallata da committenze importanti. La spalla è disegnata da un’imbottitura più o meno consistente. Normalmente si aggetta sino a superare leggermente la verticale del braccio, congiungendosi ad uno scalfo in genere piuttosto allungato. Il punto vita è indicato, ma non segnato e si trova nel suo punto naturale. La giacca trasmette un immagine di sobrietà ed importanza, grazie ai davanti che cadono rettilinei ed all’ ampiezza che anche dalla vista posteriore copre e modella riccamente le spalle. La parola d’ ordine è: COMPOSTEZZA, il motto: “IN MEDIO STAT VIRTUS”. LO STILE NAPOLETANO La costruzione di tutta la giacca è estremamente morbida, al punto che potremmo dire che qui si passa dallo stato solido a quello fluido, dalla prosa alla poesia. L’uomo che veste napoletano rinuncia in buona parte a comunicare importanza, vigore, autorità, in favore di un mezzo più malleabile e pertanto più a adatto a rivelare la propria personalità. La concezione minimalista della Sartoria Napoletana elimina tutto ciò che è superfluo e parte dell’utile per concentrarsi su un’immagine di naturalezza conferita in sommo grado dai davanti che – come usano dire i sarti partenopei – “corrono all’ indietro”. Essi tendono cioè ad aprirsi, allontanandosi gradualmente uno dall’ altro dall’ alto verso il basso con un effetto non prodotto dal taglio, ma dalla lavorazione. La giacca presenta in più punti drappeggi e pieghe verticali che non tutti gradiscono e che col tempo si accentuano: al petto, alle maniche e dietro, alla base della loro attaccatura. In questa rinuncia alla pulizia delle superfici in favore della morbidezza è il segreto della comodità e della disinvoltura. La maggior parte delle cose notevoli della Sartoria Napoletana possono individuarsi in quella parte alta della giacca che con termine marinaresco potremmo chiamare”opera viva”: spalla, manica e bavero. La spalla giunge solo fino al suo punto naturale, dove si congiunge ad un giro manica molto stretto. Una manica importante viene inserita in un giro quasi circolare e ridotto al minimo con un sapiente lavoro di ferro ed ago. La “lentezza” si traduce così in pieghe verticali che producono la cosiddetta “manica a mappina”. Il “cran”, cioè lo spacco a triangolo tra collo e bavero, si trova molto in alto. La spalla è “omerata”, cioè appoggia morbidamente in ogni punto. Risale al collo e scende vertiginosamente verso l’ estremità che la congiunge alla manica. Non è rettificata e non è alzata o allungata da alcuna imbottitura. Nulla la sostiene che non sia offerto dalla stessa struttura ossea dell’uomo. Quando una grande giacca napoletana è poggiata negligentemente su un tavolo, all’ altezza della spalla si nota una torsione elicoidale verso l’ alto, che riscatta la morbidezza dell’ insieme rivelando l’immenso lavoro che l’ha determinata. Quella forma che vedete è la proiezione cartografica di una spalla umana. Un’opera di ingegno e di “craftmanship” unica. Il punto vita è lungo. Comincia piuttosto in alto e viene disperso intorno all’ altezza naturale. In media è quindi un po’ più in alto della vita naturale e nei prodotti più tipici non si trova mai al di sotto del secondo dei tre bottoni. A differenza della Sartoria Internazionale, la parte anteriore appare visibilmente un po’ più lunga di quella posteriore, proprio per quella tendenza a “correre dietro” ed a scivolare. Anche prescindendo dalla linea, la giacca napoletana presenta un dettaglio tecnico tipico: la pince lunga anteriore. Contrariamente alla costruzione industriale e internazionale, quasi sempre la pince più lunga non è quella posteriore, ma quella anteriore. Essa giunge sino al lembo inferiore del capo, mentre la posteriore termina nella tasca. La parola d’ ordine della sartoria napoletana è: “SCIOLTEZZA”, il motto: ”MI PIACCIO COSÌ”. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2005 Cod. di rif: 2208 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sul metodo Commenti: Egregio Cavaliere, senza un metodo, ciò che vorrebbe essere ricerca resta un’opinione e il mattone che avrebbe potuto servire ad edificare viene solo accatastato in cima ad altri. In un’istituzione come la nostra l’esistenza di un metodo è scontata nella definizione stessa, ma bisogna sempre tener presenti i metodi altrui. Come dicevo esiste un’altra scuola, quella seguita dalla maggior parte delle riviste, che ritiene l’abbigliamento maschile soggetto solo a fonti legislative. In questo sistema il Critico assume maggior rilievo in quanto interprete del Legislatore e in un certo senso Legislatore egli stesso. La gran parte della letteratura sull’abbigliamento, seguendo questi principi, è una somma di leggi, decreti, codici, decaloghi del bene e del male. Non potendo essere Dio, il Critico non disdegna di sentirsi e proporsi come un Mosè. Solo che questi, da uomo di buon senso e di fede, sul Sinai ci salì una sola volta, mentre i nostri espertissimi giornalisti (molto spesso in gonnella) sembrano viverci perennemente e spedirci di tanto un tanto il bollettino con le ultimissime dall’Empireo. Nel metodo cavalleresco, che equipara l’Eleganza ad un’Arte e non ad un Corpus Juris, la Tradizione è una delle fonti, di certo la più importante, ma non l’unica. Essa è vivificata e arricchita dall’invenzione, che assume un ruolo autonomo. In questo sistema la critica interviene proprio a risolvere i dubbi che Lei si pone nelle ultime righe. La licenza di sparare, una volta data, non si può ritirare. Ma alla luce della Tradizione, del Gusto, del Buon Senso, tutti parametri che un’analisi sapiente tiene in considerazione ed espone con ampie motivazioni, non rifacendosi quindi all’Autorità della Legge, si può stabilire se un colpo sia andato a segno o meno. La Storia, poi, si disinteressa di noi e degli altri e va per la sua strada. Questa non è una sconfitta, perché lo studioso sapeva sin dall’inizio che il suo ruolo non era quello di fare e disfare il mondo, ma di capirlo e spiegarlo. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Stefano Di Giovanni Data: 08-11-2005 Cod. di rif: 2211 E-mail: diggio@hotmail.it Oggetto: ringraziamento Commenti: Illustre Gran Maestro, la ringrazio per la sua cortese risposta. Essa, peraltro, mi è sembrata più attenta al profilo sociologico che a quello più propriamente tecnico. Ma appunto per questo forse ancora più interessante. In fondo è proprio la speculazione, il "ragionare", come diceva Sciascia, che ci permette di innalzarci sopra i meri esecutori e cogliere quei particolari che distinguono l'eleganza dal semplice "vestir bene". Mi rendo conto che in fondo si tratta soltanto di esteriorità. Ma non è forse la forma che racchiude la sostanza? E poi, può esistere sotanza senza forma? Grazie ancora. Detto ciò, vorrei approfittare ancora di questo spazio per alcune cosiderazioni. Sia dalla sua risposta che dalla conoscenza, certo sommaria, del suo sito, mi sembra di poter interpretare una predilezione, se non un vero entusiasmo per lo stile sartoriale napoletano. Lungi da me pensare che questa preferenza sia dettata da semplice campanilismo, ma consapevole al contrario che essa sia la conseguenza di uno studio attento e puntuale dei diversi stili e delle società che in qualche modo li hanno prodotti, la domanda che mi sorge spontanea è se l'English Style sia veramente defunto. In realtà, a ben guardare, senza voler scomodare il Duca di Windsor, se noi osserviamo le immagini dei vecchi film degli anni '30 dove gli attori, soprattutto inglesi, si facevano confezionare gli abiti a Savile Row, possiamo notarecome si tratti di abiti e tagli senza tempo. Non soltanto ancora attualissimi, ma di un'eleganza assolutamente ineguagliata. Sto pensando a Leslie Howard, a franchot Tone, a Walter Pidgeon, a Rex Harrison, un pò meno a David Niven, che ad un attento esame mi è sempre sembrata una figura manierata, con degli abiti dal taglio grossolano, quasi da "bottegone" e con quei baffetti che nessun inglese di classe avrebbe mai portato. Potrei parlare ancora di Laurence Olivier e soprattutto di Lui, l'Arbiter per eccellenza, Fred Astaire. E non solo dei suoi Frac, ma anche dei suoi spezzati, dei suoi pantaloni di flanella grigia che ancora adesso non mi sognerei di sostituire con null'altro sotto una giacca sportiva. A questo punto cosa può essere successo mai dopo questi anni magici per decretare le fine di uno stile così puro ed elegante? Potrei andare avanti ancora a lungo con questa "filippica" sull'abito inglese col rischio,però, di annoiare gli attenti lettori di queste lavagne e sarebbe per me un peccato mortale, quindi mi scuso per questo sfogo dettato in parte da una scarsissima conoscenza dello stile partenopeo e in parte da una formazione familiare che ha sempre visto nell'abbigliamento inglese, con le sue linee severe, impeccabili, pennellate, il portavoce di quell'understatment che è alla base dell'eleganza di un uomo. Distinti saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-11-2005 Cod. di rif: 2213 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: De profundis per lo Stile Inglese. Elogio della Servitù Commenti: De profundis per lo Stile Inglese. Elogio della Servitù Egregio signor Di Giovanni, innanzitutto debbo correggere la concezione che Lei ha del castello. Rivolgendosi a me, Lei parla di “conoscenza, certo sommaria, del Suo sito”. Orbene, il sito non è affatto mio, ma dell’Associazione che dirigo. Inoltre, perché non si faccia subito idee sul mio pensiero che possano travisarne l’interpretazione, sono costretto a dirLe, correndo il rischio di risultare vanesio, che la mia opera è molto vasta e difficilmente ne avrà potuto comprendere la natura e l’orientamento in una breve frequentazione. Se resterà qui abbastanza a lungo, capirà i motivi di queste puntualizzazioni. Non sono una presa di distanza, ma servono a far comprendere subito la presenza di un metodo, di una storia, di una procedura, di un rispetto formale di cui altrove si fa a meno e che qui rappresentano il dispositivo attraverso cui gli interventi di tutti e di ciascuno riescano a rappresentare un concreto contributo alla ricerca di tutti. In modo particolare, non credo di essere entusiasta dello stile partenopeo più di quanto non lo sia di quello inglese. Legga, dal Florilegio, l’articolo “L’eleganza è un concetto molto inglese”, di cui le anticipo un brano: … "L’orgoglio inglese è forte quanto la disobbedienza italiana ed in questo caso risultarono inconciliabili. Dietro questo rigore, che gli inglesi riservano anche a loro stessi, non manca la vanità, ma essa è costretta ad un cammino più lungo. Un oggetto non viene valutato per se stesso, ma per la rispondenza ad un criterio di opportunità. L’apprezzamento estetico è subordinato alla tradizione ed alla situazione, sicché il desiderio di avere un abito bello viene tradotto nell’ordinazione di un abito consono. E’ dominando ogni appetito immediato e segnatamente quello di una vanità riconoscibile come tale, che l’uomo diviene gentiluomo. Secondo questo criterio, nessuno potrà essere elegante se non è “proper”, cioè coerente. L’eleganza non offrirà il suo braccio a chi la desidera, ma a chi sa presentarsi rispettando una disciplina. La giacca italiana, massimamente quella napoletana, è facile e dinamica quanto quella inglese è intima, impassibile. Non si esprime in rime baciate, ma in una prosa austera che soddisfa i lettori attenti e pazienti. E’ destinata in maggior misura ad un silenzioso compiacimento personale che ad un giudizio pubblico palese. Per apprezzarla è quanto meno necessario aver superato l’ostacolo dove scivolano in molti: quello di confondere la bellezza con l’eleganza". Anche se non tutti sono dello stesso avviso, concordo con Lei che, quanto all’abbigliamento maschile, gli anni trenta abbiano rappresentato il culmine della parabola estetica nell’età moderna. In questo periodo si completa l’affermazione dello Stile Inglese e si consolidano alcune fogge, abbinamenti, combinazioni cromatiche, disegni, ad esso riferiti ed ancor oggi universalmente accettati. Queste componenti restano ancora vive, ma l’organismo centrale, lo Stile Inglese inteso appunto come stile e non come insieme di fogge e materiali, è inesorabilmente scomparso o comunque in via di irreversibile estinzione. Le fogge, cioè le forme espresse in un canone, restano interessanti ed esteticamente valide, ma lo spirito che le animava muore, o meglio è già morto. (Faccia una ricerca su Stile e su Foggia, digitando sia maiuscolo che minuscolo, qui e nella Posta del Gran Maestro). Lo Stile Inglese nasceva infatti come espressione del sentimento della Vita Elegante, basata sulla Comodità e non sulla Praticità. Se uso una cosa comoda e non pratica, poniamo una valigia o un’automobile, per goderla al massimo dovrò delegare a terzi molte attività. In particolare trasporto e manutenzione, che sono il cruccio dell’uomo moderno, ormai dipendente dalla praticità. Questa delega non è altro che l’organizzazione della propria vita tenendo presente in essa il ruolo fondamentale e inalienabile della servitù. Chi non potesse permettersela, dovrebbe almeno desiderarla, così come avrebbero fatto i nostri nonni. Niente servitù, niente desiderio della servitù, niente spazi per la servitù, niente educazione all’uso della servitù, niente Stile Inglese. Inutile, impossibile, uscire da questa affermazione, apodittica in quanto incontrovertibile. Oggi l’uso di servitori personali o istituzionali è infinitamente più limitato. Gli uomini non ci pensano, non li desiderano. L’accesso ad ogni altro tipo di bene è aumentato di mille volte, ma quello alla servitù è diminuito. E ciò nonostante le grande diffusione delle possibilità economiche del nostro secolo e la immutata, anzi accresciuta, facilità di trovare persone di servizio tra gli immigrati. Persone che possiedono orologi per centinaia di migliaia di euro non hanno poi una governante in casa. Non sapendo bene cosa desiderano, non saprebbero ordinarglielo. Cosa potranno capire, costoro, dello Stile Inglese? O meglio, come potrebbe una foggia inglese diventare su di essi Stile Inglese? Non si rassegni, però. Se fossi riuscito a farLe capire dov’è il problema, potremmo avere un nuovo palo piantato nel fango, un nuovo pilastro dove la tradizione possa poggiare, in attesa del futuro. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-11-2005 Cod. di rif: 2214 E-mail: gran.maestr@noveporte.it Oggetto: Tubi di stufa. ecco da dove vengono - A, C. Zichittella Commenti: Egregio Scudiero Zichittella, il capo da Lei illustrato nel Taccuino (Appunto n. 2054) non mi sembra di grande interesse. Le origini militari dell'abbottonatura ad otto sembrano meglio rispettate nella tipologia che potremmo chiamare "a colonna", ma la storia riiporta esempi anche con i bottoni morti aperti a "Y". La soluzione a colonna sembra più valida. Carlo portò negli anni settanta un blazer con otto bottoni d'oro sistemati a Y e in realtà il tisultato non parve entusiasmante. Molto più bella la giacca "paramilitare" che indossa nell'Appunto n. 2055, da Lei redatto. Queste tipologie non sembrano di facile esportazione al di fuori della giacca blazer con bottoni oro, dove il contatto col mondo militare resta più tangibile. Nella foto che Lei ha inserito, sinceramente non vedo altro che un moderno zootsuit del tipo orientato ai gusti della clientela di colore. Cerchi foto del pugile Eubank e capirà da dove viene questa "invenzione". Il dandy negro - che usa sempre la bombetta e per questa virtù apparirà presto anche nel ciclo "Chapeau melon sul Taccuino - porta abiti a cinque bottoni, tutti chiusi. Questa tipologia ha un certo successo presso le razze che si affacciano da poco alla sfida elegante e che, se hanno trovato la via ad un nuovo dandysmo, se possiedono una creatività interessante, un portamento straordinario, a volte ad un fuoco nello sguardo che ricorda quello dei nostri antenati e che riscatta molti errori, non sono ancora in grado di esprimere con serenità le sfumature sottili. Per rendersi conto dell'orientamento attuale dei gusti afroamericani, che come ogni cosa vanno conosciuti e presi in considerazione, visiti il sito: www.zootsuitstore.com. Capirà molte cose sull'abito che Le è piaciuto e vedrà da dove viene la "contaminazione" dei tessuti gessati con le tipologie a "tubo di stufa" di origine clericale, militare, o comunque un po' retro. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-11-2005 Cod. di rif: 2215 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacca in tussor. Due risposte a domande dal Taccuino Commenti: Essendomi stati posti sul Taccuino alcuni quesiti, rispondo in questa sede. Al Prefetto Liberati (Appunto n. 2065) posso dire che tra gli altri Maestri napoletani particolarmente versati nella spalla naturale convessa figura Antonio Panico, che nonostante fosse ancora piuttosto giovane raccolse la forbice di Vincenzo Attolini nella London House di Rubinacci, per poi mettersi in proprio. Al professor Pugliatti (Appunto n. 2067) direi che il tussor ha un maggior peso e una mano un po’ più ruvida dello shantung, quasi granulosa. Naturalmente la mia esperienza si basa solo sulla giacca in oggetto, quella Rubinacci anni 30, perché altri tagli di questo tessuto non mi sono mai capitati in mano. Ho invece esaminato con cura il capo più volte comparso nel nostro Taccuino e posso dire che oggi nessun sarto produce e nessun cliente troverebbe comodo un giro così serrato. Come si nota ancor oggi dalle punte dei baveri, aderenti come fossero tenute da molle, la costruzione è incredibilmente laboriosa in ogni dettaglio e lascia immaginare interni ricchi di pince, cunei, bindelle e trucchi di ogni genere per costruire in maniera così leggera che non si veda nulla. Una giacca del genere, di un su-misura assolutamente estremo, a livello di un guanto, prevederebbe numerose misure ed un numero di ore di lavoro più che doppio rispetto ad una giacca moderna di altissima qualità. Ritengo quindi impossibile tenerla in produzione normale, in quanto antieconomica e comunque destinata a qualche sparuto collezionista, ma non ad un pubblico con le normali escursioni di gusto e di richieste. In realtà, un sarto che a Napoli lavorava con questo giro da bambola c’era. Si chiamava Savarese, ma credo si sia ritirato o sia andato a cucire per San Pietro. L’ho visitato anni fa, quando non avevo ancora la macchina digitale e non ne ho immagini. Il nostro compianto decano Mimì Castaldo vestiva solo col tali giacche, che Savarese – ultraottuagenario già al volgere di questo secolo – creava solo per una limitata clientela, ormai di soli amici. Oggi Domenico Pirozzi in Via Chiaia, il maestro che sta lavorando attualmente nei nostri Laboratori, potrebbe compiere una simile impresa, ma a livello puramente teorico. Ripeto che l’uomo moderno, tendenzialmente insofferente, troverebbe sgradevole inserire il braccio in quella trappola ed alla fine si opterebbe sempre per una soluzione di compromesso. E’ facile notare anche che, visto che il giro è ridotto ad un diametro minimo, tutta la lentezza destinata all’articolazione del movimento è nella manica, che appare anche troppo ricca per i nostri gusti attuali. Certo, con un giro così, la giacca si inforca e resta ancorata, seguendo il padrone sia quando si siede che quando alza o apre le braccia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Stefano Di Giovanni Data: 16-11-2005 Cod. di rif: 2216 E-mail: diggio@hotmail.it Oggetto: cappotto sportivo Commenti: Illustre Gran Maestro, mi scuso nuovamente per il mio tono irruente che spero non sia stato scambiato per tracotanza. Innanzitutto non era mia intenzione attribuirLe un diritto reale sul castello che, al contrario, a ben vedere, è proprio un Luogo di scambio tra Pari, secondo quella concezione democratica ante litteram che era l'incontro tra cavalieri nel Basso Medioevo. Detto ciò, fermo restando il mio apprezzamento per le Sue considerazioni espresse ne "L'elogio della servitù" su cui spero di poter tornare, Le vorrei chiedere in parere. Qual'è, secondo la Sua vasta esperienza, il soprabito più adatto ad uno spezzato con giacca di tweed o velluto a coste? Spero in una Sua risposta, visto il dubbio che mi attanaglia. Distinti saluti Stefano Di Giovanni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-11-2005 Cod. di rif: 2217 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Che si mette sul tweed? - Al signor Di Giovanni Commenti: Egregio signor Di Giovanni, Lei non è stato affatto tracotante e nemmeno irruente. Quello ero io. In considerazione di un interesse che appariva subito sincero, ho voluto evitarLe dei vizi interpretativi ed accelerare la comprensione dello spirito del castello. Sulle giacche di tweed, in città, almeno dove i venti e le temperature non sono rigidi, trovo pratica una paddock jacket. Nel tempo libero, una Sussex shooting jacket, un po' più massiccia. Perfetto anche un tre quarti raglan, magari a district checks. La scala del peso, della lunghezza e quindi dell' "impegno" estetico può ancora salire verso i doppio uso o ulster, ma a questo punto lascerei la parola al nostro Rettore, che saprà sistemare la materia da par suo. Nel frattempo, per evitare equivoci, mi attrezo per sistemare nel Taccuino le immagini della Paddock Jacket e della Sussex shooting jacket, due fogge molto versatili. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-11-2005 Cod. di rif: 2220 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Asimmetrie dei quarti - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Villa, la foto dell'Appunto n. 2109 chiarisce meglio di quanto si possa fare a parole che la situazione è nei termini in cui era già stata esposta: all'altezza della spalla i quarti posteriori si presentano alla corrispondente parte anteriore con una maggiore estensione lineare. Le lentezze che derivano da questa asimmetria vengono fissate con l'ago e sfumate col ferro. La schiena, che tende nei movimenti a estroflettersi e richiamare tessuto, ha bisogno di lentezze. Da dove verrebbe fuori, poi, quella piegolina a cannolo che corre lungo l'attaccatura della manica e facilita i movimenti del braccio? L'argomento ne ricorda altri simili: secondo la regola d'arte, come devono correre le righe e in genere i disegni lungo i baveri o lungo il collo? Ne vien fuori un tema da discutere nel prossimo Laboratorio d'Eleganza. Giancarlo Maresca Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-11-2005 Cod. di rif: 2224 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Legislativi e Soggettivi, due scuole di nuovo a confronto Commenti: Egregio signor Leonardi, mentre si dichiara inadatto a giudicare, Lei taglia giudizi sin troppo precisi. Sarà meglio che chiarisca a se stesso la Sua posizione, il Suo orientamento. E'in questo che posso darLe una mano. Legga l'Appunto n. 205 sul Duca, dove non si tace dei difetti dell'abito (come in altri luoghi non si sono taciuti quelli di un Agnelli), cogliendo però, o cercando di farlo, il significato complessivo del gesto estetico. Lei si pone un problema di livello basico e, se saprà mantenere il Suo posto fino al momento opportuno, riuscirà nel giusto tempo a vederne la giusta soluzione. La domanda che pone è: Un uomo elegante rende tale una giacca difettosa? Evidentemente sì. La cosa accade molto spesso. In questa accademia consideriamo infatti l'Eleganza come un attributo dell'Uomo, non dell'Abito. Se questo presupposto non La convincesse, già saprebbe di appartenere alla scuola "legislativa", che parte dall'oggetto e cerca le sue norme interne. In tal caso dovrà trovare un altro Laboratorio, perché al castello si privilegia il soggetto e in pochi casi arriveremmo alle stesse conclusioni. Rilegga anche il recente Gesso n. 2208, in cui è contenuto già qualche indizio: l'opera di un soggetto riconosciuto come artista ha il particolare status di opera d'arte e quindi va visto in modo diverso. Una lattina di zuppa o una testa di vacca esposti da un'artista pop non sono più come e quel che erano prima. Naturalmente, Lei può non essere daccordo, ma allo stato attuale credo sia meglio che prenda un mesetto per pensarci. Rifletta sull'argomento, elabori critiche o dubbi e ne riparli tra non meno di quel famoso mesetto. Nel frattempo riguardi anche quella foto all'Appunto n. 199. Vedrà che, contrariamente al Suo assunto, le righe corrono parallele al bavero senza che nessuna ne fuoriesca. Qui si parla di fatti, non di gusti e teorie, ma come vedrà è stato facile prendere un abbaglio, fraintendere, parlare e giudicare troppo presto. La aspetto. La aspettiamo. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-11-2005 Cod. di rif: 2233 E-mail: gran.maestroònoveporte.it Oggetto: Sarto nel Centro-Italia - Al sig. Tarducci Commenti: Egregio signor Tarducci, credo che possa contattare ed eventualmente affidarsi al maestro Augusto Lemmi, reperibile ai seguenti recapiti: VIA MASI 8, - PERUGIA - TEL. 075.572416 Ci faccia sapere. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-11-2005 Cod. di rif: 2232 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tolleranza e maglieria - Al signor Consolini Commenti: Egregio signor Consolini, la Sua attenzione alla maglieria da abbinare alla giacca coglie un momento in cui sono stato colpito da esempi tali da confermare la mia teoria in materia e migliorarla. Come si fa a sapere quando una teoria è migliorata? Credo che ciò accada quando la si veda cogliere un campo più vasto, abbattere un limite, comprendere il lato qualitativo o essenza delle cose in misura maggiore di quello quantitativo o formale. Ripeto la partesi un mio Gesso, il 1950: “ …più in alto ci si trova e più sono le cose, le persone, le situazioni che si comprendono. E dal comprendere al giustificare, come dal giustificare all’amare, i passi non sembrano tanto lunghi. Ne ricaviamo un programma di ricerca, per non dire di vita, basato sulla tolleranza. Non si tratta di cosa da poco, perché significa aver trovato il ritmo per vogare in senso opposto a quello della corrente ed essere quindi liberi di andare dove veramente si vuole. Infatti nella sua diffusa accezione, quella di tipo televisivo o giornalistico, l’esperto è tanto più credibile e la sua critica tanto più acuta quanto più esclude e condanna, giudica ed emargina, ironizza e distrugge”. Il discorso è ovviamente accettabile da quanti, nella specifica teoria dell’Abbigliamento, considerino quest’ultimo la Divertita Scienza che decifra ed usa un linguaggio vivo. Per restare tale, esso supera di continuo i propri limiti e così fa una sana teoria. Come recentemente abbiamo puntualizzato, la nostra Accademia non ha uno scopo “legislativo” o “Normativo”, non crede cioè che l’Eleganza e i suoi derivati siano nel rispetto di un canone esterno, ma nel portare la conoscenza e il rispetto di certi principi all’interno di se stessi, in profondità e sino al loro oblio. Questo atteggiamento deriva dalla convinzione che l’Eleganza stessa sia nel soggetto più o piuttosto che nell’oggetto. nell’oggetto, ma nel soggetto. Si tratta di un vero e proprio metodo, che inesorabilmente porta alla tolleranza, all’accettazione di differenti punti di vista e stilemi. Percorrendo questa strada, mi sono reso conto che il sospetto nei confronti del sottogiacca usato con completi formali era fuorviante. Proprio pochi giorni fa ero a Torino e pranzavo al Cambio con due uomini veramente notevoli per educazione ed eleganza. Uno indossava un completo in velluto color panna a coste molto piccole e fitte. Era una giornata di cielo molto luminoso, che giustificava questa scelta appariscente. Inoltre, egli dimostrava che si era voluto prendere una mezza giornata di libertà dal lavoro ed in tal modo onorava non poco ed in modo estremamente sottile la mia compagnia, cui si stava dedicando. Sotto calzava un attillato girocollo in shetland su camicia fantasia, senza cravatta. L’altro commensale, il cui cognome occuperebbe parecchie righe, veniva invece dal suo studio ed aveva con se la valigetta portadocumenti che lo provava. Portava un silenzioso gessato in flanella da filato cardato, matta e intensa, su un gilet abbottonato di cachemire blu. Che dire? Intonato al suo tono di voce sommesso, alla sua vasta cultura, ad un’educazione impeccabile, il panciotto risultava perfetto anche con una tenuta iperformale, completata da scarpe nere lucidissime, camicia immacolata e cravatta a microdisegni. Tra me lo ringraziavo per avermi liberato di un altro pregiudizio e dimostrato che è sempre innanzitutto con l’Uomo stesso che le cose devono combaciare. A questo punto, piuttosto che dettare limiti che prima o poi sarei costretto a rivedere, La esorterei a immaginare questa scena e trarne da solo l’algoritmo estetico. Quanto quindi al cosa si porti e cosa no, meglio lasciarsi guidare dalla propria personalità. Quanto al linguaggio, confermerei che la maglieria in combinazione con la giacca suggerisce un’idea intellettuale, ma estenderei i significati ad un’aria di paterfamilias, di uomo forte e al tempo stesso delicato di sentimenti, di un attaccamento alla tradizione che, come abbiamo visto, ben può associarsi sia con l’estro che con il più intimo rigore. Cavallereschi auguri di trovare la propria strada e le migliori soluzioni, sulle quali saremo ben lieti di discutere in questo luogo. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-11-2005 Cod. di rif: 2236 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Paddock Jacket a Napoli Commenti: Egregio signor Prisco, a Napoli, per una Paddock Jacket in perfetto stile e nei tessuti giusti, non posso che consigliarLe una visita a Cilento in Via Medina. Negli ultimi anni sta assortendo un'offerta veramente meritevole di attenzione, basata sulle produzioni e sui materiali più tradizionali. Chieda di Ugo Cilento e si faccia mostrare cos'ha. Trattandosi di un capo del Classico Internazionale, viene proposto da molte case e più d'una può essere valida. Qualora non trovasse nulla, ma credo sia difficile, non Le resterebbe che telefonare alla ditta De Paz, che da sempre è specialista in questo genere di coprigiacca. Come sa si trova a Bologna, ma la buona volontà trova il modo di superare le distanze. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-12-2005 Cod. di rif: 2240 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La camicia al castello - Al sig. Moscatelli (Gesso n. 2227) Commenti: Egregio signor Moscatelli, non ho risposto subito alla domanda che poneva col Gesso n. 2227 perché la Lavagna ed il Taccuino sono già ricchi di materiale utile alle Sue ricerche. In particolare Le segnalo il gesso n. 1685 e gli Appunti dal n. 1147 (Pag. 181) in poi. Si tratta di una rassegna di una ventina di immagini commentate, tute dedicate ai colli della camicia. Digitando “camicia” nei sistemi di ricerca interni, soprattutto qui nella Lavagna, Le uscirà ancora molto. Anche troppo. Le basterà scorrere i risultati e fermarsi su quelli che appaiano immediatamente pertinenti all’oggetto. Dopo aver esaminato questo materiale, se avrà ancora qualche dubbio si rifaccia vivo. Buon lavoro. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-12-2005 Cod. di rif: 2242 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Alden - Church's - Al signor Prisco Commenti: Egregio signor Prisco, giudicare una differenza tra due case di alto lignaggio e con molti articoli in campionario non è una cosa facile. Occorrerebbe tagliare una scarpa di entrambe le ditte e valutare materiali e tipologia di costruzione, in quanto le cose cambiano velocemente e tutto ciò che si sa di ieri non sempre è valido oggi. Poiché non ho dati freschi e attendibili, per rispondere ad un quesito come il Suo non c'è che da lanciarsi in generalizzazioni e ipotesi. Se si accontenta di questo, Le dirò che In linea teorica le case si equivalgono, ma ultimamente sembra che la qualità di Church's, sia quella reale che quella percepita, sia in flessione. La ditta, acquistata da Prada, ha un po' diluito i contenuti inglesi in una salamoia internazionale. Lo stesso non può dirsi di Alden, che presenta una gamma ineccepibile e ricca di personalità. La polacchina è bellissima, anche se la mia preferita resta la derby semplicissima in cordovano. Un vero e proprio canone, come solo altre tre o quattro case al mondo possono vantare al loro attivo. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 05-12-2005 Cod. di rif: 2245 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Accademia Nazionale dei Sartori Commenti: Chiarissimi Gran Maestro e Rettore, mi rivolgo a Voi per conoscere l'autorevolezza che un'istituzione come l'Accademia Nazionale dei Sartori (se non erro di origine medioevale) possiede al giorno d'oggi. Sarò più preciso. E' un segno di indiscussa capacità tecnica e di pari doti etiche l'appartenenza di un Maestro a codesta nobile istituzione? Inoltre, che rapporto esiste tra la sopracitata Accademia e la Camera Europea dell'alta sartoria? Ho notato che molti Maestri appartengono ad entrambe. Anni fa venne annunciato un sito della Camera Europea: si sono perse le tracce? Poichè mi sembra che questo argomento non sia mai stato trattato all'interno del castello mi auguro sia di interesse comune. Con l'occasione Vogliate gradire distinti saluti, Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Bonaiti Data: 06-12-2005 Cod. di rif: 2247 E-mail: gbcmanager@hotmail.com Oggetto: guanti in metro Commenti: Stimatissimi cavalieri, vorrei sapere come ci si deve comportare con i guanti quando si viaggia in metropolitana. Sui mezzi pubblici, esempio autobus o tram, generalmente credo vadano indossati ma come comportarsi sui treni della metropolitana e nelle relative stazioni che sono comunque luoghi chiusi?Si continua ad indossare i guanti o si tolgono? Sperando di trovare nelle vostre illuminate persone una chiara risposta distintamente saluto G.B.P. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2005 Cod. di rif: 2251 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Twin tweed Commenti: Egregio Cavaliere Villa, la combinazione di lane tra berretti, giacche pesanti, maglioni, per non dir cei calzettoni, è senz'altro una degna celebrazione del mondo maschile "country". Non sono amante dei gemellaggi tra fantasie e se avessi un artigiano in grado di realizzare un vero driver cap all'inglese, cioé asciutto, con la visiera cucita, la pince a chiave e il classico profilo a becco d'oca, non utilizzerei il berretto con la giacca dello stesso tessuto. a proposito, perché non rintraccia questo cappellaio? Sinceramente, la mano italiana non ha mai dato grandi risultati nel berretto all'inglese, ma ora nemmeno tutti gli inglesi sembrano ricordare come si fa e vedo in circolazione delle approssimazioni, probabilmente realizzate sul Fiume Giallo. La notizia non sarebbe di poco momento e vale uno sforzo. Ci provi. Non si sa mai. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2005 Cod. di rif: 2252 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camera e Accademia. Al sig. Bassan Commenti: Egregio signor Bassan, conoscendola come dirigente del club Calle de la Industria e appassionato di Avana, mi compiaccio di vederLa alle prese con un altro mondo. Come sa, noi riteniamo il gusto come una Nazione unica, con diversi accessi equivalenti. Però non studiamo tanto ciò che in questa Nazione e nelle sue diverse regioni si trovi, altrimenti saremmo costituiti in un Ordine delle Nove Stanze e non delle Nove Porte, ma ci interessiamo di come ci si arrivi, di quali lingue vi si parlino. Fermi in un individualismo irrimediabile, crediamo che ciascuno possa e anzi debba camminare da solo e a modo proprio. Fatta questa premessa, utile a comprendere dove e come si avvicinino i comuni interessi per il sigaro e per la sartoria, devo dire che Lei ha perfettamente ragione: non si è mai detto né dell'Accademia, né della Camera. Credo che Lei legga MONSIEUR e quindi saprà che sto visitando tutti i sarti della Camera e descrivendo il loro lavoro. Tutti? Beh, non proprio. Il prossimo sarà Giovanni Campagna, del quale mi sono rifiutato di scrivere ed il perché potrà capirlo facendo una ricerca nel Taccuino. Dopo aver lanciato la giacca "alla Agnelli", non possa mai dire Campagna che Giancarlo Maresca abbia parlato di lui, se non male. Poiché su una rivista non scrivo per dir male e anche qui lo faccio solo se costretto da una domanda diretta, ecco che salterò questo turno e non so se ritornerò sui prossimi. Vedremo cosa dirà il Direttore. Campagna a parte, la Camera è un'istituzione che coniuga scopi e metodi antichi e moderni. Già da tempo si cerca una coesione della categoria, senza trovarla. L’Accademia ha avuto un brillante passato, ma ora i concorsi non hanno più molto senso e tanto meno le sfilate. I sarti hanno perso il controllo stilistico e non potrà essere l’Accademia, ormai burocratizzata e polverosa, a ridarglielo. In questo momento favorevole, la Camera potrebbe fare qualcosa in questo senso e certamente la visione pragmatica del Presidente Luigi Gallo è estremamente efficace. Per il momento, l’adesione alla Camera è più selettiva e quindi ha un significato qualitativo maggiore dell’Accademia. In ogni caso, nessun organismo le potrà mai garantire completamente i suoi soci, nemmeno noi. Quindi, a questa parte della domanda rispondo affermando che attualmente la media dei sarti della Camera è maggiormente meritevole di quella dell’Accademia, ma che altrove possono esistere Maestri o Sartorie di pari o superiori capacità. Inoltre anche all’interno di queste associazioni vi sono differenze qualitative che, a parte la media matematica, da un estremo all’altro possono essere notevoli. Quanto al sito della Camera, io stesso lo proposi al Presidente e me ne sarei fatto carico, ovviamente dietro un modesto compenso. Come è noto, specialmente a Lei che ne dirige una, le associazioni non si distinguono certo per le loro possibilità economiche e così del progetto non si è più parlato. Esiste però un piano, che essendo di mia proprietà intellettuale posso anche renderLe noto. Non è escluso che, qualora gli sponsor tessili o un accesso a fondi pubblici migliorino la situazione, si passi alla fase esecutiva. Per ora, questo che leggerà in calce è ciò che proposi alla Camera, su richiesta del Presidente. Qualcosa verrà attuato, ma se anche questa volta accadrà come è accaduto con l’Accademia e cioè che le relazioni e la strategia vengano lasciate ai sarti stessi, tutto si esaurirà in un nulla di fatto o tutt’al più in qualche finanziamento mal speso. La saluto cordialemnte, anzi cavallerescamente, lasciandoLa a un testo la cui lettura non pè necessaria, ma rappresenta un documento che completa nel modo più esauriente la risposta alla Sua domanda. Giancarlo Maresca CAMERA EUROPEA DELL’ALTA SARTORIA LA STRATEGIA Non c’è alcun dubbio che la sartoria viva un momento di crescita, sia come domanda del prodotto che nell’immagine sociale del Maestro. Questo periodo va gestito con piena responsabilità, studiando ed attuando le strategie che possano trarne benefici stabili per il singolo e per la categoria. Innanzitutto occorre entrare nell’ottica della Camera, che vede nel mondo della sartoria un arcipelago dove ogni isola è indipendente, ma in cui l’organizzazione e la chiara visione degli scopi permette l’accesso a vantaggi organizzativi ed economici che si ripercuotono favorevolmente su ciascun associato. La visibilità di una bandiera comune si trasmette a tutti coloro che in essa vogliono riconoscersi e sono da essa riconosciuti. Il lavoro della Camera si svolge su vari piani, ma principalmente intende interessarsi della risposta ai problemi di piccoli e grandi laboratori, che sono la visibilità e la disponibilità di mano d’opera qualificata. Per la prima occorre continuare ad alimentare l’autorità estetica del Maestro sarto, obiettivo che prevede una comunicazione continua e mirata al giusto pubblico. La presenza sulla stampa è stata già ben avviata, ma va alimentata da eventi e sostenuta costantemente da un sito internet. Per la seconda, il progetto più ambizioso della Camera è la creazione di scuole professionali organizzate con programmi parcellizzati, affiancati da una presenza concreta e massiccia dell’apprendista nel laboratorio. In tal modo si formeranno operai a vari stadi di specializzazione, che già dopo uno o due anni potranno contribuire efficacemente al lavoro di sartoria ed essere sufficienti a se stessi. IL SITO INTERNET Una presenza in rete permette un contatto massiccio e continuo col pubblico, gestito però in piena autonomia, senza passare attraverso strumenti mediatici terzi come le riviste. In tal modo si possono regolare con una sintonia fine lo stile che si intende esprimere e i messaggi che si vogliono trasmettere. Se la forma e i contenuti resteranno a livello delle premesse concettuali, la pressione continua di un lavoro interattivo in rete gioverà alla creazione di un inestimabile patrimonio di stima ancor prima che il cliente sia tale. Il futuro della sartoria non va preparato solo pensando al rinnovo dei sarti, ma anche raggiungendo e motivando nuovi clienti. Per chi sia alla prima esperienza, la decisione di passare al capo su misura è basata sulla fiducia, che normalmente si trasmette da cliente a cliente. Orbene, la stessa fiducia può essere accelerata e diffusa su scala maggiore da una visibilità all’interno di una cornice importante e qualificante qual’è quella che la Camera Europea dell’Alta Sartoria viene costruendo. Anche un’attività artigianale come quella del sarto è ormai gestita con criteri aziendali, ma proprio perché un laboratorio è sempre più simile ad un impresa ed il sarto sempre più assimilabile ad un imprenditore, la comunicazione diventa un settore che non può in alcun modo essere trascurato. Ritengo che un sito prestigioso e funzionale sia determinante per la lenta, inesorabile costruzione di un dialogo che faccia definitivamente uscire il sarto dal suo isolamento e gli offra la voce per affermare il magistero estetico che gli appartiene. CARATTERISTICHE Non basta avere un dominio internet perché esso attiri il pubblico nella quantità e qualità sufficiente a conseguire e consolidare i risultati che la Camera si pone come obiettivo. · Innanzitutto il sito deve seguire un piano generale e rispondere ad alcuni criteri di estetica e funzionalità. · Ciò significa che, una volta individuato l’obiettivo, occorre tradurlo in un programma oiperativo adeguato al mezzo, il quale a sua volta va affidato a mani specializzate. · Un sito valido prevede interventi continui, nella costruzione e nell’interazione. · Il webmaster dovrà costruire aree sempre nuove o rinnovare quelle datate, ma sarà anche necessaria una mente che coordini le risposte agli interventi dei Visitatori, la ricchezza che il sito accumulerà di giorno in giorno. SCOPI La cultura dell’abbigliamento non si tramanda più in famiglia, non è più in possesso dei commercianti, né gli stilisti in questo momento appaiono la soluzione. Al sarto che sta dietro il sistema telematico la gente affiderà volentieri i suoi dubbi, così come fa giorno per giorno in sartoria. Il sito si pone quindi anche come una porta che permetta di sbirciare un mondo appartato, di accedere a quei piccoli segreti di cui la gente è estremamente curiosa. Un universo fatto di tecnica, di regole, di abitudini, di codici stilistici. Proporre un sito tecnicamente avanzato, purché sia capace di rispondere con qualità e tempestività alle domande dei navigatori, verrà incontro ad un’esigenza che conosco bene e che ha ragguardevoli dimensioni ed estensione planetaria. Le potenzialità sono illimitate, ma occorre disporre degli strumenti giusti, cioè potenti, adeguati e costantemente manutenzionati. Fin qui parliamo dei benefici del sito quanto alla crescita di immagine della sartoria in generale, ma non minore importanza riveste l’altro obiettivo primario, cioè quello di permettere a ciascun associato di avere un biglietto da visita internazionale e godere di una continua promozione. Il curatore del sito, concordando l’azione con la Presidenza ed un apposito comitato, manterrà bilanciati i contenuti, in modo da offrire a tutti pari visibilità. STRUMENTI Sin dall’inizio occorre concordare il progetto complessivo e in esso individuare i dispositivi che andranno in rete per primi. Il sito avrà due piani: uno aperto al pubblico, vasto e curato, ed uno seminterrato, per le comunicazioni tra associati e tra associazione ed associati, allo scopo di mantenere più facile e continua la presenza del singolo nelle cose comuni. Ecco qui di seguito una geografia approssimativa delle aree più importanti, ancora da rifinire nei dettagli. L’Annuario Ciascun associato avrà a disposizione un numero di pagine che può essere uguale per tutti o variabile secondo l’investimento effettuato. Presenterà sia la storia che lo stile, ma per mantenere il necessario dinamismo è necessario prevedere il ricambio o l’aggiunta di alcune immagini e file di testo ad ogni stagione, per illustrare qualche cliente, qualche capo particolare, un suggerimento stilistico. Ciascuno disporrà così di un proprio sito, che apparirà nelle ricerche effettuate in rete, senza doversi assumere un onere privato. Chiunque si rende conto che oggi apparire in qualche modo nei motori di ricerca, fare cioè in modo che digitando il proprio nome venga fuori un indirizzo che chiarisca qualcosa di se, è diventato indispensabile per chi gestisca un’attività individuale e abbia contatto col pubblico. La soluzione proposta mantiene bassissimi i costi, offrendo un risultato ineccepibile e funzionale da tutti i punti di vista. Al server del sito sarà anche collegato un indirizzo mail con estensione tipo: luigigallo@cameraeuropeadellasartoria.it L’architettura interna prevederebbe le seguenti zone: · Una copertina con un ritratto del Maestro sullo sfondo della propria sartoria · In calce, un menu uguale per tutti, con icone divertenti: · Scheda biografica, basata su uno schema fisso, illustrata · Scheda stilistica, basata su uno schema fisso, illustrata · Visita al laboratorio. Presentazione dell’ambiente, dei materiali, delle tecniche e di eventuali collaboratori, con immagini e possibilità di inserire filmati, tutto a cura del singolo · Il lavoro. Galleria illustrata e commentata di capi realizzati ed in via di realizzazione, anche con foto di clienti · Mappa. Mappa stradale per raggiungere la sartoria. · Un altro motivo. Suggerimenti su altre attrattive della città. Questi commenti metteranno in luce le altre attitudini del maestro: la passione per la cucina, per l’arte, per il vino, etc., definendone meglio la personalità e l’individualità. La fiducia che intendiamo suscitare non può fondarsi sulle chiacchiere e sulla retorica. Le presentazioni di cui sopra offriranno la visione delle differenze esistenti tra i sarti, tutti uguali nella dignità, ma non nell’atteggiamento e nei risultati. Queste stesse differenze vanno vissute anch’esse come un patrimonio. Apparirà il sarto più confidenziale, adatto ai neofiti, così come quello più autorevole, adatto alla clientela conclamata. Si esprimerà però anche l’evoluzione di un laboratorio, come in un diario aperto. Nulla sarà trascurato per far ben figurare ciascuno, ma se si volesse sembrare tutti uguali, il sito resterebbe solo un’apparecchiatura propagandistica e mai potrebbe divenire uno strumento culturale che permetta di essere sempre più ascoltati, creduti, richiesti. Il Guardaroba In questa sezione verrà proposto e tenuto aggiornato un guardaroba virtuale. Dalla copertina si passerà alle seguenti aree: · Un commento introdurrà il concetto di guardaroba · Un’altra fornirà un Piano generale, con diverse soluzioni per le diverse attitudini, età e possibilità. Quando possibile, ai capi saranno abbinate immagini e citazioni dell’autore e dei materiali usati. Ciò permette da un lato di mettere in luce il lavoro dei Soci, dall’altro di attrarre e favorire sponsors del campo tessile. Le immagini man mano si sommano senza che mai nessuna venga cancellata, diventando così una rivista stabile di moda e tecnica sartoriale. · Novità. In questa sezione si proporranno e commenteranno i dettagli stilistici, tecnici e cromatici verso i quali si orienta il gusto sartoriale. Va sistemata una nuova scheda almeno una volta al mese, con una turnazione tra i soci. La sezione potrà essere arricchita con un figurino commentato. · Consiglio anche una sezione sul classico, da aprirsi in un secondo momento. Eventi La sezione verrà aperta appena saranno programmati i primi eventi. Servirà prima a lanciarli e poi a conservarne memoria. La Presentazione Dichiarazione dettagliata degli scopi e metodi della Camera, che si risolverà in una sorta di dichiarazione di indipendenza della sartoria dallo stilismo. Questo è a mio avviso uno dei temi principali, l’obiettivo verso il quale tendere subito e con forza. E’ ora che i sarti si riapproprino di quel magistero in materia di tecnica e ricerca, di quella posizione avanzata che fu loro quando per primi portarono il Made in Italy nel mondo. Questo primato è stato a lungo usurpato dagli stilisti, che ora appaiono in netta difficoltà come prestigio e come risorse. Prima che si riorganizzino, ovvero, come sta accadendo, risorgano sotto altre vesti, bisogna far capire che la bottega artigiana è il luogo privilegiato del gusto, dove non si acquista solo una merce, ma una visione del mondo. Parte Interna Vi sarà il Libro Soci, coi recapiti di tutti gli affiliati, un forum per proporre ed intervenire su questioni e problemi dell’associazione, nonché una sezione con gli atti e contatti più importanti. Potrà anche istituirsi un borsino con la comparazione di prezzi e i consumi periodici dei vari materiali, in vista di un consorzio di acquisto. Poiché non tutti saranno pratici del computer, questa ed altre attività devono essere affidate alla diligenza del webmaster, che a scadenze fisse si occuperà di chiamare ciascun associato e raccogliere i dati già concordati. Napoli 19.IV.05 f.to: Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-12-2005 Cod. di rif: 2261 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La condanna di Montezemolo. Commenti: Egregi Vicerettore Forni e Cavaliere Villa, è ovvio che, presa per se stessa, la giacca illustrata nei Taccuini nn. 2194 e 2196 non merita molta attenzione. Senza girarci troppo intorno, ripeto qualcosa che avevo già detto e che chiude questa parte del discorso: non è bella. La nostra Scuola non ha mai posto Montezemolo tra gli uomini eleganti e quindi non si pone nemmeno il problema già diffusamente affrontato secondo cui ciò che viene da un Elegante va criticato sul piano dell'Eleganza come il prodottto di un'Artista va spiegato sul piano dell'Arte. Montezemolo, però, veste da sempre bene. Prima che si producesse a Capri, durante lavori di Confindustria, in quell'uscita contro la cravatta, godeva anche della mia considerazione. Si tratta comunque di un uomo che con tutta evidenza prende molto sul serio l'abbigliamento e lo cura con attenzione. Avendo molte frecce al suo arco, ci si può divertire a discutere su una sua scelta come probabilmente lui stesso si è divertito nell'assumerla. E' indubbio che l'uomo d'oggi sia stato spinto a credere che libertà e divertimento siano da cercarsi nella direzione opposta al classico e che quindi alleggerirsi o esprimersi siano verbi coniugabili solo in jeans o similia. Forse perché vorrei vederlo anche dove non c'è, ma l'esempio di quella foto di Montezemolo mi fa credere che egli abbia voluto rendere piccante un impianto tradizionale con il peperoncino dell'estremismo nei dettagli. In definitiva, che abbia almeno cominciato a tentare ciò che oggi si potrebbe proporre come soluzione alla svuotamento del serbatoio della dignità estetica maschile: trovare la via per giocare col classico e usare la sua lingua con una nuova metrica, adeguata ai nuovi concetti da esprimere. Quella del Luca Cordero di Montezemolo è un'operazione non perfettamente riuscita in quanto resta su un piano troppo sofisticato, cioè non leggibile da tutti. L'eleganza è una mattonata dalla quale si viene colpiti subito e in piena faccia, lasciando poi ai critici il compito di rivelarne l'origine e di spiegare ai volenterosi imitatori che essa è irriproducibile. Quanto a Montezemolo, un uomo che si ravvia i capelli è condannato a restare sempre molto, ma molto lontano dall'eleganza. Un principio senza eccezioni, da tutti riscontrabile nella pratica, è che l'uomo elegante non si tocca e non tocca i suoi abiti in nessuna occasione: né per grattarsi, né per scostarsi il ciuffo, né per smacchiarsi, né per aggiustarsi il nodo della cravatta o regolare il fazzoletto. Quindi Luca è fuori dalla classifica e credo che, in fondo in fondo, lo sappia sin troppo bene. Poiché è arrivato all'età in cui si vuole anche essere un po' se stessi, vuole forse tentare una strada che noi sappiamo essere a lui preclusa, ma forse lui non lo sa. In ogni caso, mentre la giacca di un uomo che ne ha dieci e magari non può vantare il curriculum di Montezemolo potrà essere considerata sbagliata e basta, quella di chi ne ha infinite e con esse si è sempre attenuto alle forme canoniche apre (anche) altre considerazioni. Soprattutto se nella sua confezione si intravvede un innegabile talento tecnico e stilistico. In conclusione, meglio sapere che potrebbe facilmente essersi trattato di un episodio sporadico, di un caso o di un errore. Vedremo in futuro. Quanto alla domanda di Rizzoli, credo che Franco Forni si riferisse all'effetto un po' spento della cravatta. Il blu, tinta "intera", non andrebbe accostato al celeste, che è il suo "mezzo". Così per marrone e beige, etc. Spero comunque che Forni chiarisca meglio il suo pensiero, rispetto al quale potrei aver equivocato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-12-2005 Cod. di rif: 2264 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappotti a colpo sicuro - Risp. al Cav. Rizzoli gesso 2263 Commenti: Egregio cavaliere Rizzoli, ultimamente ho visto sul trevigiano Lorenzo De Negri, comparso nel Taccuino per il suo panciotto di lana (Appunto n. 2158), un esemplare pressoché perfetto. Era stato realizzato qualche anno fa dal genio di Luciano Bonello, sarto veneziano ritiratosi per dedicarsi alla pittura. Sempre a Venezia, è attivo un allievo del grande Napoliello, forse il più bravo tecnico che l'Italia abbia mai avuto. Si chiama Franco Puppato e nel Florilegio troverà una descrizione della sua opera e della sua persona, nonché i recapiti. Ivi dichiara anche di essere stato influenzato dal Bonello di cui sopra. La scuola veneta, anche per l'influenza di questi vati, è attualmente quella che mi sembra più forte in Italia insieme a quella napoletana. Puppato è senz'altro in grado di centrare un Ulster o qualsiasi altra foggia di cappotto al primo colpo e senza sbavature. Il problema è che, anche nella sua semplicità umana, a livello professionale è una star, con tempi e prezzi a livello di quei grandissimi di cui fa parte a pieno titolo. L'abito costa non meno di duemilaottocento cucuzze e quindi un cappotto parecchio di più. Il suo nome non risuona fuori da un ristrettissimo circuito perché produce tutto in proprio e quindi dal suo laboratorio in Calle dei Fabbri escono pochissimi capi. Posso assicurare, però, che nel monopetto e nel cappotto questo Maestro rasenta la perfezione. Nel doppiopetto divergo talvolta dalle sue scelte, ma resta comunque un fuoriclasse. Il suo originalissimo metodo di taglio, disceso da quello di Napoliello, gli consente di realizzare o replicare con sicurezza qualsiasi capo. Se quindi ha un modello o una foto non ha che da mostrarla. E aspettare che l’incredibile, puntualmente, accada. L'impostazione costruttiva è sciolta, la linea armoniosa. I pantaloni, dal taglio zen, tendono ad un minimalismo che valorizza in maniera impressionante le taglie non forti. A questo punto, accludo nel Taccuino un paio di Appunti con immagini di lavori recenti del Maestro Puppato. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-12-2005 Cod. di rif: 2268 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ricerca e patrimonio linguistico - Al Rettore Commenti: Sommo Rettore e caro Amico, approfitto della breve descrizione dell'Ulster, il capo che riproponi negli Appunti nn. 2198 e 2199, per lodare l'originalità ed espressività di alcuni termini. Ci hai da sempre abituati ad un linguaggio basato sulla preponderanza del taciuto sul detto, dove ogni termine è scelto con cura. Ho però particolarmente apprezzato la locuzione riferita a questo cappotto che, come ci dici, "dona una certa imponenza e qualificazione ad ogni taglia". L'imponenza, anche se oggi non va di moda, la conosciamo o crediamo di conoscerla. Ma la qualificazione ... E' un adattamento estremamente eloquente di una terminologia estranea al gergo abituale dell'abbigliamento. Come sai sono convinto che la validità ed anzi la possibilità di una ricerca passi sempre dall'uso di un linguaggio condiviso, di definizioni chiare. Poiché parole come queste non si trovano per terra o nei messaggi SMS, ora più che mai so che anche tu attribuisci alla sfera lessicale la stessa importanza. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-12-2005 Cod. di rif: 2269 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'età delle Guide - Risp. Gesso n. 2266 Commenti: Egregio professor Pugliatti, la Sua domanda sul doppiopetto, pur legittima, ci mette tutti in guardia sui rischi che si corrono indicando luoghi e persone. Il castello non vuole essere un display luminoso sul quale scorrono classifiche. L'abitudine di dire al popolo: "Questo è il miglior prosciutto" ha finito per renderlo cieco e ignorante. Chiunque, infatti, si sentirà un grande gourmet acquistando quella marca. La sfoggerà a tavola con gli ospiti, decantandone pregi che ha appreso da altri. In tal modo, la selezione prodotta da una cultura approfondita si sposta sul piano del semplice aggiornamento, soggetto alle mode. Quest'anno si porta questo vino, l'anno successivo sarà più "in" quell'altro e così via. E' così che si è arrivati oggi a quella che possiamo senz'altro definire "L'età delle Guide". Ebbene, i Cavalieri sono fieri avversari di questo e di ogni altro tipo di indottrinamento massificante e non scriveranno mai Guide. Noi lavoriamo perché chi sia interessato e predisposto possa guidarsi da se. Ci interessa scoprire in prima persona il come ed il cosa, non diffondere ai quattro venti a chi e dove chiedere. La pappetta pronta è per i ragazzi, mentre l'Ordine riconosce valore alla maturità. Sull'altro piatto della bilancia si pesano il piacere e talvolta l'opportunità di rivelare una scoperta o di riconoscere un merito. Accoglierò quindi la Sua domanda, ma cercherò di presentare più capi e più maestri, ciascuno con caratteristiche interessanti. Nego però sin d'ora ogni valore gerarchico alla comparsa in queste nostre aree. Al castello si studia, si elabora, ma il mondo è tutto là fuori, pieno di sorprese, di cose ignote, di none porte. Nessuno, tanto meno il Gran Maestro, ha titolo per dire agli altri dove andare o cosa acquistare. Ho avuto giacche meravigliose, ma ciò non mi ha impedito di amare ancor più quelle piene di difetti. L'abito, arrivati a questo punto della ricerca, è una cosa personale come un sentimento. Non pensiamo ad esso in termini di perfezione esteriore, ma di congruità ed appartenenza. Dopo aver superato la troppo facile dicotomia tra bene e male, tra bello e brutto, si apre innanzi al ricercatore delle essenze la foresta distesa tra i confini del giusto e sbagliato. Da essa non si uscirà mai tutti insieme con il sapere acquisito in fretta, con gli elenchi o le classifiche da rivistine settimanali, ma solo uno per volta e da punti diversi, dopo aver trovato ciò che è proprio, ciò che è giusto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 22-12-2005 Cod. di rif: 2272 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Scuola Veneta Commenti: Signori Cavalieri, Venerabile Gran Maestro, Vedo chi si parla di Scuola Veneta; ebbene non e' possibile palare di questa Scuola senza, almeno, un accenno a quello che è il suo esponente più giovane e dinamico. Non dico "emergente", perché ormai siamo alla seconda generazione. Parlo di Adamo De Togni da Raldon - Verona e suo padre Luciano. Dico solo che il Maestro Adamo ha "lavato i panni nel Golfo" (di Napoli), e i risultati si vedono; intanto si assiste ad un esodo da Milano (e non solo) verso Raldon - Verona. Vorrei solo tributare un grazie al Maestro Luciano, autore di asole "da piangerci sopra". Cavallerescamente, Giona Valerio Granta. PS La giacca di Puppato è molto bella, forse "troppo"; mentre vedo che i committenti continuano a chiedere pantaloni troppo bassi di vita. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2005 Cod. di rif: 2274 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria De Togni Commenti: Egregio Cavaliere Granata, sono contento che abbia citato l'attivissimo Maestro De Togni e la sua sartoria. Lo abbiamo visto in molti dei nostri Laboratori, tanti che alla fine ha voluto farsi nostro Socio. Da allora mi giungono referenze eccellenti ed attestati di stima e soddisfazione da più parti e da più regioni. Visto che siamo in argomento, Le chiederei di spedirmi qualche immagine di lavori recenti, al fine di aggiornare l'area a lui dedicata nel Portico dei Maestri. Sono preferibili le foto su persone fisiche e non su manichini. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Francesco Murgia Data: 24-12-2005 Cod. di rif: 2276 E-mail: Cipolipo@cipolipo.com Oggetto: Orologio da taschino Commenti: Salve a tutti. In occasione del mio compleanno mi è stato regalato un bellissimo IWC d'oro del 1930 tripla cassa vorrei chiedere a voi esperti i vari modi di poterlo indossare e quale sia a parer vostro il più elegante. Vi ringrazio anticipatamente per le vostre risposte e vi auguro un Felice Natale e un prospero anno nuovo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-01-2006 Cod. di rif: 2285 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I rischi del piacere - Al Cav. L. Villa Commenti: Egregio Villa, non c'è nulla che Lei non abbia visto ed il Suo commento descrive molto bene ciò che la giacca di Sciamàt vuol dirci. Come dicevo nell'Appunto 2210, l'ornato comporta nuovi piaceri e nuovi rischi rispetto all'architettura (o sartoria) puramente strutturale. Abbiamo da poco visto come Montezemolo, quasi ignorato sin quando si è accontentato della correttezza silenziosa, abbia attirato commenti e critiche appena si è spostato verso la fantasia. Non ammiravo la sua giacca, se non per certi dettagli di eccezionale fattura, come i mezzi punti, i baveri e le maniche. Apprezzavo però l'atteggiamento di chi vuol divertirsi cimentandosi con l'arduo linguaggio del classico. E’ un atteggiamento che ha la sua nobiltà, in quanto pericoloso per se stessi, ma utile agli altri. Infatti, in presenza di presupposti di rispetto e non del saccheggio indiscriminato, anche se mancano i risultati un azzardo può contribuire a rimescolare acque che possono imputridirsi, se ristagnano in fogge e materiali troppo standardizzati. Il doppiopetto di Sciamàt voleva dimostrare che non c'è bisogno di accoppiare Montezemolo e Rubinacci per combinare qualche guaio, azzeccare un capolavoro o semplicemente per osare. Si parla tanto di sport estremi, ma l’estetica senza rete è molto più pericolosa e può portare all’emarginazione, alla rovina e anche alla morte, come molti dandy hanno sperimentato. Qui non siamo al dandysmo, ma un certo compiacimento non manca e non viene nascosto. Ricci, forse, è salito un po' troppo, ma guardando molte giacche di questi anni vedrà la stessa quota. Nel paragone tra una giacca odierna ed una di sei anni fa, facevo notare all'Appunto 2209 come anche un tradizionalista come Solito avesse portato la punta del bavero almeno un dito più in alto. Il fenomeno è assai significativo e prova ciò che volevo provare. Anche chi avverte il richiamo dell’attualità e vuole (o deve) essere giovanile, può trovare risposta nella giusta sartoria. Non dobbiamo dimenticare che in certe professioni praticamente non si può più farsi vedere da clienti e interlocutori indossando un abito autenticamente, prepotentemente formale. Possiamo forse immaginare un agente pubblicitario, il direttore di un negozio in franchising o l’amministratore di una grande azienda fortemente competitiva, con un completo come quello di cui all’Appunto n. 2208? Il dovere di sembrare giovani e spigliati obbliga sempre più persone a collocarsi in un registro estetico immediatamente assimilabile. Perché non sia anche noioso e prevedibile, qualcuno che in segreto vuole ancora vestire potrà segretamente andarsene in una sartoria di questo tipo. C’è infine una considerazione ottica. Nel caso in oggetto, il rever giunge effettivamente oltre il Circolo Polare e lo si vede dalle punte che decollano, lasciando il contatto col petto anche in un bavero evidentemente parecchio lavorato. Quando ho visto la giacca dal vivo, l’estremismo non appariva così spinto. Va detto infatti che, per evitare che nella foto la giacca si schiacci, le mie immagini (credo che valga anche per i professionisti) vengono riprese all'altezza del suo centro e quindi non rispettano il normale nostro punto di vista, più in alto delle spalle. Ciò fa otticamente spostare la punta più su di quanto non sia in realtà. Faccio tesoro della Sua osservazione e spero, in futuro, di ricordarmi ed avere modo di scattare sempre qualche foto anche dall’altezza dell’occhio umano. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-01-2006 Cod. di rif: 2289 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una domanda è un dovere. Che c'è di meglio? Commenti: Egregio Professore, non ho mai avuto dubbi sulle Sue preferenze ed è stata proprio questa certezza a mettermi sulla strada della tripartizione degli stili secondo i principali ordini architettonici. Se conoscendo i gusti di una persona è possibile prevederne o almeno immaginarne una scelta, deve esserci un algoritmo estetico che lega l'essenza di quella cosa all'indole di quella persona. Poiché la combinazione tra gli strati profondi della materia estetica e del temperamento umano è proprio ciò che sta alla base dell'universale e immortale successo della codificazione architettonica classica, il passaggio verso il parallelismo che abbiamo introdotto nel Taccuino appariva tanto logico e naturale che mi sembra impossibile non sia stato già teorizzato. Già in passato, quando formulai la teoria degli "occhi", mi sono imbattuto in teorie simili di età precedente. Non mi stupirei ed anzi troverei conforto se capitasse anche in questo caso. A questo punto La ringrazio per avermi offerto un nuovo dovere con la Sua richiesta. Essa mi ha messo in condizione di rispondere secondo le esigenze del nostro stile, che non vuole essere cattedratico e conclusivo, ma orientato al comune arricchimento della ricerca. Una buona risposta è quella che ne richiede altre e questo dimostra come siano le domande, i dubbi, che offrendo ai ricercatori nuovi doveri impongono loro nuovi stimoli. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-01-2006 Cod. di rif: 2291 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La varietà ed i compiti del castello. Al Cav. Villa Commenti: Amatissimo Cavaliere Villa, era ovvio che fosse la giacca di Sciamàt ad attirare più commenti. Come si diceva a proposito del corinzio, è proprio questo lo stile più rischioso, quello cui nulla si perdona. Come Lei ha compreso, non ho inserito questa giacca perché potesse essere un esempio. Essa è importante in quanto segnala quanta brace covi sotto la cenere, perché è una boa che segnala la presenza di correnti che solcano acque apparentemente immote, di idee nuove, di risposte ad esigenze diverse, di forze che si avvicendano, di gente che sa e tuttavia ancora cerca. Se avessi presentato due o tre belle giacche, diciamo pure le più belle del mondo, ma dello stesso stile, non sarei andato lontano da quella Mariantonietta che della gente che si lamentava della mancaza del pane disse: "Perché non mangiano brioches"? Non si vive di solo pane? Sbagliato. Non si farà una gran vita, ma c'è chi pane e acqua tutti i giorni lo desidererebbe eccome. Si vive anche di solo salmone, ma alla lunga, come l'ipercorinzia giacca di Montezemolo ci ha fatto vedere, stanca nello stesso modo anche una dieta di questo tipo. Torniamo allora all'origine di tutto, che sono le differenze. Senza un bacino di diversità, non esisterebbe né scelta, né gusto. Lasciamo alle guide ed alle maestrine il compito di orientare i ragazzi su parametri fissi. I più grandicelli, ormai smaliziati e insofferenti alle lezioncine precotte, godono delle contraddizioni, dei contrasti, della varietà. I grandi, giunti, alla maturità, perdonano molti errori ed appena lo vedono incoraggiano il talento. Anche quando sbaglia, anche a rischio di sbagliare loro stessi. Tale sia sempre il compito del castello, che è quello dei veri Maestri: mostrare, non insegnare. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-01-2006 Cod. di rif: 2298 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Corinzio: tesori e carabattole - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio Pugliatti, ritengo utile precisare che la tripartizione stilistica attribuisce al corinzio un ruolo originario e stabile, quindi preesistente a questo e ad ogni altro corso estetico. Le nuove tendenze si manifestano sempre all'interno di questa tipologia espressiva, ma non sono loro a crearla. Diciamo che in un'epoca l'ornato corinzio si manifesterà attraverso i colori, altre volte con le fogge, altre coi materiali e quasi sempre con la combinazione dei tre fattori. Ciò che qualifica il corinzio è la volontà estetica dichiarata, quindi un criterio generale, non un dettaglio in particolare. Lo sforzo non vi è dissimulato come nello ionico, né solennizzato fino all'astrazione come nel dorico. Non direi però che il corinzio sia sempre artificioso, ma piuttosto che non nasconde l'artificio. Se le sue velleità di bellezza non sono inquinate da sensi di colpa da un lato e da tracotanza dall'altro, ci sono speranze che qualcosa di ciò che la nuova onda ha portato resti sulla spiaggia. Spesso è una vecchia conchiglia o una bottiglia sbreccata, talvolta una gemma dalla misteriosa origine. Che tratti carabattole o tesori, il corinzio è sempre lo stile più discusso. La volontà che vi viene espressa genera inesorabilmente competizione e di conseguenza allarme, in qualcuno indignazione e via così, sino allo scandalo. Lei sa bene quello che vuole, ma si tratta di capi già esistenti o esistiti e come tali documentabili. Comprenderne la natura e poi, una volta carpitene i segreti, sapere che qualcuno potrà realizzarli ci è di gran conforto, ma altrettanto importante è la missione di chi si impegni nel materializzare qualcosa di cui non sappiamo la formula precisa. Le giacche di Sciamàt che Lei stesso ha illustrato nel Taccuino, così come quella riportata da me, sono tutte di clienti reali. Qualcuno le ha desiderate così, o ha fatto attraverso di esse uno sforzo per avvicinarsi ad un progetto che aveva in mente e che non è ancora messo a punto. Così, attraverso i tentativi e gli errori, l'umanità avanza. Il passato giace inascoltato e incompreso, sicché gran parte del lavoro qui al castello è di restauro e interpretazione. Non vogliamo, però, commettere l'errore di una musealizzazione generale del gusto. Lo sguardo va rivolto all'indietro per rendere giustizia a ciò che è frainteso, ma non si deve aver paura di guardarsi intorno. Non ci sarebbe futuro, per il classico, se cancellassimo dei suoi tre stili quello attraverso il quale giungono sì i mali, ma anche le spinte evolutive. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-01-2006 Cod. di rif: 2306 E-mail: gran.maestroònoveporte.it Oggetto: Il metro: uno strumento pericoloso - Risp. al Gesso 2305 Commenti: Egregio Cavaliere ed Avvocato Ricci, non posso che concordare sulla Sua attenzione all’uomo ed alla parte speculativa della critica dell’abbigliamento. Non è però col centimetro che si avanza in questa direzione. Vedo che è ansioso di cimentarsi con la parte quantitativa dei dettagli, cioè le quote e le misure. Già qualche tempo fa, a proposito di baveri, si cominciò a parlare di centimetri. Non feci nulla per alimentare la discussione ed anzi cercai di pilotarla verso una secca. Ritenevo che non fosse ancora giunto il momento, innanzitutto per me, per affrontare questi aspetti. Poiché il castello si pone come una scuola di pensiero, occorreva ed occorre ancora fondare a livello di Accademia un linguaggio condiviso e a livello di singoli una visione d'insieme. Il Rettore con il dizionarietto e con le sue ricognizioni storiche e stilistiche, cui hanno partecipato anche altri autorevoli Visitatori e Soci, ha dato un importante contributo. Io ho agito sul piano della teoria pura e dell’osservazione emotiva, cercando di alimentare la curiosità e la tolleranza. E' assolutamente da evitare la consegna prematura di strumenti che potrebbero rivelarsi dannosi. Vista l’indubbia influenza che abbiamo su un uditorio non tanto vasto, ma attento e fiducioso, vedo come un possibile pericolo l’inquadramento matematico dello stile. Detto che il tale effetto è riconducibile ad una certa misura, già vedo legioni di committenti che dal sarto impugnano il metro per verificare la spalla e imporne lo sviluppo preciso. Invece dello studio, dello stupore, della volontà conservativa di una realtà viva, rischieremmo di favorire il suo congelamento. Prima di analizzare il particolare, occorre impadronirsi dei concetti generali al punto che l’occhio rimanga sempre su un piano di profonda valutazione artistica e non si impigli nelle trappole superficiali tese dal tecnicismo. Diversamente, si potrebbe facilmente finire come quei sommelier che smontano un vino fotogramma per fotogramma, dimenticando che si tratta di un film. Guardando gli Eleganti che si isono avvicendati nel Taccuino, infiniti sono gli errori che potremmo imputare all’Avvocato o al Duca, a Churchill o Niven. La geometria tende ad una perfezione che lascia sempre insoddisfatti, se non sostenuta dalle caratteristiche individuali e dalla potenza dello spirito. La visione umanistica dell’Ordine impone rispetto per i gusti personali e finanche per i difetti, che se perdoniamo agli amici possiamo a maggior ragione perdonare ad un abito. L’amore è proprio in questo perdono e, senza di esso, staremmo decisamente perdendo tempo. Se avessimo una tribuna pronta ad alzarsi ogni volta per dire” signora maestra, io lo so chi è stato!”, avremmo creato una scolaresca, non un’Accademia. E’ ovvio che il metro ha la sua importanza, ma in questa Lavagna vorrei che si continuasse a farne quanto più possibile a meno. Poiché si avvicina sempre più il momento in cui si potranno e dovranno affrontare alcuni principi cardine, cosa che abbiamo evitato per non sembrare coloro che volevano dettare le tavole della legge, potrebbe essere il caso di lavorare ad un’altra area tematica, tutta rivolta alla parte squisitamente tecnica e scientifica che Lei presagisce. La Sua specifica competenza e quella di sarti vicini o interni all’Ordine potrebbe essere preziosa. Appena saranno state varate alcune nuove aree e sistemi che sono già in avanzato stato di lavorazione, indiremo una riunione della Guardiania di Porta per valutare i modi per creare una sezione di approfondimento specialistico. Cavallerescamente, Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Sergio Starace Data: 11-01-2006 Cod. di rif: 2307 E-mail: sergio.starace@tiscali.it Oggetto: Chiarimenti Commenti: Cavalieri, mi chiamo Sergio e ho da poco compiuto 32 anni. Ormai da qualche mese con una certa periodicità mi piace visitare il sito delle "Noveporte". Apprezzo, in particolare, la lavagna del'abbigliamento, pagina nella quale si possono trovare molti spunti oltrechè storie davvero interessanti su vari capi di abbigliamento. Meritevoli risultano essere anche le rassegne fotografiche riportate nel Taccuino di viaggio. Le fotografie di David Niven piuttosto che quelle dell'Avvocato, mi fanno venire in mente una differenza tra "l'uomo ben vestito" e "l'uomo elegante". Vorrei conoscere il pensiero dei Cavalieri e del Gran Maestro su tali concetti e sulla loro scindibilità/inscindibilità. Grazie Sergio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-01-2006 Cod. di rif: 2309 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La Divertita Scienza Commenti: Egregio Ricci, le Sue buone intenzioni sono fuor di dubbio e le avevo già intuite. Non volevo maltrattarLa, quanto approfittare di una parolina per fare un discorso sulla direzione assunta dall'opera cavalleresca e sulla funzione dei vari settori di aree che, come questa sull'Abbigliamento, hanno ormai una certa complessità e in futuro offriranno altri sistemi. Vedrà, nel Taccuino, che per spiegare il concetto di spalla rovesciata, ovvero Naturale Convessa Propria, ho affrontato un discorso decisamente tecnico. La comprensione di certi criteri non ci deve però mai servire per clonare, ma per capire e capendo godere meglio dei prodotti e dell'inclinazione che per essi avvertiamo. Questa Divertita Scienza sempre deve essere improntata alla divulgazione, all'interno del castello, di conoscenze che solidifichino quel linguaggio comune che - non lo ripeterò mai abbastanza - è lo strumento principale di ogni ricerca. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-01-2006 Cod. di rif: 2311 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una richiesta inevasa. Alla generalità dei frequentatori Commenti: Egregi Cavalieri e Visitatori, i più assidui avranno notato che il sito è restato oscurato per circa due giorni. Forse questa circostanza ha fatto passare inosservata il Gesso n. 2307 del signor Starace. La sua richiesta è alquanto ponderosa, in quanto coinvolge definizioni importanti, non tutte chiarite. Proprio per l'interesse epistemologico, spero che qualche Cavaliere o altri tra i più competenti frequentatori del castello voglia cominciare ad affrontare il tema, così come farò anch'io tra qualche giorno. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 25-01-2006 Cod. di rif: 2319 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Eleganza e Sprezzatura Commenti: Il segreto dell’eleganza sta nella “sprezzatura”, ovvero nel creare un’immagine estetica affascinante senza che se ne possa vedere la congerie di azioni che hanno dato vita a quell’immagine. Il concetto di sprezzatura è stato definito e così denominato dal cinquecentesco conte mantovano Baldesar Castiglioni ne “Il libro del Cortegiano”. Più di recente lo scrittore napoletano Raffaele La Capria ha dato della sprezzatura una reinterpretazione, definendola lo “stile dell’anatra”, la quale fluisce leggera sull’acqua nascondendo sotto la superficie il frenetico agitarsi delle zampette. <<...Ma avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l'hanno, trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcuna altra, e ciò è fuggir quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia; perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia. Però si pò dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l'omo poco estimato...>> <<...Questa virtù adunque contraria alla affettazione, la qual noi per ora chiamiamo sprezzatura, oltra che ella sia il vero fonte donde deriva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento, il quale accompagnando qualsivoglia azione umana, per minima che ella sia, non solamente subito scopre il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto; perché negli animi delli circunstanti imprime opinione, che chi così facilmente fa bene sappia molto più di quello che fa, e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio...>> Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-01-2006 Cod. di rif: 2322 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ringraziamenti Commenti: Egregio professore e valoroso Cavalier Barone, il Suo contributo giunge ancor più apprezzato in considerazione dei Suoi numerosi e prestigiosi impegni. Quando avrà terminato la traduzione, può pubblicarla di Sua iniziativa o mandarla alla Cancelleria in formato Word. In tal caso, provvederemo dalla sede centrale. Cavallereschi saluti. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 30-01-2006 Cod. di rif: 2323 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Lo stile come arte marziale Commenti: "Affinare lo stile è a tutti gli effetti un'arte marziale. Lo stile è resistenza culturale e simbolica, sorta di "zapatismo mentale". attraverso la cura dei dettagli si esprime il senso di dignità, che non va mai confuso conil "decoro" borghese". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 30-01-2006 Cod. di rif: 2324 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Lo stile come arte marziale Commenti: Lo stile come arte marziale: Affinare lo stile è a tutti gli effetti un'arte marziale. Lo stile è resistenza culturale e simbolica, sorta di "zapatismo mentale". Attraverso la cura dei dettagli si esprime il senso di dignità, che non va mai confuso con il "decoro" borghese. (Wu Ming 1 - 2001). L'arte marziale come stile: Vedi il sito della < Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-01-2006 Cod. di rif: 2328 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Rubinacci e Attolini - Risposta al Gesso n. 2325 Commenti: Egregio signor Segattini, Rubinacci e Attolini sono case autonome. La prima ha una prestigiosa offerta su misura, cioè totalmente artigianale, nonché una linea di confezione pronta. Ma il marchio Rubinacci non individua tanto una linea di prodotti, quando un sistema di pensiero agli antipodi del total look, un modo di concepire l’estetica maschile che si colloca con i piedi nella tradizione, gli occhi nel futuro e le mani ben affondate nel presente, onde goderne quanto più possibile senza essere legati ad una griffe omologante. Infatti, nella maison la produzione non è l’unica attività e nemmeno per forza la principale. Rubinacci ama vendere se stesso, ma non punta al monomarca, perché ha il dono di saper scegliere e presentare. Con queste doti e finché esse si rigeneranno in famiglia, Rubinacci potrebbe anche diventare una sorta di franchising, ma non sarà mai un’industria. Resterà un’azienda mercantile. L’attività è orientata al commercio del proprio prodotto e di altri in atelier forti di un gusto atavico e infallibile, di un talento imprenditoriale non comune, di una visione internazionale, di un buon capitale e di una credibilità immacolata. La ditta Attolini è invece orientata alla produzione e distribuzione ed ha un vero e proprio stabilimento industriale. L'elevata qualità delle materie prime, le superiori capacità della dirigenza e la cultura profonda da cui essa attinge direttamente e non tramite terzi, rendono i suoi capi tra i migliori della categoria. Attualmente è in mano a Cesare (sarto, ma soprattutto tecnico e disegnatore, figlio di Vincenzo) insieme ai figli Giuseppe e Massimiliano. L'azienda ha assorbito anche il laboratorio artigianale di Via Vetriera in Napoli, fondato da Claudio Attolini. Un terzo fratello, Tullio, ha un laboratorio indipendente. Mi interesserebbe sapere come si è generato l'equivoco che Le ha fatto credere che gli abiti ordinati da Attolini venissero confezionati da Rubinacci. In effetti un antico legame c'è stato eccome, ma sorse negli anni trenta per interrompersi alla fine degli anni sessanta. Il filo storico si snoda tra miti e leggende e non è facile da dipanare. Prima della Grande Guerra era già attiva la sartoria di Salvatore Morziello, nella quale era socio di capitali anche quel De Nicola destinato ad aprire in Piazza Vittoria una sartoria di particolare importanza, dove vestirono anche i reali. Morziello entrò in società con Giovanni Serafini, insieme al quale aprì una monumentale sartoria a Piazza dei Martiri, in quell’angolo vicino al chiosco dell’edicola. Fu in questo crocevia, attraversato da grandi sarti e grandi clienti, che si formò Vincenzo Attolini. Per capire cosa doveva essere allora l’attività sartoriale, si pensi che la bottega occupava la superficie in cui oggi trovano posto un negozio di Armani e un’agenzia della BNL, qualcosa come cinquecento metri quadrati. Attenzione, perché Giovanni Serafini era suocero di Gennaro Rubinacci, collezionista d’arte e immenso uomo di gusto, che sta appunto per entrare in scena come un protagonista di questo periodo epico. Per qualche tempo Serafini e Morziello ebbero un terzo partner fuoriclasse, Eugenio Marinella, ma coi primi venti di guerra la saracinesca si chiuse definitivamente su questa bella avventura. Giovanni Serafini si dedicò alle cravatte e si sistemò indipendentemente a Roma, dove in Via dei Condotti sorge ancora il bel negozio del nipote Roberto. Intanto, a Napoli, il genero Gennaro Rubinacci aveva deciso di giocare le sue carte aprendo la London House, prima in Via Chiaja e poi nella definitiva sede di via Filangieri. Avendo compreso il talento di Vincenzo Attolini, lo prese con se come primo tagliatore perché guidasse, lui giovanissimo, schiere di maestri più anziani. Nasceva così un binomio destinato a dominare la scena per decenni ed a lasciare una traccia profonda. Il gusto di Gennaro Rubinacci, che tutti ricordano come “Bebé”, trovò risposta ed anzi accelerazione nella tecnica superba di Vincenzo Attolini, cui tutto sembrava possibile. Come sostiene Mariano Rubinacci, fu lì ed allora che nacque quello che oggi chiamiamo casual. Le necessità climatiche e l’esuberanza estetica partenopea portarono ad un alleggerimento degli interni, delle linee, della costruzione. Queste soluzioni, però, si andarono ad abbinare ad una scelta di colori e materiali che non solo conferiva praticità, ma un’immagine diversa dell’uomo. Non cambiava una forma, ma un concetto. Sotto la spinta di Domenico Caraceni e altri contemporanei, anche la scuola abruzzese attiva a Roma alleggeriva la struttura della giacca, ma senza osare tanto. Si offriva all’uomo un maggiore comfort, ma il suo aspetto non cambiava di molto. Fu proprio qui l’invenzione, il sovvertimento che in quegli anni e grazie a quegli uomini maturò nella scuola napoletana. Coi suoi spiombi, con quei drappeggi ai petti e alle maniche che sfioravano la trasandatezza, con le forme ardite delle tasche, con l’insistenza su ribattiture e impunture che conferivano sportività, ma insieme con la precisione armoniosa della composizione, la magica forbice di Attolini, guidata dalla regia di Rubinacci, permise il passaggio da un uomo che spesso vestiva bene per convenienze sociali ad uno che vestendosi si divertiva. E’ sufficiente pensare alla differenza tra un Amedeo Nazzari e un Vittorio De Sica per capire che non stiamo parlando di astrazioni, ma di cose che tutti hanno visto. Dei sei figli di Vincenzo Attolini, Cesare volle perfezionarsi nel disegno e nella modellistica. Negli anni sessanta, ancora piuttosto giovane, entrò da stilista nella Vastola, società con sede a Santa Maria di Sala, vicino Venezia. La casa prendeva il nome da tal Ciro Vastola, sarto che aveva guadagnato notorietà e denaro al punto da lanciarsi nella fondazione di uno stabilimento industriale. Le scarse capacità imprenditoriali e forse il vizio del gioco lo condussero a precoci difficoltà, sicché gli impianti furono acquisiti da Ergenegildo Zegna. In quel contesto, Cesare Attolini incontrò Vittorio Piccolo, detto Victor Little, un italiano che aveva diretto alcuni tra i primi grandi stabilimenti di confezione negli Stati Uniti. Little portava dall’America nuove idee, soprattutto sull’ottimizzazione della produzione. Attolini lo ricorda come un amico e un maestro, dal quale mutuò una visione che lo avrebbe accompagnato per la vita. Il suo bagaglio stilistico e tecnico, accumulato in un ambiente e in una famiglia che aveva potuto fornirgliene senza risparmio, si completava con una visione organizzativa all’avanguardia. La Vastola, dopo aver prodotto capi di eccezionale qualità e attualità, fu chiusa. Dopo quella prima, positiva esperienza, il gruppo Zegna decideva di fare le cose più in grande e autonomamente, cominciando a produrre col proprio marchio. Mi piace pensare che in quel periodo si possano essere innestati sul tronco della tradizione partenopea rappresentata da Attolini non solo la scienza aziendale americana, ma anche i risultati dell’investigazione veneta, fortissima nel disegno tecnico. Su questo punto continuerò le mie ricerche. Cesare continuò a lavorare col suo richiestissimo talento alla creazione di nuove linee e al successo di altre case. Come quei grandi enologi che tutti corteggiano, perché sanno come portare un vino ad un livello internazionale, contribuì all’impostazione e talvolta alla fondazione di importanti società del settore. Se ordinerà un suo abito non avrà un capo su misura, ma certamente un prodotto di altissima qualità e contenuto stilistico, curato in ogni dettaglio e capace di affrontare il tempo. Ma Rubinacci e la London House non c’entrano nulla. Nel salutarLa, ribadisco la mia curiosità sul malinteso in cui è incorso. E’ stato stimolato da qualche venditore o da un’interpretazione personale? Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-02-2006 Cod. di rif: 2330 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Incomprensione irrimediabile Commenti: Egregio signor Segattini, nel Suo gesso n. 2325 chiedeva: "che differenza c'è, in termine di risultato finale, nel farmi prendere le misure in un negozio, seppur di ottimo livello, di Verona, che vende appunto Attolini, o andare direttemente nella "LH" di Rubinacci" L'avverbio "direttamente", sistemato dopo la "o" avversativa, non può che significare che ciò che precede tale preposizione è un caso "indiretto". Così viene ipotizzato quel legame tra Attolini e Rubinacci di cui mi sono interessato nella risposta, né c'è altro modo di leggere quella frase. Lei ora dichiara che Le spiace "non essere stato in parte capito" e in tal modo mi attribuisce colpe interpretative che non sento mie nemmeno nella minima parte. Il problema è di lingua, caro Segattini, materiale che Lei maneggia maluccio quanto i rapporti. Poiché anche a me spiace essere frainteso ed ancor più perder tempo, lascio le Sue domande ad altri e cavallerescamente, per sempre, La saluto. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-02-2006 Cod. di rif: 2336 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il rischio della popolarità - Al sig. Tarulli Commenti: Egregio signor Tarulli, da circa due anni Lei scrive, commenta e qualche volta domanda. L'accoglienza che ha avuto ora la dimentica e la rinomina "snobberia". Da quel cavallo bianco ci scendiamo spesso e di sacrifici, parlo almeno per quelli di noi che reggono le sorti del castello, ne facciamo ogni giorno. Se Lei non ci ha visto farlo è perché guardava da un'altra parte. Senza praticare e nemmeno odiare lo snobismo, conversiamo e rispondiamo a chiunque, nel rispetto delle semplici regole del castello, arrivi e si faccia avanti. Lo facciamo con tutti, meno che con gli scostumati, come chi chieda in modo ambiguo e poi si dica deluso per non essere stato capito, senza nemmeno scusarsi. Qui non vendiamo nulla e quindi non vale il principio per cui il cliente ha sempre ragione. Clienti non ce ne sono affatto, ma uomini. E ciò che noi intendiamo fornire loro non è qualche stranezza sullo spessore delle suole o sull’uso dell’osso di montone, ma un esempio. Ciò comporta una legge di comportamento ed io stesso, quando devo documentarmi a volte per giorni per rispondere ad uno sconosciuto, la rispetto appieno prima di farla rispettare. La cavalleria è una forma di fede militare e non ha nulla a che vedere con San Francesco. Nel nostro stemma c'è una chiave, ma c'è anche una spada. Non capirà mai cosa anima questo luogo senza aver meditato su quel simbolo. A parte queste notazioni poco pertinenti con l'oggetto della Lavagna, la discussione sui marchi commerciali è destinata a restare una parte subalterna del lavoro di quest'area, che resta un laboratorio di ricerca sui massimi sistemi e sull'artigianato. In futuro, non è escluso che si aprano alre sezioni dedicate all'investigazione sul prodotto industriale, ma il pericolo è che questo tipo di discorsi attira un tipo di pubblico che non ci interessa, quello che chiede: "Qual'è la migliore cravatta?" credendo che acquistando la migliore cravatta avrà risolto qualcosa. Parlare istituzionalmente di marchi richiederebbe quindi nuove cautele e nuove regole, che evitino quella confusione da bazar che si trova negli altri siti mondiali dove si parla di abbigliamento e che alla fine dicono tutto ed il suo contrario tre volte al giorno. Come vede, anche far rispettare le regole dell buona educazione risulta a volte difficile, ma sin qui i casi che hanno richiesto interventi decisi sono stati molto rari. Come vede, fin nella grafica questa nostra sede su una scogliosa isoletta non è fatta per piacere a tutti. Introducendo argomenti più "popolari", si rischia un attrito più forte tra il governo cavalleresco del castello, per nulla disposto al compromesso, e la lassezza di costumi del popolo della rete. Cavallerescamente, più che mai. Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Donativi Data: 02-02-2006 Cod. di rif: 2340 E-mail: giancarlo.donativi@tiscali.it Oggetto: la lucidatura delle scarpe Commenti: In merito alla sublime arte della cura delle proprie calzature, mi piacerebbe suggerire la lettura di un grazioso ed illuminante racconto di Mario Soldati dal titolo "Il tocco finale", pubblicato all'interno della raccolta "Novelle per l'inverno". ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 02-02-2006 Cod. di rif: 2341 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Malintesi Commenti: Egregi Cavalieri, scrivo poco, in quanto vivo un periodo meditativo. Vorrei però che non si creassero malintesi, e dal gesso del Signor Tarulli potrebbero crearsene. Nessuna polemica, solo, preciso: 1) ci sono parecchie sartorie dove un abito fatto a misura e a mano, costa meno dei vari Borrelli, Attolini, etc.. Mi scuso se ne cito uno a Verona, dove risiede il signor Segattini : Sartoria De Togni. 2) una scarpa fatta a mano e su misura costa, a Milano, 1500€. Il mio calzolaio, Maestro Bestetti, chiede per una Oxford 1200€. Peron credo sia sullo stesso livello. I 3000€ e passa li lasciamo ai vari marchi come Lattanzi oppure agli Inglesi, dove il lavoro a mano è assolutamente inferiore e in larga parte conto terzi, per esempio ad un Bestetti. Mi scuso se parlo di vil denaro, ma con quello mangiamo. La differenza oggi non passa piu nel quanto, ma nel come. Per amor di verità, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Sergio Starace Data: 03-02-2006 Cod. di rif: 2344 E-mail: sergio.starace@tiscali.it Oggetto: L'eleganza Commenti: Grazie dei contributi che avete voluto rendere in merito al contenuto del mio gesso. Mi piacerebbe, comunque, una sintesi del Gran Maestro. Vorrei evidenziare che il motivo che mi spinge a visitare il vostro sito è la passione per il mondo del "su misura" ed in genere per tutto ciò che venga prodotto artigianalmente. La figura del sarto mi fa tornare alla mente la mia infanzia a Napoli, quando accompagnavo mio nonno dal suo sarto di fiducia, lo è stato anche di mio padre,per le prove o in galleria per i suoi trattamenti di bellezza. Oggi per me andare dal sarto significa staccare la spina, rilassarmi e ritornare con la mente a quei giorni spensierati. Tutto ciò, purtoppo, o per fortuna, non è possibile farlo in un normale negozio di abbigliamento dove se non scegli e compri in cinque minuti ti guardano in cagnesco. Continuate pertanto a trattare di questi argomenti, forse con un pò più di leggerezza ma sempre con la dovuta fermezza in merito al rispetto delle regole. Grazie ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-02-2006 Cod. di rif: 2349 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colletti tondi. Commenti: Egregio Scudiero Carrara, uno degli uomini più eleganti di Napoli, l'avvocato Pasquale Ruggiero, per tutta la vita ha portato i colli arrotondati su camicie eclusivamente bianche. Da qualche tempo non lo vedo e temo che che potrei non vederlo più. Un giorno gli chiesi di dedicare un intero servizio su MONSIEUR a lui ed al suo guardaroba, ma non accettò. La foggia decisamente retro che Lei corteggia comporta una precisa dichiarazione: ho voluto cercare e scegliere. Mettendosi così su una strada fortemente individuale, occorre percorrerla e sostenerne le difficoltà. La scelta dovrà quindi essere felice, decisa e stabile. Poiché ai tempi dei colletti tondi la camicia era solo bianca, credo che la cosa più giusta sia uniformarsi all'insuperabile costanza dell'avvocato Ruggiero e optare per la castità del candido una volta e per sempre. Niente bombarozzo, questi colli vogliono essere lisci e anche piuttosto rigidi. Proprio per questo dettaglio il colletto tondo esprime due sentimenti contrastanti, che come al solito l'animo umano, palestra di ogni contraddizione, accoglie senza problemi: da un lato l'insofferenza creativa e dall'altro il rigore verso se stessi. In bocca al lupo! Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-02-2006 Cod. di rif: 2353 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'avventura del collo tondo - Allo Scudiero Carrara Commenti: Egregio Scudiero Carrara, aggiungerei: 1) Un colletto tondo si giova in massimo grado della compostezza e sarà quindi il caso di utilizzare interni adesivi, piuttosto rigidi. 2) Personalmente detesto il cannolo, anche in questo caso. 3) Per i polsi, ovviamente saranno da preferire quelli doppi rivoltati. La finitura sarà stondata sia in questo caso che in quello del polso abbottonato. Non è necessario e nemmeno auspicabile replicare nel polso la stessa curvatura del colletto. Basta il richiamo. 4) Quanto ai materiali, credo che oxford, twill, flanelle e cellulari non siano adeguati. Valgono meglio in questo caso i tessuti a tela molto fitta, come il popeline e il batista (in questo caso, rigorosamente foderato al torace). Diciamo che non resta molta scelta e tutto il gioco è nell'armoniosa proporzione, nella corretta apertura, nella giusta altezza e curvatura che il collo dovrà assumere dopo i primi tentativi. Un obiettivo che costringe ad un lavoro di pazienza e di genio, in cui si avanza di millimetro in millimetro verso un traguardo che appare vicino e che invece richiede un lungo studio e un certo impiego di tempo e capitale. 5) Grande importanza rivestono la perfetta pulizia e la stiratura, con generose dosi di appretto. 6) Questo tipo di camicia vuole presentarsi in un sol modo: impeccabile. Dovrà quindi confezionarne in maggiore quantità e durante il giorno cambiarla almeno una volta. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-02-2006 Cod. di rif: 2358 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scusate qualche ritardo Commenti: Prodi cavalieri, animosi Visitatori, sono un po' in ritardo con alcune risposte e commenti a interventi indirizzati a me, ma non ho dimenticato nessuno. La complessa macchina dei numerosi eventi che l'Ordine ha celebrato, sta celebrando ed a breve celebrerà richiede la mia continua attenzione o presenza e questo mi rallenterà sino ai primi del mese di Marzo. I non Soci non sono a conoscenza di tutti gli appuntamenti organizzati, tra cui uno a breve in Slovenia e ad Udine, ma anche solo guardando quelli pubblicati si comprenderà che è un momento di fibrillazione. Del resto l'Ordine non è il castello, ma un'istituzione attiva su vari fronti. La forza che regge queste mura non può venire dalla mura stesse. Cavallerescamente Giancarlo Maresca P.S. Tra poco leggerete di un nuovo evento, con il quale mantengo una promessa formulata nella mia Scrivania. Lì dicevo, conversando con l'architetto Catalano, che sarebbe stato opportuno organizzare un congresso speculativo sul concetto di Qualità. Ebbene, è giunto il momento. Lo proporremo a Roma, l'11 Marzo, dalle 16 alle 18, nelle scuderie di Ralazzo Ruspoli. L'attività convengnistica è contenporanea ed anzi volontariamente inserita nella cornice di scrigno, un'ambiziosa rassegna di qualità artigiana "in purezza", come altrove si direbbe. Gli iscritti nel registro hanno già ricevuto una comunicazione in merito, ma presto sarà dedicata all'attività una nuova area della sezione Eventi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-02-2006 Cod. di rif: 2367 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: The Chaps - Al signor Tarulli Commenti: Egregio signor Tarulli, della rivista, o meglio del fenomeno "Chaps" ci eravamo già accorti ed in merito segnalavo già quasi due anni fa l'articolo "Retro-eccentrics", in cui Chensvold ne parlava dalle pagine di Vogue dell'Agosto 2004. Veda: http://www.noveporte.it/florilegio/retroeccentrics.htm ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 06-03-2006 Cod. di rif: 2371 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Montgomery vs. Duffle coat Commenti: Egregio Rettore De Paz, mi ha stupito che nella sua recente descrizione del "Duffle coat" non ci sia stato un riferimento al termine "Montgomery" con il quale mi risulta sia anche denominato tale capo d'abbigliamento, in ragione appunto del suo più noto user, il generale Bernard Law Montgomery, comandante supremo dell'esercito britannico sul Fronte occidentale nella II Guerra mondiale. Ovviamente "Duffle coat" è il termine originale e quindi più preciso, ma il termine "Montgomery" l'ho sempre sentito utilizzare fin da piccolo e dunque mi è più familiare. Sono forse in errore, e c'è una qualche differenza che mi sfugge? Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 07-03-2006 Cod. di rif: 2373 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Montgomery Commenti: Egregio Rettore De Paz, la ringrazio per il suo chiarimento che elimina ogni mio residuo dubbio sulla coincidenza tra Montgomery e Duffle coat. Sono andato a ricercare e leggere, ahimé con colpevole ritardo, il suo precedente gesso su tale argomento, che è risultato, come sempre preciso ed esaustivo da un punto di vista tecnico, nonché intenso e coinvolgente nella sua seconda parte di approfondimento storico. Complimenti. Voglio anche ringraziare il sig. Nicoletto che ha inserito nel Taccuino due fotografie del generale Montgomery con indosso l’omonimo cappotto, prova visuale definitiva che mancava alla mia personale, e una volta di più limitata, esperienza. Cordiali saluti a tutti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 08-03-2006 Cod. di rif: 2376 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Scottish Estate Tweeds Commenti: Egregi Cavalieri e simpatizzanti, desidero segnalarvi un bel lavoro di una decina d'anni fa (1995)- ma di semplice reperibilità anche nuovo - che tratta di un argomento di sicuro interesse tra queste mura: gli scottish estate tweeds. A cura di E. Harrison, della mitica Johnston of Elgin, presenta la storia degli scottish estate tweeds oltre ad una raccolta quanto più esaustiva possibile di questi bei disegni. En passant preciso che mentre gli scottish tartans sono riservati esclusivamente ad un ceppo famigliare e quindi identificano dei legami di sangue, gli scottish estate tweeds sono riservati esclusivamente a coloro che vivono e lavorano in una determinata proprietà, nulla importando la loro parentela. Grazie per l'attenzione e cordiali saluti, Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: giuseppe Pennacchi Data: 10-03-2006 Cod. di rif: 2378 E-mail: occitti@tiscali.it Oggetto: cravatte regimental Commenti: Illustrissimo Gran Maestro, Onorevoli Cavalieri, ormai da tempo visitatore quotidiano delle noveporte, decido di interrompere il mio silenzio nel desiderio di poter fornire, un modesto, personale contributo. Mi permetto di segnalare, all’interezza dell’onorevole consesso, il sito della maison londinese Benson & Clegg. La ragione di detta comunicazione è puramente esegetica: il sito, infatti, nella sezione dedicata al Neckwear presenta la peculiarità da me mai riscontrata altrove, di ospitare al suo interno un cospicuo numero d’immagini (poco meno di duecento) di cravatte inglesi ognuna delle quali – finalmente! - è nominata con il titolo dell’istituzione militare, scolastica o civile che la adottò in origine. Un dato che spero possa interessare i Cavalieri delle noveporte, ormai a tutti noti come instancabili investigatori della verità e della storia. Per accedere alle informazioni digitare www.bensonandclegg.com andare su “on line shop”e quindi su “Enter shop”. Ciò fatto, basterà aprire la voce “neckwear”agendo in doppio click sull’immagine delle cravatte. A questo punto, a centro pagina, sono indicate le varie categorie. Agire su di esse per aprire le gallerie contenenti le immagini. RingraziandoVi per l’ospitalità concessami, saluto… Cavallerescamente Giuseppe Pennacchi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-03-2006 Cod. di rif: 2380 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualcosa sulle bretelle - Al signor Provenzani Commenti: Egregio signor Provenzani, avendo lei già compiuto un'indagine in quest'area, La rimando alla mia Posta del ran Maestro. Digitando "bretelle" come parola di testo Le appariranno numerosi contributi sui componenti, sugli attacchi e anche sulle parti dei pantaloni che sono in relazione con le bretelle: bottoni, passanti e spacco centrale posteriore. troverà anche una tripartizione secondo i materiali, che qui riporto lievemente aggiornata. 1) Il tipo più diffuso di bretelle è quello con gli attacchi in cuoio. Questo materiale ha in se stesso un intrinseco linguaggio informale, se non sportivo e pertanto risulta poco compatibile con alcune tipologie di abiti formali. La pelle è infatti un materiale più adatto all’aria aperta che ai salotti. 2)Il materiale giusto per le occasioni “habillé” è il tessile. Gli attacchi sono cioè in una sorta di gros-grain in tinta con le bretelle, con un anello che si fissa al bottone. Questa tipologia diventa ogni giorno più difficile a trovarsi, ma non impossibile. 3) Il terzo materiale usato per i terminali è la pergamena bianca, oggi diventata semplice pelle bianca di vitello. Questo materiale è sempre abbinato a tiranti non elastici. Solo gli inglesi lo adottano e si trovano con questa finitura bretelle splendide, dai colori più sgargianti a quelli più tranquilli e mimetici. Le producono, praticamente identiche, Truefitt & Hill ed altri. Costano in Inghilterra intorno alle 55 Sterline ed in Italia altrettanto. Gli inglesi producono anche bretelle con terminali in tessile, con gli stessi marchi e gli stessi prezzi. Come trovare le bretelle? Beh, se ne trovano dappertutto e non sembra che questo accessorio sia minacciato dall'estinzione, quanto da una certa uniformità nelle fogge. Infatti diviene sempre più difficile trovare quelle in tessile, magari un po' strettine per l'estate, quando quelle larghe divengono un po' fastidiose. Marinella ne ha varato una linea dai colori stupendi, ma per ora sono solo coi terminali in cuoio. Insisterò perché ne faccia produrre anche con gli attacchi in tessile e magari la avvertirò dell'avveniment. Quanto ai colori, solo lo smoking ha esigenze più specifiche e richiederebbe il moiré bianco. Per il resto, la fantasia ha il solo limite del gusto e dello stile personale. Diciamo che bretelle in un colore forte possono essere indossate anche sotto un abito completo formale, ma resta la necessità che la loro tinta abbia almeno una compatibilità cromatica col resto. Quanto agli accordi, trovo perfetto l’abbinamento ai gemelli in tessile. Credo che ogni colore venga meglio giustificato, potremmo dire rassicurato, se trova una compagnia. Questo richiamo può ritrovarsi nel quadrante dell’orologio, nelle calze, nella pochette, nella fascia del cappello, può essere anche minimo, addirittura nascosto, ma la sua presenza è un fattore di equilibrio che conferisce sicurezza al tutto. Naturalmente sono esclusi i richiami smaccati, i cosiddetti composé, che nella loro evidenza vanno contro le leggi sottili del palinsesto maschile. Grazie per il bel tramonto, la cui emozione ci ha trasmesso così bene e che ci ha riportato agli anni in cui eravamo anche noi così sensibili. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pennacchi Data: 15-03-2006 Cod. di rif: 2383 E-mail: occitti@tiscali.it Oggetto: Lancia in resta e...cappello in testa! Commenti: Illustrissimo Gran Maestro Onorevoli Cavalieri Amici e sostenitori delle Noveporte, la squisita ospitalità concessami, unitamente all’incondizionata ammirazione per il Vostro operato, mi spinge a formulare un nuovo intervento, o per meglio dire, a fornire una nuova indicazione che spero possa essere di un qualche interesse per tutti i frequentatori del Castello. Il dato in oggetto riguarda un capo a cui da sempre gli adepti delle Noveporte dedicano grande attenzione: il cappello. Il nobile copricapo è infatti oggetto di diligente analisi nelle pagine del sito Village hat. Il sito è ben costruito e, pur essendo americano, dedica grande attenzione alla sezione storico - culturale: infatti, al suo interno, ospita un’intera collezione d’illustrazioni di copricapo, una vera perla per gli appassionati della storia dell’abbigliamento. Come si apprende dal prologo, i disegni sono tratti dal libro THE MODE IN HATS AND HEADDRESS Pubblicato nel 1945 e – giustamente – definito come un capolavoro nel suo genere. Il volume è composto di 23 tavole, ognuna delle quali contiene i disegni dei vari cappelli e copricapo, maschili e femminili, in un arco di tempo cha va dall’antico Egitto fino al 1944, per un totale di 193 soggetti. L’autrice, tanto delle illustrazioni quanto dei testi (questi ultimi non presenti nel sito), è la signora americana Ruth Turner Wilcox, esperta di storia dell’abbigliamento nonché prolifica scrittrice di numerosi testi sull’argomento. La consultazione è agevolissima: basta digitare www.villagehatshop.com/index.html e quindi aprire la voce mode in hats, posta nella directory hat resources, a sinistra della pagina. A questo punto, si aprirà la pagina con le tavole. Un doppio click su ogni tavola aprirà l’intera sessione dedicata al periodo selezionato. Da notare che ogni tavola può essere ingrandita due volte, fino ad arrivare quasi a modalità schermo intero. Sempre nella stessa directory hat resources, sono di notevole interesse il Glossario e la sezione dedicata agli Iconic Hats, fosse solo per la foto presente alla voce top–hat, che sembra inequivocabilmente scattata in quel di Ascot. Nella speranza di aver fatto cosa gradita, porgo i miei più sentiti e cavallereschi saluti Giuseppe Pennacchi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pennacchi Data: 21-03-2006 Cod. di rif: 2389 E-mail: occitti@tiscali.it Oggetto: Psicologia e abbigliamento Commenti: Egregio signor Galli, in relazione alla Sua richiesta, Le segnalo alcune pagine web ove spero possa trovare informazioni utili alla Sua ricerca. http://www.lib.latrobe.edu.au/AHR/archive/Issue-March-1997/finkelstein.html Voci più interessanti: the look – the power of fashion – the origin of cool – the meaning of fashion http://spartan.ac.brocku.ca/%7Elward/Ross/Ross_1919/Ross_1919_06.html testo del 1919 a cura di edward A. Ross Social Psychology: An outline and source book.chapter 6 – fashion Osservazioni sulla relazione tra società, psicologia e abbigliamento http://www.uwm.edu/~ceil/career/jobs/females.htm (consigli per signore) Per ultimo, Le suggerisco la consultazione della pagina http://www.mens-fashion-tips.com/color-coordination-and-mens-complexion.html. e aprire la voce color coordination. Quest’ultima pagina è tratta da un sito americano, che mai oserei segnalare ai Seguaci delle Noveporte, visto il modo assai schematico e tecnico con cui vengono analizzate le tematiche relative all’abbinamento dei vari capi in base alla scala cromatica e ai dati somatici di chi li deve indossare. In altre parole è il tipico sito americano per gli americani, i quali hanno sempre bisogno di un manuale per tutto. Il sito inoltre è alquanto dispersivo. Pur esistendo un indice, la cosa che più Le conviene è di cercare gli argomenti correlati nelle varie pagine (di solito evidenziati in altro colore o sottolineati). Superfluo ricordare che il tutto è in lingua inglese, difficoltà questa che reputo facilmente superabile per un laureando del 2006. Nella speranza che le mie indicazioni possano esserLe di una qualche utilità, La saluto cordialmente. Giuseppe Pennacchi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-03-2006 Cod. di rif: 2393 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nuoce conce per vecchi materiali Commenti: Egregio Villa, fino a pochi anni fa, tra i cinque e i dieci, le scarpe in coccodrilo erano più una curiosità che altro. La concia di queste pelli a superficie cornea offriva materiali rigidi e come tali adatti alla pura esibizione. Oggi le conce al silicone hanno ammattito le scaglie, ma rendono elastici anche i rettili ed il galuchat. Lla luce di questa abitabilità finalmente trovata, va riconsiderato anche il loro utilizzo. Visto l'alto costo, circa due volte e mezzo quello di una calzatura in vitello di pari grado, occorre proprio essere convinti. E' ovvio che la scelta di questi materiali è quella di chi è ben deciso ad apparire, ma ho avuto occasione di verificare che qualcuno ci riesce pur restando ben piantato nell'area del buon gusto. Pur essendo noi Cavalieri i paladini della Tradizione, non dobbiamo mai alzare barriere al nuovo che non siano motivate da un conflitto insanabile. Orbene, poiché la scarpa in coccodrillo non appare in se stessa una minaccia, quanto una nuova possibile coniugazione del classico, pur non utilizzandola sono ben lungi dal bocciarla. Lasciamo a qualche originale il suo divertimento, che se avrà stoffa sarà anche il nostro nell'ammirarlo. Cose ben più comuni, come le sneaker, sono il peso che ci trascina verso il basso. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-03-2006 Cod. di rif: 2395 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'Uovo di Colombo e qualche postilla sul coccodrillo Commenti: Egregio Villa, La ringrazio dei complimenti e non posso che ricambiarli, specialmente quanto alla Sua capacità di cogliere il pensiero altrui anche quando è concentrato in una sola parola. Credo di comprendere la sensazione cui si riferisce nel precedente Gesso. Forse si tratta della reazione tra due attivissimi reagenti della chimica verbale: 1) Una retorica interessata ad interessare, più che a convincere. 2) Una visione stabile, catturata da un vocabolario e da una rete di immagini piuttosto regolare. Tutto ciò nel mondo dell'indottrinamento dogmatico, dei consigli gratuiti, dei cambiamenti obbligatori, rappresenta l'uovo di Colombo, cioè qualcosa di assolutamente imprevedibile. Quanto alle scarpe in coccodrillo, a mio avviso danno il massimo sia nelle accollatissime derby a fibbia, che permettono al pellame di distendere il suo disegno e colore su una gran superficie, sia nel più rilassato e scollato dei mocassini, con piccolo specchio. Meno interessanti le tipologie intermedie, specie se allacciate. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-03-2006 Cod. di rif: 2397 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Via libera al coccodrillo Commenti: Il repechage dell'ottimo Pancotti non lascia adito a dubbi. Come Volevasi Dimostrare. G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-04-2006 Cod. di rif: 2399 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pattine, risvolti & C. - R isp. Gesso n.2351 - Al sig. Zanin Commenti: Egregio signor Zanin, con Gesso n. 2351 Lei poneva alcune questioni che mi accingo ad affrontare per quanto nelle mie possibilità. Poiché è passato parecchio tempo e sono presentati numerosi argomenti, riporto integralmente il Suo contributo. In tal modo i Visitatori che leggano le risposte in calce non dovranno andare avanti e indietro per risalire alle domande. Gesso n. 2351 – DOMANDE del signor Zanin “Ho notato come spesso gli abiti confezionati, che certamente non rappresentano la materia per eccellenza del vostro ordine, vengono proposti con le tasche della giacca (le laterali più il taschino) chiuse. Informandomi a riguardo di ciò con una commessa ho avuto come spiegazione che vengono proposte chiuse per evitare il riempimento delle stessi con oggetti che potrebbero non mantenere perfettamente in forma/linea l'abito. Inoltre, a tal proposito mi risulta che canonicamente la pattina delle tasche laterali vada portata internamente alla tasca, confermate? Infine, com'è interpretate una giacca d'abito senza pattine sulle tasche? A proposito del risvolto/balza sui pantaloni, se non ho inteso male lo stile classico italiano non lo contempla. Al contrario lo stile inglese informale (all'interno della macrosuddivisione formale-informale-sportivo) ne fa uso. Ora non vorrei proiettare la questione in un tema troppo vasto ma in un contesto di stile come quello dell'Avvocato con scarponcini scamosciati, camicie "informali" etc… suggerireste o meno il risvolto? Avviandomi a conclusione mi chiedo se esiste la possibilità di avere direttamente dai produttori tessili dei campioni di tessuti, simili a quelli reperibili in sartoria. Spesso, infatti, vorrei avere molto tempo e sottoporre a numerose riflessioni la selezione di un tessuto piuttosto di un altro. Sarei molto lieto di poter leggere il vostro pensiero e i vostri consigli a riguardo. Con profonda stima. Marco Zanin” RISPOSTA 1 – Molte case di confezioni consegnano la giacca con le tasche cucite e Lei si chiede come mai. La spiegazione è proprio quella indicata dalla commessa. Si vuol proteggere un punto debole da probabili deformazioni durante quella parte della vita della giacca in cui può subire lo stress di numerose prove. Del resto anche in sartoria, alcune parti vengono tenute imbastite sino alla stiratura finale e alla consegna. 2 – Riguardo alle pattine, lei si domanda se vadano portate o meno internamente e cosa significhi la loro assenza. Nel vestire ci si preoccupa sin troppo di ciò che sia corretto o scorretto rispetto a dei codici che spesso non sono che leggende metropolitane, diffuse al solo scopo di presentarsi come esperti. Confuse dalla “sindrome del politico”, che è quella supina identificazione dell’autorità con il potere e non con la sapienza, le platee nostrane sono abituate a prendere come esperto solo chi ordina, vieta e condanna. Anche se ne parliamo poco, alcuni codici in qualche modo esistono, ma per ora noi tendiamo a sviscerare il profondo livello di linguaggi e di storia al quale quelle norme ebbero origine. E’ vero, la grande tradizione inglese, i cui risultati sono a tutti evidenti, ha attribuito alla correttezza un valore supremo ed intende come tale proprio la rispondenza ad un criterio che non viene valutato in se stesso, ma serve a valutare l’entusiasmo e la fede con cui ci si sottopone ad esso. Riferirsi costantemente a delle norme è quindi una via che conduce non solo alla stazione intermedia della correttezza, ma per qualche talentuoso in grado non solo di rispettare tutti i paletti, ma di muoversi tra essi con grazia, può proseguire sino al capolinea dell’Eleganza. Il fatto è che qui al castello abbiamo una scuola di pensiero e non di Eleganza. Questo è un laboratorio di ricerca che si occupa dell’incessante risistemazione concettuale di un materiale infinito, non l’Accademia della Crusca, che si preoccupa della grafia ed accentazione di una parola ed una volta che sia giunta ad una conclusione la considera un risultato definitivo. Qui consideriamo definitive le definizioni, che sono il mezzo della ricerca, ma non i risultati, che cambiano anche solo con il livello medio di comprensione dei ricercatori. Le domande che Lei pone sono collegate al linguaggio della pattina ed è quello che in questa sede ci interessa prima di ogni altra cosa. In qualche modo essa esplica una funzione pratica di sigillo, di dispositivo di sicurezza della tasca. Come tale ha un valore fisico dichiarato, che trova la sua regione d’elezione nel mondo sportivo e tende ad essere sempre più imbarazzata man mano che i tessuti, il taglio e la situazione procedano dallo sportivo, attraverso l’informale, verso il formale. Per stare a suo agio, la pattina ha bisogno di un qualche appiglio. Possiamo dire che un abito formale, se costruito con tessuto compatibile con situazioni informali, con le pattine di fuori apparirà perfetto. Nella stessa situazione, chi indossi un completo formale puro, cioè per taglio e materiali, farà meglio a rinfoderarle. Cerchi nel taccuino gli Appunti da 1045 a 1048. Sono presentate due coppie di foto relative a due giacche, entrambe appartenenti a completi formali. La prima è un gessato fondo blu in una saglia piuttosto lucida, insomma un tessuto decisamente formale. Le pattine sono applicate col sistema a friso, proprio per poter essere messe dentro. Anche la seconda è un gessato, ma in una tela ritorta a due capi, tessuto informale. Qui le pattine sono applicate all’inglese, cioè cucite a tegola e destinate pertanto a restare sempre di fuori. Come spesso accade, il principio si rivela ancor più evidente ragionando sui limiti. Una Norfolk o una field racket apparirebbero monche senza grosse patte, perché nello sportivo purissimo e nel militare le tasche sono in realtà delle bisacce senza tracolla. Uno smoking o un tight non li immaginiamo nemmeno con le pattine, perché le loro tasche sono già di per sé una citazione e non serviranno a gran che. 3 – Il problema del risvolto va risolto una volta per tutte tagliando il nodo con una spada. Nella gran parte dei casi, la scelta può essere personale e come tale riferita al momento storico, insomma a quello che si definisce moda. Questa parola è molto pericolosa e non la usavo da molto tempo, ma nell’armadietto sigillato un dottore tiene anche delle sostanze tossiche, che al momento giusto possono essere insostituibili. Risvolto si, risvolto no, sono sentenze che in gran parte provengono da una sensibilità che si orienta diversamente in periodi diversi. Restano sul fondo le tendenze più generali, diciamo il residuo secco che resterebbe evaporando tutto il resto. Il mondo militare li evita sempre, quello sportivo resta dubbioso e quello informale li adotta con entusiasmo. Ragioniamo anche qui pensando ai limiti e potremo immaginare il grafico che li collega. Gli abiti cittadini che furono progenitori di quelli attuali ne facevano a meno senza eccezioni, ma l’immissione di massicce quantità di sangue country e sportswear ha creato una nuova razza. Un discendente diretto, come un doppiopetto da cerimonia protocollare, rispetterà le leggi degli antenati. Così, chi utilizza fogge e materiali presi dal mondo militare permetterà ai suoi capi di esprimersi al meglio rinunciando ai risvolti. Per il resto, con buona pace dei legislatori, ciascuno a buon diritto fa come crede. E’ il risultato che conta, ma in quel risultato contano molto a loro volta gli occhi di chi li valuta, necessariamente influenzati dalle estetiche contemporanee. 4 – Quanto alla Sua ultima domanda, le tirelle sono destinate solo a mediatori come commercianti e sarti, ovvero a clienti professionali come i confezionisti. Vengono cambiate in gran parte ad ogni stagione e pertanto anche procurandosene qualcuna “scaduta”, l’eventuale decisione potrebbe poi cadere su un articolo fuori produzione. Mi consenta di dirLe, comunque, che l’idea di portarsi il compito a casa appare dannosa. La riflessione su un abito deve avvenire in astratto e solo alla fine, quando la decisione è presa, può definirsi in una scelta concreta. Occorrono spesso un paio di mesi di costante autoanalisi e ripensamenti prima di decidere ad esempio: ciò che mi occorre è un completo di flanella cardata a doppiopetto. Il primo tempo, quello difficile ed in cui si è soli con se stessi, è quello dell’individuazione di ciò che serve. Una volta che si è certi di averlo compreso, individuare ciò che piace non è cosa lunga. Come abbiamo spesso detto, il segreto della costruzione di un vero guardaroba è nella selezione di ciò che piace tra ciò che serve. Il passo successivo è scegliere ciò che piace tra ciò che è disponibile. Piuttosto che avere a casa poche tirelle obsolete, magari di una sola casa, meglio visitare qualche drapperia o passare un ultimo paio d’ore dal sarto. Sempre mantenendo fissa nella mente la direzione intrapresa, sarà quel campanello che si chiama gusto a dirLe che è giunto a destinazione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2006 Cod. di rif: 2400 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il formalismo commerciale - Al sig. Ermanno galli Commenti: Egregio signor Galli, come nel caso precedente riporto integralmente il Suo gesso n. 2387, peraltro piuttosto conciso: “Gentili e rispettabili frequentatori di questo affascinante e creativo sito web, sono uno studente lavoratore in cerca di notizie soprattuto bibliografiche ma NON SOLO, destinate a fondare le argomentazioni di una tesi in scienze della comunicazione alla facoltà di lettere e filosofia di torino, sulle motivazioni filosofiche e socio-psicologiche retrostanti l'importanza di presentarsi al colloquio col cliente (e in generale ad ogni colloquio!) abbigliati in modo elegante e rigorosamente in giacca e cravatta... qualcuno dei frequentatori sa nutrire la mia fame di curiosità, dettagli di colore e fondamenti teorici in merito a tale oggetto d'indagine?” Questa Lavagna, questa astronave di pietra grigia, è lanciata in quell’universo insondabile del vestire di cui il Suo lavoro si accinge a visitare un particolare asteroide. Ha già avuto qualche mappa, cioè un po’ di bibliografia. Ora Le riferirò di qualcosa che posso scorgere dal finestrino e, aiutandomi con gli strumenti di bordo, spero di trasmetterLe del materiale utile ai suoi scopi. Lei intende sostanzialmente investigare le origini e la validità della generale convinzione che sia importante presentarsi ai clienti abbigliati in modo formale. In realtà Lei usa il termine “eleganti”, che in questo caso non è congruo. Si impadronisca subito degli strumenti essenziali, concetti di livello basilare e definizioni che possano richiamarli senza confonderli. Una tesi è un’opera scientifica e non esiste scienza se non è chiaro e condiviso cosa siano un angolo o un protone. La FORMALITA’ è un astratto paradigma di usi ed un attributo riferibile all’oggetto prima che al soggetto. Esiste insomma l’abito formale anche indipendentemente dall’uomo formale. L’ ELEGANZA è un’arte concreta e soggettiva, che sta al di là del formalismo e gli attribuisce un ruolo che è più o meno quello che ha la metrica per la poesia. C’è chi la segue e chi no, ma anche nel primo caso la serie di precetti che per molti rappresenta un freno diventa per l’elegante una catapulta. Non esistono abiti eleganti di per se stessi, ma solo (e molto pochi) gli uomini eleganti. La loro stessa tenuta, se indossata da altri pur della stessa età e nella stessa situazione, risulterà probabilmente il perfetto contrario dell’eleganza. Una copia di Van Gogh, ancorché perfetta per tecnica e colore, non è un’opera d’arte in quanto non è un Van Gogh. Attraverso l’irriproducibilità di ciò che chiamiamo eleganza, può comprendere subito un'altra dicotomia cui senza la scienza delle definizioni non si arriverebbe mai. Il popolo indistinto aspira all’ORIGINALITA’ e paradossalmente la persegue comprando e indossando, ma sostanzialmente copiando, ciò che gli appare originale. Naturalmente ricade nella palude della banalità anche se si fora il cranio con un bullone da traversina, almeno sino a quando non si liberi da quella prigione rappresentata dal bozzolo del consenso prevedibile, affinando la dote che permette finalmente di imboccare la salita verso le cime: l’AUTENTICITA’. Un’azienda non può imporre ai dipendenti di essere eleganti più di quanto non possa chieder loro di scrivere come Buzzati, parlare come D’Annunzio e cantare come Caruso. Può invece esigere che i suoi rappresentanti rispettino un preciso standard nell’abbigliamento ed è qui che si deve concentrare l’indagine. Perché accade? A che serve? La parte più importante della risposta la si trova ponendosi un altro paio di domande, mirate a studiare le aree dove questo fenomeno è più avvertibile ed a comprenderne i motivi. 1) Dov’è che l’abbigliamento dei dipendenti rispetta il massimo grado di formalismo nel rapporto con il cliente? Qualche altra riga vuota e silenziosa, per lasciarLe tempo e spazio per riflettere sulla risposta. Ci ha pensato un attimo? Bene, allora ci è arrivato. Del resto era facilissimo, elementare, anzi evidente: nel settore dei trasporti. Per terra, per mare, per aria, in TUTTO il mondo TUTTE le aziende che muovono beni e ancor più puntigliosamente quelle con cui viaggiano persone non si limitano a richiedere un generico standard tipo “abito scuro e cravatta”, ma impongono una divisa. E non lo fanno con tutti i dipendenti indistintamente, ma con quanti di loro entrino in contatto col pubblico e se ne facciano vettori. Quando spedisce una raccomandata, l’impiegato che la protocolla veste come gli pare. Quando invece la riceve, può notare che il postino, cioè colui che si assume la responsabilità della custodia e recapito, gliela porta in divisa. Scendendo dalle istituzioni statali ai più modesti corrieri privati cittadini, vediamo che anche queste società, pur se con una semplice casacca senza maniche, cercano comunque di uniformare al meglio possibile anche i più scalcinati pony express part-time. Molto meglio e molto bene fanno le compagnie di navigazione marittima ed aerea, che fuori dai loro uffici tengono in divisa tutto il personale a contatto col pubblico, dal check-in allo sbarco. Dato per scontato che quello individuato è un punto di partenza privilegiato, in quanto vi si mostra un formalismo portato all’estremo, esistono certamente altri settori ad alta concentrazione di formalismo. Credo che rappresenterà un ottimo avvio per la Sua tesi la loro individuazione e successivamente l’investigazione sui motivi. Le possibili risposte a questa prima domanda rappresenteranno un ottimo avvio per la Sua tesi. Volutamente ho lasciato da parte il mondo militare, in quanto Lei ha decisamente ristretto l’analisi alla tenuta che si indossa nel rapporto coi clienti ed i soldati hanno solo alleati e nemici. Non sarà male, avendo spazio e qualora ne ravvisi l’utilità, ragionare anche su questo ambiente. Nei suoi metodi e scopi è molto chiaro, ma potrebbe riservare qualche sorpresa nei motivi profondi del suo stile estetico. Non credo ci siano studi al riguardo, ma prima o poi l’argomento verrà fuori anche qui. 2) E’ il momento della seconda domanda, che ormai viene naturale. Perché la divisa compare così meticolosamente e diffusamente proprio nel settore dei trasporti e segnatamente in quelli che interessano le persone? Mi riferirò allo specifico, ma tutti i concetti che ora verranno fuori sono applicabili, mutatis mutandis, al rapporto di un agente con il cliente, di un promotore con l’investitore, etc., etc.. Sarà Lei a trovare la formula di conversione e non me ne voglia per non averLe reso le cose più facili. Non sono un professore e quindi non cerco di spiegare un sapere oggettivo, che non esiste se non in minima parte. Provo ad indicare la via di un sapere individuale. Ora si avvia ad una laurea in materie umanistiche e potrà dirsi intellettuale. Sappia allora che la conoscenza più importante non è quella che si possiede avendola trovata in quantità dove era ovvio, bensì quella che ci determina. Si tratta al più di poche gemme, lungamente cercate e poi trovate in posti impensabili, che in genere avevamo sotto gli occhi sin dall’inizio. 2-A) Il primo fondamento è nella sicurezza, nella FIDUCIA che, per i motivi cui andremo a dare almeno uno sguardo, il formalismo infonde nella clientela. Il mittente AFFIDA il suo pacco al vettore, il viaggiatore gli AFFIDA addirittura la sua incolumità o la sua vita. Una divisa crea una squadra (non accade anche nello sport?) ed è sommamente importante per il cliente poter riconoscere un uomo che ne fa parte. Attraverso l’uniforme, egli sa che dietro l’individuo che gli sta di fronte c’è un’istituzione intera che assicura con la sua bandiera, col suo nome, ben prima e ben più che col contratto, di tener fede all’impegno assunto. A parte la fiducia nella squadra, un’uniforme favorisce in qualche modo una fiducia specifica nell’individuo. Se egli ha saputo appunto “uniformarsi” ad una norma, saprà anche, nel momento del bisogno, conoscere e mettere in atto le procedure necessarie a mettere al sicuro il carico. 2-B) Il secondo fondamento è nella RICONOSCIBILITA’. Un’uniforme rappresenta un mezzo di assoluta evidenza per individuare un responsabile, un interlocutore cui rappresentare un problema e che se ne dovrà occupare. Egli non è un semplice dipendente, ma un rappresentante della società e come tale agisce in suo nome e conto. Le aziende che non si interessano di trasporti e che quindi non adottano divise erano un po’ indietro rispetto a questo importante parametro psicologico. In molti casi hanno supplito a questo gap con il sistema del cartellino. 2-C) Il terzo fondamento è nella STABILITA’. Ritornare ad interloquire con la società attraverso personale che non oscilli e distragga con guizzi individuali conferisce al cliente una notevole serenità, in quanto il discorso può riprendere ogni volta da dove era stato interrotto. Inoltre, anche se non si parla con la stessa persona, parlare con la stessa divisa permetterà di trasferire la tranquillità da un rapporto ad un altro, anzi di conservare la sensazione di mantenere sempre lo stesso rapporto. Tanto per vedere come possa continuare l’analisi, osserveremo che subito dopo il settore dei trasporti quello che impone il maggior formalismo è quello dell’accoglienza. Alberghi e ristoranti mantengono maitre, camerieri, sommelier, portieri, lacchè, nel massimo rigore possibile. Anche il cuoco, o l’ultimo comis di cucina, non appaiono in pubblico senza un apparato che in quell’ambiente rappresenta un’alta uniforme. Scopriamo allora che un quarto fondamento è nell’ATTRIBUZIONE DI IMPORTANZA. Per vendere un dolcetto a cinque scudi piuttosto che uno, dovrò prenderlo con la forchetta d’argento e sistemarlo in un pirottino candido, ben plissettato. L’importanza che si da a se stessi, al proprio prodotto, alla propria azienda, è il simbolo ed il preludio di quella che si da al cliente. Questi sa, attraverso il tight del direttore, di essere la priorità assoluta in tutta la visione generale, in tutte le procedure. Ora che il ritmo è stato preso, sono certo che troverà altri fondamenti. Quanto alla parte bibliografica, ricordi che questo stesso castello è una fonte che potrà citare tra le altre ed anzi ritengo che sia Suo dovere, qualora avesse trovato valido ed utile qualche spunto tra quelli suggeriti, che Lei ne dichiarasse la provenienza e non facendo riferimento alla singola persona, ma all’istituzione in generale. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-04-2006 Cod. di rif: 2406 E-mail: gran.maestro Oggetto: Antiche lentezze - Al Cav. Villa Commenti: Egregio cavaliere Villa, con l'Appunto n. 2407 il Cavaliere Granata "dava un volto" al particolare da Lei citato nel Gesso precedente. E faceva anche di più. Dimostrava come l'invenzione che il Suo sarto attribuiva a Caraceni appartenenga al patrimonio della sartoria in generale e probabilmente non ha un luogo ed una data di nascita precisi. Anzi, poiché fu nella Londra di fine anni venti che la giacca maschile assunse una costruzione più "architettonica" e quindi maggior volume, è presumibile che le lentezze sul dorso in corrispondenza delle maniche siano sorte, o meglio siano state canonizzate, proprio nella Savile Row di quegli anni. Al Cavaliere Granata ed a tutti ricordo che se negli Appunti si riprende una discussione della Lavagna, è opportuno dare un riferimento preciso e numerico. Diversamente, una rilettura del testo a distanza di tempo resta parzialmente incomprensibile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-04-2006 Cod. di rif: 2414 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La camicia-pannolino - Al sig. Longo (Gesso n. 2411) Commenti: Egregio signor Longo, il fatto che una camicia che funzioni non soddisfi appare strano in quanto rivela una verità che il mondo vuole tenacemente dimenticare: la praticità e l'eleganza non solo non sono la stessa cosa, ma nemmeno hanno molti parenti in comune. In un mondo quantitativo l'economia di tempo, di denaro o di energia, viene sempre fatta passare come un valore positivo. Ma qui al castello qualche ardimentoso ricercatore può sperimentare che si tratta di una menzogna e che l'appagamento della natura umana come realmente è, insomma il vero piacere, si trova talvolta in posti scomodi. Non se ne può trarre una legge, ma nemmeno si può accettare quella contraria. La camicia col sottopancia ricorda un finimento equestre, ma ancor più e peggio un pannolino. Se collabora a tirar giù e tendere la camicia, tira verso il basso anche l'ego. Vedersi allo specchio con quel pagliaccetto sgambato non deve essere poi tanto gratificante e non parliamo del movimento per allacciare il tutto. Non è mai bene ciò che non spinge al bene e così non è elegante ciò che costringe ad un'azione inelegante. Poiché l'uomo è sommamente pudico e allo stesso tempo alquanto orgoglioso dell'attrezzatura riproduttiva, passata l'adolescenza non intende mischiarla con faccende che non siano direttamente mirate all'operatività sessuale. Sgabbiarla, forse aggirarla, poi macchinosamente riporla probabilmente anche solo per fare pipì, è una cosa così triste che ho dovuto dire a me stesso che se ne parlavo era per una causa scientifica. Come si direbbe a Roma, "lassamo perde". Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-04-2006 Cod. di rif: 2416 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un colpo riuscito, ma non per tutti - Risp. Gesso n. 2415 Commenti: Egregio Villa, quella adottata dallo sconosciuto signore parmigiano è una struttura cromatica molto delicata. Negli spezzati si ricorre raramente ai pantaloni blu, che sono invece molto comuni indossati con la sola camicia o polo o con giubbini. In effetti, nella versione jeans, i pantaloni blu rappresentano il capo informale più importante del mondo, ma nonostante le infinite occasioni anche su essi la giacca si fa vedere poco e ancor più raramente ammirare. Ovviamente l'uomo Elegante, sostenuto dalla grazia, sembra ignorare ostacoli che per altri sono scogli su cui naufragare o crepacci in cui sprofondare. Nei pantaloni in covert blu, l'ignoto Maestro di quell'arte degli equlibri invisibili che noi studiamo con assidua passione, ha probabilmente trovato un accordo con la voglia di primavera, ancor prima che con la giacca. Ma certamente anche con qualche dettaglio personale, come il colore degli occhi, dell'incarnato o dei capelli. La sua opera è riuscita, ma proporne una canonizzazione o un'imitazione inviterebbe ad un azzardo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-04-2006 Cod. di rif: 2417 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Habemus guayaberam - Al sig. Falletto Commenti: Egregio signor Falletto, in seguito alla discussione sulla Guayabera, nella quale concludevo che per conservare il suo sapore questo capo originario di Cuba deve mantenere quanto una proveniennza caraibica, con il gesso n. 2062 del Luglio scorso Lei chiedeva dove reperire la guayabera ispirata da Alejandro Robaina. Dopo un periodo di assestamento, nel quale di questo capo di parlava senza che si sapesse bene dove trovarlo, in un sol giorno l'ho visto e preso proprio in "casa nostra". Se ne è infatti provvisto, tra gli altri, il nostro De Paz. posso dirLe anche il prezzo, che è imposto dalla casa su tutto il territorio nazionale: 250 scudi. Il capo, realizzato a Cuba, mantiene le promesse con un taglio, un materiale e dei dettagli di valore assoluto. In questo specifico settore, un'opera maestra. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-05-2006 Cod. di rif: 2428 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbigliamento e visione introspettiva Commenti: Inespugnabili Cavalieri, gagliardi Visitatori, la discussione sui jeans non è nuova in questa Lavagna, ma questa volta è posta in modo nuovo. Parte da una dichiarazione del Consigliere Forni che, se si leggesse altrove, piuttosto che commenti susciterebbe ilarità. Già il fatto che qui si possano commentare con profondità, seppure ciascuno dal suo punto di vista, argomenti così controcorrente, dimostra come la Lavagna sia un luogo di ricerca senza eguali. Ma non solo. Quando lo si affronta con convinzione, l'abbigliamento e i modi differenti di leggerne i significati e viverne le soddisfazioni dimostrano quanto il suo studio - come del resto quello del gusto in generale - sia un sistema di conoscersi, di far suonare ben chiara la propria corda. Prima di appoggiare l'una o l'altra causa, voglio solo sottolineare come da una discussione apparentemente circoscritta sia emersa una cifra spirituale che probabilmente coinvolge interamente le persone che vi hanno sinora contribuito: Forni: la Gnosi, ovvero la fede sapiente. Carrara: l'Idealismo, ovvero la fede che cerca un risultato. Pugliatti: la Scienza, ovvero la conoscenza come guida che non riconosce la fede. Mattioli: l'Edonismo, ovvero un gusto del piacere che culmina nel gusto di piacere. Quanto a me, direi la Volontà, ovvero la visione di un obiettivo. (Ma sono ammessi emendamenti e repliche). Tornando all'argomento centrale, non mi sembra più utile parlare dei jeans, dopo tanti dotti interventi in materia. La questione che trovo più interessante non riguarda l'oggetto della discussione, ma i suoi toni. Biasimare i vincitori, trovare il peletto nel loro uovo, è un po' il certificato dei perdenti. Detestarli, anzi diciamo odiarli, invece, è da nemici che non si reputano vinti, insomma da guerrieri. Pertanto, mi sento vicino a Forni non per quello che ha detto, ma per come lo ha detto. E brindo con lui. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 06-05-2006 Cod. di rif: 2430 E-mail: sperelli8@email.it Oggetto: Jeans firmati e tutto il resto - breve riflessione personale Commenti: Gentile Gran Maestro, Cavalieri tutti, ammetto di non avere la scienza e le capacità di tolleranza dell'ottimo Forni, che come lui stesso ben sa accoglie buonissima parte della stima che sono disposto a dare agli altri - e tuttavia mi sia concesso di sorridere, in forza proprio della mia giovanissima età, dinnanzi alle parole del signor Mattioli, ch'io non conosco affatto ma la cui voce suona simile a moltissime altre. Si assiste ad un elogio straordinario dell'ostentazione che in parte, riconosco, potrebbe anche essermi propria - per quanto non ne desideri assimilare i simboli: orologio gigante, auto di lusso, capi firmati... (ma non manca un po' d'anima, in tutto ciò? vabbé...). La ragione, la base sulla quale pare ci si voglia costruire l'intera propria esistenza è, per la maggior parte delle persone, squisitamente di gusto freudiano: la sessualità o, in senso lato, l'esternazione e l'usufrutto costante della propria virilità. Dacché in tal caso è il sesso a stare alla base, è ovvio che i simboli estetici che si chiamano in causa son quelli che si presuppone attirino di più "le belle donne". In sostanza, ci si veste e ci si comporta in una certa maniera per poter esercitare il proprio dovere di maschio. Come si rilevava la puerilità del meccanismo, così se ne dovrebbe rilevare una certa acredine: perché prendersela tanto, insomma, se c'è qualcuno che - anziché basarsi esclusivamente sul "piacere agli altri" - preferisce piacere prima di tutto a sé stesso? L'indipendenza del pensiero indiviale ha sempre dato fastidio a chi non vede al di là di quello comune. E l'idea che il "vecchio", o l'"alieno", o insomma colui o coloro che si vedono come differenti da sé stessi e di conseguenza dagli altri tutti, siano creature infelici e sessualmente frustrate non fatica granché a farsi strada nella mente delle persone come il signor Mattioli. Il cavaliere è infelice? e perché? oh bella, ma perché non si sforza di adeguarsi o si sforza di essere diverso (il che potrebbe essere la stessa cosa). Così facendo le conseguenze sono tragiche, agli occhi di chi non ne comprende le ragioni; e sono conseguenze che invero nella maggior parte dei casi, non esistono. Solo, non vengono esternate nella maniera che si giudica normale, o insomma non in quella maniera solita, o moderna. Perciò non le si vede. E' un po' come se un nordico, avendo sempre visto compaesani biondi e slanciati, fissasse d'un tratto un bruno: la prima supposizione sarà: Ha un parrucca; e faticherà a credere il contrario. Il Signor Mattioli e molti altri dalla sua parte credono, nello specifico, che una vita in giacca e cravatta, attenta alla formalità e alla bellezza antica delle cose, sia sinonimo di castrazione e conseguente frequentazione bordellare obbligata. Ebbene essi forse non sospettano che la maggior parte delle donne belle sono anche intelligenti e sensibili; probabilmente non ne hanno mai saputo vedere anche questo lato, né forse lo sapranno mai stimolare. Cordiali saluti Massimiliano Mocchia di Coggiola ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-05-2006 Cod. di rif: 2432 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abiti a doppiopetto per l'estate - Al sig. Leonardi Commenti: Con un gesso ormai vecchiotto, il n.2357 del 20.02.06, l’assiduo Visitatore Davide Leonardi mi chiedeva qualche suggerimento su tessuti estivi da usare per abiti a doppiopetto, i suoi preferiti. Aggiungeva inoltre: “Vorrei però fuggire, almeno stavolta, dalla dittatura del fresco lana e del blu/grigio. Le chiedo quindi pareri su tessuti e colori, dichiarandomi disposto a "rischiare" e a cercare soprattutto divertimento, senza rinunciare allo Stile e all'Eleganza che, creda, perseguo almeno quanto voi”. Forse è un po’ tardi, ma solo ora mi accorgo di non aver risposto e cerco di porre rimedio. Il testo introduttivo alla Lavagna, lo stesso che richiede ai visitatori il rispetto di alcuni principi, assicura a tutti una risposta. Poiché nessuna delle semplici norme del castello potrà mai essere modificata o ignorata, tanto meno dal Gran Maestro, scusandomi per il ritardo mi accingo ad affrontare l’interessante argomento, dirigendomi direttamente all’interessato. Egregio signor Leonardi, sull’oggetto della Sua ricerca Lei è estremamente chiaro, ponendo confini precisi. Si tratta di trovare cosa ci sia nell’area in cui si intersecano le seguenti categorie di tessuti: 1) Estivi 2) Adatti al doppiopetto 3) Divertenti, 4) Vivaci. Rendendosi subito conto che questa regione non sarà piana e stabile, ma irregolare e sdrucciolevole, correttamente Lei si dichiara disposto a rischiare. Bene. Procediamo. 1) Innanzitutto chiariamo cosa significhi tessuto ESTIVO, perché ci sono almeno due modi di intenderlo. Il primo si riferisce alla freschezza reale, cioè avvertita da chi lo indossa, il secondo a quella percepita, cioè leggibile da chi guarda. A prescindere dalla fibra di cui sono composti, i tessuti che permettono di reggere meglio al caldo sono necessariamente quelli armati a tela, che quindi sono quelli estivi in senso di comfort. Le tele, in genere piuttosto matte, possono incontrare alcuni limiti nei settori della cerimonia, della sera e della gran sera, ma molti le vedono insufficienti anche per un livello di formalità cittadina piena, come può essere un ambiente di lavoro professionale. Nuovi sistemi di allevamento ovino e tecnologie migliorate nella filatura e tessitura hanno consentito fibre molto sottili e pesi estremamente ridotti nelle saglie pettinate (tipo Tasmania di loro Piana, per intenderci), che per la loro lucentezza sono perfette per un uso formale e per la leggerezza appaiono idonee ai climi estivi. In realtà, il loro comfort reale è sempre inferiore ad una tela sfoderata, specie se vecchiotta.Chi abbia nell’armadio abiti con una certa età, avrà notato che ogni anno diventano più freschi, ma la cosa non riguarda le sagliette leggerissime, che invecchiano male o non invecchiano affatto. Esse offrono una percezione di freschezza, ma la fittezza della costruzione e il gran lavoro di finissaggio non permettono molta traspirazione. Bellissime, utilissime o necessarie in alcune delle occasioni in cui abbiamo visto le tele in difficoltà, si deve anche sapere dei loro limiti, che sono una durata ridotta e la tendenza ad appiccicarsi addosso e stazzonarsi. Re dei tessuti estivi è il lino irlandese, che dispone di colori splendidi, ma diventa veramente bello e leggero solo dopo qualche anno di uso assiduo, quando comincia a stingere. Se ben costruito, dura moltissimo ed è un ottimo investimento. Al suo fianco troneggia la seta shantung, che però ha ormai praticamente due soli colori: il sabbia ed il blu. Freschissima, specie nei pantaloni, dura molto più di quanto si creda. Il mohair mette d’accordo il comfort con una lucentezza che lo rende utilizzabile anche su registri formali. Possibili come curiosità o virtuosismo, non esistono in commercio tessuti in puro mohair, pelo caprino che in genere si presenta in combinazione con la lana. Molto interessante un prodotto attuale della Drapers, che ha in campionario un misto tra mohair e cotone dall’effetto fil-a-fil ed interessante cartella colori. Il cotone è informale nel gabardine, mentre è piuttosto sportivo nel drill (a costa evidente) e decisamente sportivo nel canvas. Dona un appeal facilmente leggibile, una sensazione di disponibilità che lo rende molto adatto ai rampanti, a quanti si preoccupino molto di piacere, agli amanti delle abbronzature, a coloro che in ogni età intendano trasmettere una sensazione di benessere fisico. I colori sono infiniti, ma la scelta è difficile, in quanto molti prodotti dopo pochi lavaggi perdono caratteristiche, spelano, stingono male. Il sarto in genere sa quali siano i prodotti che in quel momento offrano le migliori garanzie e quindi in questo campo è meglio ascoltarlo, piuttosto che portare un taglio acquistato personalmente. Le tele di lana adatte all’estate sono i tropical, i ritorti leggeri a due capi, quelli a tre su trama Fresco, le tele vaticane, gli hopsack (spesso in misti tra lino, lana, seta, etc). Le sagliette sono coniugate in infinite varietà, con prevalenza delle tinte unite e gessati. Non mancano, però, le soluzioni a quadri. 2) Tra ciò che abbiamo visto, mi azzarderei nel dire che su una scala da uno a dieci questi appaiono i valori di adattabilità al DOPPIOPETTO: otto per il lino (non in tutti i colori), dieci per lo shantung, sei per il gabardine di cotone, sette per tropical e ritorti a due capi, nove per le tele vaticane e le sagliette. Siamo vicini allo zero per il canvas e credo si debba attribuire un due al drill, che può migliorare sino a cinque o sei in caso di cotoni brillanti. Gli hopsack leggeri e misti che propongono molte case non vanno bene per un abito completo, ma come giacca isolata possono spaziare dal tre al sette. Questa classifica è ovviamente opinabile e non dubito che esista da qualche parte un geniale doppiopetto in canvas rosso, ma perché l’analisi potesse concludersi con dei risultati motivati e concreti è stato necessario dare dei punti di riferimento di tipo “medio”, che cercano di individuare un livello di percezione standard sia da parte di chi veste che di chi osserva. 3) Il DIVERTIMENTO del classico non è cosa che tutti capiscano e quindi sono particolarmente lieto di udire a proposito di abiti tradizionali, peraltro in doppiopetto, questa dichiarazione di sereno dominio di una materia estetica che nelle mani profane sembra essere simbolo di soggiogamento e in quelle illuminate è una delle porte, forse la più preziosa, verso la libertà espressiva attraverso il linguaggio del vestire. Il divertimento non è solo nei tessuti e nei loro colori, ma risiede in gran parte nei dettagli, nelle fogge, negli interni, negli abbinamenti, negli accessori. Restando all’apporto che possono dare i materiali, il cotone ed il lino, tinti in pezza e quindi destinati prima o poi a stingere, sono forse quelli più divertenti in quanto sempre diversi. In realtà, anche alcuni mohair vengono prodotti in un solo colore e poi tinti in pezza. Fate caso che il righino gessato dei mohair è quasi sempre in una fibra sintetica, refrattaria alla tintura. Ciò permette di immagazzinare grandi quantità di tessuto realizzato in colore naturale da un solo telaio e con una sola messa in opera dell’ordito (fase laboriosa e costosa). Successivamente, secondo le esigenze della stagione, si procede a tingere il tessuto in vasca, ma il righino che era celeste resta tale anche dopo il bagno. In ogni caso, il mohair non stinge e comunque le lane si lavano meno di lini e cotoni, perché dopo cinque, sei o massimo sette lavaggi a secco il filato perde tutta la lanolina ed è destinato al pensionamento definitivo. Sia chiaro che il mohair non è una lana, ma un pelo. Proprio per questo appare sempre in combinazione con una lana e quindi ricade nel suo destino. C’è divertimento anche nelle tinte ed oggi in particolare in quelle chiare, divenute di uso poco comune. Pertanto la seta, che da grandi risultati nel chiaro, può rientrare a pieno titolo in quest’area. 4) Dichiarando di volersi sottrarre al fascino, ma anche alla schiavitù grigio e del blu, Lei orientava la ricerca sui colori più VIVACI. Comuni nei cotoni e nei mohair, le tinte solari che può far piacere indossare in estate difettano nelle tele vaticane e nelle sagliette per riemergere nei tropical, dove però appaiono in disegnature a quadri non molto adatte ad un completo doppiopetto. 5) Secondo quanto da Lei indicato, mi limito a pensare in termini di ABITI COMPLETI. Le conclusioni devono quindi rispettare anche questo quinto parametro. Ragionando sulla mappatura delle quattro aree ed esaminando la zona dove esse si sovrappongono, risulta che nella regione dove si troverebbero soddisfatte tutte le sue esigenze possono incontrarsi: Shantung color sabbia. Lino avorio, celeste o anche carta da zucchero (puntando all’invecchiamento). Mohair in azzurro o grigio chiarissimo con righino “fru-fru”. Gabardine fine e fittissimo in cotone ecru, ma anche celeste. Cavallerescamente, Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-05-2006 Cod. di rif: 2435 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacche in mohair e in seersucker. - Al sig. Leonardi Commenti: Egregio Leonardi, mi congratulo per la Sua scelta. Vedo che nel punto 2) della mia analisi al gesso n. 2432 non indicavo un valore alla compatibilità del mohair (da Lei utilizzato) con la foggia a doppiopetto. Naturalmente è tra le più alte, seconda solo allo shantung color sabbia. Diciamo un otto/nove su dieci, secondo il disegno e la tinta. Quanto alla giacca di seersucker, temo che la confezione lascerà comunque deluso un vecchio cliente di sartoria. Non saprei dove indirizzarLa. Se a Roma vi fosse un monomarca Brook's Brothers non avrei dubbi. Risolverebbe il problema e permetterebbe anche una certa personalizzazione, perché in questo tipo di negozi hanno anche il su-ordinazione. Credo, però, che l'unico loro punto escòlusivo sia a Milano e quindi resto nel dubbio. Spero che tra i Visitatori si faccia vivo qualche buon conoscitore delle strade e delle vetrine romane, che possa darLe una buona indicazione. Se così non fosse, potrebbe essere un bene. Avrebbe già risolto i Suoi problemi per l'anno prossimo, già sapendo cosa confezionare per l'estate 2007. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-05-2006 Cod. di rif: 2437 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Altre sul seersucker pronto Commenti: Egregio signor Leonardi, un Cavaliere romano che ha letto il Suo gesso, nel corso di una telefonata mi segnalava qualcosa che potrebbe tornarLe utile. Quanto ai prodotti Brook's Brothers, mi diceva che almeno camicie ed accessori sono in vendita da Lucchese in Via del Babbuino. Il seersucker non è riconducibile a questa sola casa ed è meglio guardarsi in giro a 360 gradi. Sembra che Cenci in Via di Campo Marzio abbia sempre esposto capi del genere. Per ora è tutto. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-05-2006 Cod. di rif: 2442 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il giubbino scamosciato - Risp. al gesso n. 2431 Commenti: Egregio signor Tarulli, non saprei risalire al momento esatto della nascita o addirittura alla paternità della tenuta di cui al Suo gesso. Viste le caratteristiche di versatilità e dinamicità, ritengo probabile chela sua affermazione sia contemporanea ed anzi conseguente alla diffusione dello scooter. In “Vacanze romane” (1953) Gregory Peck lo guida ancora in giacca. Quanto può averci messo, chi la Vespa la usava davvero, a trovare qualcosa di più idoneo al freschetto della sera e che allo stesso tempo reggesse gli standard formali di un bar del centro? Meno di un anno, credo, il che permette di azzardare un’ipotesi cronologica piuttosto precisa. Quanto alla regione di nascita, credo che si tratti di un fenomeno che coinvolge tutta la nostra penisola e addirittura internazionale. Come Lei ben immagina, a Napoli il giubbino scamosciato ha una storia importante per significato e diffusione. Visse una stagione d’oro negli anni settanta, quando lo si portava con jeans e stivaletti. In questa versione identificava il “chiattillo”, forma partenopea di vitellonismo precoce di supremo interesse antropologico. Era allora ed è oggi la casta che con la sua presenza innesca una frequentazione femminile di alto profilo, la quale a sua volta decreta il successo di un locale o di un altro. In questo modo, il chiattillo manifesta la sua indiscutibile leadership sul branco. Ebbene, ancor oggi in primavera è possibile incontrarne qualche vecchio esemplare, sempre gagliardo, con il giubbino scamosciato su jeans o pantaloni grigi. La prima versione è quella sportiva del tipo “c’ho la moto/ auto che è uno schianto ”, la seconda quella intellettual-professionale del tipo “c’ho la barca”. Con una storia che rimanda al dinamismo dell’aria aperta, lo scamosciato con jeans o pantaloni grigi si addice in modo particolare a chi è sempre in caccia di prede: i cosiddetti single. La sorprendente diffusione di questa nuova forma biologica, molto vicina ad un essere umano, ma autosufficiente e quindi autoreferente, è probabilmente uno dei motivi per cui la tenuta che Lei dewscrive non si è estinta. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-05-2006 Cod. di rif: 2446 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nuova sezione nel Portico, pertinente all'abbigliamento Commenti: Come accessorio che si indossa, gli occhiali sono già stato oggetto di investigazione in questa Porta. All'ottico romano Alessandro Spiezia, in grado di fornire un prodotto artigianale di gran gusto ed anche su misura, il nostro Prefetto cavalleresco Italo Borrello ha dedicato una bella scheda, che ho accolto con entusiasmo e che da oggi è pubblicata nel Portico dei Maestri. La ritengo una spinta a nuove discussioni ed a qualche appuntamento specifico sul tema. Ricordo che chiunque, anche appassionati estranei all'Ordine, possono spedire schede e immagini utili alla valorizzazione di botteghe meritevoli. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-05-2006 Cod. di rif: 2448 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Inaugurazione a Roma Commenti: Imperturbabili Cavalieri, tenaci Visitatori, il 15 Maggio, cioè Lunedì prossimo venturo, il Maestro napoletano Gianni Marigliano inaugurerà una sede definitiva a Roma. Si tratterà di un salotto, sempre aperto sia ai clienti che agli appassionati della sartoria napoletana, con vetrina esterna ed ingresso interno alla bella struttura dell'Hotel River Palace. E' qui, in Via Flaminia n. 33 (non lontano da Piazza del Popolo) che alle ore 18.30 si terrà l'inaugurazione. Il Maestro, che segue il lavoro di questa Lavagna, mi ha contattato perché attaverso essa estenda il suo invito a tutti Voi. Io ci sarò. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-05-2006 Cod. di rif: 2462 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tipical garments - To mr Bresch (Ans. to Chalk n. 2454) Commenti: Dear mr Bresch, sahariana isn't really a regional garment. You can get a bespoke one from our deliver SABATINI in Rome, wich has a long history in sewing saharianas (and others outfit delights) for the Knighthood. (Sabatini, Via Flaminia n. 111, +39.06.3201590. For the maremmana jacket, I', sure there is a specialized taylor in Castagneto Carducci, a village in the heart of Maremma. I will able to give you his direction before tomorrow morning. Knightly Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-05-2006 Cod. di rif: 2463 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blue jeans - Qualche goccia dal mare dei ricordi Commenti: I MIEI JEANS Non ne indosso un paio da almeno venti anni, ma nutro per i jeans il più profondo rispetto. E’ a pieno titolo un capo del Classico Internazionale, elite della concretezza selezionata dal tempo e dall’uso, che pertanto vanta radici storiche e diffusione geografica tali da restare desiderabile al di là delle frontiere e delle generazioni. Nel loro secolare album di famiglia, troviamo un capitolo recente di grandissima importanza, indispensabile per comprenderne il linguaggio. Comincia, forse qualcuno lo ricorda, con la guerra in Vietnam. L’inconsistenza e l’incomprensibilità strategica dell’obiettivo, soprattutto in rapporto all’impiego di mezzi e alla perdita di uomini, generò un’indignazione che si faceva ogni giorno più profonda. Le differenti, profonde, sincere, durature reazioni, dirette e indirette, alimentarono un desiderio di liberazione e disegnarono man mano quella che allora si chiamò “controcultura”. Accomunati dall’insofferenza, i giovani che a decine di migliaia vedevano cadere i propri coetanei misero bene a frutto questo credito ed assunsero come parte sociale un’autorità che la storia non aveva mai conosciuto. Ci furono molti slogan e molte bandiere, ma l’immagine che tutte le riassume è lo stemma “MAKE LOVE NOT WAR” cucito sul denim di un giubbotto o di un paio di jeans. Essi erano ricchi di storia già prima di queste vicende, ma la loro antologia espressiva conteneva i registri del tempo libero, dell’aria aperta, del lavoro, senza essere legato ad alcuna stagione della vita. Intorno alla fine degli anni settanta, invece, i jeans erano divenuti definitivamente il simbolo della gioventù ed è per questo che essi vengono ora così largamente usati come trattamento non invasivo contro l’età. Negli ultimi due decenni, quella gioventù che aveva tanto marciato per la libertà ha finito per fermarsi e diventare opprimente. Essa aveva individuato, all’inizio, che il fenomeno del consumismo globale l’avrebbe corrosa. Resasi conto che per combatterlo avrebbe dovuto fare delle rinunce e avendo basato tutta la sua corsa sulla criminalizzazione di ogni rinuncia, preferì girarsi dall’altra parte e godersi il successo. Agganciata come un quadro alla parete, sfoggiata come uno status-symbol, ha finito per essere proposta e prescritta come valore assoluto, fuori dal quale nulla di buono potrebbe esistere. Da facoltativa è diventata obbligatoria ed oggi, guardandosi in giro, non si vedono altro che oggetti, servizi e messaggi rivolti ad un pubblico giovane. Chi anagraficamente non lo sarebbe, per sentirsi vivo ed attivo non ha altra scelta che dichiararsi almeno giovanile. Un paio di jeans torna molto utile per un lifting immediato del fondoschiena e conferire alla persona, uomo o donna che sia, un’immagine compatibile con questa necessità di apparire performanti. Non cedo a queste pressioni, che da lusinghe sono diventati ordini. Non voglio rinunciare alla mia mezza età e non trovo motivo di nasconderla. E’ quindi per una scelta ideologica che ho abbandonato i jeans, per quello che significano, non per un loro intrinseco demerito. Li ho riposti, ma non nego di averli posseduti ed amati. Anche se mi sono tolto il vizio, anch’io sono stato giovane. Comprai il mio primo paio alla Sartoria Lampo, un negozio celeberrimo nei primissimi settanta e scomparso quando il settore del denim da Cenerentola si trasformò in Principessa ed i ragazzi scoprirono l’assoluta necessità di un capo griffato per rimorchiare. L’unica sede era a Positano, sulla via principale, poco prima di quella piazzetta dove una volta c’era il distributore di benzina. Si parcheggiava la moto tra un albero e l’altro del viale e, prima di scendere alla spiaggia, si poteva ordinare un paio di jeans a-la-carte. C’erano molti modelli e un paio di sfumature, ma si poteva anche chiedere una personalizzazione delle tasche, del numero delle cuciture, della svasatura dell’immancabile zampa d’elefante. Al ritorno dal mare, i pantaloni erano pronti. Si controllava la lunghezza e lì per lì si rifiniva l’orlo. Fatto, con una velocità da far invidia al più veloce sarto di Hong Kong. I costi erano accettabili, se non modesti, eppure la Sartoria Lampo offriva un servizio di livello internazionale per originalità e precisione. Presto sorsero delle imitazioni e nuove idee si sommarono alle vecchie. Ancor oggi la fama dell’abbigliamento di Positano ha un piccolo debito con quell’estinto capostipite. Tra l’altro, penso sia stata tra le prime manifatture a proporre i jeans già lavati e ammorbiditi. Va detto che intorno al 1970 tre sole erano le grandi marche. Levi’s aveva una modellistica più precisa ed i suoi jeans non si sentivano mai nelle ginocchia. Lavorava però con una tela molto rigida, di colore scurissimo, che lasciava spazio al desiderio di qualcosa di più leggero. Wrangler e Lee, pur essendo tecnicamente meno validi, cercarono questo varco per tentare un sorpasso. Il primo usando colori più tenui e una mano meno vicina a quella di una pergamena, il secondo proponendo la linea a sigaretta, scomoda e subito amata dalle ragazze per i vantaggi che offriva alla linea di parti piuttosto importanti. Non si parlava ancora di prelavaggio, che ho visto per la prima volta proprio a Positano. Un altro paio di jeans che ho molto amato fu un Levi’s 501 vecchia scuola, duro e con i polpacci piccoli. In tempi di rivolgimenti epocali, la necessità di identificarsi con una parte e la cieca fiducia che si tratti della parte giusta, facilitano la diffusione di oggetti strani e dei pregiudizi più strampalati. Diciamo che a quell’epoca il bottone era borghese e la cerniera rivoluzionaria. Bisognava quindi usare la seconda. Da un parente argentino, il mio amico Carmine Aiello* ricevette un bel giorno un paio di jeans che non solo non aveva la zampa d'elefante allora obbligatoria, ma si chiudeva con cinque piccoli bottoni argentati in un'epoca che venerava la zip in regime monoteistico. I jeans in generale non gli erano mai piaciuti e non ha cambiato mai parere. Inoltre, indossare un simile arnese, peraltro a vita alta, avrebbe comportato il rischio di emarginazione immediata, sicché era impossibile venderlo e dannoso regalarlo. Mi sottoposi io all’esperimento e finii per divertirmici. Le discussioni che generò me lo resero più prezioso. Fedele amico, sacrificò la sua vita per proteggere la mia in un incidente motociclistico. Non ci fu nulla da fare e non posso che sperare che riposi in pace, magari tramutato nella più durevole carta di Amalfi. Giancarlo Maresca (Articolo apparso, con altro titolo, sulla rivista MONSIEUR del Giugno 2005) *(Fondatore Costituente del nostro Ordine) ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-05-2006 Cod. di rif: 2468 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un paio di scarpe di cuoio color miele - Risp. Gesso 2466 Commenti: Egregio signor Leonardi, un paio di scarpe ber realizzate in un cuoio chiaro di gran concia, al di là delle sentenze dei "normativi", è una meraviglia il cui fascino ha una particolare immediatezza. Energiche, solari, come una collina terrazzata a vigne sono un'opera cui sembra abbiano collaborato l'ingegno e la natura, rivelandovisi la proporzione umana e quella cosmica o divina. Un oggetto desiderabile, anche se non si volesse indossarle e si pensasse ad usarne una sola, magari come fermacarte. Fosse solo per il gusto di possederle e lustrarle, varrebbe la pena acquistarne almeno un paio nella vita. Quanto a calzarle, credo che non vi siano tutte le controindicazioni elaborate dai controriformisti dello stile maschile. Nonostante oggi siano essi a trionfare nella savonaroliana limitazione del classico per gli abiti a due soli colori (grigio e blu), per le scarpe la partita si è riaperta grazie all'influsso del genio della lampada Berluti, che piuttosto che soddisfare i desideri li anticipa e li crea. Solo tra molti anni verrà pienamente compreso il ruolo di questa casa, in particolar modo l'importanza di Olga, nel passaggio da una scarpa scultorea ad una pittorica, da una calzata imperfettibile ad una suscettibile. Questo dettaglio, apparentemente trascurabile, è invece il simbolo stesso dell'evoluzione dall'uomo elegante nel rispetto verso quello elegante per leggerezza. Siamo ancora nel pieno di questo traumatico viaggio e le scorie sono tali e tante che anche all'occhio più attento diventa difficile valutare i contorni del paesaggio. Credo che un cattivo modo di intendere la leggerezza, che però è quello più diffuso, porti a delle deviazioni aberranti. Coloro che siedono nel vagone giusto arriveranno lontano e come sempre saranno i pochi che riscatteranno, almeno è da sperarlo, gli errori dei tanti. Il colore che lei descrive gastronomicamente come miele non è certo una novità, anzi figura ai piedi maschili sin dagli anni trenta, specialmente americani. "Mai col blu", dice una vecchia regola che potrebbe essere diventata una regola vecchia. In ogni caso, se si dice così vuol dire che almeno col grigio vanno comunque bene. Belle anche con gli spezzati (con giacche a quadri, perché il blazer le vuole un po' più "serie"), ma anche sotto pantaloni bianchi, valorizzate da calze fantasia o a grandi coste in un rigoroso, luminoso blu. Certo, non bisogna abusarne. Vanno considerate un condimento, da tirar fuori quando il momento è giusto per l'umore o le condizioni di luce. E' ovvio che in una giornata piovosa di Novembre non farebbero lo stesso effetto che in questi giorni di bel tempo. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 24-05-2006 Cod. di rif: 2470 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: AngloMania Commenti: Mi permetto di segnalare a tutti i cultori del british style alcune recenti pubblicazioni ed un importante evento. Partendo da quest'ultimo si tratta di una mostra fotografica, corredata di un libro a cura di Andrew Bolton, che si tiene dal 3 maggio al 4 settembre a New York, presso il Metropolitan Museum (www.metmuseum.org) dal titolo "AngloMania: tradition and trasgression in British Fashion". L'anno scorso i tipi de l'"Edition du Regard" hanno pubblicato la storia del mitico negozio parigino Old England dal titolo "So British" di Deschodt-Van Dorssen. Infine Jeremy Hackett ha pubblicato ad inizio anno una raccolta di suoi scritti corredata di fotografie per l'Independent on Sunday" dal titolo "Mr. Classic". - Bolton, "AngloMania: Tradition and trasgression in British Fashion", (nov. 2006) - Deschodt-Van Dorssen, "So British", Edition du Regard, 2004 - Hackett-Tang, "Mr. Classic", Independent on Sunday, 2006 Cavallereschi saluti. Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-06-2006 Cod. di rif: 2480 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualche postilla sul panama - Al cav. Villa Commenti: Egregio cavaliere Villa, chiamato in causa da Lei, parlerò volentieri del cappello e in particolare del Panama. Oggi un copricapo a tesa e cupola, con la sua inevitabile architettura, appare impegnativo. Nacque per conferire e dimostrare dignità in un’epoca in cui era un valore positivo riconosciuto. Ma una delle vie della dignità passa per l’età ed il nuovo codice non permette di percorrerla. Confinatosi in un eterno stato giovanile, rifiutata la stabilità necessaria alla dignità in nome di una mal tradotta leggerezza, l’uomo trova rischioso o degradante evocare la gravità dei suoi anni. E’ l’epoca della “personalità destrutturata”, talmente abituata alla flessibilità del compromesso da temere la rigidità simbolica di questo oggetto. Non mancano i paradossi. Credendo di interessarsi alla propria salute, i consumatori sono attentissimi alle percentuali di sodio in un bicchiere d’acqua, ma trascurano gli effetti ben più nocivi delle radiazioni solari e del freddo alle regioni più preziose, da cui il cappello ripara. Del cervello, Woody Allen parlava come del proprio “secondo organo preferito”, ma ora che se ne utilizzano sempre meno le funzioni complesse, la sua posizione in classifica deve stare intorno al sedicesimo posto e si comprende come la cura del capo come meccanismo e non come supporto estetico sia di scarsa rilevanza. Il panama gode ancora di una discreta salute e genera meno sospetto dei parenti in feltro, perché evoca quella leggerezza ormai universalmente considerata come necessaria ad essere accolti nel genere umano. Indossarlo è come portare un cane a passeggio: diventa sempre argomento di conversazione. Sull’origine e qualità ha già detto molto e mi diletterò con qualche appunto sparso sui criteri di valutazione ed uso. Ricordate di bagnarlo ogni tanto, o ancor meglio di esporlo a qualche nottata umida. E’ importante sistemarlo in testa con due mani. Quasi tutti lo afferrano con tre dita alla carena, ma questo gesto genera in poco tempo una piega netta che taglia le fibre. Poiché appena poggiate il panama su un tavolo qualcuno vuole provarlo, fermatelo immediatamente mentre lo sta pizzicando con gesto da grande esperto. Spiegategli che con quelle tre dita a ganascia si afferravano una volta gli spaghetti, ma per i cappelli di qualità occorre ben altro riguardo Un panama artigianale è infatti un’opera dell’ingegno umano paragonabile ad un tappeto. Come quest’ultimo, va trattato secondo la propria natura e tenuto lontano da mani incompetenti. Ogni oggetto di grande valore venale ed intrinseco ha in se la capacità di durare a lungo, ma i profani trovano per istinto il gesto che può danneggiarli o distruggerli. Quando si parla di queste cose che oggi vengono definite “di lusso”, sempre ci si preoccupa di usare una locuzione del tipo “un cappello degno di questo nome deve avere …. ”, ovvero “un cappello degno di Voi lettori deve essere …”. Il gentiluomo, a mio avviso, sa tutto ciò che una cosa deve essere e avere, ma ancor meglio sa che l’eccellenza ha di questi doveri per soddisfare il gusto sensibile e colto, quindi prima dell’acquisto. Una volta giunto a possederli, toccherà a quest’uomo essere degno di tanta cura e fortuna. La bellezza si gestisce sempre per delega. Non è disdicevole averne, nelle giuste occasioni anche esibirne, quantità sino allo sfarzo ed oltre. E’ invece incivile infierire sulla bellezza o trascurarla, per dimostrare di dominarla o poterla ricomprare. Ricomprare non è riprodurre e possedere non è dominare. Come lei ha già detto, più un panama è fitto, più è sottile, più è tenace e costoso. Deve essere leggero come un foglio di carta e morbido come una fetta di prosciutto. Questa concentrazione di freschezza fisica e psicologica si coniuga al meglio con un nastro interno in gros-grain, ideale per i climi italiani. Meglio averne anche uno guarnito in marocchino, che ha maggior tenuta. Chi vive a Trieste o a Genova, città assai più ventose della mia Napoli, potranno privilegiare direttamente i panama con questa costruzione di stile inglese. Prima di sceglierne uno, osservatene molti. Guardate a lungo in controluce, alla ricerca di eventuali imperfezioni, punti deboli, giunture, tutte caratteristiche che influiscono sul valore e sulla durata. La grana sarà compatta, ma la mano scorrevole e gratificante come se carezzaste un animale vivo. Il disegno al centro della calotta, quello da dove inizia l’intreccio, vi permetterà di individuare il luogo di provenienza del cappello. Gli ecuadoriani provenienti da Cuenca, meno preziosi per lavorazione e qualità del materiale, presentano un disegnino circolare, mentre i Montecristi partono sempre da un ovale. Entrambe hanno il diritto a chiamarsi panama, ma mentre nei Cuenca ci si orienterà verso modelli stampati, i Montecristi più belli sono quelli dove la forma è stata conferita direttamente ed esclusivamente dalla mano del cappellaio. Una cosa ben tenuta presente: un panama di classe ha il bordo esterno della tesa annodato su stesso, senza nessuna cucitura. Ciò vale anche per il Cuenca. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-06-2006 Cod. di rif: 2483 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Panama: Optimo, Brisa ed altri termini - Al Cav. Villa Commenti: Egregio cavaliere Villa, mentre mi invita a nozze con le Sue richieste di approfondimenti, mi rattrista sentire di un sarto, un Maestro, che affibbia un soprannome da scolaresca di provincia ad una foggia che ha una definizione ben precisa. Gli uomini che la resero autorevole al punto che ancor oggi, come Lei stesso ha notato, è difficile far vetrina senza esporre almeno un “optimo”, non furono affatto esploratori, bensì costruttori di un impero e viaggiatori di prima classe, insomma gli inglesi nelle colonie. Confondere l’origine delle cose, approssimare termini secondo la sciatta prassi del “tanto ci capiamo”, è un fenomeno gravissimo ed una colpa inammissibile nel caso di un addetto ai lavori. Guardi come la sapienza del nostro Rettore lo porta a precisare innanzitutto la nascita e la storia iniziale di ogni capo. La salvezza del Classico e del suo civilissimo sistema di valori e ideali, non dipende dal temporaneo successo di una sua foggia o di uno stile, ma dalla conservazione degli archetipi. Dire dell’optimo che è un “cappello da esploratore” è lo stesso che definire il driving cap come una “coppola da mafioso”. Succede spesso e Lei lo sa bene, ma si tratta di minacce alle fondamenta del pensiero virile. E quando provengono da chi è preposto alla sua custodia, scattano le aggravanti. Vengo ora alle Sue domande. 1)Vedere quanti si illudano di trovarne solo in camicie trasparenti alla Salomé, quando altri indossano con soddisfazione pesi due volte superiori, fa capire che nella valutazione della freschezza il messaggio psicologico prevale sul contenuto fisico. E questo è bene, poiché è umano. Alcuni popoli si ristorano con una coca ghiacciata, altri con un thè caldo. Chi ha ragione? Sembra che i primi stiano dandoci dentro di brutto per dimostrare la prevalenza della loro teoria a suon di missili e carrarmati. Non sono argomenti che abbiano mai convinto qualcuno, specie in merito a cose così importanti, ma non si può mai sapere. In attesa dell’esito finale, è meglio astenersi da sentenze. Ciascuno all’ombra del suo cappello, Cuenca o Montecristi che sia. 2) La seconda domanda è piuttosto impegnativa, in quanto esige di andare a sbrogliare una matassa che accumula nodi da anni. Lei chiede del Brisa, ma come abbiamo detto, per comprendere le cose occorre andare all’origine. Immaginiamo allora di volare in Ecuador e vediamo cosa significhi questa parola per chi i cappelli li fabbrica. Le consiglio di riguardare attentamente il montaggio che ho proposto all’Appunto n. 2476 del taccuino, che permette una verifica di quello che sto per dire. Nella provincia di Manabi, dove nascono i Montecristi, gli artigiani lavorano la toquilla con un intreccio abbastanza complesso detto “llano”, che genera in superficie un motivo a spiga o spina di pesce. Nella regione di Cuenca si usa una lavorazione con intreccio semplice a stuoia o tela, detta dai venditori 1 x 1 e dai locali “brisa”. Eccoci qua. La parola indica in origine uno dei due principali metodi di costruzione. Successivamente, poiché la tessitura a brisa è tipica di Cuenca e questi cappelli sono in genere più larghi di maglia, per Brisa con la maiuscola si è cominciato ad intendere un cappello che presentasse in maniera particolarmente evidente questa caratteristica. Ormai la parola c’è, ma è sapendo come e da dove viene fuori che si sa anche come usarla. Quanto alle qualità di questi cappelli, sono ovviamente inferiori agli altri E’ tipico del venditore spacciare come un pregio il difetto che rende di più. Lo vediamo ogni giorno con il tonno in scatola, dove una casa vanta come un fiore all’occhiello gli animali a pinne gialle, che sono i più ordinari. Se la qualità sarà affidata solo alle leggi e non anche alla cultura, questa è la fine per tutti. In conclusione, ma non proprio, il panama non è una specie, ma un genere. Al suo interno le classificazioni sono possibili, ma poiché hanno anche conseguenze venali vengono attentamente confuse ad ogni passaggio di mano. E’ anche possibile dare nomi sufficientemente precisi ad alcune fogge più stabili, il che va a vantaggio della certezza e della comunicazione. Ribadisco che basandosi su definizioni approssimative e non condivise si può fare conversazione, ma non ricerca. Limitatamente alla mia cultura in materia, ben lungi dall’essere completa, mi riservo di dedicare al panama una serie di Gessi ed Appunti che possa stabilire dei fondamenti certi su: A – Terminologia e fogge B - Classificazione e valutazione Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-06-2006 Cod. di rif: 2485 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Anatomia della competizione - Al sig. Mattioli Commenti: Egregio signor Mattioli, mi rallegro sinceramente dell'energia che mette negli acquisti e nella loro esibizione. Qui la vanità non è considerata un peccato. Fa bene a fare incetta di oggetti preziosi. Già solo acquistarli è una terapia, anche se non tutti possono permettersela. Ma qui nemmeno i soldi sono un peccato. I paragoni che Lei svolge sono però tra persone e non tra cose. Sfilare in passerella per dimostrare non eleganza o bellezza, ma supremazia, ha qualcosa di cattivo gusto. E qui il cattivo gusto è un peccato grave, anche se non saremo certo noi a irrogare sanzioni e penitenze. Lei dirà che sono atteggiamenti superati e che il nostro è un criterio assiomatico. Potrebbe confortarLa, ma non cambierebbe nulla. Rileggendo la Sua, noterà un fatto oggettivo: l'abbondanza in cui vive non La salva da un senso di competizione, che minaccia la serenità e quindi la parte più profonda del Piacere, quella che aderisce a se stessi, anche se non sempre comincia e finisce in se stessi. E' per mettere in evidenza questo dettaglio che rispondo ad un intervento, il Suo, che pur essendo corretto non risponde ai criteri ed allo stile di questo laboratorio. Lei, però, aggiunge qualcosa alla nostra ricerca proprio perché non la comprende, ma nello stesso tempo la avverte come una sfida o una minaccia. Sul tavolo anatomico dove abbiamo disteso non Lei come persona, ma questo Suo atteggiamento, la necessità di paragoni appare un fattore patologico che aggredisce i tessuti spirituali e morali. Si dimostra, ancora una volta, come la tolleranza del diverso sia non l'effetto, ma l'origine della libertà e con essa del pensiero costruttivo e fecondo. Quanto alle infantili domande di natura fiscale, devo informarLa che molti Uomini di Gusto e di Fede hanno vissuto ben al di sopra dei propri mezzi. Come si fa? E' difficile da spiegare. Diciamo che, dando senza tornaconto, riceverà senza chiedere, otterrà senza insistere, troverà senza cercare. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-06-2006 Cod. di rif: 2486 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fashion from Tuscany. To mr Bresch - Ref. Chalk n. 2454 Commenti: Dear mr Bresch, finally I'm proud to give you a guaranted address for Maremmana, Capalbio and other garments of tuscan tradition. Sartoria ARTE & MODA, di FLORIAN CRISTEA Via Vittorio Emanuele n. 50 CASTAGNETO CARDUCCI(Livorno) Tel. +39.0565.763694 Cristea is a very charming man and so are its works. He can sew custom-made jackets and overcoats, all in traditional fabrics and shapes. If you need his mobile phone, ask for it writing me privately. Knightly greetings Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 15-06-2006 Cod. di rif: 2489 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Panama, bibliografia Commenti: Egregi Cavalieri, mi permetto di segnalarVi questo bel libro sul Panama, reperibile in francese o inglese: - Martine Buchet-Laziz Hamani,"Panama - A legendary hat", Assouline Cavallereschi saluti, Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-06-2006 Cod. di rif: 2490 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Letteratura sul Panama Commenti: Egregio Cavaliere Bassan, effettivamente il libro da lei consigliato è tra i migliori in assoluto. Impossibile, nell'avvicinarsi al cappello, prescindere dalla sua espressività complessa e complessiva, cioè simbolica. e non a caso Laziz Hamani è un meticoloso e profondo studioso degli impianti simbolici, da quelli della Libera Muratoria a quelli del buddismo tibetano. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-06-2006 Cod. di rif: 2492 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nastri al panama - Risp Gesso n. 2487 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, anche ora che comprendo meglio l'origine del termine, credo che non sia andato sprecato un richiamo al rigore terminologico (Gesso n. 2483)ed all'investigazione delle fonti da parte almeno di chi sia addetto ai lavori. Quanto alla finitura del cappello, senz'altro dedicherò al problema una sezione illustrata, ma già prima si può dire che la fascia di gran lunga più importante per un panama è in grosgrain nero. Bene, ma distaccati, i colori della sabbia e del tostato. Situazioni sportive ammettono e spesso mettono in gradevole risalto fasce con colori club. Ambienti di tempo libero e avventuroso stimolano policromie, sete e anche cuoio. Per chi abbia molti panama va tutto bene. Chi comincia con uno solo, da portare ovunque, probabile che si penta di non averlo acquistato con fascia nera. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-06-2006 Cod. di rif: 2493 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Traspirazione dei panama - Al sig. Zaccaro Commenti: Egregio cavaliere Zaccaro, dopo tanti anni che porto il panama, ma sempre Montecristi, la barbieria Boellis mi ha donato il Cuenca che ho illustrato nella prima serie del Taccuino sul panama (Appunti nn 2474-2483), per inaugurare questo loro "sfizio" di far realizzare e vendere il manufatto da cui prende nome la loro linea di profumeria. Lo sto usando quotidianamente ed in effetti, forse stimolato dalla discussione proposta da Villa, mi sembra di notare che effettivamente a parità di "superficie coperta" il Montecristi sia più leggero, ma il Cuenca più fresco. Non ne sono ancora convinto, perché le giornate non sono molto calde e con l'arietta che si muove, ancora non ristagnando nell'afa cittadina, il test non è attendibile. In ogni caso, come vedremo, esistono preziose e fitte tessiture di Montecristi che però generano - grazie a una particolare lavorazione - un effetto finestrato. A presto e mi raccomando, panama a tutto andare! Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-06-2006 Cod. di rif: 2496 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Panama, formalità e stagionalità - Al cav. Villa Commenti: Ottimo Villa, quanto al grado di formalità, le foto inserite sono ancora poche ed il discorso, appena all'inizio, potrebbe essersi presentato per ora in maniera deformata. Non esiste alcuna situazione ad esso preclusa e pensare al panama come ad un accessorio legato a momenti impegnativi è del tutto errato. Dalla cerimonia alla passeggiata, dalla villa alla taverna, dalla città alla campagna, ogni scenario gli si addice, se si addice ad un gentiluomo. Certo, portarlo ad un matrimonio dove tutti sono a capo coperto può dare l'impressione che si voglia apparire a tutti i costi, ma così non sarà se l'uomo che lo calza lo ha sempre amato e portato. Mi è già capitato di partecipare a cerimonie dove, tra centinaia d persone, uno o due soli lo indossavano. Non per questo mi sono sentito a disagio e soprattutto non ho avuto l'impressione di generarne. Lo stesso può dirsi dei feltri o altri cpricapi. Porto il cappello quasi tutti i giorni e se avverto disagio è solo quando mi manca. Quanto alla stagione del panama, nego in maniera convinta che sia quella del solleone. Da San Giuseppe sino alla vendemmia, ogni bella giornata è una giornata da panama, anche se un'eventuale temperatura fresca o una forte ventlazione inducono giustamente alla scelta di altri copricapi. Per ora è tutto, ma vedo che più si va avanti e più aumentano i tasselli mancanti ad un disegno completo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-06-2006 Cod. di rif: 2500 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il panama - Premessa Commenti: Prima di ogni altra considerazione, va detto che non vi sono più di venti Maestri in grado di intrecciare un panama di qualità assoluta, quello che comunemente si chiama un “superfino”. Ciascuna opera di questo tipo richiede alcuni mesi e quindi è impossibile produrne numeri cospicui, quali il frequente ricorso a questo termine farebbe pensare siano disponibili sul mercato. Aggiungendo che la classe di un simile cappello non è riconoscibile da tutti, giungiamo subito a due conclusioni che bisogna sempre tener presenti, mentre si investiga e si subisce il fascino di questo oggetto infinito. La prima è che il possesso di un grande panama è un privilegio per pochi, una medaglia, un messaggio in codice, un segno di ricercatezza ed esclusività posto ad un’altezza che una costosa automobile, con la sua evidenza e riproducibilità, non può nemmeno sfiorare. La seconda è che il mercato del panama e gran parte della sua letteratura spicciola sono un pantano di approssimazioni, profondo da affondarci e vasto da perderci l’orientamento. In questa notte dove tutti i gatti sono bigi, tutti i cappelli di paglia sono panama e tutti i panama sono di inestimabile finezza, arde un fuoco che chiarisce molte cose. E’ il sito www.brentblack.com, di gran lunga il più interessante tra quelli gestiti da aziende del settore dell’abbigliamento. Mi rivolgo al miglior conoscitore del web che a mia volta conosca, il Cavaliere Giampaolo Marseglia, perché mi conforti in modo più autorevole sulla questione che pongo in questi termini: tra milioni di siti dedicati a bottoni, gemelli, guanti, camicie, calze e magliette della salute, ne esiste almeno un altro paragonabile per estensione, profondità e metodo a quello che ho citato? Qualunque sia il responso, devo molto al lavoro di Brent Black, che se in soli quindici anni è diventato un punto di riferimento nel mondo del panama lo deve proprio alla sua capacità di spiegarlo. Se i grandi marchi e le aziende ricche di storia si assumessero le responsabilità del magistero che loro compete, se mettessero a disposizione aree altrettanto ricche, chiare e organizzate, forse la cultura e l’immaginazione maschile non sarebbero a questo punto. Ma la decadenza coinvolge e talvolta sconvolge anche molte di queste vette, che avendo abbattuto le secolari foreste, i boschi più sacri, solo per farne legname di lusso, sono ormai prive di vita e devastate da frane. Un’opera importante e innovativa resta spesso per secoli il punto di partenza per chi affronta successivamente la stessa materia. Nel lavoro sul panama, già cominciato qui sulla Lavagna e sul Taccuino e poi rilanciato in seguito all’interessamento generale, ho doverosamente tenute presenti le teorie di Black, ma il suo resta un sito a scopo di lucro e come tale schierato. Presenta una parte stilistica decisamente incompleta, in quanto ovviamente la sua non è una catalogazione di fogge, ma un catalogo e basta, a scopo commerciale. Assumendo materiale dalla lettura, dalla consultazione di molti altri siti, dall’esperienza diretta presso cappellifici e cappellai e infine da quanto vidi ed appresi in un viaggio tra Peru ed Ecuador, dove cresce la falsa palma dai tanti nomi, a beneficio dei Visitatori interessati ad avventurarsi nella regione misteriosa del panama cercherò, da tante verità contraddittorie, di estrarre poche indicazioni univoche e semplici, che conducano almeno sino al punto oltre il quale si viaggia e si rischia da soli. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-06-2006 Cod. di rif: 2502 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chiarimento Commenti: Egregio Cavaliere Villa, il gesso sulle premesse era già pronto prima che Lei scrivesse il Suo ultimo, che peraltro ho letto dopo aver sistemato il mio. Non c'era quindi alcun richiamo, né ce ne sarebbe stato motivo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-06-2006 Cod. di rif: 2503 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il panama - Del nome Commenti: Egregi cavalieri e Visitatori, non si sottolinea mai abbastanza l’importanza del nome che si da alle cose. 1 - Definire correttamente gli oggetti permette di studiarli e di trasmettere i risultati della ricerca col minimo fraintendimento possibile. 2 – Usare una terminologia corretta, sia per il tutto che per le singole parti, arricchisce il linguaggio, chiarisce l’espressione, scolpisce i concetti con la massima evidenza possibile alla parola. Dire “il coso” o “la cosa” non è adatto al Cavaliere. Quando era ancora un giovane scudiero, bramava il possesso e lo riteneva l’unico possibile dominio. Veterano di duelli e battaglie, sconfitto il drago della cupidigia, animosamente vissute e saggiamente dimenticate le vittorie e le sconfitte, giunge a possedere UN cappello o magari nessuno, trovando ben maggiore soddisfazione nel comprendere IL cappello. Ciò che si conosce è nostro, ciò che si ignora non lo diventa mai, anche a riempirne saloni e magazzini. A Sant’Elena Napoleone portava il panama. Probabilmente anche Robert E. Lee lo aveva, visto che restano reperti e immagini che documentano l’uso piuttosto frequente di questo cappello negli stati confederati. Non senza riscontri storici, Clark Gable, nei panni di Rett Butler in Via col Vento, ne calza uno nello stile che già all’epoca della produzione si chiamava “planters”, cioè da proprietari di piantagioni. Purtroppo non so dirvi come l’imperatore, il generale e i loro contemporanei li chiamassero. Sembra che il nome americano prima di quello attuale fosse jipi-japa, nome boliviano della “carludovica palmata”, la pianta dalle cui foglie si trae la nobile fibra destinata al nostro oggetto di studio. Ma quale sarà stato il nome francese o inglese? Mi dolgo di tanta ignoranza e spero un giorno di poterla colmare. Un nome univoco non è cosa di scarsa importanza per un prodotto ed anzi credo si trovi a mezza strada tra l'essere una causa ed un effetto di un'affermazione commerciale. Prima di diffondersi, anche l'automobile ed il reggiseno venivano chiamati con nomi diversi nello stesso paese. Quando ero giovane e lo avevano in pochi, il computer si chiamava anche calcolatore elettronico e così lo si definiva nei film di fantascienza. Insomma, un milione di esemplari non possono che avere un solo nome, ma fino a che gli esemplari sono cinquanta i nomi saranno ancora una diecina. In ogni caso, dedichiamoci al lemma attualmente in uso. Il termine “panama” sembra essere nato all’epoca in cui si tracciava il canale tra i due oceani, ma vi sono diverse versioni: A - Nel 1903, in cambio di appoggi militari, gli Stati Uniti avevano ottenuto l’affitto in eterno dell’area su cui sarebbe sorto il canale. Gli scavi americani cominciarono nel 1907 e durarono sino al 1914, ma due tentativi falliti erano già stati compiuti dai francesi. Nel 1906 Theodore Roosevelt si recò in visita ufficiale allo scenario dei lavori. Fu allora che avrebbe inalberato quel cappello che, secondo questa interpretazione, prese il nome da questo singolo episodio. La cosa è in astratto verosimile, in quanto una simile impresa era tale da destare la generale attenzione e si sa quanto gli americani amino sentirsi impegnati nel cambiare il mondo, dai deserti della Luna a quelli nostrani. Le star e l’uso in luoghi determinati hanno altre volte ribattezzato oggetti che esistevano già prima. Non essendoci ancora il cinema e i cinegiornali, un tale effetto con un sol colpo non può che essere la conseguenza della forte presenza mediatica di una o più immagini, di cui dovrebbe essere rimasto qualcosa. Mai da nessuna parte ho visto però qualche foto del buon Presidente all’ombra di un panama, il che lascia qualche dubbio. B - Altrove si legge che il nome verrebbe dal cappello usato dagli operai dei cantieri. Ragionando con la stessa pignoleria, non si capisce come un bracciante avrebbe potuto permettersi prodotti d’importazione. Io sono stato più volte nel Panamà ed ho visto cosa intrecciano localmente. Nulla a che vedere con i prodotti ecuadoriani, sicché i cappelli in uso, ancorché in fibra, erano di certo molto lontani da ciò che intendiamo per panama. A quel punto, paglia per paglia, esisteva già la nostra paglia di Firenze e quindi non può essere il materiale, quanto lo stile, che incise sull’immaginazione popolare. Lo stile di un Presidente, appunto. C – Confermando se non altro che il prodotto non è e non è mai stato autoctono, un’altra leggenda vuole che il nome sia nato dal fatto che Ciudad de Panamà sarebbe stato un porto importante nel traffico di questo cappello. Sinceramente, credo che prima del canale da quel porto partissero solo le ottime banane di produzione locale e poco altro CONCLUSIONE Per queste ragioni, sino a che l’istruttoria non si arricchisca di altri dati, io propendo per credere alla versione "A". Il panama, dopo un'eta "preistorica" in cui i suoi tanti nomi ci sono ignoti, assumerebbe questo nome dopo il 1906, anno della visita di Theodore Roosevelt in Panamà. In mancanza di prove resta una leggenda, ma l’uomo di gusto non si diverta a scegliere la propria anche tra queste. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 26-06-2006 Cod. di rif: 2506 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Rif. gesso 2500 Commenti: Egregio Gran Maestro, in riferimento al sito Brent Black dedicato al cappello Panama, non posso che confermare pienamente quanto da lei scritto nel gesso n. 2500. Effettivamente un sito così ricco di informazioni, perdipiù su di un tema molto specifico, è una rarità. Peraltro sul Web, a riguardo del quale temo di non meritare il complimento tributatomi, c’è molto sull’abbigliamento, come su qualsiasi altro argomento, ma non c’è in realtà moltissimo. Il sito più completo e più interessante è di gran lunga quello del nostro Ordine. Articoli molto interessanti in materia d’abbigliamento maschile possono essere ritrovati sulle versioni on-line di riviste quali Robb Report, Cigar Aficionado, Monsieur (versione francese), et similia. Ci sono poi i due mega-forum di Andy Gilchrist (Ask Andy About Clothes) e di Michael Alden (London Lounge), il sito specificamente dedicato alle calzature (Souliers) di Martin Nimier, ed anche il simpatico blog “The Sartorialist”; altresì interessanti i siti Bown’s Bespoke (Francis Bown), English Cut (Thomas Mahon), Marc Guyot (Cape Cod). Esistono poi gli innumerevoli siti dedicati ai singoli marchi, a cominciare da quelli delle più blasonate sartorie di Savile Row o dei più esclusivi luxury stores statunitensi, fino al sito della più piccola fabbrica di confezioni. In questo mare magnum trionfa il “sito vetrina” che si limita a descrivere, con una frequenza di aggiornamento mediamente triennale, quanto di mirabolante proposto dalla Casa titolare; ci sono però rare e felici eccezioni costituite da siti come il citato Brent Black, che mettono a disposizione, oltre al catalogo di quanto prodotto e/o venduto, anche un corredo di notazioni storiche, di foto d’epoca, di descrizioni tecniche che ne elevano il grado di interesse per gli appassionati (ad esempio i siti di Knize, James Lock, Kiton, Brioni, Arnys, et caetera). Per finire, un mondo a parte è rappresentato dai siti giapponesi, che alla pressoché completa incomprensibilità testuale coniugano per nostra fortuna una meticolosità iconografica comunque fruibile e spesso utilissima al fine di reperire fotografie ed illustrazioni sul tema in questione. Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-06-2006 Cod. di rif: 2510 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Buon argomento, nel luogo sbagliato Commenti: Egregi Visitatori, mi compiaccio della bella discussione sulla barba, cui l'Ordine ha dedicato alcuni eventi ed in particolare alcune delle serate del ciclo "Senza peli sulla lingua", di cui alcuni resoconti sono riportati nella sezione Eventi. Sono lieto che il nostro signor Borio abbia trovato risposte adeguate e dettagliate, ma la sua inesperienza del castello lo ha portato a scrivere nell'area sbagliata. Ogni Lavagna è dedicata ad un tema specifico e lavora solo su quello. Per le libere associazioni di idee, bisogna rivolgersi ad altri miloni di siti. Non intendo alimentare proprio io la confusione e l'approssimazione, che l'Ordine combatte con ogni forza e che almeno qui, in casa sua, è sempre riuscito a tenere lontane. Pertanto, anche se la domanda del nostro Visitatore mi tirava in causa, non interverrò sull'argomento. Per quanto non riconducibile alle prime otto porte, c'è la nona, che tra l'altro ha presentato nel Taccuino una breve rassegna su barbe sorprendenti. Cavallerescamente il Gran Maestro Giancarlo Maresca Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-06-2006 Cod. di rif: 2512 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le bretelle misteriose - (V. Taccuino ai nn. 2574/76) Commenti: Egregio Cavaliere Villa, quanto alle bretelle misteriose, per non farLa attendere troppo ho raggiunto il signor Maglia in Germania, dove si reca spesso per lavoro. Mi dice che si tratta di un successo più volte malamente imitato, ma quello catturato negli Appunti nn. 2574/76 del Taccuino è il modello "originale". Fino a qualche tempo fa veniva prodotto, insieme ad altri esemplari eccezionali anche su modelli d'epoca, dalla Trafalgar. Di questa casa sappiamo che è americana, con sede in Norwalk, Connecticut. E' stata ceduta da poco, ma non sappiamo cosa faccia attualmente. In verità Maglia mi ha rivelato il numero di casa della segretaria, che dovrebbe sapere tutto, ma non posso certo pubblicarlo. Qualora altre ricerche non portassero a niente e tenendo presente il fuso orario, potrà eventualmente chiamarla Lei stesso. Dica che chiama a nome di Kino, che come ho detto è il nome con cui Maglia è noto nel mondo. Le spedisco privatamente il nome ed il numero in oggetto, certo che un Cavaliere della Sua esperienza ne farà buon uso e non potrà farci fare che belle figure. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-06-2006 Cod. di rif: 2514 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Stivalerie - Al sig. De Veiga Commenti: Egregio signor De Veiga, Milano è un ottimo posto, certo il migliore in Italia, per farsi fare degli stivali su misura. EccoLe due nomi, che mi sorprenderebbe se già non conoscesse e che comunque, si sappia, mantengono quanto promettono. 1 - Antica Stivaleria Savoia, in Via Monti n. 44. 2 - Riccardo Freccia Bestetti, in Via Urbano III, n. 4. Vada a nome nostro in entrambe i posti, anche solo per uno sguardo. Da Bestetti Le conviene forse passare dal Laboratorio in Via Roncaglia n. 14 (è un po' nascosto, ma lo troverà), dove potrà incontrare il giovane Maestro, nato proprio come produttore di stivali western. ottime manifatture di stivali sono poi in Andalusia. La Guarnicioneria Lopez ed Il Caballo, entrambe a Siviglia, producono vere meraviglie per lo stile country ed equestre, anche pronte ed a prezzo accessibile. I numeri di telefono li troverà facilmente in rete. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pescatore Data: 11-07-2006 Cod. di rif: 2517 E-mail: giupesc@hotmail.it Oggetto: Blazer Commenti: Egregio Gran Maestro, Gentili Cavalieri, su un inserto del Corriere della Sera leggo che il blazer con bottoni dorati può essere usato solo se “costretti da eventi tipo catastrofi naturali”. Lo stesso inserto subito dopo suggerisce per questa giacca, bottoni d’argento o ancora meglio di corno. Dal momento che sono un ventenne non ancora iniziato ai tanti misteri del guardaroba Vi domando se debba riporre in soffitta il mio blazer con bottoni dorati facendo più attenzione in futuro a questo particolare. Certo mi dispiacerebbe constatare che sin a poco tempo fa consideravo la presenza di tali bottoni uno degli elementi caratterizzanti di questa tipologia di giacca. Ringrazio anticipatamente Chi vorrà darmi un risposta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-07-2006 Cod. di rif: 2518 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Profeti e Umanisti. Due visioni del blazer e del mondo. Commenti: Egregio signor Pescatore. conosco l'articolo da Lei citato e credo che fin troppe persone lo abbiano letto. Giustiniano Tomacelli, che veste e conversa benissimo, quando scrive rientra tra i tanti che scendono dalla montagna stringendo le tavole della Legge. E' ovvio che ai Comandamenti non occorre alcuna spiegazione. Essi fondano infatti sulla natura del creato, che ha un solo Creatore. L'uomo, facendone parte, li ha già dentro se stesso e deve solo ascoltarli e rispettarli. Fin qui, la sindrome di Mosè, cioè l'atteggiamento più diffuso tra i commentatori dell'abbigliamento maschile. Qui al castello l’atteggiamento è affatto diverso. Questo è un laboratorio di ricerca, non un archivio di sentenze. Ciò comporta che alcune conclusioni possano anche mutare con l’avanzare dello stato della conoscenza. Ed anche quest’ultima va vista sia in termini quantitativi che qualitativi, cioè sia oggettivamente, come quantità di nozioni, che soggettivamente, come qualità della visione delle stesse cose. Un uomo che abbia osservato mille alberi sa sugli alberi qualcosa in più di chi ne abbia visto uno solo. Ma è anche vero che ad uno sguardo che sappia mettere in relazione le cose visibili e le cause non visibili, anche un solo albero può rivelare, col tempo e la riflessione, i segreti non solo della “alberità”, ma della natura tutta. Se digiterà “blazer” come parola di testo nei nostri modesti sistemi di ricerca interni, troverà in questa Lavagna, nel taccuino e nella Posta del Gran Maestro, un notevole numero di contributi in materia. Sia per quanto riguarda la storia che i materiali e, tra questi, i bottoni. Lo stato ed il grado attuale del nostro sapere sull’argomento si ispira a quella che chiamiamo “Legge dei Metalli”. Va chiarito che quando parliamo di leggi non diamo a questa parola il peso di un comandamento divino, quindi eterno ed immutabile, come avviene per la più vasta categoria dei Profeti. Noi apparteniamo al ben più ristretto numero degli Umanisti, che mettono le cose umane in relazione all’Uomo. Poiché noi guardiamo ciò che è alla luce di ciò che è stato e non ciò che dovrebbero essere alla luce di un principio che all’essere è addirittura esterno, giungiamo alla conclusione che la norma estetica è stabile nei contenuti, ma diversamente da quella etica si traduce in forme che mutano con le generazioni. Per i Profeti, la legge non si spiega e non si cambia. Resta in possesso di demiurghi, che la individuano grazie ad un contatto con le sfere superiori e la promulgano ai credenti. E’ il sistema utilizzato dalla gran parte della stampa e da tutta la televisione. Il popolo, sempre avido di dogmi, ne è entusiasta. Per gli Umanisti, l’analisi dell’abbigliamento non è un tempio dove si adorano divinità immortali, ma un’accademia dove si studiano linguaggi. Ciò comporta che da qualche parte esistano dei principi grammaticali e sintattici da individuare; parole nuove da scoprire e vecchi termini di cui comprendere l’etimologia; papiri in lingue morte da decifrare e carte in lingue straniere da tradurre. La lingua che viene parlata, però, risponde a regole di cui occorre accettare la mutevolezza, in quanto è la storia che nel suo movimento le confeziona, le cambia e involontariamente le nasconde. E’ l’Uomo, inteso come cultura, che genera i criteri espressivi e non il contrario. Spetta poi ai singoli comprendere ciò che è diffuso nella collettività e, organizzando osservazione e studio, individuare come e perché una certa cosa venga percepita in un certo modo. Il limite dei Profeti lo si vede di fronte alle eccezioni. Per gli umanisti, avvezzi al metodo grammaticale, l’eccezione è un fenomeno normale e fisiologico che attiene alla sovrapposizione quasi tettonica delle zolle, all’emersione di nuove tendenze, alla comparsa di un genio, etc. Se questa eccezione è un personaggio, poniamo un Agnelli, l’umanista lo considera come un Eroe e/o come un Artista. Il Profeta, di fronte a qualcosa che minaccia l’autorità della regola, cerca sempre di contrastarne il passo. Se è ben nota e universalmente accettata, grida al miracolo e istituisce un Santo, cioè un’icona che non va spiegata, ma adorata. Rifletta su questa duplice visione delle cose e decida da che parte stare. Se ha optato per il sereno dogmatismo, che ai suoi fedeli garantisce il Paradiso, sappia che esistono molti Dei, molte religioni, molte Chiese e infiniti patriarchi. Quello che oggi le vieta il bottone d’oro è un sant’uomo, ma domani un altro stilita potrebbe gridare dalla colonna vicina che è il bottone nero il marchio di Belzebù. Per vivere tranquillo, ascolti una sola voce. Non c’è però alcun bisogno di buttare la giacca. Per mettersi in regola basterebbe cambiare i bottoni. Se invece ha scelto il dubbio, posso riassumerLe quanto detto sinora in queste fucine a proposito della bottoniera del blazer: Bottone nero in corno (non facile a trovarsi) o corozo, per chi intende destinare il capo ad un utilizzo professionale. Chi veste il blazer con scarpa nera può portare questa giacca, nata sportiva, sin dentro l’area formale. A questo proposito, va detto che alcuni non metterebbero mai il blazer con scarpa nera, ma poiché l’uso è diffuso anche in ambienti esteticamente preparati, possiamo dire che esista un doppio regime e ciascuno, purché ne scelga uno solo, può scegliere quello che sente consono alla propria storia. In ogni caso, con abbinamenti rigorosi il bottone nero consente, anche con scarpa in camoscio o vitello nei colori del cuoio e del rame, di esprimere un certo allure anche in spezzato e conferisce una certa gravità. Al proposito, come programma di approfondimento iconografico, può essere proficuo l’attenta osservazione e studio del fenomeno Montezemolo. I materiali che sopportano meglio questi scenari formali sono la flanella cardata per l’inverno, una flanella pettinata e leggera per il mezzo tempo e una saglietta per l’estate. Bottone in metallo bianco per un uso promiscuo professionale/tempo libero. In questo caso, la scarpa nera stona decisamente qualora gli accessori alludano alla seconda opzione. I materiali più idonei sono forzatamente i più versatili: thornproof per un blazer massiccio e pesante, hopsack per l’invernale normale, tre capi ritorto per la mezza stagione e shantung per l’estate. Bottone dorato per uso esclusivamente al di fuori del lavoro, meraviglioso al circolo o nei week-end. La versione nativa della giacca blazer, di ispirazione militare, doveva essere un doppiopetto in panno di lana con grossi bottoni oro messi in colonna, così come ancor oggi vediamo fare ai principi Carlo del Galles e Filippo d’Edimburgo. Questi personaggi, evidentemente considerati dei cialtroni dalla sezione Profeti, hanno mostrato al mondo come e quando usare questi bottoni e lo hanno fattp meglio di quanto possa fare io. Chi voglia capire il loro linguaggio, cerchi e studi immagini della famiglia Windsor. Il tessuto è un panno di tipo militare e quindi non troppo raffinato per il doppiopetto e flanella pettinata per il petto unico, un po’ più confidenziale. Non c’è altra scelta e nessun tessuto prettamente estivo può reggere questa bottoniera. Per ribadire l’origine militare, è ovvio che coi bottoni d’oro si deve andare più pesanti degli altri. Astenersi, quindi, insofferenti e improvvisati. Come la storia e gli esempi dimostrano, è roba per Grandi. E’ tutto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 13-07-2006 Cod. di rif: 2519 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: blazer Commenti: Egregio Gran Maestro , Egregio Signor Pescatore , a proposito di blazer , a titolo sperimentale ne ho appena "lanciato" uno in panno blu ( 550/560gr ml ) , tasche e taschino a toppa ( 4 bottoni ) con bottoni in corno marrone scuro di Conti Wej. Devo ancora prendere una decisione per il formato dei bottoni che vorrei sperimentare in una misura appena appena superiore alla solita . Speriamo in bene . Cordiali saluti Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2006 Cod. di rif: 2520 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Blazer. Dimenticavo il bottone bianco Commenti: Egregio signor Boggio, non tutti sanno che il taschino applicato a toppa non esisteva sino agli anni '80. Non si può escludere che sia comparso altrove anche prima di quell'epoca, come caso isolato, ma intorno al 1985 fu "inventato" dal nostro fornitore Giovanni Celentano e da allora si stabilizzò nell'uso cavalleresco e poi, silenziosamente, in quello generale. Prima di questo fenomeno, i taschini erano sempre tagliati, anche se le altre tasche erano a toppa. Quanto al capo che sta realizzando, è po' presto per chiamare blazer una giacca blu coi bottoni marroni. Potrà succedere, qualora quest'uso si affermi, ma sino ad ora questo abbinamento è stato lanciato molte volte e senza nessun seguito. Diversa fortuna ha avuto il bottone bianco, che mi rammarico di non aver segnalato tra le opzioni per la bottoniera di un blazer. E' una soluzione ideale per la mattina ed impegna alla scelta di un forte contrasto tra giacca e pantaloni, che dovranno essere chiari. Nonostante queste limitazioni, una bottoniera in madreperla australiana naturale offre una grande sensazione di indipendenza psicologica, di energia e creatività. In questo caso, per i tessuti non ha tanto importanza la qualità o il peso, quanto il colore. Si sceglieranno i blu non rigorosi, o meglio non spenti, la cui luminosità possa innescare il cromatismo dell'insieme. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 13-07-2006 Cod. di rif: 2521 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: similblazer Commenti: Egregio Gran Maestro , grazie per le Sue ulteriori riflessioni e precisazioni , come al solito corrette e competenti ; io procedo con il mio progetto un pò ...strampalato , e mi impegno a metterLa al corrente del risultato magari , come mi piacerebbe , presenziando a uno dei prossimi eventi .Se ne riparla a Ottobre . Grazie ancora . Un cordiale saluto . Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2006 Cod. di rif: 2525 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicie e bottoni - Al Cavalier Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, le camicie maschili si abbinano con una gran quantità di bottoni in madreperla e conchiglia. Le rivelerò, in confidenza, che esiste un principio generale la cui conoscenza Le spiegherà i motivi della scelta di Suo nonno e di tanti eleganti del passato e del presente. Una camicia formale, ovvero normale, porta sette od otto bottoni di lineato 14" distanti 9 cm l'uno dall'altro. Orbene, una forza misteriosa autorizza il lineato del bottone e la loro spaziatura ad aumentare con il livello di informalità e poi di sportività. Questa liceità diviene addirittura una spinta nei casi delle mezze maniche, delle situazioni estive e dei grandi quadri e fantasie. C'è anche dell'altro. Man mano che il bottone diviene più grande, si appiattisce e comincia a desiderare qualche sfumatura di colore. Il fenomeno non è privo di spiegazioni psicologiche e fisiche. Di un tipo riservato e rigoroso si dice che è "abbottonato" e quindi è pacifico che il formale richieda ritmi serrati nelle bottoniere. Quando le temperature aumentano e ci si trova all'aria aperta, insomma quando è tempo di mezze maniche e di tessuti fantasia, una maggiore spaziatura consente o suggerisce maggiore libertà da un punto di vista simbolico-psicologico e una maggiore ventilazione da un punto di vista fisico. Non mi dilungo oltre, non voglio pronunciare una legge universale, ma fornirLe uno strumento che Le permetta di comprendere cosa Le sia piaciuto e perché nella disinvolta camicia conservata nel vecchio armadio. Avvertire queste forze estetiche occulte avvicina di un altro passo alla comprensione dell'insondabile mistero dell'Eleganza. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2006 Cod. di rif: 2527 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La decadenza senile dei bottoni - Ancora al cav. Villa Commenti: Egregio Villa, mancavo di dare risposta alle Sue perplessità sui colori della madreperla. Se non ha mai riscontrato il fenomeno di perdita di pigmento è solo perché si tratta di una frescaccia. La madreperla si scheggia, ma non perde il colore, né con lo sfregamento, né con la luce. Se in qualche caso avviene un abbattimento della tinta è a causa della combinazione tra aggressivi chimici e trascuratezza ignorante. Non dovrebbe nemmeno essere detto, ma, quando si manda un capo in lavanderia, i bottoni in madreperla vanno tolti. Se si immergono i bottoni in un solvente bello caldo e li si agita, non è poi corretto dire che è il tempo a sbiadirne i colori. Non è il coltello che ferisce, ma la mano che lo regge. La precauzione sulla lavanderia, sia detto per inciso, vale anche quando i bottoni non siano tinti: in questo caso, infatti, si eviterà l'alto rischio di fratture. Il problema della decadenza senile interessa invece il corozo, che subisce l'uso sia per la componente di sfregamento che di esposizione alla luce. Ancor peggio la galalite, che con lo sfregamento non solo si schiarisce, ma si scalfisce facilmente a causa della scarsa durezza. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-07-2006 Cod. di rif: 2530 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni lignei - Risp. al gesso n. 2528 Commenti: Egregio cavaliere Villa, i bottoni in legno conferiscono inesorabilmente un carattere etnico che non trova molto spazio nel mondo maschile classico. Astrattamente, la radica godrebbe delle qulità ideali per un bottone, ma il suo lnguaggio estetico non trova molta compatibilità con fogge tradizionali e non c'è da meravigliarsi se non ve ne sia mai stata una produzione importante. Credo che, in linea teorica, i tessuti "poveri" e l'aria aperta siano l'unico terreno fecondo per questo tipo di materiali, che comunque compare di rado. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-07-2006 Cod. di rif: 2531 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il panama - Della materia prima Commenti: Un panama non è composto di steli erbacei, come la maggioranza dei suoi tanti parenti. Ciò che viene lavorato è il sistema linfatico delle foglie ancora immature di carludovica palmata. Questa pianta, simile alla palma, assume tanti nomi che l’unico valido resta quello botanico. Dopo l’estrazione del cuore dei lunghi germogli, qualche ora di ebollizione ne lascia solo la parte fibrosa, che viene poi lavata per allontanare i residui. Si ricava così un materiale assai elastico e resistente, che porta in Ecuador il nome di toquilla ed è composto da moltissime vene parallele. E’ proprio questa struttura che permette di sfilacciare ogni fibra molte volte, secondo lo spessore che si desidera ottenere. Più la fibra è sottile, più fine sarà il suo intreccio e più sofisticato il cappello. Almeno in linea generale, in quanto può esistere una lavorazione fittissima, ma difettosa, ed una più rada, ma precisa e regolare. Dopo il lavaggio ed una parziale essiccazione, la toquilla può essere sbiancata con due sistemi diversi. Usando acqua ossigenata si ottengono risultati molto uniformi ed un bianco deciso, che per anni è stato considerato un valore. Non dimentichiamio chre anche il punto di colore fa parte dei criteri che il selezionatore terrà presenti per dare un valore al singolo cappello o alla partita. L’ossidazione, però, riduce l’elasticità e compromette leggermente anche la superficie. I migliori cappellai prediligono la decolorazione con lo zolfo, i cui risultati sono meno sicuri e omogenei, ma lasciano più vita alla toquilla e più fascino al prodotto finito. Ve. Taccuino, Appunto n. 2620) ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-07-2006 Cod. di rif: 2532 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il panama - Delle varietà Commenti: Lo si è visto a Milano, durante la proiezione di Italia - Australia in Piazza del Duomo, ma anche in molte altre occasioni. Le riunioni diurne estive espongono ad un tale rischio di colpi di sole che la protezione civile deve annaffiare la folla con l’idrante, come si trattasse di zucchine e pomodori. Qualcuno vive quella doccia come un gioco, ma l’uomo che si rende conto della forza del sole fa miglior uso della testa e la copre, almeno quando deve restare esposta a lungo. Su questo antico principio, che se crediamo all’allarme ozono sarebbe ancor più valido oggi, è nato il cappello estivo. Il primo sarà stato una foglia arrotolata, ma subito il vicino avrà pensato di intrecciarla e un altro ancora di seccarla e tingerla. L’indispensabile non può resistere all’influenza del superfluo. Nemmeno l’acqua, come dimostra il moltiplicarsi di alternative in questo settore. Così la vanità fecondò anche questa idea e trasse da ciò che era pratico infinite soluzioni estetiche, fino a fare del cappello estivo una famiglia molto numerosa, anzi una nazione. Questo assetto comporta che vi siano molti sudditi, pochi dignitari e, naturalmente, un solo re. Il panama. Dopo avere esaminato le origini del nome e della materia che lo compone, è tempo di parlare dei due principali luoghi di nascita e del differente imprinting che ciascuno lascia nel prodotto. La vocazione del territorio e l’antica cultura nella lavorazione fanno sì che l’Ecuador sia per il panama ciò che Cuba è per il sigaro. Tutti lo sanno, ma poiché a differenza dell’Avana o del Cognac non c’è per il panama una tutela internazionale, un manufatto prodotto altrove può portare lo stesso nome. Naturalmente, anche dall’Ecuador proviene un po’ di tutto e nel commercio del cappello mancano disposizioni chiare. Le leggi, comunque, possono salvare dalle fregature, non garantire la qualità. L’appassionato la cerca, ma è il competente che la trova. Pertanto, occorre sempre girare armati delle nozioni necessarie a distinguere il grano dalla pula. Le principali varietà di panama portano il nome di due città ecuadoriane: Montecristi e Cuenca. I migliori intrecciatori vivono in provincia, in paesi che si chiamano Las Palmas, Pile, El Aromo, tutti intorno Montecristi. Tutti i cappellai abbinano questa attività a quella agricola, tratte i più grandi, che la comunità aiuta e solleva dai lavori pesanti perché possano conservare la sensibilità delle mani. Quelle di un vero maestro sono come quelle di un mandarino cinese, sottili e munite di unghie lunghe e taglienti. Gli intrecciatori svolgono la parte più importante di un processo che in genere continua in città. Un raccoglitore, che per la sua abitudine di azzannare sui prezzi è detto “el perro”, acquista i semilavorati e li rivende ad un grossista, che li farà tagliare, rimagliare, formare e rifinire. I Montecristi sono intrecciati con un sistema localmente detto “llano”, ma più noto come 2 x 2, perché ogni singola pagliuzza passa su altre due. In effetti è quello che in gergo tessile si chiama armatura a saia o levantina, che lascia in superficie un disegno a spina di pesce. Guardando bene la cuspide, si noterà che la lavorazione dei Montecristi comincia sempre da una lineetta, che si evolve in un ovale e poi prosegue espandendosi. I migliori Montecristi sono intrecciati con paglia sbiancata con vapori di zolfo e presentano raramente un colore candido e uniforme. Vi sono anche altri sistemi di lavorazione. Per ottenere una cupola traforata e più ventilata, ad esempio, si usano tecniche simili all’uncinetto. L’intreccio del Cuenca, invece, parte da una rosetta ben visibile. Cuenca è commercialmente più importante, ma il prodotto locale è inesorabilmente di qualità inferiore. Certo, anche qui si realizzano dei finos magnifici, ma la loro mano resta leggermente rigida. Dipende anche dal violento trattamento in acqua ossigenata, ma ci sono anche motivi pedoclimatici. Cuenca è infatti molto più in alto di Montecristi e le condizioni atmosferiche variano parecchio. La gran parte dei Cuenca è intrecciata con il più semplice sistema detto anche “brisa”, ma più noto come 1 x 1. Si tratta in pratica di una tela. Molto spesso si legge la dicitura “brisas”, non sempre usata propriamente. Il termine comunque non riguarda il sistema di tessitura o la provenienza, ma il materiale. Dovrebbe indicare un Cuenca in cui è stata scelta una fibra particolarmente piatta, da cui l’aspetto tipico di questa varietà, particolarmente areata. Naturalmente, vista la larga sezione della toquilla, non si tratta di pezzi pregiati, ma talvolta una bella sagoma ed una freschezza garantita e mantenuta ne fanno un ottimo cappello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-07-2006 Cod. di rif: 2536 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni in corno: produzione e reperibilità - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, nell’Appunto n. 2627 del taccuino di questa stessa Porta, proprio in tema di bottoni commentavo come i sarti si attengano a paradigmi privi di sfumature, in quanto la loro cultura è stata, negli ultimi decenni, più tecnica che estetica. La gran parte dei sarti utilizza pochi tipi di bottoni: corozi, conchiglie scadenti e comunque solo in casi eccezionali, metalli della peggiore qualità, in genere orrendamente bruniti. La loro scelta è sempre terribilmente “scontata”, nel gusto e nel costo. Gli stilisti e le sartorie di grandi dimensioni, comandate da un imprenditore e non da un artigiano, tendenzialmente agiscono in modo diverso sia quanto ai bottoni che alle fodere. Anche il buon su-ordinazione, che nella comunicazione tende a privilegiare il dettaglio sullo stile generale, sa valorizzare il vantaggio estetico ed emotivo ottenuto con l’uso del corno. Sono questi i grandi compratori di bottoni in corno, che conservano un bacino d’utenza più che sufficiente a far ritenere la specie ben lontana dal rischio di estinzione. A livello di produzione, basta visitare internet per vedere che anche in Italia alcune aziende ancora propongano una discreta varietà e ottima qualità: Mussi, Mitiaro, Cannara (specialista delle conchiglie), oltre naturalmente alla Conti Wej, con la quale abbiamo da anni un ottimo rapporto ed ha partecipato a nostri Laboratori. Ormai la massima parte della produzione avviene in oriente (India e Cina) e man mano anche queste aziende avranno maggiori difficoltà, ma questo attiene al fatto che la nazione più disinteressata al Made in Italy sia proprio l’Italia, che evita accuratamente ogni protezione, sia doganale che culturale. Va anche detto che i bottoni più pregiati sono realizzati con il corno del bufalo (in genere indiano, ma anche africano) e non con quello della vacca. La materia prima, quindi, deve da noi essere importata. Quanto alle difficoltà di reperimento su iniziativa del singolo appassionato, l’origine è nella pigrizia di commercianti e clienti. Normalmente, le aziende produttrici non impongono in genere penalizzanti minimi di ordinativo. Quindi sarebbe facile tenere in casa dei pezzi da mostrare, ma i banchi delle mercerie sono in genere gestiti con stile tardigrado, cercando un vantaggio sulla concorrenza attraverso il prezzo e non il prodotto. Per nulla sollecitate dai sarti, che nel caso si forniscono presso loro canali, le mercerie non potrebbero che essere spinte dai clienti privati. Ma questi non sono più quelli di una volta. Troppo spesso privi di tempo, stanchi di insistere, incapaci di distinguere le cose, astrattamente desiderano, ma concretamente tacciono. Così, i dettaglianti si assortiscono poco e male. Il prodotto, comunque, esiste. A titolo esemplificativo, dispongo nel Taccuino un campionario attuale. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-07-2006 Cod. di rif: 2537 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il panama - Della classificazione Commenti: Aziende piccole e grandi stampano sui loro cappelli un sacco di cappellate e quindi, per sapere cosa si ha davanti e poter scegliere bene, occorre contare su se stessi. Purtroppo la letteratura in materia è carente o partigiana, in quanto proveniente da autori con interessi commerciali in materia. Noi andremo al sodo e riassumeremo i principi generali, aggiungendo un innovativo sistema di verifica che permetta di dare un significato alla classificazione tradizionale. I Cuenca si classificano in gradi da 2 a 12, secondo la densità della maglia. La scritta Cuenca non la troverete e quindi dovrete essere Voi stessi capaci di distinguere questa varietà. Non è difficile. Presenta sempre un colore omogeneo, che in genere è piuttosto chiaro, diciamo tra la neve ed il latte. Sulla cupola, l’intreccio parte sempre da una rosetta piatta, a volte piccolissima, ma il più delle volte molto ben visibile. La tecnica di intreccio è quasi sempre quella 1 x 1, cioè a tela. La mano non è perfettamente scorrevole e lascia la sensazione che la superficie sia leggermente polverosa. La consistenza è carnosa, flessibile, ma non proprio elastica. Cedevole, ma non docile, come se nella fibra restasse qualcosa di croccante. La graduazione dei Cuenca, come quella dei Montecristi, non viene verificata da nessuno e quindi uno stesso cappello può essere venduto da una casa come grado 4 e dall’altra come grado 10. Non ho voluto razionalizzare questa scala, perché di qualunque grado sia, o meglio sia dichiarato, un Cuenca si comincia ad apprezzare dalla forma e non dalla manifattura. Diciamo che sarà possibile, talvolta inevitabile, innamorarsi di un Montecristi senza troppo badare alla sagoma, restando folgorati dalla manifattura e dal colore. Un Cuenca si apprezza invece se ci piace e ci sta bene come profilo. L’acquisto di un Cuenca è come l’assunzione di un dipendente, la scelta di un Montecristi è più simile a una proposta di matrimonio. Prima di concludere, le valutazioni sono molto approfondite in entrambe i casi, ma le forze in campo sono affatto diverse. Un Montecristi è un’altra cosa, deve essere un’altra cosa. Se un cappello di una forma che non vi è mai tanto piaciuta improvvisamente vi attira, non potete sbagliare: si tratta di un Montecristi. Naturalmente, questo sistema non è affidabile e occorre saperne qualcosa in più. Innanzitutto si tratta dell’unico capo in vendita che abbia ancora un odore. Quando ero ragazzo, cioè ben prima della grande deodorazione cosmica, molte cose del guardaroba avevano un profumo caratteristico. Il tweed, la canapa, il feltro, il lino e così via. Ora che anche le scarpe e le mele annurche restano mute al naso che le ascolti, un buon panama conforta l’uomo di gusto con un afrore spudorato di tropici, che conserva all’infinito. Sulle graduazioni del Montecristi vi sono tante opinioni quante sulla ricetta della pastiera. Ciò accade per l’ignoranza di quanti scrivono sull’argomento, cui va aggiunta la malafede storica dei commercianti. Andiamo all’origine. I maestri dividono il Montecristi in quattro categorie: regular, fino, fino-fino, extrafino. La differenza è nella densità, ma la confusione resta ancora il criterio generale in quanto gli stessi cappellai – che probabilmente non sanno far di conto - non l’hanno mai misurata in modo matematico, ma giudicata a sensibilità. Il confine tra i vari livelli resta tuttora molto nebuloso. Qui, per la prima volta, cercheremo di offrire dei parametri certi, validi e comunque basati sulla tradizione. Non esistono disciplinari o leggi in materia, eppure dei metodi di classificazione sono facilmente ipotizzabili. Noi ne proporremo uno misto, basato in gran parte sul conteggio matematico, ma con un margine per la valutazione qualitativa e non quantitativa. Già qualche produttore calcola le maglie presenti in una superficie e basa i prezzi su questo dato. In questo caso, quasi sempre viene omessa la classificazione tradizionale. La strada è buona, ma occorre uno sforzo per ancorare le cifre al grado. Più alte le prime, più alto il secondo, ma nel nostro metodo lasceremo delle “terre di confine” piuttosto estese, dove la cittadinanza nel grado inferiore o superiore viene attribuita sulla base di considerazioni non numeriche, quindi non quantitative. Innanzitutto bisogna imparare a contare le singole pagliuzze che corrono in un solo senso entro una singola unità di misura e poi moltiplicare questo numero per se stesso: praticamente base per altezza in un quadrato. In realtà, lungo le due direzioni ortogonali la densità può variare, ma il numero ottenuto prendendo una sola misura ed elevandola al quadrato è comunque attendibile. Nella tessitura 2 x 2, proprio quella usata nei Montecristi, le pagliuzze scompaiono per due passaggi e poi riappaiono seguendo un percorso elicoidale, il che rende arduo individuarle. Se però calcoliamo che ogni paglia parallela al righello vale doppia, perché ne copre due trasversali, tutto diventa più facile. Meglio contare in pollici (2,54 cm), per adeguarsi agli standard di questo commercio. Tra di noi possiamo disinteressarci della categoria regular, troppo corrente, per dire che: 1 - Un fino va dalle 350 alle 500 maglie per pollice quadrato (square inch) 2 – Un fino-fino va dalle 600 alle 800 maglie per pollice quadrato 3 - Un extrafino conta intorno alle 900 maglie e può superarle di molto 4 – Un cappello con più di 1000 maglie per pollice quadrato, impeccabile anche sotto i profili qualitativi di colore, formatura, ma soprattutto regolarità di lavorazione, si trova in quella zona che alcuni chiamano museum quality, definizione che per primo fu data da Brent Black. E’ un quartiere inaccessibile e, anche se molte case si sperticano nel proporre panama con queste credenziali, è bene sapere che è praticamente inaccessibile. A parte i costi, che raggiungono e superano i 20.000 dollari, il numero di questi pezzi è assai esiguo. Abbiamo evitato la dizione superfino, che genera confusione. Infatti, per alcuni coincide con il fino-fino e per altri con l’extrafino. Tra una qualifica e l’altra abbiamo lasciato larghe zone di confine, in cui l’attribuzione alla categoria inferiore o superiore dipenderà dalla regolarità del lavoro, dalla mancanza di difetti, dal colore, dalla grazia . In particolare, una bella tessitura, cioè priva di irregolarità e ondeggiamenti, ma con le costine fitte, costanti e parallele, permetterà di ascrivere il pezzo al grado più alto. Non troverete altrove una simile schedatura, ma in mancanza di principi fissati dalla legge o dal commercio, da qualche parte bisogna pur cominciare. Un altro metodo molto usato per valutare i Montecristi è quello di guardarli dall’interno. In tal modo si possono contare le vueltas, cerchi che si trovano nella parte alta della cupola e sono determinati dall’aggiunta di un nuovo ordine di pagliuzze che permettano alla circonferenza di crescere senza perdere in densità. Il sistema, anche se approssimativo, è abbastanza valido. In questo esame controluce è ancor più importante valutare eventuali, anzi immancabili difetti. Un panama perfetto non esiste, ma in trasparenza è facile individuare la presenza di zone deboli che potrebbero comprometterne la durata. Altri fattori importanti sono la formatura e la finitura della tesa. Un Montecristi di prestigio è formato a mano e presenta curvature morbide, senza spigoli vivi o rigidezze. Il bordo della tesa è rimagliato su se stesso e non cucito, come spesso avviene quando il cappello è stato prodotto in Ecuador e finito altrove. Infine, cosa che però si acquisisce col tempo, occorre saggiarne la pesantezza. L’anno scorso Barbisio mi realizzò un feltro di castoro rasato, il più fine che esista al mondo. Il suo peso è di circa 65 grammi, mentre un vero extrafino ne pesa 30. A scendere sotto questo limite non c’è che il cappello del muratore: un foglio di carta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-08-2006 Cod. di rif: 2540 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Viaggio e borsa da viaggio - Al sig. Rubin Commenti: Egregio signor Rubin, mi compiaccio che la frequentazione del castello Le sia stata di qualche utilità, sia teorica che pratica. Ora chiede qualche indicazione su una borsa da viaggio, possibilmente di produzione italiana. Per i viaggi in aereo, la via migliore è, o dovrebbe essere, quella di spedire il bagaglio e mantenere in cabina solo una rivista, o al più un "valigino" di pochi etti per telefoni, palmari, occhiali da sole, astucci portasigari, portachiavi, documenti: insomma il kit di sopravvivenza urbana. Mancano solo le lame, immancabili in un bagaglio maschile, ma si saranno appunto spedite in stiva. Nella cappelliera ci vanno il cappello, il soprabito, i bagagli di quelli che vanno di fretta, dei quali in linea di principio non si può avere una gran considerazione. Il borsone che Lei desidera, con manici lunghi e tracolla, nelle procedure aeroportuali finirebbe per impigliarsi dappertutto e quindi appartiene ad un'altra mentalità o ad un altro tipo di viaggio, soprattutto quello in auto. Lasciando alla Sua coscienza le scelte “vettoriali”, veniamo alla risposta. Nel settore della piccola valigeria, i migliori pellami sono attualmente lavorati nelle Marche e precisamente dalle Pelletterie di Tolentino. Questa casa non produce trolley, ma è specializzata proprio in ciò che Lei cerca. A parte i rettili, dispone di materiali eccezionali, alcuni dei quali praticamente in esclusiva. Riesce ad avere canguri e cammelli a concia "bianca", di cui nessun altro dispone. Con questo trattamento ad acqua, che rappresenta un'evoluzione di quello con allume di rocca, questi pellami mantengono una meravigliosa superficie, luminosita, compattezza e consistenza, acquistando allo stesso tempo il massimo della morbidezza. Una pelle di canguro così trattata sarebbe alquanto difficile da rompersi, anche volendo. Nel loro show room di Milano ho visto recentemente un borsone in cammello veramente pregevole. Anche gli inserti in tessile erano di qualità superiore. Erano realizzati con una tela che risulta assolutamente impermeabile non perché impregnata, ma grazie al trattamento in filo ed al tipo di tessitura. Usando materiali belli, buoni e giusti, quando anche il disegno è indovinato si raggiunge un livello elevatissimo. La cosa non è rara, specie nella loro valigeria morbida. Diciamo che in questo settore sono al vertice assoluto. Benissimo anche nella piccola pelletteria, dove hanno anche cose molto divertenti, e nelle cartelle “business”. Dovrebbero migliorare nell’offerta di borse femminili, ma del resto questo ramo non ci riguarda. Le Pelletterie di Tolentino non dispongono di un sito internet, ma ho chiesto all’amministrazione di spedirmi delle foto per poterLe illustrare qualche prodotto, che eventualmente sistemerò nel Taccuino. Qualora volesse vedere e toccare dal vivo, eccole qualche recapito: PELLETTERIE DI TOLENTINO Via Giovanni XXIII, 69 – Tolentino Telefono: 0733.960035 Chieda del signor Eriberto Pupo o della dott.ssa Sibilla Minicucci SHOW ROOM Via S. Andrea, 8/A – Int. 12 – Milano Telefono 02.796013 Sino alle 17 vi trova la signorina Barbara, ma spesso anche il signor Pupo e la dott.ssa Minicucci Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 02-08-2006 Cod. di rif: 2541 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: segue: viaggio e pelletteria Commenti: Stimato GM, facendo seguito alla sua pregevole risposta sulla pelletteria, Le chiedo se in provincia di Bergamo non vi sia un laboratorio artigianale che produce pelletteria da viaggio di alto livello. Poichè i Trussardi iniziarono di qui e poichè in altri settori, segnatamente nei guanti, ho trovato in queste valli ciò che cercavo, chiedo a Lei se nel corso delle sue ricerche non abbia scovato qualcosa di interessante. Cavallereschi saluti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-08-2006 Cod. di rif: 2545 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Reperibilità corno e brunitura - Risp. Gesso n. 2538 Commenti: Egregio cavaliere Villa, per la cura della bottonite cornifera ed altre malattie maschili, Le fornisco l'indirizzo di una clinica garantita dal Consigliere Forni e ormai apprezzata anche da altri Soci: TUTTO PER LA SARTA, del sig. Maurizio Moioli Via Plinio, 1 - Milano Telefono 02.29400565 Quanto alla brunitura, la risposta è un po' più complessa. L’uomo si accorse subito che non sempre è la lucidatura o spazzolatura a specchio a permettere la migliore espressione delle qualità di un metallo. Perché lo stesso materiale potesse adattarsi a vari ruoli e dire cose sempre diverse, la tecnologia ha studiato nei secoli moltissimi sistemi. Il primo, l’unico non superficiale, è la modifica fisica della lega, che spesso ha uno scopo esclusivamente estetico. Vengono poi i sistemi meccanici. Orologeria e oreficeria usano le complesse lavorazioni guilloché, cotes de Genere, clou de Paris, etc. Nei motori si usa molto la sabbiatura. Per superfici rivestite a foglia o con procedimento galvanico, si effettua la vera brunitura, cioè quella col brunitoio in pietra d’agata. Nei bottoni, più comuni sono la satinatura e la martellatura, che danno effetti validissimi. Vengono poi i sistemi chimici, che in pratica tendono a generare un’ossidazione superficiale che “vesta” e quindi protegga il metallo, evitando anche eccessivi riflessi nei casi, come sempre nelle armi per colpire da lontano, in cui siano sgraditi. Quella che il volgo chiama brunitura, in italiano si chiama bronzatura ed è un trattamento con temperatura ed acidi che si è molto raffinato soprattutto nel mondo delle armi da fuoco. Orbene, guardando la bronzatura di un fucile e paragonandola a quella di un bottone (ma anche di una moderna maniglia), Lei capirà subito perché, a proposito dei bottoni, li dicevo “orrendamente bruniti”. Quella utilizzata nella metallurgia “povera” dei bottonifici è una tecnica da quattro soldi, basata su reagenti che danno al metallo sfumature false come biglietti da tre dollari. Il colore va “estratto” dalla lega forzandola e non “applicato” dolcemente, come avviene in questi casi. Non saprei spiegarlo meglio, ma credo che il paragone con i fucili da caccia, che certamente avrà maneggiato, spieghi tutto a sufficienza. D’altro canto, la vera bronzatura può basarsi su tecniche diverse, ma sempre richiede l’uso di temperature piuttosto elevate e una combinazione di acidi (solforico, nitrico, acetico) che genera vapori tossici. Si richiede pertanto una certa tecnica ed una grande cautela, caratteristiche che possono essere solo dei procedimenti artigianali. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-08-2006 Cod. di rif: 2547 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bronzatura ai bottoni? Solo a livello artigiano. Commenti: Egregio Cavaliere Villa, né in Inghilterra, né altrove, un'industria potrebbe competere in un mercato sciatto come quello dell'abbigliamento moderno, mettendosi a bronzare i metalli per benino. Il mondo delle armi, con un elevatissimo quoziente specialistico, gode di una committenza di alto profilo, in grado di distinguere il valore dei materiali e delle lavorazioni. Nel mondo dell'abbigliamento, ridottosi a moda e quindi alla schiavitù dei numeri più alti al costo più basso, le cose sono ben diverse. Poiché pochi sono quelli in grado di capire la differenza ed apprezzarne il valore anche venale, perché dare una bronzatura vera, quando si può vendere una brunitura finta? Non credo che possa esistere un'azienda che sottoponga i bottoni a trattamenti metallurgici complessi e costosi come una bronzatura. Il problema non è però privo di soluzioni. L'uomo di gusto già sa che ormai le cose veramente giuste si trovano praticamente solo nell'artigianato. Se veramente desidera una bottoniera bronzata come una doppietta inglese, non Le resta che rivolgersi a nostri Fornitori, come Lorenzo Preattoni. Nella sua squadra di artigiani, avrà certamente qualcuno in grado di elaborare qualcosa del genere su Suo disegno o indicazione. Ricordo, ad esempio, che non molto tempo fa lo stesso Preattoni aveva fatto realizzare vari prototipi di bottoni da blazer in damasco. Nel caso, ci faccia sapere e vedere. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-08-2006 Cod. di rif: 2552 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La sciarada del preppy style - Al Rettore Commenti: Carissimo Dante, immaginifico Rettore, credo di comprendere le esitazioni, l'arcano che palesemente si diffondeva nel tuo verbo man mano che avanzavi nella descrizione del preppy e che ti ha condotto a lasciarci su un interrogativo. Poiché tu ci avevi già fornito i pezzi con altre definizioni, credo di essere in possesso della soluzione della sciarada, che peraltro fa anche capire ogni esitazione. Il campione di preppy style, guardando il quale comprendiamo esattamente cosa esso significhi, quali origini e quale influenza abbia avuto, non è un uomo, ma una donna: Grace Kelly. Poiché il nucleo attuale della istituenda Biblioteca dell'Ordine, Porta delle Donne, già possiede un raro libro di Howell Conant dedicato a questa icona di femminilità dei tempi in cui essa poteva anche significare classe, ne sistemo qualche immagine nel taccuino in modo da dimostrare ciò che tu già sapevi e per gioco o per discrezione hai taciuto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-08-2006 Cod. di rif: 2554 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Filosofia preppy Commenti: Egregio Rettore, trovo estremamente stimolante la riflessione che proponi sul preppy. In effetti, vi si ritrova la migliore possibilità di soddisfare i bisogni della praticità mantenendo al linguaggio estetico la sua autonomia e gratificazione. Ai suoi temnpi il preppy fu il nuovo, ma non il rivoluzionario. A ben vedere, la sua cifra non è né nel distruggere, né nel mettere, né nell'inventare, né nel sostituire, ma nel togliere. La praticità non è cercata come uno scopo da esibire, come avviene nel caso delle scomodissime tenute moderne, vantate per pratiche solo perché nessuno prova altro. E' un risultato raggiunto attraverso qualità dei materiali, essenzialità del disegno e sua rispondenza alla funzione, il tutto con una riduzione dei capi, da coniugarsi mediante l'impiego del sistema a strati. Comprendere la filosofia preppy ed assumerne il gusto e la selezione delle fogge come una fase del classico internazionale aggiunge molte frecce all'arco di quanti amino vestire. Complimenti e cavallereschi ringraziamenti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-08-2006 Cod. di rif: 2558 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tintura in corda per il denim - Al sig. Zampollo Commenti: Egregio signor Zampollo, questo castello è l'unica sede della nostra associazione ed anche il suo laboratorio di ricerca. Chiunque sia interessato alla scienza ed all'arte del gusto, nonché alla sua pratica e difesa, qui si trova al posto giusto. Quanto alla Sua domanda, non saprei dire nulla di denim cimosati e degli eventuali vantaggi o meriti storici che possano avere. Non sapevo che esistessero e non so se si riferisce a cimose parlate o meno. Ho però una domanda. Come tintura in corda conosco solo quel procedimento utilizzato per le pezze intere come alternativa alla tintura in largo. (Nella tintura in largo, la pezza viene trascinata più e più volte attraverso il bagno da rulli; nella tintura in corda il tessuto è tenuto in agitazione in un acamera chiusa ed il colore viene spruzzato). Poiché il denim che Lei produce non può che essere tinto in filo, Le chiedo di sanare parzialmente la mia ignoranza esponendomi i principi fondamentali del processo di tintura in corda cui Lei si riferisce. In che fase avviene e quali sono le caratteristiche che conferisce al prodotto? Cavallerescamente La saluto e anticipatamente La ringrazio. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-09-2006 Cod. di rif: 2564 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Milanounica, la nuova fiera del tessile Commenti: Dal 12 al 15 settembre si terrà a Milano, città fieristica di Portello, la terza edizione di Milaunica, salone italiano del tessile. La prima edizione venne varata appena l'anno scorso, ma già si parla di oltre settecento espositori. Il nome viene dal fatto che prima di questa manifestazione le fiere sui tessuti erano più d'una e ciò influiva negativamente da tutti i punti di vista. Meno erano espositori, minori le motivazioni. Milanounica ospita in prevalenza aziende italiane. C'è qualcosa da altri paesi d'Europa, tra cui il meglio dall'Inghilterra, ma con una decisione che condivido in pieno resta escluso l'Oriente. Procurandosi un badge, si può usufruire del trasporto gratuito d Linate o Malpensa, con navetta dedicata che parte ogni ora per Portello. E' chiaramente un appuntamento per gli addetti ai lavori, ma ora che in un sol colpo si può vedere tutto il patrimonio nazionale e buona parte di quello britannico, anche i conoscitori potrebbero cominciare a farci un pensierino. I visitatori non sono oceani come a Pitti, ma nell'ultima occasione si sono superate le 30.000 presenze. Giusti i numeri, perfetta l'atmosfera e già autorevole l'appuntamento. L'unica manifestazione europea più importante è Premiere Vision, che si tiene a Parigi in Primavera. Come altre fiere francesi, ha dimensioni nemmeno lontanamante paragonabili alle nostre. Chi ha visitato e quindi inevitabilmente confrontato, ad esempio, sia Vinitaly a Verona che Vinexpo a Bordeaux, sa cosa intendo. Sito: www.milanounica.it ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-09-2006 Cod. di rif: 2567 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gusto e lusso, pubblico e privato - Al sig. Leonardi Commenti: Egregio signor Leonardi, la Sua domanda è importante per la chiarezza e serenità con cui affronta un problema importante. A livello filosofico, il dilemma in cui Lei ci precipita risiede nel rapporto tra Gusto e Lusso, ma a livello immediatamente personale è nella compatibilità tra due piaceri: uno pubblico, offerto dalla riconoscibilità sociale; l'altro privato, generato dalla qualità. L'analisi di questi fattori richiede tempo, ma ora sono diretto in aeroporto per recarmi a una riunione cavalleresca. Stasera saremo in un'isolotto di fronte Grado, in quello che fu il "casone" di Pasolini, ma non volevo lasciare inevaso un intervento così interessante, anche solo sviluppando delle premesse di massima. Al ritorno andrò avanti e intanto lascio la parola ad altri commentatori. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-09-2006 Cod. di rif: 2573 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gusto e lusso - I puntata: Le fonti - Al sig. Leonardi & alt Commenti: Egregio signor Leonardi, il confronto che il signor Tarulli ha proposto (Gesso n. 2568) tra il grido inespressivo lanciato dai marchi e l’eloquente silenzio dell’estetica inglese, nonché la differenza correttamente suggerita dal signor Nocera (Gesso n. 2569) tra aziende di contenuto e aziende d’immagine, hanno già offerto un notevole contributo alla riflessione. Villa sottolinea (Gesso n. 2571) la difficoltà del percorso che porta dall’esclusività condivisa, acquistata con uno scontrino, a quella solitaria, conseguita con la conoscenza. Molto bene, mi sembra, ma il problema richiede ulteriori sforzi. Lei lo ha già risolto, utilizzando serenamente alcuni oggetti che all’appariscenza della griffe abbinino la concretezza della qualità e disinteressandosi del resto. La posizione mi sembra corretta, in quanto acquistando qualità non si sbaglia. E quando si sbaglia? Non possiamo attribuire connotazioni negative ad un comportamento, se non indicando le fonti cui è ispirato il giudizio. Nessuno può ergersi ad arbitro del bene e del male basandosi su una petizione di principio, ancorché condivisa. Se accettassimo la maggioranza come fonte della ragione, della giustizia, del gusto, questa fortezza così isolata e controcorrente non avrebbe motivo di esserci e di crescere. Noi Cavalieri crediamo invece che il peso di un parere o di un giudizio non venga nemmeno in minima misura dal numero dei suoi sostenitori, perché esso è determinato dalla profondità delle argomentazioni. Orbene, poiché i rapporti tra maggioranza e minoranza si pongono, sebbene su diversa scala, anche al nostro stesso interno, sarebbe troppo facile riposare sul fatto che per un Mattioli che ci descrive le meraviglie del suo billioshopping a ciclo continuo, molti altri appaiono più ancorati ai valori della qualità che a quelli della quantità. Troppo facile dichiararsi dalla parte giusta della barricata, senza contare che da quell’altro lato sarebbe possibile leggere le nostre critiche come quelle della volpe all’uva. Per provare la correttezza o meno di una posizione etica o di un comportamento, non c’è altro modo che far riferimento ai valori, alle autorità del pensiero, ai precedenti storici, alle presumibili conseguenze dei mezzi usati e dei fini perseguiti. La condivisione non dimostra nulla e non dovremmo mai dimenticare come un solo Socrate prevalse contro Atene tutta. La cicuta ne fermò la parola, ma nulla poté contro il pensiero. E’ su questo principio che è basato un piccolo nucleo di resistenza come il Cavalleresco Ordine. Orbene, quanto ai presupposti necessari a qualsiasi condanna o assoluzione dei marchi e dei loro fruitori, tutto sembra restare ancora nebuloso. Anzi, il pensiero cavalleresco prevede per statuto che si difenda il piacere e per prassi che si accetti tutta la parte positiva della vanità. Quindi anche sfoggiare un bell’orologio o una grande auto rientra nella nostra tutela. Sino a che punto? E da lì in poi, in cosa e perché il marchio è disdicevole o sospetto? A questa risposta dedicherò un autonomo Gesso, perché si tratta di un argomento di non pronta soluzione e questo testo è già cresciuto abbastanza solo per spostare il Suo problema, o meglio il punto da cui partire per risolverlo, da un punto ad un altro. Nel frattempo altri pensatori probabilmente contribuiranno o mi anticiperanno. Tutto ciò mi consente di rispondere intanto alla proposta del signor Tarulli sull’istituzione di un’area dedicata alla trattazione dei marchi diversa da questa, il cui argomento dovrebbero restare i massimi sistemi. Egregio Visitatore, nelle Lavagne e nel castello tutto l’approfondimento a livello di massimi sistemi non è nell’argomento, ma nel metodo. Possiamo parlare di gelati alla frutta o di violenze ai minori, ma il metodo di ricerca ci condurrà inevitabilmente lì dove risiedono i meccanismi intimi, alla luce di un’etica che faccia l’uomo e non di un uomo che faccia l’etica. Cioè di quello che noi chiamiamo umanesimo. L’area, quindi, non ha ragione d’essere, in quanto il discorso sui marchi non sfugge a questi filtri e diventa costruttivo come qualsiasi altro. Ci pensi e credo che sarà d’accordo con me. Isolandolo, attireremmo persone avvezze ad esprimersi non col ragionamento, ma con l’esternazione. Quelli che su migliaia di blog, tornando la sera a casa aprono il computer e senza riflettere su buttano su una discussione per dire al mondo: “mi piace questo, non mi piace quello, questo è meglio di quello, quello non sta bene ai biondi, questo l’ho comprato a Londra, quello è fichissimo” e via così, restando sempre al punto di partenza. Di questa roba ce n’è già tanta. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-09-2006 Cod. di rif: 2576 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pillole cavalleresche - Al sig. Corbey Commenti: Egregio signor Corbey, non potrei rispondere alla Sua domanda senza impegnare la Lavagna con una discussione sull'Associazione che non solo risulterebbe fuori dal tema dell'abbigliamento, ma esulerebbe dagli scopi del castello. Mi limito a dirLe che tra i princìpi cavallereschi vi è quello della parità. Non è quindi concepibile una meritocrazia o qualsiasi altra forma di gerarchia che non sia quella orientata al funzionamento dell'istituzione. Quanto al problema della scelta tra i volenterosi e i capaci, ovvero tra gli entusiasti e gli eleganti, essa non si pone in quanto l'uomo che accede al gusto non lo fa necessariamente attaraverso l'abbigliamento. Questo mondo è unitario, ma presenta vari accessi, che noi chiamiamo Porte. Otto ci apparvero evidenti, mentre le altre, innumerabili o sconosciute, sono tutte rappresentate dalla Nona. L'elevazione che alcuni perseguono con la ricerca nel vestire, altri la raggiungono con l'arte, la pratica sportiva, l'illuminazione estetica della corrida o per altre vie che non spetta a me, né all'Ordine, giudicare o contare. Noi non creiamo i Cavalieri, né potremmo, in quanto privi di una fons honorum, di una ritualità e di un tirocinio specifico. Noi riconosciamo ed in qualche modo aiutiamo i chiamati, o meglio facciamo in modo che essi si aiutino tra loro, ma come vede non chiamiamo nessuno. Per cercare una risposta che possa soddifarLa, concluderò che entusiasmo e capacità sono doti equivalenti. In ogni caso, non sono io che decido o comunque non da solo. Credo che la Sua visione dell'Ordine in particolare e della struttura mentale cavalleresca in generale, vada ancora approfondita. Un Gran Maestro non è un vate che si circondi di adepti, nè un dittatore che detti leggi e condizioni, ma lo strumento alle cui misurazioni alcuni si affidano in quanto lo riconoscono come il servitore a sua volta più affidabile della causa comune. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-09-2006 Cod. di rif: 2579 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La retta via - Al sig. Torre (Risp Gesso n. 2577) Commenti: Egregio signor Torre, certamente interpreto il sentimento generale ringraziandoLa per averci partecipato il Suo stato d'animo. Non c'è molto da aggiungere. Seppure in età diverse e in diversi luoghi, molti di noi sono stati o sanno che irrimediabilmente si troveranno dove Lei ora si trova, all'inizio di un cammino dove il timore dei cattivi incontri è sovrastato dalla gioia di quelli positivi. In bocca al lupo! Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-09-2006 Cod. di rif: 2580 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Collo per le narrow ties - Al Cav. Villa (Risp. Gesso 2578) Commenti: Egregio cavaliere Villa, cravatta stretta significa nodo piccolo, anche se negli anni 50/60 la forte presenza dello scappino faceva i modo che si vedessero comunemente cravatte a nastro da due pollici venir giù da piramidi di un certo volume. Sinceramente credo che vada bene qualsiasi collo. La pistagna alta non rappresenta un ostacolo estetico, ma piuttosto un pericolo, in qanto è facile che il nodo venga giù e lasci un brutto spazio scoperto. Non a caso, nel periodo delle narrow ties vediamo molte foto di cravatte a mezz'asta. Qualora il materiale sia adatto ed il nodo corretto, sulla pistagna alta lo si può tenere alto come una bandiera e conseguire effetti notevoli. Naturalmente escludiamo i colletti a doppio bottone, con altezze da maresciallo napoleonico. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-09-2006 Cod. di rif: 2582 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La stabilità del nodo. Un mistero ancora irrisolto. Commenti: Egregio Villa, la cravatta sette pieghe, i cui lembi sono ripiegati come le foglie in un sigaro, ha (o dovrebbe avere) una sezione il cui ripieno è la stessa seta. Le altre, quasi sempre, per la necessaria consistenza contano su interni in lana. Non fa molta differenza tra le narrow ties, che qui consideriamo tali sino agli 8 cm, e cravatte da 9 cm o più. In linea di principio, la diversa struttura chimica comporta che la seta abbia una ripresa elastica minore della lana, sicché la presenza di quest’ultima è utile a favorire il “ritorno” del manufatto dopo l’uso piuttosto stressante cui una cravatta è sottoposta. Ma gli interni sono anche importanti per la plasticità del nodo, formando un supporto più o meno docile che viene da noi “scolpito” nelle ultime fasi dell’annodatura. Non ho mai visitato setifici e quindi non comprendo sufficientemente alcuni aspetti di questa complessa ed antica lavorazione, soprattutto l’origine di alcune evidente differenze nei materiali finiti. Anche in sete tecnicamente simili si notano differenze rimarchevoli. Ad esempio, abbiamo dei twill piuttosto croccanti ed altri cedevoli. Non so se dipenda dal finissaggio, dalla tensione dei filati o da una maggiore o minore sgommatura, che è la fase in cui si elimina la sericina. A prescindere dalla loro origine, credo che il segreto per ottenere un nodo plastico e durevole risieda nel bilanciare le caratteristiche dell’esterno con quella degli interni. Ve ne sono di diverso peso e tocca al cravattaio trovare la combinazione migliore. E' una cosa assai complessa, sulla quale ritengo che non si siano mai condotte osservazioni metodiche. Uno studio approfondito potrebbe essere, un giorno, oggetto di una meticolosa ricerca cavalleresca. Occorrerebbero alcuni giorni di prove ed elaborazione dei dati, ma credo che in tempi ragionevoli si potrebbe giungere alla comprensione di alcuni principi di massima e quindi di accorgimenti che possano evitare il rischio, ancora molto comune dopo ottanta anni in cui non è cambiata, di una bella cravatta che si annodi male. Qualcosa è ovvio sin dall’inizio, cioè che il “grip” naturale di alcune tessiture facilita la tenuta. Ad esempio, il panama o la garza, ma le più usate restano i diagonali, dal peso che chiamiamo foulard in su, ovvero i reps . Su questi materiali mi sembra che da sempre clienti e fabbricanti si muovano ad istinto, sapendo che i grandi nomi hanno già trovato una loro formula e proprio per questo la cambiano difficilmente, ma anche i meno noti possono trovare la ricetta giusta. Come abbiamo più volte osservato, un fattore che lavora sempre a nostro vantaggio è il tempo. Una cravatta di dieci anni, specie se è stata usata e quindi allungandosi leggermente ha potuto trovare la sua forma definitiva, lavora meglio di una appena nata. Perché il nodo trovi un equilibrio stabile, è comunque indispensabile anche qualche dettaglio costruttivo, tra cui un’imbastitura abbastanza cedevole da consentire un certo scorrimento dei lembi l’uno sull’altro. In tal modo essi trovano più facilmente la loro posizione e soprattutto la mantengono, senza che si formino bozzi o si generino tensioni sfavorevoli. Mi dolgo di non esserLe stato molto utile, ma ribadisco che sul nodo e sulle qualità che una cravatta di seta deve avere per svilupparlo al meglio, un’analisi definitiva non è stata ancora condotta, pur essendo astrattamente più che possibile. Restano comunque le cravatte in lana, i cui nodi danno tutti garanzia di stabilità e si possono portare altissimi. Non a caso abbiamo visto Agnelli, le cui cravatte erano piantate nel collo come un chiodo e che nessuno ricorda con un nodo scaduto sotto il bottone, portarle anche in estate. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-09-2006 Cod. di rif: 2587 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacca e giubbino. Rispetto formale e libertà dinamica. Commenti: Egregio Villa, per quanto può valere, vedo molto bene il vasltarino con camicia e cravatta. Molti lo accompagnano con un foulard, ma la soluzione si adatta a poche persone, in quanto il fazzoletto da collo è un accessorio assai penalizzante per chi non vi sia abituato e tagliato. Quello dell'eventuale momento di toglierlo è un falso problema, perché restare con la sola camicia e cravatta non è un fatto penalizzante in se stesso. Vile è il gesto di togliere la giacca. Uscendo di casa in giacca e cravatta si sposa un certo tipo di estetica e questa scelta, come qualsiasi altra, impone fedeltà. Abbandonare la giacca su una sedia come una pelle morta, cambiare bandiera come cambia la temperatura dell'ambiente, è questo che ripugna alla mentalità cavalleresca. In parte, non neghiamolo, la soddisfazione di indossare la tenuta formale viene dalla sicurezza che ci infonde quella parte di essa che è assimilabile ad una divisa, ma una divisa impone lo stesso rispetto che le chiediamo di infondere in noi e negli altri. Se invece si indossa un giubbino, siamo in un'ottica più dinamica ed allora potremo giovarci di punti di riferimento diversi. Lo stesso vale per il bomberino o Barracuta, anche se questi capi si addicono un po' meno alla cravatta. In passato, anche molti sport si praticavano in cravatta. Le imprese di Lindbergh e di Santos Dumont furono compiute in cravatta, ma certo nessuno si sarebbe meravigliato che togliessero i loro giubboni da aviatore. E quando si pensa ai grandi, difficilmente si sbaglia. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-10-2006 Cod. di rif: 2591 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capi tecnici - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, non sono un botanico, ma credo che i boccioli siano una fase immatura del fiore, non la sua evoluzione. Quanto alla gestione di sahariane, giacche da caccia, etc, quello che conta è il contenuto tecnico del capo. Quando esso è chiaro e dominante, come in questi casi, la "sacralità" sarà sempre inferiore a quella di una giacca formale, sicché la loro rimozione non genera altrettanto scandalo. I capi tecnici possono essere molto pesanti e mantenerli in interno potrebbe divenire goffo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-10-2006 Cod. di rif: 2601 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un libro raro, ma forse non troppo Commenti: Imprevedibili Visitatori della Lavagna, ricevo privatamente una lettera che termina con una richiesta di aiuto. Il signor Dal Farra, in pratica, vorrebbe rintracciare il libro "Scarpe da uomo fatte a mano". Poiché no sono stato in grado di farlo da solo, chiedo a Voi se qualcuno possa essergli d'aiuto. In calce riporto l'esse-o-esse e l'indirizzo, per eventuali contatti privati. Giancarlo Maresca "... entrando in un negozio di calzature in Cortina ho notato a disposizione per la consultazione il libro "Scarpe da uomo fatte a Mano" di Laszlo Vass e Magda Molnar, per altro citato anche ne Vostro sito, preso in mano il volume mi sono subito reso conto del bisogno di possederlo nella mia libreria e qui sorge il problema, la casa editrice Konemann è fallita ed il libro non è più reperibile attraverso i canali convenzionali. Posso chiederLe di venirmi in soccorso se Le è possibile. Ringraziando anticipatamente per il tempo che vorrà dedicarmi porgo Distinti Saluti Thomas Dal Farra Belluno Thomas.DalFarra@unicreditbanca.it ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-10-2006 Cod. di rif: 2600 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colli di camicia - Al sig. Corbey (Risp. Gesso n. 2593) Commenti: Egregio signor Corbey, 1 - Quanto all'inserimento di immagini e commenti ai colli di camicia, dalla pagina 180 alla 183 del Taccuino troverà 18 Appunti sulla materia. Ricordo che il Taccuino dispone di un sistema di ricerca che, anche se imperfetto, permette di trovare parecchio del lavoro già svolto. Occorre fare più tentativi, usando singolari e plurali, le parti ed il tutto, le maiuscole e le minuscole, ma il materiale è tanto e anche se ciò che si cercava non si rintraccia subito, sempre capita sott'occhio qualche altra cosa interessante. Su Sua richiesta, comunque, proseguirò la serie con qualche altra tappa stimolata dalle Sue esigenze. 2 - Quanto al problema della risalita, esso attiene al peso ed alla forma del collo, più che alla morbidezza. Tessuti piuttosto pesanti risponderanno meglio anche col minimo degli interni e viceversa. Non sappiamo quali siano i tessuti che usa, ma se sono molto leggeri non potrà fare a meno di interni semirigidi o di stecche. La forma è altrettanto determinante. Per evitare vele molto lunghe, che sembrano non essere di Suo gusto, consiglio la soluzione che fu - ad esempio - del Duca e dell'Avvocato: lo spazio cravatta, anche nei colli tradizionali. Lo spazio cravatta, portando il "punto di mura" delle vele verso il bavero, permette che il "punto di scotta" si mantenga sotto il gilet o la giacca pur con una lunghezza della base inferiore a quella che sarebbe necessaria per due vele che si incontrino al bottone. Mantenendo la stessa angolazione di apertura, mettiamo 90°, con due centimetri di spazio cravatta si guadagna già più di un centimetro un centimetro per lato, in quanto occorre tener conto che il tutto viene a trovarsi leggermente più in alto e quindi in una zona dove la V della giacca o gilet è più stretta. Se poi l'angolo si apre, immaginando che l'apertura dello spazio avvenga per rotazione e non per traslazione delle due vele, il guadagno è ancora maggiore. Il colletto, nel complesso, conserva la sua impostazione ed il suo equilibrio tanto nel primo che nel primo caso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Bressan Data: 12-10-2006 Cod. di rif: 2612 E-mail: giovanni_bressan@hotmail.com Oggetto: Lettera al direttore di Panorama Commenti: Pur avendo aderito forse tardivamente all'appello del Gran Maestro, Rimetto in copia la lettera da me inviata al Direttore di Panorama per la vicenda del plagio di alcuni contributi di questa sezione. Con i più ossequiosi saluti. Giovanni Bressan Egr. Direttore, Le scrivo la presente nella mia qualità di simpatizzante del sito www.noveporte.it, per segnalarLe tutta la mia riprovazione per la pubblicazione sulle pagine del Suo giornale di brani integralmente trascritti da una rubrica di tale sito, senza che ne fosse indicata la reale fonte di provenienza. In tal senso mi associo completamente alle proteste relative all’accaduto provenienti dal Gran Maestro del sito. Nonostante peraltro Vi siano giunte altresì ulteriori numerose proteste da parte dei frequentatori del suddetto sito, non mi risulta che da parte Sua Vi sia ancora stato alcun tentativo di fornire quantomeno una valida spiegazione in merito all’accaduto. Fiducioso che comunque tutta la vicenda possa essere chiarita a breve e nel migliore dei modi, Le invio i miei più distinti saluti. Giovanni Bressan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2006 Cod. di rif: 2619 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Irraggiungibile semplicità - Al sig. Mattioli Commenti: Egregio signor Mattioli, una delegazione del Cavalleresco Ordine era presente già alla PRIMA conferenza di Nicolas Joly, quando a Bordeaux presentò i concetti che avrebbero dato l'avvio al Rinascimento del vino autentico, con risultati di cui c'è da essere soddisfatti e che senz'altro hanno già influenzato anche la produzione che non si riconosce nella filosofia biodinamica. In questo e negli altri campi, la nostra ricerca ci porta all'origine delle cose. Se certe scelte diventano una moda, questo non cambia nulla. Un Cavaliere non ha un'opinione che muti con la stagione, ma un'ideale, o nel peggiore dei casi un'idea. Parto da questo punto per arrivare a dire che un movimento di pensiero non è un partito politico, che giudica le scelte dalle opportunità o dalla provenienza. Qui al castello non si è mai detto male delle giacche di Kiton, caso mai si parla bene della sartoria. Se abbiamo rimproverato qualcosa al su-ordinazione, è la confusione che induce qualificandosi artigianato su-misura. Dopo anni di un’analisi isolata da qualsiasi contesto commerciale e rivolta solo alla comprensione dei linguaggi nascosti, delle sorgenti prime, dovrebbe essere evidente che non siamo contrari a nulla, se non all'approssimazione. E soprattutto non ci interessa quella mortificante classificazione del buono, del meglio, fino al meglio del meglio che sembrerebbe essere un’esclusività e poi non trova altra definizione se non l’etichetta più consunta: lusso. Quando il proprio vocabolario estetico è ancorato alle possibilità e non alla conoscenza, i risultati sono mediocri con qualsiasi prodotto. Il vino biodinamico, le belle donne, i grandi uomini, la vera sartoria, le vecchie barche, le auto di metallo, sono tutte cose piene di difetti. Bene, non siamo noi a fare con essi o senza di essi una gerarchia. Qui si offrono risposte e si individuano i problemi che ne hanno bisogno. Non si danno consigli, se non richiesti. Non si fa alcuna pubblicità e non si va contro nessuno, nemmeno contro di Lei. Del resto, se da un lato ci canzona, dall’altro mostra personalità firmando le Sue lettere e buona educazione non usando toni o vocaboli sconvenienti. Poiché questo è un luogo di ricerca, il dialogo è sempre ben accetto. Già, la ricerca. Chi frequenta da un po’ di tempo questa Lavagna ed il Taccuino, ricorderà che ci siamo occupati anche dell’abito della Domenica, del “Vestito Buono” borghese o piccolo borghese, anzi popolare, la cui dignità supera ogni considerazione di pura tecnica. Sto esaminando la difficile, minata pista dell’estetica gangster ed ho dedicato mesi di lavoro ad una bombetta che non si usa, solo per risalire al suo corredo simbolico. Rileggendo il monolitico lavoro del Rettore, si trovano spunti epistemologici, religiosi, etici, scientifici. Scintille che illuminano la vera natura del vestire come attività di arte e conoscenza, non di sfoggio. Se anche qualcuno di noi giungesse alla verità assoluta, non potrebbe comunicarla per la semplice ragione che non esiste modo per farlo. Eppure è la sua irraggiungibile semplicità, che sembra potersi cogliere ed ogni volta sfugge più avanti, ad affascinare il pensiero speculativo, l’uomo di genio o di gusto, il cavaliere, il saggio. E’ questa l’indagine che interessa al castello, l'opera cui l'Ordine si dedica. Quanto agli altri temi cui accenna, le nostre non sono sale dove accatastare gemme e tesori, risultati definitivi, ma per l'appunto Porte, ovvero dei passaggi, dei luoghi-non-luoghi da cui, per diverse vie, si accede alla stessa coscienza di se stessi e dell'unità del gusto e dell'universo. Dicendo che vuole "vedere dove ci muoviamo" Lei sembra volerci esaminare, ma la cosa non è reciproca. Nutriamo un sacro rispetto ed un sincero interesse per le Sue considerazioni, ma non ci riguarda quello che fa. A nessuno, che non ci abbia chiesto di una sartoria, abbiamo mai detto di andare in sartoria. Non lo diremo a Lei. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2006 Cod. di rif: 2620 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non è mai troppo tardi - Al sig. Bressan Commenti: Egregio signor Bressan, la ringrazio per aver risposto ad un appello che, ben prima di essere nostro, richiama i comuni principi di civiltà e onore. La Sua non è affatto tardiva, perché le cose storte restano tali a lungo, spesso generando conseguenze che valicano intere generazioni. Storie ben più gravi, sanguinose e rilevanti di queste, ce lo insegnano. Le racconterò che in Giugno mi sono trovato a sedere proprio di fronte a Gaddo della Gherardesca, cui come ricorderà era stato attribuito uno degli episodi plagiati dalla penna di Forni. Non ho grugnito più di un saluto di convenienza minima ed ho evitato di entrare in ogni sua conversazione, in modo da non dovergli rivolgere la parola. Non credo che ricordasse l'articolo e ora non lo ricordo nemmeno io, ma poiché non mi sarebbe stato possibile interloquire con lui senza tirare in mezzo la spinosa faccenda, ho ritenuto fare la figura del distratto che quella di chi è troppo attento. Lui non mi avrà notato, così come non avrà saputo nulla della vicenda. Non credendo che avesse potuto comprenderla, forse gli ho fatto torto, ma meglio uno per uno che due tutti dalla stessa parte, qualora avessi avuto ragione. In tutto questo dev'esserci una morale, ma poiché credo che ce ne siano almeno due, ciascuno scelga la sua. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-10-2006 Cod. di rif: 2622 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Congelato, non morto - Al sig. Pugliatti, prof. per acclamaz Commenti: Egresio professore, la questione del rapporto tra confezione e sartoria è complessa come Lei dice, ma così poco interessante… Perché sforrzarsi di analizzare i pro ed i contro? Vogliamo finire come nel vino, a fare guide e votazioni? Non provvederemo certo noi, che combattiamo non perché tutti facciano allos tesso modo, ma perché ciascuno faccia come gli pare. Il nostro campo di studio e di azione è la sartoria in quanto artigianato, cioè luogo dove si può costruire l’unico. Abbiamo compiuto sin dall’inizio la nostra scelta e non verrà mai cambiata. Ciò che di buono si fa altrove non è però negato dal fatto che non se ne parli, tutt’altro. Credo ricorderà che ho lodato giacche industriali di Ralph Lauren e di Loro Piana, quando sono state presentate. Andare contro le cose e le persone è una via chiusa ed il guerriero lo fa solo per difendersi. Noi preferiamo andare in fondo, non sciupare la forza o il pensiero per demolire, ma utilizzarlo per conservare, affinché altri possano costruire. Per conservare occorre tramandare e, per tramandare, capire. Non c’è quindi molto da distrarsi. Grazie per le preziose immagini che riporta sul Taccuino. A proposito, sto usando già dall’autunno scorso un abito da mezzo tempo in pettinato pied de poule testa di moro su fondo bianco (o vice versa) e vedo che viene molto apprezzato. In effetti non è che il gusto sia morto, è solo congelato. E le Porte non sono chiuse, solo accostate. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-10-2006 Cod. di rif: 2624 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non tutto è in vendita - Al sig. Mattioli Commenti: Egregio Mattioli, il Cavalier Barone non mi ha preceduto, mi ha superato. Per non sciupare il suo perfetto cameo, sarò quasi telegrafico ed aggiungerò due distinte osservazioni, anzi un'osservazione ed una risposta. 1 - E' difficile, in questo momento quantitativo, comprendere un'azione ed un pensiero autenticamente qualitativi. Anzi, è difficile intendere cosa significhi mentalità qualitativa. Facciamola facile dicendo che la visione qualitativa lavora sulle classificazioni, non sulle classifiche. Si aggiunga che l'Ordine è squisitamente individualista, come è logico quando si esce dalla condizione di consumatore (numero) per entrare in quella di committente (uomo). Dire che una cosa è la migliore comporta che chi non la usi sia un minus habens, il che è concettualmente non solo sbagliato, ma ridicolo. 2 - Anche se Barone non l'ha voluta dare, per evitare di cadere nella trappola abilmente predisposta nella Sua domanda, la risposta esiste: il Cavaliere va dal sarto mediocre. Ci va con entusiasmo, accontendandosi dei risultati mediocri. Ma col tempo lo trasforma, lo educa, così creando anch'egli. Mancando la forza e la fiducia, non restano che i soldi. Lei sembra dar loro molta importanza e in altri momenti ci ha fatto capire di trovarvi tutte le soluzioni. Quindi questa strada che non prevede il tutto e subito non fa per Lei, tutto qui, ma non è detto che sia l'unica e nemmeno che sia esatta. E' però la nostra e ci lasci credere in essa in nome di un lusso che non potrà comprare: una bandiera. Con cavalleresca simpatia Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 16-10-2006 Cod. di rif: 2628 E-mail: sperelli8@email.it Oggetto: Convegno romano sul Lusso e sulla Moda Commenti: Stimabili Cavalieri, indefessi Scuderi, fedelissimi Visitatori, riporto ora di seguito il programma del convegno internazionale che si svolgerà a Roma, nelle giornate del 23 e del 24 Ottobre, avente per tema "Il lusso e la moda"; organizzatrice dell'evento è la prof.ssa Anna Maria Curcio, già docente di Sociologia a RomaTre, nonché da tempo studiosa di storia del costume e della moda. Suo è il "Laboratorio sui fenomeni di moda", che da diversi anni si applica nello sviscerare questo settore dello scibile umano. Benché la conferenza non parte dal, né coinvolge in prima persona L'Ordine Cavalleresco, trovo che l'argomento sia comunque proficuo e non privo di interesse; presenzieranno esperti d'alto calibro nazionale ed internazionale, come anche (non mancano mai) semplici presenzialisti dei quali non faccio il nome, ma che i più attenti sapranno distinguere dai più valevoli anche solo scorrendone i nomi di seguito elencati. Dal Campidoglio alla sala Capizucchi in piazza Campitelli il filo conduttore si dipanerà, trainato a più voci e più sentenze, sino ad un finale che, sappiamo (noi che indaghiamo anche tali settori alla stregua di una scienza inesauribile di sorprese) non conoscerà traguardi assoluti, ma comunque validi approdi. La mia presenza è confermata, ovviamente tra le file del pubblico, e sarebbe bello se vi presenziassero anche quei Cavalieri che in Roma tramano sottili maglie atte ad insaccare la montante volgarità nazionale; compito del Cavaliere è si quello di combattere, ma come anche deve fare un buon medico, anche di seguire i corsi di aggiornamento. Chissà che anche qui non si impari qualcosa, insomma. Di seguito il programma, così come appare sulla brochure inviatami dalla prof.ssa Curcio: Presentazione: Il lusso è da sempre un fenomeno controverso la cui trattazione sembra necessariamente approdare alla sua condanna o alla sua approvazione, indipendentemente dalla validità scientifica con cui vengono osservate le sue manifestazioni. Le analisi del fenomeno si sono soffermate principalmente sull’aspetto economico, mediante l’equazione lusso – ricchezza. Nelle società contemporanee, con l’affermazione della globalizzazione, la moda d’altra parte, ha esasperato alcune sue caratteristiche principali quali, la velocità, la superficialità, la volontà di identificazione e comunicazione, il consumo sociale, la massificazione insieme ad un certo elitismo, il segno di riconoscimento (soprattutto nelle mode giovanili), l’industrializzazione e la strumentalizzazione del fenomeno. Tutti questi aspetti, ciascuno dei quali costituisce un importante oggetto di riflessione, di studio e di ricerca, sono alla base della conoscenza e dell’interpretazione della modernità, dei suoi paradigmi, della sua complessità e delle sue contraddizioni. Il convegno si propone di analizzare se il binomio lusso – moda ha ancora riscontro nella ricerca scientifica o se vi sono altre dimensioni semantiche da analizzare per poter dare significato a tutti gli studi, che sotto i più diversi aspetti, si occupano di queste tematiche. (Anna Maria Curcio) Convegno Internazionale --Trasformazioni del lusso e della moda-- Conversazioni sulla moda Roma, 23 ottobre 2006, Campidoglio, Sala della Protomoteca 24 ottobre 2006, Sala Capizucchi, Piazza Campitelli Programma 23 ottobre 2006 Sala della Protomoteca in Campidoglio Ore 9.30 Apertura del Convegno e saluto delle Autorità On. Mariapia Garavaglia Vice Sindaco di Roma Guido Fabiani Magnifico Rettore dell’Università di Roma Tre Francesco Susi Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Roma Tre Roberto Cipriani Direttore del Dipartimento di Scienze dell’educazione 10.00 Introduce e coordina: Anna Maria Curcio, Università di Roma Tre “Lo strano equivoco: lusso e ricchezza” Franco Ferrarotti, Università di Roma La Sapienza “Lusso: matrice del capitalismo o effimero consumo onorifico?” Salvador Giner, Università di Barcellona Domenico Secondulfo, Università di Verona “Il lusso di essere postmoderni: nuove strade ed antichi sentieri” Gerardo Ragone, Università di Napoli “Federico II” “Consumi di massa e trasformazioni del lusso e della moda” 11.30 Coffee break 11. 45 Presiede Gerardo Ragone Patrizia Calefato, Università di Bari “Il corpo di lusso” Marina D’ Amato, Università di Roma Tre “I bambini allo specchio” Paola Colaiacomo,Università di Roma La Sapienza “L’eleganza e il lusso” 13.30 Buffet 15.00 Presiede Marina D’ Amato Michel Maffesoli, Università di Parigi, “La Sorbonne” “De la fonctionalité moderne au lux postmoderne” Gabriella Bartoli, Università di Roma Tre “ Il lusso tra pregiudizio e oggetto del desiderio: risvolti psicologici” Elyette Roux,Università Paul Cézanne Aix – Marseille III “Luxe et temps des marques : continuités et discontinuities” Paolo De Nardis, Università di Roma La Sapienza Margarita Riviere,Università di Barcellona “ Morte e resurrezione della moda” 16. 30 Presiede Gabriella Bartoli Carlo Mongardini,Università di Roma La Sapienza “Elites e moda in un regime di massa” Valeria Biasi, Università di Roma Tre “Eleganza e lusso come fattori dell’importanza fenomenica” Mariselda Tessarolo, Università di Padova “ Il lusso nella moda giovanile” Massimo Canevacci,Università di Roma La Sapienza “ Lusso – Fetish” Junji Tsuchyia, Waseda, University Tokyo “Nomadismo e Nudismo della Moda Postmoderna” Mara Parmegiani, Giornalista e storica della moda “I segreti della seduzione.. sotto il vestito” 18.00 Discussione e chiusura della giornata 24 ottobre 2006 Sala Capizucchi - Piazza Campitelli Ore 10.00 Presiede Bonizza Giordani Aragno Angelo Bucarelli, Esperto di comunicazione culturale “Il potere del lusso” Bonizza Giordani Aragno, Storica del costume “Il lusso mutante” Alessandro Giancola, Esperto di Marketing della moda “La moda trasformista” Sofia Gnoli, Università di Roma La Sapienza “L’alta moda di Roberto Capucci” Luigi Toiati, Focus Research “Sherazade e il lusso del silenzio” 11. 15 Coffee Break 11.30 Tavola rotonda” Roma, polo del lusso” Coordina Sofia Gnoli Interverranno rappresentanti di: Balestra, Bulgari, De Grisogono. 13.00 Chiusura convegno Sono previsti interventi di: Paola Canestrari, Cecilia Costa, Maria Cristina Marchetti, Angelo Romeo, Marieli Ruini. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-10-2006 Cod. di rif: 2631 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scarpe da uomo fatte a mano - Al sig. Dal Farra Commenti: Egregio signor Dal Farra, avevo già pubblicato la Sua richiesta, credendoLa un frequentatore più assiduo della Lavagna. Rilegga i gessi nn. 2601, 2603 e 2605 ed attenda altre, eventuali, novità. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-10-2006 Cod. di rif: 2635 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: E se fosse così? - Ai Cavv. Villa e Rizzoli Commenti: Egregi Cavalieri, la Vostra conversazione, evocata da Villa così bene che anche a noi che la leggiamo sembra di aver camminato con Voi sotto i portici di Bologna, tocca un tema sul quale rifletto dal tempo in cui, sul Taccuino, si pose una sorta di sfida tra lo stile inglese ed italiano. Mi ripromisi allora di intervenire con una serie di Appunti nello stile dei Taccuini, ma non l'ho mai fatto. Nel risalire agli archetipi, agli eroi della nostra estetica, mi trovavo e mi trovo tuttora ad un bivio che richiede un profondo sforzo concettuale, una forte partecipazione emotiva ed una gran decisione, perché si imbocchi una strada. Ecco il mio dilemma, che le osservazioni da Voi condotte riportano di attualità: i campioni dello stile italiano sono gli attori e i personaggi da rivista, coloro che nel dopoguerra diedero al mondo e innanzitutto a noi stessi un'immagine positiva del Paese, o piuttosto i silenziosi capifamiglia borghesi? Questi ultimi, con la parsimonia, l'operosità, la dignità, l'attaccamento al campanile ed all'azienda, non meno che alla famiglia e alla fede religiosa, diedero vita ad un formicaio estetico molto più silenzioso delle cicale di celluloide e molto meno appariscente. Ma non era proprio questa, all'epoca, l'Italia più vera? Gli inglesi hanno saputo valorizzare senza alcun tentennamento il loro abbigliamento di campagna o di città, in particolare quello aristocratico, creando così una serie praticamente illimitata di fogge canoniche. Molte sono divenute Classico Internazionale ed altre sono comunque restate nel patrimonio storico cui attingono i ricercatori e i raffinati. Il nostro paese non ha avuto alcuna fiducia in nessuno, Né industriale, né politico, né contadino, tanto meno negli aristocratici, al punto che un paese dal gusto così prepotentemente sviluppato non ha dato che tre o quattro fogge canoniche nazionali, nessuna delle quali è divenuta Classico Internazionale: il tabarro, il casentino, la giacca maremmana, la coppola siciliana. Per il resto, riconosciamolo pure, siamo andati sempre in giro come giapponesi ante-litteram, copiando e rielaborando quello che veniva da Londra o da New-York, da Vienna o da Parigi. Abbiamo senz’altro uno stile, anzi più d’uno e lo cambiamo spesso, questo perché dietro non vi sono le strutture tradizionali condensate in fogge. Forse la mancanza di un patrimonio di fogge da esportare, di eroi in cui credere, viene dal mancato riconoscimento che il paese fu fatto e poi ricostruito da uomini silenziosi e non da chiassosi burattini. Questa sensibilità, che non mancò agli inglesi, è il nostro difetto. Ci sarebbe quindi da considerare una misconosciuta supremazia etica ed un furto del magistero estetico ai danni di quel borghese che andava a lavorare in grigio, la sera andava all’osteria e sognava il varietà. Dell’uomo che lavorava sodo tutta la settimana e la domenica mattina si svegliava prima dell’alba per andare a caccia con grossi pantaloni di velluto, una vecchia giacca e i nostri cani italiani. Bracchi e spinoni, così lenti, così sentimentali, così diversi dai brillanti setter e dai nobili pointer inglesi. Coloro che non andavano a caccia, la maggioranza, indossava il “Vestito Buono” e andava a messa con la famiglia. Tutto dimenticato, tanto che della caccia inglese resta un mondo che copre il 25% dell’universo maschile e della nostra quasi nulla. Del Vestito Buono inglese resta la mitologia del city-gent e del nostro un fastidioso ricordo. Se al vaglio di ulteriori analisi questa diagnosi di miopia dovesse risultare fondata, non sarebbe troppo tardi perché proprio da queste Lavagne, unico luogo di discussione sincera su una materia che vive di menzogne, partisse un riconoscimento dei ruoli, un’acquisizione di coscienza che generasse una diversa fiducia negli antenati, che noi italiani sembriamo aver dimenticato essere il fondamento della fiducia nel futuro. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-10-2006 Cod. di rif: 2654 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non nobis, sed nomine tuo da gloriam. Commenti: Egregio Cavaliere Ricci, per rispondere alla Sua domanda potrei addentrarmi nel concetto di via estetica, lungo la quale l'estetica stessa, concepita in modo convenzionale, può perdere d'importanza alla luce di uno scopo quale quello del nobile Carlo, che si fa carico di traghettare da solo e verso un futuro incerto l'intero vocabolario inglese del vestire maschile. Egli non vuole essere il più elegante d'inghilterra, ma l'Inghilterra stessa, come la sua nascita richiede. Se non è Re sul trono, egli intende fermamente rappresentare la Nazione in altro modo. Ciò lo obbliga a lasciare ai suoi sudditi una possibilità di identificazione, in tal modo eliminando la perfezione dalle scelte possibili a vantaggio della precisione filologica e del metodo. Se la sua giacca è reprensibile, è perché possa essere di tutti. Partendo da questa considerazione, concentrerò la mia risposta in un'affermazione sulla quale La invito a meditare: il Principe è sempre se stesso, ma non per se stesso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 06-11-2006 Cod. di rif: 2664 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Non è tutto oro ciò che luccica Commenti: Egregi Cavalieri, esorto nel procedere alla ricerca del gusto senza pregiudizi od ideologie, ma attraverso la forza dei fatti. L'Inghilterra è un po' la patria dei nostri valori, di tutto ciò che è profondamente maschile, ma oggigiorno occorre distinugere e conoscere, magari toccare con mano. Tutti vorremmo visitare Lock Hatters come era all'inizio del secolo scorso, ma oggigiorno, come ha documentato egregiamente l'amico Cavaliere Carnà, rimane un rivenditore di cappelli, mentre, per esempio, il nostro Melegari i cappelli li fà veramente e con le sue manine. Tutti quelli che hanno un minimo di dimestichezza con la calzoleria inglese sanno che il su misura dei vari Green, Cleverly, Maxwell e il Lobb di Londra al massimo in casa tagliano la pelle, mentre tutto il resto viene fatto, certo a mano, nella stessa grande factory del Northampton a mò di catena di montaggio. Certo diverso dai nostri Peron, Bestetti, Berluti, e anche dallo stesso Lobb di Parigi che pur facendo parte del massimo gruppo del lusso produce tutto il su misura nello stesso laboratorio di Parigi. Nel taccuino 2773 ho inserito un disegno preso da Apparel Arts, datato intorno al 1930. Se non sapessimo questo e se non leggessimo la didascalia "London Drape" cosa vedremmo? Senza dubbio una giacca Napoletana. Grinze alla spalla, spalla naturale, drappeggio anteriore (e posteriore), ampio bavero, punto vita segnato. Il punto massimo della sartoria Inglese. Dove sta il vero erede di questa tradizione? Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 08-11-2006 Cod. di rif: 2669 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Artigiani Italiani e Inglesi Commenti: Incrollabile Cavalier Villa, il suo ultimo gesso mi da' modo di evidenziare l'incredibile ricchezza della terra in cui viviamo, e di cui mi sto mano a mano rendendo conto. Si, ci sono sarti che lavorano a pochi isolati da dove viviamo. Si, ci sono calzolai che, magari nascosti, a noi sconosciuti, cuciono a mano a pochi kilometri dalla nostra dimora. In ogni regione, in ogni citta'. Questi sono fatti, assodati, che vengono alla luce grazie al nostro lavoro di ricerca, il quale, se avra' successo, evitera' come spero la morte di questi magnifici mestieri. C'é qualcosa di simile in Inghilterra? Nell'Inghilterra che conosco io: si, sicuramente, per alcuni settori ne sono certo per esperienza personale; tessuti, caps, sartoria. Anche se quest'ultima in maniera molto minore che in Italia, e sempre piu supportata da manodopera Indiana, e anche se sono convinto che il vero "English Drape", come facevo cenno, sia quello Napoletano. Anche per la calzoleria mi dicono c'e' qualcosa oltre ai big names, ma sempre in maniera molto minore che in Italia e data da molti per morente nel giro di 10 anni (parlo del bespoke). Per ora pero' dobbiamo attenerci a parlare di quello che conosciamo, e quindi devo confrontare gli artigiani calzolai italiani piu conosciuti; grazie all'amico Jon, toccando con mano il prodotto, comparando scarpa fianco all'altra, dopo interminabili discussioni ritengo che siano entrambi ottimi prodotti; in alcuni casi molto simili in quanto il prodotto italiano ha completamente assorbito lo stile e il disegno inglesi, in alcuni casi incomparabili perche' una norvegese italiana fatta con tutti i crismi non ha trovato confronti. Ma questo Jon l'ha spiegato bene nel gesso sotto. Le racconto un aneddoto: il lastmaker (colui che crea la forma, quindi sovraintende alla costruzione della scarpa, diciamo l'artigiano capo) di Cleverley passo' qualche tempo fa ad Edward Green, ricostruendo il settore su misura della casa che era chiuso da anni; ora questa persona lascia Green (che dovra' forse chiudere il settore su misura se non trova un nuovo lastmaker) per fondare una propria piccola azienda. Questa persona di cognome fa Graziano. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-11-2006 Cod. di rif: 2671 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un appello ancora inascoltato Commenti: Arditi Cavalieri, assidui Visitatori, le intense riflessioni di questi giorni hanno fatto ombra alla richiesta di aiuto di cui al Gesso n. 2662. Spero che il castello sappia ncora una volta fornire qualche indirizzo al signor Paolo Bianchi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 10-11-2006 Cod. di rif: 2672 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Richiesta Signor Bianchi Commenti: Venerabile Gran Maestro, mi scuso, come milanese, per non aver risposto al Signor Bianchi. Utilizzando però la funzione di ricerca della present e Lavagna, lo stesso troverà molte risposte alla sua domanda. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 11-11-2006 Cod. di rif: 2673 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: camiciaio a Milano Commenti: Egregio Signor Bianchi in merito alla sua ricerca le consiglierei senza esitazioni il laboratorio di Siniscalchi a Milano ( Via Carlo Porta 1 , tel.02-29003365 ). Cordiali saluti Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-11-2006 Cod. di rif: 2681 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nuova area in arrivo - Al prof. Pugliatti Commenti: Egregio professor Pugliatti, è in lavorazione una nuova area di questa Porta, dedicata all'abbigliamento maschle nel cinema e in televisione. Interessatissimo, come certo saranno molti altri, alla Sua collana di interventi su John Steed, La prego di attendere che il sistema sia messo in rete. I Taccuini resteranno attivi per tutti gli altri commenti ad immagini e quindi potranno ospitare, speriamo quanto prima, la carrellata sul Modernismo eduardiano. Grazie e cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-11-2006 Cod. di rif: 2682 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Raffinatezze invisibili - Risp. gesso n. 2678 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, secondo la tradizione, il sottocollo delle giacche in lino non è nel classico feltro, ma nello stesso tessuto. Ciò allo scopo di poter lavare la giacca in acqua e non a secco. Il lino, infatti, amerebbe i lavaggi ad acqua. Oggi non esistono più vere lavanderie, pratiche delle diverse tecniche, capaci di seguire capo per capo e infine di aggiudicare a ciascuno il miglior trattamento. Quelli che si vedono sono solo sportelli, centri di raccolta che smistano i capi a stabilimenti più grandi. Pertanto, anche il lino viene lavato a secco. Tranne, ovviamente, da quelli che, costruendo la giacca senza interni, hanno il fegato di metterla in lavatrice. I lavaggi che il Principe impone allo scopo di ottenere quell'effetto delavé sono certamente eseguiti ad acqua. E probabilmente con una banale lavatrice, che nel caso si manifesta come il più dispositivo più raffinato. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-11-2006 Cod. di rif: 2686 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'importanza del ferro - A Villa e Nocera Commenti: Egregio Cavaliere Villa e Signor Nocera, il problema principale della lavanderia e ancor più della lavatrice è che comunque, dopo un trattamento del genere, la giacca deve tornare in sartoria per la stiratura. Solo il sarto, infatti, possiede il giusto ferro e la tecnica per restituire alla giacca i suoi volumi. Non è comunemente compreso che la stiratura "artigianale" ha molte e importanti funzioni: 1 - Corregge qualche piccolo difetto. 2 - Distribuisce correttamente le lentezze lasciate durante la costruzione. 3 - Conferisce espressione e volume ai quarti anteriori, ridisegnando e facendo risaltare i baveri. 4 - Gonfia o appiattisce laddove serve e solo il sarto ha questa sensibilità. 5 - Infine, una stiratura con il gran ferro senza vapore, aiutato dall'umidità diretta e da una prolungata pressione, rappresenta una vera e propria fase di finissaggio del tessuto, entrando fin dentro di esso e rivelandone tutte le possibilità. E' per questo che chiunque ami i propri capispalla è così restio a portarli in lavanderia. Anche se il lavoro di pulizia è perfetto, la giacca ne ritorna priva della personalità che aveva al momento di entrarci. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-11-2006 Cod. di rif: 2692 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quando togliere i bottoni - Al Cav. Villa Commenti: Egregio cavaliere Villa, i solventi del lavaggio incidono negativamente sui bottoni che devono il loro colore ad una tintura. Ciò avviene sia nel caso del corozo che della madreperla. I corozi costano pochino e se ne trovano in quantità, quindi possono essere sostituiti facilmente. Con la madreperla, invece, il danno cromatico e quello ancor più probabile di fratture può essere più grave. Poiché è ben difficile ritrovare lo stesso bottone, anche se se ne spezza uno solo occorre sotituire tutta la bottoniera e sostenere così un discreto costo a fronte di un risultato non sempre soddisfacente. Ai bottoni, infatti, ci si affeziona. Quello nuovo, anche se validissimo, agli occhi del padrone apparirà facilmente meno bello del predecessore. Le conseguenze di questo ragionamento sono evidenti: staccare i bottoni in madreperla e solo in caso di una sfumatura o forma particolare anche quelli in corozo. Per i corni, il cui colore è totalmente naturale e la cui resistenza è certamente aprova di lavatrice e di ferro, vale solo la paura di smarrirne qualcuno. Visto il costo rilevante e la difficile reperibilità di sostituti, togliere almeno quelli che appaiono tentennanti. Poiché la giacca dovrà tornare dal sarto per la stiratura, il "tagliando" comprenderà anche l'applicazione dei bottoni. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 20-11-2006 Cod. di rif: 2703 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: AL Signor Caprari Commenti: Egregio Signor Caprari, forse Lei non avra' notato il gelo che circonda alcuni suoi gessi. Una lezione sul tweed in 10 righe e' un po' buffa in questo castello, ma forse Lei sara' perdonato in quanto non conosce ancora le funzionalita' di ricerca di questo sito. Nel qual caso potra' scoprire che non ci sara' bisogno di andare fino a Dublino, ma forse una puntatina a Bologna sara' d' obbligo, non dico per comprare ma per conoscere piu a fondo la storia di questo fantastico tessuto, per ascoltare aneddoti e leggende magari proprio relative a questi misteriosi district check, dietro ai quali si celano nomi, clan e famiglie. Una discreta porzione di cio' e' comunque accessibile da questa lavagna, grazie al nostro Rettore. A proposito, per gamekeeper tweed, sul quale insiste molto, si intende generalmente il disegno, il quale ho visto realizzare sia in Harris che in Cheviot. E dimentica una tipologia molto importante, anche se purtroppo quasi scomparsa: lo Shetland tweed. Leggo con molto interesse dei Suoi gusti e, sebbene sia felice che non tutti apprezziamo le stesse cose, e che il mondo sia vario, mi lascia alquanto perplesso lo spacco centrale, per non tacere del colletto di velluto. Del primo Lei dice che sia al suo posto sia a cavallo che in citta. Mi permetta di dubitarne, poiche una giacca che sia stata a cavallo non la porterei mai in citta, per ovvie questioni, a meno che a Genova si circoli ancora a cavallo. In quanto al ticket pocket, lo considero un vezzo superfluo - ma acettabile in un tweed - al quale ho talvolta ceduto io stesso; mai, pero', in un business suit. Per quanto riguarda fagiani e salmoni, preferisco averli nel piatto piuttosto che sulla cravatta. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-11-2006 Cod. di rif: 2709 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Trame segrete - Roma 1 Dicembre 2006 Commenti: Incontenibili Cavalieri, siamo pronti a celebrare a Roma il Laboratorio di Ricerca sui tessuti. A questo proposito, consiglio a quanti parteciperanno di portare con se un contafili. Anche cinque ingrandimenti sono sufficienti a penetrare l'altra dimensione, dove si ferma la valutazione complessiva delle disegnature, della mano, del finissaggio, per andare ad indagare gli specifici criteri costruttivi. Con un po' di potenza in più, si scende sino a livello del singolo filato, scoprendo altre caratteristiche. Si tratta quindi di uno strumento alquanto utile, del quale l'appassionato di tessuti non può fare a meno. Ancor di più lo diverrà dopo che il piccolo, ma intenso convegno, avrà mostrato cosa si nasconde lì dove questi apparecchi ci portano. Ricordo che l'appuntamento è aperto a tutti gli interessati, purché siano in giacca e cravatta. Gli uomini, ovviamente, ma purtroppo non è probabile che vi siano donne. Guardando, nei loro negozi, i tessuti coi quali si sono ridotte a vestire, non c'è speranza alcuna che tra esse vi sia competenza o passione per la materia prima. Ricordo gli estremi dell'appuntamento: TRAME SEGRETE Il Linguaggio dei Tessuti Venerdì 1° dicembre 2006 - ore 18.00 - 20.00 Presso l'antica casa SART Srl P.zzo Borghese, L.go Fontanella Borghese, 19 – Roma PROGRAMMA I Laboratori di Eleganza si sono già altre volte interessati ai tessuti. Partendo da questi risultati e basandomi su ricerche personali e consultazione di molti esperti, come studioso del costume e dei suoi materiali tenterò con un metodo personale un'analisi tecnica e stilistica dei tessuti maschili. Il percorso, che vuole innescare un’accelerazione improvvisa nella comprensione delle qualità di una stoffa, è anche materialmente condensato in un pamphlet con testi e immagini interamente originali, edito dalle Officine della Biblioteca Cavalleresca. Sarà quindi l’occasione per rappresentare al corpo sociale, per la prima volta, l’opera di questa istituzione cavalleresca, che ha lavorato parecchio ancor prima di nascere ufficialmente. Alla conferenza parteciperanno il Rettore Dante De Paz, chiarissimo conoscitore e autorità conclamata nel campo dei tessuti, nonché Sergio De Angelis, proprietario della storica drapperia SART che ospita l’evento. L'acqua è meglio portarla da casa, lo champagne non mancherà. L'evento è interamente a cura e spese dell'Ordine. Per intervenire, basta avvertire la Cancelleria: cavalleresco.ordine@noveporte.it Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 23-11-2006 Cod. di rif: 2716 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Scarpe nere Commenti: Egregio Signor Caprari, forse i propri gusti sarebbe meglio esprimerli evitando di asserire che gli abiti indossati da qualche gentiluomo siano "informi". Comunque per me l'incidente e' chiuso, anzi non si e' mai aperto, in quanto la vis polemica - all 'interno di un educato colloquio - per quanto vivace e' il sale di ogni discussione. Per quanto riguarda le scarpe nere "dopo le 18", ho sempre considerato questo tipo di precetti ridicoli. Pensi che di la dall'oceano vi e' chi e' convinto che un abito di lino non si indossi mai "prima della festa del lavoro", oppure una regola diffusa sarebbe "no brown in town". Come gia' molte volte sottolineato dal nostro Gran Maestro, l 'eleganza maschile non e' fatta da regole e precetti scritti, ma da un sistema di sensibilita' molto piu sottili e complesse. Lasciamo i vari "decaloghi" dell'eleganza alle varie riviste di massa. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-11-2006 Cod. di rif: 2728 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Metodi e strumenti del Castello - Al signor A. Caprari Commenti: Egregio signor Caprari, ancorché osservanti delle norme del sito, i Suoi interventi non ne rispettano sempre lo spirito. Non sono intervenuto sinora perché ho visto con quale convinzione Lei somministrasse consigli, misurasse centimetri e dettasse regole. Vi è stata una netta presa di posizione ed a quel punto è ovvio che discutere con un professore non è proficuo per un maestro, come tale servitore e non amministratore della conoscenza. Le ho scritto privatamente, ma senza risposta. Ho chiamato al numero che ha dichiarato al registro ed il risultato è stato lo stesso: segreteria telefonica, messaggio, ma nessun feed back. E’ mio dovere infrangere il silenzio, anche qui dove avrei voluto mantenerlo per evitare antiestetici dibattiti, per farLe presente che in tal modo Lei non contribuisce affatto alla crescita comune ed anzi la contrasta. Ergersi a detentore dell’unica verità, spartire le acque perché si richiudano quando siamo passati, genera tensioni. Una cosa, infatti, è difendere un’idea o propagare un ideale; altro è scendere dal Sinai con le tavole della Legge e dichiarare che gli altri sono adoratori di idoli. Prima che Lei, anche in buona fede, debiti di aver fatto tanto, La rimando a titolo di esempio al Suo stesso gesso n. 2696, ricco di Comandamenti. Molti altri, poi, si limitano ad esternazioni sui Suoi gusti. Orbene, la Lavagne sono un laboratorio e i Taccuini il loro archivio. Qui si interviene per sollecitare una discussione o un parere su questioni dubbie, ovvero chiedere un consiglio o una notizia, esprimere un parere, partecipare agli altri una conquista o suggerire una pista da battere. Ciascuno, prima di prendere la parola, riflette a lungo. E' per questo che il sito gira 400.000 pagine al mese, eppure vi sono così pochi interventi. I Taccuini, in quanto archivi, sono deputati ad accogliere le conquiste concettuali nella loro forma pratica, cioè come immagini commentate. Ciò che vi appare dovrebbe possedere dei connotati esemplari, che a loro volta trovino dimostrazione con un rimando a testi della Lavagna, o con una didascalia direttamente a fianco. Tale natura paradigmatica richiede una certa ponderazione dei soggetti e delle definizioni. Ed eccoci al punto. Trovo che Lei utilizzi in modo improprio questi strumenti, in tal modo danneggiandoli. Molto prolifico, nel Taccuino di questa Porta ha inserito delle inesattezze grottesche in merito a fantomatici "district tartan", il che mostra come Lei si basi per ora su fonti di scarsa attendibilità, senza confrontarle. Questa approssimazione non è affatto da ricercatore. Oggi vedo che ha mostrato (Appunto n. 2835) una banale derby da campagna, peraltro di costruzione assai promiscua, come un esemplare eletto di brogue. Se parliamo solo di brogue, senza specificare, non può che parlarsi di full brogue, sulla cui tomaia la coda di rondine che parte dalla punta si sovrappone ad un'altra che circonda la zona dell’allacciatura e torna verso il tacco, terminando poco più avanti di esso. Quella che vediamo nell’Appunto citato è quindi da considerarsi, secondo la classificazione tradizionalmente accettata, come una semi brogue, ma quel che più conta è che l’imbottitura da snicker all’imbocco del piede e la grossa suola a carrarmato non ne fanno certo un esempio classico da additare all’umanità. Resta un prodotto che può piacere ed a Lei certamente piace, ma questo non è il parco dove chiunque sistemi una cassetta e dichiari agli altri come la pensa o cosa lo attizzi. Questa è un’accademia, dove si presentano lavori anche piccoli, ma compiuti e verificati. Ovvero si chiede, ci si esprime, ma per guardare avanti tutti insieme si deve rinunciare a particolarismi e spontaneismi. Ciò che si propone alla riflessione comune deve essere in qualche modo un’icona, possedere un carattere simbolico o riassuntivo. Non dico che tutto ciò che Lei ha prodotto ne manchi, ma voglio appuntare la Sua attenzione sul fatto che alla costruzione del castello occorrono pietre e non sabbia. Se si mostra qualcosa solo perché piace, si aggiunga un commento sufficiente a giustificare questa intrusione personale attraverso la personale emozione, che è comunque al fondo di tutto. Illustrando qualsiasi cosa e in qualsiasi modo, non avremmo che graffiti su un muro che altri hanno pazientemente costruito. La prego di valutare la mia conclusione nel suo valore e nel suo scopo, che è quello di difendere dalla diluizione un lavoro immenso, indirizzato in profondità ed altezza, non in estensione . Molti tornano al castello almeno una volta al giorno. Ciò che si aspettano di trovare nelle aree che si interessano di abbigliamento maschile sono poche, ma ponderose novità. Una piccola scoperta, una bellissima immagine, una domanda che trovi risposta, un racconto interessante, una questione nuova, un bravo artigiano. Meglio niente, piuttosto che uno spot tirato per i capelli. Le polemiche ed i decaloghi, poi, occupano così tanti siti che per trovarle non ci sarebbe bisogno di venire qui, dove le volute complicazioni di navigazione rallentano i movimenti e la grafica non è per nulla accattivante. Mi scusi, anzi mi scusino tutti i visitatori, qualora dovessi essere apparso didascalico o saccente. Il mio ruolo mi impone anche di queste figure. La prego, in ogni caso, di riflettere attentamente su quanto ho detto prima di riprendere la parola. Si documenti meglio, studi, confronti, domandi, ovvero attenda. Apprezzo il Suo entusiasmo e sono certo che esso possa indirizzarsi verso una forma più compiuta, quale è la fede. Quando è matura e si coniuga al sapere, essa si fa madre, tra le altre cose, della pazienza. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-11-2006 Cod. di rif: 2733 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un serpentello benigno - Al signor Caprari Commenti: Egregio signor Caprari, le scuse sono indebolite dai "se" che le precedono e radicalmente annullate dai "ma" che le seguono. Potrà verificarlo con Sua moglie. Per motivi la cui esposizione ci porterebbe fuori tema, a noi mariti tocca sempre scusarci, prima o poi. Lo faccia così come ha fatto qui e vedrà, che bei risultati! La combinazione del "se" e del "ma", nemmeno camuffati da costruzioni mimetiche, è un cocktail che trasforma un finto pentimento in un'autentica presa in giro. Potrei far finta di non capirla, ma la conversazione ne soffrirebbe. Poiché le scuse non erano richieste e sono quindi un dono, lo accetto così com'è. So che il cesto contiene un serpentello, ma è benigno. E, in ogni caso, meno velonoso di quanto può esserlo un Gran Maestro. Quel che si doveva dire s'è detto e sono certo che lo ha compreso. Giudizi, norme cogenti, polemiche, consigli, insegnamenti, non fanno parte degli scopi di quello che è soprattutto un laboratorio attrezzato per la ricerca. Vedendo in questo sistema dei difetti, vorrebbe cambiarlo. E' una forma di attacco cui i difensori della fortezza non possono che resistere. Lo esige un progetto complessivo in nome del quale non chiediamo altro che il rispetto di semplici procedure e chiari principi. Questo non porta a nessuna considerazione personale. Lei resta un ospite gradito, proprio per quell'entusiasmo così evidente. E lo saranno sempre più anche i Suoi interventi. Ottima, anche perché poco nota, la foto di Rex Harrison, che mi associo nel considerare una figura esemplare. In guardaroba ho ben tre camicie di quel bianco sporco che usava, o così sembra, in My Fair Lady. Lo chiamo "bianco Higgins". A questo film ed a Gigi, i due capolavori di "costumologia" firmati da Cecil Beaton, dedicherò in futuro uno spazio adeguato nell'area del Cinema. Potrei quasi dire che l'ho fatta costruire apposta per quello! Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-11-2006 Cod. di rif: 2738 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un suggerimento ed un'impresa Commenti: Egregio signor Caprari, nella letteratura scozzese si parla di district checks, piuttosto che di district tartans, anche se vi sono esempi difformi. Nella zona di origine, ad esempio, come si leggerà nelle fonti che siamo in procinto di pubblicare, il Glenurquhart è stato anche chiamato Glenurquhart tartan. Agli scopi di ricerca occorre però, a mio avviso, evitare ogni contaminazione che generi equivoci e quindi suggerirei di usare sempre la dizione district check. La locuzione district tartan è infatti contraddittoria. Un tartan è un tessuto legato ad una famiglia ed il suo uso è quindi determinato da un'appartenenza di sangue. Nella stessa parola "district" è invece contenuto un riferimento ad un luogo, piuttosto che ad una dinastia. I district check sono quindi il patrimonio di un'area geografica, circoscritta politicamente (contee e quindi county tweeds)) o privatisticamente (proprietà immobiliari e quindi Scottish estate tweeds). E' indubbio che il Suo intervento, proprio perché evidenzia la necessità di fare chiarezza in una materia assai complessa, accelererà l'apertura di un'area dedicata ai tessuti, che già da tempo era allo studio. ho già raccolto un immenso materiale fotografico e scansionato alcuni testi, che però occorre tradurre per renderli disponibili ai lettori italiani. La prima parte sarà dedicata proprio ai District Check, la cui importanza è fondamentale nella storia dell'abbigliamento. E’ proprio in questo sforzo di differenziazione che si inventarono nuove disegnature sino allora impensate, che si generò una nuova estetica ed una nuova visione delle possibilità del telaio, il tutto poi divenuto patrimonio mondiale e base di molte successive fantasie. Gli studi del Rettore ed i miei sono andati piuttosto avanti, anche grazie alla disponibilità di testi rarissimi. Non sarà possibile dire una parola definitiva su tutto, ma credo che già il punto cui potremo arrivare sia di gran lunga il più avanzato e documentato sulla materia. Se ne parlerà anche nel prossimo Laboratorio d’Eleganza dal titolo Trame Segrete, che si celebrerà a Roma tra pochi giorni (v. area Eventi). A questo punto, apro il forziere della Biblioteca Cavalleresca ed estraggo un volume di cui esistono poche copie e di certo la nostra è l'unica esistente in Italia. Si tratta di un volume pubblicato nel 1956 da THE NATIONAL ASSOCIATION OF SCOTTISH WOOLLEN MANUFACTURERS, che all'epoca contava oltre novanta produttori soci. Vi si raccolgono articoli pubblicati dalla loro gazzetta e datati dal 1931 al 1956. Questo che riporto è appunto uno dei due articoli che all’epoca vennero dedicati ai district checks. La data e l’origine squisitamente e profondamente professionale dei testi li rende particolarmente attendibili. Si tratta di materiale che Voi Visitatori di questa Lavagna, a parte qualche addetto ai lavori, vedete prima di chiunque altro. Prego qualche volenteroso in grado di effettuarne una buona traduzione a farsi avanti. I generosi dei che ispirarono l'immaginazione scozzese vi riserveranno per questo un posticino in un paradiso dove la lana cheviot vale più della vigogna. Giancarlo Maresca Nota: Al volontario che si dichiari pronto all'impresa, posso spedire privatamente sia il file in PDF che il testo in Word. Questa che segue è la prima parte. La stessa rivista pubblicò nel Dicembre successivo un altro importante articolo. So che a Lei, signor Caprari, tutta questa archeologia sugli anni 30 apparirà demodé, ma riguardo agli antenati le idee cavalleresche sono alquanto difformi. Nel caso, di cui non dubito, di una risposta positiva a questa sollecitazione, pubblicherò la seconda parte, ovvero la spedirò direttamente all'indirizzo dell'eroico poliglotta. _________________ No.6. JULY 1933 OUR SCOTTISH DISTRICT CHECKS PART I. It is always a matter of interest to watch the different phases of Fashion, and the different subjects which interest those concerned in Fashions. No one can usually say why or how some particular phase of Fashions came into being or faded - "I came like water and like wind I go." A few generations ago Fashions in clothes at any rate moved slowly. Even within our memory, what Paris or London decreed to-day took six months or more to journey across the Atlantic, and another six months to reach the shores of the Pacific Now there is but one season throughout the civilised world of dress, and what Paris designs to-day is already beginning to fade on the Californian beaches before the month is out. In the olden days no one outside the small world of Fashion paid any attention to such changes, and costume developed on National and not on Fashionable lines. This new arrangement produces a terrible wear and tear of ideas, and our designers constantly have to retreat into the past for novelty. As for the writer of romance, so for the designer of Fashions, Scotland is a favourite refuge. After long wandering amongst plain colours and jazzy disorder, the Fashion Makers have fallen back upon the somewhat barbaric orderliness of our Scottish District Checks. All the trade papers have been vying with one another in the invention of improbable legends about them, in which they have been aided and abetted by our own manufacturers; the plain truth being, that remarkably little is known about the original of these patterns because of their hidden and inconspicuous beginnings in the private annals of private families. Before we go on with our subject, just a word on our last number. The verse which headed our preliminary essay on Tartans has aroused great interest, and we are asked where it may be found. The verse is from Neil Munro's "The Kilt's My delight," and is to be found in "The Poetry of Neil Munro," published in Edinburgh by the old Scottish House of Blackwood-a name familiar to all lovers of Sir Walter Scott. There are some good things both in Scots and in English in this slim volume of verses, which have been chosen and edited by John Buchan. The District Checks belong to an interesting period in the history of Scotland, and to get their story right we must examine the circumstances out of which arose the development of Modem Scotland. Scotland is not a rich country for the farmer. The parts that come under the plough, by their very poverty have produced some of the finest agriculturists and stock breeders in the world. Before the Industrial Revolution, even Southern Scotland with difficulty supported a not very numerous people in circumstances we would now consider on the poverty line. The wolf was never far from the door, and in a bad year many houses could not keep the door barred against mm. In the North and West-the Highlands-things were even worse, for it had passed the wit of man to make an honest living in that "land of brown heath and shaggy wood " for more than the merest sprinkling of a population. Scotland has always been an exporter of her sons-a necessity that has developed into a national characteristic of roving, so that there is no part of the world where the Scot is not to be found. In the Middle Ages, when nations waged wars on the very sensible principle of hiring men to fight for them, soldiering was the commonest employment of the Highlander. For long the Scots supplied the Royal Bodyguard of France. In the niches of the great stairway of the Chateau of Blois they still show you the names of the Guards-all Scottish names-scratched on the soft stone. The Southern Scots went out as traders and scholars; the Highlanders as soldiers of fortune. Then came the Union. First the Union of the Crowns, when our King James VI fell heir to the throne of England under the title of James I. Later the Union of the Parliaments - a marriage de convenance which for long seemed likely to end in the divorce court. It is curious that the very man who presided at the marriage was chosen to arrange the divorce, but by one of these unforeseen sudden developments in politics, that have so often changed the development of nations, the proceedings for the dissolution of the Union were stopped-things settled down, and Scotland rose to a height of prosperity far beyond anything dreamed of by her most optimistic rulers. Such great changes in the life of a nation can never happen without loss to some one. "Nothing for nothing " may be cruel, but it is inevitable. Some one must pay. This time the payment had to be met by the Highlands. Their old trades were gone. Gradually an unsympathetic Government enforced law and order at home, built roads, and opened up these wild and inaccessible mountain regions. The old chieftains degenerated into landlords and became pale imitations of the great English landed families, imitating a social order built on very different foundations from those of the Scottish Clan System. Even when the great Dr Johnson visited the Hebrides in 1773, he regretted to find that so many of the great families no longer lived in their ancient territories, but had gone to spend in London or Edinburgh the scanty incomes of their barren lands, incomes which, being largely in kind, were ample for the simple and barbaric lavishness of their accustomed hospitality, but were strained past breaking point to maintain their ancestral state in the wealthy society of the Capitals. The Union with England closed the armies of France-our old ally-against the Scot. The Old Scots Guard was replaced by the Swiss, so it was they and not we who "plunged forth among the pikes " that September day in 1793 when, in the streets of Paris, "there forma itself a piled heap of corpses, and the kennels begin to run red," and the poor remnants of the Red Guard that had survived the capture of the Tuileries were hewn in pieces one by one. "Let the traveller, as he passes through Lucerne, turn aside to look a little at their monumental Lion: not for Thorwaldsen's sake alone." Forgive me this digression. By the beginning of the nineteenth century the Highlands were reduced to desperate straits. Sir Walter Scott in his "Journal " gives some terrible pictures of the departure of shiploads of emigrants to the New World-a movement that a few years later culminated in the Highland Clearances. A movement, however grievous to the Highlands of Scotland, that furnished the English-speaking world with some of its finest pioneers and settlers. And so we come to the end of the first half of the nineteenth century. Scotland had changed extraordinarily in its social structure, though extraordinarily little in the character of its people. "Nature is often hidden, sometimes overcome, seldom extinguished" is as true of nations as of men. Sheep farming had replaced the primitive work of the Highlanders who had been deported from their old homes -some to the coast, some across the seas. Many parts of the country were almost totally depopulated by a movement as misguided as it was well intentioned. The next phase was the displacement of the sheep and the sheep farmers for deer, and the formation of the great deer forests and sporting estates. So great became the distress in these almost empty glens that many attempts were made by Parliament to help-not very successfully. The area was placed under the general supervision of the Congested Districts Board-a name surely applied with cynical humour to a district that never carried much population, hut was now an almost uninhabited waste. In this setting arose the great Highland sporting estates. The development owed much to Queen Victoria, who not only greatly admired the scenery, hut, by her purchase of Balmoral, set the fashion for the Highlands. This connection of owner and tenant soon ripened into a great mutual love and sympathy between Her Majesty and the people of her estates, who transferred to the Little Lady the loyalty and affection that used to he commanded by their chiefs. In the Highlands money had always heen scarce. Most payments were in kind and most privileges were repaid in service, so it was natural enough that the great estates should clothe their retainers. In the new developments of the country many of the new owners have no right to any tartan, and moreover tartans are not very suitable for modem dress. The great scientific developments of the times interested such ardent minds as the Prince Consort in problems of protective colourings for his ghillies, keepers, foresters, and so forth at Balmoral-and some tincture of the old clan spirit left it the fashion for owners and staff to he clothed alike in the costume of their forest. So came into being our District Checks. In a later paper we intend to trace this question of protective colouring in the development of mixtures, and give a page to the evolution of the Lovat Mixture, and the Elcho Mixture of the London Scottish Regiment. This idea, which originated in the minds of the sportsman Lord Lovat, and the soldier Lord Elcho, has spread to the clothing of the armies of the world-the British Khaki, the German Field Grey, the Horizon Blue of the French are all alike the outcome of this social change in an obscure and unknown comer of the little Kingdom of Scotland, whose population even to-day is hardly greater than that of New York City. In the Cheviots - the Borders - it had long been the habit of the shepherds to wear as their outer garment a long plaid or shawl, usually about four yards long and about a yard and a half wide-from which arises the common trade expression "six quarter wide." These plaids were almost always checked black and white – no special number of threads of each, hut usually about a quarter of an inch. This pattern travelled North with the sheep and the shepherds, and became well known throughout the Highlands. Perhaps I should explain that the word" Glen " is the Gaelic for a valley. Strath is likewise a valley, hut larger and more fertile. Naturally, in such a mountainous country as the Scottish Highlands, the population existed only in the valleys, so it is by the valley names that the Highland Districts were, and are, known. As the idea of these special tweeds spread, they were naturally enough mostly made by our own mills in Elgin, as they were the oldest of the Northern mills that developed more than a purely local trade. The first collection of the patterns was made by Fraser & Smith of Inverness - a firm that ceased to exist about forty years ago, when this part of their trade was carried on by the Edinburgh firm of the present editor's father, who introduced the definite name of District Checks, and took up their general distribution seriously. The District Checks follow a few main lines of development, as illustrated in our supplement, but their detailed consideration must be left to a further number of "Scottish Woollens." The Shepherd Check of the South is the foundation. The District Checks owe little or nothing to the Tartans of the Glens where they were first used. The Glenurquhart is one great development of the Shepherd-a stroke of genius that gave a new type to the woollen trade of the world-besides the type we give the Mar, which was adopted by King Edward when he was Prince of Wales for his Forest of Mar, just above the Royal Forest of Balmoral in the valley of the Dee. As a simple development of the Shepherd we give the Glenfeshie. Then there is the great group of the Gunclubs, which linked our District Checks with the New World when the Coigach was adopted in 1874 as their uniform by the Gun Club of New York or Baltimore. I should be deeply indebted to anyone who could give me authentic information on this point. Then there is a series of patterns which broke quite new ground, but which, from their natural limits, produced no further developments. These are illustrated by Prince Albert's Balmoral and the Erchless. There is also a group of regimental checks represented by the Scots Guards which we illustrate. There are, of course, many others of varying degrees of interest and authenticity, and we shall return to these details in a further paper, when we shall sketch more definitely the stories of some of the principal patterns. NOTE.-We would remind our readers that they are entirely at liberty to use "Scottish Woollens" as they like for reproduction or for quotation. Our intention in issuing the series is to help all who sell our clothes in every way possible by supplying reliable and useful information. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-11-2006 Cod. di rif: 2739 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Traduzione avviata - A tutti i Visitatori Commenti: Assidui e preziosi Visitatori, dell'impresa di cui al gesso precedente si è già incaricato il prode Cavaliere Venanzio D'Agostino. Ciò ci consentirà di andare avanti speditamente verso la costruzione della prima sezione dell'area dedicata ai Tessuti. Cavallerescamente ringrazio e libero altri, altrettanto disponibili, dall'eventuale impegno. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-11-2006 Cod. di rif: 2746 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Combinazioni di tartan - Al sig. A. Caprari Commenti: Egregio signor Caprari, rispondo sinteticamente alle Sue ultime: 1 - Sia la prima che la seconda parte del citato testo scozzese del 1933 sui District Check verranno pubblicate in un'apposita sezione che nascerà entro Dicembre. Col tempo, tutto questo prezioso libro verrà aperto e reso disponibile alla generalità degli appassionati. Nel frattempo, il PDF della seconda parte è già stato inoltrato al Cavaliere che si è assunto l'onere della traduzione. Non ho nessuna difficoltà a parteciparlo anche a Lei. Compatibilmente con le capacità della Sua casella di posta, lo spedirò appena firmato questo gesso. 2 - Quanto alle questioni sul tartan, dobbiamo sforzarci di modellare la nostra immaginazione su quella scozzese, piuttosto che trarre conseguenze alla nostra maniera. Se parliamo di tartan, il principio è sempre è solo quello da lei così ben sintetizzato con l'equivalenza: 1 Clan = 1 Tartan. Il fenomeno di un membro o di un capoclan con più disegnature indosso può avere fini politici, diplomatici e soprattutto origini dinastiche (matrimoni tra clan diversi). Piuttosto che concluderne che la combinazione sia determinata dal fatto che per lui un quadretto vale l'altro, dovremmo sforzarci di capire che tipo di valori attribuisce all'uno, all'altro e magari al modo in cui li ha disposti. Dobbiamo infatti presupporre che sciarpe e klt abbiano una sorta di gerarchia, per cui indossarne una combinazione diversa può avere significati diversi. Non sapremo mai tutto di questo mondo, peraltro decaduto come struttura sociale proprio ai tempi in cui nascevano i district check. Ma ancor meno ne sapremo se, vedendo qualcosa di diverso da ciò che ci aspettiamo di vedere, ne traiamo conseguenze tarate sulla nostra mentalità e non su quella delle highlands. 3 - Quanto alle questioni terminologiche su muted e weathered, non sono in grado di risponderLe, ma è possibile che il Rettore, molto documentato sui tartan, possa chiarire questo punto e magari precisare meglio quanto ho già suggerito al punto precedente. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-11-2006 Cod. di rif: 2750 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sahariana bella, sahariana eccezionale - Al sig. Tarulli Commenti: Egregio signor Tarulli, ho visitato il sito da Lei suggerito ed a mia volta mi compiaccio per la qualità ed il disegno dei prodotti propostivi. La sahariana illustrata all'Appunto n. 2854 resta comunque inarrivabile. Noterà la leggera differenza nella quota dei taschini superiori tra la prima illustrata in Lost World (Safari Bush Jacket in drill di cotone) e quella di lord Snowdon. In quest'ultimo caso sono leggermente più in alto, ben sopra la cintura il che slancia il capo. E' la differenza tra una bellezza comune ed una eccezionale. Poiché è tutta in un centimetro, resta insostituibile l'opera di chi può capire l'infinito che c'è in quel centimetro: l'artigiano. Grazie per l'interessante indirizzo. Le giacche da volo sono veramente notevoli. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-11-2006 Cod. di rif: 2755 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risp Gesso n. 2751 - Al sig. Tarulli Commenti: Egregio signor Tarulli, diciamo che esistono due pesi e due corrispondenti tipologie di sahariana. La prima, che è quella massiccia vista indosso a Lord Snowdon nell'Appunto n. 2854, deve vestire comoda per poter ospitare altri strati. Una maglia sotto ed una camicia sopra, ad esempio, o viceversa. La bush jacket, versione militare della safari jacket, può essere anche in lana impermeabilizzata di gran peso per le situazioni climatiche difficili. Le sahariane più leggere vanno un po' più aderenti, in quanto possono essere indossate a pelle o tutt'al più sopra una T shirt. Riguardando il citato appunto sull'insuperabile "modello Snowdon", vedrà che il fessino è molto chiuso. Ciò vuol dire che la manica non potrà essere rivoltata più di una o due volte e quindi non c'è possibilità di farkla risalire sopra il gomito. Si tratta, quindi, di un modello per climi non caldi e comunque adatto a persone che amano restare abillé anche di fronte all'avventura. Da queste considerazioni si comprende che i materiali utilizzabili sono i più diversi. Per la soluzione pesante direi che sono da preferire un canvas o un drill da cotone cardato. Per i capi più leggeri, magari a mezze maniche, la canapa o un sottile drill pettinato. Materiali meno "struttrati" fanno perdere al capo ogni autorità e fascino, come si vede anche nel sito da Lei suggerito, dove compare un capo quasi trasparente e come tale privo di personalità. I bottoni più adatti sono senz'altro in corno. la cintura, alta, è in genere fermata da una fibbia rivestita in cuoio, ma volendo esagerare la vedrei in un sol pezzo di corno, con ardiglione e rivetti in acciaio. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-12-2006 Cod. di rif: 2763 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sul lovat - Risp al gesso n. 2754 del sig. caprari Commenti: Egregio signor Caprari, chiedo scusa al Rettore per anticiparlo su una domanda a lui rivolta, ma mi avvio e, quando vuole, De Paz mi supererà. Dire di un colore: "questo è un lovat", richiede una sensibilità ed esperienza simile a quella del cercatiore di funghi capace di dire: "questo è un porcino". Niente di speciale, in verità, ma si tratta comuqnue di abilità pratiche, in cui l ateoria conta molto poco. Anche il fungo, nella realtà e non sui libri, si manifesta in molti modi. Nella giornata asciutta o in quella umida, con la luna crescente o calante, sotto il faggio o sotto il castagno, lo stesso boletus edulis avrà sapore e valore molto diversi. E' per questo che abbiamo chamato il nostro ultimo laboratorio sui tessuti "TRAME SEGRETE". C'è qualcosa di inafferrabile, nella "ricetta" di alcuni tessuti, che li rende superiori ad altri della stessa razza. Un lovat al suo meglio è un melange in cui verdi e blu lottano per prevalere senza che nessuno ci riesca. Sullo sfondo di qesta lotta titanica, altri colori minori fanno o cercano di fare da ago della bilancia. Qualsiasi scenario cromatico differente da questo può definirsi lovat per affinità, ma non per pertinenza. E' come definire "Vespa" un qualsiasi carenato e con due ruote piccole, solo perché è uno scooter. Linterlocutore capirà sul momneto, ma nella parola resta un dubbio, una facilità eccessiva, nemica della scienza e della tradizione. In attesa che il rettore si esprima sulla questione, io ritengo che il nome di lovat non vada sprecato in approssimazioni del tipo "brown lovat" e simili. Non esiste un solo lovat, ma esiste un arco oltre il quale questo nome è usato solo perché ciò che si intende non ne ha uno proprio. Se lo merita, gli si dia, altrimenti si usi una locuzione diversa. Usare troppo alcuni termini li svilisce e questo furto non può essere gradito agli amanti del vero. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-12-2006 Cod. di rif: 2765 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria romana - Risp Gesso n. 2760 - Al sig. Rosso Commenti: Egregio signor Rosso, pur conoscendo parecchi nomi della sartoria attuale romana, il nome di Camplone mi risulta nuovo. Poiché è certamente colpa mia e non sua, cercherò di porre rimedio. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-12-2006 Cod. di rif: 2766 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbonarsi a MONSIEUR - Risp. al sig. Prisco Commenti: Egregio signor Prisco, pur essendo nostro Fornitore, tra il Cavalleresco Ordine e MONSIEUR non esiste alcun legame che non sia una salda amicizia ed una radicata stima tra molti dei nostri Soci, non pochi dei quali vi scrivono regolarmente, e la direzione. Non sussistono altri vincoli, perchè noi come Associazione restiamo un'istituzione libera da ogni compromesso. Non possiamo quindi esserle di aiuto in modo diretto, ma solo segnalarLe che ogni numero della rivista contiene la cedola per l'abbonamento. La Sua richiesta mi fa però venir voglia di chiedere una tariffa speciale non solo per i Cavalieri, ma anche per i Simpatizzanti abituali frequentatori del Castello. Nel caso la richiesta venga accolta dalla casa editrice, pubblicheremo le modalità di accesso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-12-2006 Cod. di rif: 2769 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Black tie Commenti: Inarrestabili cavalieri, indispensabili Visitatori, ultimamente si è parlato parecchio dello smoking, sia qui nella Lavagna che nel Taccuino. A questo proposito ho riesumato un vecchio articolo che scrissi qualche anno fa. Lo ripropongo nella versione originale, cioè così come fu scritto. Mi scuso se mi sono lasciato andare a qualche ricetta o consiglio, non date loro importanza. BLACK TIE di Giancarlo Maresca Cravatta nera. Un invito che si chiuda con questa frase rappresenta un punto di arrivo per l’anfitrione ed un privilegio per chi lo riceva. Non si tratta di una vessazione, né va interpretato come un ordine brusco ed altero. E’ semmai un’ouverture, una sigla che introduce piuttosto che concludere. In fondo al biglietto, questa piccola nota è la chiave di volta che regge e prefigura lo stile del convegno e delle persone che vi interverranno. L’organizzazione di una cena o di un evento rappresenta sempre un rischio ed è chi ha più esperienza e più coraggio, chi può e sa alzare la posta al massimo, a portare a casa i risultati più importanti. Richiedere ai propri ospiti di indossare lo smoking non significa impartire un comando, ma conferire loro una medaglia. Non tutti dispongono di uno smoking e molti di quelli che lo hanno nell’armadio si ritrovano spesso con un capo di due taglie più piccolo, memoria magari di un brillante, remoto capodanno. Confesso il mio peccato: ne posseggo due, uno invernale di una sartoria romana ed uno estivo confezionato a Sorrento, che per quanto ricordi vantava una spalla insellata che avrebbe potuto cucire un Cifonelli. Non oso nemmeno tirarli fuori dalle fodere, perché mi occorrerebbero sei settimane in una beauty-farm ed un’intercessione di Padre Pio per poterli solo avvicinare. Poiché non ho buoni rapporti con le prime, né ardisco chiedere favori così futili al secondo, posso solo sperare che le tarme non li trovino troppo appetitosi mentre attendo quello che attendiamo in molti: la buona volontà per qualche duratura rinuncia. Sebbene sia tra quelli che non amano ingombrare il guardaroba con abiti che abbiano fatto il loro tempo, non ho mai avuto il coraggio di dismetterli. Non loro, gli unici capi di cui posso ricordare ogni occasione in cui siano stati indossati. Nonostante la loro indiscussa fedeltà, non potrei in nessun modo richiamarli alle armi. Volendo credere di non essere l’unico a trovarsi in queste condizioni, possiamo trarne questo partito: gli inviti “black tie” vanno spediti con particolare anticipo, tale da permettere a chi non abbia o non sia soddisfatto del proprio smoking di farsene confezionare uno per l’occasione. Alla sua prima apparizione non darà il massimo. Anche in queste situazioni, un capo già ben “vissuto” e curato garantirà a chi lo indossa un posto molto in alto nella gerarchia estetica dell’evento Mi giunge l’eco di una recente, memorabile riunione celebratasi a palazzo Antinori. Poche decine gli invitati, scelti con un criterio estremamente selettivo: la creatività. Se essa è una forma o una prova d’arte e quest’ultima è per definizione figlia dell’individualismo più convinto, potrebbe sembrare sconveniente aver voluto imbrigliare gli ospiti in una tenuta convenzionale. Non è stato di questo avviso il padrone di casa, che con un tocco di bacchetta da autorevole direttore d’orchestra ha imposto il registro della cravatta nera. Ben sapeva che in questo modo avrebbe potuto contribuire a dimostrare, qualora fosse stato necessario, che quando si è dotati di personalità non basta vestire come il vicino per somigliargli. Smoking, frac, tight, l’abito da cerimonia è rigidamente codificato nei colori e negli accessori, eppure esso lascia tanta libertà all’uomo che lo veste quanta la rima o la metrica ne lasciano al poeta: tutta quella che serve. Privata della facile tavolozza dei colori, l’espressività si misura sul dettaglio, sulla linea, sulla citazione, sull’età e sullo stato di servizio dell’abito. Il discorso a questo punto lascia lo spazio ad una duplice serie di considerazioni, quella sulla tradizione e quella sul significato dell’abito da cerimonia. Per questa volta limitiamoci allo smoking. Da un punto di vista storico, esso è l’evoluzione della giacca usata dai gentiluomini di inizio secolo per ritirarsi a fine cena nel fumoir. Fu negli Stati Uniti che, col nome di tuxedo, il nostro conobbe gli onori e le luci della società. Il cinema ce ne ha lasciato esempi memorabili: oltre ai neri più rigorosi, restano indimenticati quello bianco del film Sabrina e quelli midnight blue delle pellicole anni cinquanta. Non vorrei annoiare nessuno con consigli e regole già enunciate da critici più autorevoli e che hanno la sola utilità di divertire chi sappia ignorare i primi e trasgredire le seconde. Non posso però resistere al contagio della sindrome di Palazzo Venezia. Avendo un pubblico a disposizione, non riesco ad esimermi dall’arringarlo almeno un pochino. Mi limiterò ad enunciare un solo principio ed il suo unico postulato. La prima ed unica legge è in questo caso quella dell’assenza. Occorre rinunciare quanto più possibile al colore ed alle fantasie, alle fogge ed ai materiali inusitati. Il rispetto come forma mentale che trasparirà da queste piccole privazioni, sarà il più importante ornamento. Del resto il paradigma è rigido, ma così ricco di futuri, condizionali e congiuntivi da permettere la massima possibilità di espressione. Camicia con polso a gemelli, fusciacca, giacca, pantalone, scarpe, calze. D’inverno, cappotto, cappello e guanti. Non dico della sciarpa, che lascerei agli ultrasettantenni o a quanti abbiano un curriculum di dandy all’altezza di questo accessorio. Non si può e non si deve contare su nient’altro, perché la chiave espressiva dello smoking è nel rigore, nel togliere in quantità per aggiungere in qualità. Da ciò scaturisce l’inesorabile postulato: nessun risparmio di tempo o di denaro è consentito, perché di entrambe le cose togliere costa più che mettere. Un effetto pari a quello che desideriamo ottenere in una serata così impegnativa richiede concentrazione e meticolosa preparazione. Tutto ovviamente, come sempre, perché il risultato finale sia quello di un capo tirato fuori dal guardaroba all’ultimo momento. Al bando le camicie plissettate da allevatore messicano. Ora che avete l’occasione di sfoggiare i vostri gemelli più belli, per impressionare il pubblico fidatevi di loro. Personalmente eliminerei anche l’orologio da polso. Attenzione al gilet, che priva lo spettatore di buona parte del bianco che gli spetta di diritto. Rigore estremo nella scelta dei revers, che vanno concepiti con abbondanza. I più ammirati tra quelli a scialle saranno quelli dalla curvatura ardimentosa di un accappatoio o di una giacca da camera, rivelando che l’anima di quest’ultima è rimasta incorporata nello smoking più di quanto si pensi. I baveri a lancia, fisico permettendo, avranno una superficie importante e tutto sarà in proporzione alla spalla. Calze sottili, senza coste. Scarpe? Fatevi guidare dal vostro gusto e dalla vostra storia. Se siete soliti calzarne tutto l’anno di classiche e solide, non piacerà né a Voi né ad altri vedervi con una pantofolina laccata. Mantenete in questo caso un certo spessore di cuoio e di suola, sempre vigilando sulla lucentezza. Se nel gusto quotidiano siete più “leggeri”, concedetevi pure lo scarpino di vernice. La fusciacca viene spesso sostituita da una mezzaluna allacciata sul retro. Suggerisco ai Monsieur di utilizzarne una autentica, lunga ed alta. Tra l’altro contribuirà a snellirne la figura. Non la si trova e occorre farsela confezionare, ma avvolgerla giustificherà il tempo speso alla sua ricerca, conferendo la sensazione solenne della vestizione del torero. Poiché è noto che questi ultimi combattono in piedi nell’arena, mentre i gentiluomini lo fanno seduti in salotto, è opportuna una leggera imbottitura che impedisca che si attorcigli accomodandosi sulla prima poltrona D’inverno è assolutamente necessario un cappotto scuro. Uscire dall’auto scappando come un coniglio verso la tana non è una soluzione praticabile, come ancor meno lo è quella adottata da un ignoto individuo di cui ora dirò. Qualche anno fa, almeno dieci, durante il consueto collegamento dalla Scala di Milano per l’apertura della stagione lirica, l’inviato RAI presentava l’evento intervistando qualcuno in esterno. Il commento era condotto proprio fuori dall’ingresso principale e la telecamera inquadrava sullo sfondo quanti sopraggiungevano per lo spettacolo. Tutti indossavano lo smoking, alcuni facendo stoicamente ed inutilmente finta di sentirsi a proprio agio in Dicembre senza cappotto ed altri compostamente coperti da un soprabito scuro. Non mancava, come è giusto, il furbo salomonico con l’impermeabile blu. Ad un certo punto, però, si manifestò l’abominio. Un esemplare maschio, che dopo attenta analisi potetti riconoscere come appartenente alla razza umana, attraversava la piazza con un loden verde. Si avvicinava e si mescolava agli altri, entrava nel teatro come fosse una persona normale. Nella mia memoria, lo sgomento e lo sdegno, la rabbia e la tristezza suscitati da quella scena non si sono mai sbiaditi. Pensavo tra l’altro all’opinione che sugli italiani si sarebbero fatti gli anglosassoni che avessero visto le stesse riprese. Non so se il peccato fosse veramente tanto grave, ma per qualche motivo vi scorsi in un solo momento tutto il percorso della decadenza virile, cui anche il piccolo, innocente formalismo di un abito da cerimonia è argine sicuro. Veniamo ora alla parte che sembra la più nascosta ed è forse la più evidente. Il significato di un abito nero è più appariscente e luminoso delle sue fodere e dei baveri di doppio raso. Sebbene molti stimoli premano in senso contrario, l’uomo apprezza intimamente le regole. Spesso trova più divertente accettarle che sottrarsi ad esse. La vitalità e l’appeal di confraternite e club, reggimenti ed imprese basate su sistemi rigidi e tradizionali non si giustificherebbe altrimenti. Il conformismo della cravatta nera può quindi rivelarsi più intrigante che oppressivo. E’ un’uniforme ed entrare in una divisa comporta sempre l’adeguamento ad un ritmo, ad un passo diverso da quello consueto. La certezza di una tenuta di alta tradizione ci influenzerà nel portamento, nel linguaggio e nei comportamenti. Ci verrà più naturale lasciare il passo a nostra moglie ed aprirle la portiera dell’auto. La piccola battaglia tra uomini, combattuta sul millimetro, sarà quanto mai stimolante. E’ un gioco di società, sottile e implacabile, con vincitori e vinti e gloria per entrambi. Questo caleidoscopio espressivo scintilla in assenza di colori e di ogni apparente libertà, rivelando che la vera luce di ogni linguaggio non verbale è nella adeguatezza a sé stessi e nella personalità. La creatività che l’occhio si era abituato a riconoscere solo su scala macroscopica si rivela in una bouttoniere appropriata, nella impercettibile variazione nella tensione o nella dimensione della farfalla. A questo punto appare finalmente matura la domanda cui volevo arrivare. Come è stato possibile che del pensiero no-global si siano appropriati bande di scalmanati, sciatti e indistinguibili quanto più vogliono essere originali? Io non credo a questi falsi profeti, che vogliono insegnarmi a vivere lasciando per terra la sera le lattine che la mattina combattono. E’ nella profondità, nel fruscìo della cultura e della tradizione e non nella superficialità rumorosa di qualche slogan che l’uomo trova la via per affermare sé stesso ed esserne orgoglioso. Se vogliamo riaffermare l’individuo, osserviamo bene lo scenario per notare che esso esisteva molto prima del suo nemico. Se solo scegliamo il meglio del formalismo e cioè l’educazione, il meglio del passato e cioè la tradizione viva, dobbiamo riconoscere che l’antidoto alla banalità imposta dai media e dai sistemi sopranazionali è in gran parte già dentro di noi ed esisteva ben prima del veleno. Non abbiamo bisogno di nessun forum che ci spieghi da dove veniamo e dove andiamo. Una cosa ben fatta e duratura, come ad esempio un grande smoking o una serata in cui sfoggiarlo, è per la globalizzazione come l’aglio per i vampiri. In conclusione, nell’abito che più di ogni altro sembra limitarlo, l’individuo ha la scelta suprema tra la loquacità ed il silenzio. Signori in grigio ed in nero, la Vostra cravatta a piccoli disegni, la scarpa ben curata ed allacciata, sono silenziosi e potenti come bastioni. Un po’ più di orgoglio: siete Voi gli autentici no-global. G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2006 Cod. di rif: 2777 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il vino della conoscenza - Al signor Caprari Commenti: Egregio signor Caprari, sia De Paz che la Biblioteca Cavalleresca posseggono il volume sugli Scottish Estate Tweeds. In questo caso ed in altri, per trarre da un libro molto più di una citazione vi sono effettivamente dei problemi di copyright, ma cercheremo di aggirarli, risolverli o ignorarli. Una cosa certamente non faremo: lasciare il prezioso vino della conoscenza andare aceto o svanire, quando persone come Lei sono ansisose di abbeverarsene. Nei primi giorni del nuovo anno, se non addirittura prima, verrà sistemato il primo nucleo di una nuova area di questa Porta, esclusivamente dedicata ai tessuti. Cominceremo dando spazio ai district check, con la pubblicazione delle foto di oltre duecento disegnature, dei due articoli del 1933 editi dall'Associazione dei Lanifici Scozzesi (sia in inglese che in italiano) e l'introduzione storica di Ned Harrison tratta dal volume, effettivamente assai raro, che Lei cita. Questo materiale verrà poi migliorato con un commento sulle varie disegnature. Intanto, le Officine della Biblioteca Cavalleresca hanno già collazionato un mio scritto sulla materia, riccamente illustrato, che nel dare un contributo alla comprensione del mondo del tessuto in generale si sofferma in modo particolare su quello dei district. Poiché siamo prossimi anche alla pubblicazione dell'elenco dei pamphlet cavallereschi attualmente già disponibili, non le resta che attendere e vedrà dissiparisi alcune domande e sorgerne delle altre. Meglio, quindi, soprassedere alle risposte a domande su temi come quello al Suo gesso n. 2774 ad un momento successivo, quando tutto il castello sarà in possesso di materiali più abbondanti strumenti più potenti. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2006 Cod. di rif: 2781 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un corpo senza testa - Al signor Nocera Commenti: Egregio signor Nocera, attendo con ansia l'evento fiorentino, in quanto apre una via che potrebbe permettere una proficua contaminazione reciproca. Come gli scorci di Antonello da Messina si rividero in Mantegna, seppur con un diverso cromatismo e composizione, così potrebbe accadere che qualche sarto di talento riesca a mettere insieme caratteri compatibili di diverse scuole. Quanto al fronte oggi opposto, o meglio proposto dagli inglesi, dobbiamo tener presente che si tratta di un'istituzione di recente fondazione, che prima non aveva alcun bisogno di essere in quanto la posizione londinese è sempre stata orientata all'isolamento. Savile Row non solo non si è mai confrontata, ma nemmeno ha mai voluto sapere che esistesse altro oltre i suoi confini. Il fatto che faccia fronte unico, fa riflettere sulla sua crisi. L'Italia aveva espresso l'Accademia dei Sartori, che da decenni è ridotta ad una polverosa associazione che non organizza nulla di concreto in campo stilistico e non riesce a comunicare né col pubblico, né coi suoi stessi soci. La Camera Europea dell'Alta Sartoria, cui ho dato ogni appoggio e credito e che sembrava poter puntare a ciò che Lei dice, cioè al governo degli stilemi, nell'ultima, ovvero nella prima sfilata, mi ha dato l'impressione di un carrozzone orientato alla gloria del suo Presidente. Spero di essermi sbagliato, ma a prescindere dal mio articolo su MONSIEUR che leggerà alla fine del mese, qui posso dire che è mancata l'assunzione di quella leadership che speravo venisse afferrata per il collo. Una mondanità tesa ancora una volta alla comunicazione, tortiera dove gli scarti di ciò che è bello, di ciò che è vero, di ciò che è umano, vengono ricotti al fuoco dell'emulazione di modelli consumistici per essere serviti al popolo come una delizia di prima mano. Spero in un sussulto, o di aver visto male, o che si sia trattato solo di inesperienza. Per il momento, il gran corpo della sartoria italiana, che ha molte e forti membra sparse in tutto lo stivale, resta senza una testa e cioè senza una vera bandiera ed un chiaro pensiero. Dopo ciò che ho fatto per la Camera, visibile a tutti nel Florilegio, me ne rammarico alquanto. Del resto, anche se i singoli sono tutti validi, formare con essi un senato è ben altra impresa. Noi Cavalieri, insieme a tutti gli uomini che si sentono a proprio agio qui al castello, continueremo la nostra battaglia di committenti. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Bellantoni Data: 15-12-2006 Cod. di rif: 2784 E-mail: pinobellanto@hotmail.it Oggetto: English cloth vs Italian Commenti: Mi permetto di suggerire un link (probabilmente noto) con gustoso dibattito inglese sul tema in oggetto http://thelondonlounge.net/gl/forum/viewtopic.php?t=6329 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giona Valerio Granata Data: 17-12-2006 Cod. di rif: 2786 E-mail: giona.granata@mail.com Oggetto: Savile Row Commenti: Egregi Cavalieri, mi riferisco agli ultimi taccuini riferiti alla sartoria inglese, Shephards, Huntsman, eccetera. Senza voler difendere la sartoria inglese a tutti i costi vorrei porre la questione in una differente ottica. La sartoria inglese non va giudicata tanto nella linea, stile o quella che noi italiani chiamiamo "bellezza" di un abito. La sartoria inglese va giudicata soprattutto su altri livelli, quali la comodita, usabilita, durata, e alcuni particolari chiari solo a chi conosce. Questi sono per esempio la bombatura nel rever (chiara nel doppiopetto gessato), la spalla allungata di 1-2 cm rispetto a quella naturale, e quello che gli inglesi chiamano "drape", cioè la sovrabbondanza di tessuto nella zona dei fianchi e della schiena, che assieme ad un giromanica alto ma ovale ne fanno una giacca molto comoda. Spesso infatti le nostre bellissime giacche italiane hanno una linea splendida ma risultano "strettine". Un ultimo appunto: bisognerebbe giudicare un abito su misura solo quando indossato dal legittimo proprietario. Cavallerescamente, Giona Valerio Granata. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-12-2006 Cod. di rif: 2788 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Vacche e Tigri - Sulla crisi della sartoria inglese Commenti: Incorruttibili Cavalieri, incrollabili appassionati e Visitatori della Lavagna, ogni anno, di questi tempi, qualche losco sommelier cerca di propinarci la solita favoletta secondo cui lo spumante sia migliore dello champagne. Basta prendere il peggiore champagne ed il migliore champenoise italiano e la cosa appare anche plausibile. Nella sartoria non esiste, come nel caso dei vini spumanti, una servitù del prodotto italiano nei confronti di quello estero, ma nemmeno si dovrebbero assumere come paradigmi del capo all’inglese delle foto fatte in casa di capi male usati, mal sistemati e soprattutto probabilmente male ordinati. Un paio degli abiti inseriti da Pugliatti erano già deceduti all’epoca in cui sono stati fotografati (hopsack degli Appunti 2862-2863 e foulard degli Appunti 2866-2877). Sono di pettinati molto fini, tessuti la cui vita è segnata. Orbene, chi acquista un abito destinato a durare un anno, è ovvio che cerchi di sbolognarlo dopo tre o quattro, quando il capo, dopo una vita di stenti e di utilizzo malaccorto, ha tirato le cuoia. Si noti come i capi in tessuti più pesanti, quindi durevoli, sono anche i più interessanti. Chi sono, comunque, i padroni di quei capi? Nessuno che sappia cosa sia un abito. Basti notare che spesso, nel fotografarlo, allaccia i bottoni in basso, mortificando così quel poco di linea che potrebbe restare su un manichino, per di più con spalle di misura più piccola. Credo che si debba ritornare alle considerazioni che si facevano anni fa su questa Lavagna, secondo cui il primo problema della sartoria inglese è nella mancanza di ricambio nei clienti. E’ vero, a prescindere dalle condizioni d’uso e dal modo di esporli, gli abiti sono bruttini, alcuni bruttissimi. Ma per chi vengono cuciti? Sono stato recentemente a Londra per visitare l’atelier di Galasso, oggi Billionaire Couture. A prescindere da ciò che ho visto nel singolo negozio, che oscilla incredibilmente tra bestialità da bulletti e buffoncelli e qualche idea o repechage di un certo interesse, tra la moda negra e la sofisticazione continentale (ma senza mai nulla di londinese), ho fatto un giro al di là delle migliori insegne ed ho percepito un fenomeno inquietante. Il cliente medio è un turista che acquista camicie e cravatte come souvenir. C’è qualcuno che cerca di essere aiutato, di approfondire, di accendersi d’entusiasmo con la scintilla della grande tradizione, ma trova commessi spenti, sfiatati, distratti, perché è subito evidente che il budget di questi attenti ricercatori non permette loro di spendere più di due o trecento sterline. In questo momento, le grandi case aspettano coloro che vengono a spenderne trecentomila. Si, trecentomila, ma anche di più. L’ex direttore di Brioni mi diceva che nell’atelier londinese entravano clienti che spendevano in un anno anche oltre mezzo milione di sterline. Un frequentatore del nostro sito mi raccontava che mentre cercava di spulciare qualcosa di buono tra i tessuti di Turnbull & Asser, altri ordinavano pigiami e camicie a dozzine, uno per variante e senza nemmeno soffermarsi a vedere cosa stavano acquistando. Questi banconi quindi, non sono più in attesa dei duchi, ma dei finanzieri che portino in un sol giorno tanto denaro da mandare egregiamente avanti la baracca per sei mesi. E cosa chiedono questi finanzieri? Una bella giacca? Ci credo assai poco. Essi chiedono MOLTE GIACCHE, perché il verbo della nuova comunità dei ricchi è la quantità. Recentemente Olga Berluti mi raccontava che il re del Marocco le aveva ordinato cento paia di scarpe. Lei, ovviamente, ne era entusiasta. Io molto meno. Ma si può pensare che un vero re, un uomo che dovrebbe essere un esempio, ordini cento paia di scarpe? Forse che il Duca di Windsor o Carlo hanno fatto o fanno in questo modo? Le scarpe del principe del Galles, che sono l’unica cosa che si possa veramente ammirare su questo colosso di uno stile che si è voluto privare della perfezione a favore della tradizione, sono quasi sempre craquelé, venate di fratture dovute all’età. Impotente a fronteggiare questi paradossi, a tenere la rotta di fronte alle lusinghe del facile guadagno, è ovvio che Savile Row, Jermyn Street e tutta la Londra che abbiamo imparato ad amare a quindici anni oggi che ne abbiamo cinquanta sia diventata schiava di questi consumi iperbolici, ingordi, insensati, eppure altamente corrosivi. Lo stile inglese in quanto tale resta una cava di insegnamenti profondi, ma oggi le vene creative sono esaurite per mancanza di punti di riferimento solidi. In definitiva, non mi piace vedere esposto al ludibrio una nobile tradizione valutando capi senza alcun titolo ad essere d’esempio, ma concordo con la tesi che manchi un ricambio nella mano d’opera. Questo fenomeno, però, è dovuto anche al fatto che tutti sono orientati alla facile cattura di grasse vacche da cui la tribù mangi a sazietà, mentre nessuno rischia per fulminare la tigre. Attenzione, perché sta capitando anche da noi. Per rendersene conto, basta vedere la decadenza che hanno imboccato sarti di talento indiscutibile come Panico, appena entrato a contatto coi mercati più ricchi. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-12-2006 Cod. di rif: 2803 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Inghilterra - Italia. Telecronaca Commenti: Formidabili Signori, Cavalieri e Visitatori intervenuti con recenti gessi sul tema, la discussione su Savile Row ha portato ad una convergenza su alcuni punti, il cui chiarimento è utile ad una lettura anche della nostra situazione. 1 – La sartoria inglese attraversa una crisi, dovuta a: 1.1. – Logistica – Il costo degli immobili spazza via i piccoli e i tradizionalisti, insomma quelli che non incassano a sufficienza. Il problema è dipendente dal successivo punto: 1.2. – Corrosione – La grande disponibilità di denaro da un lato rende il centro di Londra una vetrina costosissima e pertanto selettiva nel modo sbagliato, dall’altro sposta l’attenzione del produttore verso un solo tipo di consumatore: il nababbo spendaccione. Una volta bisognava (e bastava) dire che da quella porta era entrata un’altezza reale, oggi a fare notizia basta un qualsiasi sultano da operetta, anzi da copertina. Accettare che il tal sarto si vanti di aver confezionato mille giacche a Re Bingo Bongo è assai difficile, ma ancor peggio è digerire che qualcuno veramente attribuisca importanza al fatto. Naturalmente, gli ordini da cento capi alla volta sono approssimativi quanto al singolo pezzo. Non sono nemmeno seguiti personalmente, ma da qualche “personal shopper” scelto tra i più servili yesman disponibili. 1.3. - Ricambio – Qui abbiamo da lamentarci anche noi, ma a Londra stanno peggio in quanto la fuga dalle sartorie è una generazione avanti e si è giunti al capolinea. Chi frequenta Londra sa che non esiste più un solo commesso inglese da molti anni. Il londinese non lavora nei negozi, spesso nemmeno ai livelli direttivi. E’ comunque assai difficile che intraprenda un lavoro manuale. Conclusioni: In questa situazione, la tecnica tradizionale è andata praticamente smarrita e se resta è solo in mani di sarti anziani. La cosa accadrà inevitabilmente anche da noi e su questo sono stato chiaro in alcune previsioni sul futuro della sartoria sviluppate anni fa su queste lavagne. La ricetta è: aumento del customer care a fronte di riduzione della qualità intrinseca, sempre meno leggibile. Una giacca tradizionale richiede trenta ore di lavoro e soprattutto uno o più maestri con un apprendistato di sei o sette anni. Il vestito deve invece adeguarsi ad una perdita di tutto il lavoro che non porti valore aggiunto in quanto poco visibile. E soprattutto deve essere compiuto da maestri con un apprendistato di due o tre anni, perché è lì il problema. Non è più possibile tenere una persona a bottega più di questo tempo. Se è incapace, nulla quaestio. Se è capace, ruberà quel che basta del mestiere per tentare la fortuna da solo dopo appunto due o tre anni. E non c’è niente da fare, perché la richiesta di mano d’opera sale, mentre la competenza della committenza scende. Per il noto principio “beati monocoli in terra cecorum”, è diventato possibile fare i maestri con un’esperienza molto più limitata. Basteranno un paio di drink ed una bella poltrona a sistemare tutto. Sia chiaro che il sarto del 2020 giocherà a golf, mentre quello del 1980 ancora giocava a scopa e solo la Domenica. Non c’è altra soluzione che puntare su un apprendista che abbia le seguenti caratteristiche: negro, brutto ed introverso. Con queste doti, anche imparando troverà difficoltà a rendersi autonomo. Non è un paradosso, in quanto la loro ricerca ed utilizzo è già in atto in altri settori, come la calzoleria. 2 - Quanto al “consorzio” dei sarti inglesi, il fatto che sia sbarcato in Italia e che alcuni di loro abbiano aderito alla camera Europea dell’Alta Sartoria fa intravedere un triplice scopo: 2.1. – Battere la grancassa in un momento in cui la comunicazione è divenuta importante anche per chi, per secoli, era rimasto altero e silenzioso. 2.2. – Sdoganare il prodotto in un confronto con lo stile italiano nel quale paradossalmente hanno tutto da guadagnare. Infatti è già scontato che la stampa – per sua natura ipocrita e per di più incompetente sulla materia specifica - traduca l’evento in una gloria comune, spendibile a livello planetario. Ancora una volta noi italiani tenderemo la mano agli alleati perché ci regalino una tavoletta di cioccolata? Molto probabile. Temo che anch’io dovrò esimermi dallo scriverne fuori da queste aree dove regna la Verità, o almeno la Sincerità. 2.3. – Reperire giacimenti di manodopera contoterzista, sia di livello artigianale che semi-industriale. Conclusioni: L’operazione è probabilmente intesa alla comunicazione, alla riconquista di mercati, alla riqualificazione dei marchi attraverso alleanze, alla creazione di nuovi circuiti produttivi. Credo, però, che sarebbe astrattamente possibile che qualcosa di molto buono accada anche per il “consumatore”. E cioè che in questa promiscuità mai verificatasi alcuni sarti di particolare estro colgano alcuni dettagli stilistici dai diversi linguaggi, aumentando così il numero delle frecce al proprio arco. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 21-12-2006 Cod. di rif: 2810 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Commenti: Egregio Signor Augusto Corbey , mi permetto di far notare come dall'immagine di Lapo Elkann traspare indiscutibilmente qualcosa che nessun sarto può tagliare su misura ma che aiuta moltissimo , che oserei dire , in molti casi , è fondamentale , quasi indispensabile per apparire eleganti : lo charme . Lo ritengo in buona parte un dono naturale , come può esserlo per altri la facilità di espressione o di scrittura .Per il resto non c'è una parola del suo gesso , una considerazione , dalla prima all'ultima , che io non condivida. A mio modesto avviso lei ha fatto centro , in pieno.E anche con un certo "stile". Sentiti ossequi . Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2006 Cod. di rif: 2813 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una bella giocata, forse una rete. - A Corbey, Boggio e Pugl Commenti: Egregi signori Corbey e Boggio, per non sprecare il vantaggio personale dell’autorità, utile alla causa e non a me stesso, ma soprattutto grazie al privilegio collettivo di godere di un circuito poco propenso alla polemica inutile, sono solito esprimermi "ex cathedra", cioè in modo impersonale e dichiarando le cose come “sono”, non come “ mi sembrano”. Nel caso di Elkann ho invece utilizzato la prima persona, introducendo il tutto con un insolito “a mio avviso”. Infatti non ritengo il parere dato nell'Appunto n. 2925 una verità assoluta, se non nel punto che più mi interessa: la giacca corta come principio determinante nella tipologia di smoking con collo a scialle. E’ evidente che il gusto di Lapo è tutt’altro che maturo e ben lontano dal poter essere un esempio “tout court”. La sciagurata e ben citata bandierina sul polsino basterebbe da sola a fra naufragare qualsiasi tentativo di beatificazione. Eppure, anche un bacchettone convinto come me alza le mani, quando vede qualcosa di ben fatto. E la tenuta riportata nel famoso Appunto mi è apparsa tale. Poiché non ho il conforto della tradizione, sottolineo che si tratta di un parere personale, per di più riguardo ad una persona che non ho mai considerato come un “qualcuno” e cui anzi ho sempre pensato con un certo pregiudizio. Il mio parere sulla Black Tie, da poco riportato nel gesso n. 2769, è molto chiaro e i sembra condiviso nella sua essenza, cioè nel mettere la tradizione al centro delle tenute formali. Resta pur sempre il fatto che quando la grazia viene raggiunta con mezzi al di fuori della tradizione, occorre bocciare o riflettere. Io propendo per la seconda attività. La cravatta di maglia è sgraziata? Bene, qui andiamo nel ginepraio delle opinioni, che in genere cerchiamo tutti di evitare in un luogo orientato alla ricerca. Ma proprio qui è il punto. Se si ha l’impressione di essere di fronte ad un risultato valido, lasciarsi scappare l’occasione di sviscerarlo è contrario all’asepsi, ma è anche dannoso agli scopi della ricerca stessa, ancora più importanti. Il “classico” non va considerato solo come un campione in formalina da studiare nella morfologia, ma anche come un esemplare vivo da osservare in movimento. L’evoluzione gli toglie e gli aggiunge qualcosa ed è proprio del vigile ricercatore cogliere questi momenti di trasformazione, al fine di perfezionare o riformulare dei principi generali che non possono restare congelati, se il loro oggetto di riferimento non lo è. Le libertà che Lapo si è preso portano il suo smoking ad un livello di formalità molto basso, ma questo se si considera una scala tradizionale. Se invece caliamo il tutto nel mondo degli infratrentenni, autentici o presunti, di nascita o di ritorno, le cose assumono un altro valore. I dettagli non sono privi di una certa armonia, ma non ho nulla da eccepire a chi veda il contrario. Io stesso, se mancasse un’imponderabile capacità di presenza, sarei alquanto critico. Ma da sempre è proprio quell’allure indefinibile il motore che permette uno scatto del gusto in avanti o in direzioni diverse. In conclusione, possiamo dire che Lapo abbia sbagliato, che sia stato presuntuoso e insipiente, ma in qualche modo il mio occhio vede del giusto e non posso tacerlo, visto che l’innovazione si tratta di fenomeni così rari. Corbey sostiene di udire nella complessiva apparecchiatura dell’Elkann una voce stridente. Non si può certo negare abbia voluto richiamare l’attenzione e nel mio caso ci è riuscito, seppur positivamente. Va anche considerato quanto dimostrato dall’infallibile ricerca di Pugliatti, cioè che l’abito non è farina del suo sacco, ma del nonno e quindi dei suoi archetipi. Anche dopo aver assunto questo dato come incontrovertibile, giudico con favore l’eclisse della fascia e la riproposizione, invece, del polsino della camicia abbastanza largo da scendere sulla mano e portare all’iperbole la manca strettissima (direi 13 cm, contro i più comuni 15) e corta. Ancora un dettaglio “forte”, ma sostenuto dal complesso. Di fronte a tanti insipidi compitini, lodo la palla ad effetto lanciata da Lapo e la considero una bella giocata. Sarà la moviola di un lentissimo Processo del Lunedì a dirci se era in rete. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-12-2006 Cod. di rif: 2820 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La via della coerenza - Risp. al sig. Ciabatti gesso n. 2799 Commenti: Egregio signor Ciabatti, Lei si dichiara narcisista, esibizionista ed egocentrico. Nessun problema. Afferma poi di sentirsi diverso e anticonformista. Qui c'è qualcosa che non va. In questo momento, quasi tutto il conformismo è proprio nel voler apparire "diversi" da qualcosa, da qualsiasi cosa, piuttosto che fedeli ad un'unica idea, cioè un ideale. Ciò che appare fuori luogo, soprattutto in questo luogo, è proprio la Sua mancanza di formalismo. Aspirare allo stile, alla forza espressiva di accessori come fiori all'occhiello, fazzoletti al taschino, per poi appiattire tutto con lettere minuscole, senza prendere il tempo per un saluto o un congedo ... Non ci siamo, non è questa la via. Lei chiede come si faccia a porsi al di fuori di certi giudizi, di certe scelte scontate. Direi che la risposta, tanto per ridurne i termini ad uno solo, è nella coerenza. Non che i Cavalieri siano infallibili o perfetti. Quella della coerenza è una strada troppo stretta, perchè ci si passi senza urtare o prendere qualche scorciatoia. Cavallereschi, cordiali saluti Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-12-2006 Cod. di rif: 2821 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due tessuti per un blazer - Al sig Rubin (Gesso n. 2793) Commenti: Egregio signor Rubin, al saggio contributo di mr Ang-Angco aggiungerei che, oltre all'hopsack, nella mezza stagione è assai indicato il tre capi ritorto di stile inglese, con mano ruvida. L'hopsack è anch'esso un tipo di tela, ma è piuttosto luminoso, mentre la torsione rende la superficie del tre capi piuttosto matta. Il primo risulta quindi più dinamico, mentre il secondo blazer sarà più serio, dignitoso. Il ritorto potrà confezionarlo con mezza fodera in tinta, solo sulle spalle. L'hopsack, proprio perché più estroverso, regge meglio la fodera in contrasto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-01-2007 Cod. di rif: 2822 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Smoking - Ai sigg.ri C. Pugliatti e A. Rosso Commenti: Egregio signor Pugliatti, innanzitutto mi congratulo per i contributi su Lapo Elkann, in particolare sullo smoking che indossava nella foto di cui all’Appunto 2925. L’attribuzione al guardaroba del nonno, ormai indiscutibile dopo il Suo Appunto n. 2928, non era cosa da tutti. Credo che fenomeni come questo, cioè la messa a fuoco di un tema attraverso il punto di vista di più persone, mostrino con l’autorità dell’evidenza cosa si intenda per “ricerca”. Poi passo a rispondere, per quanto mi è possibile, ai quesiti che poneva con il Suo Gesso n. 2814. 1 – Quanto allo smoking Agnelli/Elkann, credo che la minore lunghezza della manica destra non sia riconducibile ad una differenza nel taglio, ma all’incompleta lavorazione del lato basso. Quindi, con tutta probabilità, proprio al fatto che le maniche siano restate uguali pur essendo le spalle imbottite in modo diverso. 2 - Sa bene che offrire delle misure comporta il rischio di essere fraintesi. Qui non crediamo che l’arte o la bellezza del vestire siano nelle leggi e tanto meno nelle misure. Le prime non possono fare a meno delle seconde, ma il rapporto che intrattengono non è di sudditanza. L’Eleganza non è serva di nessuno ed il rispetto che nutre per i codici è quello del vignaiolo per la sua vigna. Ne vendemmia uve che apparentemente sono sempre uguali ed il loro succo lo custodisce in cantina. Qui si evolve silenziosamente ed invecchiando a volte migliora, a volte no. Intanto, alla superficie, il buon contadino continua a selezionare nuove viti, a seminare nuove piante. Tra tante variazioni, il raccolto non è mai veramente uguale e diventa prezioso solo nelle mani giuste, quelle che sapranno come interpretarlo: quando vendemmiare, come vinificare, quanto invecchiare. Per questo, le leggi e le misure vanno conosciute e taciute allo stesso modo e cioè quanto più possibile. Immancabilmente sorge chi le sovverte. Per creare il nuovo non possono servire le ricette vecchie, soprattutto perché le ricette vengono dopo l’invenzione e non prima. Chi non vuole creare, ma almeno accorgersi del nuovo e saperlo valutare, dovrà avere il palato sgombro da pregiudizi e cioè disporre di un sistema di valutazione in cui i principi, per definizione vitali, non siano morti e congelati in una forma assoluta. Attenzione, perché questa subdola proposizione dei principi come scopi, questa trasformazione delle tendenze in parametri, del mutevole in fisso, viene proposta come passaggio dal bene al meglio. In tal modo, si compie il trionfo di ciò che dovrebbe andar bene a tutti sull’unicità. Una dittatura che i Cavalieri non accetteranno mai, procurando di dar voce al gusto dei singoli. Dopo questa lunga premessa, utile a misurare l’importanza delle misure, possiamo dire che la giacca di Lapo sembra lunga un 74/75 cm (sul dietro), contro i 77/78 che la sua taglia comporterebbe. I davanti saranno un paio di centimetri in più. I baveri a scialle dovrebbero girare intorno al collo senza mai scendere sotto i 4,5/5 cm e poi allargarsi armoniosamente. Di quanto? Impossibile dirlo, perché le forme sono infinite. Si possono raggiungere e superare i 9 cm, ma anche restare costanti o quasi, come nel caso del bel rever di David Niven ce compare nel Suo Appunto n. 1376. Il punto della larghezza massima è in genere spostato verso il basso ed in tal caso parliamo di revers a pera. Quelli dello smoking gnelli/Elkann li definirei piuttosto a banana, in quanto la larghezza massima è esattamente al centro. 3 – Quanto dicevo “si ferma piuttosto in alto” intendevo parlare della lunghezza. Ritornando al Suo Appunto n. 2928, si vede chiaramente che la giacca era corta anche per il primo proprietario, sicché si conferma la caratteristica centrale che avevo voluto individuare con il mio precedente commento (Appunto n. 2924). La minore lunghezza dello smoking sciallato coinvolge anche il punto vita. Il più alto possibile sia per i pantaloni che per la giacca. E’ opportuno riflettere su due tendenze che, come speso accade, sono in contrasto. Da un lato, lo smoking non può essere accollato e deve anzi rivelare parecchia camicia. Dall’altro, sembra opportuno portare la vita in alto. Sulla ridotta estensione di una giacca corta c’è poco spazio per una vita sfumata e sembra quindi che si possa risolvereil problema in un solo modo: un punto vita secco, subito sotto il bottone.. Si comprende, quindi, perché i più begli smoking sciallati presenti nella vasta galleria del Taccuino siano non solo corti, ma con vita netta. Spesso all’altezza del bottone, come per quello di Niven appena citato, ma anche un po’ più su e quindi sopra la vita naturale, come è proprio nel caso dello smoking Agnelli/Elkann. 4 – Le sete dello smoking in midnight blue sono più belle nere e su questo punto devo essermi già espresso conformemente in passato. 5 – Asola sui baveri sciallati. Si no? La stessa domanda la poneva il signor Antonio Rosso (Gesso n. 2789), relativamente ai baveri a lancia. E’ opportuno riassumere i due quesiti in una sola risposta, in quanto si parte da un principio unico: che ci sta a fare l’occhiello?. Sulla giacca tradizionale, è l’occhiello che giustifica il bavero e non viceversa, sicché la sua importanza è di livello basilare. Cos’è infatti un bavero, se non una parte di giacca “temporaneamente” ribaltata? Il bottone evoca la possibilità di riportare il tessuto al suo posto, alzando il collo e ricostituendo l’ordine iniziale. L’abito classico, ancora memore di essere nato per coprire, ha sempre avuto vergogna di mostrarsi come pura vanità ed ha quindi mantenuto sempre, anche se solo a livello simbolico, i segni di una forma nata dalla funzione. L’astratta possibilità di ridiventare una giubba ben chiusa al petto, quindi pienamente protettiva, tranquillizza le strutture più profonde e delicate della nostra amata giacca. L’asola al bavero, o occhiello che dir si voglia, ha un ruolo fondamentale in questa terapia. Nella giacca da sera queste strutture non sussistono, in quanto la funzione protettiva del capo è dichiaratamente subordinata a quella estetica. L’asola non è quindi necessaria ed anzi, dovendo interrompere la luminosità raffinata della seta, per comparire deve trovare altri motivi. Vediamo dove e quando ci sono. La vasta superficie dei baveri a lancia, di area sempre superiore a quelli a scialle, sembra giovarsi di un’asola che ne interrompa la monotonia. Meglio una sola, in modo che evochi più la sua vocazione ad accogliere un fiore che quella ad usi pratici. Poiché uno dei principali punti a favore dell’asola sono le dimensioni delle lance, meno largo sarà il bavero e minore sarà l’opportunità dell’asola. Stessa proporzione inversa quando si badi quanto alla lucentezza. Più la stoffa è liscia e luminosa, più è scorrevole come acqua, meno vuole essere interrotta. Se in raso, quindi, l’asola sarà meno desiderabile anche sui petti a lancia. Nella conformazione a lancia i baveri potrebbero, più che astrattamente, essere riportati a filo, accavallarsi, quindi essere chiusi da un teorico bottone come per le giacche normali. Questa considerazione è l’ultima a favorire l’asola nel petto a lancia e la prima a sconsigliarlo in quello sciallato. In questo caso, infatti, il bavero nasce come pura decorazione della scollatura. Motivare un taglio sarà più difficile, anche perché le dimensioni sono contenute e non v’è nemmeno una possibile armonia tra la curva della sciallatura e il segmento retto dell’asola. C’è però il problema della boutonniere. Poiché nella gran sera portare un fiore all’occhiello diviene desiderabile anche a chi non usa farlo quotidianamente, qualora si abbia l’abitudine di guarnirlo è giustificato - e quindi valido - il taglio di un’asola anche nel petto a scialle. Diversamente, cioè se non si amano questi vezzi o non si ha il coraggio di accedervi, meglio desistere. Tanto, un’asola si può sempre aprire dopo, mentre è impossibile eliminarla. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-01-2007 Cod. di rif: 2825 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ballabili e sinfonie - Al signor Pavone Commenti: Egregio signor Pavone, cominciamo dalla questione generale. Una certa differenza tra il Maresca che legge su MONSIEUR ed il Gran Maestro che ascolta al castello non dovrebbe affatto meravigliarLa. Le cause sono molteplici. Il Cavalleresco Ordine è un’istituzione che deve il suo potere a caratteristiche esattamente opposte a quelle di qualsiasi mezzo mediatico, ivi compresi siti internet. Un Ordine, proprio perché tale, fonda tutto su se stesso e sulla propria fede, senza chiedere nulla a nessuno. Fermo nei metodi e negli scopi, rifiuta ogni forma di compromesso. E’ infatti per natura basato su un’ideale, il che nega la mediazione come presupposto e la ammette solo come mezzo estremo. Una rivista è invece un’impresa. In quanto soggetto economico, è orientata al reddito e quindi vive con e del compromesso. Nessun periodico mensile esprime in questo momento una qualità complessiva all’altezza di MONSIEUR, ma ciò non vuol dire che sia perfetto. Una rivista non può fare oggi più che informazione e mi sembra che quella fornita da MONSIEUR sia mediamente di buon livello tanto per contenuto che per forma. Un’associazione è ben altra cosa. Finché si mantiene fedele al suo mandato, può arrivare a produrre ricerca e cultura. Vi è inoltre una differenza nell’uditorio e quindi nel rapporto con esso. Quello di una rivista è un pubblico astratto, a cui si parla in modo astratto. Qui si parla di materie specialistiche, con interlocutori concreti e su problemi chiaramente limitati da una domanda o un intervento. Qualcuno crederà che io abbia un vantaggio diretto dalle aziende di cui parlo, ma non è così. E’ la rivista che vive su quelle aziende, ed il resto è inutile spiegarlo. MONSIEUR sfrutta le mie capacità ed io sfrutto la sua fama, alla quale ho dato volentieri il mio contributo. La testata ci guadagna una penna ed io una finestra, dalla quale, di tanto in tanto, far balenare qualche segnale cifrato. Ne traggo inoltre un costante, seppur modesto, vantaggio economico. Alcuni articoli sono dei redazionali un po’ scontati, ma molte volte la direzione mi permette di parlare liberamente di argomenti che altrove non sarebbero affrontabili. Detto questo, aggiungiamo che anche su MONSIEUR l’avvocato Maresca parla ex cathedra, cioè limitando al massimo le locuzioni e le singole parole del tipo “io ritengo”. Se ha letto parecchi miei articoli, vedrà che nei migliori, che non sono poi tanto pochi, non mi pronuncio per esprimere un parere, ma per sviscerare una verità. Resta quindi un certo atteggiamento magistrale, che si differenzia da quello giornalistico perché il pennivendolo medio lascia sempre aperto quel rubinetto da cui gocciola il fastidioso pronome “io”. Secondo argomento generale: è lecito parlare di un prodotto industriale a chi sostiene quello artigianale? Risposta: Perché no? La produzione industriale ha fatto grandi progressi ed ha un’offerta ed un bacino di utenza entrambi validissimi. Qui al castello, in casa nostra, abbiamo compiuto una volta per tutte la scelta di parlare di artigianato, ma nessuno si è mai sognato di sparlare della confezione e tanto meno per partito preso. Su una rivista, l’integralismo che Lei si aspetta da me non avrebbe senso, o meglio non avrebbe spazio. Ricordi, infine, che la gente spende per i sogni e non per la verità. La verità è riservata a piccoli circuiti iniziatici, come del resto è questo in cui stiamo confabulando. All’esterno risulta sgradevole, assurda, e comunque certamente non è vendibile in edicola. Veniamo ai casi speciali. Mi sono assai meravigliato che abbiano mandato me a scrivere il pezzo su StefanoBi, che andava affidato ad una signorina dei redazionali e non ad un tipo pesante come me. Originariamente l’articolo era diverso. Un paio di papaveri mi avevano detto cosa scrivere e cosa no, ma naturalmente avevo fatto di testa mia. Ci sono stati forti attriti con Parigi ed alla fine l’editore mi ha chiesto se poteva rimuovere qualcosa ed io avevo acconsentito, dicendo che facessero loro in redazione. Alla fine ho trovato parecchio in meno, ma anche qualcosa in più. Quella ridicola storiella iniziale della Bugatti, cui mi fa piacere pensare che qualcuno creda in quanto sembra che l’abbia scritta io, è stata una sorpresa anche per me. L’avessi saputo, avrei lasciato uno pseudonimo come è avvenuto in altri casi. Fa niente. Immagino che la figuraccia vada a sconto dei miei peccati di orgoglio. Il fatto non resta comunque senza conseguenze ed in futuro vigilerò meglio. Diverso il caso della sfilata. Parlarne male sarebbe stato ingiusto per tutti. I motivi per cui la Camera non ha colto nel segno potevano inoltre essere chiari solo in un ambiente tecnico e dedicato, mentre sarebbero restati incomprensibili ad un pubblico generico. Anche su MONSIEUR non ho taciuto della mancanza di commenti che aiutassero la comprensione dei capi e li liberassero dalla condizione di mero spettacolo. Dire di più sarebbe stato ingiusto verso i singoli maestri. Ripeto che il progetto iniziale mi aveva coinvolto pienamente ed in molte occasioni ho cercato di immettere contenuti concettuali lì dove mi sembrava mancassero. Il momento storico era assai propizio per l’alba di un nuovo organismo, visto che il mestiere di sarto va – volente o nolente - verso un rinnovamento. L’uscita corale avrebbe dovuto mirare ad una riaffermazione della leadership stilistica della sartoria, ma ciò richiedeva dei contenuti che hanno ceduto il passo alla facciata. Si è così visto una sorta di vernissage dei poveri, una passerella romantica, un po’ decadente, che invece di moltiplicare l’estetica artigianale divide quella industriale volendo fare con ventimila scudi quello per cui uno stilista ne spende cinquecentomila. I sarti, uno per uno, meritavano comunque un plauso e non potevo certo essere io a negarglielo. Concludendo, mi ha fatto piacere parlare una volta tanto di questo argomento, ma spero che non si presenti più. Non è mio dovere giustificarmi, ma a fronte di qualche ballabile presto dimenticato le pagine di MONSIEUR mi hanno dato l’opportunità di diffondere qualche sinfonia durevole, terminologie e concetti che altrove non si sarebbero potuti proporre. Valuti la mia opera nel suo complesso e non tema a giudicarla male, se è questo quello che merita. In caso contrario, si fidi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-01-2007 Cod. di rif: 2834 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ambasciatori e spie - Al signor Ariot Commenti: Egregio signor Ariot, è come dice Lei. Questo il rapporto sulla frequentazione del castello primi 11 giorni di Gennaio: Totale Pagine 100.856 Totale Visite 16.830 Comprese festività, danno per questo mese una previsione di circa 50.000 visite. Molti sono abituali frequentatori e contribuenti di queste pagine. Tra gli altri molti i curiosi, gli appassionati di singole materie qui trattate, i nemici, i giornalisti in cerca di nuove o vecchie idee, nomi, aneddoti. Il caso di Panorama, evidente seppure non unico, lo dimostra in modo inoppugnabile. In quell'occasione, si trattò di un orribile plagio, mentre in altre la nostra è solo un'ispirazione, una traccia. Siamo ben contenti che altri prendano spunto dalla nostra e Vostra opera. Si tratta pur sempre di un potere, di cui l'architettura del castello tiene gran conto nelle sue scelte. Quando celebrammo il ciclo "Senza Peli sula Lingua", dedicato alla Barberia, guarda caso il Corriere della Sera dedicò alcune pagine a questa attività e riguarda caso intervistò proprio il Cirignotta, sino ad allora giovane e sconosciuto, che noi avevamo indicato come Relatore e grande esperto della materia pilifera. Contemporanemanete, anche L'Espresso (o Panorama, vatti a ricordare)sortivano con un pezzo sulla barbieria e ririririguarda caso chi figurava come campione? Il nostro Francesco Cirignotta. Questo non capita solo in Italia, ma anche in Giappone, in Germania, etc. Nel mondo vi sono circa 270 diverse nazioni. Quasi cento hanno amabasciatori (o spie) al castello. Cavallerescamente Giancarlo Maresca Cava ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-01-2007 Cod. di rif: 2842 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Necessaire da viaggio: alcuni principi fondamentali. Commenti: Egregio Cavaliere Longo, la scelta di un contenitore è determinata da due parametri: il contenuto e le condizioni d’uso. Ad essi si aggiunge il gusto personale quanto al colore ed al materiale, poiché in questi campi possono esservi delle equivalenze. Riguardo alle condizioni d’uso, che è il viaggio, va fatta una distinzione tra le destinazioni urbane tradizionali e quelle fuori dal mondo globalizzato. In questi ultimi casi occorre un disciplinare molto meticoloso degli oggetti da portare con se in rapporto alle abitudini personali ed agli scopi specifici che ci si prefiggono. Anche il reperimento di un oggetto che ci appare comune può risultare difficile ed impegnare tempo prezioso, quando si esce dal pur vasto bozzolo delle grandi reti commerciali. Dimenticare una memory card andando a Londra, ad esempio, non è certo un problema, ma acquistarla in un paesino del Peru andino può rappresentare un’impresa che costringe a spostamenti non da poco. Il necessaire per la toeletta, comunque, resta più o meno sempre lo stesso, anche se a volte vanno aggiunte creme solari. Io uso da esattamente venti anni una borsa nera in materiale tessile sintetico e molto pesante, con gli spigoli rinforzati in gomma, che all’epoca era prodotta dalla Mandarina Duck. A prescindere dalla marca, trovo molto azzeccata la divisione in due scomparti, accessibili da due zip diverse. Questi due volumi separati rappresentano, anche fisicamente, i due grandi ambiti maschili: la rasatura e la doccia o bagno. Per motivi pratici, Le consiglio comunque contenitori morbidi, ma non flosci. Meglio di quelli rigidi si adegueranno ad ogni bagaglio. Gli oggetti non sono molti e l’ingombro finale è contenuto, anche se a mio avviso sono da evitare quasi tutti gli ammennicoli “da viaggio”, portando con se esattamente le cose che si usano tutti i giorni a casa. Di alcuni, è meglio tenere un doppione sempre pronto nella trousse, mentre gli altri si aggiungeranno all’ultimo momento. Poiché mi attribuisce un’autorità in materia, ecco come mi regolo io, che del resto durante l’anno sto fuori almeno una o due notti alla settimana. Nella trousse ho sempre: lo spazzolino da denti in un astuccio apposito, il dentifricio in tubo di dimensioni normali, il sapone da barba in tubo e non in ciotola, un paio di antinevralgici (utili dopo le nottate di eccessi), un piccolo contenitore con stecche per le camicie, un paio di bottoni di ricambio, una vite per gli occhiali in caso di smarrimento e un paio di gemelli all-round per il caso dovessi dimenticare quelli più adatti alla bisogna, lame di ricambio per il rasoio, una bustina con ago e filo per i bottoni, un flaconcino di bath-foam, trasparente in modo da vedere subito se è vuoto. Nel caso, lo riempio e magari cambio prodotto secondo la stagione o l’umore, una scatola portasapone, perché detesto i saponi fluidi e negli alberghi quelli solidi sono deprecabili. Si possono anche tenere un paio di profilattici, ma chissà perché le mogli prima o poi li intercettano e allora sono use chiedere, alquanto innervosite, a cosa servano. Diciamo che questa precauzione è quindi riservata agli scapoli. Al momento di fare la valigia, operazione che in genere concludo in quindici minuti, aggiungo: forbicetta tagliaunghie, coltellino e tagliasigari. Spedisco SEMPRE anche un bagaglio che potrei portare a mano, così da non avere problemi con la security e da viaggiare più comodo, dedodorante, pennello da barba, rasoio, spazzola. Non ho capelli e quindi non uso il pettine, ma il Suo caso è diverso e potrà tenerne uno sempre nel contenitore. Non uso il dopobarba, ma Lei potrà aggiungerlo in questa fase, semplicemente prendendolo dalla mensola, come per il resto di questa sezione. Ovviamente ciascuno ha le proprie abitudini, vizi e vezzi, che possono determinare aggiunte a questo set di base. Riassumerei quindi solo i principi generali: 1) Evitare gli articoli da viaggio, in genere alquanto incomodi e talvolta ridicoli. Sulla mensola dell’albergo, le nostre solite cose ci danno inoltre molto più conforto. 2) Usare una trousse in materiale morbido, ma con una struttura sufficiente a restare in piedi quando è piena è poggiata su una superficie. Quelle molli danno luogo ad un effetto-sacco assai deprimente. 3) Optare per una trousse con doppio scompartimento, che permette di tenere tutti da una parte gli oggetti ancora umidi per l’uso. Quanto al materiale, è molto bella la pelle, ma non va bene per i perfezionisti. Si macchia subito, il che non vuol dire che diventi meno bella, ma se si sa già di andare incontro a mille noiose precauzioni per salvaguardarla, meglio evitare. I materiali sintetici hanno meno fascino, ma ne esistono di ottima qualità ed in tal caso sono ideali per lo scopo. Meglio se all’interno vi è una fodera totale o parziale in plastica. Indispensabile una piccola sezione separata totalmente impermeabile da destinare agli oggetti piccoli, le lame e gli altri oggetti da tenere asciutti, tipo la bustina di Aulin o le pastiglie di Alka Seltzer da bevitore recidivo. Concludo con una formula dubitativa sulla campagna denigratoria contro il turista. E’ vero, c’è una bella differenza tra il turista con la minuscola ed il Viaggiatore con la maiuscola, ma vi è anche la figura, dimenticata eppure alquanto importante a livello storico ed estetico, del Turista con la maiuscola. Spero di esserle stato utile in qualche modo, pur non avendo detto altro che cose di poco conto ed in definitiva alquanto banali. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-01-2007 Cod. di rif: 2844 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dimenticavo ... Commenti: Egregio Cavaliere Longo, nella mia disamina dell'indispensabile non minimo, dimenticavo il proprio profumo, proprio l'argomento sul quale ci accingiamo a celebrare un evento di una certa profondità a Milano, il prossimo 16 Febbraio. Quanto alla differenza tra turisti e viaggiatori, maiuscoli e minuscoli, verrà il tempo in cui dedicheremo un'area al viaggio inteso alla maniera cavalleresca. Ma non sarà nella Nona, bensì nella Porta dell'Azione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 25-01-2007 Cod. di rif: 2847 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: Trousse da viaggio Commenti: Egregio Signor Longo , nel caso le capitasse di passare da Lorenzi in via Montenapoleone a Milano troverà sicuramente la trousse che cerca così come descritta dal Gran Maestro : in nappa all'esterno , foderata con materiale idrorepellente all'interno , morbida , con molti scomparti , capace e adattabile a qualsivoglia bagaglio . In parole povere eclettica . Si ricordi di chiedere , se ii commesso se ne scordasse , il gancetto ( che di norma viene fornito a parte ) , utilissimo , che le consentirà di appendere la trusse in ogni situazione in modo da poter accedere agli scomparti con la massima naturalezza e comodità .Io la uso da molto tempo e la trovo eccezionale per la sua versatilita . Cordiali saluti Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Nanni Boggio Data: 28-01-2007 Cod. di rif: 2853 E-mail: nanni.boggio@virgilio.it Oggetto: TROUSSE Commenti: Egregio Signor Longo , alla sua giustificata domanda rispondo : assolutamente no .Forse ho impropriamente chiamato nappa un materiale che è solo morbidissimo vitello ( color nero o color tabacco ) peraltro non scamosciato e presumibilmente reso idrorepellente .Come Le ho detto io la uso da diversi anni ed è come nuova .Vada comunque a dare un'occhiata . Sul " tempio " , che frequento con regolarità a seconda delle sigenze ,ho comunque più di una perplessità circa le responsabilità che una "bottega" come Lorenzi dovrebbe sapersi assumere . Ma questo è un'altro discorso . Cordialità Nanni Boggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-01-2007 Cod. di rif: 2855 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Polsini e manica, un'armonia oggettiva - Risp. gesso 2818 Commenti: Egregio signor Ghislanzoni, il Cavaliere Longo ha già fatto fuori i Suoi dubbi, sistemando la materia tra tre punti fermi: 1) La manica della camicia vuole sbirciare fuori dalla giacca anche in posizione di braccio disteso. E' un suo bisogno, non nostro, sia chiara la differenza. Ecco perché queste armonie sono così importanti. Perché sono nelle cose stesse. 2) Importante, del gesso di Longo, anche l'intuizione di una proporzionalità tra la sezione esposta dei polsi e quella del collo della camicia. 3) Meglio accorciare un po' più che un po' meno. Sembra facile, ma non è. Per timore di non consegnare più la giacca e non poter recuperare ciò che si è tagliato, i sarti tendono comunque a fare la manica un po' più lunga di quanto la si chieda. Quando dirà loro: "mi tolga un altro mezzo centimetro", ciascuno di essi risponderà più o meno: "dotto', quando chiudiamo la spalla quel mezzo centimetro se lo mangia dall'alto. Lasciamo così che si accorcia lo stesso". Quasi tutti ci credono, il che spiega tante maniche lunghe in giro. Le maniche cortissime di alcuni personaggi famosi si spiegano invece col fatto che non vogliono mai essere colti dal fotografo con la manica intrusa. Un singolo scatto, infatti, può cogliere una posizione in cui anche un polsino che normalmente era estruso si è ritirato dentro la manica. Faccia quindi sempre attenzione quando posa per un ritratto: uno sguardo al nodo della cravatta ed uno alle maniche. Vorrei essere così dilegente da ricordare anch'o questo consiglio. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 29-01-2007 Cod. di rif: 2856 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Taglio della giacca Commenti: Egregio Gran Maestro, Le chiedo per cortesia di illustrare brevemente le tecniche più diffuse di taglio della giacca, magari classificandole per stile, ove possibile. Incluse le giacche di confezione per un confronto. Non dimenticando di sottolineare gli aspetti positivi di ciascuna tecnica e quelli negativi. RingraziandoLa anticipatamente porgo cavallereschi saluti. Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-02-2007 Cod. di rif: 2873 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lo spacchetto dei pantaloni - Al Cav. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, per i motivi che ho già analizzato nella Posta del Gran Maestro, lo spacchetto manifesta le sue virtù con i pantaloni a vita piuttosto alta. Questa tipologia vive un momento di bassa fortuna ed anzi sembra identificare non solo una certa età, ma una certa accettazione dell'età che è a sua volta inaccettabile dal sentire comune. Per questo di spacchetti se ne vedono pochi, almeno sino a quando una telecamera non inquadrerà un calciatore o qualche altro salvatore della Patria che lo mostri con orgoglio, riscattandone i peccati. Quanto alla sua comodità, io che nell'ultimo anno ho oscillato di sette-otto chili non saprei farne a meno. E' ovvio che gli effetti si fanno sentire per intero se lo spacchetto scende sino al livello della base dei passanti, dove in genere corre la cintura. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-02-2007 Cod. di rif: 2874 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due perplessità - Risp. al sig. De Veiga (v. Taccuini 3008/9 Commenti: Egregio signor De Veiga, prima di esaminare le Sue perplessità devo farLe rilevare qualche imprecisione nell'uso degli strumenti del castello. Gli Appunti, cioè i testi redatti nei Taccuini, sono in relazione diretta con l'immagine ad essi allegata. In genere non si utilizzano per formulare domande, a meno che l'oggetto non sia illustrato. In futuro, usi la Lavagna così come è stata usata dai Visitatori che Le hanno riposto. Visitatori, non avventori. Quest’ultimo termine è in uso nel Caffè del Dandy, per ovvi motivi. Certo, queste norme non sono che un gioco, ma è proprio il gioco, a differenza della realtà, che vive di regole. L'ottimo signor Corbey si è già espresso in merito ai temi da Lei proposti con serrate argomentazioni, tecniche e storiche. E’ ovvio che allo smoking sciallato attribuisco tutta la dignità negatale dall’illustre Visitatore, ma questo non vuol dir nulla. Lo stile di questo luogo permette, anzi chiede di esprimere la propria opinione senza contestare quella altrui. Le discussioni sul torto e sulla ragione sono alquanto deprimenti e non giovano alla ricerca, lasciando le cose al punto di partenza. Veniamo all’argomento, anzi ai due argomenti che proponeva negli Appunti nn. 3008 e 3009. Quanto alla scelta dei pantaloni flat front, l’analisi di Corbey è inappuntabile e pertanto si può concludere per una sostanziale diritto di questa soluzione a comparire anche negli abiti formali. Aggiungo che la ricchezza delle pinces conferisce comunque una solennità particolare, che può essere gradita o meno e che va comunque tenuta presente. Distinguevamo tempo fa sulla tripartizione degli stili sartoriali secondo quelli architettonici. Potremmo dire che nell’impostazione “dorica”, cioè grave, le pinces diano il meglio. Lo “ionico”, cioè la ricerca di un effetto verticalizzato, può farne a meno. Il “corinzio”, che più o meno è l’estetica in cui alla centralità della struttura si aggiunge qualche dosato dettaglio decorativo, può giovarsi indifferentemente dell’una o dell’altra soluzione. Quanto all’uso del collo alla diplomatica, concordo pienamente con Corbey. Viste le sue origini, va riservato ad abiti la cui origine e stile sia cronologicamente compatibile. Naturalmente, Lei potrebbe aver dimostrato il contrario con una soluzione imprevista. Il genio è sempre in agguato, pronto a sovvertire leggi che proprio per questo è sempre meglio considerare come un orientamento e non come un recinto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-02-2007 Cod. di rif: 2879 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una soluzione rara e validissima: i cinturini laterali Commenti: Egregio Cavaliere Villa, se non ha mai usato le bretelle è probabilmente perchè non Le sente adatte alla Sua persona, all'immagine che le Sue scelte estetiche taducono nello stile personale, ovvero che il Suo stile personale traduce in scelte estetiche. Quando si usano bretelle, lo spacchetto è sempre opportuno. Ed anche con la cintura, rappresenta comunque un'utile "riserva" cui attingere al momento di un cambio di taglia. Con la figura e la stabilità di peso di cui gode, credo che potrebbe fare un pensierino ad un'altra soluzione classica: i cinturini laterali. La loro tensione necessita di un bustino chiuso, sicchè dovrà eliminarsi lo spacchetto. I cinturini laterali donano una pulizia suprema, una libertà sia dalle bretelle che dalla cintura, purché i pantaloni siano ancorati nel punto naturale della vita, lì dove le osse offrano il migliore appiglio. Nonostante la loro bellezza, comodità e pulizia, dobbiamo notare come siano sempre meno usati nella sartoria italiana, mentre restano abbastanza comuni in quella inglese. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-02-2007 Cod. di rif: 2880 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cabina armadio - Al cav. Longo Commenti: Egregio Cavaliere Longo, alla costruzione della mia cabina armadio ho effettivamente dedicato un'attenzione estrema. Il solo disegno mi è costato almeno una settimana di lavoro, tempo che in nessun modo vedo possibile ridurre. Gli esempi che vede in commercio sono - come Lei nota - assolutamente ridicoli. E' ovvio che gli architetti cercano, sia nel "pronto" che nel "su misura", di produrre un effetto estetico disgiunto dal risultato pratico. Essi badano all'armonia di un volume con gli altri volumi, non alla loro funzione specifica. Ogni misura è assunta in relazione ad altre misure, non a alla qualità ed ingombro dei materiali cui il singolo spazio è destinato. Credo che risulti per loro inconcepibile abbassarsi a misurare quanto è larga una calza, quanto è lunga una cravatta ripiegata, quanto sia alto un cappello. Ne risulta un disegno astratto, non delle risposte concrete alle esigenze reali e individuali. Invece è proprio da queste che si deve partire. Ovviamente, attenendosi a quel che serve, si verificheranno degli sfalsamenti che all'occhio di un architetto sono degli errori. Ma se uno ha più pantaloni che giacche dovrà porsi il problema: assegno loro uno spazio uguale per motivi di simmetria o mi baso su quello che effettivamente ho? Io ho scelto la seconda soluzione, realizzando qualcosa che ovviamente va bene per me e non per un altro. Nella mia cabina armadio vi sono trentanove cassetti, mentre in quelle che disegna l'architetto ce ne saranno al massimo una dozzina, piuttosto grandi e profondi in modo da essere il meno utili possibile. Poiché il tutto funziona molto bene, mi sento di spingerla su questa strada. Un piccolo trucco consiste nel non partire dal suolo, ma lasciare da terra una luce che permetta di ricoverare in basso delle scatole-contenitore o farvi rifugiare qualche paio di scarpe e pantofole correntemente in uso. Cassetti o ripiani all’altezza del suolo sono molto scomodi, quindi meglio utilizzare quel livello per questo uso. Non dimentichi un settore per le calzature, con delle barre gemelle dove poggiarle, leggermente inclinate. Per il resto, alla moglie va assegnato lo spazio maggiore, al marito una parte più piccola, ma di quello migliore. Quando avrà una pianta dello spazio disponibile ed avrà tracciato un primo piano-base, me ne mandi una scannerizzazione. Vedrò di esserle maggiormente d’aiuto sulla base di riscontri pratici. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-02-2007 Cod. di rif: 2883 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Metodi di taglio - Risp. gesso n. 2856 Commenti: Egregio Cavaliere Bassan, i metodi con cui si sviluppano i tracciati per vestire il corpo di un uomo o di una donna possono essere distinti in tre specie: PROPORZIONALI – Quelli in cui i punti fondamentali di appoggio detti appiombi, la quadratura, l’altezza e la larghezza, sono ottenuti interamente calcolandoli come proporzioni di una misura-base, che generalmente è quella del torace. SEMI-DIRETTI – Questi metodi impostano il tracciato con il metodo proporzionale e poi ne modificano lo sviluppo applicando quelle che si dicono misure di controllo. DIRETTI – Abolendo proporzioni e quindi approssimazioni, sono quei metodi che riportano direttamente la superficie del corpo sul tracciato. Teoricamente si eviterebbe ogni punto fisso, calcolo o proporzione. Dico teoricamente, perché un metodo diretto puro è alquanto inusuale. Nella storia della tecnica di taglio, si è partiti da una grande diffusione dei metodi proporzionali e semi-diretti, ma dagli anni trenta in poi i migliori Maestri hanno trovato che l’applicazione delle misure di controllo richiedeva comunque un alto numero di prove ed una certa incostanza nei risultati. Piuttosto che prendere ed applicare scrupolosamente una misura di controllo che sballava tutto il sistema proporzionale, specie nei punti critici dell’incollatura, del giro, della nuca e dell’appiombo generale, meglio era abbandonare completamente l’impianto proporzionale. Partì quindi una stagione d’oro per le misure dirette, che in definitiva non sono altro che un complesso organizzato di misure di controllo, indipendenti da un sistema proporzionale. Ordinate in modo logico, le misure dirette sezionano il corpo in varie parti e ne riportano il tracciato su una superficie piana. Il corpo non viene più “supposto”, come nei metodi proporzionali, ma riprodotto. E’ ovvio che un metodo proporzionale, se applicato da un Maestro dotato di un occhio eccezionale, darà dei risultati veloci ed impeccabili. La sapienza e l’esperienza aggiustano l’impianto sin dall’inizio, evitando di provare molte volte. Oggi, poiché la velocità è valore assoluto per l’artigiano e per il cliente, si ha un ritorno ai metodi proporzionali e semidiretti. In essi, come abbiamo visto, ha un’importanza decisiva il talento. Molte sartorie usano gli stessi schemi “su-taglia” della confezione o del su-ordinazione. E’ una perdita in termini storici, ma non sempre in valori estetici. Quando l’occhio del sarto è preciso e quello del cliente è deciso e ben orientato, i risultati sono splendidi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-02-2007 Cod. di rif: 2906 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Altezza delle cifre - Risp. Gesso n. 2899 Commenti: Egregio signor Zanin, come riveleranno alcune mie foto, sulle camicie non uso cifre. Vedo però che questa abitudine è in grande espansione ed assume nuove sfumature di significato. Lei stesso ha riscontrato quanto sia in voga ricamarle in qualsiasi posto: dal polso, al collo, al taschino. L’abbigliamento è un linguaggio in continua evoluzione ed in questo momento di passaggio è difficile mantenere uno sguardo sereno. Come ha visto dagli interventi che il Suo gesso ha generato, l’interesse si sposta facilmente verso l’affermazione di una posizione, piuttosto che nel rispondere ad una domanda. La sua, piuttosto chiara, riguarda l’eventuale esistenza di una “regola aurea” in materia. Ebbene, le grandi camicerie di una volta usavano sistemarle all’altezza del quinto bottone dall’alto. Quanto alla posizione, la tradizione non ammette altro che la sistemazione frontale, con la civettuola variante del taschino per le mezze maniche, ovviamente estive. In questi tempi aulici, non si immaginavano ancora le camicie button-down in combinazioni formali e quindi il taschino non conosceva ancora come erano fatte giacca e cravatta. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-02-2007 Cod. di rif: 2913 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La tolleranza dei maestri Commenti: Egregio Pugliatti, sono felice di vederLa tornare alla laboriosa tolleranza che faticosamente il castello ha creato e mantiene come un prezioso patrimonio. Ancorché Lei non sia un Cavaliere del nostro Ordine, qui è considerato un Maestro e questa è condizione sufficiente per esserlo, ma che comporta delle responsabilità. Ricordo, a questo proposito, alcuni principi che credo non siano mai stati pubblicati al castello. Sono tratti dall'opera sul Gilet del Rettore Dante De Paz, edita dalle Officine della Biblioteca Cavallerescale. DIECI CAVALLERESCHE REGOLE PER LO STUDIO DEI CAPI DI ABBIGLIAMENTO (di Dante De Paz) Regola N. 1) Mai dare per scontato il significato di un termine e verificarne l’origine E’ questo il significato ed il valore della RICERCA ETIMOLOGICA: dietro al nome di un capo c’è sempre qualcosa di molto profondo e peculiare, che illumina tutta la sua storia. Regola N 2) Immaginare ogni capo come versatile, (vedi il concetto di “CLASSICO INTERNAZIONALE” esposto nelle nostre Lavagne ed eventi), ascoltando i consigli e studiando le regole per poi disertarle appena comprese. Anche queste, naturalmente. Regola N. 3) Lasciarsi consigliare da chi sa, tuttavia individuando e rispettando quei criteri autenticamente sentiti come importanti, che rispettino e forgino un gusto personale. Regola N. 4) Accettare i propri difetti e allenarsi allo studio estetico delle fogge relativamente alla persona. L’eleganza è più perfezionamento di quanto sia creazione. Regola N. 5) Non consegnare la risoluzione dei nostri problemi di abbigliamento al denaro, restando consapevoli che se di solito le cose belle costano più di quelle brutte, molto spesso quelle brutte sono altrettanto care di quelle belle. Regola n. 6) Accettare l’importanza delle materie prime e con esse il fatto che difficilmente i bei tessuti, frutto di un’arte antica quanto l’uomo, sono poco costosi. Regola n. 7) L’assenza di cultura rende l’uomo sgraziato, decaduto nel gusto. Dunque coltivare l’intelletto e lo spirito di osservazione. Da questa deriva la regola 8. Regola n: 8) Il Cavaliere non è mai ignorante. Regola N. 9) Identificare i maestri. Infine regola N. 10) Poiché nulla nasce per caso, ma è frutto della ricerca umana, rispettare i maestri che ad essa si dedicano. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-02-2007 Cod. di rif: 2920 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni per bretelle ed interno dei pantaloni - Al Cav. Vill Commenti: Egregio Cavaliere Villa, portando i bottoni delle bretelle troppo in basso, si facilita lo svirgolamento della parte superiore. Ritengo quindi che sia meglio sistemarli al centro del bustino, ovviamente cuciti abbastanza profondamente da non essere fissati alla fodera, quanto alla tela interna. Quest'ultima può essere di varia natura, secondo il pantalonaio. Alcuni, come Salvatore Ambrosi, dispongono di una tela rigida che forse non sarà gradita a tutti, ma a chi usa le bretelle evita al cento per cento l'antiestetico rigirarsi del bustino, piuttosto comune sulle taglie robuste. Anche la fodera esterna ha il suo peso, in tutti i sensi. Oggi è invalso l'uso di foderare il bustino con cotoni per camiceria. Bello, ma inconsistente. La tradizione prevedeva una balza di materiale apposito, spesso e con una superficie scabra, che grazie all'attrito evita alla camicia di salire ed ai pantaloni di scendere. Altra soluzione è la fodera in cotone per le tasche. cercherò di illustrarle tutte nel Taccuino Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-02-2007 Cod. di rif: 2921 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: sartoria romana - Al signor Tranchida Commenti: Egregio signor Tranchida, la sartoria napoletana ha generato una quantità consistente di invenzioni, così omogenee ad un progetto estetico complessivo che si può parlare di un vero e proprio stile. La sartoria romana ripete una lezione che non si basa su fogge particolari ed è pertanto, come Lei ben la definisce, una scuola. Il concetto centrale sono la medietà e la sobrietà. Il Caraceni milanese abbonda nelle lance del doppiopetto? Il sarto partenopeo abbonda nei baveri del petto singolo? Il sarto romano riduce l'uno e l'altro alla media ponderata nazionale. La manica è ricca, ma non importante. La giacca è morbida, ma non drappeggiata. La spalla non è quella ridottissima di certa sartoria napoletana tradizionale, né quella scultorea abruzzese/milanese, ma una spalla giusta, appena aggettante. Non è naturale, non è costruita. La spiombatura non è vertiginosa ed evidente come nella giacca napoletana, quasi liquida, ma nemmeno impone una cubatura solida come quella di certe "torri" inglesi degli anni passati. I quarti si aprono appena appena. I baveri sono la parte peggiore. Per rifuggire dagli eccessi, finiscono spesso per essere anonimi. E' assai improbabile che nasca a Roma un sarto maschile veramente grande e forse non ce n'è mai stato nessuno, se non d'importazione. In cambio, ancor oggi, nella capitale non è difficile avere una bella giacca "politically correct". Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-03-2007 Cod. di rif: 2943 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre pezzi difficili . Risp. al sig. Pavone (Gessi 2923-2927) Commenti: Egregio signor Pavone, non conosco la Sua corporatura o la Sua età. Non so se vesta abitualmente in giacca o meno, né quali siano i Suoi colori. So che si sposerà col caldo, ma non so se la cerimonia avrà sfoghi esterni o tutto si svolgerà al coperto, tra chiesa e ristorante. Una chiesa c’è, perché la definizione di “romantico” prevede la cerimonia religiosa. Non solo, perché questa parola fornisce preziose indicazioni sui Suoi gusti ed aspettative. Altre vengono dal secondo parametro che intende rispettare, quello della sobrietà. Con questi dati alla mano, esaminiamo le Sue domande: 1) Che tessuti scegliere ? 2) I bottoni come devo sceglierli ? 3) Come deve essere la costruzione di giacca-pantaloni-gilet ? 4) Cosa dice di un abito grigio, pettinato, con gilet grigio chiaro ? 1) Pettinato fine di 9 once (circa 270 gr/m). Non di meno, non di più. Con il nome di “pettinato fine” indico una categoria la cui descrizione è così fornita nel fascicolo “TESSUTI” edito dalle Officine della Biblioteca Cavalleresca: “I PETTINATI FINI La ricerca di abiti sempre più leggeri non si spiega interamente con la diffusione dell’aria condizionata o l’effetto serra. Altrimenti anche le calzature dovrebbero essere più fresche, mentre vediamo che in piena estate i giovani calzano comunemente grosse scarpe allacciate alla caviglia e le donne addirittura gli stivali. Lasciando l’argomento alle riflessioni individuali, va detto che la ricerca di velli, filati e tessuti più sottili è un dato di fatto dal quale non si può prescindere e che comunque ha cause ed effetti sia negativi che positivi, come tutte le cose umane. Il progresso tessile è stato sollecitato da un mercato che individua come discriminanti due caratteristiche ben precise: morbidezza e leggerezza. Sono nati così nuovi tessuti con caratteristiche molto simili, che si possono definire col nome di pettinati fini. Si tratta di una categoria attualissima, una frontiera alla quale giungono tuttora nuovi pionieri. Ne fanno parte i twill a batavia o a levantina derivati da lane merinos di buona o superiore finezza, con un finissaggio molto curato e mirato ad ottenere superfici luminose. Per questo non passano per il follone se non per un robusto ed abbondante lavaggio. I pettinati fini partono dai 180 grammi al metro ed arrivano intorno ai 300, con un orientamento formale che rispecchia lo spostamento dell’immaginazione maschile verso uno sportivo diverso dalla giacca. In genere i più leggeri sono a levantina, armatura che consente una migliore lavorazione dei filati di titolo elevatissimo. I pesi inferiori ai 210 grammi, più o meno sette once, appaiono dei virtuosismi di pura tecnica, in quanto rinunciano necessariamente a standard minimi di robustezza che fanno parte del bagaglio ancestrale del tessuto. Tra le sette e le otto once abbiamo il regno degli estivi puri, mentre i pesi intorno ai 250/300 grammi hanno una versatilità che li rende validi tutto l’anno e sono pertanto il prodotto più importante del momento. Morbidi e leggeri, secondo le due principali leggi dell’abbigliamento pratico, questi tessuti si presentano tutti molto bene, ma alcuni possono avere una tendenza a stazzonarsi troppo o a traspirare troppo poco, nonostante il peso ridotto. Bisogna quindi saper scegliere e non solo guardare nomi e numeri in cimosa. Un segnale allarmante viene dal fatto che questa famiglia di tessuti venga spesso definita come foulard, che tecnicamente è il nome di una fase eventuale del finissaggio. Si tratta di un bagno in prodotti chimici (solfiti estremamente nocivi per l’ambiente) che conferisce al tessuto un bel drappeggio, luminosità ed un tatto fresco e scorrevole. Il geniale uovo di Colombo o la drammatica soluzione di Faust? L’impiego massiccio del nome fa capire quanto questa pratica sia diffusa, ma occorre sapere che questo procedimento può simulare in superficie ciò che non esiste in profondità, con risultati per nulla duraturi.” Nel Suo caso sceglierei una stoffa con un minimo di follatura, quindi con la diagonale leggermente “coperta”. In alternativa al "pettinato fine", potrebbe orientarsi su una "punta di spillo", tessuto armato a tela che ha una superficie che da lontano appare unita e da vicino è "rinfrescata" da minuscoli puntini più chiari. in ogni caso, ribadisco i limiti di peso. Gli invitati scenderanno a otto once o meno, ma Lei resterà irremovibile sulle nove. Con quell’oncia di peso in più e con un’ombra di luminosità in meno, guadagnerà terreno verso uno dei Suoi due obiettivi: la sobrietà. 2) I bottoni saranno in corno nero, lineato “32. 3) Il completo sarà grigio scuro. Quando si dice scuro va considerato il gradiente stagionale, cioè le condizioni di luce e di umore, di origini cosmiche, per le quali ciò che è scuro a Giugno è medio-scuro a Gennaio e viceversa. Giacca a due bottoni, senza spacchi posteriori e senza pattine alle tasche, completamente foderata in leggera piuma di Bemberg antracite. Le maniche con fodera a righine, naturalmente. Petti piuttosto ampi, scorrevoli, che lascino vedere due bottoni del gilet tradizionale nello stesso tessuto, con due tasche e senza pattine. Piuttosto corto, ma non accollato, potrebbe avere anche cinque soli bottoni, secondo la Sua altezza. Pantaloni a due coppie di pinces, ma abbastanza asciutti, come oggi in uso. Il fondo sia proporzionato e possibilmente senza risvolti. Quest’ultima privazione, se la vive come tale, non è proprio necessaria, ma potrebbe rivelarsi determinante per il tocco finale. 4) Per i motivi già esposti dal signor Corbey, eviterei il gilet chiaro sotto il severo grigio che l’attende.Il blu, colore che dona molto al fisico proprio perché lo mette in risalto, Le è precluso dalla Sua stessa volontà romantica. Understate e silenziosità saranno gli strumenti con cui ottenere ciò che vuole. Si attenga a questo programma anche per la scelta di camicia, scarpe, gemelli, fazzoletto da taschino, calze e boutonniere. Le bretelle avranno meno importanza, in quanto coperte dal gilet. Ricordi che il gilet in Giugno può essere un duro cimento, specie con un abito un’oncetta più pesante di quello degli invitati. Qualora Lei non sia un veterano dell’abito completo, in possesso delle tecniche materiali e spirituali per resistere al calore, si alleni per tempo o riconsideri tutto. Non vorrei apparire scortese con chi non lo merita, ma qualora dovesse togliersi la giacca eviti poi di ripassare da queste parti. Sia chiaro che lo dico come incoraggiamento e non certo per sminuirLa. Cavalleresche felicitazioni per le nozze. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-03-2007 Cod. di rif: 2949 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora su un matrimonio - Al sig. Pavone Commenti: Egregio signor Pavone, sempre a proposito del Suo imminente matrimonio, riporto gli ulteriori quesiti che poneva col gesso n. 2945. "Un dubbio : al mio sarto con tessuto pettinato fine dovrei chiedere una specie di tasmania fine?" tasmania non è il nome di un tessuto, ma un marchio. La differenza è nel fatto che il primo fa parte del patrimonio culturale di tutto il mondo tessile ed il secondo del patrimonio economico di una singola casa. Chiamare "SPORTEX" un tessuto, riportandosi ai criteri che resero famoso questo tessuto, non offre alcuna garanzia scientifica. Il titolare del marchio può infatti disporre, come in effetti è avvenuto, un cambio sostanziale della sua "ricetta". Lo stesso dicasi col nome "tasmania". Certo, allo stato attuale si tratta di una sorta di paradigma dei pettinati fini, ma in futuro, cambiando i gusti, il nome potrebbe essere mantenuto con altri contenuti. E' per questo che occorre riferirsi ai nomi utilizzati dai lanifici e dagli addetti ai lavori, non a quelli commerciali. L'introduzione piuttosto recente della tipologia di cui ha letto la definizione nel brano estratto dall'opuscolo "TESSUTI - Una grammatica minima, un'arbitraria antologia", edito dalle Officine della Biblioteca Cavalleresca, non ha ancora permesso il consolidamento di un nome tecnico universalmente accettato. Credo che quello di "pettinati fini", recentemente pubblicato anche nel volume che ho curato per l'antico lanificio Vitale Barberis Canonico, sarà il nome "scientifico" di questo prodotto ed il fatto che sia nato in ambito cavalleresco la dice lunga sull'influenza della nostra ricerca. Per farsi capire dal Suo sarto, che al pari dei colleghi quasi certamente non è un conoscitore di tessuti, potrà usare la dizione "Tasmania", ma dentro di se dovrà sapere qual'è il valore di questo termine. In alternativa ai pettinati fini, di cui troverà un'offerta ricchissima, suggerivo la "punta di spillo", molto meno comune. Per capire meglio di che si tratta, ne illustrerò qualche campione nel Taccuino. "Una domanda : la cravatta come la sceglierebbe con quello che mi consiglia?" Trattandosi di un matrimonio serale, andrà bene un tessuto pesante tinto in filo. Eviterei quelli in grigio perla unito e favore di quello che si chiama "grisaille", cioè il jacquard con un buon contrasto tra fondo e disegno, con questo in bianco immacolato. Pesante la seta, leggeri gli interni. Nodo mezzo windsor molto serrato, così non avrà problemi con le eventuali riprese. Il resto è confermato. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-03-2007 Cod. di rif: 2951 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: E' l'abito che fa la primavera - Risp. gessi 2931 e 2950 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, la luce che svela questo e tutti gli altri segreti non è mia. Essa viene dall'alto ed è proprio ciò che dobbiamo guardare, assorbire, comprendere, utilizzare. In primavera non aumenta solo la temperatura, ma anche la luminosità. Il sole si trattiene in cielo più a lungo e più in alto, estraendo dalle stesse cose significati diversi da quelli che esprimevano nell'ombroso inverno. Solo dopo questa premessa, mi rivolgo all'amatissimo Cavaliere Longo per segnalargli che nella tradizione maschile i pantaloni antracite, quelli che prende come punto di partenza, rappresentavano in primavera una vera e propria bizzarria. Lo so, oggi pensiamo a questa privazione di colore come naturale, ma se prendessimo a caso cinquecento foto scattate nelle primavere comprese tra il 1930 ed il 1960, non troveremmo più di tre spezzati che si basino su un grigio così scuro. E' questo ciò che rende la ricerca così ardua: cercare nella tavolozza classica un abbinamento con un colore che - contrariamente a quanto appare ai moderni - non è classico per nulla, almeno non come spezzato primaverile. Un’altra difficoltà è rappresentata dal peso. Una stoffa di mezza stagione ha un mezzo peso, cioè compreso tra quello invernale e quello estivo. Oggi viene proposto dai sarti, che di tessuti sanno pochissimo eppure vengono considerati come validi consiglieri, un devastante concetto di abito quattro-stagioni. Si tratta di aberrazioni perniciose, contrarie ai fondamentali principi che reggono sia il macrocosmo delle sfere celesti che il microcosmo dei nostri umani sentimenti. La stagione non è solo un fatto di temperatura ed anche se questa è stabile, anche se la primavera venisse meno come fenomeno climatico, resterà tale fino a quando l’uomo la riterrà attiva attraverso le sue scelte. Non è la primavera che fa l’abito, ma l’abito che fa la primavera. Tale è la responsabilità che l’uomo che veste, che mangia e che agisce in modo stagionale si assume: quella di determinare, per tutti e non solo per se stesso, il ciclo delle cose. Abbandonare le abitudini alimentari, diluire la tradizione tessile con abiti multitasking, comporta la fine dell’universo così come è stato sempre concepito, cioè così come è: ciclico. Di fronte a questa responsabilità, a questo potere, il Cavaliere non tentenna. Egli sa, anzi di più: crede. E ci vuole un po’ di fede per giungere dove stiamo arrivando, cioè alle giacche che cerca l’ottimo Longo. Penso che sui pantaloni scuri che egli predilige andrebbero a fagiolo qualche gunclub dal fondo chiaro, qualche shetland pastello, anche degli harris chiarissimi e sfoderati. Si tratta di tessuti poco usati, ma un prode non si ferma di fronte a queste difficoltà. Quando il mondo le vedrà, saprà che è tempo di zeppole di san Giuseppe, di fave fresche, di pennichelle e di risvegli. Cavallerescamente saluto Lei e Longo Giancarlo Maresca P.S. Proverò ad illustrare nel Taccuino qualche proposta concreta ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-03-2007 Cod. di rif: 2953 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camiceria napoletana a Milano - Risp. sig. Zambianchi Commenti: Egregio signor Zambianchi, con il gesso n. 2917 mi chiedeva di una camiceria artigiana a Milano. Ho atteso qualche giorno ed ora ho buone notizie per Lei. Apre oggi, 7 Marzo, un gagliardo salotto milanese di una delle manifatture più apprezzate a Napoli, quella di Piccolo. Per quanto ho potuto conoscere personalmente, la famiglia è alla terza generazione nel settore, ma potrebbero essere di più. In ogni caso, la casa è serisima ed offre le migliori garanzie ad un costo ragionevole. Piccolo, da non confondere con l'omonimo Salvatore Piccolo, ha il negozio portabandiera a Napoli, in Via Chiaia n. 41, dove dispone di una varietà di tessuti impressionante. Si va da lui per acquistare le stoffe al dettaglio o all'ingrosso, ma è anche una camiceria affidabilissima. I costi vanno dai 180 ai 230 scudi, secondo la scelta del materiale. A Milano hanno acquistato un appartamento in Via Gentilino n. 5 (zona Corso S. Gottardo), che sarà gestito come atelier di camiceria su misura dal giovane e dinamico Sabatino Piccolo. Per appuntamenti o informazioni chieda di lui, il telefono è 02.89408559. La manifattura prevede i classici sette passaggi a mano. I colli possono essere scelkti tra quelli collaudati o persdonalzzati a piacimento. Gli interni a scelta: adesivi o liberi secondo i gusti. Ci faccia sapere, senza nulla tacere, delle impressioni generali e dei risultati in particolare. Cavallersamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-03-2007 Cod. di rif: 2964 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il premio e la via. Commenti: Mistici Cavalieri, inestimabili Visitatori, sembra che con il Suo geniale intervento sulla primavera il Rettore abbia spinto nella direzione giusta ed acceso non solo le discussioni, ma una rinnovata voglia di approfondire i misteri. E' quello che noi chiamiamo ricerca, l'infinito avanzamento nell'infinita conoscenza. Emerge dagli ultimi Gessi ed Appunti come il vestire sia un gesto nel quale dire e fare sono contemporanei. Mentre esprime noi stessi, una giacca genera un'atmosfera che si estende oltre se stessa. In questo senso, mi spingevo a dire che è l'uomo a creare la primavera. Se immaginiamo una veranda protesa sul mare, ci vengono alla mente varie soluzioni estetiche, ma ciascuna influenzerà tutto l'ambiente e qualcuna più di altre. E' per questo che partiamo sempre dal classico. Se sappiamo gestire la forza che gli antenati hanno depostitato nella tradizione, se riusciamo ad essere attuali partendo dalle origini, così come suggerisce De Paz, allora disponiamo di un potere immenso. L'ambiente e la stagione suggeriscono in quale direzione cercare, ma la scelta dell'Uomo di Gusto modifica la realtà e la ricrea. Tornando ai suggerimenti cromatici, pensiamoci nel posto giusto, al momento giusto e con il giusto abbinamento di colori, tessuti e fogge. Nella sua sapiente complessità, tutto appare semplice e silenzioso, eppure il gesto estetico ha una terrificante influenza sul contesto. In questa immagine che andiamo vagheggiando, le cose non sono più esattamente le stesse per il solo fatto che le vedremo e suggeriremo di vederle in modo diverso. Non perda di vista il singolo ricercatore a quale altezza sia situato il premio per aver trovato, anche una sola volta, la via. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 21-03-2007 Cod. di rif: 2974 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Taglio della giacca parte II Commenti: Egregio Gran Maestro, osservando il taccuino 3167 (giacca dorica) si nota che la giacca di sinistra presenta un taglio che dal petto prosegue oltre la tasca sino al fondo della gonna. In sartoria è "lecito" un taglio siffatto? Oppure è tradizione che sotto le tasche non vi siano "tagli"? La domanda mi sorge spontanea anche in relazione al famoso "fianchino" delle giacche inglesi che abbiamo osservato a Firenze. Nel ringraziarLa Voglia gradire cavallereschi saluti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-03-2007 Cod. di rif: 2976 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chemisier, alias scemiss - Risp. Gesso n. 2972 Commenti: Egregio signor Migliaccio, il capo che Le ha proposto il bravissimo Maestro Sorrentino (me lo saluti affettuosamente)ha una gloriosa tradizione. In italiano si chiama spolverino, ma all'ombra del Vesuvio il suo nome si scrive in francese chemisier e si pronuncia "scemiss", con un accento sulla doppia esse finale che solo la lingua napoletana possiede. La formula di questo soprabito da mezza stagione prevede un taglio raglan o anche con manica a giro, lunghezza appena al ginocchio e grande semplicità nella costruzione, con tasche a filo o anche a giubbino, ma con petto e bavero. In genere si preferiscono tessuti di lana dall'aspetto "freddo" e luminoso come jaspé, covert, cavalry twill. Il peso deve essere quello di un abito e non superiore, altrimenti si avrebbe un cappotto e non uno chemisier. Deve quindi porsi queste due domande: 1 - Il tessuto è veramente più pesante di un abito? In caso affermativo, la foggia sarà quella di un normale cappotto, con fodera completa e tutto il resto. 2 - Il peso è un fenomeno in larga parte personale. Qualora rientri nei limiti che è Lei a stabilire e non il sarto, cioè quelli entro i quali si sentirebbe a suo agio nell'abito, deve porsi un altro quesito, o meglio effettuare un'ulteriore verifica: oltre al peso, il tessuto ha la mano, la flessibilità, la vestibilità per un abito? In caso affermativo, proceda inflessibile verso un bel tre bottoni o un doppiopetto da paura. In caso contrario: che scemiss sia. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-03-2007 Cod. di rif: 2977 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Combinazione di stili - Risp. Gesso n. 2973 Commenti: Egregio signor Bellucco, poichè il blazer del Primo Guardiano è in un hopsack navy blue, quindi piuttosto scuro, la foto allegata all'Appunto n. 3167 non rivela che la giacca ha cinque tasche, tutte applicate. Due basse, un ticket pocket (in una versione attualizzata e leggermente più profonda, quindi in pratica un phone pocket per ospitare il suo classico Ericsson)e due taschini al petto. Il fazzoletto, quindi, può esservi inalberato a destra o a sinistra indifferentemente, secondo l'estro. La foggia è ideale per viaggio e tempo libero. Le tasche, come ha potuto verificare, non sono sottolineate da impunture e quindi - essendo peraltro tinta su tinta senza disegnature o motivi - si vedono assai poco. Pertanto il capo è utilizzabile anche in situazioni lavorative, purché si sia il capo. Quanto alla fusione tra dorico e ionico, la combinazione di questi e di altri stili non è affatto rara. E' anzi la forma in cui siamo abituati a vederli. La gran parte dei diamanti proviene da miniere scoperte a livello del suolo. Non è estrarli il problema, ma isolarli dalle impurità, interpretarli, quindi tagliarli e lucidarli perché sia infine proprio l'artificio a rendere veramente visible il progetto della natura. Trovare due foto di pure giacche doriche indosso a persone viventi non mi è costata poca fatica. Se invece cercassi una combinazione tra i due stili, basterebbe che mi affacciassi alla finestra. Il Suo programma è quindi non solo realizzabile, ma più semplice del previsto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-03-2007 Cod. di rif: 2980 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il ruolo dei pantaloni nella tripartizione stilistica Commenti: Egregio Cavaliere Villa, i pantaloni si stirano in piano, rivelando di mancare di un vero volume. E' la giacca che ha bisogno di attrezzi sagomati, proprio perché è "costruita" in tutte le direzioni e dimensioni, compresa quella del tempo. Infatti, solo un sarto può veramente stirarla e non semplicemente acciaccarla. Cercare nei soli pantaloni un riferimento architettoni sarebbe quindi un po' artificioso, se non lezioso. Non per questo i pantaloni possono essere trascurati. Nel dorico, ionico e corinzio non si è codificata solo la colonna, ma anche fregi e modanature. Allo stesso modo, va sottolineato che il carattere di uno stile non si attinge con la sola giacca, ma con la combinazione corretta tra essa ed i pantaloni. Ho trascurato questo aspetto per evitare disquisizioni troppo cavillose e sofisticate, lasciandolo per ulteriori approfondimento. Ovviamente, l'uomo di gusto se ne rende conto senza che io dica alcunché. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-03-2007 Cod. di rif: 2982 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pince lunga e fianchino - Risp. Gesso n. 2974 Commenti: Egregio Cavaliere Bassan, la cucitura di cui parla (giacca Gattagrisi all'Appunto n. 3167) non è altro che la parte inferiore della pince lunga, tipica della sartoria partenopea e comunque in uso anche presso maestri non napoletani. Il "fianchino" è una parte staccata, completamente indipendente. Poiché consente di definire meglio la taglia, è un tipo di costruzione tipico della confezone o di quella sua evoluzione che qui abbiamo battezzato "su ordinazione". La pince è invece una ripresa, cioè un taglio che ottiene una certa sagomatura lasciando comunque il tessuto, in questo caso il davanti della giacca, in un sol pezzo. E' quindi un sistema legittimo della lavorazione del vero su misura, non un espediente per evitarla. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-03-2007 Cod. di rif: 2986 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tasche e taschini - Risp. Gesso n. 2984 Commenti: Egregio signor Bellucco, il ticket pocket, o phone pocket, come abbiamo chiamato la versione ampliata dal primo Guardiano Parisi per le sue personali esigenze (usa lo stesso cellulare da molti anni e ne ha una scorta per il futuro), si è reso più utile con l'introduzione dello scudo europeo e con esso dei centesimi che appesantiscono e tintinnano fastidiosamente se lasciati liberi in tasca. I grandi clienti chiedono - e le grandi sartorie realizzano - un taschino di fodera interno alle tasche perché simili piccoli pesi metallici siano protetti, isolati e portati in punti esteticamente neutri. E' bene averli anche in combinazione col ticket pocket, per riporvi accendini, contafili, coltellini ed altre mattizie maschili, imprevedibili come il gusto ed innumerevoli come gli individui. Proprio per non interferire con l'uso di questa seconda, minuscola, nascosta bisaccia, è bene che quella superiore si fermi fuori e ben sopra la tasca. Per quanto riguarda l'altra faccendo, nella storia si sono avuti esempi di ticket pocket a filo su tasca applicata. Potremmo anche dire, però, che a lungo andare si è visto di tutto. Io sono dell'avviso che quando si scelga la via delle tasche applicate, tutte debbano seguire la stessa linea, anche se magari quelle basse hanno ikl soffiettoe quelle alte no. Possono quindi esservi differenze nella foggia particolare, ma non nell'impostazione generale. Per quanto condiviso da molti, si tratta comunque di una visione che non rappresenta una legge. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alberto Caroggio Data: 23-03-2007 Cod. di rif: 2988 E-mail: albertocaroggio@yahoo.it Oggetto: Un abito in tiratura limitata Commenti: Egregio Rettore, nell’edizione dello scorso mese di febbraio della rivista Class, a pag. 167, viene presentato un abito la cui didascalia recita testualmente “abito monopetto tre bottoni in tessuto esperidi…, in edizione limitata a 80 pezzi in tutto il mondo, Canali (12.000 euro)”. Sono propenso a ritenere che nell’indicazione del prezzo di vendita, per un errore di stampa, sia stato inopinatamente aggiunto al medesimo uno zero di troppo. Il riferimento però allo specchietto per allodole della scarsa tiratura dell’abito a livello mondiale, mi induce al contrario a ritenere che di errore non si tratti. Sarebbe così cortese da potermi spiegare che razza di tessuto è tale “ESPERIDI”, per giustificare una tale inusitata quotazione dell’abito, che all’occhio di un profano quale io sono pare essere un banalissimo super o qualcosa del genere. Con ossequio. Alberto Caroggio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2007 Cod. di rif: 2992 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Talarico, actually Commenti: Egregio signor Pavone, l'ombrellaio Mario Talarico deve la sua notorietà proprio al Cavalleresco Ordine e ne conosco bene storia ed attività. Dopo essermi tanto impegnato perché questa bottega avesse quel futuro che Lei dice, sembra che le cose non vadano tanto bene. Non per il prodotto, che resta di altissimo profilo e tra i pochi al mondo di produzione completamente artigianale, ma per l'organigramma. I due "nipoti", che in realtà erano dei dipendenti, hanno lasciato il maestro. Forse si metteranno in proprio, o chissà cosa, fatto sta che il Mario è tornato solo come un tempo. A causa di ciò i prezzi sono anche un po' aumentati, ma restano pienamente giustificati. Le rivelerò che negli anni ben due persone mi avevano chiesto di fare da mediatore con Talarico. Volevano acquistare l'intera azienda, affidarla alla mia art direction e farne un marchio internazionale. Sarebbe stato un ottimo affare per tutti, ma Talarico non volle vendere. Credo che ora la pensi diversamente, ma la mancanza di una mano d'opera già qualificata renda il tutto meno appetibile. Non per i clienti, che qualora le cose restino come stanno si troveranno in mano oggetti irripetibili. Mario Talarico non è un giovanotto, non ha figli e per ora neppure apprendisti, sicchè i suoi ombrelli sono destinati ad entrare nella storia. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-03-2007 Cod. di rif: 2995 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ritorno del futuro - Al Signor Pavone Commenti: Egregio signor Pavone, sembra che i mali di cui dicevamo non siano venuti per nuocere. L'acquisizione di Mario jr, questa volta veramente un nipote del maestro, è avvenuta in tempi recenti e non avevo avuto modo di verificarne modi e talento. Prima lavorava esternamente e saltuariamente, ma da un giorno all'altro ha assunto il suo ruolo di bastone (tanto per restare in tema) della vecchiaia e ricambio generazionale naturale. Poiché l'importanza del caso lo richiedeva, sono andato a far visita al laboratorio di Talarico ed ho visto che tutto va meglio di prima. Il giovane apprendista si chiama proprio come lo zio, cioè Mario Rosario Talarico e sembra aver ereditato il talento del nonno. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo: a Vico Due Porte a Toledo il futuro è ritornato. Sia ben chiaro, però, che la qualità non se ne era mai andata. Anche da solo, il buon Mario è sempre in grado di realizzare il più bell'ombrello che attualmente si veda al mondo. Potremo tutti vedere un'intervista in cui compare anche il giovane Maro Talarico giovedì prossimo su RaiUno. Dovrebbe andare in onda tra le 14 e le 15. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-03-2007 Cod. di rif: 3002 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Principi sottili Commenti: Egregio signor Leonardi, è veramente difficile dire quale peso possano avere dei codici tacitamente tramandatisi di generazione in generazione, ora che il ruolo del vestire è cambiato. Norme non ne esistono, anche se sulle riviste e sui libri si sprecano decaloghi e divieti. Vi sono dei principi molto sottili, ma qui non ne abbiamo mai voluto parlare per timore che la loro stessa delicatezza li facesse infrangere appena sussurrati Lei si diverte e questo è uno degli scopi principali dell'avventura estetica. Poiché coglie questo obiettivo, nessuna critica Le si può muovere. Pensi però che per far giungere sino a Lei delle fogge in cui lei trova qualcosa, fossero anche dei dubbi, molti uomini le hanno caricate di significati scegliendole con metodo, indossandole con rigore, spesso godendo della castità dove e quanto Lei gode nella poligamia. Quegli uomini non si rigirano affatto nella tomba, anzi sono ben lieti che qualcuno suoni ancora la loro musica. Anche se gli strumenti sono cambiati. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-03-2007 Cod. di rif: 3004 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due risposte al Gesso n. 3000 Commenti: Egregio signor Cagnoni, pur non negandone la rilevanza, qui al castello ci si interessa poco dei costi e si investiga piuttosto sulle origini, la natura, il significato degli oggetti. Ciò comporta implicitamente un giudizio di valore, ma da quando lusso, qualità e prezzo si sono divisi, il valore ed il costo hanno sempre meno contatti. Anche per questo lo sguardo cavalleresco è rivolto al mondo artigianale, dove maggiormente si conservano le qualità più importanti della qualità: la durata e la funzioanlità, quest'ultima intesa anche come rispondenza alle esigenze speciali di ogni individuo. Quanto alla prima domanda, va detto che una questione in termini di valore si pone. Sino ad oggi, la Edward Green utilizza materie prime più pregiate e tecniche di costruzione mediamente più costose della Church's. Un principio di motivazione, quindi, sussisterebbe. Quanto poi alle politiche di marketing, che possono spostare il cursore un po' oltre la giusta sintonia, sono cose che non spetta a noi giudicare. L'Ordine ed il castello si interessano al prodotto, non alle aziende. La domanda sulla camicia contiene una grave imprecisione. Sarto è colui che produce il capospalla, mentre chi cuce camicie si definisce camiciaio o, genericamente, artigiano. Non sembri una puntigliosità sterile o una pedanteria accademica. L'uso dei termini corretti è fondamentale, in qaunto evita il propagarsi di false verità o di ambigue certezze. Una camicia artigianale è assai difficile da riconoscere da una semindustriale, perché i processi si sono molto avvicinati. Anche grandi stabilimenti, dotati di macchinari importanti, sono in grado di realizzare i più importanti passaggi manuali: cucitura dei bottoni, asole, mosca, ribattitura del giro manica, travetti ai polsi ed anche applicazione del collo. Diciamo che nella camicia artigianale è possibile una personalizzazione totale, cioè una definizione della linea su-misura e non su-taglia. La differenza però, non è apprezzabile, che dal cliente stesso. Vi è un solo dettaglio che è un buon indice: il collo con tele non adesive, usato in genere dai laboratori artigiani. Non piace a tutti e infatti molti chiedono le tele adesive anche all'artigiano. Inoltre, il grande progresso nei macchinari e nel taglio ha permesso a grandi manifatture di realizzare camicie di qualità assoluta anche su vasta scala. Cavalereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 04-04-2007 Cod. di rif: 3015 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Gessi 3000 e 3004 Commenti: Egregio signor Cagnoni, mi permetto di fornirle alcune ulteriori informazioni per precisare la risposta del Gran Maestro. La Church's ha 600 dipendenti e produce giornalmente 900 paia di scarpe. Il suo prodotto è tipicamente industriale, la materia prima utilizzata è definita "corrected-grain leather" cioè una pelle iniettata di una sostanza plastica per correggerne le anomalie. Questa procedura fa sì che la pelle perda molte peculiari caratteristiche tra cui quelle termiche. E' intuibile che con queste dimensioni sia possibile godere di notevoli economie di scala (cioè i costi fissi di produzione vengono ripartiti su di un gran volume riducendone l'incidenza per singolo paio di scarpe) e di qui il costo più basso. Edward Green ha 40 dipedenti e produce 60 paia di scarpe al giorno; utilizza solo la migliore materia prima (raramente riscontrabile anche presso gli artigiani che lavorano su misura), la lavorazione è artigianale (ma su forma e non su misura: quest'ultimo servizio al momento non è più disponibile in quanto l'artigiano che lo forniva si è messo in proprio). Per inciso le forme utilizzate da Edward Green restano tra le migliori, quanto a comodità e bellezza, che si possono incontrare; alcune delle quali risalgono agli anni trenta (vedi la forma 202). Edward Green basa la propria politica di marketing sul servizio al cliente (possiede solo due negozi uno a Londra in Jermyn Street 75 ed uno a Parigi presso Old England, Boulevard des Capucines 12 - dove si viene "coccolati"). In una recente visita a Northampton con lo scudiero Segattini siamo stati ricevuti in fabbrica dalla direttrice di EG signora Hilary Freeman per tre ore e mezzo: abbiamo visitato l'intero processo di produzione, ci hanno preso le misure dei piedi, abbiamo provato decine di modelli, eccetera. Quando una EG necessita di un tagliando la si spedisce a Northampton e viene completamente riparata (anche la tomaia) e ricondizionata (mentre le Church's vengono mandate in un laboratorio qui in Italia). Da queste poche informazioni mi auguro risulti chiaro che il costo unitario di produzione non può essere paragonabile. Cavallereschi saluti, Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 05-04-2007 Cod. di rif: 3021 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: Edward Green Commenti: Egregio Cavaliere Villa, la storia di EG è piuttosto tribolata come pure è tribolata la storia della scarpa inglese. Sul finire degli anni Ottanta EG venne acquisita sull'orlo del fallimento per £ 1,00 da John Hlustick un imprenditore designer. Egli si prefisse di costruire le migliori scarpe indipendentemente dal prezzo. Da allora ebbe inizio il rilancio: le vecchie forme vennero "rivitalizzate", così pure come i vecchi modelli e se ne introdussero di nuovi. Purtroppo negli anni Novanta Hlustick prematuramente scomparve per cui in E Green si cercò un designer al fine di poter continuare l'attività. E' in questo momento che un abile artigiano, consulente di calzaturifici con qualità di designer, venne assunto. Si tratta di Tony Gaziano che come contropartita volle reintrodurre in EG il bespoke. Venne accontentato. Gaziano fece a mio avviso un lavoro magnifico: migliorò le vecchie forme (202 e 606) e ne introdusse di nuove, più moderne ed eleganti di origine bespoke (prima la 82 e poi la 888). Poi, l'anno scorso decise di mettersi in proprio e fondò con un socio la Gaziano & Girling: ditta dedita al su misura ed al pronto di alta gamma. Vedi http://www.gazianogirling.com/ Nel frattempo in EG è stato chiuso il servizio su misura ed è stata reintrodotta la linea Top Drawer (che esisteva già ai tempi di Hlustick e poi cessata per far posto al bespoke). Questo servizio praticamente è iniziato ora e mi è stato anticipato con la brochure in anteprima dalla direttrice Hilary Freeman lo scorso febbraio. Le scarpe della linea Top Drawer sono confezionate solo da 4 operai e le rifiniture sono paragonabili al miglior su misura esistente. Sono costruite sempre su forma in legno ma è possibile apportare piccole variazioni di taglia come pure è possibile disegnare le proprie scarpe (utilizzando le forme EG). Particolarmente curata è la lavorazione della suola e la lucidatura. Restando a disposizione per ulteriori delucidazioni, voglia gradire, cavallereschi saluti. Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giorgio Bassan Data: 10-04-2007 Cod. di rif: 3033 E-mail: giorgio@studiobassan.net Oggetto: EG al cav. Villa Commenti: Egregio Cavalier Villa, EG è una piccola realtà indipendente (da gruppi del lusso e/o grossi investitori) e gode di ottima salute finanziaria. In cantiere vi è anche l'introduzione di una linea femminile (di tipo inglese tradizionale). Concludo rimarcando il fatto che -come giustamente rileva Nick Foulkes nel numero di marzo di GQ UK- EG ha sempre migliorato nel tempo il livello qualitativo del prodotto per cui una volta tanto non dobbiamo rimpiangere il passato ... Cavallereschi saluti, Giorgio Bassan ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Bondi Data: 16-04-2007 Cod. di rif: 3053 E-mail: gianlucabondi@tiscali.it Oggetto: Polo shirt Commenti: La bella stagione è arrivata, qualcuno tra lorSignori potrebbe aiutarmi al fine di non cadere in deprecabili errori di bon ton relativamente al corretto utilizzo delle polo in piquet?Si tratta di un classico e come tale degno di apprfondimento.Meglio con i chinos o una flanella leggera?Meglio a manica corta o a manica lunga?Su misura esistono?E nel pronto quali sono le Case che danno qualche garanzia?Lacoste, Fred Perry, etc.? Ringrazio i colti frequentatori per l'aiuto ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 17-04-2007 Cod. di rif: 3056 E-mail: sperelli8@email.it Oggetto: Solino e dandysmo americano Commenti: Esimio Gran Maestro, in funzione ed in aiuto alla sua meravigliosa serie di gessi sul solino staccabile, vorrei farle notare quattro personaggi che, a tutt'oggi, portano il solino quasi abitualmente: Tom Wolfe, Philippe Daverio, Karl Lagerfeld, Doran Wittelsbach. Quest'ultimo non è celebre come gli altri tre, ma già ne parlai sul Brogliaccio del Dandy, sebbene ancora non conoscessi il suo nome autentico; egli tiene un blog interessantissimo, ricco di immagini e spunti rari, con lo speudonimo di Aubrey Weirdsley. Personalmente non potrei definirlo un dandy, piuttosto un "hep cat", ovvero uno di quegli eccentrici amanti del vintage puro, come in USA ne esistono molti, e che presto conoscerò a New York. Infatti già da tempo intrattengo un carteggio con "Lord" Whimsy, autore newyorchese di un libello sul dandismo stampato solo nel nuovo continente. Whimsy è uno scrittore che conosce e catalizza un po' tutti questi curiosi personaggi, ed ogni tanto fa qualche conferenza sul dandismo là nelle Nuove Indie. Mi ha spiegato che in USA il dandismo è così concepito: ritorno al passato tout-court, senza concessioni al presente: si va da uno stile tipico del terzo quarto dell'Ottocento, fino agli anni Settanta del Novecento, nei casi più "moderni". Ciò spiega dandies americani come Wolfe e Wittelsbach, direi. Per quanto il dandismo sia di nascita europea, non v'è dubbio che anche in America ha fatto la sua comparsa, sebbene in forma differente. Perché no, in fondo? Noterà anche lei, così come l'ho veduto io, che Wittlesbach e gli altri non conoscono le regole dell'abbigliamento, e, in generale, appaiono sempre un poco approssimativi e stazzonati, nonostante i loro abiti d'epoca. E' che sono pur sempre americani, e questo è difficile da cambiare. Le riferirò un fatto che ha confermato la mia impressione: parlando di simili personaggi con Sorrel di abbigliamento vintage, ella notò che i miei abiti "antichi" sono tutti ritoccati dal sarto, al fine di rendermeli come cuciti addosso (per quanto possibile!); ammirò molto questo particolare dacché, mi disse, gli americani in generale, anche quelli più raffinati, badano al "disegno" di un abito (doppio o mono petto, tre quarti, nortfolk, etc...), al tessuto, al colore, allo stile e all'epoca - ma non sanno dire se una giacca sta "a pennello" o casca da tutte le parti: si incontrano uomini orgogliosissimi del loro completo originale degli anni '10, che però è loro largo, o è stretto, ha le maniche lunghe, i pantaloni bassi, e via di seguito... Manca la cultura di ciò, e credo si sia persa con l'andare del tempo a partire dal secondo dopoguerra. Le invio qualche immagine di Wittelsbach, e la rimando anche agli appunti 362-364 del Brogliaccio, nonché al sito: http://www.lordwhimsy.com/trifles/miscellany.html Cordialmente Massimiliano M. di Coggiola ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 25-04-2007 Cod. di rif: 3085 E-mail: luigi.lucchetti@ragroma.it Oggetto: Fodera Commenti: Quale vostro simpatizzante mi affaccio per la prima volta a questa lavagna per chiedere consiglio a persone che reputo competenti e di gran gusto. Mi sto facendo confezionare un abito in lino irlandese, con pantoloni bianco-uovo e giacca di un blu un poco più chiaro del midnight e, comunque, non tendente all'oltremare. La giacca sarà a due bottoni (avrei optato per la madreperla bianca) con revers a lancia e tasche a filo. Ho un dubbio sul tipo e sul colore della fodera e, forse, sulla necessità della medesima, essendo il lino irlandese un tessuto non troppo "floscio" ancorché tenuto a bagno una nottata prima di essere lavorato. Il sarto mi ha proposto una classicissima fodera bordeaux. Trattandosi di un'abito estivo, ho la sensazione che il colore della fodera che mi è stato porposto sia invece più adatto a giacche invernali o autunnali. Vorrei restare su un territorio di classicità, ma non disdegnerei di osare, purché con stile. Per completare il quadro al fine di meglio orientare i consigli, aggiungo di essere un under 50 con fisico atletico e che frequento gli ambienti dei circoli sportivi della capitale. Cosa mi consiglierebbe il Gran Maestro, il Rettore o gli altri Cavalieri? Ringrazio anticipatamente per le cortesi risposte e mi auguro che il tema possa risultare d'interesse per altri visitatori di questa lavagna, che non esito a definire una scuola (se non ormai l'unica) di stile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-04-2007 Cod. di rif: 3077 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il metodo cavalleresco Commenti: Sommo Rettore, animosi Cavalieri, prodi Visitatori, il castello venne edificato alla fine del 1997, quando la rete era ancora un sistema lento e limitato, sia nel numero che nelle categorie degli utenti. Si trovava all'indirizzo www.noveporte.com e c’erano già gli "instrumenta" del Fumo e dell’Abbigliamento, la colonna degli Eventi, gli Atti ed una presentazione dello spirito dell’Ordine. La gestione era solo interna e nessuno poteva intervenire. Per simboleggiarne l’isolamento, il tutto sorgeva in mezzo al mare. Il 22 Marzo del 2002, dopo un lavoro di quattro mesi su un progetto che prevedeva di terminare le prime strutture alla fine del 2011, il vecchio castello veniva abbandonato perché ne sorgesse un altro, questa volta al www.noveporte.it. La nuova fortezza non era più concepita come un possedimento d’oltremare, ma come sede del Cavalleresco Ordine. Il primo castello celebrava il modo con cui pensavamo a noi stessi ai tempi in cui eravamo qualcosa di simile ad una setta, chiusa ed orgogliosa della propria esclusività. Il secondo interpretava gli scopi che ci eravamo dati con la fondazione per atto pubblico, in cui venne deciso che i tesori che avremmo scoperto ed accumulato non potevano restare sepolti. Sebbene non facilmente raggiungibile, tetro e minaccioso per allontanare i curiosi e comunque piazzato in un luogo dove anche col cielo sereno scoccano lampi furiosi, il nuovo castello sorgeva comunque sulla terraferma e consentiva di accedervi e lasciarvi una traccia. La posizione inequivocabile, assunta recentemente dal Rettore di questa Porta, mi spinge ad aprire una parentesi che possa illuminare meglio il senso dell’opera cavalleresca in questa sua sede. Il castello è concepito come un'accademia in cui il metodo prevale sul risultato, in quanto è esso stesso il risultato che si persegue. Non è mai stato necessario esplicitare alcun criterio, perché l’esempio e la vigilanza sulle forme sono sufficienti a influenzare sia l’atteggiamento che i contenuti di ogni intervento. Così, Cavalieri, Simpatizzanti, appassionati, insomma tutti i Visitatori, hanno collaborato alla pari alla raccolta di un patrimonio comune il cui valore comincia ad essere apprezzabile, ma che sarà chiaro a tutti solo tra alcuni anni. La cultura di massa non è che ciò che la massa chiama cultura. In realtà si tratta solo di informazione, cioè il peggior nemico della cultura autentica. Sempre alla ricerca di competizione, di allori, di spettacolo, di punti fissi cui appendere vuote bisacce, il meccanismo dell’attenzione popolare, incapace di fermarsi a lungo in un luogo per scandagliarlo a fondo, mentre sembra sforzarsi di capire qualcosa, in realtà si adagia in una paradossale celebrazione del "meglio". Qual è la migliore pizza, la migliore cravatta, la migliore barca? Come gioco di società è passabile, ma quando sono proposte come sentenze il Cavaliere sa che le risposte a tali domande sono pericolose chimere, fuochi ingannevoli per attirare le navi dei cattivi marinai nelle secche di un desiderio prestampato. E’ una via che conduce alla compilazione di guide, la cui staticità e atomizzazione rivela una natura quantitativa. Non a caso, molte guide su sigari, vini e ristoranti utilizzano un sistema di votazione numerico. Ebbene, Tommaso d'Aquino, che la sapeva molto più lunga delle associazioni di sommelier, sosteneva in merito che "numerus stat ex parte materiae", il che significa che laddove compaiono cifre - e potremmo aggiungere marchi - un principio quantitativo si è arrogato il diritto di stilare una gerarchia qualitativa. La gerarchia stessa, implicando una posizione e quindi una numerazione, ha una connotazione quantitativa. E’ per questo che il Rettore ed altri maestri sono evidentemente riluttanti a fare nomi o dichiarare preferenze. Già, maestri. Di che si tratta? Mentre un’università è affidata ai professori, un’accademia è tale sino a che vi sono maestri. La prima conferisce titoli spendibili immediatamente, la seconda stimola e presuppone l’acquisizione di un atteggiamento che coinvolge l’intera personalità. Nessuno entri qui che non sia geometra, ammoniva la leggendaria scritta sulla porta della scuola di Pitagora. Essere per capire, capire per essere, questo è il metodo accademico. E il meglio, qui come altrove, ora come sempre, è in ciò che è sottinteso. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-04-2007 Cod. di rif: 3089 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lino: abbinamenti e fodere - Risp, gesso n. 3085 Commenti: Egregio signor Lucchetti, innanzitutto, se può ancora disporre della stessa pezza di lino, faccia confezionare sotto la giacca anche i pantaloni. Un completo in lino blu è un imperativo del guardaroba, anche se quello che si usa maggiormente è in tonalità più chiare di quella che Lei ha selezionato. Per quanto appaia naturale, lo spezzato tutto in lino, come quello blu/bianco che ha ordinato, non ha invece piena cittadinanza nell'ambito del grande classico. Un'attenta osservazione del migliore passato Le proverà che gli abbinamenti tradizionali prevedono, sui pantaloni in lino, la giacca in lana o seta. Guardi ancor oggi il principe Carlo. Vedrà che, sotto il doppiopetto sciolto in lino irlandese, indossa pantaloni in drill di cotone. Lei ha tutto il diritto di tentare nuove strade, anche se è un po' tardi per inventare ed oggi la vera innovazione è nel recupero della purezza. Immaginiamo, quindi, che prosegua nel Suo progetto. La giacca in lino andrebbe completamente priva di ogni fodera, anche alle maniche. Questa costruzione sfoderata richiede più tessuto e più lavoro, sicché, se è troppo tardi per sceglierla, faccia ridurre la fodera privandone almeno la schiena e lasciandola sulle spalle e alle mostre. Il colore? Il bordeaux è da blazer, ma il lino è troppo rilassato per generare un vero "effetto blazer", essendo questo capo di origini militari. O cambia il tessuto e si fa confezionare la giacca in shantung (ma saremmo di nuovo al punto di Partenza), o sceglie un altro colore. In questo momento, trovo che le fodere in contrasto siano diventate un modo troppo popolare di trasgredire. Quindi la sceglierei in tinta, ma potrebbe anche abbinarla ai pantaloni, quindi bianca. Ineccepibili i bottoni in madreperla bianca nel caso della giacca isolata, ma dovrebbe sostituirli con il blu qualora scegliesse la via del completo Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: sergio diana Data: 26-04-2007 Cod. di rif: 3087 E-mail: sergio.diana @siemens.it Oggetto: gessato lapo elkann taccuino cod 2969 Commenti: Con riferimento al racconto del taccuino cod 2969 vorrei avere maggiori informazioni sul tessuto gessato indossato da lapo elkann nella foto alla consolle ed eventualmente sapere chi lo produce e dove si può acquistare. Nel ringraziarvi anticipatamente per le vostre risposte invio i miei più cordiali saluti sergio diana ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 28-04-2007 Cod. di rif: 3092 E-mail: luigi.lucchetti@ragroma.it Oggetto: Fodera giacca lino Commenti: Ringrazio l'avvocato Maresca per il competente e tempestivo suggerimento. Anch'io ero dell'idea della non necessità di una fodera o, al più, di far applicare una fodera in tinta o meglio bianca alla giacca di lino blu, ed avevo pensato che il bianco fosse un modo di osare. Invece scopro inimmaginabili sintonie col pensiero del Gran Maestro. Che stia imparando qualcosa nel frequentare virtualmente i cavalieri? Al Cavaliere Pugliatti confermo le sue sensazioni sul ritorno al due bottoni con revers a lancia: ne sono un testimone, ancorché inconsapevole. Nell'ultimo anno mi sono orientato sempre più verso questa soluzione stilistica, ancorché questa sia fonte di una dialettica anche vivace col sarto, ancorato alla sua rispettabilissima idea di eleganza virile classica. Forse è proprio vero quanto si è sostenuto più volte su questa lavagna, che è la comittenza esigente a far crescere gli artigiani. Saluto ambedue con cordialità. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-04-2007 Cod. di rif: 3096 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gessati di Lapo Elkann - Risp. gesso n. 3087 Commenti: Egregio signor Diana, il tessuto dell'abito di lapo Elkann di cui all'Appunto n. 2969 è un pettinato fine, cioè un tessuto con armatura diagonale la cui struttura è quella di una flanella pettinata, ma con un aspetto più brillante per l'uso di velli raffinati e la scarsa o nulla follatura. Anche il peso, rispetto alla flanella propriamente detta, è mediamente più basso. Il termine "pettinato fine" è stato coniato dalla scuola cavalleresca e non si è ancora affermato in modo decisivo, ma un buon drappiere capirà di che si tratta. Purtroppo non so darLe indicazioni specifiche del campionario dve cercare. Poiché Le è piaciuto il genere, posso però inserire nel Taccuino un collage in cui Lapo Elkann indossa un altro gessato e anche quello stesso abito, ma con una risoluzione più dettagliata. L'Appunto assumerà il n. 3268. Spero che altri possano aver veduto quel tessuto o altri simili e segnalargliene i dati. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-05-2007 Cod. di rif: 3107 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due bizzarre teorie Commenti: illustrissimo Rettore, potenti Cavalieri, saggi Visitatori, dopo una relatività ristretta al parallelo con i tre stili architettonici (V. Appunti nn. 3167, 3168 e 3185), con le ultime tappe del “Viaggio nel Doppiopetto” (Appunti da 3278 a 3281) si inizia a delineare nel Taccuino una Teoria della Relatività Generale Estetica che vorrei qui formulare in modo chiaro, anche se non definitivo. Partiamo dalle note sul doppiopetto. La comprensione di quest’ultimo non coincide con una valutazione in termini di pregio estetico, non si può raggiungere con un’analisi puramente stilistica e tecnica, per quanto accurata, ma richiede anche una lettura emotiva dei contenuti che la storia, o per meglio dire gli uomini, vi hanno depositato. Alla base della teoria vi è la considerazione che la risposta alla vista di una giacca o di un cappello dipende anche dai ricordi che, anche inconsciamente, possono risvegliare. In molti capi vi è un corredo fatto di episodi, personaggi, foto, disegni e atmosfere, che non è stato immesso dallo stilista o dal sarto, ma dagli uomini che lo hanno indossato. Guardando un doppiopetto a larghe gessature molto marcate ci viene da pensare inevitabilmente al mondo dei gangster, che stampa e cinema hanno riccamente illustrato e arricchito di leggende e miti. Questo meccanismo emozionale è automatico. Il critico deve conoscere quanto meglio possibile la sua dinamica, perché solo in questo modo potrà vedere attraverso schermi che fermano l’occhio comune alla superficie. Un giubbino a frange fa western non perché lo porti scritto da qualche parte. Siamo proprio noi, che lo portiamo scritto nella memoria. La storia ed i suoi personaggi, le moltitudini silenziose, i media, hanno generato e continuano ad alimentare immensi depositi alluvionali di icone. Ad un certo punto ed in certi casi, queste concrezioni diventano collettivamente riconoscibili. Negli anni ’50 portare un basco significava evocare un’atmosfera parigina a-la-page, vagamente snob e culturalmente schierata, perché qualcuno lo aveva visto sul capo di Sartre o qualche altro esistenzialista francese. Poi lo calzò Che Guevara e qualcosa è cambiato. Il nostro occhio, ovviamente, ma con esso il basco stesso, visto che il basco non esiste come tale, senza qualcuno che lo guardi e lo riconosca. Ne concludiamo che il giudizio estetico non dipende da evidenti fattori matematici e tecnici, ma in larga misura da correnti nascoste, da richiami sottili. La TRGE sta dando dei frutti con l’applicazione pratica allo studio del doppiopetto, che in questo modo si approfondisce e si arricchisce non poco. Purtroppo, per poterle semplificare le cose vanno affrontate nella loro apparente complicazione. Nel sondare i sedimenti archetipici del doppiopetto, si sono rivelati degli strati omogenei la cui classificazione conduce ad un’analogia impressionante con la musica. E’ come se il doppiopetto si esprimesse suonando su una tastiera suddivisa in ottave diverse, serie di tasti che ripetono la stessa scala di note. Una volta pubblicata, anche quest’altra teoria che potremmo definire “musicale” appartiene a tutto il Castello e chi tra i Visitatori la trovi utile strumento di ricerca potrà contribuire a metterla a punto sia con ulteriori scoperte che tramite l’individuazione di nuove note o addirittura di intere ottave. Nel metodo qui seguito, il confronto e la ricerca di gruppo sono insostituibili. Per ora è stata isolata una prima ottava, detta “ottava cattiva” in quanto i suoi registri sono stati depositati nell’immaginario del doppiopetto da gangster violenti, superagenti ambigui, magnati spocchiosi. Guardando un doppiopetto che per qualche motivo evoca quel look, da qualche parte nel nostro cervello si accende una spia. I suoni di questa ottava assumono un tono che va dall’allarmante allo sgradevole ed anche l’eventuale ammirazione per i risultati validi risulta appannata dall’arroganza. La nota più acuta di questa ottava è la sfrontatezza, la più grave è l’autoritarismo, ma ve ne sono chissà quante intermedie. Secondo la “Teoria Musicale del Doppiopetto”, la successione delle note resta la stessa, ma se suoniamo un “DO” su una ottava o sull’altra, il risultato è diverso. Gli stessi tasti che come sequenza corrispondono all’autoritarismo o al bruto egocentrismo, in un’altra zona della tastiera generano il suono dell’autorevolezza o dell’isolamento intellettuale. Qualcosa del genere abbiamo visto con l’Appunto n. 3281, dedicato a Giulio Andreotti. Il suo doppiopetto, chg all’inizio era solo “politico”, tra tanti della stessa specie, diviene una bandiera nazionale quando gli altri lo abbandonano e infine un distintivo personale, un compiaciuto segno di distacco nella vecchiezza trionfale. Nel commento già appare evidente che siamo fuori dalla prima scala “cattiva” e siamo nella seconda. Poiché comincia con l’autorevolezza immessa o cercata da politici e imprenditori, la chiameremo “ottava pesante”. Già si vede chiaramente, infatti, che il suo contenuto è fatto di potere e di altri valori, personaggi e spunti ingombranti, ambiziosi. La natura della terza, l’”ottava leggera”, si evince per contrasto e complemento della precedente. Non so se vi siano altre scale e mi affido allo spirito ed al metodo accademico del castello per contributi, intuizioni, commenti che possano mettere a punto questa cavalleresca teoria. In realtà è così bizzarra che potrebbe essere non solo campata in aria, il che per una teoria mi sembra regolare amministrazione, ma inutile o dannosa. Nel caso, lo scopriremo. Cavallereschi saluti a tutti i ricercatori e Visitatori Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-05-2007 Cod. di rif: 3112 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Preziosa glossa di Claudio Catalano Commenti: Egregio architetto Catalano, la Sua glossa subito chiarisce e quindi arricchisce la Teoria Estetica di cui al gesso n.3107. L'abbiamo chiamata delle Relatività Generale in quanto tende appunto dimostrare che il principio attivo di un abito non è tutto nell'abito stesso, ma anche o soprattutto in ciò che richiama per relazione. Ciò porta alle conclusioni da Lei brillantemente riassunte parlando del ruolo catalizzatore dell'individuo quanto ad significato. Esso proviene da lontano, da un passato comune, da un'immaginazione condivisa. Viene poi trasmesso all'osservatore tramite le scelte del singolo, che a loro volta in parte evocano ed in parte sono evocate e determinate dalla storia personale. La maggior parte prende più di quanto non dia, cioè utilizza il mezzo significante per i propri scopi espressivi senza generare quasi nulla di nuovo. Altri, nel momento i cui prendono, danno un corrispettivo immettendo nel flusso universale del materiale utile. Altri ancora, le grandi personalità dotate di stile, indipendentemente dal valore assoluto e quindi dal fatto di essere Eleganti, immettono nuovi archetipi belli e pronti. E' possibile prendere senza lasciare nemmeno una traccia, un'orma, ma lo Spirito che tutto attraversa non si lascia attraversare impunemente. E' inconcepibile che anche l'azione del più insignificante utilizzatore di significati non lasci qualcosa, fosse anche il solo peso di un granello di riso che, sommandosi nel tempo o con la moltitudine, contribuisce al Tutto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-05-2007 Cod. di rif: 3120 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Al signor Caprari Commenti: Egregio signor Caprari, nessuno qui vuole giungere a determinare cosa sia più bello e soprattutto cosa sia bello e buono per tutti. In quest'area lo stile si studia, non si impone e nemmeno si propone. Quei modelli che non Le piacciono sono oggetto di analisi e non piacciono nemmeno a molti di coloro che li analizzano. Questo metodo di studio impone alcuni criteri scientifici anche a chi, come noi umanisti, non fa della scienza il rimedio universale. Mi colpisce del Suo ultimo gesso il tono irriverente e la distanza che prende non tanto dal dorico, ma dalla sua definizione. Definire è sempre un limite, ma è necessario ai fini della reciproca comprensione. Se poi ha delle definizioni alternative, Le suggerisca e le motivi, così come sono motivate quelle che ha già trovato. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-05-2007 Cod. di rif: 3124 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatta al matrimonio - Risposta al gesso n. 3116 Commenti: Egregio signor Cagnoni, non sapendo nulla della sua età, mi baso sull'uso delle virgolette sulla parola classico per immaginarLa piuttosto giovane, intorno ai trenta anni, piuttosto in forma come fisico e con colorito scuro. Non sapendo nulla dell'orario del matrimonio, mi baso sul blu dell'abito che ha scelto per immaginare che si celebri nel pomeriggio ed il ricevimento sia dunque di sera. In questa situazione, la cravatta lilla farebbe tanto tipofico-di-due-anni-fa-al-cocktail-professionale. Non male, ma si può fare di meglio e restare uno sposo. Per tale ruolo ed in tale situazione ci vorrebbe una cravatta jacquard a piccoli disegni geometrici su fondo blu scuro. Non facile a trovarsi, vista la carenza di sposi in rapporto ai tipifichietcetera. In sostituzione del tinto in filo, andrebbe a fagiuolo anche uno stampato a microdisegni, purché non siano pois. Invece di osare col colore, faccia uno strappo con le dimensioni e si faccia confezionare la cravatta con ganba da 8 cm. Visto l'abito di linea asciutta e la Sua altezza, stimata in circa 1,80, non ecceda 1,45 di lunghezza, in modo che la punta larga superi appena la cintura e resti un po' di sfalsatura con la gambetta. Poiché è piuttosto atletico, anche se non magro, funzionerà benissimo. Basterà questo a salvarLa dalla banalità, pur restando nel dignitoso silenzio consono alla posizione subalterna dello sposo rispetto alla sposa. Perdoni qualche tono ironico, non abituale qui al castello, ma in mancanza di molti dati necessari ho dovuto far ricorso alla sfera di cristalo ed alla fine ci ho scherzato un po' su. Era un test. Se si è divertito, usi pure la cravatta lilla. Se si è sentito preso in giro, non ha che la scelta che Le ho già dato. Cavallereschi auguri Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-05-2007 Cod. di rif: 3138 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre e due bottoni - la regola d'arte - Risp. gesso n. 3136 Commenti: Egregio cavaliere Villa, visti i dubbi che aleggiano in materia di differenze tra due e tre bottoni, cercherò qui di semplificare il problema al massimo. In futuro dedicherò una serie di Appunti nel Taccuino alla dimostrazione dell’assunto di cui a questo Gesso, discutendo anche delle soluzioni diverse, nonché dei trucchi e degli errori assai frequenti. Il taglio del davanti è identico sia per il tre che per il due bottoni. La differenza nasce nel momento in cui si segna il bavero e quindi, con termine tecnico, lo si “indirizza”. Nessun problema per il due bottoni. Quando i bottoni sono tre, si può indirizzare il bavero su quello in alto o esattamente al centro tra il primo ed il secondo. In questo caso, comunemente detto del “tre bottoni sturato a due”, abbiamo in realtà un “tre bottoni meno uno”. Il bottone alto risulterà nascosto e l’asola verrà guarnita dal lato della paramontura o mostra. Questa è la regola d’arte. Altre presentazioni vengono da lavorazioni errate e soprattutto da approssimativa applicazione del collo. Questo, tirando il bavero, lo fa arrotolare più in basso anche se il bavero voleva essere indirizzato in alto. Basta provare a tirare l’angolo alto del cran per sincerarsi di questo effetto. Non è da lì, però, che dee nascere la linea. Il bavero, lavorato in modo che si pieghi in un punto preciso, deve poi essere fissato dal collo in modo congruo. Poiché la distanza tra i bottoni non deve mai essere inferiore agli undici centimetri, il due bottoni offre una maggiore libertà nel punto di abbottonatura. La bottoniera può infatti essere spostata in basso o in alto di alcuni, determinanti centimetri. Cercare la stessa libertà in un tre bottoni, anche se meno uno, induce in trucchi o errori, come quello di abbassare la tasca o avvicinare i bottoni. Gli effetti, assai tristi, sono propri di sartorie e clienti di secondo piano. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2007 Cod. di rif: 3142 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbottonature e vite basse - Risp. gesso n. 3139 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, il ferro da stiro non fa che assecondare il lavoro di vera e propria costruzione del bavero, impostato con le tele e l'impuntura. Non sono quindi il ferro o la forbice, ma prima il gesso e poi l'ago a determinare se la giacca abbia due o tre bottoni, ovvero di questi ne nasconderà uno. Quanto al successo della vita bassa, deriva dal compiacimento della sfrontatezza di scoprirsi. Poiché, almeno nel mondo femminile, siamo arrivati alla caricatura, punto d'arrivo e d'arresto di ogni moda, in poco tempo potrebbe invertirsi la tendenza. Per ora, comunque, siamo in piena dittatura delle anche in vista e non si vedono cambi nella direzione del vento. La vita alta è indispensabile per ottenere effetti importanti, ma è proprio all'importanza che l'uomo ha per ora rinunciato. Non se la sente di remare da solo, né a favore, né tanto meno contro la corrente. Osservando l'aggregazione tribale sempre più capillare, specie nelle metropoli, si conclude che il potere del gruppo sul singolo non è mai stato così forte. Senza campanile e patria, spesso con poca o nulla famiglia, la necessità ancestrale di appartenenza porta i giovani, cioè l'unica specie umana attualmente vivente, ad obbedire con entusiasmo a regole sempre più astratte. Anche a costo di rinunciare, almeno per i pantaloni, al totem della praticità. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2007 Cod. di rif: 3144 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Teoria delle tasche, un abbozzo - Al Cav. Bellucco Commenti: Egregio Cavalier Bellucco, una teoria della tasca non è mai stata formulata, né qui né altrove. La si deve edificare appositamente ed è impossibile farlo in un sol colpo. Per il momento, in attesa di latri eventuali interventi, possiamo recintare l'area su cui sorgerà. Diciamo che la tasca si muove tra due estremi: il taglio mimetico delle giacche da sera o da cerimonia e la bisaccia a grandi soffietti di quelle da caccia o da guerra. In mezzo vi sono molte sfumature, in cui si passa da fogge con elevato contenuto ornamentale a soluzioni più discrete. Spesso è il tessuto, materia che contiene la memoria stilistica distillata con l'uso, a suggerire la tasca adatta. Ma il singolo cliente può intervenire con la propria storia e volontà, disattendendo gli standard in favore di un'espressione personale. Ad esempio, io che viaggio parecchio ho alcune giacche sportive con due taschini al petto. La loro utilità in aeroporto finisce, almeno così mi sembra, per giustificarne la stranezza in altro contesto. Quanto ai significati, diciamo che, in rapporto ai due estremi che abbiamo subito individuato, le tasche a toppa hanno un indirizzo sportivo e quelle a filo una connotazione formale. La pattina eventuale riduce il contenuto formale e lo sposta verso il terzo polo estetico: l'informale. Il completo monopetto a lancia nasce come abito impegnativo da mattina (in mohair o saxony secondo la stagione), o spiritoso da pomeriggio/mezza sera (in cheviot, flanella o gabardine). Oggi che è di gran voga lo si vede come spezzato, in cotone e in altri materiali sportivi. Mi atterrò alla natura intima del capo immaginando su di Lei un completo piuttosto formale. Alla luce di quanto detto nella prima e seconda parte, le tasche applicate sono generalmente da evitarsi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-05-2007 Cod. di rif: 3156 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tardivo intervento sul gesso n. 1579 Commenti: Stimato Pugliatti, mentre infuria la riflessione sulle tasche, ritengo opportuno aggiungere qualcosa alla discussione sull'abbottonatura monopetto. Si è da poco sviscerata la tecnica del tre-meno-uno e ciò mi ha fatto ricordare che col Gesso n. 1579 Lei, prof. Pugliatti, chiedeva alla nostra Lavagna di discutere del due bottoni. Come Lei non ne sono un amante, ma di tanto in tanto, per capriccio o per ispirazione, ne ordino una. In tutto ne ho avute due, un blazer Blackwatch estivo e un tweed spigato pesantissimo. Entrambe le giacche le ho molto usate, ma è anche vero che i tessuti, specie il tweed, erano così indovinati che avrebbero fatto la loro figura anche a farci un grembiule. Proprio domani dovrei ritirare il mio primo completo con giacca due bottoni, almeno da quando vesto in sartoria. Si tratta di un abito da viaggio in mohair grigio chiaro con un effetto "stracciato" dovuto al netto contrasto tra trama nera ed ordito bianco. Sembrerà strano, vista la sua storia, ma non tutti sono d'accordo sulla validità del due bottoni. Uomini di gusto del massimo calibro e competenza, alcuni dei quali ho l’onore di frequentare e quindi di poter consultare con facilità, non la ammettono. Recentemente, accompagnando un amico e Cavaliere per la prova di uno smoking, ho chiesto a Mariano Rubinacci cosa ne pensasse e lui ha candidamente risposto. "Due bottoni? Di che si tratta? In effetti sapevo che esistessero, ma non qui". Mi ha fatto poi leggere un articolo di Nick Foulkes, apparso su GQ in Bulgaria, che racconta di una sua analoga sentenza pronunciata davanti a testimoni nei confronti dell'uomo più ricco del Paese. Chiedeva una giacca due bottoni e Mariano si rifiutava di fargliela cucire, ottenendo alla fine una vittoria. Rubinacci sostiene che la giacca a tre bottoni, se fatta come si deve, permette di abbottonare tutti e tre i bottoni, cosa non infrequente a vedersi. Una giacca a due bottoni non lo prevede e pertanto le uniche soluzioni valide sarebbero quella del tre bottoni e del bottone singolo, che egli consiglia in vari casi. Nonostante l'autorità da cui proviene questa considerazione, possiamo subito aggiungere che nella tradizione inglese il davanti poco stondato prevede una giacca a due bottoni in cui si possano allacciare entrambi. Nel Taccuino ce ne sono alcuni esempi forniti, se ben ricordo, proprio da Lei, infaticabile Pugliatti. Non intendo giungere ad una disciplina definitiva, ma le osservazioni di individui dalla chiara percezione e vasta esperienza sono comunque utili a vedere i termini di scelta ed i problemi, cosa indispensabile per formarsi le proprie convinzioni e trovare personali soluzioni. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-05-2007 Cod. di rif: 3154 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La soluzione toppa/filo - Origine, pregi, difetti. Commenti: Egregio Cavaliere Villa, attivissimi Ricercatori, la combinazione di tasche applicate e taschino a filo nasce per una specifica esigenza tecnica, quella del doppiopetto sei bottoni. Questa foggia, qualora si vogliano avere vita e tasche alte, finisce per portare il bottone sinistro in alto proprio nell'area dove dovrebbe esserci il taschino. Ho visto anche giacche che portavano questo bottone sul taschino, pur di non rinunciare ad averlo applicato. Tale soluzione non è totalmente da scartare, visto che si tratta comunque di un bottone ornamentale e non funzionale. Non potrà mai essere considerata una soluzione "classica", cioè serena, ma lo stesso vale per il trucco alternativo, cioè lasciare al bottone un'area vergine tagliando il taschino invece di applicarlo. La quadratura del cerchio, cioè l'applicazione di sei bottoni e del taschino, riesce solo a sarti attenti e clienti disposti a portare il bottone molto vicino al taschino. Nei cappotti, dove la distanza tra i bottoni aumenta, talvolta si deve salire sino a lambire la guarnizione del taschino, pur se tagliato. Alcuni critici, come il Pugliatti, si dichiarano contrari a questa vicinanza. In realtà, pur essendo sempre una spesa, non è per forza una perdita e in termini estetici può essere un buon investimento. se la giacca è ben tagliata e proporzionata, l'energia che si perde con il corto circuito bottone/taschino la si recupera moltiplicata nell'importanza del doppiopetto. Si riguardi, all'Appunto n. 3167, il blazer del Primo Guardiano. Seo ha scelto le tasche applicate, il dottor Parisi non farebbe mai tagliare i taschini (in questa giacca sono due) e accetta che i bottoni arrivino a toccarne la cucitura (non si vede bene, ma i bottoni sono proprio a filo del fondo dei taschini). La perfezione formale dell'impianto linea/bottoniera ottenuto in questo modo ripaga della "frizione" così generatasi tra i due elementi. Vi è un motivo simile per cui a volte si preferisce tagliare il taschino anche nel monopetto. Perchè, con un bavero importante, un taschino alto sembra che ne resti troppo coperto. La soluzione toppa/filo è quindi un compromesso e come tale gradito ad alcuni ed inaccettabile da altri. Figlia di problemi e non di un'inventiva libera, gli amanti della sintassi estetica limpida, ispirata a principi chiari, arricceranno il naso. Chi sa giovarsi della contaminazione stilistica, potrà trarvi effetti validi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-05-2007 Cod. di rif: 3167 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nudità, bellezza, giovinezza. - Risp. al Gesso n. 3162 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, credo che alla Sua lettura del rapporto tra nudo e vestito si possa aggiungere qualcosa. - Innanzitutto la nudità non è per l'uomo uno stato naturale, come per le bestie. E' a sua volta un abbigliamento e per di più altamente formale, in quanto riservato ad essere esibito in occasioni speciali. Come tale deve seguire le regole del vestire: congruità ed armonia. Come ogni capo di abbigliamento è bello nuovo, affascinante coi segni dell'uso e infine da riporre in soffitta quando è ormai liso. Si deduce da ciò che la nudità non va bene per tutti, così come la minigonna, i jeans, il gessato blu o gli occhiali a specchio. Dopo una certa età ed anche prima, quando l'armonia sia perduta per qualche motivo, equiparare nudo e bellezza diviene impossibile. Questa ultima considerazione rivela come sia fallace uno dei meccanismi istintivi che hanno portato al parziale denudamento che Lei giustamente individua come un segno dei tempi. Il popolo pensa, o meglio agisce come se pensasse, che se la bellezza è giovinezza e la nudità è bellezza, allora la nudità sia giovinezza, esattamente il punto dove esso vuole arrivare. Abbiamo visto, però, che l'eqivalenza bellezza-nudità non è perfetta e così questo ingenuo sillogismo resta un'illusione, un trucchetto da baraccone di borgata credibile esattamente come il gioco delle tre carte. - La pratica seduttiva non è nella nudità, ma nell'atto del denudarsi, nel modo e nel luogo in cui il processo avviene. Il nudo recupera sensualità col movimento, ma al contrario dell'abbigliamento è muto in posizione statica. la prova di questi due postulati è che su una spiaggia noi uomini sbirciamo il momento in cui la ragazza toglie il pezzo superiore. Poco dopo il seno, fermo al sole, non appare più appetitoso di due uova al tegame. L'interesse risorge appena l'apparecchiatura si rimette in moto, ma col ritorno al lettino l'interruttore si spegne un'altra volta. Da questa considerazione si comprende come la nudità completa sia un limite di tipo matematico, cioè irraggiungibile da una funzione che per natura vi tende, ma senza mai poterlo pienamente conquistare. Vi sarà sempre bisogno di qualche simulacro di abbigliamento da cui parta l'ammiccamento. Per ora quell’area coperta tende a ridursi, ma la cosa non ha alcuna rilevanza da un punto di vista della sensualità. In termini ormonali, una caviglia che si scopre sotto un abito lungo equivale esattamente ad una mutanda che fuoriesce dai pantaloni. Anche l’equivalenza nudità-sensualità è quindi un equivoco, un’altra illusione. - Non possiamo pensare che tutti coloro che si scoprono siano così gonzi da credere che mostrare un po’ di ciccia migliori il loro sex appeal. Se versassimo in simili condizioni cerebrali, allora sì che ci sarebbe da preoccuparsi sul serio. In realtà, quello di spogliarsi è un modo di giocare alla rivoluzione ed una cosa diviene un gioco quando è già stata fatta e la si ripete. Come se giocassero a indiani e cowboy, uomini e donne simulano che la liberazione che hanno trovato bella e pronta la stessero conquistando di persona. Una messa in scena piuttosto innocua, se non fosse che tra le regole di chi fa il cowboy c’è quella di sospettare di chi veste da indiano. Così come noi dovremmo evitare critiche apodittiche a chi agisce diversamente, cosa in cui per buona parte riusciamo, così i giovanilisti dovrebbero esimersi dal ritenere che il loro sia il solo modo di stare al mondo. Scegliere per se stessi è bene, scegliere per gli altri senza averne avuto mandato significa invece imboccare la strada che parte dal dogmatismo, passa per l’integralismo e giunge talvolta all’assolutismo. In questa situazione, molti si adeguano alla cultura dominante senza nemmeno comprenderla o sposarla. Per pura pigrizia. E’ così che si spiegano tanti orrori. La cicciona con metro quadrato di ombelico in bella vista o il settantenne col cappellino da baseball preferiscono essere criticati da un avversario che non stimano e che comunque vedono attraverso un vetro, piuttosto che essere emarginati da un alleato che frequentano quotidianamente. In conclusione, non arriveremo mai alla nudità e nemmeno ci andremo vicino, in quanto quel po’ di abito che resta verrà comunque vissuto come adeguato. Prima o poi la tendenza si invertirà, con le stesse regole ed altre modalità. Il regno della giacca e del tailleur volge al tramonto. Ci saranno altri modi in cui l’abbigliamento coniugherà la sua principale funzione, che è quella di esprimersi ed identificarsi. Probabilmente sorgerà un impero delle felpe, delle snicker e dei sintetici, ma le nazioni che lo compongono saranno organizzate diversamente. Sinora abbiamo avuto tre grandi strati, il formale, l’informale e lo sportivo, a loro volta suddivisi in i livelli ben riconoscibili per la qualità intrinseca. La carenza di una cultura che permetta la distinzione immediata della qualità e la cieca, generale adorazione del totem della gioventù/bellezza, più potente di quello dello stesso denaro, portano i caratteri distintivi su piani completamente diversi. La distinzione, come Lei ha notato, già oggi non è più di tipo sociale. Il mondo si sta dividendo in tribù, non in categorie. Anche le tribù presumibilmente reggeranno poco, ma cosa verrà dopo esse riposa nella mente di Dio. Poichè Lui è un tipo abitudinario, sarà come sempre qualcosa che avevamo già visto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Palumbo Data: 02-06-2007 Cod. di rif: 3172 E-mail: giovannipalumbo@studiopalumbo.fastwebnet.it Oggetto: nobilta' del vestire Commenti: Giusto per incoraggiare il nostro giovane amico a non desistere dai suoi buoni propositi vorrei raccontarvi di oggi: sono reduce da Roma, dove mi ero recato, per affari di famiglia, in prima mattinata. Alla stazione di Roma Termini sono arrivato verso le ore 11 ed ho dovuto ivi attendere circa mezz'ora altri parenti provenienti da altra citta' con diverso treno. Ebbene in quella mezz'ora avro' intravisto circa millecinquecento, forse duemila persone, dei quali la meta' uomini: ho contato, compresa la mia, (ed escludendo forze dell'ordine e ferrovieri), soltanto sette persone in giacca e cravatta! Credo che questo la dica lunga sulla mancanza di educazione, prima che di stile o di eleganza, innata od acquisita che sia. Percio' insista, lasci perdere firme o griffe, si formi una sua cultura sul punto, in maniera lenta ma sicura e vada avanti! Cordiali saluti. Giovanni Palumbo P.S. La persona piu' naturalmente fornita di stile che ho visto era, pero', una donna, una giovane Carabiniera in tailleur, con cravatta d'ordinanza, portata con eleganza ed aplomb perfetti: un modello per molti suoi colleghi maschi! ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-06-2007 Cod. di rif: 3193 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Marinella, una dinastia umanista Commenti: Egregio Cavalier Bellucco, colgo la Sua citazione di Marinella per chiarire alcuni punti che pongono questa realtà su un piano diverso da quello di HERMES e di tutti gli altri grandi produttori. Maurizio Marinella è notoriamente Socio Fondatore del Cavalleresco Ordine e per di più nostro Fornitore. Potrei quindi apparire partigiano in quello che sto per dire, ma se qualcuno vorrà dedicarsi alla verifica, scoprirà che è tutto vero. 1 - La vera cravatta di Marinella non è quel souvenir che si vende bello e pronto nel negozio, ma quella che il cliente ordina su misura nell'atelier e di cui determina peso, lunghezza, larghezza di gamba e gambetta, finitura e, naturalmente, tessuto. A questi clienti, i più importanti non in termini di volume, ma di gusto. A questi clienti, dicevo, gli ultimi a disporre di tutto il tempo necessario per governare il proprio guardaroba sin nel minimo dettaglio, Marinella dedica risorse umane, di spazio e di organizzazione senza alcun risparmio. Si può stare un'intera mattinata per scegliere una sola cravatta ed essere trattati come duchi, mentre il frettoloso turista ne compra ventiquattro in cinque minuti e non si accorge delle meraviglie che questa antica casa rende ancora possibili. 2 - Nel laboratorio di Via Vannella Gaetani n. 27, a poche decine di metri dal negozio di Piazza Vittoria, una decina di sarte lavora solo alla costruzione delle cravatte su misura. Nello stesso cortile, vi è un laboratorio più piccolo dove due impiegati lavorano esclusivamente al taglio di queste cravatte ed al restauro di quelle vecchie, che gli irriducibili portano per risisistemarle. Ha sentito bene. Marinella regge un laboratorio per il solo restauro. Ciò lo pone ad un livello assolutamente irraggiungibile da quanti praticano anche nel settore del "lusso" i criteri diabolici dell' usa-e-getta. Anche HERMES, di cui pur nutro la più profonda considerazione, resta un puntino sullo sfondo, un grande organismo con un cuore piccolo piccolo. Non sentirà parlare di queste cose, in quanto sono già note ai pochi che devono conoscerle. Si tratta di attività per nulla remunerative, mantenute in piedi con un criterio umanistico, direi addirittura dinastico, totalmente incomprensibile alle masse. Inutile, farne pubblicità. Lo stesso Maurizio, forse dando tutto per scontato, non ne parla con la stampa e probabilmente nemmeno lui si rende conto dell'unicità assoluta di un fenomeno nato sulla base di un rapporto con la clientela che non ha eguali in tutto il settore. Quando porta una Sua cravatta o quella di Suo nonno per smacchiarla o restaurarla, si apre un registro ed il Suo nome viene annotato, a penna, insieme al numero di cravatte che attende di essere rigenerato. Per i clienti conclamati, la ditta provvede al restauro anche di quelle cravatte che portino altre etichette. Le sete di Marinella non sono fantasiose come quelle di Rubinacci, genio del gusto ed il più grande di tutti nella combnazione tra attualità e tradizione, ma conservano un'unità nello stile ed uno standard di qualità ineccepibili. Gli ultimi setifici inglesi lavorano praticamente solo per lui, l'ultimo, vero, grande cravattificio di stile british. Nessuna invenzione, ma anche nessun tessuto stampato con il nuovo sistema ink jet. Se e quando la cravatta sarà morta, l'ultima a sopravvivere sarà probabilmente di Marinella. E questo è tutto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 07-06-2007 Cod. di rif: 3195 E-mail: luigi.lucchetti@ragroma.it Oggetto: Pulizia scarpe estive Commenti: Ho fatto eseguire due paia di scarpe da un artigiano della provincia di Macerata, chiedendo una particolare colorazione, su una pelle di vitello conciata al vegetale. Ho chiesto un consiglio circa il prodotto da utilizzare per la pulizia e, con mia grande sorpresa, l'arteficie delle, peraltro, bellissime scsarpe, mi ha sconsigliato di usare una qualsiasi crema, ma di provvedere alla pulizia esclusivamente con un panno di fustagno inumidito con acqua. Ciò in quanto, a suo dire, trattandosi di scarpe estive, qualsiasi crema chiuderebbe i pori non facendo respirare il pellame e, conseguentemente, i piedi. Vorrei conoscere il vostro parere sul punto e vi ringrazio anticipatamente. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 09-06-2007 Cod. di rif: 3198 E-mail: luigi.lucchetti@ragroma.it Oggetto: sempre pulizia scarpe Commenti: Egregio avvocato Maresca, la ringrazio per la cortese ed esaustiva risposta. Ho definito "estiva" una scarpa cucita a mano dal fondo di 8 mm, che mi è stata consegnata tirata a lucido, con una colorazione che presenta delle sfumature in chiaroscuro che vorrei mantenere evidenti e che ho timore di ricoprire e far svanire con l'uso di lucidi colorati. Così come temo che la sola pulizia con un panno inumidito possa in breve far svanire la brillantezza della lucidatura originale. Se mi è permesso, vorrei abusare della sua evidente competenza per chiederle quale prodotto e quale tecnica suggerirebbe per mantenere le scarpe il più possibile vicine al momento in cui mi sono state consegnate (lucido quasi a specchio e con questi chiaroscuri sui toni del testa di moro un po' acquosi). La ringrazio anticipatamente. Quale simpatizzante non so se mi è consentito salutarla cavallerescamente. Nel caso non se ne abbia a male. Saluti cavalleresci. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2007 Cod. di rif: 3199 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Saluti e lucidatura Commenti: Egregio signor Lucchetti, in ossequio a principi di diritto naturale rispetto ai quali ogni privilegio è un abuso, i gentiluomini che conversano secondo le regole e degli oggetti propri della loro natura, sono tutti dei pari. Coloro che partecipano con la propria curiosità, scienza o esperienza, ad un progetto comune, non possono essere differenziati in alcun modo. Pertanto, il saluto cavalleresco non è riservato ad un gruppo sociale, ma ad una categoria morale. Se altri entrano a farne parte, ciò non rappresenta una privazione. A prescindere dall'appartenenza al nostro piccolo sodalizio o ad altri più nobili, non siamo noi a decidere chi sia un cavaliere, ma la coscienza collettiva e del singolo, ovvero, per dirla con una sola e difficle parola, i fatti. Accettiamo quindi non soloil Suo cavalleresco congedo, ma quello di tutti gli altri che sentano in tal modo di esprimere se stessi nel migliore dei modi. Le Sue belle scarpe, di cui è giustamente orgoglioso, non resteranno mai uguali a se stesse. Il destino delle calzature è l'uso, il quale non ammette stabilità. Con esso le cose buone e ben tenute migliorano, quelle cattive o trascurate intristiscono, tutte finiscono. Senza di esso, ogni acquisto è consumismo o accumulo, quindi quasi sempre denaro mal speso. Per conservarne a lungo l'quilibrio cromatico originario, che comunque cambierà registro, potrà usare un lucido molto chiaro o addirittura neutro. La casa migliore in commercio è la francese Saphir, la tecnica è quella che Le ho già descritto, ma se ha fretta potrà usare delle spazzole al posto del panno. In tal caso, rimuoba con un'energica spazzolata tutta la polvere e i detriti sia dalla tomaia che dal guardolo. Poi stenda un velo di crema con ripetuti passaggi di uno spazzolino e stenda il tutto con una spazzola morbida e molto fitta. Infine, con un panno poroso rimuova l'eccesso di lucido e infine, con un panno di cotone appena inumidito, polisca la superficie sino a che un dito passato sulla pelle vi scivoli sopra come su un cristallo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-06-2007 Cod. di rif: 3197 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lustratura e traspirazione di una scarpa "estiva". Commenti: Egregio signor Lucchetti, innanzitutto va presa in considerazione la differenza, non a tutti chiara, tra crema e lucido. La prima è a basi di grasso, sintetico o animale, con parecchio pigmento. Il secondo è a base di cera, vegetale o animale (carnauba o d'api), disciolta in solventi ed è meno ricca di pigmento. Le creme sono generalmente contenute in vasetti di vetro o tubi e, non contenendo sostanze volatili, sono assai durevoli. I lucidi sono confezionati in lattine metalliche, ma inesorabilmente perdono peso e caratteristiche col tempo. Normalmente, la cura della scarpa prevede un regolare uso del lucido ed un trattamento con creme, che provvedono ad un acerta impermeabilizzazione, molto dilazionato. La patinatura si ottiene con la stesura di un velo sottilissimo di lucido, con una certa tecnica e molto olio di gomito. Poichè il lavoro è tanto migliore quanto minore è la quantità di prodotto che resta sulla scarpa, la chiusura dei pori non deve preoccupare. Una seconda considerazione coinvolge il concetto di scarpa estiva, che non appartiene all'era dell'homo elegans, cioè al classico. Una buona scarpa, cioè cucita e non incollata, traspira anche con una suola da 8/10 mm, mentre per scarpe estive vengono normalmente indicate quelle con suole da 7 mm o meno. Tali scarpe sono state introdotte piuttosto recentemene e non appartengono al palinsesto tradizionale, in cui per scarpe estive si intendono quelle con suola in leggerissima gomma rossa espansa, le dock-sider da barca o le espadrillas riservate al mare. Il successo dell'estetica sportiva e la sempre più accettata contaminazione dell'abito anche formale su calzature di origine non formale ha incrementato prima l'importanza delle scarpe da barca (anni 70), poi i mocassini tubolari tipo Tod's (anni 80), poi le snicker (anni 90) ed ora addirittura gli zoccoli a bocca di coccodrillo (recentissimi). La produzione italiana, leggera per attitudine, è sempre stata all'avanguardia nell'assottigliare le suole. Veniamo ora al Suo caso. Un vitello come quello che ha chiesto non è molto indicato per una scarpa "estiva", poiché la concia al vegetale esige spessori piuttosto consistenti. E' forse per questo che il Suo calzolaio teme che la situazione si aggravi con l'applicazione di creme. Usi uno o più lucidi, secondo le sfumature che vuole ottenere, applicandoli con un panno pulito di cotone bianco. Stando comodamente seduto e con la scarpa in mano, tesa dalla sua forma, lo immergerà rapidamente e sommariamente nel coperchio della scatola, dove avrà versato un po' d'acqua. Tamponerà quindi il panno, strettamente avvolto su indice e medio, su un altro panno asciutto. Subito dopo carezzerà il lucido di una due scatole, sempre secondo le combinazioni che ha in mente, staccandone un alito. Queste poche molecole di lucido vanno stese volta per volta con movimenti crcolari a stretto raggio, profondi, ripetuti, convinti. Una grande lucidatura non si ottiene in una sola seduta ed occorre lavorare prima su una scarpa, poi sull'alra, infine ritornarci sopra il giorno dopo, quando tutto si è asciugato. Sinceramente, una concia vegetale non darà mai la lucentezza di una al cromo, ma in questo modo otterrà comuqnue il massimo possibile e in termini d espressività ed il minimo danno in termini di traspirazione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-06-2007 Cod. di rif: 3203 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Casa Agnelli Commenti: Egregio signor Cobey, egregio signor Rosso, ringrazio entrambe per la segnalazione. Durante la stesura del libro, l'autore mi ha più volte consultato. Sono lieto che il signor Ferrante mi abbia citato ed altrettanto abbia fatto col sito, che conosceva piuttosto bene. Una pari delicatezza è mancata in passato ad altri. Non ho ancora letto il volume e così non so quale sia il tenore della descrizione, "severo" a parere del signor Rosso. Durante alcune lunghe, fitte conversazioni, dichiarai innanzitutto che, a parte un sicuro interesse, un libro su Agnelli sarebbe stato prematuro. Ritengo infatti che l'Italia non si sia resa conto di aver perso con l'Avvocato il suo più autorevole Ambasciatore. Sembra che nessuno si renda conto dell'attuale mancanza di un nostro personaggio di pari statura internazionale. gli sforzi di eleenti come Berlusconi o Briatore non producono certo un ritorno importante. All'ottimo Ferrante fornivo dettagliate considerazioni sul fattore primario della sua grandezza: la logistica. Aggiungevo osservazioni sulla cifra stilistica e sulla sua enorme influenza, non sempre positiva nelle interpretazioni quanto nel disegno originale, sul gusto maschile. Raccogliendo materiali già presenti nel sito e collazionandoli con nuovi testi ed immagini, mi propongo, durante l'estate, di dedicare ad Agnelli uno dei fascicoli della nuova serie che verrà edita dalle Officine della Biblioteca Cavalleresca Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-06-2007 Cod. di rif: 3207 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Casa Agnelli, risposta al signor Corbey (Gesso n. 3204) Commenti: Egregio signor Corbey, ovviamente il Ferrante non condivideva questa mia osservazione sin da quando aveva deciso di scrivere su Agnelli. Forse ha ragione lui. La comprensione dell'opera di questo Grande potrebbe esserne stimolata, essere un effetto del libro e non il libro un premio ad un apprezzamento già consolidato. O forse no. Di certo, averlo collocato nello scenario complessivo della sua famiglia dimostra come abbia compreso la rilevanza del senso dinastico, determinante sia per l'educazione che come fondamento di quell'identità che non si può definire altrimenti che faraonica. La questione della comprensibilità del personaggio non incide sulla qualità del saggio, che a giudicare dal gradimento del pubblico sembra elevatissima. Quanto alla logistica, Agnelli fu il primo dei Grandi e per ora l'ultimo a spostare se stesso, oltre alle cose. Onassis faceva venire il pane da Parigi, l'Avvocato ci sarebbe andato di persona, avrebbe sgranocchiato una baguette e dopo mezz'ora sarebbe già stato ad una festa a cuccare. Per dimezzare i tempi di spostamento, usava spesso mezzi supersonici in dotazione all'esercito. Un amico mi ha raccontato che una volta, rientrato dal suo paio d'ore di vela nelle Bocche di Bonifacio, si fece accompagnare da un F140 a vedere il tramonto in Norvegia. il tutto in pochissimo tempo, per poter poi essere chissà dove e chissà dove ancora. Divideva anche i tempi di permanenza, in qualsiasi luogo. Di una partita vedeva un solo tempo, ad un evento entrava ed usciva poco dopo, credo andasse a pochissime cene per evitare di restarvi incastrato. In questo senso possiamo parlare di una logistica pensata strategicamente e attuata senza risparmio, in quanto individuata come mezzo per vivere una vita superiore. Avendo attinto al privilegio divino dell'ubiquità, ma anche grazie a molte passioni portate a livelli di estrema competenza, sembra proprio che ci sia riuscito. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-06-2007 Cod. di rif: 3210 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Numero di visite e scopi del Castello - Risp. Gesso 3201 Commenti: Egregio signor Rosso, dell'Ordine si è detto più di quanto non si creda e la Rassegna Stampa, per quanto parziale, glielo confermerà. In genere, però, talvolta su nostra espressa richiesta, manca l'indirizzo del sito. Non so se le cose possano essere in relazione, ma recentemente un incremento netto delle visite si è verificato. Ecco le statistiche di Giugno: Giorno Pagine Visite 1 8919 1820 2 7182 1568 3 7726 1567 4 11178 1995 5 11436 2815 6 10136 2384 7 13238 3612 8 11396 3375 9 8947 2627 10 10361 2614 11 15854 3387 12 12020 3306 Normalmente il sito è visitato da circa cento diversi paesi, che generano un numero di visite di poco inferiore alle duemila giornaliere. Dal giorno 5 u.s. si è verificata un'impennata che si è mantenuta sino ad oggi e consiste in un incremento medio del 50%. Il fenomeno, però, può anche essere attribuito ij tutto o in parte al fatto che la RAI sta preparando un servizio su Peron&Peron, il quale ha detto molto del rilievo dell'Ordine nella sua storia ed invitato gli autori a visitare il sito. Strutture di questo genere dispongono di molti impiegati e se li scatenano in una ricerca è ovvio che i contatti crescano subito e molto. E' già successo in passato e non una sola volta. Questi picchi, comunque, non sono di alcuna utilità in quanto è evidente che il castello non abbia scopi commerciali. Esso è piuttosto orientato, sia tramite la struttura visibile che nella strategia invisibile che lo governa, a raccogliere frequentatori assidui che assumano lentamente un patrimonio comune prima di termini e nozioni, poi di sensibilità e fiducia e infine, negli anni che verranno, di un senso di comunità all'altezza delle tradizioni morali del sentimento virile. Di questo argomento non si è mai parlato e anche in futuro se ne parlerà molto raramente. Per guidare le greggi bastano incitamenti verbali. Per convincere gli uomini ci vogliono i fatti. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-06-2007 Cod. di rif: 3212 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capire i tessuti, ovvero il mondo - Risp. gesso n. 3204 Commenti: Egregio signor Moretti, il tema dei tessuti ci sta talmente a cuore che ormai non si contano più gli eventi che l’Ordine ha organizzato sul tema. Abbiamo visitato manifatture biellesi ed inglesi e alcuni di noi si sono spinti sino ad un approfondimento teorico e tecnico che credo non abbia riscontri. Il Rettore della Porta dell’Abbigliamento, Dante De Paz, tratta tessuti sin quasi dalla nascita ed è stato il mio Maestro. Non posso che consigliarLe una visita al suo magazzino, anche solo per chiacchierare della materia. Per le Officine della Biblioteca Cavalleresca, che in pratica è la nostra casa editrice interna, ho redatto l’anno scorso un fascicolo illustrato intitolato “TESSUTI - Una grammatica minima, un’arbitraria antologia”. Uno strumento orientato proprio a creare l’occhio per il tessuto, attraverso una sorta di corso accelerato pratico ed estetico. Poiché il nostro lavoro non è rivolto alla generalità, ma è fortemente orientato e quindi presuppone nell’interlocutore un atteggiamento comune, testi questi sono riservati ai Soci e ai Simpatizzanti iscritti nel Registro, categorie di cui Lei non fa attualmente parte. Ciò non conta invece in questa sede, in quanto ogni domanda posta nella Lavagna rappresenta per noi tutti un obbligo a rispondere. Fermiamoci ora sul banco del drappiere, senza pensare a quello del sarto. Consideriamo dunque le qualità astratte del tessuto, il suo pregio intrinseco a prescindere dall’uso e dal genio, che possono trasformare un errore in un capolavoro o viceversa. Esistono due piani per valutare una stoffa: quello tecnico e quello estetico. 1 – PIANO TECNICO – I tessuti sono difficlmente valutabili in quanto rappresentano una geometria non euclidea, in cui i valori si esprimono lungo numerosi assi di valutazione orientati in modo bizzarro, sicchè guadagnando da una parte si perde dall'altra. Tra i parametri distintivi va considerata innanzitutto l'armatura, in cui esistono infinite varianti di due tipologie di base. Le tele, traspiranti e tenaci. I diagonali, drappeggianti e compatti. Seguono le differenze in termini di luminosità, di peso, di disegno, di filato impiegato, solo per limitarsi a quelle principali. Un buon tessuto deve essere “sano” ed è questa sensazione di benessere, quasi di serenità, che il suo tatto dovrà cercare, sviluppando man mano la capacità di avvertirla. La “salute” di un tessuto viene dal filato, dalla lavorazione e dal finissaggio. Tutto deve essere corretto e consequenziale, al fine di generare due caratteristiche fondamentali: nerbo e consistenza. Anche sottile, un tessuto deve offrire queste due percezioni. La pubblicità limitata alla finezza dei velli è devastante, in quanto orienta verso un “meglio” totalmente astratto e non al “giusto” in concreto. Fermandosi sul primo piano, astratto, si finisce per concludere che l’aragosta è superiore alla pizza. Muovendosi sul secondo, quello concreto che accetta le contraddizioni, i due cibi sono equivalenti e le gerarchie in generale perdono di interesse, in quanto ogni cosa è vista nel contesto. Qui deve fare una scelta esistenziale e decidere da che parte stare. Come ogni altra, la scelta di un tessuto è una scelta di vita, una dichiarazione. Cosciente o inconsapevole che sia. 2 – PIANO ESTETICO – La bellezza è influenzata dal tempo e dal luogo. Al canone che i nostri sensi percepiscono come tale si aggiungono i sedimenti accumulati dalla storia. La valutazione di un tessuto da questo punto di vista è quindi come un filtro con due crivelli. Il primo lascia passare ciò che risponde ad un criterio estetico assoluto, il secondo ammette tra questi solo quelli che hanno maggiore tradizione ed esprimono in modo più concentrato lo “spirito” di quel tipo di tessuto. Tra i vari tipi di Solaro, ce né sarà uno più “giusto” e così tra le flanelle gessate o in una mazzetta di tropical. Non è più questione di qualità, che a questo punto si dà per scontata, ma di quelle caratteristiche evocative che nel linguaggio verbale io chiamo “markers”. E’ la prima volta che metto per iscritto questa parola e non so se sia valida, cioè comprensibile. Intendo con essa riferirmi a quelle doti di peso, luminosità, gradazione di colore, precisione nella disegnatura, che per il loro potere evocativo, insomma per l’atmosfera che generano, fanno di un tessuto e magari di uno solo tra mille il rappresentante più autorevole di un’intera specie. In questa categoria di tessuti ad alta concentrazione sono contenute anche le istruzioni per la tipologia da realizzare, che diviene una conseguenza naturale. Sarà un piacere tornare sull’argomento, che resterà sempre aperto e sempre tra i più importanti per questa Porta. Per ora invio cavallereschi saluti a nome dalla irredimibile confraternita dei palpatori di stoffe. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-06-2007 Cod. di rif: 3214 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Registro e fascicoli delle Officine Commenti: Egregio signor Moretti, sono io a ringraziarla per l'interesse e la fiducia che ripone nella nostra opera. Proprio in forza di queste, Le segnalo che il Registro è subito a destra del portone d'ingresso al castello e da lì potrà compilare una scheda nella quale dichiarare, quando ciò coincidesse con le Sue intenzioni, il suo stato di Simpatizzante dell'Ordine, che è basato appunto su un atteggiamento concorde con lo stile e gli scopi del nostro lavoro. Le basterà poi chiedere e riceverà la distinta dei fascicoli attualmente editi dalle Officine della biblioteca Cavalleresca, con le modalità di accesso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-06-2007 Cod. di rif: 3227 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Maestrine e maestri - Al sig. Renzi Commenti: Egregio signor Renzi, ora chiede più del dovuto. Se in un colpo solo Le rivelassi tutte le più arcane verità, ammesso che io stesso le conosca, crede forse che potrebbe comprenderle? Un maestro di tennis si interessa della posizione delle gambe, non dell'effetto in battuta. Si comincia dall'inizio e Lei ha tutto ciò che le serve, compresi i dubbi. Non La abbandoneranno mai, stia tranquillo. Devo solo chiederLe di rileggere molto attentamente il pezzo sul denaro, dove potrebbero essere scritte cose un po' diverse da quelle che mi sembra abbia compreso ad una prima lettura. Non ne rischi senza motivo, ma quando sente che è il momento, scateni pure l'inferno. Purtroppo questo mondo è pieno di maestrine, che oscillando tra languori e isterismi sono prodighe di spiegazioni e nozioni. Un apprendista ha diritto di chiedere ben altro ad un maestro d'armi. Troppe spiegazioni in una sola volta non migliorerebbero affatto la Sua spada. Ciò che ha Le basta per combattere. Ci risentiamo dopo il primo duello, ma in quel momento mi sappia al Suo fianco. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-06-2007 Cod. di rif: 3228 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dalla chiave alla spada - Rif. Gesso n. 3218 Commenti: Indispensabili Cavalieri, vigorosi Visitatori, l'illuminato nostro Rettore coglieva per il primo la storica sfida cui non possiamo sottrarci. Noi non tireremo fuori dal suo polveroso scaffale il DRESS CODE solo per mandarlo a memoria, ma per restaurarlo, riformarlo, o se preferite rinnovarlo. Ciò comporta studio, visione, serenità e soprattutto apertura verso una storia del costume che a questo scopo va compresa e accettata, non giudicata. Per noi stessi possiamo scegliere ciò che sentiamo vicino, anche la bombetta e le ghette, Quando si parla di leggi e principi, invece, il gusto personale non conta e nemmeno il concetto di bellezza preso in assoluto. L’unico criterio valido è la giustizia, come supremo collegamento tra ciò che l’uomo è e ciò che vorrebbe e dovrebbe essere. Guardiamo alla città maschile. Alcuni degli oligarchi sono stati cacciati, altri se ne sono andati da soli, altri ancora hanno abiurato. Il potere non è più nelle mani di qualcuno che lo ripeta dal popolo o dalla tradizione, ma viene attribuito dalla presenza mediatica. E' come se in una moderna metropoli comandassero i vigili urbani. Tutto è visto in termini di divieti di sosta e semafori, bolli e cinture di sicurezza, insomma di circolazione. Vale ciò che è in movimento e si fa vedere, mentre ciò che è stabile e nascosto resta senza un regime, senza governo. Privo di protezione, il tesoro accumulato dagli antenati è saccheggiato, vilipeso, disperso. Possiamo noi tolleralo? Possiamo star fermi mentre una città, la nostra, che fu uno Stato temuto e potente, è in mano a contrabbandieri di finte qualità e stili di dubbia provenienza, a falsari, a corrotti, a maestri catodici e guru rifatti? La scoperta del Vestito Buono ci indicò che la via dell’Eleganza si percorre in due direzioni. Dai Grandi verso i piccoli, ma anche viceversa. Ci insegnò anche che i Grandi non sono sempre quelli che appaiono tali e che la Verità e la Grandezza vengono spesso fuori alla distanza, sia di spazio che di tempo. Fu una crescita che cambiò radicalmente la coscienza ed il livello d’indagine di questa Lavagna. Abbiamo fatto insieme cose buone, di cui andare orgogliosi. La chiave della conoscenza, quella che regge il leone alla sinistra del nostro stemma, è stata la nostra insegna ed il nostro strumento. Ora è tempo di aiutare il leone destro, quello che impugna di spada. Le armi sono una cosa pericolosa, ma l’Ordine ha una natura guerriera che non può e non vuole rinnegare. Qui discute un’Accademia di filosofi, ma si addestra anche una falange di veterani. Una cosa va tenuta presente ora e non dimenticata mai: si combatte per dovere, non per piacere. Per l’onore, non per la vittoria in se stessa. Da questo punto in poi, chi entrerà nelle discussioni sullo specifico argomento del DRESS CODE non potrà limitarsi alle parole. Cavaliere o meno, si senta un soldato, la cui spada sarà l’esempio. E c’è molto bisogno di spade. Ci avviamo in terre inesplorate, ma altri hanno compiuto ciò che ci accingiamo a tentare. Trecento contro tutti. E’ già successo e fu una sconfitta gloriosa, la fine di pochi valorosi fu una vittoria per tutta l’umanità. Tale è il valore dell’esempio. Come in tutte le imprese, per riuscire occorre avere le idee chiare. Riporto le illuminate parole del Rettore: “Il nostro dress code, o codice del vestire, sarà allora l’insieme di quelle regole e di quei principi che fanno autorità nella materia del vestire”. Autorità non significa invadente comando o brutale imposizione, ma ragionevole certezza ed equilibrata stabilità. E’ questo che cercheremo ed i giochi cominciano a breve, anzi sono già cominciati. La scelta di Rubinacci come Relatore non è casuale. Si tratta di un uomo di gusto al più alto livello, con perfetta conoscenza della tradizione e dei suo principi nascosti, ma calato nel presente internazionale. Contiamo che abbia qualcosa da dirci e su cui riflettere. La rifondazione di un DRESS CODE, come abbiamo detto all’inizio, non deve essere orientata da una posizione preconcetta. Deve contenere la materia della tradizione, ma anche le forme del presente e del futuro. Qualsiasi norma, per essere accettata, deve essere accettabile. In conclusione, il progetto cui da vita il primo Laboratorio sul DRESS CODE è l’individuazione dei principi conservandi e conservabili allo scopo di individuare forme che ospitino i valori ancestrali e tradizionali in veicoli adeguati ai tempi. Una rete a maglie molto larghe, che non serve a filtrare o catturare, ma ad orientarsi. Non deve infatti assomigliare a quella del pescatore, ma a quella che si vede sulle mappe. Non fatta di corda per fermare, ma di sistemi di orientamento per viaggiare. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-06-2007 Cod. di rif: 3225 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dotazioni di partenza - Risp. Gesso n. 3219 Commenti: Egregio signor Renzi, anche alla luce dell'esortazione dei Cavalieri al signor Occhelli a non rifuggire le forti sensazioni, le montagne russe tra entusiasmi e delusioni, ripensamenti e scoperte, non posso che incoraggiare questa Sua intenzione di cimentarsi nel contatto coi materiali e con gli artigiani. Prima di ogni altra cosa, Le sarà utile sapere cosa mettere nella valigia con cui partire per quella che Lei stesso definisce un'avventura. Per navigare o pescare in quel mare di cui dicevano Villa e Poerio nei Gessi precedenti, occorrono: un po' di denaro, parecchio tempo, infinita tenacia e quanta più possibile capacità di introspezione. Il primo mezzo, il più comune, non ha bisogno di presentazioni, ma magari alcune istruzioni per l'uso. Contrariamente a quanto crede o dice il popolo, il denaro non si distrugge. Anche per il semplice fatto che non esiste completamene, ma questa è un’altra storia. Il denaro, dicevamo, non si butta mai ed anche se gli diamo fuoco la fiamma che genera assume un senso, un valore proporzionale alla quantità. Il denaro è pura quantità e rende quantitativo tutte le cose e persone che gli danno tanta importanza da ammetterlo nella stanza dei bottoni, lì dove si prendono le decisioni. Bisogna rispettarlo, non amarlo. Usare il suo potere, non fidarsi dei suoi consigli. Resto a lungo su questo argomento perché il rapporto col denaro è essenziale lungo la navigazione estetica. Senza farne un servitore, si riusciranno a staccare i cavi dalle bitte di ormeggio, ma mancherà sempre qualcosa e alla fine si resterà per tutta la vita in porto o poco fuori di esso. I dilettanti si fermano alla pura valutazione di un costo in assoluto, i professionisti sono in grado di cogliere il rapporto qualità/prezzo, i fuoriclasse introducono un terzo fattore: quello emotivo. Quando la situazione, la compagnia e il momento si presentano affascinanti, non esitano ad ordinare Champagne e senza badare al ricarico della casa. Per crearsi un ricordo perfetto, l’Uomo di Gusto rischia grosso. Così, nel mare dell’abbigliamento, capiterà che sia blandito dalle sirene, confuso dalle nebbie, ma se è certo che l’Oriente sia di là dal Ponente, vi faccia vela con tutti i Suoi legni. Naturalmente, il successo non dipende solo dalla correttezza della rotta, ma anche dalla scienza di navigazione. Finalmente fuori dalle metafore, quando sia certo che una sartoria o un capo facciano per Lei, non valuti troppo il costo. Un grande abito non costa mai quanto una grande auto o un prestigioso orologio. Chi spende mille scudi per un sarto potrà certamente spenderne tremila da un altro e così per le scarpe o la maglieria. Lo stesso vale per il contrario e qui occorre la massima attenzione, in quanto i casi in cui si presentano delle insidie sono molto frequenti. La paura di spendere poco è ancora più forte e comune di quella di spendere molto. Eppure, ora che qualità e prezzo non abitano più insieme, è molto facile trovare la prima senza il secondo. Il tempo è una qualità continua, analogica. Il fatto che per misurarlo sia tradotto in quantità digitale, a lungo andare ha influenzato la nostra coscienza al punto che parecchi credono veramente che esso sia tale, quindi uguale per tutti. Eppure tutti sanno in cuor loro che non scorre allo stesso modo per un giovane o un vecchio, un amante corrisposto o uno tradito, un sano o un malato. E non tutti nascono con lo stesso tempo. Vi sono persone che ne trovano per ogni cosa e riescono ad apprendere e praticare dal violino allo sci, dalla filatelia al giardinaggio. Altri ne sono privi anche per andare a comprare un giornale. Naturalmente, danno la colpa alla famiglia e al lavoro. Lei, da ora se non da prima, sa che non è così. La tenacia è volontà sostenuta dalla fede. Per chi non crede in quello che sta facendo, non vi trova qualcosa di veramente Suo, tutta quell’avventura in cui Lei vuole tuffarsi finisce in poco tempo. Non contro un muro, ma nelle secche dell’approssimazione e poi nel cantiere di demolizione dell’autocommiserazione camuffata da saggezza. Avrà di certo sentito almeno ventimila cinquantenni dire a chi, di venti anni più giovane, vesta in modo palesemente curato: “anch’io portavo sempre il papillon, poi …” e giù grandi eventi che avrebbero dovuto segnare la storia dell’umanità. Se non li ha ancora sentiti, al rigo superiore può riascoltarne quante volte vuole la perfetta registrazione. La frase non cambia che per il papillon, che può essere sostituito da scarpe, camicie, gemelli o altri oggetti su cui il Gran Saggio non può esimersi dal dare un giudizio, né dal mostrare che per lui è cosa ormai superata da una superiore l’Illuminazione. Tradotta in italiano, questa litania in codice vuol dire: “di quello sport che pratichi da dilettante sono stato campione. Se oggi non mi vedi in classifica è perché il Paese mi ha affidato incarichi più elevati. Potrei allenarti, baby, ma ripassa quando quest’emergenza sarà finita. Torno a salvare il mondo, mentre tu giochi”. Piuttosto che finire la Sua vita in questo limbo, meglio lasciar perdere subito. La capacità di introspezione è l’unica cosa importante che l’uomo possieda a migliorare seriamente con gli anni. Solo con essi, ma non grazie ad essi. Occorre tempo, ma non basta il tempo, senza qualche sforzo. In realtà non è tanto difficile OTTENERE quello che si vuole, quanto SAPERE quello che si vuole. E’ a questo che serve conoscersi. Alla Sua età sarebbe prematuro, dannoso. Ora deve pensare alla carriera, a mettere grano in botte, ad accumulare esperienze. Sapere troppo presto che alla fine molte d queste non La interesseranno più non farebbe della Sua vita qualcosa di migliore. Se nei massimi sistemi i meccanismi biologici e psicologici tipici della nostra specie ci proteggono dal sapere quando moriremo e cosa vorremo da grandi, ammesso che grandi si diventi, delle sfere più piccole è possibile determinare il raggio e quindi intuire la posizione del centro. Accantoniamo ancora una volta le metafore per concludere che le soddisfazioni del vestire su misura sono proporzionali alla realizzazione del proprio progetto. Questo è immancabilmente originale, ma non sempre aderente alla nostra vera natura. Talvolta, nel distillare la foggia da imporre al maestro, siamo distratti, influenzati, turbati, timorosi. Lei non smetta mai di scavare nelle profondità del Suo gusto. Non si faccia confondere dall’appetito e quando ordina la Sua pietanza, fornisca con sempre maggiore precisione i dati della cottura e del condimento come li apprezza Lei, non il pubblico o la critica. Naturalmente, capire cosa si vuole non significa saperlo spiegare subito e bene. Anche per questo ci vuole tempo. Ma lei ne ha. E se non ne ha, se lo procuri e lo difenda con metodo. Ora che sa come bussare, mi sento più sollevato nell’indicarle una porta. Non Le spiegherò i motivi o gli scopi della scelta, ma solo un nome e un indirizzo, che forse non Le sono nemmeno nuovi. Sartoria Sciamat -Via P. Martucci Zecca, 16 - 70032 Bitonto (BA) - Tel 080.3715426 Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-06-2007 Cod. di rif: 3230 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: DRESS-CODE - Qualche approfondimento su scopi e programma Commenti: Egregio Cavaliere Villa, effettivamente, il programma pubblicato per i lavori del 29 Giugno P.V. è così stringato da risultare una crittografia. Rileggiamo insieme i tre punti in cui è suddiviso, per chiarire quello che attualmente appare il tracciato da percorrere. Ovviamento il lavoro non potrà essere svolto in modo definitivo, ma si discuteranno le fondamenta per poter poi proseguire. 1 - LINGUAGGIO DELL’ABITO E LINGUAGGIO VERBALE Perché la ricerca in materia abbia senso, termini come stile, moda, classe, fascino, eleganza, devono trovare un contenuto condiviso, anche se non definitivo. - Per evitare di trovarsi in una Babele, in cui ogni discussione resti isolata, priva di connettività con quelle precedenti e successive, occorre individuare delle definizioni condivisibili di alcuni termini che inevitabilmente ricorreranno. Trattandosi di concetti astratti, una definizione è sempre inferiore al suo oggetto, ma un partito si deve pur prendere. Ci baseremo sulla ricerca già condotta per tracciare un dizionario con pochi termini, ma analizzati in profondità. Il solo disporre di un vocabolario comune costituirà per i Rifondatori del DRESS-CODE, perché è di questo ambizioso progetto che si parla, un’arma di straordinaria efficacia. 2 - L’ETA’ DELL’ELEGANZA Nell’abbigliamento maschile, il concetto di DRESS-CODE non può disgiungersi da quello di Classico. Quando e dove nasce il Classico e cosa significa questa parola? - Tra tutte le definizioni, quella più importante, in quanto più influente sul progetto generale, è quella di Classico. Senza condividere questo concetto è impossibile capirsi sul contenuto della tradizione, senza tradizione non c’è autorità, senza autorità non c’è legge e senza legge non c’è codice. L’autorità, il punto da cui tutto emana, non potremo essere noi, né come Cavalieri, né come libera Accademia del castello. Noi non ci arroghiamo il diritto di legiferare, ma ci assumiamo il compito di trovare la nuova forma e l’adeguata ratio per leggi che tutti sentano già come utili. Non fondiamo una nuova chiesa, ridaremo dignità ad una cattedrale che è stata trasformata in mercato del pesce. Non creiamo un nuovo culto, tentiamo di far emergere una fede che in profondità scorre ancora copiosa e pura rimuovendo gli strati rocciosi dei sensi di colpa ed i sedimenti dell’eresia, dell’idolatria e della vendita di indulgenze. 3 - LA REGOLA E IL GENIO Lo spirito della norma può essere rispettato disattendendola, non ignorandola. Nascosta tra le vette dei canoni, oltre i deserti dell’abitudine, c’è un’area di autonomia che per alcuni è angusta, per altri infinita. - Lo scopo finale non è una legge che domina gli uomini, ma un uomo che domina le leggi. Le conosce, le utilizza, le aggira, sempre divertendosi come un matto. E’ un gioco. Non c’è gioco senza regole, ma le regole devono essere uguali per tutti. Il loro scopo non è ridurre il piacere di giocare, bensì giustificarlo. E' ovvio che questo lavoro prenderà anni, ma è essenziale partire bene, cioè imboccare subito la direzione giusta, nonché tenere il ritmo. Per quest'ultimo occorre la tenacia, ingrediente che qui non manca affatto. Per indirizzarsi bene, invece, serve sapere con assoluta precisione quale sia il punto di partenza e quale quello d'arrivo. Quanto al primo, noi riteniamo che allo stato attuale il mondo maschile sia governato da forze illegittime. La grande comunicazione impone comportamenti e acquisti che giovano al mercato e mortificano l’individualità. Per contrastare questo potere, diffuso in tutti i campi, si può tranquillamente cominciare dall’abbigliamento. Il resto verrà di conseguenza. Occorrono due cose. Innanzitutto un minimo di conoscenza organizzata, cioè un impianto di nozioni sui materiali, gli stili, i concetti, alla luce non più di un’adeguatezza istantanea alla “moda”, ma di una correttezza nell’ambito di un respiro più ampio. La seconda è la fiducia in questo impianto, stabile perché ragionevole e compatibile con le più autentiche e nobili aspirazioni umane. Il passaggio è da un uomo che per piacere e piacersi desidera essere giovane e bello e per questo è disposto a comprare o fare qualsiasi cosa, ad uno che vuole essere decoroso, cioè rispettare per essere rispettato. Qualcuno si sentirà chiamato ad imboccare addirittura la via dell’eleganza e in questo caso le regole bisognerà conoscerle molto bene, anzi capirle nella loro essenza, per poterle interpretare nel modo unico che distingue ogni uomo veramente elegante. Il DRESS-CODE resta comunque lo schema metrico, non la poesia. Il talento si coltiva, ma non si trasmette. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-06-2007 Cod. di rif: 3232 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: DRESS-CODE - Sistemi e limiti Commenti: Egregio Cavaliere Villa, sul primo punto basterà recuperare le definizioni sparse in varie zone del castello, chiarendole ed organizzandole. Sugli altri due i Relatori forniranno, in sede di convegno, alcuni spunti di riflessione. Il materiale verrà pubblicato per ora nell'area dedicata della colonna Eventi, poi sorgerà una zona specifica qui nella Porta dell'Abbigliamento. In ogni caso, il dibattito e la ricerca si svolgeranno o avranno comunque visibilità sempre qui nella Lavagna e nel Taccuino. L'area non disporrà di altri sistemi interattivi. Va comunque accettato che non si potrà sistemare tutta la materia e soprattutto non si potrà adoperare e quindi esprimere che un punto di vista ben preciso. Occorre essere sereni, ma è impossibile non restare quello che siamo: schierati. Quello che verrà fuori non sarà quindi una panacea, ma un codice a tutti gli effetti cavalleresco. Chiariremo a noi stessi ed agli altri cosa comporti il nostro pensiero sul piano del vestire. Una concezione della libertà individuale come cancellazione di ogni disciplina, di ogni rinuncia, sta portando alla dittatura dello streetwear. Il punto di partenza cavalleresco, di certo condiviso anche da uomini estranei alla nostra Associazione, è diametralmente opposto. La libertà non è negare il dovere o la legge, ma condividerne il senso ed alla fine farli così propri che obbedire loro comporti essere veramente padroni di se stessi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-06-2007 Cod. di rif: 3235 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: DRESS CODE - Ieri, oggi, domani Commenti: Caro Dante, Eccellentissimo Rettore, il problema dell'abbigliamento maschile, quello che oggi ci spinge ad armarci per una campagna di riconquista, è che la sua lingua si è perduta. Anche chi vorrebbe attingere al classico resta spesso insoddisfatto. Appena mosso qualche passo in quella direzione, si trova subito privo di punti di riferimento, di chiavi interpretative, di un vocabolario, di un'antologia di esempi, sicché le sue scelte rischiano di poggiare su strutture deboli, che vacillano alla prima, immancabile critica. La casa ed i negozi, i luoghi che tradizionalmente svolgevano un ruolo educativo, non sono più all'altezza di svolgerlo. La famiglia cede il passo a forme in cui la parte assistenziale ed economica è dominante su quella riproduttiva ed educativa. Nella sua evoluzione, sembra che la nostra civiltà abbia cominciato tacitamente a coltivare l'idea che anche l'educazione sia una minaccia alla libertà ed ai diritti fondamentali cari al pansindacalismo. Il commercio non esiste più e si orienta verso forme sempre più primitive di shopping fai-da-te senza un rapporto con il personale e soprattutto senza alcun personale competente. E' chiaro che la geografia virile sia mutata, ma mancano una cartografia aggiornata e ragionata; progetti per nuovi ponti tra presente e passato; strutture in grado di reggere e contenere all'interno di un ambiente ideologicamente ed eticamente chiuso i micidiali carichi imposti dalle esigenze di movimento e prestazioni, che sembrano sostenibili solo da quella forma di opportunismo simbionte che oggi si chiama relativismo. Noi siamo convinti che debba esistere una possibilità di trascrivere nelle forme espressive dell'abbigliamento un uomo solido e sicuro, eppure consapevole e attuale. In questo quadro, l'Ordine intende assumere il compito di una rilettura e rifondazione dell'estetica classica del vestire, fondata sui suoi tradizionali principi e quindi orientata solo a coloro che li condividano. La flessibilità blandisce le masse proponendosi come formula di vita indispensabile ad essere “vincenti”. In questo participio presente vi è tutta l’inconcludenza evirata del pensiero flessibile. Un uomo solido si definisce semmai “vincitore”, parola in cui non c’è l’atteggiamento, ma il compimento dell’impresa e tutte le terribili responsabilità ad esso connesse. Poiché sembra che l'Ordine affronterà il DRESS CODE come lingua estetica di quanti siano educati o intendano educarsi intorno a valori stabili, si potrebbe profilare uno scontro del classico con lo streetwear. se vissuto come tale, un conflitto del genere rischia di essere quello della rigidità contro la mobilità ed in questa situazione la sconfitta sarebbe inevitabile. La vittoria non sarà quindi nel distruggere un nemico che non esiste, ma nell’imparare da un vicino che vediamo tutti i giorni. Ciò che andiamo a riprenderci fu abbandonato dai proprietari e non saccheggiato dagli invasori. Alle moltitudini non interessa, perché quello che ci appare come oro lo vedono come sabbia. Loro sentono di aver ragione quando fanno ciò che fanno tutti, che non è mai quello che facevano ieri. Noi sentiremo di averla quando saremo certi di dire a nostro figlio la cosa giusta, perché sarà tale anche domani. Attendo ansiosamente la tua relazione del 29 p.v. a Napoli. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 04-07-2007 Cod. di rif: 3253 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Errata corrige Commenti: Illustre Gran Maestro, per un malaugurato errore, dal testo dell'intervento precendente (rif. 3252) è saltata la prima riga contenente l'intestazione del messaggio, che comunque deve intendersi rivolto anzitutto a Lei. Le porgo le mie più vive scuse per l'incidente occorso. Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 04-07-2007 Cod. di rif: 3252 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Right and Wrong Commenti: Mi permetto di prendere a prestito per questo mio primo intervento al Castello, di cui sono da tempo attento e silenzioso frequentatore, il titolo della rubrica di Esquire, recentemente rievocata con la solita finezza dal sig. Pugliatti nei Taccuini. Spero che Lei e gli altri Cavalieri vorranno scusarmi se il tono di questa riflessione di esordio è più amaro di quanto avrei desiderato. Il fatto è che alcune recenti circostanze mi lasciano pensare. Riferisco subito l’ultima e forse meno rilevante: si è letto sui quotidiani di ieri di un accordo raggiunto con i lavoratori in una grandissima impresa italiana per bandire (ripeto: bandire) da tutti uffici la tenuta maschile formale. Scopo di questa strage di giacche e di cravatte sarebbe quello di consentire un utilizzo più contenuto della climatizzazione estiva, con conseguente risparmio energetico (verrebbe allora da chiedersi se i medesimi lavoratori che hanno approvato entusiasticamente l’intesa accetterebbero di buon grado un accordo che, al medesimo fine di economizzazione energetica, li obbligasse ad esibire in ufficio, nella stagione fredda, un soprabito di buon taglio...). Negli ultimi tempi, poi, molto si è discusso del rilancio della più importante impresa manifatturiera nazionale. Ebbene, tale rilancio ha come indiscusso artefice un dirigente che sprezza ostentatamente la tenuta formale e si fa vanto di apparire in ogni occasione possibile senza indossare la giacca. Nel frattempo, molto si parla – anche sotto il profilo dello stile – degli ultimi esponenti della Famiglia che ha fondato quell’azienda ed ad essa ha legato le proprie sorti (e, per certi tratti, anche quelle del Paese): tuttavia, mentre le opinioni sull’effettivo interesse di un’attenta osservazione stilistica dei personaggi in questione divergono anche profondamente (personalmente sono convinto, ad esempio, che i tesori di sapienza che, specie in questo Castello, sono stati profusi nell’analisi della figura di Lapo E. avrebbero meritato altro e più fecondo impiego), un punto è sicuro per tutti gli osservatori di cose di industria: l’assoluta irrilevanza del contributo di questi personaggi ai fini della costruzione delle strategie aziendali. Questi esempi mi inquietano profondamente. Alla base dell’interesse per l’eleganza e dell’amore per il classico sta, per quanto sommessamente mi riguarda, una convinzione (o un’illusione?) antica: la persuasione della piena coincidenza fra etica ed estetica e della superiorità dell’ideale di serena armonia del classico. A differenti livelli, e con intensità diversa, le circostanze cui ho fatto riferimento sembrano mettere in discussione proprio questa, per me centrale, convinzione. Vi è, credo, motivo per attentamente meditare (non certo – lo dico a scanso di equivoci – per coltivare atteggiamenti di rinuncia, che avrebbero il sapore dell’abiura). Sarei lieto di raccogliere sul punto un parere Suo e degli altri valenti Cavalieri. Saluti cordialissimi, Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2007 Cod. di rif: 3275 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cesare Attolini - Risp. Gesso n. 3274 Commenti: Egregio avvocato Catalano, la figura di Cesare Attolini è di importanza centrale nella storia dell'abbigliamento. A Napoli, in Italia ed a livello planetario. Concreto specialista, geniale creatore, instancabile perfezionista, ha avuto un ruolo nella nascita o nello sviluppo di molte case ed ha influenzato tutta la storia di quello che si chiama in genere il "sartoriale" e qui chiamiamo il "su-ordinazione". Se avrà cura di leggere il gesso n. 2328, vedrà che di Cesare Attolini ho già detto, e non poco. Se non torna spesso non è certo per disistima, ma perché la ricerca della Porta dell'Abbigliamento resta nell'ambito del lavoro squisitamente artigianale, cioè del su-misura puro. I miei rapporti con il maestro ed i figli Massimiliano e Giuseppe è eccellente e di tanto in tanto vado a trovarli in azienda. Il giovedì, quando la loro mensa serve una genovese coi fiocchi. Non si finisce mai di attingere episodi, spunti, o vere e propie illuminazioni. Pur essendo sarto e conoscendo ogni segreto dell’arte, Cesare Attolini ha però sempre dato il meglio di se stesso come direttore di linee di produzione. Nessuno ne sa più di lui e forse nessuno attualmente produce una giacca migliore, ma pur essendo ricca di stile non è artigianale. Certo, il confine tra artigianalità e produzione in serie è divenuto più sottile, perché da entrambe i lati ci si è avvicinati all’altro. Il castello resta comunque un’area di ricerca e non di classifiche, sicché non ci interessa la completezza, né i marchi. Spesso nominiamo dei sarti, ma ne sono riportati moltissimi e ciascuno può orientarsi verso l’impostazione che ritiene adeguata alla propria personalità. La Sua richiesta mi da comunque lo spunto per riportare quel brano su Attolini che Lei ricordava redatto per MONSIEUR. Lo prendo dal mio archivio e quindi apparirà in versione integrale ed originale, mentre sulla rivista avrebbe potuto esserci qualche rifilatura. La saluto come gran Maestro e La lascio al “giornalista” Giancarlo Maresca ATTOLINI La Dinastia Nella terra dei ciechi basta un orbo per ambire al trono, ma gli Attolini seppero distinguersi anche tra o contro le aquile. E’ questo che viene in mente, pensando alla storia di un nome che nell’abbigliamento maschile italiano ha non solo ricoperto un ruolo creativo indipendente, ma ha interagito con gruppi e personaggi del più alto livello, contribuito a generare importanti società e influenzato lo stile e i sistemi di un mondo dalle dimensioni non trascurabili. Vincenzo Attolini (1901–1971) occupa, nella storia della nostra sartoria, un posto paragonabile a quello di Dante nella lingua. Se Caraceni influenzò il classico con una riforma, Attolini lo sconvolse con una rivoluzione. Il primo scrisse sempre in latino, il secondo rivelò le sfumature espressive di una lingua radicalmente nuova. Vide e mostrò, già negli anni trenta, ciò che per sessanta anni sarebbe restato alternativo, per poi essere consacrato come paradigma alla fine degli anni novanta. La sartoria napoletana assunse allora l’autorità per imporre a tutto il mondo i suoi stilemi, soprattutto quanto a bavero, spalla e manica. E’ risaputo che tali caratteristiche, che improvvisamente il mondo intero cominciò a desiderare e copiare, in buona parte trovano origine nel lavoro di questo pioniere. Talento precoce e carattere inquieto, Vincenzo Attolini si formò tra personalità eccezionali. Il filo storico di quegli anni, che si snodano tra miti e leggende, non è facile da dipanare. Prima della Grande Guerra era già attiva la sartoria di Salvatore Morziello, nella quale lavorava anche quel De Nicola destinato ad aprire in Piazza Vittoria una sartoria di particolare importanza, dove vestirono anche i reali. Morziello entrò in società con Giovanni Serafini, insieme al quale aprì una monumentale sartoria a Piazza dei Martiri, in quell’angolo vicino al chiosco dell’edicola. Fu in questo crocevia, attraversato da grandi sarti e grandi clienti, che si formò Vincenzo Attolini. Per capire cosa doveva essere allora l’attività sartoriale, si pensi che la bottega occupava la superficie in cui oggi trovano posto un negozio di Armani e un’agenzia della BNL, qualcosa come cinquecento metri quadrati. Attenzione, perché Giovanni Serafini era suocero di Gennaro Rubinacci, collezionista d’arte e immenso uomo di gusto, che sta per entrare in scena come uno dei protagonisti di questo periodo epico. Per qualche tempo Serafini e Morziello ebbero un terzo partner fuoriclasse, Eugenio Marinella, ma coi primi venti di guerra la saracinesca si chiuse definitivamente su questa bella avventura. Giovanni Serafini si dedicò alle cravatte e si sistemò indipendentemente a Roma, dove in Via dei Condotti sorge ancora il bel negozio del nipote Roberto. Intanto, a Napoli, il genero Gennaro Rubinacci aveva deciso di giocare le sue carte ed aperto la London House, prima in Via Chiaja e poi nella definitiva sede di via Filangieri. Avendo compreso il talento di Vincenzo Attolini, lo prese con se come primo tagliatore perché guidasse, lui giovanissimo, schiere di maestri più anziani. Nasceva così un binomio destinato a dominare la scena per decenni ed a lasciare una traccia profonda. Il gusto di Gennaro Rubinacci, che tutti ricordano come “Bebé”, trovò risposta ed anzi accelerazione nella tecnica superba di Vincenzo Attolini, cui tutto sembrava possibile. Come sostiene Mariano Rubinacci, fu lì ed allora che nacque quello che oggi chiamiamo casual. Le necessità climatiche e l’esuberanza estetica partenopea portarono ad un alleggerimento degli interni, delle linee, della costruzione. Queste soluzioni, però, si andarono ad abbinare ad una scelta di colori e materiali che non solo conferiva praticità, ma un’immagine diversa dell’uomo. Non cambiava una forma, ma un concetto. Sotto la spinta di Domenico Caraceni e altri contemporanei, anche la scuola abruzzese attiva a Roma alleggeriva la struttura della giacca, ma senza osare tanto. Si offriva all’uomo un maggiore comfort, ma il suo aspetto non cambiava di molto. Fu proprio qui l’invenzione, il sovvertimento che in quegli anni e grazie a quegli uomini maturò nella scuola napoletana. Coi suoi spiombi, con quei drappeggi ai petti e alle maniche che sfioravano la trasandatezza, con le forme ardite delle tasche, con l’insistenza su ribattiture e impunture che conferivano sportività, ma insieme con la precisione armoniosa della composizione, la magica forbice di Attolini permise il passaggio, ancora incomprensibile per buona parte dei contemporanei, da un uomo che spesso vestiva bene per convenienze sociali ad uno che vestendosi si divertiva. Astrazioni? No di certo. E’ sufficiente pensare alla differenza tra un Amedeo Nazzari e un Vittorio De Sica, per capire che stiamo parlando di cose che tutti vedono, che tutti hanno visto. Dei sei figli di Vincenzo Attolini, Tullio fu anch’egli primo tagliatore di Rubinacci, per poi mettersi in proprio. Anche Claudio proseguì nell’arte paterna. Da tempo ha il laboratorio in Napoli, alla Via Vetriera n. 12, stilisticamente e amministrativamente collegato con il fratello Cesare. Quest’ultimo, oltre alla pratica di bottega, volle perfezionarsi nel disegno e nella modellistica. Negli anni sessanta, ancora piuttosto giovane, entrò da stilista nella Vastola, società con sede a Santa Maria di Sala, vicino Venezia, ma dietro la quale c’era la Ermenegildo Zegna. In quella occasione entrò in contatto con Vittorio Piccolo, detto Victor Little, un italiano che aveva diretto alcuni tra i primi grandi stabilimenti di confezione negli Stati Uniti. Little portava dall’America nuove idee, soprattutto sull’ottimizzazione della produzione. Attolini ama ricordarlo come un amico e un maestro, dal quale mutuò una visione che lo avrebbe accompagnato per la vita. Il suo bagaglio stilistico e tecnico, accumulato in un ambiente e in una famiglia che aveva potuto fornirgliene senza risparmio, si completava con una visione organizzativa all’avanguardia. Già sapeva cosa si dovesse fare, ma ora capiva anche come farlo e in quale direzione cercare per farlo ancor meglio. La Vastola, dopo aver prodotto capi di eccezionale qualità e attualità, fu chiusa. Dopo quella prima esperienza, il gruppo Zegna decideva di fare le cose più in grande e cominciò a produrre col proprio marchio. Cesare continuò a lavorare col suo richiestissimo talento alla creazione di nuove linee e al successo di altre case. Come quei grandi enologi che tutti corteggiano, perché sanno come portare un vino ad un livello internazionale, contribuì all’impostazione e talvolta alla fondazione di importanti società del settore. La confezione di alto profilo in ciclo produttivo deve a Cesare Attolini molto più di quanto si immagini e certamente molto più di quanto si sappia. Sempre fu prodigo di consigli e pronto a dare una mano per il puro amore della sartoria. Questo atteggiamento non è affatto cambiato, ma quando i figli cominciarono ad avere l’età e le capacità per aiutarlo, venne anche per lui il momento di mettersi in proprio. L’azienda, il prodotto Giunto con slancio alla terza generazione, sembra che più lontano si vada e più il nome Attolini sia conosciuto e apprezzato. Eppure, quando sorse, l’esemplare stabilimento-laboratorio di Casalnuovo appariva come un sacco con poche noci. In una struttura enorme, sei sarti producevano tre capi al giorno. Oggi gli operai sono quasi cento e i capi quarantacinque. Come si vede, i rapporti sono esattamente gli stessi e così la qualità, ma per il prodotto non ci sono più frontiere. In una visita all’azienda Attolini, la prima cosa che colpisce è il magazzino tessuti. Scelte originali, in cui la fantasia poggia su basi rigorose. Molte stoffe sono in pesi e qualità di gran lunga superiori a quanto si veda in altri stabilimenti. Sottraendosi alla dittatura dei pettinati e delle ammiccanti lucentezze, spicca una buona presenza di cardati. Senza cedere allo strapotere dei grigi e dei blu, gli scaffali si illuminano con molte macchie di colore. Si notano, tra l’altro, tagli di un denso cachemire di Harrison, con grandi riquadrature e overplaid gialli o rossi. Nel reparto spedizioni non si possono non ammirare alcune di queste giacche già finite, mentre lasciano l’Italia per chissà quali paesi. Completamente sfoderate, leggere nelle forme e nella costruzione, portano con esse uno stile inconfondibile, un sapore che viene da lontano e che la breve introduzione storica ha contribuito a dire da dove. Il giovane Massimiliano mi dice: “Stanno finendo, o sono già finiti, i tempi in cui un marchio del capospalla poteva basarsi su se stesso, senza produrre in proprio. Il mondo si è troppo rimpicciolito e i grandi e buoni compratori sono in grado di scavalcare tutti i filtri e di sapere chi faccia cosa e come. Noi facciamo il nostro e lo facciamo a modo nostro, senza compromessi”. Il fratello Giuseppe, in un bel completo saxony fondo marrone, incalza: “La filosofia dell’azienda è basata su principi semplici. Ogni capo è composto da due elementi base: modello e lavorazione. Per entrambe noi ci atteniamo alla tradizione, ma ben sapendo che essa sopravvive attraverso una corretta e continua risposta alle esigenze attuali. Quasi sempre un successo nasce dall’aver saputo riprodurre una foggia o una soluzione del passato, riproponendola nel modo e nel momento opportuni, ma in questo cultura e storia sono insostituibili e non possiamo che dirci fortunati per aver ereditato questi tesori. Talvolta si può sbagliare una previsione, ma il controllo continuo, il rapporto tramite il laboratorio di Via Vetriera con clienti anche singoli e di grande sensibilità, la modestia e la flessibilità artigiana che conserviamo come un patrimonio insostituibile, ci permettono di correggere subito la rotta”. In effetti, la giacca di Attolini conserva sia nell’impostazione generale che nei dettagli un’aria di famiglia che si ritrova in un approccio leggero, in una volontà di favorire un rapporto tra uomo ed abito improntato al piacere e non alla tensione. I taschini a barchetta sono ancora quelli di Vincenzo, così come la sagoma estremamente elaborata delle tasche a toppa, con il celebre profilo a “pignatiello”. La manica ampia alla tromba, decisamente e armoniosamente rastremata, dona un certo vigore all’insieme, ma il codice segreto di questo stile è la disinvoltura che si ritrova in una spalla restata quella naturale. Il suo profilo leggermente convesso prepara le lentezze dell’attaccatura della manica ed evoca un certo divertito distacco anche nelle fogge formali, il che ci riporta non solo alla sartoria, ma alla più autentica mentalità napoletana. Novembre 2005 Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2007 Cod. di rif: 3280 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Rischi di ipotermia - Al Cavaliere Borrello Commenti: Intemerato Cavaliere Borrello, non ce la vedo proprio, specie in ufficio, a rinunciare all'onor del collo in vista di magri benefici termici. La Sua citazione dell'accalorato (è il caso di dirlo) comunicato stampa mette in luce gli standard culturali del ministro. Sarebbe opportuno che pubblicasse anche le fonti, gli studi che hanno portato a concludere come la presenza delle cravatta eleverebbe la temperatura corporea sino a tre gradi centigradi. Una misura invero considerevole, il cui valore sfugge totalmente alla povera signora Turco. Secondo questo stesso metro, liberare i piedi, zona di massima traspirazione, sostituendo le scarpe con degli infradito, abbasserebbe la temperatura di altri tre gradi. Orbene, mi raccontano di alcuni incoscienti che si recano al mare addirittura coi pantaloni corti! Occorre che i nostri sapientissimi e prudentissimi tutori vietino immediatamente simili comportamenti, perché porterebbero ad una grave ipotermia prima di uscire dal portone di casa, anche in pieno Agosto. Cavallereschi saluti ed incrollabili cravatte a Lei. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-07-2007 Cod. di rif: 3285 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Caldo. Due visioni del mondo - Risp. al gesso n. 3283 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, perché il dress-code non sia un’ipotesi campata in aria e quindi una porta aperta sul ridicolo o sulla sconfitta, occorre che abbia basi solide e mura equilibrate. Diciamo che nei diversi periodi storici e quindi tenendo presenti i costumi delle diverse razze al potere, il dress-code suggerisce la più corretta tra le scelte possibili che a loro volta, anche parzialmente, vantino una tradizione. Se l’equazione presenta delle complessità è proprio perché la tradizione presenta una quantità di soluzioni infinitamente superiore a quella cui è solita pensare la nuova razza, quella dell’uomo delle palestre. Vediamo come si risolve il problema da Lei proposto. Cosa si indossa in città quando fa caldo? Innanzitutto va detto che il caldo e l’estate erano due cose diverse per l’homo elegans e sono invece la stessa cosa per l’uomo delle palestre. Questa razza ha una natura muliebre, anche se non propriamente matriarcale. Come il pianto era l’arma letale della femmina dell’homo elegans, così l’insofferenza è un dispositivo precauzionale e difensivo di tutta intera la specie “delle palestre”. Il lamento è quotidiano e continuo, dal posto di lavoro alla pizza con gli amici, dall’appuntamento con il partner alla sala del parrucchiere. Anche questi, ovviamente, condiviso. L’invenzione dell’insofferenza è di portata immensa e i suoi effetti si fanno sentire in ogni campo, ma soprattutto nel matrimonio e nel guardaroba. Limitiamoci a quest'ultimo. Appena scatta l’ora legale, che è stata messa a punto proprio per segnalare questo momento, l’uomo delle palestre cessa di lamentarsi per il freddo ed attacca la salvifica lagna sul caldo. La stagione non conta, né contano le reali condizioni. La sensibilità ai fattori cosmici, anche alla semplice percezione del benessere termico come rapporto temperatura/umidità, sfugge completamente ai sensi della nuova razza, i cui individui non considerano possibile che esista altro da se stessi. Anche al castello, in quelle zone dove la presenza dell’uomo delle palestre è più importante, si possono studiare le sue strategie. Cito la conversazione n. 5709 nel Caffè del Dandy. Dopo averne sbagliato la grafia del cognome nell’intervento precedente, un giovane Visitatore così si rivolge all’interlocutore : “…scuserà l’errore. Questo caldo mi sta proprio facendo impazzire”. Ecco che il caldo giustifica ogni mancanza, sia quella della giacca che quella grammaticale. A queste condizioni, perché aspettarlo, quando lo si può anticipare con l’ora legale e l’insofferenza? L’homo elegans, che basò il suo impero su valori e funzioni durevoli sia negli oggetti che nelle persone e nei comportamenti, è più preciso nella percezione. I suoi vini erano molto più sfumati, mentre quelli dell’uomo delle palestre sono tutti potenti e decisi. Le sue stagioni erano quattro, mentre quelle dell’uomo delle palestre sono due. Colpa dell’effetto serra, dice, ma non è vero. L’homo elegans distingueva, come dicevamo, due livelli diversi. L’estate è un fenomeno cosmico, in cui la luce conta quanto e più del calore. E' innanzitutto la qualità e quantità della luce ad indurre un cambio nei materiali e nei colori. Il caldo è un’altra cosa, un fenomeno relativo e non assoluto. non tutti gli uomini e. come si vede, non tutte le sue razze lo percepiscono allo stesso modo. Con l’afa, cioè il caldo umido che genera sudorazione e tutti avvertiamo come tale, si ha un ulteriore cambio nelle scelte. E veniamo quindi alla questione che Lei pone, cioè quali siano le opzioni più equilibrate e soddisfacenti in caso di afa. E’ ovvio che qui mi rivolgo a Lei come uomo di gusto, cioè individuo attento e capace di attingere alle sensazioni in modo diretto e non mediato dal sistema culturale. L’uomo di gusto è trasversale e può appartenere sia alla razza elegans che a quella delle palestre, anche se in quest’ultima la sua posizione è più difficile da individuare in quanto estremamente mobile. Gli è che la nuova razza ha fondato il suo successo sulla rivoluzione, la rivendicazione, il cambiamento, facendo di queste istanze che noi avevamo creduto temporanee una vera e propria tradizione alternativa. E’ ovvio che chi si riconosca in essa trova “di gusto” cose ogni giorno diverse, mentre prima accadeva l’opposto. Diciamo che nella civiltà dell’homo elegans l’uomo di gusto era colui che vedeva con maggiore precisione e profondità, mentre oggi è colui che vede e quindi cambia prima degli altri. Dunque restringiamo il campo. Non parliamo di cosa si debba mettere in estate, ma di cosa indosserà l’uomo di gusto nelle giornate afose. Lei era stato più sintetico nel descrivere questa precisa situazione e mi scuso per essermi tanto dilungato per giungere dove Lei ci aveva portato in poche righe. Mi sono perso? Deve essere stato il caldo. Dobbiamo dividere gli uomini di gusto della specie elegans da quelli della specie delle palestre. Quest’ultima ci frequenta assai poco e quindi la tratteremo meno attentamente, ma non per mancanza di rispetto. E’ noto, anzi ovvio, che tutta la vita elegante e cioè il capolavoro della specie elegans, è basata sul concetto di comodità, mentre il risultato più alto della specie delle palestre è la praticità. Ciò comporta che il primo indosserà qualcosa di simile, ma profondamente diverso. La differenza è nel lavoro che si è potuto delegare ad altri, fondamento della vita elegante e anatema per la vita pratica. Quindi, l’homo elegans di gusto indosserà pochi capi, ma attentamente curati e stirati, mentre l’uomo delle palestre preferirà articoli no-stiro e scarpe che non richiedano alcuna manutenzione. Questa differenza va considerata come una carta d’identità ed insieme un’analisi immediata ed affidabile del DNA estetico. Se l’uomo nato elegans passa al no-stiro, al no-lucido ed altre sottrazioni, è avvenuta in lui la mutazione verso la praticità ed è bene che ne prenda subito coscienza. Sia chiaro che homo elegans ed uomo elegante non sono sinomini. Mentre l'eleganza è un'arte, l'homo elegans è una vera e propria specie, biologica e culturale, cui si appartiene soprattutto per il modo di pensare e non solo per quello in cui si veste. Chi si riconosca in questa che ormai è una minoranza indosserà pantaloni in materiali estivi classici, con una cintura leggera e magari colorata. Scarpe in nubuk nei colori delicati che impongono frequenti spazzolate, o in vitello accuratamente lustrato. Calze vivaci, ma non troppo, e soprattutto una camicia o una polo ben stirata, traspirante e non trasparente. I colori sono infiniti, ma qualche concessione alla contemporaneità fa parte della sensibilità e quindi di quel gusto di cui parliamo. Gli occhiali da sole saranno preferibilmente senza spigoli. L’uomo delle palestre indulgerà nei materiali tecnici e calzerà scarpe da barca deliziosamente scalcagnate, senza calze. La camicia o la polo, diversamente da quella dell’homo elegans, sarà a mezze maniche anche in città e con spalle un po’ cascanti, per rispetto alle sue accresciute necessità di movimento e libertà. Occhiali rigorosamente quadri. Giacca solo per l’elegans chi vi sia così abituato da non dover mai dare segni di insofferenza, tratto somatico che abbiamo visto appartenere all’altra razza e che quindi genererebbe uno squilibrio. Idem per il cappello. Anche la capigliatura è importante molto differenziata. Più fluente, ma non lunga, per l'elegans, mentre il "palestre", in nome della praticità, porterà un taglio quasi a zero o una lunga chioma creativa secondo l'archetipo a lui caro del pirata. Certamente ho finito per dirLe cose che lei sapeva già, ma le domande sono tutte semplici e le risposte tutte complesse. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-07-2007 Cod. di rif: 3291 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scuse al signor Zampol Commenti: Egregio signor Zampol, Lei ha vissuto la mia frase come una stoccata e tanto è sufficiente ad esigere soddisfazione per aver portato una Sua frase come esempio. Lei ha caldo, è giovane, quindi ha tutte le giustificazioni. Io nessuna, sicché Le porgo le mie scuse. La citazione conserva un puro scopo scientifico in quanto utile nell'esposizione, ma anche alla luce delle sue dichiarazioni non vale come etichetta. Lei frequenta da tempo il castello e sa che, fatte saltuarie eccezioni per l'area sul dandy, la cui natura estrema attira personaggi incompatibili con la serenità della pura ricerca, non vi si esercita alcuna animosità, competizione o approssimazione. Perdoni un pensatore che ha ceduto alla tentazione di un esempio troppo calzante con le proprie teorie. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-07-2007 Cod. di rif: 3295 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sciamat Commenti: Egregio avvocato Catalano, mi dolgo di non aver ancora risposto alla Sua sulla camicia e di non poter nemmeno esaurire la questione che ora mi pone. Tornerò presto alla quotidiana frequentazione. Per quanto riguarda Sciamat, sarò sintetico: stile e ricerca tra i più interessanti, costruzione senza particolari meriti o dmeriti. In conclusione, una realtà riservata a coloro che vestono veramente con piacere ed hanno punti di riferimento chiari, essendo anche disposti ad azzardare un pochino. A questo punto, dedicherò a Sciamàt una scheda del Portico dei Maestri che chiarirà anche con delle immagini la posizione di Sciamàt nel panorama internazionale. La prego di scusare la sintesi e l'attesa. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-08-2007 Cod. di rif: 3299 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Uno sguardo su Napoli - Al maestro Rossi Commenti: Egregio maestro Rossi, quanto a Londra, i nomi noti di Savile Row attraversano un periodo scarsamente interessante. Per nascondere una perdita di manualità vorrebbero essere creativi, ma non imbroccano la strada giusta. Tra quelli che hanno esposto a Gennaio a Firenze, cui aggiungo alcuni visitati a Londra, solo Anderson & Shepard offre la coerenza e la densità che ci si aspetta da una grande casa. A Napoli le cose vanno molto meglio. Nonostante il saccheggio e l'euro abbiano fatto lievitare un po' i prezzi, è possibile scegliere tra diverse impostazioni sempre restando nell'eccellenza. Un guardaroba rappresenta un progetto ambizioso e affascinante, sul quale sarà forse opportuno ritornare. La sua complessità non è perfettamente compatibile con le qualità ed il repertorio di una sola sartoria, ma capisco che, almeno in questa materia, l'uomo ha tendenza monogamiche molto radicate. Le faccio qualche nome tra quelli che potrebbero fare al caso Suo. LONDON HOUSE di M. Rubinacci – Via Filangieri n. 26 – tel. 081.415793 La più antica sartoria italiana e come tale custode di una tradizione di valore inestimabile. Molti vantano anni di fondazione anteriori a quello del Monte dei Paschi di Siena, ma alla prova dei fatti nessun altro laboratorio può realmente vantare e documentare settantacinque anni di attività continua, sempre negli stessi locali, con la stessa impostazione e saldamente nelle mani di una sola dinastia. PREGI: Un consiglio di Mariano Rubinacci è veramente prezioso e può fare la differenza. Tessuti strepitosi, scelti senza badare ad altro che alla bellezza ed alla resa sartoriale. Molte stoffe vintage. Clientela al più alto livello. Idee chiare, principi saldi e stile unitario, insomma un patrimonio che si può accumulare e consolidare solo col tempo. Vi si aggiunga l’inarrivabile gusto di Mariano Rubinacci, che si estende alle camicie ed alle cravatte. DIFETTI: Costo elevato e lunghi tempi di attesa, come è inevitabile nel gotha. Si parte da tremilaottocento scudi per un abito “base”. Se non si è seguiti direttamente da Mariano Rubinacci, si perdono gran parte del piacere e dei vantaggi di servirsi qui. GENNARO SOLITO – Via Toledo n. 256 – Napoli – 081.414095 Abiti con un sapore napoletano sobrio e leggero, tra il disinvolto e l’intellettuale, che piace a chi ama il classico, non vuole sentirsi obbligato ad essere giovanile, ma nemmeno restare completamente fuori dall’attualità. PREGI: Costanza nella qualità. Simpatia personale del maestro. Classe napoletana riconoscibile, ma senza alcun eccesso. Bel doppiopetto in quello stile che qui chiamiamo “ionico”. Eccellenti i cappotti, eccezionale lo “chemisse”, spolverino alla napoletana una volta riservato ai mezzi tempi, ma che acquista oggi indossabilità su un arco stagionale più ampio. Buon rapporto qualità/prezzo. Si parte da millesettecento scudi. DIFETTI: Facile che l’appuntamento per una prova venga differito. Laboratorio riservato quindi ad appassionati pazienti, ovvero insistenti. In genere i sarti non sono inattaccabili, indifferenti come gli avvocati, i medici o i commercialisti. Detestano essere sollecitati e turbati dalle ansie del cliente e basta terrorizzarli con un paio di chiamate strategiche prima di ogni appuntamento perché tutto vada a posto. I lamenti successivi, fatti in loco, servono invece molto poco. Giacca tendenzialmente un po’ lunga, che pur restando pienamente proporzionata può non piacere a tutti. DOMENICO PIROZZI – Via Chiaia n. 197 – Tel. 081.414175 Tra gli ultimi depositari dei segreti delle tecniche dei capiscuola napoletani del passato. Un maestro dalle capacità eccezionali, anche se talvolta leggibili solo dai competenti. PREGI: Pregevole doppiopetto in stile “dorico”. Giacca estremamente alta di collo, splendida indosso a chi abbia spalle coniche e/o collo allungato. Spalle ben lavorate, con effetti da grande sartoria. Bei gilet. Nessuna possibile concorrenza sulla giacca a tre bottoni. DIFETTI: Qualità incostante, che passa con facilità dal buon compitino al capolavoro. Per ottenere quest’ultimo occorrono attenzione, determinazione e un po’ di competenza. Costi in linea con il lavoro, a partire da milleottocento scudi. GIUSEPPE UCCELLO – Via Cavallerizza a Chiaia n. 8 – Tel. 081.19572398 – 320.8537334 Maestro giovanissimo, formatosi precocemente nella prestigiosa scuola della London House. A ventotto anni, rappresenta una risposta a quanti sostengono che il mestiere di sarto non abbia ricambio se non dall’estero. Spalle naturali e impostazione leggera, ma con sapore. Sullo stile napoletano si innesta una forte influenza del gusto internazionale, un po’ più costruito e performante. PREGI: Istintiva quanto naturale comprensione delle esigenze dei giovani. Disponibilità alla ricerca ed all’innovazione. Pantaloni pulitissimi per linea e finitura interna, con soluzioni originali e taglio impeccabile. Ottimi foderami. Buon due bottoni. Prezzo: dai millecinquecento scudi (trattabili secondo i casi) in su. DIFETTI: Quelli della gioventù. Per quanto riguarda il frac, a Napoli non c'è più una tradizione specifica. Per ottenere capi spettacolari, occorre una sartoria di grande tradizione e clientela internazionale. Potrebbe quindi servirLa ottimamente la London House, ma è facile dire e più complicato pagare. Bene in materia la scuola veneta, a cominciare da Franco Puppato di Venezia e Leonardo Marchioro di Verona. Due anni fa, Franco Puppato vinse a Parigi il primo premio di una competizione internazionale proprio presentando un frac. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 22-08-2007 Cod. di rif: 3451 E-mail: luigi.lucchetti@ragroma.it Oggetto: Spezzato "particolare" Commenti: Un mio cliente, un uomo di quasi 70 anni che non esito a definire un uomo "elegante", mi ha sorpreso l'inverno passato per essere venuto nel mio studio con un "per me" alquanto insolito spezzato, composto da un pantalone a quadri ed una giacca tinta unita, giocato sulle tonalità dei marroni e, per quanto riguarda l'ampia finestratura dei pantaloni, di righe di un celeste carta da zucchero. Si trattava molto probabilmente di tessuti scozzesi, forse inglesi. L'insieme è parso a me molto elegante, suscitando subito un forte impulso all'imitazione, anche se in giro si vedono solo spezzati con pantalone tinta unita e giacca a quadri. Mi piacerebbe un parere su questa soluzione e, se possibile, l'indicazione di qualche precedente (figurino, fotografia). Aggiungo in ogni caso che il signore in questione (beato lui) ha un portamento così elegante da far apparire bellissima qualsiasi cosa lui indossi. Questo "dono" non potrà essere imitato, ma tant'è! Saluti cavallereschi. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-08-2007 Cod. di rif: 3493 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'abito iper-formale - Risp. Gessi nn. 3301 et 3448 Commenti: Egregio Maestro Rossi, certo che stia completando con pieno successo la Sua tournèe americana, le auguro un buon viaggio di rientro e La esorto a contattarmi personalmente quando sarà prossimo a giungere a Napoli, dove potremmo anche incontrarci. Magari presso il maestro Solito, cui comunque potrà fare il mio nome. In verità, quando ha posto quella domanda su Napoli gli ho già parlato di Lei. Riporto ora un brando del Suo Gesso n. 3301: "Devo ora partire per due mesi di lavoro in America, alla SFO, ma al ritorno penso che inizierò "l'esplorazione" che Lei mi proponeva ordinando due abiti al Maestro Solito. Posso chiederLe l'autorizzazione di presentarmi a Suo nome? Penso che cercherò qualcosa adatto a prime di teatro d'opera, o concerti formali... mi potrebbe dare un Suo consiglio?" Veniamo subito in argomento. Le consiglio senz'altro un completo nero a due pezzi e tre bottoni in pettinato fine di altissima qualità. Questo tipo di abito, che io chiamo iper-formale, è ai confini dello smoking, ma poiché non rientra nel suo protocollo lascia grande libertà di scelta. Non tanto per scarpa e camicia, che saranno reciprocamente nera e bianca, ma per calza, cravatta e altri accessori. Bellissimo con la farfalla o con la cravatta lunga, purché tinte in filo, perché la sua apparente rigidità diventi puro divertimento basta una calza nera a piccoli disegni o sottilissime righe; uno scenografico papillon grisaille (combinazione jacquard di fili bianchi e neri) di quelli di cui Charvet non manca mai; ovvero un luminoso hand-by-hand (seta di altissimo peso e pregio, con armatura a tela realizzata con grossi fili abbinati) di quelli di cui ancora Drake e Marinella, o forse anche Talbot e la Purple Label di Ralph Lauren, forniscono gli ultimi conoscitori. Non ne parliamo quando la sua ruggente classicità sia risvegliata da una bottoniere… Molti grandi personaggi hanno fatto affidamento su questa foggia ed è lecito ispirarsi al loro esempio. Come musicista, poi, il nero è il Suo colore e non dovrà certo far fatica o trovarvisi a proprio agio. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-08-2007 Cod. di rif: 3495 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La mappa - Risposta al Gesso n. 3449 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, se qualcosa Le sfugge è solo perché la mappa che ha intuito non appare completa. Emergevano alcuni dettagli, nuovi disegni di certo destinati ad orientare verso una direzione precisa, ma dov’erano le istruzioni? Lei ha letto tra le righe l’inizio della storia ed ora ha sete di sapere come va a finire, chiedendolo chiaramente per avere una risposta in chiaro. Tre sono i punti per cui passa un piano e altrettanti quelli che individuano il livello d’azione che sembra si stia definendo. Lei li ha già collegati, capendo che facevano parte di un disegno. Tra poco vedrà tutto, almeno tutto quello che vedo io. Infatti La accontenterò, anche se rivelando dove stiamo andando rischio di far credere che sia io a guidare la spedizione, mentre non faccio che seguire istruzioni che vengono dai bisogni di tutti e di tutti sono quindi il servitore o l’interprete, non certo il capo. Comunque anche questo chiarimento, che al momento in cui lo leggerà potrà apparire come uno storico proclama, verrà man mano sepolto da altri materiali e rivelerà la sua vera natura, che è quella di una pietra tra altre pietre. Il castello non ha architetti, ma una squadra di eroici muratori. Se non fosse necessario resistere all’assedio da cui è cinto costantemente, sarebbe una cattedrale, o meglio un monastero. Non a caso definiamo spesso i nostri Cavalieri come monaci guerrieri. Studio, venerazione e silenzio sono la loro aspirazione, ma in difesa della fede che li ha scelti sono pronti alla spada. Prima che questa storia iniziasse vennero sistemati nel taccuino una serie di bizzarri studi sull’abbigliamento di fine ottocento. Con il ciclo “Grida dal giurassico” si cominciava a chiarire l’origine di un sistema etico-estetico che mostrava corrispondenze tra la fine del secolo XIX e i giorni nostri. Ciò che chiamiamo cultura, da un punto di vista dello Spirito è un superconduttore capace di trasmettere fogge, stili, atteggiamenti, opinioni, comportamenti, gusti, pareri, ideologie, desideri e soprattutto le energie profonde ed apparentemente ferme, cioè i valori. Questo trasferimento avviene sia attraverso il tempo che attraverso lo spazio, seppure entro certi confini oltre i quali il conduttore si deteriora (limiti cronologici) o non può essere introdotto (frontiere geo-antropologiche). Ogni cultura determina alcune attitudini mentali e fisiche distintive, le quali si alternano esattamente come fanno le razze, evolvendosi ed estinguendosi lungo il corso della storia. L’epopea della specie che ha concepito e creato la bellezza così come la intendiamo noi Cavalieri e come viene intesa da tutti al castello, veniva descritta piuttosto minuziosamente nell’epistola “Dall’Uomo delle caverne all’Uomo delle Palestre” e suoi paralipomeni (vedi Scrivania del Gran Maestro). La descrizione della nascita, grandezza e decadenza della nostra cultura e quindi della razza corrispondente, cui una volta per tutte abbiamo dato il nome di “HOMO ELEGANS”, fu il primo di quei tre punti. Accertato il contesto della sconfitta, non resta che accettarla. Non è disonorevole, perché solo apparentemente ne sono autori altri uomini. Così va il mondo e proprio noi che ci dichiariamo umanisti possiamo e dobbiamo comprenderlo. Sapere chi siamo stati nel passato e come abbiamo perso nel presente non è un vantaggio da poco, perché ci permette di scegliere il fronte dove orientare le forze: il futuro. In questo naturale dispiegamento appaiono le altre due configurazioni di cui si diceva, che sono rappresentate da una scelta di attività e una di atteggiamento. Volendo trasmettere la nostra cultura da un luogo all’altro e soprattutto da una generazione all’altra, ma senza disporre più di quel superconduttore che la trasferiva in automatico, abbiamo bisogno di un codice che permetta di verbalizzarne i linguaggi non verbali. Quando una cultura è al potere, essa si diffonde principalmente con le immagini. Basta sfogliare una qualsiasi rivista per capire che ormai quello spazio è occupato dal nostro successore. Occorre quindi passare la parola alla parola. Ed ecco il progetto del DRESS CODE, il secondo punto. Si tratta di uno sforzo di analisi e riorganizzazione del patrimonio estetico creato dall’Homo Elegans, non solo per custodirlo durante le dominazioni successive, ma per tenere collegate da un linguaggio comune le sacche di resistenza. Nessuna dittatura le elimina del tutto. Non ci riuscì la nostra, che purtroppo quelli della mia età si sono goduti troppo poco, né ci riuscirà quella attuale. Credo sia il terzo punto ad aver suscitato in Lei le perplessità di cui parlava. Si tratta di un atteggiamento vagamente nuovo, in quanto vagamente conciliante. Non si preoccupi, nessun compromesso, ma una strategia bellica adeguata alle circostanze. Poiché ci è rimasto poco spazio, dobbiamo sviluppare il massimo equilibrio. Sapere su cosa contare, individuare i luoghi meglio fortificati e anche quelli da abbandonare. Non ha alcun senso lanciarsi tutti insieme, armati solo delle grida, contro un invasore che dispone di mezzi preponderanti. Sono loro, i barbari. Dobbiamo invece comprendere i nostri punti deboli ed i loro, ma con la massima serenità e serietà. Non possiamo farci accecare dall’odio, né illanguidire dall’amore, perché è il momento di marciare e vedere bene dove si mettono i piedi. Vi è poi un discorso al quale siamo particolarmente sensibili, per cui parlar male del vincitore è di cattivo gusto. Veniamo dunque alle conclusioni, a mettere in chiaro quella mappa che in realtà è il piano d’azione che nasce da una coscienza collettiva. Oltre ad altri che non ci riguardano, esistono due modi di essere e vedere, cui corrispondono due specie umane. Noi ci dichiariamo appartenenti all’Homo Elegans, razza evolutasi e giunta al potere in Inghilterra, al tempo in cui Edoardo VII diveniva principe del Galles, ma che dopo aver creato un luminoso impero ed un sacco di guai venne sconfitta negli USA, nel momento in cui Ronald Reagan ne diveniva Presidente. Poiché tutte le ingiustizie del nostro impero vennero generate da una fede laica in qualcosa di eterno ed assoluto, la nuova razza combatte tutto ciò che è stabile in nome di un relativismo perennemente rivendicatore, quello che qui chiamiamo “pansindacalismo”. Il nostro successore, o UOMO DELLE PALESTRE, ha tutto il diritto di cambiare il mondo, così come fecero i nostri antenati prima di loro. Criticare il suo operato è una perdita di tempo ed un’operazione antistorica. L’avversario, perché umanamente non possiamo fare a meno di percepirlo come tale, va innanzitutto compreso. Sappiamo che egli vive nel movimento e nell’eccitazione, mentre noi viviamo nell’attenzione e nell’emozione. Come noi siamo rimasti soffocati a forza di restare troppo fermi, ingessati in costumi insostenibili e inevitabilmente contestati, loro cadranno esausti come alla fine di una gara di ballo. Ogni cultura ha bisogno di una tradizione. La loro, incredibilmente, è nell’opposto della tradizione, cioè nel rinnovamento. Quella distruzione che appare loro una scelta, a noi sembra che la compiano già da tempo per necessità o ignoranza. Dibattere su chi abbia ragione è inutile e ci distrarrebbe dal nostro compito militare: studiare il nemico e preparare le forze in attesa della rivincita. La demolizione del nostro coriaceo sistema avviene attraverso quello che loro chiamano “contaminazione”, ovvero l’uso decontestualizzato delle fogge e degli stili in modo da privarli del DNA originario e immetterne altro con altri significati. L’Homo Elegans che voglia restare tale dovrebbe astenersi il più possibile dal favorire le trame nemiche tenendosi lontano o condannando apertamente ogni “fusion”, dalla cucina all’abbigliamento, in cui si avverta questa contaminazione decontestualizzante. Un altro metodo usato dall’Uomo delle palestre è quello di lasciare i nomi usati dall’Elegans a cose cambiate completamente nella sostanza. Così chiama “tweed” un tessuto morbido e leggero, o “cucchiaino” l’ignobile asticella che in autogrill servono per mescolare il caffè. Sul tema dei nomi sentirei l’augusto nostro Rettore, che sempre li ha indicati come punto di partenza della comprensione del mondo. Il ruolo del castello è triplice. Innanzitutto è’ una Fortezza che protegge chiunque senta come noi sentiamo. Anche senza dichiarazioni, che rischiamo solo di generare incomprensioni e discussioni, quale sia il modo di essere e pensare che identifichiamo come patrimonio gene-etico dell’homo elegans è del tutto evidente. Noi apparteniamo a quella razza e non abiureremo, seguendone il destino sino all’ultimo ed ospitando tutti coloro che non ne siano dichiarati nemici. Tutti i ricercatori sono graditi perché possa al meglio svolgersi la seconda funzione, quella di un Laboratorio dove si analizza e riorganizza il meglio di quanto prodotto dall’Homo Elegans. Mezzi economici, tempo e tutte le possibili risorse sono infine impiegate per la costruzione di mura e locali adatti alla terza natura di questa pietra. Quella di Archivio, dove sistemare i tesori in modo che, una volta portati alla luce, non vengano distrutti o dispersi. Molte cose qui raccolte appaiono preziose solo a pochi occhi esercitati, ma tra cinquanta o cento anni appariranno tali a tutti. Come risulta chiaro già nella nostra Carta dei Principi, il nostro dovere cavalleresco non è creare, ma conservare. Noi accumuliamo una forza ed una conoscenza che servirà ai figli dei nostri figli. Quando verrà il momento della riscossa, troveranno qui i valori di cui hanno bisogno per rifondare l’uomo che succederà a quello delle palestre. Allora saremo ricordati, né un mortale può chiedere di più. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-08-2007 Cod. di rif: 3341 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capi estivi Commenti: Egregio signor Catalano, Le consiglio una visita al maestro pantalonaio Salvatore Ambrosi, con bottega in Via Giovanni Nicotera n. 103, Napoli. Tel 081.414497. Quanto ai capi "irrinunciabili" per le vacanze, comincerei a precisare che si dovrebbe parlare piuttosto di capi estivi, di capi da mare, da montagna etc., in quanto la "vacanza" non è una situazione che autorizza di per se stessa un cambio di abitudini e/o qualsiasi generalizzazione. Queste ultime sono inconcepibili nel modo di pensare dell'homo elegans, la cui visione del mondo è qui dichiaratamente studiata, seguita, conservata, seppur non senza confronti che ne rivelino i punti deboli insieme a quelli forti. Vi sono comunque capi più disponibili di altri all'adattamento a situazioni diverse. Tra essi citerei il chinos, le camicie a manica lunga a nido d'ape, le tennis sempre a nido d'ape, i blue jeans, il bomberino in cotone. Le marche contano poco, rispetto ai materiali. Scenderei volentieri in altri dettagli, ma sto lavorando a scartamento ridotto in quanto mi trovo in situazioni informaticamente disagiate. Tornerò alla routine presumibilmente dopo il Palio dell'Assunta. Cavallereschi saluti e grazie Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-08-2007 Cod. di rif: 3441 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Classico Internazionale - Riepilogo alla luce del DRESS CODE Commenti: Egregi Cavalieri e Visitatori, il materiale che grazie a tanti si raccoglie o si produce al castello, vi viene apparentemente affastellato alla rinfusa. In realtà ognuno di Voi, essendo ogni intervento orientato nella stessa direzione, esercita una forza trainante che permette alla ricerca di procedere costantemente. In un tragitto così lungo si vedono molte cose e gli stessi viaggiatori sembrano cambiare e crescere. Acuendo i propri sensi con la frequentazione di luoghi inesplorati, la nostra avventurosa accademia ha appreso verità importanti, come quella che anche nella tradizione non bisogna dare nulla per scontato. Cogliere ciò che è vivo e mobile dove tutto sembra morto e statico, percepire l’invisibile dentro il visibile, sentire lo scheletro attraverso le carni, distinguere il genere al di là della specie, la storia al di sotto dell'attualità, lo Spirito al di sopra della personalità, questo significa distinguere la presenza e l’azione del DRESS CODE. E’ un lavoro che in questa Porta comincia ben prima del Laboratorio del 29 Giugno, forse con il ciclo Depaziano sul Classico Internazionale. L'intuizione della presenza di un sistema vascolare che collega e nutre l'universo maschile rappresenta per l'abbigliamento qualcosa come l'intuizione della struttura atomica della materia per la fisica. Non mi stancherò mai di dire che il concetto di Classico Internazionale, che appare così banale solo perché semplice e vero, prima dell'analisi del Rettore non esisteva affatto. Allo stesso modo, prima che qualcuno pensasse al concetto di gas, l'uomo era convinto di muoversi nel nulla e non riusciva a spiegare e collegare tutti i fenomeni connessi alla natura dell'aria. Una volta che gli occhi più acuti abbiano visto per primi, tutti vedono. Il problema è che, trattandosi quasi sempre di cose sempre esistite, spesso l’uomo crede che quello che i maestri hanno mostrato sia stato visto da loro, da altri e da sempre. In tal modo ci si priva sia della prospettiva storica, indispensabile a capire un passato in cui una determinata scoperta non era stata ancora effettuata o divulgata, sia del giusto valore della ricerca, cui ciascuno può partecipare. Da questo punto di vista, il mondo umanistico è meno attento di quello scientifico a individuare e valorizzare le innovazioni. Mi auguro che all’interno del laboratorio rappresentato da ogni specifica Porta si faccia eccezione a tale regola. All’esterno, è ovvio che il saccheggio e le generalizzazioni continuino indisturbate. Quanto al castello, se vi si vuol leggere la storia, si sappia anche farla. Poiché il concetto di Classico Internazionale è centrale sia come patrimonio acquisito della nostra comune ricerca che come asse di simmetria del tracciato appena iniziato sul DRESS CODE, non sarà inutile una ricognizione in materia. Innanzitutto i singoli concetti di classicità e di internazionalità non vanno confusi con la loro risultante. Il Classico è cosa ben diversa dal Classico Internazionale. Il primo è il grande Oceano, il secondo una delle sue segrete e poderose correnti. Questo concetto estratto da un concetto, questa astrazione dedotta da un’astrazione, determina uno schema di consistenza quasi materiale e comunque essenzialmente pratica. Il Classico Internazionale rappresenta: L’INSIEME DEI CAPI CHE ABBIANO NATURALE E CONTINUA DIFFUSIONE CRONOLOGICA E SPAZIALE, ATTRAVERSO PIÙ CONFINI E PIÙ GENERAZIONI. Poiché questa selezione non proviene da nessuno, ma la si può solo riconoscere come già fatta dalla storia, il risultato sembrerebbe dover essere alquanto casuale e irrazionale. Sembra invece che, pur non essendovi certo un disegno preordinato, in qualche modo il Classico Internazionale riesca a disegnare un guardaroba praticamente completo. Se ne riparlerà al momento opportuno. Più importante è riflettere sulle condizioni necessarie a definire qualcosa come un Classico Internazionale. Abbiamo detto che occorre innanzitutto una certa DIFFUSIONE, cioè un uso che vanti una pur minima rilevanza numerica e non sia isolato. Tale diffusione deve avere specifiche caratteristiche. Deve innanzitutto essere NATURALE, cioè rilassata. Un indumento del Classico Internazionale non desta meraviglia in chi lo vede, né alcuna ansia in chi lo porta. La sua ragione d’essere è esattamente nella condizione opposta, cioè nella naturalezza assoluta nell’indossarlo e nell’ammirarlo. In questa naturalezza vi è l’essenza della componente classica. Finché un capo comporta dichiarazioni di status, ideologia o origini, non potrà mai appartenere al C.I., anche se indossato da milioni di persone. Talvolta accade che capi del C.I. nascano con forti connotazioni sociali o locali, per poi perderle varcando i confini del tempo e dello spazio. Finché ciò non accade, il numero di fedeli o la storia che un capo può vantare non contano. La diffusione deve anche essere CONTINUA, cioè ininterrottamente trasmessasi almeno da un padre ad un figlio. Le riscoperte, i revival, i repechage, sono pure operazioni stilistiche in cui l’abito ha il ruolo passivo di merce, mentre l’individuazione del C.I. avviene sul piano della speculazione e della tradizione. L’abito ne è il protagonista e l’uomo non può che assistere, cercare di comprendere E’ indispensabile alla componente INTERNAZIONALE che la diffusione non abbia confini politici, almeno all’interno di aree di gusto omogenee. Ovviamente restano barriere che impediscono una diffusione globale dell’abbigliamento al pari di quella dell’elettronica. Anche se entro e per un certo periodo le infinite differenze culturali sembrano orientate a ridursi a quella tra mondo islamico e non islamico, lo speciale valore del vestire va proprio pensando che dappertutto può penetrare la stessa tecnologia, ma non lo steso abito. Se qui diamo tanta importanza all’abbigliamento è proprio per questo significato umano tra i più profondi, che attraverso la lente offerta dal C.I. ci appare più visibile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-08-2007 Cod. di rif: 3443 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatta e Reform Club - Risp. gesso n. 3282 Commenti: Egregio signor Buttafava, La ringrazio a nome dell'Ordine per l'articolo che ha segnalato con il Gesso in oggetto. Lo sistemeremo nel Florilegio, area specificamente destinata a raccogliere brani di giornalismo o letteratura segnalati dai Visitatori del castello e rilevanti nelle materie oggetto delle Nove Porte. A proposito del club di cui parla Severgnini, possiamo fare qualcosa in più. Mostrarlo. La Biblioteca Cavalleresca conserva infatti un raro volume del 1979 che le venne donato dal professore Paul de Sury, nostro Cavaliere e socio del Reform Club. Il libro, dal titolo GENTLEMEN'S CLUB OF LONDON, illustra la storia e gli interni dei principali club di Londra. Dalla parte dedicata al Reform, traggo qualche immagine e dei brani che riporterò nel Taccuino della Nona Porta. L'intero volume è disponibile in formato digitale secondo il protocollo della Biblioteca. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-08-2007 Cod. di rif: 3467 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Marchi e Classico Internazionale - Risp. Gesso n. 3461 Commenti: Egregio cavaliere Villa, lo svincolo da un marchio non si è reso indispensabile sino a quando la personalità, la qualità e la linea di prodotti delle grandi case è stata piuttosto stabile. Sino a qualche anno fa si sarebbe potuto dire Lacoste e Fred Perry, invece che maglietta tennis. Se si usava questa definizione era per motivi estetici, sapendo però molto bene a quali prodotti ci si riferiva. Da quando le novità non sono più una scelta, ma una necessità delle aziende per mantenere competitività; da quando le aziende stesse, anche quelle familiari, passano di mano o vengono concentrate in gruppi e sottoposte alle strategie di questi ultimi, per l'uomo di gusto i marchi hanno perso ogni significato. Ritorna ad una centralità la figura del mercante, cioè il selezionatore. Per quanto riguarda i prodotti destinati alla sensibilità dell'homo elegans, la sconfitta di quest'ultimo ha segnato la decadenza della classica bottega, in grado di consigliare e indirizzare. Ne restano sempre meno ed il loro valore culturale è immenso. L'uomo delle palestre porta al successo, con una nuova configurazione e facendo così finta di averlo inventato, un sistema collaudato da sempre. Dietro quello che oggi si chiama concept-store, cos'altro c'è se non l'idea del mercante capace di cogliere fior da fiore? Per questo motivo, consiglio sempre anche agli homines elegantes una vista nei concept store. Anche se sono esattamente all'opposto del nostro modo di concepire la vita, o forse proprio per questo, hanno qualcosa di familiare: la ricerca. In quella musica un esemplare della nostra razza non può respirare a lungo, né riuscire ad acquistare nulla, ma un'apnea di un quarto d'ora apre scenari di grande interesse sul nuovo mondo e sulla nuova specie al potere. Chiusa questa parentesi, possiamo concludere che la classificazione di Classico Internazionale riguardi una foggia, mai una casa. Se quella foggia identifica una casa, in quanto è prodotta solo da essa, occorre comunque sapere quando un determinato oggetto diviene Classico Internazionale, da quel momento ciò che va cercato in esso è il contenuto in termini di forma e materia e non un'astratta "originalità" concentrata esternamente in un'etichetta. La cerata da caccia non è per forza il Barbour, né il trench per forza il Burberry's. Possono emergere delle eccezioni, come potrebbe essere o essere stata quella dei Ray-Ban, ma in generale i marchi non possono più essere considerati come archetipo di un prodotto e luogo della fiducia. La forza che in essi proveniva da un concetto, da una storia, da una dinastia, è ovunque esaurita. Di fronte ad un mercato fatto di numeri astratti e non di persone reali, l’energia dell’idea originaria si disperde nei mille rivoli della comunicazione. Quello che resta del nome è un uso diverso, un gioco che non ci riguarda. Talvolta l’idea risorge, riproposta altrove. Ed allora è lì, anche lontano dalla fonte primigenia, che va cercata l’acqua più pura. La resistenza unanime del castello a proporre discorsi sulle case è più eloquente di qualsiasi altra considerazione ed anzi è la prova di una consapevolezza, o almeno di un’intuizione diffusa, di una situazione in cui la missione cavalleresca è individuare cosa faccia di una cosa la cosa giusta, identificandola il meno possibile sotto un marchio. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Angco Data: 25-08-2007 Cod. di rif: 3475 E-mail: giovanni.angco@gmail.com Oggetto: Tessuti per giacche autunnale Commenti: Ho postato molte foto di tessuti che penso essere stupendi per giacche autunnali. I colori dello shetland e donegal sono perfetti perché catturano i colori cangianti delle foglie e l'accorciarsi della giornata. I shetland sono tessuti a mano e pesano circa 13-14oz. Anche gli high-twist di Woodhouse sono opzioni valide per l'autunno. Hanno una bella mano resistente perché le fibre sono ritorte come per il fresco, ma sono tessuti più spessi e pesanti per le giornate fredde. Questi ritorti Woodhouse hanno un bel mix di colore, perché i tessuti sono composti da 2 o 3 colori diversi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-08-2007 Cod. di rif: 3507 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bandiera bianca - Risp. Gesso n. 3504 Commenti: Egregio Cavaliere Longo, premettiamo che per “volgo” o “popolo” si intende qui non già una classe sociale, ma una categoria di persone non precisamente individuabili, in quanto non schierate. Sono coloro che “ignorano”, sia nel senso di non conoscere che di infischiarsene, cioè stare fuori da un movimento cui altri partecipano nella misura in cui lo percepiscono. Le due parole, equivalenti, vengono usate in specifici contesti come contrario di “elite”, la categoria di “color che sanno”. Naturalmente nessuno sa o ignora tutto, sicché il singolo può appartenere una volta al “volgo” e altre all’ “elite”. Queste differenze vengono da una concezione iniziatica del sapere, irrinunciabile per un ordine cavalleresco, secondo cui la conoscenza cambia sia la storia che le persone in quanto genera le idee, i principi e i valori che rappresentano l’ossatura di entrambe. Conoscere veramente, secondo questo modo di pensare, equivarrebbe a vedere e credere. Quando siamo “volgo” rispetto a una cosa, che può essere la lotta all’abusivismo edilizio, la classificazione enologica, il conflitto arabo-israeliano o la storia dell’abbigliamento, quanto ad essa siamo inconsapevolmente manovrati come massa. Mancando la conoscenza, quelle che nutriamo in materia non sono idee, ma opinioni, le quali a loro volta non hanno origine veramente in noi, ma sono state preparate altrove per esserci innestate. Con un simile definizione, che significa appunto “limitazione”, chiunque condivida una teoria iniziatica della conoscenza può usare queste parole per chiarire situazioni specifiche in cui si voglia separare un gruppo che “ignora” da un alto che “sa”. Non c’è in esse alcun valore politico, né superbia, ma certo comportano una presa di posizione, cioè un atteggiamento schierato che l’odierno relativismo sconsiglia a prescindere. Detto questo, la volgarizzazione della sahariana, cioè la sua diffusione nel volgo, assomiglia molto ad una bandiera bianca. E’ una resa, se non una fuga, di fronte ai cambiamenti climatici autentici e presunti. E’ l’accettazione di una tropicalizzazione, con tutto ciò che comporta in termini di abitudini, ovvero di cultura. In realtà l'Homo Gymnicus, come Lei ribattezza l'Uomo delle Palestre, è insofferente a qualsiasi cosa e soprattutto al caldo. Lo abbiamo già dimostrato in passato, individuando nell’insofferenza uno dei tratti caratteristici della specie. Per definizione manca in questo volgo la consapevolezza degli archetipi, l’adesione ad una tradizione, una stabilità di gusto. Gran pregio ha la Sua notazione sull'origine del regime e del gusto della specie Elegans. La sua estetica e il suo impero (materiale e spirituale) nacquero da un sistema di trasposizioni che somiglia a quello di cui stiamo parlando, ma esaminiamo meglio la situazione. Ogni civiltà nasce con una rivoluzione su diversi livelli. I materialisti credono che il livello più importante, quello da cui parte ogni cosa, sia quello economico. Non credo che la nostra ricerca sia così avanzata da poter essere certa del proprio metodo e vantarlo come verità universale, ma in linea generale, come umanisti, siamo scettici su questo meccanicismo. Non ci disinteressiamo del piano economico, ma non lo riteniamo il primo ed unico motore delle vicende umane. Lo stile di Edoardo VII, già quando era Principe del Galles, aveva qualcosa di sovversivo. Portando le pesanti giacche cardate della campagna in una città abituata a desiderare i pettinati, diede uno scossone al gusto che immediatamente si orientò in questa nuova direzione. Fu un pernicioso contaminatore? Giammai! Egli era autentico anche come gentleman farmer, in quanto possedeva la tenuta di Balmoral acquistata già dal babbo. La sua giacca da campagna non era quindi una bugia, ma una verità. Non andava incontro ad una perdita del proprio DNA, in quanto indossata da chi aveva titolo a portarla. Se una truppa coloniale veste la sahariana, non per questo la priva di alcunché ed anzi la arricchisce. L’Homo Elegans non intese distruggere un linguaggio, ma utilizzarlo per esprimere il nuovo che portava seco: l’inesorabile ascesa della borghesia ad un ruolo estetico da protagonista, la coscienza del benessere come condizione ANCHE fisica (la nuova cultura lo vede come condizione SOLO fisica). La contaminazione non è perniciosa in se stessa, ma quando le componenti vengono messe insieme alla cieca, senza conoscere la natura dei singoli elementi, né preoccupandosi dell’eventuale reazione tra essi. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca NB. - Per evitare il fastidioso spam in quest'area, almeno per qualche tempo, abbiamo inserito un campo in cui digitare una parola di passo. Poiché non riteniamo che i vandali che attaccano il castello sappiano leggere, la parola è dichiarata proprio sopra al modello da compilare. Si tratta di: cavalieri ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-08-2007 Cod. di rif: 3510 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giù il cappello - Al Sapentissimo Rettore Commenti: Imprevedibile Rettore, la Tua nota su Diana è un degno richiamo ad una parte sinora trascurata dello spirito e del dovere cavalleresco, che è quello di mantenere vigile e chiaro non solo l'occhio, ma anche il cuore. Vi sono stati dei motivi per mantenersi così concentrati, ragioni che nelle giuste occasioni possiamo dimenticare ed in futuro superare del tutto. Voglio confortare questa nobile iniziativa anticipandoTi che la nostra solenne Adunanza di Novembre prevederà un secondo giorno, tutto dedicato alle dame. Terminerà con un incontro-dialogo di cui non voglio dire in questa sede, per non turbare la commossa atmosfera della Tua commemorazione della principessa Diana. Riposi in pace, ricordata da molti. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-08-2007 Cod. di rif: 3513 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Salvatore Piccolo ed altri dettagli - Risp. Gesso n. 3278 Commenti: Egregio avvocato Catalano, prima di evadere la Sua ultima richiesta, formulata con Gesso n. 3505, rispondo al precedente Suo intervento, che attendeva risposta da oltre un mese. 1- Innanzitutto mi chiedeva di Salvatore Piccolo, giovane ed intraprendente artigiano di cui feci il nome in un articolo per MONSIEUR pubblicato nel Febbraio 2005, quando era ancora del tutto sconosciuto. A parte l’eccellente costruzione generale, nelle sue camicie mi aveva colpito una pince al gomito, studiata per conferire alla manica la stessa forma arcuata del braccio in posizione di riposo. Si tratta addirittura di un brevetto, credo tra i pochi esistenti nel settore della camiceria. In pochi anni è diventato “grande” ed ora questo particolare lo riserva al solo su-misura. A fianco, produce un pronto che all’ultimo Pitti ha riscosso un enorme successo. Per ora è visibile solo a Milano, in uno show-room di cui non ricordo il nome, ma che in caso potrei facilmente rintracciare. In merito, va detto che Piccolo è oggi l’unico al mondo a produrre anche un pronto con le tele libere, nonché l’unico italiano ad aver capito che nelle camicie all’inglese è solo il collo che va in bianco e non anche i polsi. Vada da Salvatore Piccolo se Le piace la camicia con vestibilità italiana, cioè sagomata al tronco e con giro stretto, per di più con stile napoletano, cioè con le spalle piccole. Questa caratteristica lascia che il braccio gonfi la manica, proprio come nella giacca napoletana di alta e classica scuola. Ciò rende utile una tromba di diametro maggiore del giro, con le conseguenti lentezze e l’arriccio tipico della camicia partenopea classica. Chi ama la vestibilità americana, con ampie spalle cascanti, giro largo e tronco che sbuffa dai pantaloni, cerchi altrove. Salvatore Piccolo resta un estremista del vero su-misura, che richiede due prove e quindi doppia pazienza da parte del cliente. Il laboratorio, dove lui e la madre lavorano insieme ad altri collaboratori, si trova a Napoli in Via Strettola S. Anna alle Paludi n. 54, tel. 081.250402. Recandosi direttamente in questo luogo, i costi sono anche piuttosto interessanti, a partire da 150 scudi per un minimo di quattro camicie. Su altre piazze i costi aumentano, anche sensibilmente. 2 – Mi chiede poi quali siano gli interventi manuali che distinguono una camicia su-misura da una su-ordinazione o di confezione. La domanda mi permette di chiarire che nella camicia può esserci un autentico su-misura senza alcun intervento manuale o con dettagli manuali ridotti al minimo. Così avviene da tempo nella gran parte delle camicerie inglesi, dove è diffusa un’artigianalità in cui la manualità è riservata alla forbice e non all’ago. Perché si abbia camiceria su-misura non è determinante un singolo particolare, ma l’impostazione generale. La confezione prende come modello una taglia ideale, che il su-ordinazione modifica secondo necessità, mentre l’artigianato puro prende a modello il corpo del singolo cliente. Anche se il su-ordinazione richiede una prova, la si effettua per modificare le lunghezze e qualche ampiezza, non le montature e le eventuali asimmetrie. Ogni volta che il su-ordinazione prova a vestire un cliente veramente difficile, sia come fisico che come gusto, il disastro è sicuro. Non ci sono molti soggetti così, mentre in linea generale il prodotto è buono o addirittura ottimo per tutte le corporature regolari, anche su taglie grandi. Le cuciture a mano non servono ad una diversa e maggiore vestibilità, ma ad un più alto livello di qualità e ad un’estetica cui molti di noi sono così abituati da considerarla l’unica desiderabile. Gli otto passaggi più comunemente eseguiti a mano sono: 1) Asole, 2) Cucitura bottoni; 3) Giro manica; 4) Davanti; 5) Spalla; 6) Attaccatura del collo; 7) Travetti alle finte delle maniche; 8) Mosca. Forse gli unici veramente indispensabili sono i primi due, ma sempre va verificato che asole e bottoni siano non solo siano cuciti a mano, ma cuciti bene. E’ vero, una camicia senza giro manica e davanti ribattuti a mano appare ai nostri occhi una camicia di serie B, ma si tratta di una classificazione estetica e quindi estrinseca, non intrinseca. Molte manifatture su-ordinazione, come Borrelli, effettuano almeno sette di questi passaggi, talvolta cucendo a macchina il collo e altre volte la spalla. Che sia artigianale o industriale, dovendo scegliere è meglio una camicia col collo a macchina e spalla (interno ed esterno) a mano che viceversa. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-09-2007 Cod. di rif: 3522 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Inesorabile destino - Risp Gesso n. 3520 Commenti: Egregio signor Pratelli, credo che non vi sia nulla da fare. Lo sfregamento, specie nella zona del nodo e alla punta, è causa inesorabile di un decadimento. La cravatta è cosa caduca per sua natura, ma l'uomo vi si affeziona molto e le dismette con tristezza. La seta, se non presenta spigoli vivi e stirati, dura quasi eterna. Non è quindi il tempo il nemico della cravatta, che nella sua vita non conosce mai, bensì l'uso. Se poi l’uso è frequente l’obsolescenza accelera sicché dobbiamo dire addio più presto proprio alle cravatte che indossiamo con maggior piacere. Se il tessuto non è strinato, o se è consumato solo ai bordi, si può fare un estremo tentativo per salvarle. Marinella, unico come sempre, offre un servizio di restauro cui ha dedicato un apposito laboratorio. Poiché è suo cliente, conservi le delicate creature sino al prossimo viaggio a Napoli, ovvero le spedisca dopo averne parlato personalmente con Maurizio. Ovviamente conta il cliente e non la cravatta, che può essere di qualsiasi casa. Il numero certamente lo conosce, ma lo ripeto: 081.2451182. Rilegga in proposito il Gesso n. 3193. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-09-2007 Cod. di rif: 3525 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Regimental. Qualche considerazione sull'uso Commenti: Stimatissimo Italo, ciò che si deve fare o non fare dipende da ciò che si sente, ma ciò che si sente dipende spesso da ciò che si sa. Alla conoscenza sono connesse maggiori responsabilità, perché più lunga e netta ed orribile appare la frontiera tra il bene ed il male. Chi usi le cravatte distintive per i loro colori, senza nulla saperne come probabilmente è il caso del Cordero di Montezemolo e tanti altri, non è imputabile di alcuna trasgressione. Quel tipo di cravatte non fa parte della nostra tradizione e quindi non abbiamo il dovere morale né di sentire, né di sapere. Se invece qualcosa si sa, ecco che sorge il problema. Usarle o meno? Il rispetto per queste cravatte aumenta man mano che se ne scoprono signifcati e valori. A un certo punto diventa un piacere, o una necessità, possederne magari qualcuna in particolare. Ma si finisce come te, senza più indossarla. Gli inglesi di cultura non usano altre righe se non quelle proprie e disdegnano quelle che non siano di nessuno, cioè di pura fantasia. Per noi italiani, pei quali la fantasia gioca un ruolo più avanzato, il principio non può essere lo stesso. Il comportamento corretto potrebbe essere di volta in volta il seguente: 1 - Chi si disinteressa dell'abbigliamento classico mette quello che gli pare. Pretendere un comportamento diverso sarebbe come voler convincere chi non è superstizioso che un gatto nero porti jella. 2 - Chi è dichiaratamente ammiratore e seguace dell'insegnamento inglese, in linea di massima si asterrà dall'indossare cravatte di gruppi cui non appartiene. In subordine, evita di farlo in Inghilterra o in compagnia di inglesi. 3 - Un inglese a denominazione d'origine controllata non mette righe prive di significato. Un italiano, meno severo in quanto orientato al risultato estetico più che al rispetto della tradizione, potrà farlo senza sentirsi in colpa. Se gli inglesi sono orgogliosi del loro stile, altrettanto possiamo fare noi, compiacendoci del talento dei nostri setifici. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: alfredo de giglio Data: 06-09-2007 Cod. di rif: 3528 E-mail: alfredo.degiglio@fastwebnet.it Oggetto: doppiopetto a due bottoni e brooks brothers Commenti: Egregio Gran Maestro, mi permetto di scrivere, per la prima volta, per chiedere due sue preziose considerazioni, su altrettanti temi. 1)Ho visto recentemente alcuni nuovi modelli della Maison Valentino (visibile nel taccuino). Sono doppiopetto a due bottoni. Ricordo (forse, giacché i ricordi del passato contengono -in parte- menzogne del presente) qualche analogo modello degli anni '70. Questa soluzione ha richiamato la mia attenzione, per motivi che devo ancora chiarirmi. Sospendo il mio giudizio, quindi, fotografando solamente come tale scelta, che asseconda linee asciutte e slanciate, possa ben sposarsi con personalità giovani. 2)Prima dell'estate ho acquistato dopo svariati anni 3 camicie Brooks Brothers, di diversi tessuti. Su tutte, ho notato un cotone strano, una certa rigidezza d'insieme, soprattutto nelle parti del colletto, dei polsini e nella fettuccia centrale. Come ci fosse del sintetico. Una in particolare, a righe blu, sembra come cerata. Il fatto poi che siano fatte in Malesia acuisce le mie perplessità. La ringrazio anticipatamente Cordiali Saluti Alfredo de Giglio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-09-2007 Cod. di rif: 3530 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'uso delle regimental - Al Cavaliere Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, perché il lavoro sulle regimental veda la luce occorrerà ancora un po'. Farà parte di una sezione sui tessuti di cui annunciai la nascita un anno fa, ma i tempi di gestazione sono aumentati con le ambizioni del progetto. L'Ordine aspira a fornire il castello di un laboratorio attrezzatissimo, che alla lunga diventi il luogo di ricerca più autorevole sulla materia tessile. Si partirà proprio dai tessuti più ricchi di tradizione: district check, tartan, cravatte distintive. In ciascuna materia abbiamo reperito e rielaborato, grazie al lavoro mio personale, del rettore, della Cancelleria e della Biblioteca, i testi più autorevoli, alcuni dei quali assolutamente introvabili. Il ritorno di questa scienza alla disponibilità universale tramite le nuove tecnologie sarà, in scala e ambito ridotti, come ripubblicare la biblioteca di Alessandria. Non si può improvvisare. Quanto alla situazione da Lei prospettata, è ricompresa al punto 2 del Gesso n. 3525. Non intendevo affatto scoraggiare l'uso delle regimental, anzi il contrario. Nondimeno, accade in genere che quanto più si penetra lo spirito delle cravatte distintive e di quello che rappresentano, tanto più si desidera averle e si ha ritrosia ad usarle. In subordine, cioè in casi più rari, la conoscenza porta con se il piacere di citare un corpo di cui non si faccia parte. Basta non farlo in situazioni dove comporterebbe una cattiva figura. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-09-2007 Cod. di rif: 3532 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Linea asciutta - Risposta al Gesso n. 3528 Commenti: Egregio Signor De Giglio, se la memoria mente sul passato, la moda ci inganna sul presente, riducendolo a formule semplificate e inventate ad arte per dimostrare una certa teoria. Ai giorni nostri, diversamente da quanto accadeva in altre epoche, la gioventù è il sommo bene e l'unica condizione considerata e considerabile. Da fase biologica e psicologica è diventata silenziosamente uno status sociale, basato su questa formula: chi sa e può aver cura del corpo, cioè mantenersi per sempre giovane ed attivo, appartiene alla classe e cultura dominante. Chi trascura questi principi, non partecipa all’orgia di “benessere”. Pertanto è persona sospetta, anzi reietta. Ovviamente la grande comunicazione, serva e padrona del consenso inconsapevole chiamato globalizzazione, è rivolta a chi è, vuole essere, o dice di essere giovane. Specie quella che promuove o utilizza l’abbigliamento il più eloquente e trasversale dei linguaggi. In questo momento la gioventù viene abbinata alle linee asciutte, ma si tratta di un fenomeno ciclico in buona parte indotto dalla propaganda. Potrebbe essere l'esatto contrario, come quando ad essere giovani erano persone come Frank Sinatra e per essere "in" ci volevano pantaloni ampi come maniche a vento e giacche le cui spalle richiedevano una licenza edilizia. O almeno ci volevano in America, perché in quegli anni, anche se sembra impossibile che sia mai successo, in paesi diversi si indossavano cose diverse. Nello street-wear degli anni novanta, quando non era più così, l’estetica rapper promosse nuovamente pantaloni e casacche fuori misura, che tutto il mondo portò come segno di quel giovanile miscuglio tra insofferenza e sofferenza che rappresenta il leit-motiv di quella tribù.. Comunque, una parte di verità c’è. Purché vi sia proporzione e misura, le linee asciutte premiano effettivamente il livello fisico. Se è ciò che vuole valorizzare, la Sua scelta non deve allontanarsene. Quanto alle camicie di Brook’s Brothers, se il tessuto non è piacevole vuol dire che non è buono, che ha qualcosa di finto, ma dubito che si arrivi al falso. Sentirei, se possibile, qualche altro parere di Visitatori che abbiano avuto esperienze recenti con le famose camicie. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alfredo de Giglio Data: 07-09-2007 Cod. di rif: 3533 E-mail: alfredo.degiglio@fastwebnet.it Oggetto: doppiopetto a due bottoni Commenti: Egregio Gran Maestro, rifuggo con veemenza tutto ciò si ammanti di termini come moda o giovinezza o novità. Sono sempre calzanti i suoi esempi. Che sottoscrivo. Ero più che altro interessato alla tipologia del doppiopetto a due bottoni, alla sua storia (se ce l'ha). Cordiali saluti Alfredo de Giglio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alfredo de Giglio Data: 07-09-2007 Cod. di rif: 3535 E-mail: alfredo.degiglio@fastwebnet.it Oggetto: brooks Commenti: Gentile Sig. Barone, le camicie a cui faccio riferimento sono quelle normali. Come già scritto, è nelle parti più spesse che si nota maggiormente quell'artificiosità di cui parlavo. Grazie, comunque, per le preziose informazioni. Un cordiale saluto Alfredo de Giglio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alfredo de Giglio Data: 08-09-2007 Cod. di rif: 3542 E-mail: alfredo.degiglio@fastwebnet.it Oggetto: brooks a altro Commenti: Egregio Gran Maestro, Gentili Cavalieri, vi ringrazio innanzitutto per l'ospitalità. Le risposte dei Signori Villa, Nocera e Barone fugano ogni mio dubbio. La mia era l'impressione di chi si avvicinava per la prima volta alle camicie Brooks Brothers e notava delle caratteristiche diverse dagli altri esemplari in proprio possesso, su misura e non. L'aggettivo 'cartaceo' rende perfettamente l'idea. Come veniva precisato, la suddetta ditta produce una linea slim-fit; ma posso garantire che conservano sempre una abbondanza tipicamente americana, soprattutto sulle braccia. Questo ribadisce quanto sosteneva il Gran Maestro tempo addietro sulla differente concezione della camicia da parte degli americani. Ringrazio altresì il Gran Maestro per la risposta/collage sul taccuino, aggiungendo come il doppiopetto da me segnalato evidenzi l'attaccattura dei bottoni più alta rispetto a quegli orrendi Versace, peraltro esibiti aperti, anche questo è un segno dei tempi. Ogni Sua risposta riconduce una particolare micro ad un contesto macro. Inserendo ogni segnalazione in un flusso più ampio, storicizzandola. Da sociologo apprezzo tale approccio. E' questo uno dei motivi per cui sfoglio con piacere le pagine di questo sito. Cordiali saluti Alfredo de Giglio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-09-2007 Cod. di rif: 3545 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il tessuto delle cravatte distintive Commenti: Egregio Cavaliere Villa, in teoria sono i colori a distinguere il reggimento, la scuola o il club. In realtà, forse a parte l'ultimo caso, perchè i circoli più facilmente si rivolgono a manifatture diverse, i materiali restano sempre gli stessi in quanto gli specialisti che producono queste cravatte non sono molti. Vi sono comunque dei casi, come quello visto nel Taccuino n. 3539, in cui una garza piuttosto che un reps sembra divenire "costitutivo". Credo si possa dire che le cravatte distintive restano tali se tinte in filo, se cioè il disegno è dato dal telaio e non dalla stampa. Nella maggior parte dei casi si tratta di reps, ma vi sono eccezioni. Lascio comunque la parola ad eventuali esperti e collezionisti, più addentro di me alla specifica materia. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-09-2007 Cod. di rif: 3547 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La manica stirata, quando e perché. Al cav. Villa Commenti: Egregio Cavaliere Villa, abbiamo già detto che la stiratura e tutto ciò che comporta deleghe, servitù, assistenza, coinvolgimento altrui, fa parte della mentalità dell'homo elegans. L'uomo delle palestre, infatti, nasce con l'usa e getta, il no-stiro, le rotelle al trolley, insomma l'indipendenza di movimento, l'aspirazione all'autonomia assoluta in nome di quel principio di leggerezza che è la sua grande scoperta. In questa luce, il significato della manica stirata è evidentemente nell'impiego di tempo per mantenerla tale, nell'aspirazione ad una precisione formale e formalizzata che alla post-modernità suona un insulto almeno pari a quello del lampadario che va spolverato, del ragù che va bollito a lungo, della cipolla soffritta. Il tempo si acquista come connotato dell'oggetto di lusso, ma non si spende se non direttamente per se stessi, alla ricerca del "benessere". Il resto è pesantezza. Chi accetta questo corredo della manica stirata deve accettarne anche il resto, che è nella sua rigida derivazione inglese. Ed ecco quindi la risposta alla Sua perplessità: stiri, o meglio faccia stirare, solo tessuti prodotti in Inghilterra, nati secondo la sua tradizione e cuciti secondo i suoi criteri profondi. Come vediamo dall'esempio del Principe Filippo, non è certo una manica stirata a fare lo stile inglese, ma ciò non toglie che ci voglia uno stile inglese per giustificare una manica stirata. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Pescatore Data: 23-09-2007 Cod. di rif: 3551 E-mail: giupesc@hotmail.it Oggetto: Calzini regimental? Commenti: Insostituibile Gran Maestro, Gentili Avventori del Castello, durante il mio ultimo viaggio a Londra ho avuto modo di vedere in alcuni negozi vari modelli di calzini dalle combinazioni cromatiche molto simili a quelle delle cravatte dei diversi reggimenti inglesi. Dunque, vorrei chiederVi se sia corretto pensare che oltre alle “regimental ties” esistano anche i "regimental socks". Cordiali saluti Giuseppe Pescatore ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-09-2007 Cod. di rif: 3552 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capi distintivi - Risp. gesso n. 3551 Commenti: Egregio signor Pescatore, tra i capi che tradizionalmente incorporano un'appartenza vi sono anche le calze, ma mi risulta che ciò accada solo in ambito sportivo. Basti pensare ai famosi "Red Socks". Una calza a righe nei colori di un reggimento è una trovata di un disegnatore di moda, non di un corpo militare. Non credo siano brutti, ma non sono "autentici". Esistono invece sciarpe tipiche dei college britannici, che rappresentano almeno quanto la cravatta. Anche i berretti si prestano a fare da bandiera, sia in ambito sportivo che scolastico. A volte vi si applica il crest, altre bastano i colori. In ogni caso, per rispetto all'origine del nome ed al suo uso inglese, al castello chiamiamo "regimental" solo le cravatte che rappresentino un'entità militare. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 25-09-2007 Cod. di rif: 3553 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Soprabito impermeabile Commenti: Illustre Gran Maestro, la singolare consonanza con le riflessioni da Lei esposte nel Taccuino n. 3563 a proposito di Teoria del cappotto (e, direi, con il "mood" riflessivo che aleggia nel Suo Appunto) mi incoraggia a proporLe - scusandomi in anticipo per la banalità della questione - una domanda di ordine pratico. Con l'avvicinarsi dell'autunno sento il bisogno di provvedermi di un impermeabile che sostituisca il precedente, acquistato in anni di poco commendevole trascuratezza riguardo ai temi del vestire ed ormai giunto al termine del suo servizio. Per questo acquisto, ho assunto la decisione di rivolgermi al "pronto". Devo infatti confessare che - impegnato come sono nel muovere i primi passi nella costruzione del mio guardaroba sartoriale - non mi sento ancora in grado di gestire con la dovuta consapevolezza una materia del tutto nuova come la costruzione di un impermeabile su misura. Se la bontà di un capo è fatta anche dal cliente e non solo dall'artigiano che lo realizza, in questo caso credo più saggio rinviare, ripiegando su un prodotto di confezione. Anche l'attuazione di questa decisione pone però i suoi dubbi. Anzitutto: quale modello scegliere? E poi: a quale Casa rivolgermi? Quanto a quest'ultimo interrogativo, qualcosa nel mio istinto mi dice di evitare i "soliti" Burberry ed Aquascutum: non metto in dubbio (ho già detto di non essere un competente del settore) la qualità dei relativi prodotti, ma la loro imbarazzante diffusione mi trattiene dallo sceglierli. Non so perché, infatti, ma ogni volta che l'uso di un certo marchio si generalizza mi riesce molto difficile seguire la tendenza (sarebbe come ritrovarsi a leggere il best seller del momento: come non pensare di avere sbagliato qualcosa nella scelta!). Anche su questo punto, tuttavia, una volta esposto il mio pensiero, non posso che rimettermi a Lei: sarebbe ben strano, infatti, dopo aver invocato il Suo alto consiglio, mettermi anche a dare le risposte che ho già riconosciuto di non saper dare. Grato per l'attenzione che vorrà dedicarmi, La saluto con viva cordialità. Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-09-2007 Cod. di rif: 3554 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un impermeabile per il signor Spadaro - Risp. Gesso 3553 Commenti: Egregio signor Spadaro, innanzitutto la rimando al Gesso n. 1270, dove il Rettore parla tra l'altro del trench come capo del Classico Internazionale. L'impermeabile, una volta presente in ogni guardaroba, è oggi in calo fortissimo di popolarità e di vendite per quell'accelerazione dei capi e materiali "tecnici" che abbiamo esaminato nel secondo capoverso dell'Appunto n. 3563 del Taccuino di questa Porta. Un impermeabile di qualità è in puro cotone ed è sempre da questo che bisogna partire. La dignità del capo viene dal rispetto per la sua storia, sia nella foggia che nel tessuto. Fa bene, in questo ed in ogni altro caso, ad astrarre dai marchi e rivolgere l'attenzione alla qualità intrinseca, che rappresenta il vero e duraturo valore del proprio acquisto. in realtà, qualche trench più pesante si realizzava anche in covert, ma credo che a Lei interesi il primo tipo. L'impermeabile più "completo" per funzione ed immagine è appunto il trench, ma non vuol dire che faccia al caso Suo. Da qui in poi non posso eludere più i nomi delle case, che rappresentano oggetto della Sua domanda. Partendo dai nomi più famosi, da Lei citati, non farei della loro fama un plus, ma nemmeno una condanna. Burberry's sembra non abbia molto da dire negli altri settori, dove propina qualsiasi cosa. L'impermeabile è comunque, o almeno è stato a lungo, il suo cavallo di battaglia e la modellistica è ottima. Vi sono due livelli, uno in misto ed uno in puro cotone. Ovviamente non si può che orientarsi sul secondo. Molto belli il colore ghiaccio e la foggia del classico monopetto con tasche a giubbino e collo a camicia. Un classico che Lei potrà facilmente riscattare dalla banalità, anche perchè ad essere sinceri lo si immagina molto e lo si vede poco. Aquascutum ha bei trench, ma il modello monopetto mi sembra abbia un taglio inferiore e tende a "scollare" un po'. taglio impeccabile e materiali al massimo per la Sealup, la migliore casa italiana del settore e forse, attualmente, la più interessante al mondo. Straordinari per densità stilistica e cromatica i modelli della Grenfell, che rispondono alla Sua esigenza di resclusività in quanto rari a rovarsi nel nostro Paese. Credo che sia utilizzato anche da Carlo d'Inghilterra. Un gran pezzo di storia è rappresentato dalla Invertère, altra grande casa inglese che in questo momento non so se stia ancora lavorando e come. Famosa sino a qualche anno fa per i duffle coats, produceva anche spledidi impermeabili, ma la crisi della tradizione inglese viaggia ad una velocità così alta che potrebbe averla travolta. Cercandola in rete, vedrà che se ne parla pochissimo e ormai questi capi vanno cercati più nel vintage che nelle vetrine del centro. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 28-09-2007 Cod. di rif: 3556 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Ringraziamento Commenti: Illustre Gran Maestro, ringrazio, doverosamente, per i preziosi suggerimenti e per la nota di riflessione aggiunta dal Cavaliere Villa. Con l'aiuto della luce amica di un faro, la navigazione si fa meno perigliosa. Cordiali saluti, Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-09-2007 Cod. di rif: 3557 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sull'impermeabile - Risposta al gesso n. 3555 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, riproporre per l'impermeabile la già avventurosa distinzione proposta per i cappotti non riesce completamente. La distinzione tra la via "calda" e quella "bella" si basa sulla duplice natura del capo, che si basa sul dosaggio di due principi, sulla presenza di due archetipi. L'impermeabile svolge la funzione di riparare dalla pioggia, non di riscaldare. Anche il cappotto, quando non è di tessuto caldo, viene chiama spolverino, o alla napoletana chemis (pronuncia: "scemisse". Volendo proprio individare delle categorie, potremmo dire che tra gli impermeabili si distinguono quelli funzionali, come il tipico tronco di cono a tre quarti dal collo a camicia, e quelli drammatici, come il trench a petto e bavero. I primi vanno direttamente al sodo col minimo dei mezzi, mentre i secondi sono più articolati, più lunghi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-10-2007 Cod. di rif: 3560 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Shetland, il principe delle maree Commenti: Egregio signor Caprari, già la conosciamo come un amante del tweed e quindi delle nobili lane scozzesi. Lo shetland è un principe senza regno, ma non tutti ne hanno dimenticato le virtù. Nasce in terre battute da venti e marosi e ne regala l'austera semplicità, seppur più educata della rustica vigoria dei tessuti delle isole Harris. La mano del tessuto non è propriamente spinosa come quella della maglieria, direi piuttosto che è cedevole senza essere compiacente. E' la luminosità perlacea che lo rende speciale, anche se si tratta di un tessuto che si giova di lunghi invecchiamenti, come la seta. Concordo con la Sua analisi quanto alla confusione dello shetland con il lambswool, ma in effetti dopo molti anni la mano si somiglia, anche se la luminosità resta diversa e inimitabile. Qualora non provveda il Rettore, provvederò a sistemare nel taccuino un'immagine chiarificatrice. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-10-2007 Cod. di rif: 3563 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Shetland - Risp. gesso n. 3562 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, in effetti le differenze tra lo shetland in maglierie e quello in drapperia sono più relative che assolute e non sono nemmeno costanti. Quanto al primo punto, va tenuto presente che lo shetland è praticamente la lana più ruvida che si usi in maglieria. E' quindi il rapporto con i colleghi che lo fa sembrare ancora più spinoso. Nei tessuti abbiamo non solo i tweed, ma anche certi cardati da lane autoctone scozzesi, le cheviot, che danno dei thornproof veramente abrasivi. Direi inoltre che non tutto lo shetland è uguale. A parte quelli che indegnamente vengono così denominati, vi sono tessuti più ruvidi e matti ed altri più condiscendenti e luminosi. videntemente dipende dalla selezione dei velli e dalla lavorazione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-11-2007 Cod. di rif: 3578 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risvolti e quadri - Al Cavalier D'Agostino Commenti: Egregio Cavaliere D'Agostino, nella costruzione di un paio di pantaloni con riquadri, l'artigiano privilegerà il lato esterno e su quella faccia cercherà di far combaciare le linee orizzontali che entrano ed escono dalla cucitura centrale. Nel risvolto occorre vigilare anche la continuità della linea orizzontale e, volendo fare le cose a regola d'arte, far terminare una disegnatura al lembo superiore del risvolto. E' meno importante che nella situazione da Lei citata, cioè la line di demarcazione dei baveri, ma quando si lavora il vero su misura si può giudicare il valore del capo anche da questi dettagli che comportano occhio, perizia e molto tempo. E non basta. Per sistemare i quadri sono necessarie quantità di tessuto maggiori, tanto maggiori quanto più grandi sono i quadri. Acquistando un taglio di tessuto a quadri nella stessa lunghezza di una tinta unita, non si potranno pretendere miracoli. a parità di qualità nel tessuto, un abto a quadri è un lusso molto maggiore di un gessato, ma viene percepito come tale solo dai pochi che sanno come funzionano le cose. E' anche per questo che il rapporto tra le due disegnature è quello che si può notare guardandosi attorno. Sistemerò qualche immagine esplicativa nel Taccuino Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianpaolo Giacomelli Data: 09-12-2007 Cod. di rif: 3590 E-mail: giacomelli.gian@gmail.com Oggetto: Scarpe Allen Edmonds - Park Avenue Commenti: Con la presente vorrei ottenere alcuni pareri riguardo una calzatura da me recentemente acquistata: Allen Edmonds mod. Park Avenue in vitello nero. Mi rivolgo a voi poichè ho potuto assaporare nei vostri commenti la qualità e l'esperienza in molti ambiti. Ringrazio anticipatamente Cordiali Saluti Gianpaolo Giacomelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-12-2007 Cod. di rif: 3592 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Hacking Jacket e stile Country - Risp. al Gesso n. 3589 Commenti: Prode Cavaliere Villa, ho passato tanto tempo in sartoria. Più che all'università, più che alla plaza de toros, anche se meno che al casinò. Meglio sarebbe dire "le sartorie", visto che sono luoghi simili epure molto diversi tra loro. Ne ho visitato moltissime e da molte mi sono servito, ricavandone l'impressione che mediamente il sarto italiano è maestro della sua arte e digiuno di storia ed estetica. Anche pittori e scrittori sono pessimi critici d'arte o di letteratura. Questa situazione non resisterà a lungo ed a ben vedere in Inghilterra la situazione è già ribaltata. I sarti sono sempre meno maestri, ma sanno tutto dello stile inglese. Tornando al Suo sarto, la foggia che secondo lui "necessariamente" dovrebbe assumere un tweed non è altro che la hacking jacket, di derivazione equestre. A parte il fatto che questo modello si confà molto più allo scottish tweed che all'harris, ne esistono altri. Non è priva di pregio l’osservazione sullo spacco centrale, che è nel codice genetico di tutto lo stile country inglese e scozzese. Assodato che nella tradizione non c’è solo la hacking jacket, la Sua domanda diviene quindi la seguente: è giusto adeguare un modello o un suo dettaglio, ciascuno con la sua precisa origine, al gusto di epoche o culture diverse? Rispondere sull’esistenza di Dio sarebbe più difficile, ma anche questo è un dilemma non da poco. E’ quello alla base del Dress Code, cioè del ruolo delle fogge e stili canonici in rapporto all’individualità ed alla storia. Limitandomi alla scelta degli spacchi nel caso di specie, rispondo che avendo un linguaggio di base il problema si sposta in questa direzione: dare due spacchi ad una giacca che nasce con uno è una traduzione o una riscrittura? La differenza è nel significato, che nel primo caso rimane identico e nel secondo no. Direi, anzi dico, che nel caso della hacking jacket, lo spacco deve rimanere centrale e la vita alta. Negli altri casi di giacche country, lo spacco centrale non è altrettanto determinante come forma-sostanza e quindi può essere sostituito da quello doppio senza compromettere il contenuto, cioè la verità emotiva, del capo. In ogni caso, in merito a questi dubbi ho notizie che potrebbero rivelarsi buone. Forse siamo sulla pista giusta per poter proporre agli studiosi alcune teorie che spiegano del passato, del presente e del futuro del classico maschile molto, ma molto di più di quanto sia stato fatto sinora. Non una nuova teoria delle relatività ristretta, ma alcune piccole intuizioni che potrebbero cambiare l’atteggiamento di molti e fornire agli appassionati una nuova strumentazione concettuale e forse addirittura una maggiore percezione del piacere di vestire. Quanto prima fisseremo dei nuovi appuntamenti del ciclo Dress Code, che posso assicurare saranno di interesse estremo. Già nel corso del Laboratorio tenuto da Cilento a Napoli, nel corso del Giro delle Sette Chiese del 17 Novembre scorso, ho visto il pubblico letteralmente affascinato da alcune rivelazioni su questo tema. Non vado avanti, per non disperdere l’unità di una teoria in frammenti poco utilizzabili. Ne riparleremo presto, forse di persona in occasione dei prossimi incontri cavallereschi. Sarò a Bologna per la Bicchierata Cavalleresca del 14 ed anzi arriverò il giorno prima, per discutere con il Rettore. Immediatamente dopo vareremo un calendario di almeno due discussioni sul Dress Code. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianpaolo Giacomelli Data: 10-12-2007 Cod. di rif: 3593 E-mail: giacomelli.gian@gmail.com Oggetto: Dettagli Smoking Commenti: Egregi Signori, da un pò di tempo vi seguo e vi ammiro silenziosamente. Vi scrivo ora perchè vi sarei estrememente grato e lusingato se poteste darmi alcuni consigli riguardanti lo Smoking. Innanzitutto le scarpe, è necessario indossarle di vernice nera ossia lucide oppure è accettabile portare delle Oxford in vitello nero. Considerato che l'evento al quale parteciperò sarà tra amici avrei voluto osare mettendo un fazzoletto da taschino color rosso anzichè bianco. Infine come soprabito un cappotto doppiopetto blue. Voglio concludere e precisare che a mio parere l'eleganza non è un'opinione, nonostante questo però esistono alcuni dettagli che se indossati con eleganza possono rendere l uomo ancor più originale ed inimitabile. Vi ringrazio per il tempo dedicatomi Cordialmente Gianpaolo Giacomelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianni Borlenghi Data: 12-12-2007 Cod. di rif: 3596 E-mail: pr.hostess@tiscali.it Oggetto: Sartorie a Parma Commenti: Gent.mi Cavalieri, qualcuno di Voi può darmi gentilmente alcune dritte in merito alle sartorie di Parma? So dell'esistenza di una sartoria Aimi e Gigliotti, di una saroria Kingdom che però a me pare più un negozio con scarpe, maglioni e quant'altro e di una non meglio precisata sartoria o negozio con annessa sartoria in Via Garibaldi. Sono da poco in città se qualche parmigiano vorrà aiutarmi ne sarò ben grato. Distinti saluti Gianni Borlenghi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-12-2007 Cod. di rif: 3597 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cominciamo dal metodo - Risp. Gesso n. 3593 Commenti: Egregio signor Giacomelli, se digita “smoking” come chiave di testo nel sistemino di ricerca della Posta del Gran Maestro, Le si aprirà un indice dal quale potrà raggiungere numerosi testi in cui, conversando con i Visitatori del Castello, emergono vari tessuti da smoking e diverse occasioni per indossarlo. La teoria cavalleresca è che quella riduzione operata dalle abitudini comuni non sia legittima. Non esiste dunque un solo un solo smoking, come non esistono una sola stagione, una sola serata, un solo atteggiamento dell’individuo di fronte al mondo e alla mondanità. Dire cosa sia “meglio” è quindi sbagliato in questo caso e in moltissimi altri, perché la ricerca estetica che mira all’armonia non si infila in questo vicolo cieco. Una volta stabilito, il meglio resta un capolinea, mentre l’uomo di gusto e di pensiero percorre una via senza fine. Non dico questo per negarLe un consiglio così gentilmente richiesto. Lei è nuovo a questa Lavagna. Anche se vi ha letto a lungo, intervenire è tutt’altra cosa. A prescindere dal rapporto associativo, che non è mai stato un problema per nessuno, ora che ha preso la parola al Castello fa parte della sua comunità ed è bene che senta come gli altri sentono, che registri il suo metodo personale su quello, continuamente e indefinitamente messo a punto, del laboratorio che questa Porta rappresenta. Sono rimasto invischiato nella premessa ed ora non posso continuare. D’altro canto non volevo lasciare ancora la Sua domanda inascoltata. Le prometto che tornerò entro dopodomani per completare la risposta che le è dovuta ai due quesiti su fazzoletto e pump. Per ora accetti i più cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianpaolo Giacomelli Data: 15-12-2007 Cod. di rif: 3600 E-mail: giacomelli.gian@gmail.com Oggetto: Al Gran Maestro Giancarlo Maresca - Risp. al Gesso n° 3597 Commenti: Egregio Avvocato Maresca, volevo ringraziarla per l'imminente risposta alla mia umile domanda riguardante particolari della Dinner Jacket. Ho seguito inoltre il suo consiglio e nello Studio del Gran Maestro nonchè nella stessa lavagna dell'abbigliamento, ho potuto leggere commenti e scritti da lei composti estremamente raffinati, pieni di saggezza ed eleganza. Cercherò e mi impegnerò, anche se mi sarà difficile, perchè la mia sete di sapere è più forte di qualunque altra cosa, di non disturbare più questa lavagna con domande cosi banali. L'opera su cui state lavorando intensamente e appassionatamente ormai da anni e della quale lei si trova a ricoprire la posizione di Gran Maestro (indiscusso) ha raggiunto a mio parere soglie di estrema qualità. Mi sento dunque in obbligo di riferirle che dalla sua prossima risposta al mio gesso, riguardante Fazzoletto, Scarpe Oxford in vitello nero, e cappotto doppiopetto blue, mi limiterò, come fatto fin d'ora, ad ammirarvi e sperare un giorno di raggiungere, almeno in parte, quello che voi oggi rappresentate per me e per moltissimi altri signori che costantemente, con passione, vi seguono e vi ammirano. Cordialmente Gianpaolo Giacomelli P.S. Se posso, vorrei approfittarne domandandole un parere personale nell'indossare con la Dinner Jacket il modello Park Avenue di Allen Edmonds. Non so se possa avere qualche utilità nella sua risposta ma l'evento al quale parteciperò, sarà una festa di Laurea ed io ho 24 anni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-12-2007 Cod. di rif: 3603 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scarpe, pochette e cappotto da smoking - Risp. n. 3593 Commenti: Egregio Signor Giacomelli, stavo analizzando le domande che aveva posto col Gesso n. 3593, quando la necessità di mettermi in movimento per una partenza mi aveva interrotto. Torno ora a bomba, come promesso. A) “Innanzitutto le scarpe, è necessario indossarle di vernice nera ossia lucide oppure è accettabile portare delle Oxford in vitello nero”? Non esiste un uso storicamente provato che, sotto lo smoking, privilegi le pump di vernice rispetto alla scarpa allacciata nera. Chi prende una posizione netta e contraria, affermando una regola in un senso o nell’altro, lo fa per partito preso e non va ascoltato. L’analisi di un’ampia documentazione dimostra un’ambivalenza autorevole e per di più antica quanto lo stesso smoking. Da un punto di vista estetico, si può però suggerire che le pantofole pump sono particolarmente a proprio agio sotto tessuti lucidi o leggeri, mentre le scarpe allacciate sotto quelli più matti e/o pesanti. Piuttosto va specificato quale tipo di scarpa sia più titolata per questa funzione. In testa vi è senz’altro la oxford (o francesina) con mascherina liscia, di linea affusolata e senza punta tagliata. Quella di coppale va sotto il tight, in vitello sotto lo smoking. Dovrebbe portare una doppia cucitura. Quasi sullo stesso livello si colloca una derby completamente liscia, quindi senza mascherina. Ammissibile la Oxford a punta tagliata, purché senza alcuna decorazione. La Park Avenue da Lei posseduta rientra più o meno in questa categoria, ma teoricamente si pone oltre il limite per due motivi: 1) La sua cucitura tripla è da considerarsi una decorazione. 2) La “corporatura” della scarpa è troppo massiccia per l’uso da gran sera. Diciamo quindi che un purista sceglierebbe un altro modello, ma Lei a 24 anni non dovrà sentirsi in errore, ma solo aspettare il momento in cui potrà avere una scarpa solo per queste occasioni. Sarà ovviamente necessario lucidare le scarpe al massimo possibile e sfoggiare un paio di stringhe nuove o pari al nuovo, così come le calze. B) “Considerato che l'evento al quale parteciperò sarà tra amici avrei voluto osare mettendo un fazzoletto da taschino color rosso anzichè bianco”. Orrore! Presto capirà che la fantasia e lo stile personale vanno mostrati diversamente. Se ci sono, devono vedersi irrompere dal centro e non restare emarginati alla periferia. Per esser chiari, tra il primo ed il secondo caso vi è la stessa differenza che c’è tra seduzione e adescamento. Uno smoking rosso col fazzoletto bianco potrà apparire splendido, se indossato dall’uomo che ha il rosso dentro. Uno smoking tradizionale col fazzoletto rosso non può essere adatto a nessun uomo, in quanto si tratta di un espediente, di una scorciatoia, di un colpo dato nascondendo la manina, non di una scelta di campo. C) “Infine come soprabito un cappotto doppiopetto blue”. Bene. Tenga presente che un cappotto doppiopetto, col freddo che fa in questi giorni, andrebbe portato col cappello, che in questo caso sarà nero, come le scarpe, o ancor meglio grigio chiaro, ispirato dai guanti. Se anche non calzerà il cappello, i guanti sono indispensabili. Può invece tranquillamente evitare la sciarpa bianca di seta a favore di altre più calde, purché non a maglia larga. Infine La invito a desistere dal proposito di non scrivere. Intervenga ogni volta che avverta il bisogno di aiuto in un dubbio o in bivio, ovvero abbia visto qualcosa che ritiene di dover segnalare per la crescita comune. Il Suo tono è giusto e pertanto lo sono anche le domande. Esistono risposte banali, mentre le domande non lo sono mai per se stesse. Vi sono piuttosto toni sbagliati, da cui emergono prese di posizione o scopi estranei a quello sincero ed unico di ottenere una risposta. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-12-2007 Cod. di rif: 3604 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scarpe nere e tenute sportive - Risp. Gesso n. 3602 Commenti: Egregio Scudiero Zichittella, l’uso delle scarpe nere a complemento di tenute sportive è avallato da autorevoli esempi e come tale adottato con un certo compiacimento dal grande interprete e codificatore della tradizione inglese S.A.R. il Principe Carlo del Galles. La famiglia Windsor, meritevole custode dei segreti del Dress Code nella sua stesura più antica e rigorosa, calza spesso scarpe nere anche col blazer. In tal senso potrei illustrare alcuni esempi del Principe Filippo, di cui il rigore formale e la padronanza della cultura virile classica non possono essere facilmente revocati in dubbio. Quanto alle scarpe da kilt, o ghillies, il nero ne è la principale, se non unica declinazione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-12-2007 Cod. di rif: 3608 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ricevere con risvolto o senza? - Risp. Gesso n. 3607 Commenti: Caro Franco, l'accoppiamento tra frac e pump di vernice è splendido, ma autorevoli esempi di età classica attribuiscono pari dignità alla stringata liscia di coppale. Quello sui pantaloni è poi un quesito molto sofisticato, che risolverei in questo modo. Se il contesto ed il resto della tenuta e degli accessori sono formali, la soluzione priva di risvolti appare superiore. In una casa di campagna o comunque arredata molto "easy", dove all'ospite non appaiano né servitù, né materiali pregiati come cristalli, argenteria, porcellane, ovvero con indumenti un po' consunti o in situazioni di grande confidenza e low profile, il risvolto sarà un perfetto complemento dell'undestatement dell'accoglienza e dell'anfitrione. Anche nella stessa casa, lo stesso padrone potrà ricevere nei due modi, secondo la cena che servirà ed il resto, non escluso il livello di cultura e pratica estetica di chi attende. Cavallereschi saluti. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2007 Cod. di rif: 3610 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scarpa nera in campagna - Risp gesso n. 3606 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, è indubbio che il nero richiami simbolicamente la città ed i colori del cuoio l'aria aperta. Le scarpe da barca o da boscaiolo, che con alterne fortune sono state tra le più diffuse nel mondo poco prima dell'impero delle snicker e delle non-scarpe, non sono mai nere. Gli stivali da equitazione, invece, lo sono spesso, lasciando così un varco aperto a questo colore anche nella vita campestre. E' ovvio che si tratta di un nero decisamente aristocratico, da concorso o da caccia a cavallo. Il nero sull'erba può quindi considerarsi evocativo del mondo del gentleman farmer, di colui che è abituato cacciare o cavalcare su terra propria. Naturalmente siamo su un piano decisamente simbolico, in un linguaggio utilizzabile anche da chi possiede la campagna e la sua vita non con titoli notarili, ma per la conoscenza profonda che ne ha sviluppato per nascita o abitudini. Non si tratta quindi di una dichiarazione di potere, ma di una manifestazione di certezza. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2007 Cod. di rif: 3611 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il gilet del Principe Carlo - Al Signor Tarulli Commenti: Egregio Signor Tarulli, dagli Appunti nn. 3734-35-36 pubblicati nel Taccuino di questa Porta, La leggo meravigliata della scelta del Principe Carlo quanto al gilet indossato per la cerimonia di nozze con Camilla Parker Bowles. Gli esempi che fornisce, quelli di Kemal Ataturk, non sono certo gli unici antecedenti. Carlo si ispira come sempre alla cultura inglese, che ha conservato più a lungo di altre questo vezzo tra l'igienico ed il vanitoso. Anche a Napoli lo si usava, specie in estate. Con l'abito blu di mohair, Gennaro "Bebé" Rubinacci lo metteva spessissimo. Non sappiamo, o almeno non so, quando sia nata questa abitudine, ma è certo che ancor più La stupirà sapere che non è morta. Non più tardi dell'estate scorsa ho visto delle foto private di Mariano Rubinacci che indossava un gilet biancoguarnito ad una cerimonia. Poiché la sua sartoria è perfettamente in grado di lavorare questa foggia ed ancora capita chi la richieda, specie in seguito alla rivalutazione carliana, dopo le feste mi recherò presso la London House per prendere delle foto dal vivo di un gilet col bordino. In tal modo potrò offrire a Lei ed agli altri ricercatori una documentazione sui materiali e dettagli costruttivi. Nell'occasione cercheremo di approfondire il modello anche dal punto di vista storico e stilistico. Per ora, aggiungo alla sezione CINEMA & TV un Ciak preso dal film Delitto al Sole, di cui già tempo fa avevo cominciato uno studio costumistico. Le raccomando di non sottovalutare mai più la scienza e l'arte del Principe del Galles, rifugio dei credenti, paladino della tradizione, grazioso sovrano delle diversità, serenissimo interprete delle stagioni e dei contesti, potentissimo guardiano della memoria di una nazione e di un atteggiamento universale, severo sacerdote di un mondo intangibile, ma da cui noi tutti abbiamo appreso i parametri per vedere e capire l'abbigliamento classico. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 24-12-2007 Cod. di rif: 3615 E-mail: andreasperelli8@yahoo.it Oggetto: Gilet biancoguarniti in Parigi: a decine. Commenti: Egregio Gran Maestro, gentile Signor Tarulli, durante i miei incessanti vagabondaggi per boutique di vintage e antiquariato, mercati delle pulci e brocante (qui a Parigi), ho visto tanti di quei gilet "biancoguarniti" da far impallidire le poche fotografie mostrate nel Taccuino. Non ho mai pensato si trattasse di una bestia così rara, per cui non mi sono mai soffermato più di tanto sull'oggetto in questione: ma alla prossima occasione ne acquisterò un paio e li fotograferò, ad uso della nazione cavalleresca. Da quel che mi ricordo, comunque, dopo sommarie osservazioni, posso dire che si tratta di una semplicissima striscia di tessuto bianco, spesso inamidato (ne ho visti di gros-grain, di cotone grezzo, di lino, di canapa), cucito all'interno dello scollo del gilet, e può sbordare di qualche millimetro come anche di uno o due centimetri; in tutti quelli che ho visto fin'ora ho notato che la guarnizione corre anche sul collo del gilet. Il mio parere su questa guarnizione è che si tratta di una "rimanenza", uno strascico storico del cosiddetto doppio gilet, in auge alle corti europee e russe già dal 1810 (ne fornirò una foto sul Taccuino, per spiegarmi meglio.) Cordialmente Massimiliano M. di Coggiola ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianpaolo Giacomelli Data: 29-12-2007 Cod. di rif: 3617 E-mail: giacomelli.gian@gmail.com Oggetto: Bespoke Shoes by Tony Gaziano Commenti: Egregi Cavalieri e Visitatori, vorrei segnalare questa pagina che ho trovato in rete dopo aver letto un ottimo gesso (n°3021) scritto dall' esperto Giorgio Bassan. La pagina è questa: http://homepage.mac.com/syrit/PhotoAlbum7.html Se posso, vorrei cogliere l'occasione per chiedere a quale modello specifico derby in cordovan, della prestigiosa Alden, il Gran Maestro si riferisse nella sua elevata ricerca in "Vestirsi uomo - La calzatura maschile". Ringrazio nuovamente l'Avvocato Maresca per le preziose parole ed i consigli che ho ricevuto. Cordialmente Gianpaolo Giacomelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-01-2008 Cod. di rif: 3623 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Apparel Art ed altri tesori Commenti: Egregio signor Nappi, il grido che la lanciato coi gessi nn. 3614 e 3619 non ha prodotto risposte non perché sia restato inascoltato, ma perché l'opera che cerca è assolutamente irreperibile, essendo stata prodotta in pochi esemplari. La Biblioteca Cavalleresca dispone di un originale e nei prossimi giorni le Officine della Biblioteca Cavalleresca inizieranno un lavoro di scansione come già è stato fatto per altre opere rare ed esauritissime. La scansione dei volumi in oggetto è alquanto laboriosa, sia per la qauantità delle pagine che per il loro formato, che supera l'A4. Ci vorrà qualche mese, ma alla fine disporremo dei tre volumi su supporto digitale, che verranno subito messi a disposizione dei ricercatori accreditati. le modalità di accesso a questo ed altri servizi della Biblioteca appariranno in un'apposita area. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alexander De Giovanni Data: 05-01-2008 Cod. di rif: 3624 E-mail: olographicsound@yahoo.it Oggetto: Casual Friday Commenti: Egregi Cavalieri, riflettevo su di un costume d'importazione americana: il "casual friday" che noto diffondersi nelle multinazionali con sede in Italia. I più sciatti lo interpretano come occasione per recarsi in ufficio nelle più svariate tenute sportive, calzature comprese altri, ancor peggio in realtà,pensano di poter abbandonare la cravatta mantenendo il gessato. Ritengo il blazer blu con un pantalone di pesante cotone nei colori oliva, vinaccia, forse arancio per i più sicuri di sè, una buona mise per scendere a patti con il casual friday. Facendo una citazione anni '80 indosserei una camicia button down senza cravatta. Oserei una polo a manica lunga o vi pare troppo? Ringraziandovi fin d'ora Vi saluto cordialmente. Alexander De Giovanni ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-01-2008 Cod. di rif: 3630 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappotto scuro: grigio o blu? Rispp. Gessi nn. 3625 e 3626 Commenti: Inestimabile cavaliere Villa, valoroso signor Corbey, coi Gessi nn. 3625 e 3626 mi proponete domande sul cappotto grigio e sul suo rapporto col blu. Comincerei col dire che, in senso generale e su un piano simbolico, il grigio, con la sua concentrata modestia, evoca il dominio di se stessi. Il blu, nobile e fiero, esprime una volontà ed una capacità di incidere anche, se non prevalentemente, su situazioni esterne all’io. Il primo è un colore di terra, il secondo d’acqua e di aria. Ecco perché troviamo il primo colore nelle uniformi dei fanti ed il secondo in quelle della marina e dell’aviazione. Grandi sono la gloria e la storia del cappotto grigio. Nei materiali asciutti, come il donegal o gli harris e scottish tweed, ama esprimersi con disegnature come chicchi di riso, spine di pesce e grandi quadri, quali hanno vestito il fior fiore dei signori. Nei materiali più preziosi, come flanelle e fibre nobili, appare per lo più in infinite sfumature unite, ma anche qui qualche spigato poco contrastato è bellissimo e non raro a vedersi. Nella scelta di un cappotto scuro ci si baserà sul proprio carattere e sull’uso cui è praticamente destinato, ma il grigio risulterà adatto ad essere indossato in una maggior varietà di situazioni. Quanto alla foggia, rimando ai miei Appunti ( 3558 – 3563 – 3566 – 3567 – 3569) sulla distinzione tra i due archetipi: il cappotto caldo ed il cappotto bello. Non mancano considerazioni sull’altro colore principe, il cammello. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Patrizio Giangreco Data: 12-01-2008 Cod. di rif: 3631 E-mail: p.giangreco@tiscali.it Oggetto: Un negozio cult Commenti: Anche se è stato già citato nelle stanze del Castello, ritengo opportuno segnalare a quanti non lo conoscono ancora un luogo che può essere a pieno diritto considerato “cult” nel panorama dell’abbigliamento, si tratta della cappelleria dei F.lli Vigano in via Minghetti 8 , una delle ultime traverse di via del Corso a Roma, sulla sinistra andando verso P.zza Venezia. L’ambiente è decisamente di annata, è probabile che gli interni e le vetrine non siano mai state rinnovate dalla fondazione risalente al 1870, tra l’altro sono talmente buie che occorre sforzare la vista per cogliere i particolari, ma con un deciso fascino. Si puo’ trovare tutta la produzione di cappelli Lock’s (Bowler, Cap, Homburg, Ascot, Trilby,etc.) finanche pagliette, e Montecristi; sahariane da safari in drill di cotone hacking jacket in Harris Tweed, cravatte di Turnbull & Asser, tutto rigorosamente british. Unica concessione alle colonie d’oltremare dei Stetson autentici. Sarebbe davvero opportuno per il Cavalleresco Ordine che tale isola di stile entrasse nella Lista dei Fornitori. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Tancredi Valerio Sergio Torquato Virgilio Lucii Data: 13-01-2008 Cod. di rif: 3633 E-mail: bobberone@alice.it Oggetto: tight Commenti: Egregio, mi avvalgo della Sua disponibilità e della Sua conoscenza in questa squisita rubrica ,poichè, ahimè, un dubbio mi ammorba la mente. Con l'anno venturo giungerà il momento di convolare a giuste nozze. La civetteria suggerirebbe il tight, lo adoro. La regola vorrebbe che anche i testimoni lo indossassero. Il fato mi ha concesso due amici che non stenterei a definire angeli custodi, meritano la medaglia di testimoni. La sfortuna, infine, non li ha voluti in grado di sostenere l'acquisto del tight per un matrimonio. Ordino tre tight al mio sarto o cambio vestito? Cavallerescamente suo, T.V.S.T.V. Lucii ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-01-2008 Cod. di rif: 3634 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tre tight - Risp. Gesso n. 3633 Commenti: Egregio signor Lucii, poiché sta per sposarsi, deve cominciare a ragionare in termini di coppia. E' probabile che Sua moglie non approverebbe una spesa importante come quella per tre tight, il che è già di per sé un motivo di riflessione. Si aggiunga che, a quanto si capisce, Lei non ha dimestichezza con questo capo. Orbene, poiché muoversi con le code richiede una particolare gestualità, specie nel sedersi, è escluso che una persona ragionevole vesta le prime code quando è sottoposto ad una tensione come quella dello sposo. E' cosa buona e giusta amare il tight, ma Le suggerisco di sfoggiarlo quando sarà Lei testimone o invitato in un matrimonio dove sia gradito. Se ha delle disponibilità che rendono quella spesa possibile anche fori dall'euforia della cerimonia cui si prepara, ordini pure i tre tight, però attenda che si sposi uno dei Suoi testimoni o degli altri amici. Se lo godrà molto di più e avrà fatto un dono memorabile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianpaolo Giacomelli Data: 20-01-2008 Cod. di rif: 3636 E-mail: giacomelli.gian@gmail.com Oggetto: Scarpe - Il Gergo Commenti: Gentilissimi Cavalieri e Visitatori, innanzitutto mi scuso per non aver ringraziato l'Avvocato Maresca per i preziosi consigli riguardanti il cappotto. Come sempre puntuale ed illuminante nelle sue risposte, il Gran Maestro mi sta guidando, forse fin troppo gentilmente, in un mondo nuovo che sempre più mi affascina. Con la presente vorrei chiedere se fosse stato approfondito l'argomento introdotto qualche anno fa da Raffaello Carnà nel suo gesso n°.900. Si trattava di un'azienda, produttrice di scarpe, reperibile al seguente sito web: www.gergo.it. Credo possa essere interessante scoprire nuovi costruttori di bellezza a prezzi estremamente interessanti. Sperando come sempre di non creare disturbo Vi porgo i migliori Saluti. Cordialmente Gianpaolo Giacomelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-01-2008 Cod. di rif: 3637 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Gergo - Risp. al gesso n. 3636 Commenti: Egregio signor Giacomelli, se non si è detto nulla del Gergo è per evitare di dire cose spiacevoli. Essere scortese con Lei o con loro? Scelgo la seconda opzione e quindi rompo il silenzio. Se osserva bene le calzature, vedrà solo fondi in gomma e proporzioni grossolane. Dignitose al piede di immigrati in via di integrazione, impensabili su altri percorsi. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-01-2008 Cod. di rif: 3641 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappoto grigio, cappotto blu - Risp. Gessi nn. 3635 e 3638 Commenti: Incrollabile cavaliere Villa, attentissimo signor Fontana, coi Gessi nn. 3635 e 3638 rilanciate il tema binario del rapporto tra cappotto blu e grigio, andando questa volta a cercarne non tanto la validità estetica, quanto il linguaggio formale. Nel mio gesso n. 3630 già proponevo una lettura del differente bacino simbolico dei due colori, attribuendo al primo una dichiarazione di volontà di dominio esteriore ed al secondo di capacità di controllo interiore. Ovviamente si tratta di generalizzazioni estreme, ma non per questo prive di senso. Il blu è freddo e pertanto centrifugo, il suo campo di azione e dalla superficie in poi. Il grigio è cenere e presuppone un fuoco ben governato. Poiché sotto ci sarà probabilmente una brace, la sua azione è centripeta, dalla superficie verso l’interno. Ne risulta in modo abbastanza evidente il differente registro espressivo, ovvero il campo di utilizzo. Il cappotto blu andrà meglio in quelle situazioni dove l’uomo vuole figurare con la sua immagine sociale, quindi mondanità, serate di gala e simili. Il cappotto grigio, più modesto nel presentarsi, valorizza maggiormente la propria funzione di riparo contro il freddo. Questa evidenza pratica ha qualcosa di minimalista, che trasporta tutto su un piano più individuale. Nel blu esiste una vena competitiva, quasi totalmente sopita nel grigio. Questa tinta non propone un confronto con gli altri, ma un’affermazione di se stessi come valore autonomo. E’ quindi adatta ad un ambiente dove l’uomo non vuole, non deve - ovvero vuol dire di non dovere o non volere - né mostrare, né dimostrare alcunché. Ciò non comporta una superiorità dell’uno o dell’altro, ma solo una maggiore adeguatezza di una scelta ad una singola personalità o della stessa personalità a differenti occasioni. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-01-2008 Cod. di rif: 3645 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappottella di Solito - Risp. Appunto n. 3759 Commenti: Egregio signor Tarulli, nelle ultime righe dell'Appunto in rubrica, dedicato al covert-coat, Lei chiedeva sul nostro Taccuino se la cappottella di Solito avesse i bottoni alle maniche. Se la domanda riguarda lo specifico modello di questo Maestro, di cui si parlò tempo fa, la risposta è si. Solito cuce una "cappottella" che non è di diretta ispirazione militare o marinara, quanto un vero e proprio cappotto tradizionale con piegone posteriore, petto e bavero, manica a giro e bottoni alle maniche. La differenza non è nemmeno nel peso, ma nella lunghezza, nettamente sopra il ginocchio. Per ora non dispongo di foto che possano illustrare il capo, sicché Le ho risposto in Lavagna e non sul Taccuino. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-02-2008 Cod. di rif: 3651 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un tesoro da amministrare con saggezza-Risp. G. n. 3647 Commenti: Egregio signor Signani, trattandosi non di un vestito isolato, ma di un guardaroba completo, l’armadio di Suo nonno assume un valore storico particolare, che va governato con saggezza.. Intervenire con adattamenti significa dilapidare questo tesoro, la cui sola contemplazione e studio potrà gratificarLa per tutta la vita, in cambio di un vantaggio incerto e momentaneo. Un pessimo investimento, dal quale fermamente intendo distoglierLa. Non vedo alcun motivo per intervenire sul guardaroba del nonno, se non la fretta, che è sempre una cattiva consigliera. In futuro, magari indirizzato dal corredo genetico, potrebbe essere Lei ad assumere la taglia di quei vestiti e non il contrario. Cosa accadrebbe, invece, se Lei li adattasse e poi cambiasse taglia, come accade quasi sempre? Lei è giovane, attenda una decina d’anni. Nel frattempo, potrà utilizzare quelli più adeguati, in quanto è improbabile che tanti abiti siano identici nei volumi. La corporatura cambia quasi sempre e quindi, pensando che siano stati necessari anni per accumulare una sessantina di capi, vi saranno delle diversità. Potrà anche far realizzare dei capi simili, onorando in tal modo il suo avo e cogliendo il meglio della sua eredità, che certamente non è nella materia, quanto nel gusto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-02-2008 Cod. di rif: 3652 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fogge per il cappotto blu o grigio - Risp. Gesso n. 3643 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, fermo il fatto che tali fogge sono adatte ad entrambe i colori, potremmo dire che il blu si esprime al massimo nel doppiopetto, mentre il grigio, se scelto per la versatilità, la conseguirà meglio nella versione ad un sol petto. Si tratta comunque di considerazioni generalissime, da temperare con lo stile e le esigenze personali. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-02-2008 Cod. di rif: 3671 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Smacchiare è bene, resistere meglio - Risp. Gesso 3666 Commenti: Egregio signor De Lucia, nel Gesso n. 297, di circa cinque anni fa, parlavo di alcuni accorgimenti che i Maestri sarti ed i gentiluomini usavano per l’annuale manutenzione delle giacche, specialmente di quelle estive. La tecnica cercava di eliminare il deposito di unto che si forma intorno alla piegatura del collo, usando non già la chimica, ma la fisica. Non lo scioglimento del grasso, ma l’assorbimento, allo scopo di salvaguardare i delicati tessuti estivi, tanto più soggetti a scolorire se tinti in pezza come spesso accade per seta, lini, cotoni. La tecnica consisteva nell’inumidire la zona e poi depositarvi una ricca quantità di “polvere di sapone”, una sorta di talco inodore. Dopo almeno una giornata di immobilità, l’umido faceva sì che la polvere entrasse in contatto intimo con la fibra e ne estraesse lentamente l’unto. Nessuna utilità se ne trarrebbe alle ascelle, dove il problema è lo scolorimento diretto a causa degli acidi questa volta non di origine chimica, ma biologica. Gli assorbenti ascellari non sono un segreto, ma un prodotto in commercio. Se dispongono di buoni adesivi sono di eccezionale validità. Vanno sistemati all’interno della camicia, ma se ne può anche disporre una seconda coppia nella giacca. Evitano l’alone bianco, assolutamente irrecuperabile se non ritingendo il capo, che si produce alle ascelle a causa della sudorazione. Il miglior sistema per evitare danni è sudare poco, il che richiede disciplina. Cominci col non nominare mai il caldo. Non significa non pensarci, solo letteralmente non parlarne. Ricordi che tutti i sentimenti, veri e fittizi, si esprimono coi gesti, tranne uno: le scuse. Quando Le si chiede è sempre verbalmente, non coi bacetti, le telefonate o le strette di mano. Fin qui credo è evidente, ma è evidente anche che parlare del caldo è già una scusa per concedersi licenze, sudate, sofferenze inaudite di cui lagnarsi come martiri ed altri piaceri veramente piccoli e veramente fastidiosi per tutti gli altri. Parlando dell’afa e dei suoi annessi, ci si avvia a cedervi ed anzi si è già stesa la rete perché la caduta sia meno dolorosa, ma è pur sempre ignobile e scomposta. Poiché senza parola non c’è scusa, tacere è il primo vero passo verso l’acquisizione dell’arte del combattimento con le temperature. Ecco perché Villa aveva suggerito di guardare le cose diversamente. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-02-2008 Cod. di rif: 3674 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Madreperla sulla grisaglia Commenti: Egregio signor de Forville, la madreperla rallegra i tessuti estivi e intristisce quasi tutti quelli invernali. Il bottone, necessariamente piatto, si addice particolarmente a tessuti leggeri e la sua luminosità si esprime compiutamente quando la stagione è anch'essa luminosa. Usarla per una grisaglia non è comunque un errore stilistico, in quanto non farebbe che riprendere una scelta già compiuta da generazioni di gentiluomini, ma può trascinare il risultato finale verso una direzione indesiderata. Se desidera un abito disimpegnato, understate, la madreperla ton-sur-ton è ideale. Il corozo grigio scurissimo conferirebbe invece una serietà meno silenziosa ed il corno nero forza e convinzione. Cavallereschi saluti e grazie per essere intervenuto a DRESS CODE. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-02-2008 Cod. di rif: 3682 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Possesso, collezionismo e stile Commenti: Quanti abiti deve possedere un uomo elegante? Quante camicie? Quante cravatte? Quante paia di scarpe? Quando noi possediamo effettivamente un oggetto? Vorrei avviare una riflessione collettiva sul tema del possesso, in quanto relazione tra noi e l'oggetto posseduto e ciò che esso racconta di noi. Ma anche sull'essenza di valori che si estrinsecano non con la mera esibizione degli oggetti che manifestano il nostro personale stile. Sono un discreto collezionista di scarpe. Ne posseggo sicuramente di più di quante me ne occorrano durante le varie stagioni dell'anno o di quante ne riesca ad usare. A motivo dell'uso saltuario, alcune mi sopravviveranno in ottimo stato dopo la mia dipartita, ancorché avvenisse tra qualche decennio. Quando possiederò veramente un paio di scarpe? Probabilmente quando le avrò fatte risuolare. A quel punto mi apparterranno veramente e la loro naturale patina, derivante dall'uso, sarà un tutt'uno con la persona che le indossa. Mi capita di avvertire come estraneo, nel guardaroba, un abito nuovo. E' persino imbarazzante indossarlo negli ambienti che di solito si frequentano, perché inevitabilmene attira l'attenzione su di sé. Non per nulla i nobili di tanti anni fa facevano indossare i loro abiti nuovi e le scarpe appena fatte da un valletto della loro stessa corporatura. E allora queste considerazioni inducono altre riflessioni sulla morigeratezza dei costumi. Forse un vero Cavaliere non dovrebbe aspirare a possedere tanti capi e tanti cambi. Posto che il Cavaliere dovrebbe essere sempre adeguato alle circostanze, chi insegue valori profondi di stile non ha la necessità di dover sempre apparire con un capo nuovo, o diverso da quelli esibiti nei giorni precedenti. Ed il possesso di tanti oggetti, oltre ogni esigenza pratica ed oggettiva, è rivelatore forse di altri vuoti. Siamo su un territorio dove è tutto molto relativo: se per me 10 abiti invernali possono essere più che sufficienti, per un altro 30 potrebbero essere pochi. Come potete constatare, poche idee e confuse. Sarebbe interessante un giro di opinioni per trovare la bussola su questo tema. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-03-2008 Cod. di rif: 3684 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: E' tempo di partire - Risposta al gesso n. 3680 Commenti: Egregio signor Withmill, la ringrazio a nome di tutti coloro che collaborano a quella che Lei, con straordinaria correttezza linguistica e concettuale, definisce la nostra Opera. Dal momento in cui ha cominciato a frequentare questo castello, anche solo da lettore, Lei era già parte di essa. Gli scopi di questo lavoro non saranno chiari ancora per qualche anno, perché esistono spazi apparentemente simili in altri siti, lingue e nazioni. Ciò che rende unico il castello è innanzitutto il fatto che esso non è una pura espressione informatica e dietro ad esso esiste una comunità sociale vera e viva, coi suoi errori e le sue illusioni, soprattutto i suoi ideali. Questo luogo è infatti sede immaginaria e laboratorio concreto del Cavalleresco Ordine delle Nove Porte, che essendo un’istituzione indipendente e tenace gli fornisce ciò che altrove manca: il metodo. Siamo tutti lieti di leggerLa. In primo luogo per l’amore sincero che dalle Sue parole traspare per il nostro mondo maschile, al cui studio, pratica e difesa, è dedicato ogni migliore sforzo dell’Ordine e dei tanti che, pur non facendone parte, si riconoscono come portatori dell’immaginazione virile classica. In secondo luogo per le notizie che ci porta. Già qualche anno fa considerazioni simili vennero svolte da Michael Alden, che poi ha abbandonato il castello per fondarne un’imitazione non priva di meriti. Lei ci rivela dice che la sartoria britannica prosegue ad esprimersi ad alti livelli tecnici e stilistici. Purtroppo, a parte ciò che ha detto una stampa servile e sensazionalista, priva di ogni competenza, la massiccia spedizione condotta dai sarti della Row al Pitti Uomo del Gennaio 2007 ha mostrato una povertà di contenuti e di idee. Ciò che abbiamo visto era un taglio da confezione, squallidamente nobilitato da materiali preziosi orientati al gusto ed alla tasca delle nuove ricchezze prive di cultura estetica. Poiché Le credo sulla parola e sono ansioso di poter toccare con mano qualcuna di queste realtà nascoste alla massa, Le chiedo di farmi da guida in una spedizione esplorativa. Mi scriva privatamente, o anche qui sulla Lavagna. Nella prima metà di Aprile e nella prima settimana di Maggio, mi consideri disposto a partire in qualsiasi momento per Londra. Spero che la cosa sia possibile. Non voglio correre troppo, ma all’esito di una prima ricognizione potremmo organizzare un Laboratorio sul luogo, convocando tutti gli appassionati del vestire. NUMQUAM SERVAVI Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: LUIGI LUCCHETTI Data: 01-03-2008 Cod. di rif: 3685 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Essere o apparire Commenti: Egergio Cavalier Longo, leggere il suo pensiero sull'argomento, peraltro a così breve distanza di tempo dall'inserimento della mia "provocatio", mi ha molto favorevolmente colpito per la profondità del contenuto che lei ha proposto. Rispondendo alla sua domanda, le confermo che una inaspettata grande vincita non mi indurrebbe alla corsa all'acquisto di tante inutili nuove scarpe. L'argomento possiede molte altre sfaccettature. Definirne alcune può contribuire non poco alla individuazione di un minimo comune denominatore della personalità del Cavaliere contemporaneo. Mi auguro ulteriori illuminanti contributi. Saluti cavallereschi. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-03-2008 Cod. di rif: 3686 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Filosofia cavalleresca del possesso - Risp. G. n 3680 Commenti: Egregio Cavaliere Lucchetti, Lei si domanda e ci fa domandare quanti abiti, scarpe e così via debba possedere un uomo di gusto, aggiungendo però considerazioni che chiariscono molto bene che il livello cui intende portare l’indagine è filosofico, non stilistico. Se il terreno di gioco è il pensiero, occorre rispettarne le regole: niente sociologia, niente sindacalismo, niente democrazia, addirittura niente snobismo e niente pregiudizi, entrambi utilissimi al buon gusto quanto perniciosi nella speculazione. Ciò significa che durante il viaggio non saremo i passeggeri che possono scendere ad ogni scalo e distrarsi, ma capitani con una precisa destinazione. Non ci riguarda quel che si vede dai finestrini, solo la salvezza del carico e il compimento della missione. Da un lato non ci può interessare che molti possiedano poco, dall’altro non dobbiamo cedere alla tentazione di stigmatizzare il fatto che troppi possiedano troppo. Certo, il troppo contrasta con il gusto che è equilibrio e con l’Eleganza che è armonia, ma è evidente che ragionando in questo modo il fascino esercitato dalla visione estetica ci paralizzerebbe come lo sguardo di Medusa. Dal canto suo, il troppo poco colpisce la sensibilità umana, ma non possiamo in questo momento pensare di offrire agli uomini ciechi ed infreddoliti il calore e la luce del fuoco. Anche in questo caso finiremmo per restare legati, questa volta ad uno scoglio come Prometeo. La Sua domanda resta l’unica rotta da seguire: QUAND’E’ CHE SI POSSIEDE VERAMENTE UN OGGETTO? La risposta che cerca non è un programma di acquisti, ma un progetto di vita. Il tema, pur essendo di lunga soluzione, non è in se stesso complicato per chi abbia un metodo di base, un punto di riferimento quale quello che Lei possiede in quanto Cavaliere delle Nove Porte. La Carta dei Principi del Cavalleresco Ordine, lettura interessante anche per chi sia nei suoi confronti estraneo, scettico o contrario, alla fine nel penultimo paragrafo recita: “Resta però indispensabile possedere la giusta chiave, senza la quale l' oggetto del desiderio potrà essere sbirciato solo dal buco della serratura. Rubato forse, ma mai pienamente posseduto e coscientemente gestito. E' questa infatti la differenza tra vizio e Piacere: la padronanza di un oggetto o di un atteggiamento. In una parola, la Conoscenza”. Sembrerebbe che lo squarcio da Lei aperto vada ad allargarsi ulteriormente, in quanto la Carta chiarisce che il possesso non riguarda solo gli oggetti, ma anche atteggiamenti e quindi esperienze. Quando potremo dire di possedere una competenza nel vino? Quando ne avremo bevuto molto, quando ne avremo bevuto molti, quando avremo conseguito un diploma? E quando potremo dire di possedere una buona conoscenza di Parigi o di Shangai? Se ci siamo nati? Se ci abbiamo vissuto da studenti? Se ci siamo stati in luna di miele? Se ne abbiamo studiato la storia? Se ci andiamo tutte le settimane? L’espansione non inasprisce il problema, anzi, definendo meglio i suoi confini, prepara la soluzione. Pensiamo all’esempio della città. Tutti concorderanno che il suo “possesso” si acquisisce con la conoscenza, il che dimostra l’equivalenza tra le due incognite così come postulata dalla Carta. Noti l’interessante e non casuale connotazione sessuale. La conoscenza è penetrazione e la penetrazione possesso, sia speculativamente che sessualmente. Si apre a questo punto una distinzione tra avere e possedere, che interferisce coi ragionamenti basati sul dualismo avere-essere. Quando avere significa possedere, significa anche essere, perché la conoscenza è accesso all’essenza. Fin qui la Carta, ma c’è un altro modo di affrontare il problema, pur restando nello stesso metodo. Ce lo suggerisce il nostro motto: “NUMQUAM SERVAVI”. Su queste due parole abbiamo solo dieci anni di storia interpretativa, che per un simbolo sono pochini. In ogni caso, sembra chiaro che il “non ho mai conservato” si riferisca (anche) alla scelta di non acquistare per il mero accumulo. Tenere le cose sullo scaffale non serve a loro, non serve al proprietario, non serve all’umanità. Le facili considerazioni sul lusso e sull’inutilità, così comuni oggi, non possono che riportare a questa conclusione, lungo una breve strada che prevede un’altra tappa. L’inutile trae senso dal Piacere ed il Piacere, secondo la nostra filosofia cavalleresca, parte dalla Conoscenza. Chiariti questi dubbi, l’uso sarebbe, anzi è, l’altra via di acquisizione del possesso come Lei lo intende in questo dialogo. Io so poco di orologi, ma possiedo un vecchio Rolex col quadrante color cioccolata al latte e doppio fuso orario, che mio padre comprò a Singapore negli anni sessanta. Non ne conosco il valore e le qualità, anzi nemmeno il nome, né mi interessano. La sua essenza è mia per un’altra via, averlo visto per quarant’anni al polso del babbo e poi al mio. L’uso marca gli oggetti e li fa nostri, come del resto è riconosciuto anche dalla legge civile. Abbiamo dunque due possibilità di legittimare il possesso: la via intellettuale della conoscenza e quella pratica dell’usucapione. Il viaggio è alla fine, il porto vicino. Individuati i termini, basta chiedersi se ci sia una spinta comune. Ebbene, la conoscenza nasce dalla passione e l’uso genera affezione, sentimenti che a loro volta hanno un multiplo comune. Eccolo allora il fattore primo, il gene del vero possesso, il carattere che nobilita il meccanismo sessuale che abbiamo visto sullo sfondo. E’ l’amore. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-03-2008 Cod. di rif: 3689 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I segreti del taschino - Risposta al Gesso n. 3688 Commenti: Egregio signor Signani, tempo fa mi occupai sulla rivista MONSIEUR del taschino della giacca e dei suoi contenuti, ornamentali o meno. L'articolo è basato su due principi. Il primo è la suddivisione tra fazzoletto e pochette, il primo in lino o cotone, cioè utilizzabile anche per il naso, pulizia occhiali, etc., il secondo squisitamente decorativo. L'altro assunto è che la diversa fuoriuscita del fazzoletto o pochette sia misura dell'estroversione del soggetto, della voglia di comunicare un temperamento o uno stato d'animo. Comincio col trascrivere questo pezzo nella sua versione originale, restando a disposizione per altre domande che venissero fuori. LA LAVAGNA DELLO STILE – 2 IL TASCHINO Nell’abbigliamento maschile tutto ciò che è asimmetrico ha un ruolo ben preciso: sottolineare ed evocare l’individualità creatrice. Lo prova il linguaggio dei guanti, che godendo di un doppio regime si prestano ad un significativo confronto. Portati entrambi, sono silenziosi ripari dal freddo. Se invece se ne calza uno solo reggendo l’altro in mano, ecco che l’occhio percepisce una ricerca estetica, un atteggiamento che sottolinea una volontà ed un gusto precisi. Gli accessori asimmetrici sono pochi, tutti accomunati da questa valenza individualista. Per questo, in tempi in cui il singolo si è fortemente indebolito nei confronti delle forze globali, alcuni sono praticamente scomparsi ed altri tendono a scomparire. Caso del guanto a parte, se ne contano solo altri sei: il monocolo, il bastone, l’ombrello, l’orologio, la boutonnière e la pochette. Il taschino arricchisce la tenuta maschile classica con un invito alla fantasia. Un taglio all’altezza del cuore potrà essere una ferita rimarginata, o una bocca per parlare di emozioni. Stando a sinistra, lato lunare dell’immaginazione, è comunque un varco la cui sola presenza ha un valore simbolico. E’ la tana del Bianconiglio, un passaggio verso l’altro lato dello specchio. La sartoria vi dedica molta attenzione ed ogni maestro ha una sagoma distintiva. Il listino di guarnizione non dovrebbe mai scendere al di sotto del giro manica e in genere si trova proprio alla sua altezza. Ciò vuol dire che il lembo inferiore, in una giacca artigianale e quindi con giro corto da 19 cm, si trova per un uomo di statura media a 28 cm dalla congiunzione tra spalla e collo. Chi provasse a verificare noterà anche che, usando il metro come un compasso, la parte esterna del taschino è quasi un perfetto arco di cerchio. Non stiamo introducendo inutili nozionismi, perché queste quote hanno un significato stilistico. La loro conoscenza può ad esempio aiutare a riconoscere una giacca di provenienza inglese da una italiana. Nella nostra sartoria, infatti, quella distanza va da 28 a 30 cm per il taschino tagliato e da 24 a 25 per quello applicato, secondo l’altezza. Molte sartorie londinesi, specie nel doppio petto, usano collocare il taschino tagliato decisamente più in alto, tra i 25 e i 28 cm. Inoltre il taschino inglese puro non è disegnato come il nostro, ma ha un listino dai lati lunghi quasi retti, come si può vedere nella bella foto di Chester Morris o in una qualsiasi di Winston Churchill, che vestiva solo a Savile Row. Non possiamo dilungarci sui taschini applicati, ma anche qui vale la regola per cui la sagoma inglese è più retta, mentre quella italiana, dagli anni cinquanta in poi, ha assunto forme arrotondate fino all’immaginifico “pignatiello” della scuola napoletana. Il taschino maschile può ospitare diverse tipologie di oggetti. Alcuni sembrano sgusciarne con grazia, altri entrarvi come a rifugiarsi, altri ancora schizzar via come per levarsi in volo, ma indubbiamente sono i fazzoletti a regnare su questo piccolo principato. Innanzitutto possiamo distinguerne due grandi categorie: quelli bianchi e quelli no. Secondo la qualità, il modo di piegarlo, la quantità di tessuto esposta, la cura nella stiratura, il bianco può essere il rigoroso complemento di una tenuta professionale o un guizzo di energia. Ripiegato perfettamente dritto e immerso nel taschino sino a lasciare solo un centimetro di candore, il fazzoletto bianco ha un aspetto composto, quasi militaresco. Ben diverso effetto sortisce quando invece fuoriesce impertinente, senza mezze misure. Il limpido sorriso di Cary Grant o quello sornione di Chevalier non sono l’unico fattore dell’immediata sensazione di simpatia che ricaviamo dai loro ritratti. Una nuvola quello di Cary Grant, con gli angoli negligentemente raccolti e tirati su. Un lampo in un cielo sereno quello di Chevalier, che piegato in modo magistrale sembra saltar fuori dal taschino, posto molto in alto. Anche se ci è costato la noia di qualche arida cifra, noi ormai sappiamo cosa ciò voglia dire in termini di provenienza stilistica. A questo punto si può azzardare anche un’altra distinzione, quella tra pochette e fazzoletto da taschino. Per definirsi tale, quest’ultimo, deve avere per l'appunto natura di fazzoletto e cioè colori e materiali che si addicano al comune fazzoletto da tasca. Esclusivamente in lino o in cotone, può essere bianco, in tinte unite, o fantasia. Queste ultime potranno essere a stampa, come quelli della Perofil, oppure tinte in filo come nel caso della manifattura parigina Simonnot e Godard. Quest’ultima produce al vertice assoluto della categoria, ma in Italia è poco nota e quasi irreperibile. Gli appassionati potranno rivolgersi a colpo sicuro al buon vecchio Crovetto in Genova, ombroso giardino del nostro palazzo maschile, incontaminato da erbacce. Qualcuno ama arricchire i fazzoletti da tasca e taschino con monogrammi, stemmi o brevi motti personali. Trovare ricamatrici all’altezza di sviluppare e realizzare un disegno originale è diventato un problema ed anche qui voglio suggerire un indirizzo. Sorrento ha una lunga tradizione nel settore e l’antica ditta Fiorentino, ormai chiusa, serviva addirittura alcune case reali d’Europa e grandi famiglie e personaggi di tutto il mondo. La tradizione non vi si è estinta ed ancor oggi ci si può affidare alla bottega Melany, in Piazza Tasso. Il discrimine di un fazzoletto da taschino è in definitiva segnato da questa domanda: potrei estrarlo ed in caso di emergenza usarlo per pulire il naso o gli occhiali, offrirlo ad una signora per smacchiare l’abito o asciugare lacrime et similia? Se la risposta è no, non abbiamo un fazzoletto, ma una pochette. Questa, infatti, ha una funzione prettamente estetica e pertanto è realizzata in seta ed ha – o può avere – colori e fantasie sgargianti e dimensioni libere. Quanto più sporgono, tanto più fazzoletti e pochette rivelano una volontà di comunicare con gli altri. Una soffice pochette parte da un registro ricercato e misterioso quando fa appena capolino, come nel caso dell’immagine di Salvador Dalì. Appena esce un po’ di più, comincia a farsi notare, a sottolineare la cura che si è posta nel vestire. Quando emerge tanto da ripiegarsi a sbuffo giunge ad una sofisticazione che non teme ed anzi cerca i commenti. Favorevoli o sfavorevoli, poco importerà a chi indulga risolutamente in questa abitudine. Concluderei riassumendo le note delle due diverse tastiere: i bianchi rappresentano un’armonia classica e vanno da una compostezza che si abbina con qualsiasi formalismo e rigidezza ed a volte resta impacciata, sino ad un atteggiamento conversevole, quando sporgono di parecchi centimetri. Se ripiegati con gli angoli in alto, vanno dal mesto vorrei-essere-ma-non-sono di certi apparecchi rigidi come cemento sino ad effetti pittorici vicini a quelli di una pochette. Questa, per la leggerezza che subito la slega dal piano materiale, ha un linguaggio più estemporaneo, più facile a risultare incompreso o incomprensibile. Va dalla terribile impressione del piace-tanto-a-mia-moglie sino al distacco dandystico fuori da ogni possibile valutazione, passando per la creatività di uomini dal perfetto senso cromatico. Qualche considerazione meritano i fazzoletti che qualcuno fa ricavare dallo stesso tessuto della camicia, per indossarlo in composé. In tutti i coordinati c´è qualcosa di sinistro che non mi convince. Per aspirare al supremo raggiungimento dell’Eleganza, che per quanto lontano dovrebbe sempre ispirarci, l´abbigliamento maschile deve percorrere le vie nascoste, sollecitare le corde sottili. Le note squillanti e le strade troppo illuminate portano quasi sempre lontano dall’obiettivo. Ebbene, qualsiasi abbinamento è sempre troppo evidente ed in tal modo rivela uno sforzo, il che pregiudica inesorabilmente il risultato. Naturalmente questa e tutte le altre osservazioni di questa lavagna non pretendono di essere leggi. Ed anche se lo fossero, valgono più di esse le soluzioni eccezionali, di cui la strada maestra è invero lastricata. Come sapere se si è imboccata proprio quella o un sentiero che conduce al precipizio del cattivo gusto? Un metodo forse c´è, quello della certezza. Chi è profondamente sicuro delle proprie scelte è spesso sulla rotta giusta, ma occorre anche sapere che ce n’è una per ogni nave. Seguendo quella altrui non è infrequente finire tra gli scogli del ridicolo o nelle secche dell’insipienza. Il mondo è pieno di buontemponi che tramandano leggende metropolitane ed emanano leggi sull’abbigliamento. Non manca mai chi creda veramente che le fogne siano infestate dai coccodrilli o raccolga la stagnola delle sigarette perché gli hanno detto che potrà rivenderla a peso d’oro. Allo stesso modo, sono in molti ad ascoltare il severo esperto da talk show quando afferma, non senza un la erre moscia del caso, che la tal scarpa debba per forza abbinarsi con una determinata calza. Le leggi esistono, ma solo in nome di un principio. I loro risultati si vedono solo quando l’uomo, dopo aver tutte apprese e tutte dimenticate le prime, si esprima direttamente attraverso i secondi. Qualcuno, invece, si sforza di farci mandare a memoria un precetto secondo il quale la pochette non andrebbe mai indossata prima delle diciotto. Non si sa se dovremmo preoccuparci anche del fuso orario e dell’ora legale, o basti guardare l’ora in piazza. Ma guarda, sono le otto, devo prendere l’antibiotico e mettere la pochette! Gli oracoli sono unanimi nel negare alla penna un posto nel taschino. Dicono che faccia ragioniere, ma al proposito vorrei condividere il ricordo ammirato di una foto del 1933 di sir Edward Elgar, grande compositore inglese (Veda la foto nel taccuino dell'Abbigliamento, Cod. riferimento n. 2224). Dal taschino della sua giacca dal taglio un po’ provinciale, ma portata con ammirevole dignità, fuoriesce una lunga matita, così lunga che in parte è anche una bacchetta da direttore. Ad un uomo che ha passato la vita a scrivere musica, a dirigere orchestre, vorremmo negare questa legittima citazione della sua attività? E chi scrive professionalmente, il calligrafo, il collezionista di stilografiche, dovrebbero essere privati del diritto di portare le proprie insegne, perché una sola norma basterebbe a prescrivere a tutti cosa fare. Sarà, ma il gusto non è tanto facile, né così poco divertente. Marzo 2006 Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-03-2008 Cod. di rif: 3693 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pochette: piegature e assenza. - Risp. Gesso n. 3692 Commenti: Egregio signor Signani, l'Eleganza è una proprietà esclusiva dell'Uomo, non dell'abito. Si può quindi dire che esistano capi o accessori più o meno belli, non più o meno eleganti. Tra le varie piegature sussiste un rapporto simile a quello tra le parole di un vocabolario. Quelle che vengono prima non sono per questo più importanti. Alcune sono più adatte alla scienza, altre alla letteratura, altre ancora hanno una musicalità o un corredo simbolico che le rende adeguate al verso. L'uomo colto ne usa un gran numero, talvolta assecondando le loro inclinazioni, talaltra forzandole per ottenere degli "effetti speciali", altrimenti detti "figure retoriche". Come ogni linguaggio complesso e completo, anche l'abbigliamento ha la sua retorica, l'oratoria, la prosa, la poesia. Ma è forse l'Arte nella parola? Non scorre piuttosto dalla penna che la scrive, dalla bocca che la pronuncia? Ciò risponde anche alla Sua domanda sull'idoneità di una piegatura o dell'altra. E' ovvio che la compostezza della linea retta si adegua bene alle situazioni formali e viceversa, ma la forza espressiva del singolo può mettere con pieno successo un crisantemo all'occhiello ed una gardenia sulla tomba dell'amico. Quanto all'Avvocato, egli divideva nettamente il corredo semantico formale e informale da quello sportivo. In questo la giacca, qualora esistesse, non aveva valore diverso dal giubbino e quindi la pochette sarebbe stata overdress.. I primi erano entrambe improntati ad un’inconscia aspirazione alla solennità, in cui la pochette sarebbe stata di disturbo alla complessità semplicissima dell’insieme, sempre basato su pochissimi capi spesso forzati – specie in tarda età – entro una pronuncia personalissima ed enigmatica. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe MIceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3704 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Cappellai a Roma e cappelli d'antan Commenti: Egregio Gran Maestro, nobili Cavalieri, simpatizzanti onorati e visitatori arditi, vengo qui, su queste lavagne, per la prima volta a segnalare che la cappelleria Venanzoni di via Ottaviano in Roma, ahinoi, ha chiuso oramai da alcuni anni. Oltre Viganò che resiste in via Minghetti, potrei però segnalare in Roma alcune cappellerie alternative seppur di più piccole dimensioni. Trattasi della Antica Cappelleria Troncarelli in via della Cuccagna a due passi da piazza Navona, che vende principalmente Barbisio e molti Lock; è un piccolo negozio dove cortesia e diligenza non mancano. In via Ancona a pochi metri da Porta Pia vi sarebbe anche la cappelleria Fulgor che offre manutenzione sui cappelli, certo non pari a quella della Melegari a Milano di cui prevedo una fine prossima (per mancanza di ricambio generazionale, la titolare è anziana, il negozio è lontano dalle orde dei turisti). In via Merulana poco vicino alla basilica di S.ta Maria Maggiore v'è la cappelleria Lombardi. In via degli Scipioni (parallela di Via Germanico dalla stessa parte dove c'é Eurotex) ci sarebbe un'altra cappelleria, un laboratorio artigiano che lavora soprattutto per il teatro e per il cinema da cui non gli mancano le commesse. Questa mia premessa informativa introduce un tema di riflessione cui son amaramente giunto oramai da tempo, ossia che come i tessuti hanno perso quella pesantezza cara al virile aspetto così i cappelli per contro non posseggono più quell’impareggiabile morbidezza caratteristica dei finissimi feltri di decenni passati. Nella mia ormai passata frequentazione dell’ultima attività commerciale succitata volta al fine della manutenzione dei miei cappelli, affezionato come sono ai feltri la cui ala risulta non tagliata al vivo ma ribattuta e cucita verso l'alto oppur guarnita da un bordino in seta canneté impunturato a macchina, ho tentato presso di loro d’ordinare un cappello di tal fatta su misura, in quanto il loro prodotto pronto non soddisfaceva, né per peso né per foggia, i miei desideri. Dopo avermi vivamente sconsigliato e invogliato in tutti modi a desistere dal mio proposito, e dopo aver convinto la titolare del negozio che per il mio portafogli la spesa aggiuntiva della forma di legno – questa necessaria in quanto la ribattitura dell’ala abbisogna di una forma lignea che loro non possedevano – non era per me esorbitante (trattandosi di cappelli è come pagarne uno il doppio) ho passato in rassegna i loro feltri atti ad esserne stirati, guarniti e rifiniti ma inutilmente. Non essendo una fabbrica non speravo certo di poter arrivare a commissionare il tipo di pelo e il tipo di rasatura o di pelosità, tantomeno di far marchiare il mio nome nel marocchino come è giunto a fare il Gran Maestro presso il Cappellificio Cervo con risultati oltretutto insoddisfacenti considerato il rassegnato resoconto che egli ne ha fatto nella lavagna 1799, tuttavia, mi sono stati mostrati i feltri di Barbisio di cui si servono. Mi vien fatto vedere il pronto, mi viene illustrato il campionario dei feltri, dei colori, il prodotto pronto alla bisogna che è già stato plasmato sui coni dal “Cervo”. Il tutto mi lascia interdetto. Decido di confrontare la loro offerta con alcuni miei vecchi cappelli di feltro leggero (un Super Panizza Piuma, un paio di Borsalino qualità superlativa, un Mayser Touring). Confronto quanto sopra descritto, i Barbisio, i Lock e altri esposti nei negozi sopra elencati gentilmente mostratimi, a questi in mio possesso e non v’è alcun paragone: son nettamente più scarsi, mancano di plasticità, di modellabilità, di quella caratteristica finezza e morbidezza che fa sì che con gesto delicatamente si abbassi la falda già calata innanzi agli occhi, ampliando di un ulteriore sol centimetro la curva della piegatura. Alla fine ho desistito temo con sommo sollievo della titolare che non ha mancato di invogliarmi a tornare a scegliere un cappello già pronto. Su come sia possibile questa avversa congiuntura dell’offerta del mercato; questa esiziale concomitanza di fogge contrarie ad ogni ragione, buon gusto, eleganza e praticità; questa contemporaneità di due fattori opposti e contrari, questa sfavorevolissima circostanza che vuole gli uomini vestiti di abiti svolazzanti e di cappelli grossolani; mi son dato finora una risposta che esplicitamente ometto perché tutto il materiale della Lavagna ne è in parte una risposta. Nel rinunciare alla ricerca del classico, al su misura, alla ricercatezza senza affettazione, l’uomo sarebbe costretto a indossare “cappottini morbidissimi, attillatissimi e caldissimi di cachemire” e andare a capo nudo oppure indossare cappellacci grezzi e tozzi, spessi e duri di lapin e di feltro di coniglio, o berretti sportivi a spron battuto. Massima cura per il corpo quindi (quello dell’uomo delle palestre, dell’uomo eterno adolescente, dell’uomo ambiguo, del “mammo”, nessuna cura tutt’al più grossolana e posticcia per il capo, per la testa, fulcro di pensiero, di meditazione, di filosofica riflessione nonché di conoscenza e di coscienza. A conferma di tutto ciò ricordo lo stupore di quando vidi entrare da Viganò un signore di mezza età, sulla sessantina, un professionista, cappotto manica reclan di panno blu cui sotto indossava un classico abito scuro, un cliente abituale salutato familiarmente, prendere senza tema un berretto nero con visiera di misto lana, calzarlo senza alcun indugio pagare i pochi soldi in fretta e andarsene più che soddisfatto con ciò acquistato già sul capo. L’ultimo Borsalino da me comperato una decina d’anni orsono, per l’occasione mi ero spinto fino a 6 cm. di ala scegliendo un marrone tabacco per stemperare l’effetto, aveva un ottimo aspetto e risultava comunque morbido, ma come per tutti i recenti prodotti delle altre illustri case produttrici mancava di quel quid che fa sì che ci si affezioni al cappello sino a sentirlo insostituibile nel nostro guardaroba. Forse questa mia poco aggiunge pur non nulla togliendo a quanto già scritto su queste lavagne riguardo il cappello, ma mi premeva sottolineare quanto la qualità dei feltri dei decenni ’40, ’50, ’60 sia del tutto scomparsa e soppiantata da una qualità inferiore in specie per la feltratura, oppure dipende dalla scarsezza della materia prima? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3705 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: calzoleria romana e giapponese Commenti: Torno su queste pagine a distanza di poche ore per segnalare una calzoleria romana che meriterebbe attenzione da parte dell’Ordine; forse una visita del Gran Maestro o del Prefetto della provincia romana Italo Borrello, la calzoleria di Antonio Aglietti in via Branca 40 in Roma. Non vorrei scomodare nessuno inutilmente pertanto specifico che tale segnalazione non nasce dal motivo che mi sia fatto già fare un paio di scarpe su misura da questi e ne posso constatare, indi testimoniarne, il pregio; seppur così fosse non avrei l’esperienza sufficiente necessaria a esporre un giudizio possibilmente oggettivo. Ho già segnalato nella Posta del Gran Maestro recentemente questo indirizzo al sig. Cionni che a lui chiedeva proprio indirizzi nella capitale per l’acquisto di calzature particolari. Dal mio intervento si capisce come abbia fatto visita all’Aglietti più volte e mi picco di avere buon intuito, se mi sbagliassi nessuno me ne voglia per averli inutilmente incomodati. Le sue scarpe mancano forse di quell’estrema raffinatezza, di quella leziosità che talvolta si riscontra in un prodotto di tendenza, di quella ricercatezza ad ogni costo che però, qualora fosse commissionata dal cliente verrebbe certo tentata di soddisfarsi dall’artigiano. Tali ultime caratteristiche sono state recentemente riscontrate non su una calzatura industriale prodotta in fabbrica ed esposta in una vetrina ammiccante ma su una calzatura fatta a mano da una giapponese sconosciuta in cerca di lavoro incontrata in un negozietto della capitale in via della Croce di cui sono cliente per acquistare spazzole, lucidi e quant’altro. La signorina che era entrata dopo di me, voleva solo comperare un prodotto per la colorazione del cuoio o chissà cos’altro, mi colpì poiché indossava delle scarpe che ho riconosciuto subito essere artigianali, scamosciate in color noce con dei lunghissimi lacci di camoscio a ricciolo e a molla che mai si poteva pensare potessero perdere la elasticità e finire sotto una suola correndo il rischio di cadere. Ella era ingombra di borse, di buste e fagottini, così le ho permesso dacché dovevo solo decidere il colore del lucido, di farsi servire, al ché per meglio spiegare in stentato italiano al negoziante ciò che intendeva acquistare tira fuori una tomaia in fase avanzata di lavorazione da una sacca di custodia su cui vi era il marchio di Peron&Peron e indica al negoziante dove deve mettere il prodotto, da qui la mia curiosità e le mie perplessità. Infatti sollecitata da una mia discreta domanda spiega che è in carca di lavoro presso calzolerie artigiane in Italia e tira fuori timidamente un campione, una scarpa di capretto che avrei comprato ad occhi chiusi. La signorina giapponese aveva fatto recente visita dai Peron al fine di assunzione ma altro non era riuscita che a farsi regalare da loro i sacchetti di custodia per le scarpe del suo campionario. La lavorazione era indubbiamente a mano con cucitura rigorosa del guardolo e la suola di una sottigliezza straordinaria, il guardolo s’interrompeva al ponte sia internamente che esternamente come mi piace per le scarpe raffinate, e quest’ultimo aveva quella tipica convessità appena accennata, la tomaia in capretto (cosa che non era del tutto inusuale nella lavorazione italica ancora nell’immediato dopoguerra) color bordeaux invecchiato, aveva una gran bella punta squadrata quasi a parallelepipedo, somigliava vagamente al muso d’un carro armato, ma direi punta a cilindro in quanto mi ricordava più il tipo di chiusura di certi secretaire del diciannovesimo secolo. Insomma una gran bella scarpa. Aveva con se tutta una serie di indirizzi di calzolerie romane artigiane tra cui mancava l’Aglietti, che ho subitaneamente indicatole. Chissà, quando deciderò di farmi un paio di scarpe da questi forse sarà la simpatica giapponese dietro il bancone a smussarmene la punta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3706 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: calzoleria romana e giapponese Commenti: Errata Corrige cod. di rif. n. 3705: concavità in luogo di convessità. Ho dimenticato i Cavallereschi saluti e inoltre ben più grave la firma Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3708 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cappelli e Cappellai - Risp. gesso n. 3704 Commenti: Egregio signor Miceli, conoscendo il mio Gesso 1799, avrà certamente visto nel Florilegio la settima puntata di Vestirsi Uomo, la cui prima parte è dedicata al cappello maschile. Aggiungerò in calce un articolo che scrissi per MONSIEUR nel 2005, di cui la prima sezione è generale e la seconda speciale, dedicata all'attività e storia del Cappellificio Cervo. Prima di lasciarla a questa lettura, aggiungo che il feltro, come la seta, migliora col tempo. Nel comparare le qualità va considerato che il cappello prodotto oggi migliorerà tra venti anni e quello che abbiamo comperato venti anni fa è già cresciuto in morbidezza e plasmabilità. Un altro fattore che va tenuto presente è che la gran parte delle attività manifatturiere degli anni sino al '60 venivano condotte senza molte precauzioni per la salute degli operai. Se in Alice abbiamo il Cappellaio Matto è perché questo mestiere conduceva spesso a malattie mentali a causa dell'uso di mercurio. Oggi non abbiamo più molte tecniche di stampa della seta, vernici per auto, ammine per colorare la madreperla e nemmeno mercurio per infeltrire i velli più pregiati, donando alla massa una consistenza burrosa e lasciando inalterata la lucentezza perlacea del pelo naturale. Forse sarebbe possibile trovare un'alternativa altrettanto valida, ma occorrono ricerche e, con un mercato così timido, chi vuole che investa nel cappello? Va anche detto che, a prescindere dalla difficoltà di reperire qualità, questo oggetto ha ormai una sua nicchia ecologica in cui gode di equilibrio stabile. Resterà nelle vetrine almeno per tutto questo secolo, poi si vedrà. Cavallerescamente Giancarlo Maresca CAPPELLI e CAPPELLAI Il suono del cappello Spesso godiamo di privilegi di cui non comprendiamo la portata e che solo il tempo può rivelarci come tali. Allora la memoria, illuminata da una comprensione che arriva molti anni dopo, si mette al lavoro per recuperare fatti ed oggetti sui quali gli occhi erano passati distrattamente e talvolta ricostruisce frammenti dispersi con la pazienza con cui un paleontologo mette insieme le ossa del suo dinosauro. Solo adesso capisco ciò che ho visto e ascoltato quando, ancora bambino, accompagnavo mio padre ad acquistare un cappello. L’occasione non era frequente e sempre inserita in grandi missioni di shopping cui partecipava tutta la famiglia. In Piazza Trieste e Trento c’era una profumeria in cui mia madre faceva tappa fissa, per acquistare la sua crema di Guerlain e l’essenza di Rochas, sempre le stesse. Girato l’angolo e imboccata Via Chiaia, al n. 260 c’era la cappelleria Salvatore Balbi. Negli anni sessanta, quando accadevano questi fatti, si trattava del primo negozio in Italia per vendite di cappelli di alto pregio. Le forze armate americane, presenti a Napoli in gran numero, vi facevano letteralmente incetta dei capolavori prodotti dalle manifatture italiane e in particolare da Borsalino. Prima che quest’azienda fosse rilevata da un gruppo finanziario e delocalizzata, la fabbrica di Alessandria si trovava ancora dove era sorta nel 1856 ed offriva qualcosa come 150 diverse tonalità di colore. I feltri più belli erano contraddistinti da cinque crocette, che il commesso chiamava stelle e ne pronunciava il numero con la voce di chi stesse offrendo un pasticcino. Proprio ora sono andato nel guardaroba a controllare e posso dire che avevo ragione, sono proprio crocette. Ma l’imprecisione che tanto turbava quel ragazzo coi pantaloni corti, già pignolo e pedante, era a fin di bene. L’acquisto di un cappello era un avvenimento ed anche il commerciante, che all’epoca era un professionista e non un sorvegliante, faceva di tutto per sottolinearne la solennità. Uno degli impiegati era un grande specialista, in grado anche di effettuare riparazioni o di “apparecchiare” il cappello con una nuova fascia o fodera, attività che venivano svolte in un deposito-laboratorio situato nell’ammezzato. Ascoltato il cliente quanto alla foggia, al colore e alla taglia richiesta, il commesso prendeva dagli scaffali una o più pile di cappelli. Erano conservati a testa in giù in secchielli di plastica, dove erano sovrapposti e tenuti separati da bande di spugna. Lo stesso si può vedere ancor oggi, nelle poche cappellerie ancora attive. A Londra si usa conservarli in grandi cilindri di cartone, continuamente ambiti da vetrinisti e collezionisti, mentre nelle città italiane i cappelli sono tuttora conservati per lo più nudi, coperti solo da una sottile membrana di cellophane. Per rimuovere l’eventuale polvere, il commesso iniziava il suo spettacolo proprio con la danza della spazzola. Tra gli infiniti tipi che ne esistono, la spazzola per cappelli è tra le più belle, con una forma sinuosa che evoca un capriccio della natura, più che un utensile dell’uomo. Dopo la spazzolatura, che orienta il vello del feltro ancora non addomesticato dall’uso e dona lucentezza e uniformità al colore, le mani del venditore plasmavano con apparente semplicità la forma della cupola. I cappelli di pregio non sono mai stampati e quando vengono riposti la cupola viene distesa ogni volta. Il gesto sapiente del commesso le restituiva la forma alla quale era destinata, quando insellandola con il taglio della mano, quando scavandoci una vaschetta con il tocco delle dita. La rapidità con cui un goffo panettone assumeva le curve di una barca da regata aveva dell’ipnotico. Qualsiasi prestidigitatore avrebbe fatto, al confronto, la figura di uno spastico. Un colpetto alla tesa ed il cappello veniva porto con la cura con cui si porge un bambino. Anche il cappello, infatti, si prende e si inforca con le due mani. Talvolta veniva poggiato sul bancone, lasciandolo cadere da alcuni centimetri. Il gesto, uguale anche in altri negozi, non era casuale. In tal modo si genera una voluttà musicale, patrimonio esclusivo di chi ama e conosce questo oggetto. Ogni cappello ha infatti la sua nota, diversa secondo il peso e la consistenza. Quelli leggeri e morbidi emettono un sommesso flop; quelli rigidi e pesanti fanno udire un secco clap; i semirigidi dal medio peso danno un tunf, mentre i grandi feltri di alto peso e densità emettono un solenne thud, il segno dell’eccellenza. Per capire quanta importanza abbia la sonorità, basti pensare che in inglese la tesa rivolta in basso si chiama snap brim proprio per ricordare il suono che un feltro compatto produce nel ribaltarla. Il peso di un cappello di feltro va dai settanta ai centoquaranta grammi circa, ma in esso si concentrano una sapienza tecnica e stilistica, una tradizione e un significato tra i più alti di tutto il palinsesto maschile. Ogni alta carica sacerdotale o militare ha sempre fatto uso di un copricapo, perché una divisa non può fare a meno della sua dignità e niente distingue gli uomini come può fare un cappello. Esso non solo ripara dal freddo o dal sole, ma, per la sua inevitabile evidenza, dichiara un modo di essere. Lo stesso abito si esprime ben diversamente se abbinato a un feltro morbido e chiaro, a una rigida tesa scura, ovvero cammina sotto una testa nuda. Oggi l’uomo è propenso ad eliminare alcuni segnali di virilità che trova ingombranti, che sembrano deviare dalla corsa in discesa verso una sdrammatizzazione consona allo scopo che sembra coinvolgerci tutti: apparire giovani e disinvolti. Forse per una sorta di understate simbolico, un oggetto che fu di uso comune fino alla scorsa generazione è stato quasi abbandonato. Ma la lingua del cappello è ben lungi dal potersi dire morta e la presenza di prodotti di incredibile nobiltà, come quelli del Cappellificio Cervo, ne è prova sufficiente. Il Castello delle Fate Attraversata dal fiume Cervo, la Valle dei Cappellai prende nome dall’attività che una volta vi impiegava molti operai. La grande quantità d’acqua ha da sempre favorito i vicini lanifici biellesi ed ha reso lo stesso servigio alla lavorazione dei feltri, la cui sete è paragonabile a quella di un’acciaieria. Risalendo una tranquilla strada di montagna, lo stabilimento dell’antico cappellificio Cervo appare all’improvviso come un castello fatato. La costruzione è bellissima, una reliquia di archeologia industriale conservata al massimo dello splendore. All’interno, sembra di trovarsi in una vecchia fabbrica di sigari dell’Avana. Cambiano gli odori, ma i colori e l’atmosfera sono sorprendentemente affini. Utensili, suppellettili, arredi, tutto è in legno o metallo, senza uso di materiali plastici. I macchinari sono sempre gli stessi, alcuni in uso da tempo immemorabile. Assolutamente insostituibili, vengono manutenzionati con cura certosina. La tradizione dei mastri cappellai biellesi, che risale al diciottesimo secolo, qui manifesta il suo splendore senza ricorrere ad alcun artificio, ma esprimendosi attraverso attrezzi semplici. Il fiume attraversa letteralmente l’opificio, fornendo acqua ed energia come al tempo dei nostri nonni. Non esistono al mondo altri cappellifici a ciclo completo ed autonomo, dal pelo al cappello. Tanto basti per capire che questa non è una fabbrica, ma una riserva naturale, un museo, un monumento, un incomparabile tesoro antropologico, una Biblioteca di Alessandria. La produzione è suddivisa in più linee, identificate dai principali marchi detenuti dall’azienda, come Barbisio e Bantam. La prima è più rigorosa, la seconda più disinvolta. Anche se tutto il fattibile sembra essere stato fatto, anche nei cappelli c’è innovazione. Il Cappellificio Cervo ha infatti realizzato feltri leggerissimi e pieghevoli, che possono scivolare in tasca o essere sistemati nella cappelliera dell’aereo, senza il terrore che il trolley del vicino lo schiacci in modo irrecuperabile. Ma l’avventura più difficile e fruttuosa è il recupero di un passato ricco di glorie e meraviglie. Quest’anno, il Cappellificio Cervo è riuscito a riprodurre, in pochissimi esemplari, il feltro di castoro. A parte il fatto che il vello costa oltre mille euro al chilo ed è così difficile da reperire che si può comprare solo in partite piccolissime, ora che non si può più ricorrere a procedimenti al mercurio è stato necessario un lungo studio e infinite prove. Il risultato è il fiore all’occhiello dell’azienda ed un punto di arrivo per qualsiasi appassionato. Il cappello in beaver è compatto come una lamiera eppure leggerissimo, lucente, con sfumature che rendono unico ogni pezzo. Il massimo possibile, per un pugno di fini intenditori. Il feltro per i cappelli di pregio ha origini diverse. Alcuni credono che si tratti di lana ovina, ma non è così. Il pelo più usato è quello di coniglio, ma spesso quello di lepre lo arricchisce e talvolta, per i prodotti più preziosi, giunge a sostituirlo totalmente. Il processo di lavorazione parte proprio dalla cernita del pelo, di coniglio e di lepre. Appena tosato e non tinto, così come giunge dagli allevamenti, viene fatto passare in gallerie ventilate (soffiatrici) per dividere le fibre lunghe dagli scarti inutilizzabili. A questo punto vengono realizzate delle miscele secondo il colore, la qualità, la tipologia del prodotto che dovrà nascere. La fase successiva è la creazione del cono, che avviene in due soli macchinari, che sembrano concepiti dalla fantasia di H.G. Wells. Hanno infatti l’aspetto di una macchina del tempo, ma come avrebbe potuto essere costruita cento anni fa. Dietro un grande sportello a vetri c’è una camera stagna, dove un flusso d’aria fa vorticare il pelo già miscelato. In basso si trova una grossa campana conica, interamente bucherellata, che è in pratica il terminale di una tubazione sotto vuoto forzato. L’apertura improvvisa di una valvola a farfalla, manovrata a pedale, crea un brusco e violento risucchio attraverso centinaia di buchi. I peli, urtando con velocità gli uni sugli altri, si ammassano sulla campana e ne assumono la forma conica. La quantità del pelo immesso è rigorosamente predeterminata secondo le necessità del tipo di cappello che si vuole ottenere. In questa fase il cono è estremamente delicato e bisogna infeltrirlo, perché le fibre si leghino. A questo scopo, si versa acqua caldissima in gran quantità. Se non si generasse in questo modo una prima coesione del vello, il cono non potrebbe nemmeno essere staccato dalla campana. Se ora venisse semplicemente lasciato asciugare, il pelo tornerebbe ancora libero in fiocchi. Perché assuma la giusta consistenza, il cono viene fatto subito passare in una serie di cilindri d’acciaio, tra i quali viene iniettato vapore surriscaldato. In questo modo il pelo infeltrisce, il che vuol dire che le fibre si legano intimamente. Un’ultima stabilizzazione dei legami tra le fibre avviene in una misteriosa macchina a rulli, praticamente unica al mondo. Il semilavorato passa poi nello stiraconi, dove ne viene regolato lo spessore. A questo punto un attimo di pausa: il cappello ha bisogno di riposo per asciugare. Una volta asciutto, viene pesato e tinto in vasche, dalle quali finisce nell’allargatesta. Qui si sgrossa la punta, che inizia ad assumere la forma di una cupola. Successivamente, il lembo inferiore viene passato in un’altra macchina a rulli, che tira fuori la tesa o ala. Dopo questa fase di prima informatura, i cappelli vanno nuovamente asciugati e poi lavorati secondo la finitura desiderata, che può essere a pelo lungo, rasato e vellutato. La misura della testa viene conferita modellando ogni singolo pezzo su cerchi in legno. La tesa viene rifilata e i cappelli sono ormai pronti per essere guarniti. Marocchino, nodino, nastro e fodera sono gli ultimi dettagli in ordine di tempo, ma non di importanza. Nessun particolare può essere trascurato per dare personalità ai diversi modelli, perché i cappelli che partono da Sagliano Micca arrivano solo in mani molto attente. G.M. - Settembre 2005 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3709 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicerie e blazer monopetto a lancia Risp. G. n. 3707 Commenti: Egregio signor Signani, quanto alla prima questione, dovrebbe considerare che un artigiano non abbassa i prezzi perché ha molti ordini, almeno non significativamente come può fare un'industria. Il problema dell'artigiano non è vendere, ma produrre. Gli ordini non gli mancano, almeno non ad un camiciaio. I suoi costi unitari, cioè per singolo prodotto, non diminuiscono però con l'aumentare del volume in quanto ogni volta si ricomincia da zero. Le consiglio quindi di pensare ad una manifattura semiindustriale, che potrebbe essere interessata. Con una buona guida, quale certamente sarà la Sua, un'azienda di questo tipo può realizzare un prodotto molto superiore a quello di un artigiano non altrettanto ben indirizzato, coi dettagli al posto giusto ed il prezzo ragionevole. A Milano, ne potrebbe parlare con il signor Piccolo, di cui troverà i recapiti cercando nelle vecchie Lavagne. Quanto al secondo punto, la giacca con petto singolo a lancia è in auge da almeno un anno e comunque ha una ragguardevole storia. Nella situazione da Lei descritta, con giacca abbastanza chiara e quindi piuttosto appariscente, la vedo una scelta azzardata. Inoltre, il blazer non si adatta molto bene a questa foggia. Se è una giacca che pensa di mettere spesso, desista. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3710 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Ringraziamenti Risp. gesso n. 3708 Commenti: Egregio Gran Maestro, la ringrazio per la squisita nonché musicale risposta fornitami e per avermi permesso di sfatare il mio insipiente preconcetto che i feltri d'epoca fossero superiori in ogni caso a quelli odierni. Nel ringraziarla inoltre d’avermi dato occasione di leggere il suo articolo apparso in Monsieur nel 2005, del quale all'epoca non ero lettore, accumulando a passione invero conoscenza, mi scuso delle mie precedenti considerazioni, queste sì grossolane, sul valore intrinseco e non che attribuivo alla cappelleria odierna la quale a ragion veduta devo necessariamente approfondire e riconsiderare. D’ora innanzi varcherò le soglie dei cappellai rincuorato e meno premunito. Cavallerescamente Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-03-2008 Cod. di rif: 3712 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sabatino Piccolo e giacca di Mahon - Risp. Gesso 3711 Commenti: Egregio signor Signani, quando non trova un dato digitando una parola di testo, provi anche aggiungendo la virgola, che essendo attaccata modifica il lemma e lo nasconde alla ricerca qualora nel Gesso o nell'Appunto non sia presente anche senza di essa. E' il caso di Sabatino Piccolo, di cui comunque Le replico i dati: Via Gentilini, 5 - Milano (dalle parti di Corso S. Gottardo) - Tel: 02-89408559 - Cell: 333-3316374. Quanto ai tessuti, credo che troverà eccellenti qualità anche in Italia, nei campionari di Oltolina, Testa e Sic.Tess., visibili in molte camicerie senza problemi. Per i rigati, sono notevoli le fantasie di Turnbull & Asser, che però nella maggioranza dei casi possiedono un registro squisitamente inglese e come tale non sempre gradito al nostro occhio latino. La giacca di Mahon di cui dice, infine, è certamente parte di un completo e non un blazer. La foto all'Appunto n. 3845 è rovesciata, come si vede da bottoni e taschino, ma sufficiente a rivelare un capo troppo volutamente particolare, se non altro perché ha una sola tasca. In questo non mi sembra proprio esemplare, ma ha una bella linea ideale per fisici longilinei e atletici. Come giacca da abito, purché completata da una tasca anche a sinistra, è più che valida. Come blazer è eccessivamente creativa e rischierebbe, in futuro, di risultare datata. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2008 Cod. di rif: 3715 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Carlo il Vate (tra qualche tempo) - Risp. Gesso n. 3713 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, non ho idea dell'origine delle super-asole, che in verità abbiamo visto anche in qualche sartoria italiana di scuola abruzzese, come nel caso della dinastia Caraceni. La Sua tesi è suggestiva e potrebbe avere un certo fondamento. Considerato il tic dell'estetica inglese, la sua in parte istintiva e in parte compiaciuta tendenza a citare il XIX secolo, il periodo di massimo splendore dell'Impero, potrebbe però anche trattarsi di una tenace persistenza delle asole imponenti delle marsine. Quanto ai voti estetici di Carlo il Chiaro, sono due e possiamo immaginare che egli li abbia così pronuciati: 1) Con l'eccezione delle sete stampate, indosserò solo capi che hanno nascita o tradizione nel Regno Unito. 2) Con l'eccezione delle fogge che rientrano nel primo voto con il petto singolo, indosserò solo giacche e cappotti a doppiopetto. Con tale programma, il Principe si distacca nettamente dall'ecumenismo di un predecessore illustre come il Duca, che indossò pantaloni, scarpe e moglie americani, espadrillas catalane e visitò spesso sartorie e camicerie italiane. Si tratta di voti che hanno effettivamente del religioso e coi loro rigorosi limiti rappresentano un sacri-ficio nel senso che ci ricorda ogni tanto il Consigliere Forni, cioè di sacrum-facere, rendere sacro. Quando l'età grave e nobile della vecchiezza avrà ulteriormente inspessito la sua vena spirituale, Carlo ci mostrerà cose ancora più straordinarie. Allora anche la massa volgare, che oggi lo ignora o lo deride, vedrà. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2008 Cod. di rif: 3718 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Con gli orrori non si scherza - Commento all'Appunto 3873 Commenti: Amatissimo Cavaliere Longo, all’Appunto n. 3873 di questa Porta presentava recentemente un’immagine di Silvio Berlusconi,. Devo farLe presente che il nome con cui ha allegato la foto non risponde ai requisiti di complessità richiesti dall’introduzione, che qui richiamo: IMPORTANTE A) I nomi dei files non dovranno assolutamente contenere spazi o simboli diversi da lettere, numeri, trattino e punto! B) I nomi dei files devono essere tutti diversi. Prima di inserirli, si consiglia quindi di attribuire loro nomi complessi, magari con numeri. L’ha chiamata solo “berlusconi” e così, se in futuro qualcun altro userà questo nome, andrà perduta per sempre. Il sistema, infatti, assimila tutti i file con lo stesso nome a quello più recente. L’oggetto, seppur grottesco, è comunque esemplare e rappresenta un documento che fa parte del patrimonio cavalleresco. Il Suo commento è assolutamente ineccepibile. Quel che vediamo è una villetta bifamiliare costruita con un pettinato finissimo in un attuale color “busta dell’immondizia”, il tutto rigogliosamente stazzonato, come è naturale con questi tessuti senz’anima. Solo i bottoni fanno capire che il progetto originario prevedeva che lì sorgesse una giacca a due petti, né sappiamo se sia stata chiesta la concessione edilizia per i volumi realizzati in difformità. Con un virtuosismo architettonico in stile ipermoderno, la struttura rigida poggia su pilastri flessibili ridotti al minimo, due gambette di pantalone azzimate ed esili come bambù. Non manca anche qui una ricca stazzonatura e qualche decimetro in più, segni di abbondanza. Concordo con la Sua analisi soprattutto nel punto in cui imputa l’eccezionale disgusto provocato dalle recenti performances estetiche del Berlusconi alla servitù del loro linguaggio nei confronti della propaganda. L’utilizzo di dispositivi di cui non si conoscono i meccanismi ed i principi basilari è contaminazione, ma qui essa non appare come un gioco, un rischio o un atto di fede per quanto dubbia. Poiché sono evidenti gli scopi di persuasione occulta, senza alcuna partecipazione personale, lo spettacolo offerto è quello di una corruzione da girone infernale, per cui occorrerebbe non meno della penna di Dante per renderne la misura. Non ho risposto sul Taccuino per non offendere la vista dei nostri ricercatori con altre immagini inquietanti. Peraltro, la nostra opera è costruttiva e non distruttiva. Questa critica non ha di certo sortito alcun esito positivo, anzi rischia di abboccare a quelle esche tese dai bracconieri dell’immaginazione collettiva. Siamo al di là del brutto, nel regno dell’orrore. E con gli orrori è meglio non scherzare. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2008 Cod. di rif: 3719 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quote ed equilibri - Risp Gesso n. 3716 Commenti: Egregio signor Fontana, la tasca disegna una linea posta a circa ventisette centimetri dal fondo della giacca, ma questa misura aurea può cambiare leggermente. Se i bottoni sono tre, difficilmente quello in basso sarà sopra la linea. Se sono due, possono scorrere in alto e in basso con maggiore libertà. La giacca è disegnata dalle pinces, non dai bottoni. Il punto vita non sempre coincide con il bottone-chiave ed anzi spesso, nelle giacche più belle, si trova leggermente più in alto. Nella giacca ad un petto i bottoni non devono mai scendere sotto la linea di tasca, mentre nei doppipetti a sei bottoni che qui chiamiamo ionici, la cosa è lecita, per quanto non sempre riesca bene. Quanto alla vita dei pantaloni, deve farsi un po’ l’occhio. Le allegherò un collage nel taccuino, dove vengono illustrati alcuni esempi della tarda stagione dell’homo elegans, lì dove questa specie raggiunse risultati che richiedono ancora generazioni di studiosi per essere veramente compresi. Sono state scelte per educare lo sguardo alla cifra classica ed ogni cosa vi ha un significato. Guardi a lungo ogni foto, per alcuni giorni di seguito. Non ceda, consideri di essere di fronte ad un paesaggio in cui deve distinguere moltissimi elementi e poi ricordarlo come una sola cosa. Man mano comincerà a capire cosa significhi equilibrio e poi a chiedersi dove esso risieda. Nessuno può spiegarlo, eppure è la chiave. Non è nei centimetri, ma nelle linee, nella convinzione e nel portamento, nel bilanciamento tra cura della persona e dell’abito, nell’armonia cromatica, nel mescolare natura e artificio, ma soprattutto nel capo spalla è sempre nella squisita proporzione dei diversi volumi, che prima richiede la capacità di individuarli. Se immediatamente sentirà che nelle foto cui la rimando questo equilibrio ammirevole esiste in massimo grado ed ha qualcosa di desiderabile, in capo a un anno, forse meno, nel Suo guardaroba assisterà ad una rivoluzione. Per qualche settimana La lascio ad una silenziosa osservazione e assimilazione. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2008 Cod. di rif: 3720 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quando il tempo si farà brutto - Risp. gesso n. 3717 Commenti: Poderoso Cavaliere Villa, mettere l'aceto balsamico sulle fragole, scendere col bottone sotto la tasca... in qual fresco oceano di libertà stiamo galleggiando! Ma quando il vento si farà forte, tutti cercheranno di aggrapparsi ad un legno robusto. Lei che già vi siede da tempo, non lo lasci per compiacere il Suo sarto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-03-2008 Cod. di rif: 3727 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una giacca scompagnata - Risp. Gesso n. 3726 Commenti: Egregio signor Miceli, nel classico non esiste alcuna giacca nera da pomeriggio e Lei stesso ammette di non averne mai visto alcun esempio. Le parole del signor Jack Lemmon, che in materia non ha alcun titolo, non dimostrano nulla. Il capo che ha illustrato nell'Appunto n. 3880 e descritto nel Gesso n. 3726 è la parte superiore di un mezzo tight. Il suo abbinamento con pantaloni blu mi sembra assai debole e richiederà tutta la Sua personalità per essere sostenuto. Diversamente, apparirà evidente il peccato originale di una giacca scompagnata. L'occasione è opportuna per sconsigliare l'introduzione nel Taccuino di foto di scarsa qualità, a meno che si tratti di scatti di particolare interesse. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 31-03-2008 Cod. di rif: 3726 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Giacca nera da pomeriggio Commenti: Egregio Gran Maestro la giacca di cui accludo una foto nel taccuino (3880) è di colore nero (la foto scattata con il telefono cellulare non rende la cromia) il cui tessuto operato, presenta un rigatino di 3 mm. c.a realizzato da diversa tessitura; il peso del tessuto è credo poco oltre 300 gr., non propriamente mezza stagione ma neanche invernale. La giacca è a tre bottoni stirata a due, priva di impunture, senza spacchi posteriori e le tasche non hanno pattina. Una volta indossata le punte dei revers s’accostano e si rialzano un po’ sebbene allacciato il bottone alto, scendono proprio come nella foto. Le asole ai polsi e all’occhiello sono finte, vale a dire ricamate sul solo tessuto superiore. Come avrà certo notato i tre bottoni ai polsi sono spaziati solennemente. Per quanto riguarda il punto vita l’effetto ricorda un poco quello visibile attualmente sul sito http://www.henrypoole.com/bespoke_tailoring/bespoke_suits.cns tant’è che credo che le tele interne siano quello che ho sentito denominare “crine di cavallo”, l’imbottitura delle spalle non è massiccia ma neanche napoletana, il giro manica è troppo ampio per i miei gusti, mentre l’ampiezza della spalla è appena oltre quella naturale quel poco che basta a bilanciare. Le chiedo pertanto è possibile un utilizzo di tale capo in spezzato? Avrei intenzione di abbinarci un pantalone in gabardine (cos’altro altrimenti?) blu-midnight doppia pince, tasca dritta a filo, alto in vita, con risvolto, da indossare con francesina nera liscia, camicia bianca, cravatta blu, poi nel caso di temperature più fresche il tutto corredato di soprabito in gabardine doppio petto blu oppure antracite un petto o doppio e volendo con foulard (fascia-collo) in seta o seta-lana, per una serata di prosa, un concerto, vernissage e occasioni simili. Insomma blu, nero e bianco. Nel caso è possibile abbinare anche una pochette? Le foto di Mariano Rubinacci (vedasi taccuino 3868) lo prevedono con lo spezzato ma si tratta di tutt’altra giacca e di altri tessuti e abbinamenti. Ho già posseduto una giacca nera di confezione Gival, appena più pesante che abbinavo a pantaloni blu di gabardine la sera o la domenica pomeriggio, era a tre bottoni classici, con tessuto ben più operato e scattante, vibrato, le due tasche erano applicate, ampli revers non a lancia, cran più alto, ampiezza spalle naturale, taschino classico, niente spacchi posteriori. È quest’ultima una giacca nera da pomeriggio? Quale delle due di grazia o nessuna delle due? Cavallereschi saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-03-2008 Cod. di rif: 3728 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colli e polsi - Risp. Gessi nn. 3722/23 Commenti: Egregio signor Signani, se digiterà la parola “camicie” come parola del titolo nel sistema di ricerca del taccuino, troverà illustrazioni ed Appunti che La accompagneranno in un viaggio incompleto, ma abbastanza interessante, nelle varie tipologie di colli. Legga anche un mio vecchio articolo in materia, secondo della serie Vestirsi Uomo integralmente pubblicata nel Florilegio. Il polsino slacciato è un ritrovato post-classico e va vissuto come tale. Nulla da eccepire sulla sensazione di libertà che oggi si ricava da questi dettagli ed ai miei tempi, quando si poteva circolare senza casco, da una passeggiata in motocicletta. Trovo che però talvolta, in posizione eretta, i polsi slacciati di una manica di lunghezza generosa tendano a scendere sulla mano ed a coprirla come un tubo in PVC, con un effetto colonna-fecale poco raccomandabile. Mi sembra che Lei stabilisca delle differenze tra il formale e l’informale su un livello emotivo, come dimostrerebbero le qualifiche di “rilassate” e “vive” con cui descrive le situazioni informali. Se parte da tali presupposti potrebbe trovare difficilmente comprensibile la totale confidenza col formalismo che potrebbe trovare qui, dove si coltiva un’ideale diametralmente opposto a quello dell’uomo delle palestre. Quest’ultimo tende ad essere eguale fuori e diverso dentro. L’homo elegans invece, con una sensibilità che sa bene essere desueta, non intende escogitare un doppio registro, quanto distinguere le situazioni ed essere in tutte lo stesso, cioè se stesso, come comportamento, sebbene ogni volta adeguato e quindi diverso esternamente. Terribile, proprio perché udita cento volte, la sentenza della Sua camiciaia. Non cerchi mai il consenso degli artigiani, che il più delle volte devono essere guidati con polso ferreo. Non stupisce che nell’epoca della gioventù obbligatoria la perfezione, che è un’aspirazione giovanile, trovi tanti sostenitori. Il Suo programma, che individua due diverse soluzioni, mi sembra un ottimo punto di partenza per la costituzione di uno stile personale. Guardando comunque immagini dei fuoriclasse del passato, vedrà colli privi della precisione delle tele adesive fare ottime figure anche nelle situazioni dove il dress-code è di massimo impegno. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2008 Cod. di rif: 3733 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Homo Elegans e metodo cavalleresco - Risp. gesso n. 3731 Commenti: Egregio signor Signani, ciò che non emerge dai singoli può essere rinvenuto dalla ricerca comune e non dal confronto, che genera conflitto o compromesso e quindi nessun risultato trasferibile. Sarebbe alquanto interessante ascoltare qualcuna di quelle “cose migliori” venute fuori dal confronto. Temo però che ci vorrebbero due anni di tempo e basterebbero di contro cinque minuti per trovarne una più profonda, espressa contro o senza il parere altrui. Questo è un laboratorio di ricerca, attività che richiede un metodo. Dichiarare il proprio disaccordo con gli altri è un’abitudine estranea al metodo cavalleresco e se al castello ne troverà rarissime tracce non è certo perché tutti siano d’accordo con tutti o con me, che in qualche modo ne traccio le linee di fondo. Credo sia opportuno proporre un esempio che le chiarirà meglio come agisce nella pratica il metodo di cui parliamo ed i cui meriti può vedere nell’altezza e profondità raggiunte dall’opera cavalleresca, di cui so che è sincero ammiratore. Diciamo che sono quasi certo che Lei non abbia compreso cosa si intende qui per homo elegans, non riuscendomi a spiegare altrimenti il passo in cui lo cita. Secondo il metodo del confronto, dovrei dire esattamente quello che ho detto ed in tal modo agganciare la mia risposta alla Sua in uno scambio che resterebbe sempre e solo tra due persone. Per ottenere materiale interessante ed utile ad altri, è invece indispensabile evitare questi legami che sono tra persone e non tra idee. Cancello quindi idealmente tutto ciò che Le ho detto, tanto si tratta di gesso, e ricomincio da capo. Ciò che ho detto sin qui lo rimuova, ciò che non dirò da qui in poi è sottinteso o si chiarirà in seguito. Egregio signor Signani, la locuzione “homo elegans” ha qui un’accezione ben precisa, che fa parte del patrimonio specifico di quello che potremmo definire il nostro laboratorio. Spinto dalla necessità di chiarire l’origine e la meccanica dei radicali cambiamenti che trovano nell’estetica uno dei segnali più evidenti, ma non possono essere ridotti ad essa, la ricerca cavalleresca ha individuato l’alternarsi di due civiltà. Naturalmente ce ne sono e ce ne saranno altre, ma quelle che si sono scontrate e succedute negli anni più recenti sono quelle appunto dell’homo elegans e dell’homo gymnicus, o delle palestre. Per “homo elegans” non intendiamo dunque “l’uomo elegante”, ma un’intera cultura, se non una vera e propria razza, che dava per scontato ed eterno un sistema di valori all’apice del quale si trovava l’eleganza, cioè l’armonia silenziosa. Il tempo ha rivelato che quei valori non erano affatto eterni e gli errori dell’homo elegans condussero ad una rivoluzione che si concluse con la fine della sua supremazia. Venendo meno il dominio dell’elegans, tramontò anche il linguaggio estetico che egli aveva distillato e che, guardandone le vette, rappresenta il capolavoro immortale che ha lasciato alle generazioni e civiltà future. Questo linguaggio è quello che qui chiamiamo “il classico”. Tracciato questo confine, tutto è apparso più chiaro. Il classico si è rivelato morto, seppure anche questa teoria della morte del classico necessiti di qualche spiegazione. Le analisi, forse ancora da perfezionare, fanno risalire il decesso al 1981, in corrispondenza dell’ascesa al potere di Reagan e degli stilisti. La parabola del classico coincide con quella del suo creatore, l’homo elegans, che si era già evoluto da tempo tra Scozia e Inghilterra ed aveva assunto il predominio intorno al 1890. Si trattò della civiltà che credette, agì, o credette di agire, secondo un principio di armonia tra valore e valori, prezzo e qualità, estetica ed etica, natura ed artificio, nutrendo delle aspirazioni trascendenti anche nel pensiero laico. Tra gli ideali che gli apparvero immutabili e che la storia ha dimostrato non essere tali, il più caratteristico, anche se non il più elevato, fu quello dell’eleganza, condiviso da uomini e donne di ogni ceto ed età. Fu proprio la cancellazione delle differenze di sesso ed età, con l’apparire della nuova razza androgina ed eternamente giovane, la causa o almeno la prova della caduta di questo impero. Una lingua non muore perché non viene più usata, altrimenti il greco risorgerebbe ad ogni compito in classe e il latino ad ogni santa messa, ma quando si esauriscono i meccanismi naturali di rigenerazione e trasmissione. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2008 Cod. di rif: 3735 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le sponde Commenti: Tutto bene, signor Signani, sono proprio le palle più raffinate che, prima di andare a punti, toccano le sponde. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 03-04-2008 Cod. di rif: 3738 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Scuse e ringraziamenti Commenti: Egregio Gran Maestro, innanzitutto mi scuso per l'inserimento della foto di scarso interesse e qualità (taccuino 3880), nonché per il ritardo con cui La ringrazio della delucidazione ad essa relativa; il mio era infatti un tentativo, forse peregrino, di trovare un uso altro del mezzo tight in quanto mi piace pensare che nell’abbigliamento si possa usare il classico in modo eterodosso inaugurando un classicismo del vestire e non limitarsi a mantenere per così dire il ritorno dell’antico. Lo sviluppo, l’estensione e la re-invenzione del classico nell’abbigliamento possono divenire persuasione, immaginazione, stile. Senza conoscere le regole del linguaggio dell’abbigliamento mi rendo ben conto del rischio di scimmiottare il classico come accade a molti, stilisti e non, perciò La ringrazio dei Suoi preziosi avvertimenti. Cavallereschi saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-04-2008 Cod. di rif: 3742 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Visioni inconciliabili - risp. gesso n. 3738 Commenti: Egregio signor Miceli, così come lo definisce, cioè un ritorno dell’antico, il classico sarebbe una noia, una banalità, un’operazione di chirurgia estetica mirata al consenso e non un sentimento. Noi crediamo esattamente l’opposto e poiché per credere qui non si intende un’opinione, ma un’ideale, ritengo opportuno che Lei trovi altri luoghi per esprimere il Suo. Aver proposto un mezzo tight sperando che venisse sdoganato come “giacca nera da pomeriggio” è già da solo un espediente grottesco, che fa pensare che Lei pensi che la nostra conoscenza sia una balla e tutto questo lavoro un’improvvisazione in cui sia facile fare breccia. Le scuse non erano necessarie e inoltre risultano azzerate dalle Sue valutazioni. Se non avesse pensato a giustificarsi, tutto sarebbe passato sotto silenzio. Poiché ha dichiarato qual è la Sua posizione, re-inventi come e quanto Le pare, l’Ordine si è già pronunciato abbastanza e rappresenta ben altra fede. Poiché riteniamo che il classico sia morto come muore un linguaggio, non è più possibile alcuno sviluppo od estensione. Si studia, si sceglie e si usa in modo personale come è sempre stato, ma non vi si può aggiungere altro né trovare forme nuove e dichiararle classiche. L’uso decontestualizzato e senza una conoscenza della struttura semantica lo consideriamo contaminazione, distruttiva e non costruttiva. Quanto allo stile, persuasione ed immaginazione, l’architettura tradizionale ne offre tante e tali possibilità che cercarne altre è come voler trovare un piatto migliore della lasagna o della pizza, proprio nel momento in cui queste basi universali sono mal-intese. Lasciamo a Lei ed agli altri inseguitori della fonte dell’eterna giovinezza queste illusioni, tenendo ben care le nostre. Non è escluso che col tempo giunga alle stesse conclusioni ed è allora che troverà e comprenderà il significato di quest’opera e di questa risposta. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-04-2008 Cod. di rif: 3747 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Metodo cavalleresco e politica Commenti: Egregi Visitatori, col Titolo Sesto dello Statuto, l'Ordine annovera tra i pochi doveri dei suoi membri: "Di non svolgere attività di propaganda politica o religiosa nei confronti degli associati, né assumere atteggiamenti politicamente o religiosamente schierati all’interno dell’Associazione La norma non proviene dalla paura di definirsi, ma dal danno metodologico che deriverebbe dall'introduzione di posizioni politiche. Il Cavalleresco Ordine, proprio perché schierato filosoficamente, considera indispensabile mantenere una posizione di equilibrio che metta in risalto il puro pensiero, la pura ricerca, la pura azione. Le manifestazioni ideologiche comportano dibattiti, che abbiamo recentemente qualificato come estranei al metodo cavalleresco. Le scelte politiche, inoltre, conducono alla formazione di pacchetti di pareri scontati, a gerarchie preconfezionate, rigidezze queste che agiscono in senso contrario ai nostri scopi. Anche chi non è Socio del nostro Sodalizio, intervenendo in questa che ne è comunque la sede ideale deve adeguarsi a questo comportamento. Per essere tale, la ricerca non deve sapere in anticipo cosa troverà. Noi non credevamo, ad esempio, di imbatterci nelle profondità ricche di preziosi valori che incontrammo nell'analisi del Vestito Buono. Noi crediamo che la libertà sia innanzitutto un fenomeno interno al singolo e pertanto guardiamo con sospetto ai liberatori che vogliano fornire formule valide per tutti. L'argomento, da sempre sottinteso, viene portato alla luce in quanto alcuni Appunti recentemente apparsi nel Taccuino lo utilizzano come una tribuna dalla quale lanciare incitamenti a schierarsi su determinate posizioni. E' ovvio che i Guardiani delle Nove Porte si identificano con l'homo elegans, ma giammai lanceranno o favoriranno appelli a pensare o vestire come lui. Ciò non vuol dire che noi non si veda la guerra in atto, né si identifichino dei nemici, quanto che il modo di combattere che abbiamo scelto - una volta e per sempre - è quello dell'esempio, dell'approfondimento, della trasmissione del sapere e non della semplice struttura del sapere. I testi non rispondenti a questi principi verranno rimossi. Richiamo inoltre l'attenzione sul fatto che il sistema del Taccuino è creato e destinato a commenti di immagini. Quello che esso va creando è un archivio di immagini commentate, non un epistolario. Talvolta una risposta riprende in esame un'immagine ed in tal caso il dialogo è naturale che resti sul taccuino. L' espressione di considerazioni svincolate da foto o disegni, come anche la risposta a quelle altrui, può e deve trovare posto nella Lavagna, che è strumento anche di conversazione. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-04-2008 Cod. di rif: 3750 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Altezza della tasca in una giacca - Risp. gesso n. 3744 Commenti: Egregio signor Cladel, la Sua domanda giunge opportuna in quanto mi consente di correggere un'errore recentemente commesso. Nel Gesso n. 3719, infatti, commentando questo stesso argomento dichiaravo come altezza chiave della tasca i ventisette centimetri. In effetti questa quota è splendida se raggiunta armoniosamente, ma non è la norma ed anzi è da considerare un massimo che presenta anche qualche scomodità di accesso per chi usi molto le tasche. Diciamo che in una giacca di taglia media, con un dietro di 77 cm, la tasca si trova a 25 cm. Così si esprimeva Valentino Ricci in un Gesso che la cancelleria ha dovuto rimuovere in quanto in quel momento la Sua domanda non era corredata dei dati necessari perché potesse essere presa in considerazione. Allungandosi la giacca, l'altezza della tasca si alza in proporzione, con un rapporto di circa un centimetro a tre. Naturalmente, certi clienti possono richiedere effetti diversi ed alzare la tasca o abbassarla, ma mai sotto i 24 cm, che rappresentano un limite inferiore più o meno come i 27 rappresentano quello superiore. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-04-2008 Cod. di rif: 3759 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora una questione di metodo - Risp. Gesso n. 3756 Commenti: Egregio signor Cadel, i molteplici pareri che riporta mettono la questione sul piano del dibattito, cioè del conferimento contestuale di pareri. Poiché non è un Visitatore abituale, devo farLe rilevare che questo modo di procedere non ci interessa. Nel metodo cavalleresco le idee si formano nell'individuo e non nelle assemblee. Il contributo dei singoli ricercatori è nell'espressione di un risultato, di una conclusione, di una domanda, di un'opinione, non nel mettere in discussione gli altri. Lei ha posto un quesito ed ha ricevuto una risposta, chiara e circostanziata. Elabori il Suo personale parere in merito e quando è completo e convinto lo esprima pure, senza relativismi. In merito ad un problema preciso qui si sono dichiarate misure precise, mentre altrove sentiamo enunciare criteri astratti come “più alto” o “più basso”. Raccontare che ha posto la stessa domanda a destra e a manca, per poi rispondersi da solo, non è molto incoraggiante. La ringrazio per aver voluto tenere in considerazione anche ciò che Le ho detto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 15-04-2008 Cod. di rif: 3765 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Berluti - risp Gesso n. 3762 Commenti: Egregio signor Corbey, il Cavalleresco Ordine studia, pratica e difende l'immaginazione maschile classica. Le ricerche condotte negli ultimi decenni ed i cui risultati sono ultimamente riportati spesso nelle aree interattive del castello, sembrano dimostrare che il classico, il sentimento estetico su cui Lei fonda la Sua convinta perorazione, è stata l'opera ancora in gran parte incompresa dell´homo elegans, la cultura o razza in cui ci riconosciamo. Detto questo, la posizione mia personale e dell'ordine è già stata recentemente espressa in una conversazione nella posta del Gran Maestro. Dopo un'analisi del percorso stilistico della casa, così scrivevo al signor Adorni in merito a Berluti: " ... E´ ovvio che siamo fuori dalle corde dell´homo elegans, in una regione estremamente rarefatta della sensibilità del gymnicus. E´ il luogo della sofisticazione, di quella specie labile di bellezza che sul momento appare un´esperienza qualificante e non si preoccupa del futuro. Secondo la teoria della morte del classico, non potrà divenire un nuovo classico, ma si propone come quel "classico altro" che l´homo gymnicus aspira a creare. Per ora, l´unico che sembra aver avuto la stoffa di creare delle alternative che si distendano su basi allargate e durature, quindi che facciano trapelare una matrice classica è proprio Olga Berluti. L´affermazione universale della scarpa-pittura ne è testimone. Pertanto la sua opera va guardata con attenzione anche da parte di chi non la condivide". Questa conclusione si attaglia anche alle Sue argomentazioni. Non troverà discussioni su Berluti introdotte da Cavalieri, ma l'argomento è stato più volte proposto dall'esterno ed allora è doveroso sviscerarlo, con profondità ed equilibrio. Non c'è nulla da rivedere, se non forse l'idea che Lei si è fatto della nostra idea. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-04-2008 Cod. di rif: 3769 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Restiamo in tema - commento al gesso n. 3768 Commenti: Egregio signor Nappi, la Lavagna è destinata ai commenti sull'abbigliamento, materia già abbastanza vasta da farci rientrare tutto, dalla società alla filosofia. Parlando delle persone si stimolano discussioni su altri temi, o comunque climi competitivi che non si addicono ad un luogo di ricerca. In conclusione, i Suoi pareri sul vestire ci interessano, quelli su altri commenti o commentatori molto meno. Certo son tempi in cui si applaude ai funerali e si celebrano minuti di silenzio allo stadio, ma in questo specifico luogo siamo fuori dalla sagra popolare dei sentimenti, la cui esposizione diretta ha quasi sempre qualcosa di osceno. Cavallerescamente giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-04-2008 Cod. di rif: 3772 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Accessori da dinner jacket - Risp. al Gesso n. 3771 Commenti: Egregio signor Amateis, l'immagine dell'Appunto da Lei citato è notevole per la scelta dei materiali e dei colori, ma la foggia della fascia non presenta interesse. Già il triste abbinamento col papillon fa capire che l'impianto è deboluccio, basato su ricette che possano essere replicate da chiunque e senza alcuna specifica preparazione. Una fascia è una fascia, un gilet un gilet. Immagini qual maggior forza assumerebbe quella fantasiosa giacca se abbinata ad accessori più rigorosi. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-04-2008 Cod. di rif: 3777 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Archetipo anche nell'accappatoio - Risp. gesso n. 3775 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, credo che le generose dimensioni del ricamo sull'accappatoio siano giustificate dall'esempio frequentissimo e gradevole degli alberghi. L'importanza di questo archetipo sulla nostra immaginazione spinge a pensare che due lettere in corsivo, sebbene alte, siano ancora una via di mezzo. Per ottenere un effetto pienamente soddisfacente dovrà collegare le lettere in un monogramma, magari in oro, che evochi un Grand Hotel in riviera. Chi dovesse vederlo deve credere in un primo momento che si tratti di un accappatoio del Carlton e solo in un secondo momento, distinguendo le Sue iniziali, capire il trucco. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-05-2008 Cod. di rif: 3784 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'isola del lino - Risp. Gesso n. 3783 Commenti: Egregio signor Corbey, quanto al luogo, va premesso che sposi delle più importanti famiglie di Francia ed Inghilterra ricevono gli ospiti in morning coat in piena campagna e quindi, mutatis mutandis, anche un'isola mediterranea potrebbe ospitare degnamente delle code, purché con abbinamenti un po' fantasiosi. Ho visto delle foto private in cui Mariano Rubinacci, ad una cerimonia primaverile tutta all'esterno, indossava un leggero tight grigio medio e pantaloni Principe di Galles molto chiari. Ho partecipato personalmente ad una cerimonia dello stesso tipo, in un caldo ed italico autunno, vedendo alcuni morning coat di mohair blu molto freschi e divertenti, uno in tre pezzi dello stesso tessuto e due con abbinamenti a contrasto. Il tutto era di certo cucito a Londra, che in materia di cerimonia distacca l'Italia di tre lunghezze. Tutto ciò va comunque bene per chi si rivolge ad un circuito internazionale. Volendo restare nel solco della tradizione italiana, che non è mai riuscita a pensare e realizzare code psicologicamente leggere, per rilassare il tono occorre dimenticare il morning coat. La scelta del lino è però un po' troppo degagé per un matrimonio, dove questo materiale si usa solo per i gilet. Lo sposo risulterà underdressed rispetto agli invitati e testimoni, che in buon numero indosseranno pettinati fini molto più "tirati". E se così non fosse, vuol dire che praticamnete si tratta di un pic nic. A questo punto è come sposarsi in mongolfiera o sott'acqua. E' una situazione in cui la tradizione specifica della cerimonia non c'entra per nulla e quindi la scelta tra due e tre bottoni, risvolti o meno, non deve minimamente preoccupare il Suo amico. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-05-2008 Cod. di rif: 3787 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il finocchietto nella lasagna - Risp. Gesso n. 3785 Commenti: Egregio signor Corbey, dal suo ultimo intervento sappiamo che l’evento non si celebrerà su un'isola, ma su una spiaggia. A questo punto non v'è dubbio che un matrimonio in code sarebbe fuori luogo. E' inoltre senz'altro vero ciò che lei dice e cioè che queste fogge di ascendenza inglese hanno un ottimo rapporto con la campagna e molta difficoltà ad ambientarsi negli scenari luminosi dei nostri mari. Mi rendo conto che l’invito ad indossare un morning coat su queste coste punteggiate di case bianche ed ulivi e non di pietra ed erica è arduo, se non incongruo. La possibilità che proponevo era un’immagine astratta, anche se Lei stesso ci dice di aver partecipato a ricevimenti in spiaggia con questo aulico dress code. Dalle flanelle al lino vi è comunque una distanza abissale. Quest’ultimo non ha diritto di cittadinanza nella cerimonia e se veramente si deciderà per il rispetto dell'etichetta non salirà sull'altare. Man mano si delinea il vero scopo, che è quello di uno sposalizio alternativo, al che non capisco perché proporre domande in un luogo dove si studia la tradizione. Se contasse solo la situazione fisica e non quella sociale, potremmo dire che sulla sabbia le scarpe sono fastidiose e sarebbe opportuno usare dei sandali aperti. A questo punto, un bermuda ed una maglietta a nido d’ape completerebbero perfettamente l’insieme. Il fatto è che l’etichetta va contenuta nei limiti del buon senso, non subordinata alla praticità. In ogni caso, non bisogna dimenticare che lo sposo conta molto meno della torta e non deve cercare di farsi notare, a meno che non sia un regnante e come tale abbia obblighi di figurare coi sudditi. Il matrimonio è celebrazione della sposa ed un tranquillo tre bottoni in pettinato fine blu sarà perfetto per farla risaltare nelle foto. Se poi essa vestisse in jersey di cotone, non vedo perché proporre queste domande in questo luogo. Qui ci interessiamo al classico e dobbiamo rispettare i suoi limiti, altrimenti saremmo anche noi dei tuttologi con una risposta sempre pronta per ogni cosa. Devo quindi ribadire che in questo programma balneare la questione di bottoni e risvolti è fuori dalla nostra giurisdizione, perché riferita al lino semplicemente non esiste. Ciascuno faccia come vuole, ma se decide di mettere il finocchietto nella lasagna, non chieda ad un bolognese quanto ce ne vuole. Cavallereschi auguri alla coppia che va a compiere un gran passo, comunque si vesta. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-05-2008 Cod. di rif: 3792 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lini e maestri - Risp. Gesso n. 3788 Commenti: Egregio signor Corbey, un Maestro è tale nell’ambito di una specifica materia, della quale è ritenuto in grado di trasmettere significati e contenuti. Esperti, conoscitori e studiosi sono figure che possono esimersi da una traditio, che è invece l’essenza stessa della condizione di Maestro. Una comunità lo riconosce per la sua opera, non per il suo sapere. Per le manifestazioni sistematiche della conoscenza, non per il suo accumulo. Per questo egli deve parlare ex cathedra ogni volta che si affrontano questioni di metodo o punti portanti dell’architettura di cui si ritiene che egli possieda le chiavi. L’equivalenza di opinioni ed opinionisti, cioè il relativismo, non riguarda né il Maestro, né il circuito in cui amministra il suo magistero. La presenza di un Maestro è possibile solo laddove vi sia un metodo e delle regole, cui egli è soggetto più di chiunque altro onde meritare affidamento e rispetto. Queste infatti non sono mai posizioni acquisite o predicati di una carca, ma si guadagnano ogni giorno. Lei che non crede ai Maestri vede questa struttura di pensiero come dogmatismo. Molto bene. Dei Maestri deve infatti sapere almeno un’altra cosa: non cercano mai di far cambiare idea. Venendo alla vexata quaestio, il lino non regge una cerimonia nuziale. Badi bene, da me non potrà aspettarsi espressioni del tipo: “Io ritengo che il lino non regge una cerimonia nuziale”. Come vede, è proprio il relativismo che introduce ad ogni frase il pronome io, che induce una sovraesposizione dell’ego che un Maestro deve mettere a tacere perché il discorso resti su un piano assoluto. La cerimonia è per definizione una solennità ed il lino, pur ricchissimo di sfumature espressive, non possiede questa specifica nota. Si tratta di uno di quei nodi su cui non è possibile transigere, perché altrimenti avremmo una confusione dei materiali. Tutti sarebbero utilizzabili per qualsiasi cosa, il che è contrario al pensiero cavalleresco, fondato sulla convinzione che vestire sia un linguaggio e come tale abbia dei lemmi la cui etimologia e significato occorre saper leggere, il che significa conoscere, il che significa amare, il che significa rispettare. Sembra che ora ponga la questione in modo diverso. Se parlassimo veramente di un matrimonio metropolitano, in linea di principio sarebbe consigliabile un doppiopetto ovvero un tre pezzi a tre bottoni, comunque senza risvolto, né spacchi o pattine. La storia ha ampliato questo paradigma originario, rendendo ammissibili questi tre dettagli qualora non ci si senta a proprio agio nell’ambito di un formalismo rigoroso. Anche il gilet è facoltativo. Poiché sappiamo di non essere in un ambiente metropolitano, il discorso cambia. In questo specifico momento, un due bottoni con giacca e pantaloni dalla vita alta, con un bavero ben disegnato, risolverà benissimo le necessità estroverse di chi sceglie un luogo non convenzionale. Anche il colore potrà essere sintonizzato con l’esterno. Accantonato il grigio, la luminosità dell’isola potrà trovare riscontro in un punto di blu non cupo, che restituisca almeno qualche riflesso del cielo che si è chiamato a testimone. Cavallereschi saluti Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-05-2008 Cod. di rif: 3794 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatta come cintura - Risp. Gesso n. 3786 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, l'idea di sostenere i pantaloni con una cravatta poteva nascere solo quando questa era leggera di struttura e misurava 133-135 cm, che dedotto il nodo ed un po' di dormiente corrispondono esattamente ai 110-115 cm di una cintura di taglia maschile media. Oggi la cravatta in uso presso l'utente medio è lunga almeno 148 cm, è alta come un panettone, rigida come un copertone e presenta interni che la rendono pesante come una "scella" di baccalà. Si possono usare cravatte vintage, ma l'uso come cintura non risulta affatto naturale come quando si era affacciato, senza comunque mai imporsi su larga scala. Perdendo naturalezza, questa scelta perde di leggerezza e quindi di significato. La risposta è quindi quella che si è già dato: ammirare e basta. Resta invece praticabile, ancorché a rischio di eccesso di leziosità, l'uso di un foulard o altri articoli equivalenti per consistenza e lunghezza. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-05-2008 Cod. di rif: 3806 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: All'amore si perdona, alla fretta no - Risp. Gesso n. 3804 Commenti: Egregio cavaliere Villa, una giacca appare dura e ferma per due principali motivi. Il primo è nel fatto che non “gira”, cioè non ruota verso dietro con naturalezza, disperdendo il peso. La gran parte delle giacche “legnose” è tale perché i quarti anteriori sono “impiccati” alle spalle. In questa tipologia, anche l’apertura in basso è ottenuta più con le forbici che con la lavorazione, il che si nota dal fatto che i quadri o le righe rientrano notevolmente, perdendo parecchi elementi, mentre in una giacca di bella sartoria le disegnature corrono parallele al bordo per quasi tutto il davanti, sfumando appena in basso di pochi centimetri. Un secondo motivo è nelle imbottiture che irrigidiscono e tendono spalle e petto, per ottenere una superficie liscia quanto inespressiva. Nella grande tradizione napoletana, oramai in possesso dei pochi maestri custodi della massima leggerezza e vestibilità possibile, anche le tele si orientano sin dall’inizio leggermente sul traverso, in modo da predisporle alla rotazione dei quarti e rispondere con un drappeggio più facile. In ogni caso, nel mio poliedrico guardaroba ho annoverato alcune giacche legnose che ho amato quanto quelle più belle, perché magari possedevano un giro meraviglioso, una manica perfetta. Un amante della sartoria sente la quantità di lavoro senza guardare, solo infilando il primo braccio e sentendo che viene afferrato ed accompagnato sino all’uscita. Ci cono molte cose, forse troppe che non perdono, ma tra queste non figurano i difetti di una giacca fatta comunque con amore. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-06-2008 Cod. di rif: 3815 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lo spirito delle sette pieghe - Risp. gesso n. 3809 Commenti: Egregio signor Lamanna, prima di giudicarne l’offerta, è indispensabile comprendere lo spirito della cravatta sette pieghe, in modo da poter valutare, a parte la qualità dei materiali, della foggia e del disegno, la sua maggiore o minore presenza nel prodotto. Ripiegare il tessuto su se stesso è stato certamente il primo sistema col quale si è data al tessuto la consistenza necessaria a farne una cravatta. Usare uno square intero è molto costoso, in quanto richiede molto materiale che peraltro resta in buona parte nascosto. Rende poi impossibile determinare a piacimento la forma e il peso della gamba, infine limita la lunghezza. Questo procedimento, per quanto intuitivo e affascinante, presenta troppi difetti ed è stato totalmente abbandonato. La cravatta moderna è ripiegata solo ai lati, più un’altra volta per generare un lembo di guarnizione. Il suo segreto è nella giuntura, che una volta avveniva in più modi e poi si è standardizzata in due cuciture con angoli alternati a 45 gradi, che razionalizzano l’uso di stoffa e consentono di gestire con una certa libertà la lunghezza. Sul restro, la cravatta può essere incappucciata, foderata o sfoderata. Nel primo caso, si usa la stessa stoffa dentro e fuori. Nel secondo, viene applicato un triangolo di fodera. L’ultima soluzione prevede un orlo a mano del bordo e il dorso del tessuto resta visibile. E’ bene sapere che anche la sette pieghe, per rispondere alle esigenze di lunghezza del moderno abbigliamento con vita più bassa e senza gilet, non può che essere giuntata. A questo punto si comprende come le proprietà della tre pieghe siano proprio centrate intorno alla sua capacità di esprimere uno stile ed un peso indipendenti dal tessuto. La filosofia spontanea della sette pieghe tende invece ad una valorizzazione estrema della materia. Questo spirito è stato tradito, anche se la mancanza di una cultura classica impedisce al mercato di rendersene conto. Vediamo cosa è accaduto, ma l’avverto che per un amante della sette pieghe come Lei si tratterà di una lettura amara. 1 - Innanzitutto la gran parte delle sette pieghe in commercio, in realtà di pieghe ne ha sei, per motivi di simmetria. 2 – Il lembo incappucciato, praticamente onnipresente su questa tipologia, impedisce di vedere il retro del tessuto, quindi di giudicarne tutte le qualità. Ciò non risponde al principio essenziale della sette pieghe. 3 – L’attuale amore per cravatte molto consistenti pesantissime per materiale ed imbottitura produce un peso eccessivo, lontano dalla scioltezza che questo prodotto vorrebbe conservare. 4 – Qualsiasi cravatta di alta qualità dovrebbe avere il travetto alto, almeno intorno ai 15 centimetri. Non è raro vedere cravatte che avendo sette pieghe sono alquanto pretenziose e poi sul retro sono chiuse molto in basso 5 - Tutte le sette pieghe, con l’eccezione che vedremo, sono ripiegate sei, sette o più volte su se stesse solo sino a un paio di centimetri dal travetto, cosa che chiunque può constatare tastando la cravatta. Anche questo trucco è contrario, utile a risparmiare lavorio e tessuto, è contrario alla natura della vera sette pieghe, che dovrebbe essere tale per tutta la gamba. 6 – La sette pieghe nasce con i primi tessuti da cravatteria, tutti tinti in filo. Una volta modernizzata con la giuntura, dovrebbe esserlo anche nei materiali e pertanto accogliere gli stampati. Non è un mistero che quasi tutte le case producono invece sette pieghe solo con sete tinte in filo, il cui peso superiore va in quella direzione di estrema consistenza che premia il corrotto gusto contemporaneo, ignaro della storia della cravatta e della complessità del suo linguaggio. Attualmente, a quanto ne so, in tutto il mondo solo Mariano Rubinacci produce una sette pieghe che già di serie è autenticamente rispettosa dello spirito di questa cravatta. Non usa solo tinti in filo, anzi nella sette pieghe lavora di preferenza saglie stampate o addirittura morbidi twill e vaporosi foulard. Poiché tutte le sue cravatte sono orlate a mano, il retro lascia sempre vedere la seta. L’imbottitura, caso unico, è totalmente ASSENTE. Le pieghe sono veramente sette e la larghezza alla gamba contenuta, il tutto per lasciare intatta quella leggerezza che è il modo di stesso di essere delle sete stampate. Insuperabile nel gusto, perfetto nel suo taglio leggermente a bottiglia, non ha rivali se non sul prodotto su misura. Nella cravatteria che si trova già nei cassetti, inutile cercare qualcosa a questa altezza. Poiché l’uomo di gusto non rinuncia facilmente alla cravatta su misura, nel caso non si rivolga al Rubinacci di Roma, che ha dato recentemente cattivi risultati ad un nostro Cavaliere, pur assiduo cliente a Napoli. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Pretti Data: 05-06-2008 Cod. di rif: 3826 E-mail: gpretti82@yahoo.it Oggetto: abito per la laurea Commenti: Egregio Gran Maestro, vengo a interpellarla per una questione di importanza non secondaria. Sono in procinto di conseguire la laurea specialistica in giurisprudenza e mi trovo in una situazione molto delicata (che, chiaramente poco ha a che spartire con gli studi in senso stretto). Il mio cruccio si riferisce alla scelta della mise che mi disvelerà in quella peculiare occasione. Un’idea era già stata maturata tempo addietro, in linea con i contributi che si trovano sulla lavagna: blazer blu monopetto. Tuttavia sussiste un dilemma amletico per quanto concerne la tipologia dei pantaloni e delle calzature. Una bella gatta da pelare. Mentre una camicia bianca immacolata (i cui polsini con asole ribattute a mano sbucano dalle maniche corte della giacca) e una cravatta con nodo stretto e stabile (a piccole fantasie) sono scelte quasi obbligate, pantalone-scarpa e calza mi stanno dando non poco filo da torcere. Essendo la data fatidica verso la metà di luglio sarei propenso a optare per un pantalone bianco di cotone abbinato ad un mocassino o ad una derby non troppo scura (coronati da calze bianche o del colore della calzatura, in modo da completare decorosamente il “terzo occhio”). Non vorrei tuttavia ottenere un effetto troppo vacanziero, nell’onda delle copertine di Esquire in Riviera. Insomma, riflettendo sul valore evocativo (nelle sue componenti filosofico-storico-culturali) di questo tipo di abbigliamento, non vorrei clamorosamente stonare. Arrivo dunque al punto. Mi interesserebbe cortesemente sapere, se rispetto allo stile “classico”, si tratta di una composizione all’altezza (e sufficientemente formale per il tenore della cerimonia). Nel ringraziarla per l’attenzione che mi riserverà, un rispettoso saluto, Gianluca Pretti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-06-2008 Cod. di rif: 3828 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una laurea comme-il-faut - Risp. gesso n. 3826 Commenti: Egregio signor, tra poco dottore, Pretti, come avrà letto consultando la Lavagna, in passato un altro giovane Visitatore, che qualche anno dopo è peraltro entrato nell’Ordine, poneva una domanda simile nel novembre 2003. Vedendolo molto propenso alla scelta e considerando che sentirsi a proprio agio è determinante quando si deve raggiungere il massimo della concentrazione il mio parere fu favorevole al blazer, purché con certi accessori. Come avrà letto dal verbale pubblicato nel Gesso n.3803, durante i lavori di DRESS CODE si è approfondito il ruolo degli accessori evidenziando la loro capacità di far “accedere” i capi a diversi livelli di formalità C’è anche qualcos’altro, che ho compreso solo dopo. In quest’ottica, alcuni capi si rivelano accessori rispetto ad altri. La camicia è un capo a tutti gli effetti, ma diviene accessorio in rapporto al capo spalla, quando indossata con esso, in quanto da un lato vincolata alla natura dell’abito e dall’altro capace di farne esprimere alcuni contenuti piuttosto che altri. A questo punto devo ribadire una cosa già detta altre volte, cioè che ogni domanda personale trova una risposta personale. Le speculazioni di carattere universale nascono dalla ricerca generale sui principi e non da quella particolare sulle soluzioni. Può così accadere che domande simili richiedano risposte non conformi. Giudici e professori sono vincolati ai precedenti, mentre un Maestro non deve preoccuparsi tanto di ciò che è esatto,quanto di ciò che è giusto. Come già osservato dal dottor Lamanna, il livello formale di una seduta di laurea richiede l’abito completo. Il blazer che lei immagina, su pantaloni bianchi, è inadattabile. Per metterci in carreggiata partiremmo da troppo lontano e percorreremmo sentieri tortuosi. Poiché mi sembra di capire che, differentemente dal caso precedente, Lei non possiede ancora alcun abito, a questo punto si indirizzi sulla strada maestra. Un abito di mohair o tropical grigio medio, con camicia in zephir o meglio popeline candido, cravatta a microdisegni all’inglese, francesina nera e calza grigio scuro a piccolissime coste. Niente pochette o fazzoletti, pancia in dentro, petto in fuori e tanta serenità. Un cavalleresco in bocca al lupo! Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-06-2008 Cod. di rif: 3830 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il colore blu - Risp. gesso n. 3929 Commenti: Egregio signor Soffià, innanzitutto La prego di attenersi alle istruzioni che introducono la Lavagna, in cui si raccomanda di evitare le "abbreviazioni comunemente in uso nella scrittura elettronica". In secondo luogo credo che in materia di dandysmo potrà trovare risposte più adeguate scrivendo al curatore dell'area Dandy, che da sola è un piccolo monumento e rappresenta il lavoro più importante di tutto il WEB. Per ultimo, visto che dalla rubrica del Suo gesso sembra le interessi l'origine ed il significato del colore blu, La rimando alla lettura di BLU, STORIA DI UN COLORE, di Michel Pastoureau, edito da Ponte alle Grazie nel 2002. L'intero volume è dedicato all'argomento che La interessa. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-06-2008 Cod. di rif: 3831 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il sito di Talarico - risp. gesso n. 3814 Commenti: Egregio Cavaliere Poerio, una verifica ha riscontrato che in questo momento le cose sono ritornate al loro posto. Una deviazione era dovuta a questioni sulla proprietà del dominio, ora risolte. Il sito www.mariotalarico.it, cui rimanda la pagina del nostro Libro dei Fornitori, è di nuovo perfettamente attivo e porta alla casa originaria. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Pretti Data: 07-06-2008 Cod. di rif: 3832 E-mail: gpretti82@yahoo.it Oggetto: abito per la laurea Commenti: Egregio Gran Maestro, la ringrazio per la risposta tempestiva e “personale” (quale è quella che un vero “Maestro”e non un professore o un giudice deve fornire. E per una volta mettiamo da parte i precedenti e gli exempla, anche se Machiavelli forse dissentirebbe). Mi permetta innanzitutto di fare una precisazione, a scanso di equivoci. Nel mio guardaroba albergano nove (come le intriganti porte) abiti (pur essendo di confezione sono di discreta qualità), che, vista la giovane età, sono il mio orgoglio. La suggestiva (nella sua semplicità) combinazione che mi suggerisce purtroppo è stata già sfoggiata in occasione del diploma di laurea triennale (con l’unica differenza che la calza grigia scura era senza coste e dal taschino della giacca faceva capolino una candida pochette di seta); per questo motivo mi risulta impossibile reiterarla. La scelta del blazer era dettata anche e soprattutto dal fatto che faccio un uso disinvolto dei completi, quasi quotidiano. L’estate, una innata vena poetica e marinaresca, un certo gusto di stupire, mi indirizzavano verso questa insidiosa direzione. “Mi piacerebbe cambiare”, diceva un nativo irlandese in quel di Oxford nel secondo ottocento. E sconvolgeva la società con panciotti sgargianti e pizzi ricercati. “Mi piacerebbe cambiare” io ripeto, ma non avendo la statura culturale dell’irlandese (per essere fin troppo ben vestiti bisogna essere fin troppo istruiti, come asseriva) devo accontentarmi di valorizzare una curata presenza con il buon gusto (che la Vostra realtà mi ha aiutato a correggere e ad affinare), lo stile, ed un minimo di personalità-originalità. Il mio guardaroba deficita di un principe di galles scuro monopetto (ne ho uno in lana, chiaro, doppiopetto). Sarebbe inadatto per il giorno cruciale? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluca Pretti Data: 07-06-2008 Cod. di rif: 3833 E-mail: gpretti82@yahoo.it Oggetto: abito per la laurea Commenti: Egregio dott. Lamanna, la ringrazio per il contributo che mi ha dedicato. Lei ben comprende le difficoltà e le insidie che si nascondono dietro ad un giorno di festa. La “sicurezza”, in quell’occasione, è sicuramente un fattore determinante. Farò tesoro anche del suo parere (preferisco considerarlo come tale, ho il brutto vizio di passare i “consigli” agli altri). Riserverò la tenuta che avevo in mente per contemplare la baia sulla terrazza del Fairmont, assaporando un Montecristo n°2. Crepi il lupo e a risentirci. Cordialità, Gianluca Pretti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2008 Cod. di rif: 3840 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La cravatteria classica - Risp. gesso n. 3808 Commenti: Egregio signor Corbey, la ricerca di tessuti vintage è una ricerca di effetti e non va scambiata con un vezzo nostalgico. Dopo alcuni anni la seta, se usata, perde la lucentezza in eccesso ed assume una cedevolezza speciale, che solo il tempo le garantisce. Questo è il principale motivo per cui si sentono tante persone affermare con l'accento ispirato dell'esperto: "le cravatte del TaldeiTali (in genere Marinella) non sono più quelle di una volta"! Il fatto è che chi paragona qualche esemplare di una quindicina di anni fa ad uno moderno, non sempre si rende conto che le cravatte in suo possesso, se hanno resistito a macchie ed usura sono cambiate in meglio, come vini o sigari ben conservati. Anche gli interni si fanno più cedevoli ed il tessuto, persa la tensione della gioventù, tende a stazzonarsi molto, ma molto meno. Chiunque conservi nei cassetti degli esemplari, di qualsiasi casa, con una storia più che decennale, può verificare queste osservazioni. In linea puramente teorica la cravatta perfetta dovrebbe esser costruita con la migliore seta e poi conservata dieci anni, massaggiandola ogni settimana. Un po' come quei buoi giapponesi, la cui carne si ammorbidisce massaggiandoli con la birra. A proposito della qualità, dobbiamo anche riscontrare la decadenza irreversibile delle sete per cravatteria. Nei tinti in filo si sono un po’ perse certe lavorazioni importanti, esattamente come in drapperia. E’ ormai difficile vedere quei grossi filati che venivano usati per i preziosi hand-by-hand (veda in merito l’Appunto n. 3522), sentire sotto le dita la costa pronunciata e battutissima dei reps in organzino, restare abbagliati dalla luce precisa dei rasi con la catena nello stesso colore della trama e non in nero, come oggi accade quasi sempre. Le perdite sono solo parzialmente compensate dalle splendide possibilità di telai capaci di performaces innovative. Dove invece non abbiamo nulla da poter sostituire alla tecnologia insuperabile degli inglesi ed italiani del XX secolo, è nella stampa. L’evoluzione dei metodi, improntata al miglioramento della definizione e della gamma cromatica e non alla pura economia, aveva distillato una sapienza speciale, una vera cultura in cui la divisione dei compiti, la conoscenza della tradizione, la specializzazione estrema, avevano portato a risultati di bellezza inquietante, ancor oggi visibili nelle stampe realizzate sino a qualche decennio fa. Sarebbe troppo complesso affrontare in un singolo gesso un argomento che richiederebbe dei Laboratori di Ricerca, magari da Steven Walter per i tinti in filo, accompagnati da meditate riflessioni sui macrofenomeni culturali e sociali che hanno determinato questa involuzione non riconoscibile dal popolo delle griffes, eppure forse la più sensibile in assoluto nel mondo dell’abbigliamento. Diciamo che il fenomeno più evidente è che la cravatteria classica prevede anche la stampa in corrosione, mentre quella decaduta lavora solo in applicazione. Alcune tecniche, come il vero mudder, si sono poi dovute abbandonare perché richiedevano l’uso di sostanze tossiche. Dopo questa premessa, veniamo alla Sua domanda. Spesso Maurizio Marinella, l’ultimo in Italia a fornirsi ancora in Inghilterra anche per le stampe, torna dai suoi viaggi presso i fornitori con qualche taglio d’epoca. Un paio d’anni fa fece un colpo gobbo e riportò alcune decine di foulard maschili realizzati con l’autentica tecnica mudder. Si tratta di reperti di valore inestimabile, anche da un punto di vista didattico, che lo stesso Maurizio non propone che a quei pochissimi in grado di apprezzarli e conservarli secondo il loro rango. Sentendo delle Sue intenzioni, posso assicurarLe che ho accompagnato io stesso da Maurizio il signor Lorenzo De Negri, conoscitore trevigiano che aveva volato andata e ritorno solo per acquistare un paio di pochette ed un foulard di quella qualità introvabile. Quando è nello stato d’animo giusto, chiami Maurizio, che trova quasi sempre in negozio (081.2451182). Gli dica (rapidamente, perché detesta trattenersi al telefono) di questo scambio di idee e chieda a lui stesso se ha qualche square datato ed interessante, ovvero quando pensa di averlo. In ogni caso, una visita al suo laboratorio merita il viaggio che ha in animo di fare. Se coincidesse con un periodo in cui sono a Napoli, la accompagnerei volentieri. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-06-2008 Cod. di rif: 3844 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatteria classica - Paralipomeni al Gesso n. 3840 Commenti: Egregio signor Corbey, ci sono novità. Subito dopo aver redatto la risposta di cui al gesso precedente, sonostato proprio da Marinella. Il Prefetto cavalleresco di Roma era in visita a Napoli per le prove in sartoria e voleva salutare Maurizio. Mi ha chiesto di accompagnarlo e l’ho fatto volentieri, avendo intenzione di esporgli il progetto di Laboratorio che era sorto lì per lì, proprio scrivendoLe. Gli ho parlato della discussione in corso sulla Lavagna e lui mi ha mostrato qualcosa di prodigioso. Come se avesse letto, anzi previsto, il tema del Suo gesso, ha estratto una cartella con le copie dei vecchi registri di David Ewans, il più grande stampatore di tutti i tempi. “Vedi Giancarlo, questi che vedi nel quaderno sono i tessuti originali. Dai registri (aveva fotocopiato anche quelli) risultano il giorno, il mese e l’anno in cui sono stati prodotti per la prima volta. Questi invece sono le repliche attuali. Le ho fatte produrre con le stesse tecniche dell’anno di provenienza, con gli stessi colori, lo stesso peso di tessuto. Come vedi si tratta di un'altra estetica, di un’altra mano, di un gusto non convenzionale. Ne ho fatto fare quindici con quattro varianti ciascuno e stanno avendo successo, anzi direi che hanno suscitato l’entusiasmo di coloro che la cravatta non la regalano, ma la scelgono meticolosamente per se stessi. Poiché la cimosa riporta la data di prima produzione del disegno, molti chiedono di vedere un tessuto nato nel loro stesso anno e, se lo ordinano, faccio in modo che sul retro si veda quella parte di cimosa”. Io sono rimasto senza parole, Lei che ne dice? Ora sa che potrà trovare più di ciò che cercava: una scelta di tessuti realizzati a quadri di stampa, con le tecniche ed i pesi della grande cravatteria classica e per di più nuovi di zecca, da far cucire secondo le Sue direttive e poi da far invecchiare con Lei. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 11-06-2008 Cod. di rif: 3847 E-mail: andreasperelli8@yahoo.it Oggetto: Il Principe Carlo onora un debito reale datato 1651 Commenti: Grande-Bretagne: le prince Charles honore une dette royale datant de 1651. LONDRES (AFP) - Le prince Charles, héritier du trône d'Angleterre, a remboursé mardi une dette vieille de 350 ans contractée auprès d'une entreprise de confection par le roi Charles II, mais sans verser d'intérêts. (Publicité) Le prince de Galles a remis 453,15 livres sterling (567,30 euros) à la Compagnie des confectionneurs de vêtements de Worcester en paiement d'une commande datant de 1651 pour des uniformes militaires, qui n'avait pas été honorée par le monarque de l'époque. La somme a été remise dans une bourse confectionnée par la Royal Shakespeare company, tandis que le prince se réjouissait de ne pas avoir à payer des intérêts. "Il semble que les membres de la Compagnie des confectionneurs ont la mémoire longue", a relevé le prince Charles. "Par longue, je veux dire presque 400 ans. Néanmoins, comme geste de bonne volonté, je suis aujourd'hui disposé à honorer cette dette de 453 livres et trois shillings", a indiqué le prince. "J'imagine que cela ne vous aura cependant pas échappé que je résiste à l'immense tentation de payer cette dette avec tous les intérêts. Je ne suis pas né d'hier", a-t-il ajouté. Le haut commissaire de la Compagnie des confectionneurs Philip Sawyer a remis un reçu au prince Charles après avoir accepté la somme, soulignant qu'un "très long chapitre" de l'histoire de la Compagnie venait d'être achevé. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-06-2008 Cod. di rif: 3856 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: John Lobb, la stoffa del pioniere - Risp. gesso n.3852 Commenti: Egregio signor Tarulli, le foto di Lobb che ci ha invitato a cercare sono squisite, anche se dominate dalla servitù nei confronti degli appetiti popolari tipica della stampa. La Nazione del Gusto potrebbe essere interessata a vedere da vicino le forme degli stivali di un Duca di Kent, non una vaga panoramica di quelle di Frank Sinatra. Emblematica invece la foto di William Lobb che appena si affaccia dal negozio. Un uomo per una azienda. Una dinastia per un prodotto. Da dove viene tutto ciò? E dove va? John Lobb (1829-1895) nacque in Cornovaglia, ben deciso a non perdere tempo. A bottega sin da piccolo, apprese avidamente l’arte del calzolaio e ne era già maestro quando, appena ventenne, emigrò in Australia. La febbre dell’oro ne stava cambiando la geografia, come del resto accadeva in California. In questi luoghi di frontiera furono anni epici, in cui tutto era possibile, tanto che non deve stupirci la concomitanza di personaggi e storie straordinarie. Nel 1847 era partito dalla Baviera un altro ventenne, Loeb Strauss. A San Francisco cambiò il cognome in Levi e gettò le basi di un impero vendendo ai cercatori d’oro i pantaloni più robusti e pratici del mercato. Quei jeans che ancor oggi portano il suo nome. Esattamente negli stessi anni, John Lobb intuisce la stessa verità: la miniera più grande, la più sicura e redditizia, è nei cercatori stessi. Se un avventuriero è un cane sciolto, diecimila sono un mercato. Inventa allora uno stivale dal tacco cavo, con un alloggio che permettesse di nascondere qualche pepita agli sguardi indiscreti. Fu un successo immediato, che consentì all’intraprendente John di rientrare in Inghilterra e tentare di conquistarne la capitale. Una fortuna nata così lontano e da un prodotto innovativo, se non addirittura bizzarro, dimostra che lo spirito più autentico della casa è composto di iniziativa, internazionalità, perizia e fantasia. Avvertiamo ancora nettissimo il sapore di questi ingredienti nella derby a doppia fibbia nata quasi cento anni dopo, nel 1945. L’allacciatura, citando lo stivale da equitazione, mostra un virile compiacimento per la stabilità e la forza. Ad una calzatura cittadina conferisce una solidità sportiva, non senza una generosa cucchiaiata di aristocratica trasgressione. Più imitata della pizza, pochissimi altri modelli possono vantare un posto nell’immaginazione collettiva pari a quello della Lobb a doppia fibbia, divenuta in poco tempo un fenomeno planetario, un totem, un certificato di appartenenza, un sinonimo di calzatura maschile. John Lobb venne acquistata parecchio tempo fa da HERMES, tanto che collegarne presente e passato lungo una linea continua può sembrare incongruente. Prima di trarre conclusioni, vediamo però cosa accadde, quali siano i rapporti tra le due maison e quale il ruolo di ciascuna nella storia gloriosa della scarpa. Perché è di questa che stiamo parlando. Rientrato dall’Australia, John Lobb aprì a Londra un negozio in Regent’s Street per poi dargli sede definitiva al n. 9 di St. James Street, dove resta tuttora come orgoglioso esempio della tradizione inglese più pura. Il successo definitivo venne con il Royal Warrant ottenuto da un Edoardo VII che, come figlio dell’autoritaria Regina Vittoria, contava ancora poco a corte, ma in società aveva pieno credito quale arbitro d’eleganza. William Lobb, figlio di John, aprì nel 1902 un negozio al n. 47 di Rue du Faubourg Saint Honoré. Per oltre settanta anni il negozio restò attivo al centro di Parigi, a pochi isolati da HERMES. Nel 1870 gli eredi di Thierry Hermes avevano infatti trasferito al civico 24 della stessa strada la già celebre selleria del babbo, fondata altrove nel 1837. Negli scapigliati anni ’70 del XX secolo, i giovani e tutti coloro che aspiravano a ridiventarlo si dividevano tra stivaletti incernierati e desert boot. Tempi duri per il classico inglese, specialmente a Parigi. Fu allora che Jean Louis Dumas, quinto monarca della dinastia HERMES, dovette fare agli eredi Lobb, per dirla col Padrino, un’offerta che non si poteva rifiutare. Dal 1976 Lobb si divise in due realtà. La John Lobb ltd avrebbe continuato a fabbricare scarpe su misura nello storico negozio di St. James, fuori dal quale tutto passava alla John Lobb SA, proprietà della HERMES. L’accordo che sdoppiava il marchio, assolutamente unico nella storia del business, fa presumere che Dumas fosse convinto che il Lobb di Londra, troppo tradizionale per quelle epoche di sesso, droga e rock and roll, non reggesse a lungo. Sottovalutava il fatto che, come la sua, anche l’altra casa era ed è ancora nelle mani della tenace famiglia originaria. Bisogna anche dire che HERMES non ha mai agito come un banale polo del lusso, orientato dall’unica legge del profitto. Lo dimostrano la qualità delle poche partecipazioni che ha acquisito ed il metodo con cui le ha gestite, sempre rispettoso dei contenuti stilistici e umani. Questa politica di basso impatto sta cambiando insieme ai vertici della compagnia ed alle esigenze delle grandi società commerciali, mentre all’inizio quel bel fiore inglese all’occhiello francese veniva curato con rispetto. Contando su molti maestri calzolai della vecchia guardia, la John Lobb SA di Parigi mantenne il nome e lo standard del prodotto all’altezza che loro competeva. Portò la sede principale dove si trova ancor oggi, in Rue Boissy d’Anglas, all’angolo con Faubourg Saint Honoré. A questo negozio, posto esattamente ai propri confini, l’illuminata conduzione HERMES lasciò tutto il fascino di un silenzioso fondaco di cultura estetica londinese. Sulla modellistica intervenne molto poco, interessandosi piuttosto di sviluppare una linea pronta sulle classiche linee del bespoke. Recentemente, però, qualcuno deve aver pensato che lasciare le cose come stanno non è sempre la soluzione più redditizia ed oggi i grandi marchi parlano solo di atmosfere, ma pensano solo al profitto. In particolare, l’eccellenza tecnica sembrava potersi liberare dalla rigidità. Una forte spinta creativa, a tratti imprevedibile, aveva del resto avuto un ruolo importante nel bagaglio dello stesso fondatore John Lobb e nelle più belle realizzazioni dei suoi eredi. Per i calzolai d’oltremanica, la scarpa è sempre stata una scultura. Più che nelle fogge e nei colori, costanti di generazione in generazione e di manifattura in manifattura, le differenze sono nella proporzione più o meno squisita. Come uno scultore lavora su un blocco preesistente, così il calzolaio inglese sembra rivelare la sua abilità nel togliere, piuttosto che nell’aggiungere. Ad ogni scatto di qualità corrisponde un alleggerimento ed una cristallizzazione dei modelli. Giunti ai livelli più alti, le linee sono armoniose e le innovazioni impercettibili, se non inesistenti. Questo atteggiamento era stato assunto anche da chi, come Lobb, nasceva come innovatore e man mano si era visto calare sulle spalle la responsabilità di difensore della tradizione. Un compito difficile, che John Lobb SA ha fatto proprio per lungo tempo. Rispettandone inizialmente il ruolo e lo stile, aveva dimostrato di non aver acquisito solo un marchio, ma tutto un atteggiamento. Non ci sarebbe stato motivo di cambiare rotta, se alla fine del secondo millennio la calzatura non avesse cominciato ad esprimersi in modo diverso. Da un po’ di tempo, sembra che le scarpe maschili siano divise in due blocchi estetici. La scuola di ispirazione anglosassone, solida e concreta, replica o perfeziona i modelli volumetrici. Un altro gusto ha cominciato ad abbinare sempre più la raffinatezza al dinamismo, alla leggerezza. Insoddisfatto della scarpa-funzione, ha cominciato a privilegiare una scarpa-comunicazione, che inevitabilmente tendeva ad essere più un’opera pittorica che una scultura. Prima con l’uso libero e complesso del colore, poi con citazioni dall’attualità e materiali etnici, questa corrente sembra riassumere la storia dell’arte e riproporre il passaggio dalla contemplazione del figurativo accademico all’emozione impressionista e infine alla suggestione pop. Intorno agli anni novanta il mercato del lusso, diventato da nicchia un oceano dove tutti volevano un’isola ed una spiaggetta, sembrava desiderare l’oblio di quell’omologazione chiamata “il meglio”. Il culto del meglio, che per definizione è uno solo per tutti, priva il prodotto dell’identità stilistica nazionale. Il problema era dunque quello spirito Lobb, così maledettamente inglese anche nell’innovazione. A questo punto HERMES e Lobb non sarebbero stati più compatibili se il secondo, restando in un’estetica british che sul nuovo scenario rischiava di diventare un gusto regionale, non avesse seguito l’algoritmo dell’allure internazionale del primo, capace di mettersi a capo delle tendenze attuali. Le decisioni assunte hanno comportato una virata stilistica del prodotto ed un diverso approccio al cliente. Il grande negozio di Rue Boissy d’Anglas, dove circolavano molti clienti del su-misura, è stato cambiato radicalmente. Si mira decisamente al pronto, in cui anche le linee simbolo della casa sono state cambiate. Tutti gli appassionati avranno notato che le fibbie, originariamente molto angolate fra loro, sono diventate parallele. Un gusto molto più facile, che però corrompe l’idea di base così come l’abbiamo vista. Esaminando una qualsiasi di queste scarpe, si riscontra comunque quel livello elevato di fattura che la John Lobb SA aveva espresso ed ancora esprime. I criteri costruttivi del pronto restano nell’eccellenza assoluta, con fondi esclusivamente goodyear, mentre nella linea su-misura vengono preparati nuovi giovani apprendisti. La qualità non è in discussione, solo che il prodotto copre con l’atmosfera di un nome inglese un contenuto stilistico devitalizzato, incapace di mantenere una collezione stabile, cioè di creare e conservare un classico. In verità mi sembra che le compagnie che furono leader del gusto sono oggi leader del lusso, il che è tutt’altra cosa. Si aggiunga il fatto che la morte del linguaggio classico, non ancora compresa se non in questo avamposto della ricerca, impedisce di creare quell’instant-classic con la facilità che fu il motivo del loro successo. Pensiamo in generale a tutti i grandi nomi storici. Per decenni i loro nuovi prodotti, appena messi in vetrina, divenivano un paradigma del desiderio. Oggi si affannano ancora, ma il sangue nella vena che creava il classico non scorre più. I nuovi articoli si affermano per un anno, poi decadono. I miti immacolati, allontanandosi dalla loro origine elitaria, cominciano a impolverarsi come tutti i modesti mulini che macinano il fashion. Guardate bene: i clienti di un Vuitton sono ormai gli stessi di un Zara. Per governare il carro nella ripida discesa imboccata, le case ritoccano continuamente i vecchi cavalli di battaglia. Abbiamo così infinite riedizioni di borse e profumi. Quante etichette avrà ormai dovuto sopportare Poison, quanti rimaneggiamenti una Kelly? Il John Lobb ltd, quello al 9 di St. James’s, custodisce caparbiamente la vera fede e non è affatto caduto in disgrazia. La deriva stilistica della John Lobb SA ha cambiato i rapporti tra le due aziende, che si erano mantenuti buoni a lungo ed ho motivo di credere si siano invece deteriorati negli ultimi tempi. William Lobb, quinta generazione di calzolai, quinta generazione di pionieri, nella foto pubblicata da The Sartorialist sembra attendere gli eventi senza molto partecipare. Produce ed inventa senza rumore. Il futuro non sarà per lui una sanguinosa sfida contro la concorrenza, la conquista ad ogni costo dei nuovi mercati, l’apertura delle nuove sedi, il posizionamento e la comunicazione all’avanguardia. Sarà piuttosto nel modo sempre nuovo con cui i clienti di generazioni diverse scoprono le stesse cose e le amano. Se veste maluccio, come Lei fa notare accada spesso agli artigiani, sarà perché non si preoccupa molto di cosa accade là fuori. Lui sta sulla porta, la sua. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-06-2008 Cod. di rif: 3862 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A very smart week Commenti: Indomabili Cavalieri ed insaziabili Visitatori, questa è la settimana del Royal Ascot, manifestazione in cui la tradizione inglese esibisce la propria vitalità ed attinge ogni volta nuova forza. Il lunedì è detto Garter Day, giorno della Giarrettiera, perché in questa occasione vengono ordinati i nuovi membri dell'Ordine, già indicati come tali il giorno di san Giorgio. Il Garter Day è scandito da una solenne cerimonia che vede tutti i Cavalieri, dame comprese poiché questo ordine non fa differenze di sesso, in processione dal castello alla cappella, ammantati dei loro sontuosi paramenti, ornati delle imponenti decorazioni e coronati da un gran cappello blu guarnito di penne di struzzo. Come molti sapranno, ieri il Principe William è stato ordinato Cavaliere dell'Ordine della Giarrettiera, appena il millesimo in seicentossanta anni di storia ininterrotta. Oggi tocca al Royal Ascot, che comincia sempre di martedì e dura sino al sabato. I princìpi del dress code, così come la possibilità di accesso a certe aree, sono diversi secondo le zone. Il Royal Enclosure è lo spazio più ambito, inaccessibile a chi non abbia sufficienti titoli o status. Quest'anno il dress code di accesso è stato meglio chiarito per le signore, con una cancellazione ufficiale delle gonne troppo corte, delle scollature anteriori o posteriori troppo generose, dei pantaloni a pinocchietto, delle spalline a spaghetto, degli ombelichi in vista. Il general Ticket offre accesso a tutte le migliori aree per godere della manifestazione, ai botteghini e ristoranti del Grandstand, tranne che ai piani superiori di questo edelle pertinenze del Royal Enclosure. Il Silver Ring è l'area popolare. Sua Maestà, tramite i propri deputati al protocollo, ci tiene a far sapere che incoraggia il pubblico a vestire in modo adeguato alle corse, ma lascia libertà assoluta vietando solo di stare a torso nudo. In calce, ho tradotto con le mie modestissime capacità il testo aggiornato del dress code 2008 per le diverse zone. Nella corrispondenza tra supremazia e rigore, nessuno dei quali sente il bisogno di giustificarsi, si intravvede il motore nascosto di una civiltà basata sulla tradizione: la tensione equilibrata tra rispetto e privilegio. Le opinioni in materia sono giustamente le più varie. I fatti dimostrano però che proprio questo sistema, che essendo basato su assunti irrazionali può esistere sino a che non se ne parla troppo, ha condotto al magistero estetico esercitato dall'Impero. Vi lascio dunque al protocollo della Regina e che Dio la salvi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ____________________________ ROYAL ENCLOSURE Il deputato di Sua Maestà desidera sottolineare che è idoneo solo l’abito formale da giorno con cappello o decorazione sostanzialmente equivalente. Spalle scoperte, scollature eccessive, spalline più strette di un pollice, minigonne o abiti che non giungano almeno un pollice sotto il ginocchio sono considerati sconvenienti. La pancia deve essere coperta- I pantaloni devono essere alla caviglia e indossati con tenuta completa dello stesso tessuto. I signori sono tenuti ad indossare un morning dress nero o grigio con gilet e tuba, la quale va mantenuta sempre in capo sino a che si è nella Royal Enclosure, tranne che nei box privati o negli impianti. Si noti che le balconate, le terrazze del ristorante ed i giardini sono considerati tra gli impianti. I visitatori stranieri sono invitati a indossare il vestito nazionale del loro paese o l’abito formale corrispondente al proprio incarico statale. Coloro che non si conformeranno al dress code verranno invitati a lasciare il Royal Enclosure. Il loro badge d’ingresso verrà ritirato definitivamente. DRESS CODE PER LE AREE AD INGRESSO GENERALE Le signore sono tenute a vestire in modo adeguato ad un’occasione elegante. Molte indosseranno il cappello, ancorché ciò non sia obbligatorio. I signori sono tenuti ad indossare camicia e cravatta, preferibilmente con abito completo o giacca. Capi sportivi, jeans e pantaloni corti, non sono permessi. SILVER RING Con un’atmosfera meno formale, il Silver Ring di Ascot è una zona separata che non prevede l'accesso al Ring Parade o al Grandstand. Il Silver Ring fornisce ancora una posizione eccellente per guardare la parata reale e le corse. C’è una gran varietà di posti per mangiare, bere e scommettere. DRESS CODE PER IL SILVER RING Incoraggiamo i frequentatori delle corse equestri a vestire in modo curato, ma nel Silver Ring non si applica alcun dress code, eccettuato il divieto di scoprire il torso. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 23-06-2008 Cod. di rif: 3864 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Fabbrica John Lobb Paris Commenti: Cavalieri e Visitatori, Vi risulta che le John Lobb Paris siano fabbricate dalla Edward Green? E nel caso non fosse vero, chi sa indicare il fabbricante della John Lobb delal Hermes? Grazie anticipate per l'informazione. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-06-2008 Cod. di rif: 3867 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Da folklore a tradizione - Risp. Gesso n. 3863 Commenti: Estremo Cavaliere Villa, secondo la nostra natura, noi italiani abbiamo meticolosamente eliminato ogni manifestazione del privilegio, naturalmente senza eliminare il privilegio stesso. Se quella stessa indole non ci forzasse a lamentarci comunque, saremmo contenti di un lavoro così ben riuscito. Altre nazioni non hanno sviluppato un odio così feroce per le origini stesse della civiltà, originatasi intorno alle prerogative visibili ed accettate di un gruppo, di una famiglia, di una casta o di un singolo. Come Lei ha già visto, la monarchia è il paradigma di questo archetipo. Un re, pur non essendo più un faraone o un imperatore divinizzato, pur sempre regna “per volontà di Dio e della nazione”. Trovando così lontano e così in alto la propria maestà, lui stesso, la sua corte, la sua dinastia, sono il crisma che santifica e rafforza le tradizioni del popolo, nelle quali sanno sapientemente immergersi. Si è mai chiesto quale sia la differenza tra folklore e tradizione? E’ molto semplice: un’abitudine cui partecipa la casta dominante si chiama tradizione, diversamente si parla di folklore. Ecco perché è così importante avere una famiglia, quella reale, che istituzionalmente si dedica a sostenere le tradizioni perché non vengano derubricate a folklore. La nostra casta, diversamente da quella di altri paesi anche repubblicani, ritiene che il proprio status si rafforzi, si giustifichi e si evidenzi nel contrastare il costume cui i loro sottoposti si conformano. Se questi vanno in camicia, loro andranno in giacca. Così la nostra verità ancestrale, il patrimonio di comportamenti umani accumulati nel sangue, si rivela solo nel bistrattato folklore, che non ha e non avrà mai né ministri né ministeri. Pensi al sorprendente carnevale dei mamutones o al passionale Palio di Siena, al misticismo dei fujenti o all’assurdo dei Ceri, tanto per fare qualche esempio. Da noi tutta la tradizione viene considerata un fenomeno antropologico, in quanto riposa nelle province e nelle fasce mute della società. In Paesi come l’Inghilterra, esiste invece una tradizione che viene considerata culturalmente più elevata e quindi meritevole di particolare tutela anche legislativa, perché intorno ad essa la presenza di un Re riesce a stringere i potenti. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-06-2008 Cod. di rif: 3869 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Noblesse oblige - Risp. gesso n. 3868 Commenti: Egregio Villa, credo che Lei centri un punto importante. Noblesse oblige. La nobiltà di sangue o di spirito, di nascita o di temperamento, di educazione o di intenti, include pesi e rinunce che non solo vanno accettati, ma vanno rigorosamente taciuti. Lamentarsi è sempre stato e sempre sarà il privilegio e la condanna del popolo. La questione è importante anche sotto il diretto profilo dell'abbigliamento. Un principe veste come sa e deve senza inveire per il tempo che perde o il caldo che soffre. La nobiltà è una pretesa di superiorità, ma non si può accedere ai livelli superiori dell'esistenza indugiando tutta la vita nei piaceri del suo livello di base, fatto tutto di denaro e sensazioni primarie, entrambi esibiti come se interessassero a qualcuno. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-07-2008 Cod. di rif: 3878 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lavori preparatori al IV DRESS CODE Commenti: Incliti Ricercatori di questa Porta, Sabato 20 settembre 2008, alle ore 10.00, si celebrerà in Bologna il Quarto incontro del ciclo DRESS CODE (V. colonna degli Eventi). I lavori mirano ad una prima risistemazione del percorso lungo il quale l'estetica classica si è spostata, dall'alba al tramonto del suo dominio. Non è cosa da poco e sarebbe bene cominciare da subito a raccogliere materiale preparatorio. Pertanto CHIEDO a quanti di Voi abbiano interesse, idee e conoscenze in materia, di pubblicare in questa Porta, nella Lavagna o nel taccuino, testi ed immagini che contribuiscano alla ricostruzione del periodo stilistico 1890-1950. Poiché il periodo è vasto e complesso, meglio soffermarsi su singole sezioni o aree, anche ricomponendo testi già pubblicati. Grazie e cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-08-2008 Cod. di rif: 3880 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sull'uso attuale del colore Commenti: Egregi Visitatori, sapienti Ricercatori, poderosi Cavalieri, da un paio d’anni l’uomo utilizza una tavolozza più libera, il che sembra sgomberargli la via verso la riappropriazione del colore. Detta così, la notizia sarebbe eccellente, ma dobbiamo leggerla alla luce di precisazioni suggerite dal nostro metodo di studio. Innanzitutto, quando si parla dell’abbigliamento contemporaneo di massa, non si può usare la parola “uomo”. Questo termine non può che descriverete la gamma indefinita di età ed attitudini di un sesso, mentre la moda successiva alla “morte del classico” si rivolge e tende a generare solo entità giovani, il cui gusto è radicalmente nuovo e come tale ha una nuova definizione: metrosexual. Un solo modo, che corrisponde ad una sola età, l’unica ammessa per tutti. I ricercatori cui ci rivolgiamo, disponendo di materiale di varie epoche, sanno che sino agli anni settanta le riviste illustravano invece soluzioni destinate a tutte le età e ad una gamma infinita di occasioni: dalla caccia alla gran sera, dall’ufficio al circolo, dal viaggio alla cerimonia, dal ballo all’università. Dobbiamo inoltre precisare che il colore si sfoggia solo coi primi caldi, laddove l’homo gymnicus fa subito cominciare l’estate, la seconda delle due stagioni in cui ha semplificato il tempo estetico e fisico. Quando questo colore compare, però, la soglia di vigilanza si abbassa e la giacca, se c’è, appare solo appoggiata e non indossata. La differenza è fondamentale. Una giacca è poggiata sulle spalle quando la si può mettere e togliere a piacimento. Una giacca indossata non si toglie che dove si è messa, a meno di situazioni eccezionali. Quindi l’uso del colore non solo è stagionale, ma è anche causa ed effetto di un atteggiamento che potremmo chiamare deformalizzato, in quanto privo del senso e del piacere del protocollo. Nel classico abbiamo distinto tre ambiti stilistici: formale, informale e sportivo. Nel post-classico l’informale e lo sportivo si confondono, sicché gli ambiti si riducono a due: classico e sportivo. Già, perché quello che noi chiamiamo classico è un intero mondo, un sistema universale, mentre per l’homo gymnicus, che ne rinnega la portata, il classico non è che un atteggiamento o uno dei due stili possibili. Anche il termine “sportivo” cambia significato. Nel nostro metodo indica precisamente i capi e i materiali che provengono dall’aria aperta o dalla pratica sportiva, mentre nell’accezione popolare basta a descrivere tutto ciò che non è “classico”, parola che nel vocabolario che l’homo gymnicus sta creando, riutilizzando vecchi termini con nuovi significati, definisce ciò che è regolato da quella parte del codice estetico tradizionale che la nuova razza ancora percepisce. Riformuliamo allora l’osservazione iniziale in questo modo: negli ultimi anni l’estetica maschile di massa è orientata ad una ricollocazione del colore nell’uso estivo deformalizzato. Come sappiamo, la preoccupazione principale del gymnicus è la leggerezza, che si traduce anche nell’urgente necessità di decontrarre tutti i linguaggi. Non si tratta quindi di quella riabilitazione del colore all’interno del Classico che qui al castello auspichiamo in parecchi, quanto di un uso “farmacologico”, di una somministrazione di colore a capi, situazioni e comportamenti considerati ancora in tensione. L’argomento non si esaurisce qui e svolgerò ulteriori considerazioni nel Taccuino. Cavallerescamente giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-08-2008 Cod. di rif: 3881 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Linguaggi estetici e successione al potere Commenti: Nel gesso n. 3880 si proponeva un’interpretazione del neocromatismo maschile. Dopo la cancellazione del cappotto e la devitalizzazione della giacca, l’homo gymnicus utilizza come propulsore l’euforia estiva per andare a trasformare i pantaloni. La diffusione di un’estetica autonoma rispetto al passato rappresenta un’azione sistematica quanto inevitabile. Ad ogni conquista del potere deve necessariamente corrispondere l’imposizione di nuovi linguaggi e quello dell’abbigliamento è troppo centrale per essere trascurato. Il linguaggio estetico dell’homo elegans è stato ed è ancora quello che qui chiamiamo il Classico, supremo criterio e invisibile limite cui si ispira e si conforma tutto ciò che egli ritiene desiderabile. Nell’abbigliamento, l’algoritmo del Classico è particolarmente leggibile in quanto il gusto ha sempre avuto con esso un rapporto diretto, non influenzato da una critica ed una storiografia che lo complicassero considerandolo ciò che è: un’arte. Poca cosa va considerata l’azione delle riviste e della scarna bibliografia, per lo più tese a commenti particolari e non alla costruzione di un sistema generale di valori e di valore. Nelle altre arti, come anche in altri importanti prodotti del gusto come il vino, la vista diretta è invece modificata da un imponente filtro composto da cataloghi, guide, classifiche, scuole di indottrinamento, disciplinari, guru e letteratura, che collocano in una precisa posizione e spesso determinano un preciso prezzo per gli oggetti trattati. Questa vasta rete prepara il pubblico a recepire le valutazioni altrui come proprie e in tal modo rende il “principio primo” meno riconoscibile e soprattutto meno attivo, se non del tutto immobilizzato da un cliché del desiderabile calatogli sopra dall’esterno. Abbiamo già visto come il “principio primo" dell’universo elegans, cioè la matrice classica, pur non perdendosi il codice che permette di comprenderne l’opera si sia esaurito nel modo in cui muoiono i linguaggi, cioè perdendo la capacità di rigenerarsi e generare. Come non possiamo coniare una nuova parola greca e inserirla nei dizionari, così non potremo mai più creare una nuova foggia che possa definirsi classica, almeno in questo senso. Già, perché ad ogni termine si possono dare diversi valori ed è lì che si distingue un metodo da un altro, un ricercatore da un curioso. L’homo gymnicus trasforma il contenuto della parola con la facilità congeniale al suo ideale di leggerezza. Non la usa riferendosi ad un principio generale, quanto ad uno stile particolare. L’abbigliamento maschile viene infatti diviso in “sportivo” e “classico”, dove quest’ultimo è una forma tra le altre, non la forma delle forme. Nel metodo cavalleresco, il Ricercatore è particolarmente attento alle definizioni. Conoscendone l’utilità ed il potere non si abbandona ad alcuna approssimazione e comprende che la modifica popolare di un significato è un segnale, un indizio, un punto che permette di ricostruire un disegno altrimenti invisibile. cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-09-2008 Cod. di rif: 3884 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Codice rosso - Risp. Gesso n. 3883 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, non so dell'usanza da Lei citata. Non è improbabile che sia stata adottata in un ristretto contesto, come quello di uno o più yachting club, ma di certo non ha mai avuto valore universale. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 15-09-2008 Cod. di rif: 3888 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: il cappotto Casentino Commenti: Egregio Gran Maestro, durante e dopo molte altre letture dai gessi e dai taccuini ho lungamente riflettuto sui miei pochi prolissi e a dir poco compiaciuti passati interventi e su i di loro esiti, in particolare sul contenuto del Suo gesso 3742. Vengo a comunicarLe che ho abbandonato l’idea dell’uso decontestualizzato della giacca che fu origine del Suo dissenso e ripulsione, o riprovazione o quel che fu. Questo perché desidero confessare che la giacca era ed è scompagnata in quanto frutto d’un acquisto vintage e non avevo allora la più pallida idea che fosse parte di un mezzo-tight di cui non conoscevo neppure l’esistenza, sebbene nel gesso 3738 dissimulai volutamente tale mia ignoranza per vergogna, credendo così di non far brutta figura. Scrivo ciò non perché voglia giustificare o sminuire quanto poi aggiunsi nello stesso gesso riguardo il classico e la classicità, infatti fu comunque il frutto d’una mia riflessione che col senno di poi definirei presuntuoso, ma per testimoniarLe che gli atteggiamenti all’apparenza più grotteschi, vili o grossolani che siano, vengono talvolta commessi a causa d’insipienza unita a malcelata insicurezza. Tuttavia ebbi modo di ammirare, a mie spese, la Sua indefessa difesa del Castello da sgraditi intrusi. Ciò premesso torno a scrivere sulla Lavagna con la speranza che l’argomento in oggetto possa esser d’utile interesse cavalleresco al fin di soddisfarne il mio, essendo esso una delle “tre o quattro fogge canoniche nazionali” così Lei al gesso 2635; nel passo credo che alludesse in particolare al cappotto e non al solo tessuto. Potrebbe quindi in futuro fornire una disamina di tal foggia con appropriate illustrazioni o disegni, come è stato fatto per l’Ulster grazie anche alla collaborazione del Cavalier Forni e del Rettore De Paz? Le mie ricerche in rete oltre le mura di questo insormontabile castello hanno dato sì qualche frutto – il sito della casa Cilento1780; il sito della sartoria Mattioli Amedeo; i siti delle ditte T.A.C.S. e Tessilnova – ma mi lasciano oltremodo dubbioso in quanto il modello in questione viene presentato sempre con un dettaglio differente: ora con i paramani ora con la bacchetta; ora con il collo provvisto di pelliccia ora sguarnito; ora vi sono le tasche scaldamani ora no; etc. Inoltre ho reperito qualche notizia in quel di www.thelondonlounge.net; infine vi è un annuncio su www.subito.it sicché la confusione aumenta. Le chiedo infine un commento riguardo l’età per un capo del genere in base ai colori, sebbene credo l’affermazione quale classico nazionale sia avvenuta con il solo colore arancio. La ringrazio sin d’ora e Le invio Distinti saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Chianese Data: 17-09-2008 Cod. di rif: 3891 E-mail: aristandro85@hotmail.com Oggetto: pantaloni da equitazione Commenti: Egr. Gran Maestro, ultimamente sto montando sempre più spesso e i miei pantaloni si stanno logorando. Dovendone acquistare di nuovi vorrei dei consigli sugli accorgimenti da seguire. Prima di tutto se è meglio ordinarli al mio pantalonaio (ma ho paura che le cuciture non tengano) oppure acquistarne un paio di confezione che grazie ad un tessuto misto col sintetico dovrebbero tenere meglio. Nel primo caso La prego di consigliarmi le indicazioni da riportare all'artigiano, nel secondo le qualità che un buon paio di pantaloni da equitazione di confezione deve possedere e se del caso un marchio o un indirizzo cui rivolgermi. Tenga presente che abito a Napoli, ma se del caso posso recarmi ad acquistare anche in un'altra città. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Chianese Data: 17-09-2008 Cod. di rif: 3892 E-mail: aristandro85@hotmail.com Oggetto: meglio tardi che mai Commenti: dimenticavo ... Distinti saluti Giovanni Chianese ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-09-2008 Cod. di rif: 3893 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pantaloni da equitazione - Risp Gesso n. 3981 Commenti: Egregio signor Chianese, le soluzioni artigianali sono da preferire sempre, con l'eccezione di quei settori dove la produzione richiede impianti di costo troppo elevato per poter essere recuperato da piccoli numeri. E' ad esempio il caso degli accendini, delle automobili, etc. Il su-misura è l'esatto opposto del self-service, dove l'oggetto che si acquista è in genere già noto nei pregi e difetti. Qui si va all'avventura e bisogna, lo abbiamo già detto altre volte, mettere in conto alcune delusioni. Non otterrà un pantalone perfetto al primo colpo, ma se sarà stato bravo al secondo avrà già messo a punto qualcosa di personale, che rispetti le Sue specifiche esigenze in termini di abitabilità, temperatura, colore, dettagli. Il problema della solidità delle cuciture si supera, a meno che Lei desideri cuciture ribattute a doppio ago tipo blue jeans. Non esito quindi, visto che mi chiede consiglio, a dichiararmi favorevole ad una meticolosa visita dal pantalonaio. Dopo attenta riflessione e con gli appunti del caso, porti il Suo vecchio pantalone all'artigiano e indichi quali rettifiche apportare. Se invece vuole trovare qualcosa di specifico nella rete commerciale, sarà ancora più difficile. In Italia non so chi possa fornire pantaloni tecnici da equitazione. ho chiamato l'Antica Stivaleria Savoia, che una volta disponeva di un intero settore sul cavallo, ma mi hanno detto che non trattano più l'articolo. Hanno chiamato anche altre ditte, ottenendo la stessa risposta. So da recenti notizie che Cordings a Piccadilly (Londra, ovviamente) li tratta, anche se nel loro sito non ve n'è traccia. Lavorano materiali tradizionali di ottimo livello e potrebbe valere la pena scrivere loro per ottenere chiarimenti. In ogni caso, digitando riding trousers su Google troverà dall'Inghilterra molte risposte, anche se la maggior parte dei capi è pensata per le donne più che per l'uomo, che conta sempre meno anche in questo mondo. Spero che altri appassionati possano darLe indicazioni più precise. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-09-2008 Cod. di rif: 3895 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il linguaggio della sera - Risp. Gesso n. 3889 Commenti: Egregio signor Limardo, l’insorgere di quella che Lei ha definito “necessità” ed “esigenza fisica”, rivela che è andato piuttosto avanti nella comprensione, se non nella conoscenza, del vestire. Se infatti si guarda l’abbigliamento con la lente dell’amore per i suoi significati e non attraverso la nebbia della cupidigia per la sua materialità, si scopre che è l’unico mezzo per esprimere alcuni livelli di esperienza emotiva ed appartenenza spirituale. Ora Le sembra un po’ meschina una sera non affrontata col dovuto rispetto per le sere che furono e quelle che saranno. E per di più sa anche cosa dovrebbe fare per sentirsi a proprio agio: celebrarla in modo semplice e silenzioso, vestendo in modo da richiamare quegli uomini che crearono il concetto di sera come oggi la intendiamo, lentamente elaborandola da tempo dell’angoscia ancestrale a luogo sociale del piacere. In questo senso vestire, come del resto ogni cosa fatta per bene, è anche una forma di preghiera. Su questo concetto un po’ ostico mi fermo, lo lascio a chi voglia approfondirlo e vado avanti con la risposta. La sera ha molte facce. Romantica o scatenata, cerimoniale o improvvisata, solenne o capricciosa, l’importante nel concetto classico di “sera” è che ogni comportamento vi venga vissuto come “speciale”, in alternanza alle ore diurne o “ordinarie”. E’ come se il concetto di tempo feriale e festivo, più evidente su scala annuale, si riproponga su scala quotidiana. Sentiamo di avere più probabilità di concludere una conquista a cena che a pranzo, proprio come sappiamo che l’estate è stagione di nuovi amori. Ferme restando infinite sfumature, per trovare una strada percorribile dobbiamo semplificare e generalizzare. Dividiamo allora la sera in due grandi categorie, o aspettative: la sera formale e quella emozionale. Dal Suo Gesso mi sembra di capire che per ora Le interessa la prima. La sera formale è quella in cui un velato protocollo ed un’immancabile esclusività alimentano aspettative sociali, cioè in buona sostanza permettono a tutti coloro che intervengano di lavorare all’affermazione del proprio ruolo. In questo caso le parole chiave sono dignità e credibilità, che l’abbigliamento maschile esprimere con inaudita eloquenza in molti modi e su vari piani, così che si possono rivolgere messaggi diversi a strati di cultura ed estrazione diversa. Tale raffinatezza è stata vantata dal settore pubblicitario come una novità messa a punto nel suo ambito, ma la verità e che gli eleganti si esprimono in questo modo da almeno un secolo e mezzo. Se la sera a cui pensa è di questo tipo, si parte dalla camicia bianca con polso a gemelli e scarpa nera di apollinea semplicità e marziale rigore. L’abito potrà essere a uno o due petti, più secondo i gusti che per la corporatura, in quanto entrambe stanno benissimo praticamente a chiunque. I tessuti della sera formale classica sono i cosiddetti “pettinati coperti”, ovvero stoffe importanti nel filato, leggermente follate e con una patina di pelo lasciato senza rasarlo, in modo da assorbire parte della luminosità che un vello di alta qualità tenderebbe ad emanare. La tinta che Le è venuta in mente è il blu? Allora è quella giusta per Lei. In fondo ce ne sono solo tre: grigio, blu e nero. Non sono gradevoli, o almeno non utili agli scopi di una sera formale, tutte disegnature evidenti. Certo, oggi si vedono più righe che ad Alcatraz, ma la nostra lettura istintiva non cambia per così poco. Una riga appena accennata può andar bene, anzi benissimo. Qualche motivo verticale tinta su tinta può addirittura essere il tratto che distingue un barone da un presidente, ma il gessato marcato in occasioni di una certa solennità è da ignoranti, cioè letteralmente coloro che ignorano. I pesi che oggi si trovano più facilmente sono proprio quelli che cerca, piuttosto leggeri anche su materiali dall’apparenza molto composta. Ricordi che già dall’autunno un abito importante non si può portare fuori la sera senza un soprabito altrettanto importante. Se ha sentito l’urgenza di vestire in modo appropriato è per trane soddisfazione. Senza un bel cappotto, quella soddisfazione non giungerà mai o comunque non giungerà completa. Quando abbia intenzione di sorbirsi una discussione anche sulla seconda sera, non ha che da chiedere. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Chianese Data: 27-09-2008 Cod. di rif: 3896 E-mail: aristandro85@hotmail.com Oggetto: pantaloni da equitazione - Risp. Gessi nn. 3893 e 3894 Commenti: Ringrazio molto il Gran Maestro ed il Cavalier Nocera. Cercherò di mettere a frutto i consigli del primo e di imitare la costanza del secondo. Distinti Saluti Giovanni Chianese ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gi Data: 28-09-2008 Cod. di rif: 3898 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: In morte di Newman Commenti: Instancabili ricercatori del bello e del vero, in occasione della morte di Paul Newman, voglio ricordarlo ripresentando in forma originale ed integrale un articolo che scrissi sulla sua figura e stile nel Gennaio dello scorso anno. Un cavalleresco R.I.P. al nostro amato spaccone Giancarlo Maresca ____________ PAUL NEWMAN Lo stile è un algoritmo, un’astrazione resa percepibile dal modo speciale con cui si ripetono numeri, eventi o, nel nostro caso, scelte. E’ una cifra personale, un segreto al contrario, in quanto misterioso per chi agendo lo crea e chiaro per chi guardando lo legge. Spesso non lo conosciamo, perché sappiamo poco di noi stessi, eppure è così evidente che, pensando ad un regalo, anche una persona che abbiamo incontrato da poco ha già qualche buon appiglio per ipotizzare se preferiremo una scatola di cioccolatini o una bottiglia di rhum. Tra le caratteristiche dello stile vi sono infatti l’immediatezza con cui si rivela e la pervasività con cui raggiunge ogni regione della nostra esistenza. Per comprenderne meglio la rilevanza universale, non dobbiamo pensarlo come un’esclusiva umana. Una tigre, un vino, un’azienda, ne esprimono o possono esprimerne uno proprio. Credo che dello stile non vi sia esempio migliore dei fiumi. Alla sorgente, come dire alla nascita, si somigliano tutti. In gioventù, cioè quando si sono fatti un po’ più grossi, rotolano rumorosi e bizzarri, ma contano poco. Quando hanno raccolto tutti gli affluenti, cioè nella maturità, assumono un andamento caratteristico, definitivo. Ciascuno ha la sua velocità, il suo colore, il suo profilo, il suo profumo, la sua fauna e la sua flora. Certi generano anse ed isole, altri vanno dritti per la loro strada. Alcuni sono così importanti e solenni da influenzare vasti ecosistemi, altri restano nascosti. Delle volte si producono in una formidabile cascata ed allora tutto il resto scompare, si dimentica. Accade lo stesso a quegli uomini che hanno compiuto un solo gesto memorabile. E’ come se esso cancellasse tutto il resto. Giustificandolo, riscattandolo, comunque oscurandolo. La loro vita, prima o dopo quell’attimo, resta come invisibile. Parlare dello stile non è fuori luogo, in questa lavagna ad esso intitolata. Ancor meno ora che ci accingiamo a spostare il discorso dagli oggetti ai soggetti. Per qualche puntata, infatti, invece che di gilet e di bottoni, parleremo di uomini. A questo proposito, dello stile era bene chiarire alcuni aspetti che ci permettono di fissare due presupposti: 1) Quello espresso nell’abbigliamento non è tutto lo stile di un uomo, ma una componente tra tante. 2) Proprio come una tessera di un mosaico, le scelte estetiche nel vestire vanno viste insieme alle altre. Tutte sono sistemate secondo un disegno che esisteva prima di esse, o meglio prima che esse assumessero un senso. Ciò significa che l’abbigliamento non determina lo stile, ma ne è determinato. Lo stile personale è diffuso in tutta la storia di un individuo. E’ il codice genetico del comportamento in generale, la vocina che in ogni momento gli ha suggerito come fare, dove andare e quando fermarsi, insomma qualcosa che ha a che fare più col destino che con una cravatta. E per essere più chiari, cominceremo col parlare di un personaggio per cui la cravatta non era affatto importante. Paul Newman. Anche se non è necessario fermarsi ad ogni stazione, è meglio partire dall’inizio. Paul Leonard Newman nasce il 26 Gennaio 1925 in un piccolo paese dell’Ohio. Il padre, ebreo, è un commerciante, ma il drugstore non fa per lui. Parliamoci chiaro, è bellissimo. In cinquanta anni di attività, i suoi occhi non hanno temuto confronti. Beh, uno forse sì: quello di Steve McQueen, classe 1930. L’accostamento è inevitabile, visto che hanno diviso anche la passione per i motori. La ricetta d’arte e di vita di Newman è un po’ meno spettacolare, ma molto più efficace. E’ basata su due ingredienti fondamentali: profondità e coerenza. Allargando il nostro obiettivo anche a James Dean (1931-1955), vediamo che questi usò la sua Porche per entrare nel mito, uscendo però prematuramente da questo mondo. Per lui i motori avevano senso come esagerazione, una via di fuga rivelatasi tragica e definitiva. Per Steve McQueen, che in realtà amò forse più le moto che le auto, furono anche un mestiere, ma soprattutto un piacere. Solo Paul Newman ha portato a casa dei risultati veri. Nel 1979 strappò il secondo posto alla 24 ore di Le Mans, che in quegli anni era una corsa di prestigio assoluto. Un titolo di questo livello non è alla portata dell’improvvisazione, il che ci conferma che metodo e tenacia non gli fecero mai difetto. Dopo l’esperienza della guerra, che certo lo segnò quanto tutta la sua generazione, salta ben presto il piccolo bancone di provincia e nel 1952 si iscrive all’Actor’s studio. Anche il suo approdo al cinema fu quindi studiato a tavolino, non casuale. Un grande attore può interpretare perdenti e vincenti, buoni e cattivi, personaggi reali e fantastici, simpatici ed antipatici, ma al di là di questa superficie si legge in filigrana un solo disegno, un solo modo di essere. Dal gran mare dei personaggi, emerge comunque una sola persona. Tale è la potenza dello stile. Paul Newman ha prodotto e diretto, ma soprattutto recitato, tanti film che ciascuno ne possiede nella memoria una mappa diversa. Il tesoro, però, è uno solo. Generato da tanti fattori, non è più divisibile per essi. Resta un prodotto complessivo, astratto come un conto in banca ed altrettanto efficace. Il mio personalissimo Newman è basato in definitiva su pochi personaggi. Quello che amo più di tutti è il giudice Roy Bean in “L’uomo dai sette capestri” (1972). Nel finale, padre e figlia giocano con le pallottole al posto dei gettoni, incuranti del fatale assedio al Saloon della Bella Lily. Preparata da un’architettura emotiva elaborata e incombente come una cattedrale, ma al tempo stesso imprevedibile e brillante come una barriera corallina, la scena ha una solennità da saga nordica e mostra la vena più toccante di quel mago dell’epica che fu John Houston. Newman, manco a dirlo, è perfetto. Resta credibile, cioè umano, sia quando è il bravo ragazzo che si perde, l’Eddie Felson de “Lo Spaccone” (1961), sia quando è l’anima persa che si riscatta, come l’avvocato Frank Galvin ne “Il verdetto” (1982). Con Butch Cassidy (1969) riesce ad illuminare col più puro romanticismo un eroe maledetto. Ancora a fianco di Robert Redford, scolpisce per la regia di George Roy Hill “La stangata” (1973), storia dove gioco e vendetta sono dosati in modo magistrale. Un caleidoscopio che si rovescia molte volte, rimescolando il disegno a tempo di un ragtime delizioso. Se avrò dei nipoti, sono certo che in questo film apprezzeranno il buon vecchio Newman quasi quanto lo apprezzammo noi, che in un periodo di forti tensioni restammo veramente storditi da tanta armoniosa leggerezza. Paul Newman ha vissuto e recitato divertendosi e divertendo, ma con tutta la forza, tutto il dolore, tutto lo splendore e tutto il mistero della verità. Nessuna moina da divo, nessun ammiccamento da cascamorto. Il suo gesto è così spontaneo da far sembrare che la macchina da presa si sia trovata lì per caso. Ed il sorriso è sempre autentico, a volte luminoso come un’alba, altre struggente come un tramonto. Ho esagerato? Allora gli ho fatto torto, perché è proprio nell’esagerazione che lui non ha mai voluto cadere. Nonostante sia stato sin dagli anni sessanta un colosso dello star system, dal 1958 il suo matrimonio con Joanne Woodward è un esempio unico per Hollywood. Ed ecco che alla fine ci appare il segreto dello stile di Newman: la naturalezza. Ha sempre vestito senza affettazione, senza cercare effetti speciali. La giacca che indossa non vuol dare l’impressione di un capo su misura, non saprebbe che farsene di un bagaglio così ingombrante. Tanta semplicità sembrerebbe condannarlo alla banalità, eppure la grazia dell’autenticità gli permette di giungere a risultati sorprendenti. Su di lui un jeans, una T shirt, un maglione, un giubbino, una tuta da corsa, diventano un paradigma assoluto. Ridotti alla pura funzione, abbinati con essenzialità, producono un’immagine squisitamente virile, giungendo dove nessun artificio avrebbe potuto. Non è il gusto a creare lui, quanto lui a creare il gusto, senza nessuno sforzo. Facendo a meno della raffinatezza di un David Niven e della cura di un Cary Grant, Paul Newman non mostra mai la fatica estetica come un lavoro nobilitante. Quello che porta dentro è anche fuori: solo un Uomo. Gennaio 2007 G.M. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-10-2008 Cod. di rif: 3899 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il trionfo della SHOES ACADEMY Commenti: Irrisolvibili Cavalieri, e instancabili Visitatori, il 19 Settembre ultimo scorso, presso la sala grande del laboratorio artigiano di Peron & Peron sito in Bologna alla Via Galliera n. 24/A, si è tenuta la Seconda Sessione di Shoes Academy nel rispetto del seguente calendario: I Sessione - I MATERIALI - 28.03.08 II Sessione - LE TECNICHE - 19.09.08 III Sessione - GLI STILI - 27.03.09 IV Sessione - USO E MANUTENZIONE - 18.09.09 Da sempre le Academy cavalleresche sono molto curate sia nel programma che nei materiali didattici, ma in questa occasione l’organizzazione dei Peron e dell’Ordine ha superato ogni aspettativa. E’ già difficile credere che si possano riunire circa cento persone, per la maggior parte maschi venuti da altre città d’Italia e dall’estero, per assistere ad una relazione sulla scarpa classica e non ad un’esibizione di giovani ballerine brasiliane. Il numero dei partecipanti e l’obbligatorietà della giacca non hanno svolto un ruolo secondario nella creazione dell’atmosfera. Qualcuno fumava, tanti bevevano champagne, tutti erano a loro agio e si scambiavano strette di mano, biglietti da visita e pareri sulla scarpa e non solo. Prima di cominciare, era già stato colto un grande successo: ristabilire quel clima di libertà e rispetto che i luoghi che vietano il fumo e alimentano la sciatteria non possono generare. La struttura di Peron & Peron in Via Galliera conta su due ampi piani. A quello terreno si trovano i banchetti e i macchinari, insomma la parte creativa, mentre a quello superiore ci sono l’ufficio e una grande sala di accoglienza, dove erano state disposte una sessantina di sedie. Gli altri Accademyci stavano in piedi. Se avessimo voluto disporci tutti intorno al banchetto da calzolaio, solo il primo anello avrebbe potuto vedere qualcosa. I Peron avevano risolto il problema proiettando in diretta sulla parete ciò che nel frattempo avveniva al piano inferiore. Due telecamere riprendevano Simone Peron ed un suo assistente, mentre un regista provvedeva a selezionare ed inviare le immagini al proiettore. Tutti seguivano i tempi e le istruzioni che via microfono giungevano da Bruno Peron, che parlava dalla sala superiore illustrando man mano tutta la costruzione di una scarpa artigianale. Chi ha incontrato il Maestro Bruno Peron lo conosce come persona di illimitata modestia e semplicità. Nel presentare il suo lavoro, il suo mondo, ha sfoggiato una disinvoltura ed un dominio degni di un professionista di prima serata. Alla competenza si sono aggiunti ritmo ed eloquenza, con un risultato trascinante. Niente del genere era mai stato fatto o tentato prima e difficilmente un simile livello potrà essere nuovamente raggiunto, da noi stessi come da altri. Non sarebbe utile verbalizzare il contenuto della relazione, perché cose simili si trovano anche nei libri in commercio. La novità dell’Academy non era nel contenuto, ma nella fruibilità e comprensibilità ottenuta attraverso le immagini e la preparazione di un importante supporto didattico, costituito da scarpe realizzate appositamente e lasciate in diverse fasi di finitura, in modo che il calzolaio potesse mostrare in sequenza tutto il processo ed alcune varianti. Alla fine, alcune domande hanno permesso di chiarire dubbi e appagare curiosità. Si è trattato di un momento prezioso, che ha concesso a tutti i presenti un passo avanti lungo e definitivo nella cultura della scarpa maschile. Forse, però, si può fare ancora qualcosa, rendere fruibile questa esperienza anche a chi non ha potuto essere a Bologna quel giorno. Peron ha già affidato il materiale alla fase di postproduzione, per montare le riprese in un supporto digitale fluido e comprensibile . Ci vorranno comunque dei mesi, ma non disperiamo che nel 2009 la Biblioteca dell’Ordine possa offrire ai ricercatori anche questo prezioso contributo. Arrivederci dunque al 27 marzo 2009, per affrontare la parte più inafferrabile della scarpa: gli stili, gli abbinamenti, i significati l'evoluzione e in sintesi il linguaggio estetico della calzatura maschile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 05-10-2008 Cod. di rif: 3901 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Pulizia e lucidatura delle scarpe rispettandone il colore or Commenti: A volte si acquista un paio di scarpe perché si è attratti dalla sua colorazione. Oppure si fanno realizzare scarpe con sfumature di colore che le rendono particolari. In questi casi su di esse incombe il rischio che la pulizia e la lucidatura delle scarpe, anche se fatta con le migliori creme, possa cambiare definitivamente il colore della pelle, facendogli acquisire la tonalità propria conferita dai pigmenti della crema o del lucido da scarpe. Se la cosa è poco rilevante nei casi di pellami a colorazione uniforme, ove anche mescolando creme di colore diverso non si riesce a ricreare la tonalità originale del pellame, diventa invece molto seccante per quelle scarpe dove abbiamo cercato effetti in chiaro-scuro, o per le quali siamo riusciti ad ottenere dall'artigiano calzolaio le sfumature che desideravamo e che abbiamo inseguito per tanto tempo. Forse è questa una delle ragioni per cui si sono affermate sul mercato della calzatura maschile prevalentemente alcune colorazioni, come il nero o il dark brown. Ma per chi è più attento anche i neri ed i marrone scuro non sono tutti uguali. Proprio per evitare di cambiare la tonalità di nero (non è una bestemmia - anche il nero ha le sue tonalità) o di rosso-cordovan, alcuni marchi prestigiosi di scarpe commercializzano le creme per le loro scarpe direttamente col loro marchio. Posso assicurare che non si tratta di un vezzo: ho verificato personalmente che è bene lucidare le scarpe con i prodotti dello stesso marchio della calzatura. Ma stiamo pur parlando di 2 o 3 marchi famosi. Per tutti gli altri il rischio di inquinamento del colore persiste. Personalmente sono dell'idea che la scarpa vada pulita il più delle volte rimuovendo la polvere con una spazzola e con un panno appena inumidito d'acqua. La scarpa così pulita non ha, generalmente, bisogno d'altro. Mio nonno, calzolaio vissuto in altra epoca, diceva che il contadino lucida le scarpe, mentre il signore le pulisce. Chissà se era vero. L'uso di prodotti di bassa qualità che si trovano comunemente in commercio o persino di marmellate di frutta (come qualche Cavaliere ha scritto), il cui fruttosio e gli zuccheri producono reazioni chimiche che non possono far bene ai pellami, andrebbero sconsigliati su ogni genere di calzature, a maggior ragione se di qualità superiore. Tuttavia ogni tanto la pelle va nutrita ed il colore va rinnovato. Forse non dico nulla di nuovo alla maggioranza dei Cavalieri e dei visitatori, ma voglio correre questo rischio per socializzare una mia recente esperienza con altri appassionati. Sul genere di scarpe che ho indicato, che hanno cioè una colorazione che si intende mantenere inalterata perché costituisce la caratteristica saliente del modello, ho sperimentato un latte detergente per scarpe della Church's. Il prodotto è apparentemente del tutto simile a quelli usati dalle signore per struccarsi. Esso va usato dopo aver pulito la scarpa con una spazzola e con pano di fustagno, o simili, appena inumidito. Ne va usata una quantità minima su un batuffolo di cotone e va steso sulla pelle. Attenzione perché è molto liquido. Occorre lasciar asciugare qualche minuto e poi lucidare la pelle con un panno di lana. Si otterrà così una luminosità calda, con un effetto paragonabile del passaggio di una cera fine sui mobili o su di un pavimento di marmo. Il tutto senza alterare il colore originale di fondo della calzatura. La scarpa non avrà più la brillantezza fredda, inarrivabile, di quando è stata acquistata, ma è inevitabile dopo che essa ha vissuto un po' di tempo con noi e questo non costituirà un difetto, perché è solo con l'uso prolungato che un oggetto così personale ci apparterrà del tutto. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-10-2008 Cod. di rif: 3910 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Un Maestro a Roma - risp. gesso n. 3907 Commenti: Egregio signor Philibert, a Roma Le consiglio senz'altro il Maestro Giovanni Celentano, in grado di soddisfare le Sue esigenze di qualità e personalizzazione. Non è giovanissimo e quindi goda dei suoi servigi sinché è attivo, perché sarti così devoti all'arte ed alla clientela non sono mai stati comuni e ancor meno lo saranno in futuro. Il budget è sufficiente, ma ne parli direttamente con il Maestro: Via di Vallarsa n. 13 - Roma - Tel. 06.818909. Me lo saluti affettuosamente, come cavallerescamente saluto Lei Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 01-11-2008 Cod. di rif: 3915 E-mail: luigi_lucchetti@ragroma.it Oggetto: Impressioni da Londra Commenti: Dio benedica l'ASUS EEE PC Series, un microcomputer con schermo da 7 pollici ed una tastiera di grandezza quasi normale, costato solo 300 euro (meno di un cellulare avanzato), che mi consente di connettermi senza fili e senza costi al Castello dall'hotel vicino alla Cattedrale di S. Paul a Londra, da dove saluto tutti i Cavalieri ai quali riporto alcune mie impressioni. In giro per le vie del centro della città ove, in poche centinaia di metri (Jerrmyn Street, Regent Strett, Savile Row e poche altre strade limitrofe), si concentrano i negozi che maggiormente possono interessare la nazione cavalleresca, ho trovato molte conferme e qualche sorpresa. Anzitutto nelle sartorie di Savile Row sembra di gran voga la giacca ad un bottone, come quelle della sartoria Rubinacci di cui ho visto, grazie sempre a microcomputer Asus, un esempio nel Taccuino. Per il resto tante conferme, soprattutto dal lato dei soprabiti (Crombie e cappotti di cashemire blu sembrano di gran voga, come quelli realizzarti con i classici tessuti a quadri della tradizione scozzese ed inglese). Ma oltre all'abbigliamento, per quanto mi riguarda il vero motivo per cui vale la pena di fare un giro a Londra sono le profumerie, ove si trova la scelta più vasta di articoli per la barberia che un cavaliere possa desiderare e le scarpe, per la concentrazione di negozi di ottima qualità che vi si trova. Nessun altro posto al mondo può competere col centro di Londra quanto a rapporto qualità/tempo per lo shopping, soprattutto se avete la sventura di essere accompagnati da una signora che, per quanto paziente, non regge al tempo necessario che richiede un esame minuzioso dei dettagli che un cavaliere dedica all'acquisto. Fortunatamente la cosa è reciproca e un buon marito, da quel lato, avrà opportunamente maturato un congruo credito. Sul ready to wear, i prezzi dell'abbigliamento nelle sartorie di Savile Row mi paiono esagerati in rapporto alla qualità dei prodotti, ancorché molti abbiano comunque un certo fascino e siano praticamente introvabili in Italia. I prezzi del su misura sono addirittura stratosferici, soprattutto se messi in relazione col risultato finale, non esente da qualche critica, e con le alternative di casa nostra. Resta il grande piacere di visitare negozi dei quali, almeno nella città dove vivo (Roma), non si trova ormai più alcun eguale. Per le scarpe invece la qualità del pronto è elevata. I prezzi anche, ma almeno non si potrà dire che vi sono così tante alternative nazionali a prezzi migliori. E' vero che in Italia abbiamo artigiani i cui prodotti possono competere con quelli delle marche storiche inglesi, ma si tratta di realtà molto piccole ed ormai purtroppo quasi in estinzione. Le mie preferenze, parlando sempre del pronto, sono per le Edward Green, per i modelli in vendita da News And Lingwood (non per quelle in cuoio di Russia, che di straordinario hanno, a mio sommesso parere, solo il pellame utilizzato per la tomaia, che ove possibile acquistarlo, farei realizzare da un artigiano italiano su altre forme) e per le John Lobb. Per quanto ho potuto constatare, decisamente insufficiente mi pare la camiceria inglese. Prezzi abbordabili o in linea con quelli della migliore produzione nostrana, ma prodotti scadenti, soprattutto per quanto riguarda il taglio. Da evitare, a mio parere, il cachemire, non tanto per la qualità del filato, quanto per la confezione del prodotto, troppo spesso di buono e ben fatto, ma meno bello di quello realizzato dalle migliori case italiane. Tutte impressioni opinabilissime, ma è il mio punto di vista su quanto ho potuto constatare sul campo e vi consegno. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 01-11-2008 Cod. di rif: 3917 E-mail: luigi_lucchetti@ragroma.it Oggetto: Risposta al Cav. Carnà Commenti: Egregio cav. Carnà, la ringrazio per i suggerimenti. Che combinazione! Proprio ieri ho acquistato una crema da barba alla mandorla. E proprio oggi pomeriggio mi sono imbattuto casualmente nel negozio di scarpe da lei segnalatomi. Purtroppo era in chiusura e non ho potuto apprezzare i prodotti toccandoli con mano. Sarà per la prossima volta. Cavallereschi saluti. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 05-11-2008 Cod. di rif: 3920 E-mail: luigi.lucchetti@rag-roma.it Oggetto: Passeggiata per Londra Commenti: Ringrazio il Cavalier Balbo per i preziosi suggerimenti. Leggo purtroppo solo ora, che sono rientrato a Roma, il suo post. Sono stato stregato da Londra 25 anni fa. Ora però ne ho 50 ed il gusto si è, col tempo, affinato. Penaligon's s Regent Street aveva in corso una vendita straordinaria per soli 3 giorni con prezzi ridotti del 50%. Tra la lettura dei cartelli sulla vetrina e l'entrata nel negozio sono passati solo 4 o 5 secondi. Da Geo F. Trumper in Curzon Street ho acquistato alcune colonie ed alcuni after shave. Per la verità la parte della grande profumeria inglese si può trovare anche a Roma, nella profumeria Muzio in Via Emanuele Orlando (di fronte al Grand Hotel) e da Materozzoli, in Piazza S. Lorenzo in Lucina. Ma il calore del negozio di Curzon Street è infinitamente più appagante della visita a questi magazzini romani (specialmente il primo). Molto piacevole questo scambio sul blog del Castello. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Tancredi Valerio Sergio Torquato Virgilio Lucii Data: 17-11-2008 Cod. di rif: 3923 E-mail: bobberone@alice.it Oggetto: sciarpa dell'ordine Commenti: Sono rimasto stregato dalla sciarpa dell'ordine che sarà consegnata a Wiesbaden, cui però non potrò partecipare, come posso fare per averla? Cavallerescamente suo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-11-2008 Cod. di rif: 3924 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La sciarpa dell'Ordine Commenti: Egregio signor Lucii, in effetti la sciarpa dell'Ordine è spettacolare, ma mi imbarazza doverLe dire che si tratta di n segno distintivo dell'Ordine e come tale riservato ai suoi membri. Se la sua emissione è stata comunicata anche ai Simpatizzanti come Lei, non è certo per venderne qualche esemplare, bensì nello spirito di una parziale partecipazione della nostra attività anche all'esterno. Se non tenessimo aperte delle finestre attraverso cui altre persone, seppur non tutte indiscriminatamente, possono scorgere uno spaccato della sua vita reale, l'Ordine apparirebbe come una società virtuale o una setta che si riunisce in qualche catacomba. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-11-2008 Cod. di rif: 3925 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Allacciatura dei pantaloni - Risp. Gessi nn.3921 e 3909 Commenti: Egregio signor Fontana, Illustre Cavaliere Villa, chiudere i pantaloni è un lavoro complesso, uno sforzo progettuale che richiede il massimo impegno nel rapporto triangolare cliente/sarto/prodotto. Vi sono molte soluzioni accreditate dalla tradizione e diverse esigenze tecniche. Il prodotto di queste variabili, ulteriormente moltiplicato per gli “ambienti” stilistici, genera una serie infinita di risposte pratiche, la cui realizzazione è sempre al di sotto della perfezione. Insomma, non esiste un metodo definitivo. Forse non esiste ancora, forse non può esistere, di sicuro non può essere unico per tutti i clienti e tutti i pantaloni. Cambiando corporatura, stile di vita e tipologia di abbigliamento, il che accade sia allo stesso uomo man mano che l'età avanza, sia a uomini di identica età e differenti gusti, anche la chiusura ottimale dei pantaloni si orienta verso scelte diverse. Le principali esigenze tecniche dell'allacciatura dei pantaloni sono le seguenti: 1) Sostenere i pantaloni e bloccarli in un punto preciso, 2) Mantenere equilibrato l’appiombo, cioè evitare rotazioni verso avanti o dietro che guastino la caduta come progettata in sede di taglio 3) Ancorare il più possibile la camicia 4) Raccordarsi all’abito 5) Resistere a situazioni di forte stress 6) Offrire la disponibilità di volumi di riserva Le principali soluzioni della tradizione, solo per quanto riguarda la soluzione del fondamentale problema cui abbiamo assegnato il n. 1), sono: 1.A.) Allacciatura a lembi sovrapposti 1.B.) Allacciatura a cinturino frontale 1.C.) Regolazione con fibbia posteriore 1.D.) Regolazione con fibbie laterali 1.E.) Regolazione con doppio bottone anteriore I principali fenomeni stilistici la cui tipicità estetica influisce sulle soluzioni sono: A) Pantaloni da spezzato B) Pantaloni da completo C) Presenza del gilet D) Assenza della giacca E) Ambiente cerimoniale, formale, informale, sportivo, sportivo attivo Spetta al cliente, che conosce il destino del capo, enunciare una formula che tenga presenti anche le abitudini e le capacità della sartoria. Poiché i termini sono due: committente e artigiano, la soluzione corretta è la più coerente ai problemi specifici, assunta tra quelle genericamente attuabili dal maestro. In conclusione, il menu non si limita alla semplice scelta tra linguetta o lembi sovrapposti, né i problemi finiscono con la distinzione tra uso della cintura e delle bretelle. Considerate le diverse variabili tecniche, stilistiche ed estetiche, ciascuno può trovare una combinazione adeguata alle proprie esigenze e provare a farla realizzare. L’importante è rendersi conto che non si tratta solo di mettere o togliere un cinturino. La chiusura dei pantaloni non riguarda solo questo dettaglio e nemmeno la sola parte anteriore del pantalone. Comprende tutta la cintura, esternamente ed internamente, imbottiture comprese. A solo titolo di esempio, cito alcuni dettagli possibili: cucitura posteriore aperta o chiusa; cinturini laterali, frontali, posteriori o assenti; pancierina in fodera o asola in tessuto; zip o bottoni; bottoni per bretelle interni o esterni; guarnizione interna in cotone da camicia, in fibra sintetica ad alto grip o in fodera semplice; cintura più o meno montata posteriormente; numero, altezza, larghezza e posizione dei passanti, ovvero loro assenza. Etc… Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-11-2008 Cod. di rif: 3927 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due teorie sul classico? - Al signor Pugliatti Commenti: Egregio signor Pugliatti, nella bella ed originale serie di Appunti dal 4165 al 4167 sul tema “The Man in Hataway Shirt”, Lei propone una tesi che accetta la ricostruzione del passaggio epocale dall’homo Elegans all’Uomo delle Palestre (o Homo Gymnicus, come qualche attento commentatore lo ha ribattezzato), ma fa risalire il compimento del ciclo ad una data anteriore a quella sinora accettata. Ricostruiamo i termini della questione. I ricercatori che seguono la citata teoria, così come da me stesso proposta qui al castello, ritengono che l’ingresso in una nuova era sia avvenuto all’inizio degli anni ’80. Come riferimento simbolico, si colloca la fine del dominio dell’Elegans al Gennaio 1981, quando il Presidente Reagan giurò come Presidente degli Stati Uniti d’America. Lei sostiene che l’anno di transizione sia il 1967 e quindi il 1966 l’ultimo anno di regno della nostra cultura, civiltà o razza, secondo il nome che vogliamo darle o l’ambito in cui ne parliamo. Naturalmente questa è una perorazione della mia causa, ovvero della mia teoria, ma come Lei ne accetta l’impianto io non intendo controbattere le Sue affermazioni sostenendone l’erroneità. La differenza tra le due conclusioni è infatti riferita al punto di vista, più che al contenuto. Lei prende in considerazione esclusivamente il lato estetico e segnatamente l’abbigliamento, riguarda al quale non v’è dubbio che gli anni da Lei indicati sono gli ultimi in cui il mondo classico, quello creato dall’Homo Elegans, si manifesta con piena proprietà di linguaggio. Voglio però sottolineare che la teoria del Classico non si limita al vestire e coinvolge tutto il modo di essere dell’uomo (e della donna), tutto ciò che è, fa e soprattutto desidera. La datazione da me proposta considera come data di inizio il momento in cui il Classico, assume il potere e come data di fine quello in cui, pur restando un linguaggio comprensibile, cessa di essere quello dominante. Quello che deve mutare perché si possa parlare di un effettivo cambiamento non è solo un’estetica, la quale in verità si era già avvicendata varie volte in piena età classica, ma una scala di valori assoluti. In definitiva non solo i segnali, ma l’intero contenuto. Orbene, un uomo che li ha vissuti in pieno può dirLe con sincerità e certezza che gli anni ’70 furono ancora anni di intensa idealità. Mentre l’Homo Gymnicus è materialista e definitivamente quantitativo, tutti gli anni ’70 si distinsero per passione politica, artistica, insomma per un estremismo che era chiaramente la fine di un’epoca e non l’inizio di un’altra. E’ vero, il giovanilismo era già una realtà, ma il legame era fondato sull’amicizia, su un senso di eguaglianza, non su un riconoscimento di tipo tribale come è avvenuto in seguito. Importantissime istanze del mondo classico, come la parsimonia o il matrimonio, erano ben vive nel costume, che in pratica è la legge morale in vigore. Le ricordo la partecipata emozione con cui fu seguito il referendum sul divorzio del 14 Maggio 1974. L’esito non era scontato e si recarono a votare l’88 % e più degli aventi diritto. Solo cinque anni dopo , usciti dagli anni di piombo, avrebbe fatto ridere solo proporlo. Il lusso era una parola poco usata ed i suoi simboli irrisi in misura maggiore di quanto non fossero agognati, esattamente al contrario di quanto avvenne col nuovo corso. E’ su queste considerazioni generali che si fondano le mie conclusioni. L’abbigliamento, influenzato dal giovanilismo e dalla preponderanza di quella cultura musicale che all’epoca toccò i vertici più alti per partecipazione e qualità, agli occhi classici precipitò come e quando Lei afferma, ma i fondamentali resistettero ancora un po’. Non dobbiamo dimenticare che all’interno dello stesso classico il vero motore è il desiderio di libertà, di espressione completa, nell’escogitare soluzioni che pur nell’osservanza di un limite lo spostassero ad ogni cinque o dieci anni. Anche se i giovani avevano vinto a Woodstock ed a Saigon, sino a tutti gli anni ’70 le diverse età dell’uomo resistevano. C’erano i locali per giovani , ma anche quelli per i non più giovani. Ambienti separati, come in qualche modo era sempre stato. La sottomissione ad un sol gusto era ancora di là da venire, anche se poi sarebbe venuta presto ed in fretta. C’era inoltre un’etica che andava al di là delle fedi politiche, un codice di comportamento antico e complesso che sarebbe stato abrogato dall’entrata in vigore di un’unica legge, quella dello show e del possesso, insomma di un’apparenza elevata al vertice del desiderabile che in verità negli eskimo dei movimenti studenteschi non si riscontra. Qualcosa si era già mosso in quella direzione, ma fu con l’ottimismo reaganiano, con la nascita dei leasing e la moltiplicazione delle finanziarie, insomma con lo yuppie, che il tutto-e-subito divenne possibile, anzi scontato. Ed è proprio lì e solo allora che possiamo parlare di un autentico e globale sovvertimento, non limitato al modo di far colpo su una ragazza o su un cliente. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-11-2008 Cod. di rif: 3929 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La giusta causa - Risp. gesso n. 3928 Commenti: Egregio signor Pugliatti, già concordavo pienamente con la Sua ricostruzione ed anzi La ringrazio di aver aggiunto altro materiale e nuovi spunti di riflessione alla ricerca che conduciamo qui al castello. Il Suo chiarimento contribuisce a alla comprensione degli ultimi due o tre lustri del dominio dell'Elegans, uno straordinario periodo in cui la gestazione del nuovo e la demolizione del vecchio avvennero ad un ritmo serrato. Fu un rogo così caldo e abbagliante che ancor oggi è difficile distinguere tutto ciò che vi ardeva. Di certo alcune istanze si incenerirono presto, mentre altre avrebbero sostenuto col loro fuoco la trasformazione del mondo. Noi che apparteniamo alla "vecchia gestione" dobbiamo astenerci da giudizi nati frettolosamente dal desiderio di rivincita o dalla nostalgia, che sono sempre cattive consigliere. Le sole considerazioni valide sono quelle motivate da una fede coerente e basate sulla conoscenza dei fatti. I vinti che criticano i vincitori sono sempre patetici, mentre chi fonda il proprio pensiero su un metodo serio e su una morale chiara non lo è affatto, anche se talvolta finisce per dover sorbire la cicuta. E' innegabile che noi si avverta l'Uomo delle Palestre come un nemico, ma al di là di qualsiasi muraglia ci sono sempre degli invasori e chiamarli barbari non ha aiutato nessun Impero. Lo scopo cavalleresco, che Lei condivide, è quello di difendere ciò che resta di un uomo basato sulla dignità contro quello basato sulla gioventù. Già individuare questa differenza, le sue origini, le correnti che attraversarono e generarono i cambiamenti, non è cosa da poco. Mai come oggi l'uomo ha avuto bisogno di pensiero. Si può allora essere orgogliosi di essere tra i primi, se non i primi in assoluto, a produrre dei risultati teorici accettabili sotto ogni profilo sociologico e storico pur conducendo un'analisi basata su linguaggi non verbali. Altri siti dedicati all'abbigliamento, come anche le riviste di settore, sembrano greggi di pecorelle che brucano in una valle di cui non conoscono la geografia, perché non si sono mai azzardati a salire in alto, dove fa più freddo e l'erba scarseggia. Non sono nemici, né concorrenti, ma nemmeno aiutano la giusta causa, che è da sempre quella della Conoscenza. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-11-2008 Cod. di rif: 3931 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Caos cosmico - Risp. Gesso n. 3930 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, Antonio Mola, come tutti i miei pantalonai e sarti, aveva istruzione di cucire in croce i bottoni a vista, per gli altri ha scelto lui. Inoltre, dimenticava spesso di applicare quelli per le bretelle, così doveva pensarci il sarto, quindi un'altra mano. Bisogna infine considerare che la veneranda età del capo avrà potuto far sì che si rendesse necessario ricucire uno o più bottoni, con l'intervento di una terza mano. Ecco spiegato quel caos cosmico, che in verità non mi preoccupa affatto ed anzi arricchisce di storia un lino che ne era già carico quando venne cucito. Di qualità e peso ormai irreperibili, faceva parte di un lotto acquistato già vecchio negli anni '80 e di cui fortunatamente (e provvidamente) conservo ancora diversi tagli. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 30-11-2008 Cod. di rif: 3933 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Il profetico cavalier Pugliatti Commenti: Va dato atto al Cavalier Carmelo Pugliatti di aver colto in anticipo una tendenza a passare alla giacca a due bottoni con punte lancelolate. Vi invito a rileggere il gesso n° 3091 del 27 aprile 2007 e confrontarlo con quello che oggi si vede sulle riviste e nelle vetrine, non solo italiane. Cavallereschi saluti. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 06-12-2008 Cod. di rif: 3935 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Collezione tessuti vintage Commenti: Egregi Cavalieri, baldanzosi Scudieri, signori simpatizzanti e visitatori del Castello, in anteprima per la nazione cavalleresca riferisco che ho rilevato, direttamente dalle figlie e nell'appartamento ove è vissuto sino alla sua scomparsa, tutto il magazzino di rimanenze di tagli di stoffe della sartoria di Salvatore Trio, nativo di Milazzo e uno dei più grandi e noti sarti italiani, attivo in Torino sino al 1990. Si tratta di una collezione ci circa 250 tessuti per abiti completi, giacche, soprabiti, di manifatture italiane ed inglesi, di altissima qualità, il cui stato di conservazione è perfetto e garantito. La gran parte di questi tessuti resteranno a far parte della mia costituenda privata collezione di stoffe vintage. Una parte sarà messa a disposizione dell'Ordine, per la costituzione di un piccolo museo della storia del costume e dell'arte sartoriale, nel caso il Gran Maestro ed il Rettore ritenessero di avventurarsi in questo progetto. Un ristretto numero di capi sarà invece messo in vendita a prezzi irrisori, non certo per ragioni di lucro, ma solo per recuperare, quanto meno parzialmente, le spese sostenute per acquisire questa, oserei dire unica, collezione. A voi, dunque, il privilegio di acquisire per primi alcuni di questi tagli. A titolo di esempio ho provveduto ad inserirne pochissimi in vendita su ebay. Nella stringa di ricerca inserite le parole "Tessuto Sartoria". Tutti gli altri che intendo vendere non saranno pubblicizzati se non offerti prima in opzione ai Cavalieri, agli scudieri ed ai simpatizzanti. A tale riguardo è allo studio la preparazione di una riunione conviviale presso la sartoria Celentano di Roma per offrirli in visione riservatamente alla nazione cavalleresca, anche per i prezzi, particolarmente vantaggiosi, che vi saranno riservati. Chi fosse interessato mi può contattare il privato all'indirizzo studiol.lucchetti@libero.it. Ricordo che sono un cavaliere di Roma. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 19-12-2008 Cod. di rif: 3939 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Sempre su eleganza e coerenza Commenti: Molto stimolanti le riflessioni del Rettore De Paz e del Cavalier Villa. Offrono l'occasione per l'approfondimento di temi dalle molte sfaccettature, che non di rado interessano la speculazione cavalleresca. Una, in particolare, m'interessa. E cioè se è dalla personalità che derivano le mie scelte e, dunque, queste ultime son rivelatrici della personalità, o se invece è a partire dall'affinamento del gusto che si modella la personalità. Come alcuni sapranno, perché l'ho dichiarato su queste colonne, sono in particolare interessato alle scarpe. Ma ritengo che sia più importante il camminare che la scarpa con la quale cammino. Così nel vestire, ritengo che la preminenza vada accordata al contenuto, piuttosto che al contenitore. A mio modo di vedere è la personalità che determina il nostro modo di vestire, per quanto ci si sforzi di educare il nostro gusto. Dunque, riesaminata la questione della coerenza alla luce della preminenza della personalità sull'esteriorità dell'abito che indossa la PERSONA, la complessità delle infinite combinazioni di caratteristiche personali che rendono ciascun uomo unico, potrebbe portare a vestirsi in modi apparentemente incoerenti, ancorché sempre eleganti. Cos'è dunque l'eleganza nel vestire, se non il denominatore comune di diversi stili di vestirsi e, dunque, di rappresentarsi? All'occhio superficiale una persona che vesta a volte in modo formale, altre in modo informale, ma comunque sempre elegante, potrà apparire incoerente, perché lo vedrà in certe occasioni con l'abito blu ed in altre con uno spezzato che, nel grigiore dominante, potrà apparire alquanto vistoso, ancorché pienamente nei canoni dell'eleganza come noi la intendiamo. La coerenza andrà pertanto cercata non tanto nell'incostanza della rappresentazione esterna del suo contenitore, quanto nell'eleganza di questo o, più ancora, nel disincanto col quale la PERSONA indossa l'uno o tal'altro abito, in modo che in chi osserva prevalga l'idea di ciò che è nella mente dell'indossatore, più che sulle sue spalle. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 19-12-2008 Cod. di rif: 3940 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Imperdonabilmente dimenticavo ... Commenti: ... di salutare cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-12-2008 Cod. di rif: 3941 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sarti a Genova - Risp. gesso n. 3938 Commenti: Egregio signor Pratelli, pur avendo esplorato laboratori in molte regioni d'Italia, non ho mai visitato una sartoria a Genova. Non posso quindi offrirLe un parere costruito sull'osservazione diretta, ma mi sono preso un po' di tempo per raccogliere informazioni. L'estetica maschile genovese è sobria, fortemente influenzata da uno stile inglese piuttosto puro nel suo rifuggire dagli estremismi e dalle tendenze in favore della tradizione e della misura. Sembra che i genovesi si servissero con buon successo da ANTONIO CAROZZO, Via S. Vincenzo n. 46 - Tel. 010.565303 Questo nominativo è scomparso dalle scene ufficiali e probabilmente il Maestro è in pensione. Vale la pena esperire comunque un tentativo, in quanto affidabili clienti me lo hanno descritto cortese come uomo e disponibile come artigiano. Un altro laboratorio che a naso metterei in cima alla lista per la chiara fama, l’antica tradizione e l’esigente clientela è MARINELLI, Piazza Savonarola n. 3 – Tel. 010.562842 Affermatissimo nome, che non è difficile udire anche fuori dalla città, è poi quello di GINO COVINO, Via di Scurreria, 6 – tel. 010.2468404 Non si può chiudere questa carrellata senza citare anche un altro maestro di riferimento, anche se ha fama di essere un po’ caro: PINO BLEVE, Via XX Settembre n. 18 II Piano – tel. 010.593834 Infine un nome pervenutomi con qualche riserva, sempre comunque da verificare. Si tratta della sartoria-negozio di TOMMASO RUGGERI, Via Cassa di Risparmio n. 14 - Tel. 010.2476156 Spero tra queste strade trovi la Sua e per il momento Cavallerescamente la saluto Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2008 Cod. di rif: 3942 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'alba della leggerezza, quando si chiamava velocità Commenti: Egregi Visitatori, la fisicità giovanile come compendio del desiderabile, il dinamismo come contenuto e non come modalità, il nuovo come sinonimo del bene, tutti questi postulati della leggerezza come progetto universale, cioè del distacco dalla tradizione come unica forma possibile di progresso, ebbero degli illustri anticipatori. Leggendo il Manifesto estetico che riporto in calce e che risale al 1914, troviamo molte istanze oggi dilaganti e che all'epoca restarono il credo di minoranza, per il solo fatto di essere enunciate in anticipo sui costumi. Ecco la dimostrazione che, se valutata coi numeri, la differenza tra torto e ragione è solo questione di tempo. Se invece si esaminano il merito, il peso e la qualità delle idee, si giunge a conclusioni durevoli. Balla aveva torto allora quanto i suoi epigoni oggi, cioè per gran parte, ma leggerlo dopo un secolo è di incredibile interesse. Vi si trova tutto il programma postmoderno: dalla rapida obsolescenza dei beni alla dittatura dell'igiene. Prima ancora di esserci veramente, la gioventù obbligatoria e l'allegria come dovere sociale appaiono già come finiranno: in una caricaturale violenza. Buona cavalleresca lettura Giancarlo Maresca IL VESTITO ANTINEUTRALE L'umanità si vestì sempre di quiete, di paura, di cautela o d'indecisione, portò sempre il lutto, o il piviale, o il mantello. Il corpo dell'uomo fu sempre diminuito da sfumature e da tinte neutre, avvilito dal nero, soffocato da cinture, imprigionato da panneggiamenti. Fino ad oggi gli uomini usarono abiti di colori e forme statiche, cioè drappeggiati, solenni, gravi, incomodi e sacerdotali. Erano espressioni di timidezza, di malinconia e di schiavitù, negazione della vita muscolare, che soffocava in un passatismo anti-igienico di stoffe troppo pesanti e di mezze tinte tediose, effeminate o decadenti. Tonalità e ritmi di pace desolante, funeraria e deprimente. OGGI vogliamo abolire: 1. - Tutte le tinte neutre, "carine", sbiadite, fantasia, semioscure e umilianti. 2. - Tutte le tinte e le foggie pedanti, professorali e teutoniche. I disegni a righe, a quadretti, a puntini diplomatici. 3. - I vestiti da lutto, nemmeno adatti per i becchini. Le morti eroiche non devono essere compiante, ma ricordate con vestiti rossi. 4. - L'equilibrio mediocrista, il cosidetto buon gusto e la cosidetta armonia di tinte e di forme, che frenano gli entusiasmi e rallentano il passo. 5. - La simmetria del taglio, le linee statiche, che stancano, deprimono, contristano, legano i muscoli; l'uniformità di goffi risvolti e tutte le cincischiature. I bottoni inutili. I colletti e i polsini inamidati. Noi futuristi vogliamo liberare la nostra razza da ogni neutralità, dall'indecisione paurosa e quietista, dal pessimismo negatore e dall'inerzia nostalgica, romantica e rammollante. Noi vogliamo colorare l'Italia di audacia e di rischio futurista, dare finalmente agl'italiani degli abiti bellicosi e giocondi. Gli abiti futuristi saranno dunque: 1. - Aggressivi, tali da moltiplicare il coraggio dei forti e da sconvolgere la sensibilità dei vili. 2. - Agilizzanti, cioè tali da aumentare la flessuosità del corpo e da favorirne lo slancio nella lotta, nel passo di corsa o di carica. 3. - Dinamici, pei disegni e i colori dinamici delle stoffe, (triangoli, coni, spirali, ellissi, circoli) che ispirino l'amore del pericolo, della velocità e dell'assalto, l'odio della pace e dell'immobilità. 4. - Semplici e comodi, cioè facili a mettersi e togliersi, che ben si prestino per puntare il fucile, guadare i fiumi e lanciarsi a nuoto. 5. - Igienici, cioè tagliati in modo che ogni punto della pelle possa respirare nelle lunghe marcie e nelle salite faticose. 6. - Gioiosi. Stoffe di colori e iridescenze entusiasmanti. Impiegare i colori muscolari, violettissimi, rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, arancioooni, vermiglioni. 7. - Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità in un'assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove, e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi. 8. - Volitivi. Disegni e colori violenti, imperiosi e impetuosi come comandi sul campo di battaglia. 9. - Asimmetrici. Per esempio, l'estremità delle maniche e il davanti della giacca saranno a destra rotondi, a sinistra quadrati. Geniali controattacchi di linee. 10. - Di breve durata, per rinnovare incessantemente il godimento e l'animazione irruente del corpo. 11. - Variabili, per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, di ampiezza, spessori, disegni e colori diversi) da disporre quando si voglia e dove si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Ognuno può così inventare ad ogni momento un nuovo vestito. Il modificante sarà prepotente, urtante, stonante, decisivo, guerresco, ecc. Il cappello futurista sarà asimmetrico e di colori aggressivi e festosi. Le scarpe futuriste saranno dinamiche, diverse l'una dall'altra, per forma e per colore, atte a prendere allegramente a calci tutti i neutralisti. Sarà brutalmente esclusa l'unione del giallo col nero. Si pensa e si agisce come si veste. Poiché la neutralità è la sintesi di tutti i passatismi, noi futuristi sbandieriamo oggi questi vestiti antineutrali, cioè festosamente bellicosi. Soltanto i podagrosi ci disapproveranno. Tutta la gioventù italiana riconoscerà in noi, che li portiamo, le sue viventi bandiere futuriste per la nostra grande guerra, necessaria, URGENTE. Se il Governo non deporrà il suo vestito passatista di paura e d'indecisione, noi raddoppieremo, CENTUPLICHEREMO IL ROSSO del tricolore che vestiamo. 11 settembre 1914 G. Balla ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2008 Cod. di rif: 3943 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Venti anni dopo - Futurismo e regime estetico Commenti: Egregi Visitatori, all'Appunto precedente abbiamo riesumato un saggio non certo ignoto, eppure meritevole di una certa riflessione alla luce dei significati che può assumere quando messo a confronto con le estetiche attuali. E' facile constatare come le premesse ideologiche appaiano in larga misura coincidenti. Ma dove portano? La storia, come sempre generosa ed incompresa, ci fornisce una risposta. Venti anni dopo l'esternazione di Balla sul vestito antineutrale, eccone un'altra firmata dallo stesso Marinetti, colui che aveva avviato il movimento futurista nel 1909. Tra un centinaio di manifesti futuristi, questo è pertinente all'oggetto della Lavagna perché cerca, come il precedente, di invadere la sfera dell'estetica del vestire. Anche se Marinetti non lo venne mai a sapere, si tratta di un campo più antico e più complicato della pittura ed un artista ci si muove non tanto come un albatro sulla terra ferma, quanto come un cieco in autostrada. Torniamo dunque al destino di questo movimento dall'apparenza così dinamica. Solo venti anni dopo, nel 1933, il potere che sembrava suo nemico ne diventa ispiratore, se non padrone. Il fascismo ne accoglie alcune parole e in cambio gliene fornisce tante, sino a farne una sua grancassa da parata. Vi lascio dunque in compagnia di un Filippo Tommaso Marinetti che urla un'Italia che meno italiana non si può, priva di chiari di luna, di sfumature e di sentimento. Spero possa essere un esempio di come i proclami sulla libertà siano la cosa meno libera, quelli sulla giustizia la cosa meno giusta e quelli sull'estetica - che qui ci riguardano - la cosa meno bella che esista. Buona cavalleresca lettura Giancarlo Maresca IL MANIFESTO FUTURISTA DEL CAPPELLO ITALIANO La desiderata e indispensabile rivoluzione dell'abbigliamento maschile italiano fu iniziata 1'11 settembre 1914 col celebre manifesto firmato dal grande pittore futurista Giacomo Balla: «Il vestito antineutrale». Questo vestito sintetico, dinamico, agilizzante con parti bianche parti rosse e parti verdi fu indossato dal parolibero futurista Francesco Cangiullo nelle dimostrazioni patriottiche seguite da violente battaglie di piazza e relativi arresti, che i futuristi romani, guidati da Marinetti, scatenarono contro i professori neutralisti nell'università di Roma (11-12 dicembre 1914). Riprendiamo la testa della rivoluzione dell'abbigliamento noi futuristi, sicuri di questa nostra vittoria garantita dall'ormai provata potenza creatrice della nostra razza. Mentre prepariamo il manifesto integrale che sarà firmato dai futuristi specialmente incaricati, lanciamo oggi quello particolare del cappello italiano. Il primato mondiale del cappello italiano è stato per molto tempo assoluto. Recentemente, per esterofilia e per mal intesa igiene, molti giovani italiani adottarono l'uso americano e teutonico della testa nuda. La decadenza del cappello, che impoverì il mercato e il vario perfezionamento, danneggiò l'estetica maschile amputando le sagome, sostituendo alla parte avulsa la cretinissima selvaggeria delle zazzere più o meno aggressive, più o meno virili e più o meno dotte. I combattenti che superarono in eroismo i romani a Vittorio Veneto, nelle piazze squadriste d'Italia e nella Marcia su Roma, non debbono plagiarne la foggia culturale a distanza di secoli e in un clima certamente mutato. I giovani sportivi italiani vincitori a LosAngeles debbono ancora vincere anche questo vezzo barbaro che deriva da un sentimentalismo storico balordo. Affermando quindi la necessità estetica del cappello: 1. Condanniamo l'uso nordico del nero e delle tinte neutre che danno alle strade delle città di pioggia neve nebbia la fangosa melanconia ferma o precipitante di enormi tronchi pietroni e tartarughe travolti da un torrente marrone. 2. Condanniamo i vari copricapo passatisti che stonano con l'estetica la praticità e la velocità della nostra grande civiltà meccanica, come ad esempio il presuntoso cilindro che vieta il passo di corsa e calamita i funerali. D'agosto, nelle piazze italiane allagate di abbagliante luce e torrido silenzio, il cappello nero o grigio del passante galleggiano tristi come sterchi. Colore! Occorre colore per gareggiare con il sole d'Italia. 3. Proponiamo la funzionalità futurista del cappello che fino ad oggi servì poco o niente all'uomo e che d'ora innanzi dovrà illuminarlo, segnalarlo, curarlo, difenderlo, velocizzarlo, rallegrarlo, ecc. Creeremo i seguenti tipi di cappello che mediante perfezionamenti estetici igienici e funzionali servano, completino o correggano la linea ideale maschile italiana con accentuazione di varietà, fierezza, slancio dinamico, liricità dovuti alla nuova atmosfera mussoliniana: 1. Cappello veloce. (Per l'uso quotidiano); 2. Cappello Notturno. (per serata).; 3. Cappello sfarzoso. (Per parata); 4. Cappello aero-sportivo; 5. Cappello solare; 6. Cappello piovo; 7. Cappello alpestre; 8. Cappello marino; 9. Cappello difensivo; lO. Cappello poetico; 11. Cappello pubblicitario; 12. Cappello simultaneo; 13. Cappello plastico; 14. Cappello tattile; 15. Cappello luminoso - segnalatore; 16. Fonocappello; 17 Cappello radiotelefonico; 18. Cappello terapeutico (resina, canfora, mentolo, cerchio moderatore di onde cosmiche); 19. Cappello autosalutante (mediante sistema dei raggi infrarossi); 20. Cappello genializzante per i fessi che criticheranno questo manifesto. Saranno confezionati in feltro, velluto, paglia, sughero, metalli leggeri, vetro, celluloide, agglomerati, pelle, spugna, fibra, tubi neon, ecc., separati o combinati. La policromia di questi cappelli darà alle piazze solari il sapore di immense fruttiere e il lusso di immense gioiellerie. Le strade notturne saranno profumate e melodiose luminarie correnti tali da uccidere definitivamente la vetusta nostalgia del chiaro di luna. Sboccerà così l'ideale cappello opera d'arte italiana, insieme rallegrante e polipratico, che intensificando e moltiplicando la bellezza della razza imporrà di nuovo nel mondo una delle più importanti industrie nazionali. Dato che la nostra bella penisola è la mèta dei turisti d'ogni paese, ci vengano pure a visitare a capo scoperto se loro piace, noi li riceveremo con l'abituale gentilezza, ma ca1candoci sulla testa il nuovo cappello italiano per dimostrare loro che nulla esiste più di comune fra la servilità dei ciceroni di cento anni fa e la fiera originalità inventiva dei fascisti futuristi d'oggi. FILIPPO TOMMASO MARINETTI FRANCESCO MONARCHI ENRICO PRAMPOLINI MINO SOMENZI 1933 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alessio Giambersio Data: 23-12-2008 Cod. di rif: 3945 E-mail: alessio.giambersio@gmail.it Oggetto: Fame di conoscenza Commenti: Gentilissimi Cavalieri, è da qualche mese che leggo assiduamente queste pagine e quelle del taccuino. Tutto quello che vedo è decisamente entusiasmante,la passione che Voi Cavalieri riuscite a trasmettere nei Vostri discorsi, "buca" , letteralmente lo schermo: questa forte emozione verso il Bello e l'Eleganza non ha potuto che contagiarmi e ne sono rimasto sopraffatto, lo ammetto. Il mio approccio verso l'abbigliamento è assolutametne cambiato, capovolto: non mi basta più che un capo sia confortevole e attraene, voglio conoscerne ogni sua peculiarità, ogni sua fase della lavorazione, ogni sua intima fibra , la sua provenienza, la sua storia , i suoi perchè. Grazie a questo sito sono riuscito a guarire quella grave mancanza di appetito verso il Bello, causata da una forte indigestione causata dal pronto moda, e dalle marche annesse. Superare questa fase è stata un impresa molto, molto dolorosa, perchè accorgersi quasi d'un tratto di avere vestito quasi soltanto per il marchio è un autocoscienza quasi sadomasochista. Un sentito ringraziamento a tutto l'Ordine Cavallerescamente, Alessio Giambersio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alessio Giambersio Data: 23-12-2008 Cod. di rif: 3946 E-mail: alessio.giambersio@gmail.com Oggetto: Errata Còrrige Commenti: La mia mail corretta è alessio.giambersio@gmail.com chiedendo venia saluto cordialmente Alessio Giambersio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-12-2008 Cod. di rif: 3947 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'altro lato dello specchio - Risp. gesso n. 3945 Commenti: Egregio signor Giambersio, quando si parla di diversi livelli della conoscenza si fa istintivamente riferimento alla dimensione dell'altezza. Sia nel mondo fisico che in quello teorico, infatti, da una posizione più elevata si vedono più cose insieme, potendone leggere la posizione reciproca e gli eventuali collegamenti. Salire non è solo questione di fiato. Se il movimento è orientato a casaccio, si può avanzare chilometri senza salire un millimetro, se non addirittura trovarsi più in basso di prima. In alcuni casi si corre in cerchio. Chi, chiuso nell’abitacolo, guarda il suo contachilometri, giura ed certo di aver percorso molta strada. Chi dall’esterno vede ripassare ogni giorno quell’automobile dal punto di partenza, giudica le cose in modo molto diverso. Restiamo nel campo dell’abbigliamento e supponiamo che Lei fosse stato stimolato ad andare oltre nella direzione che aveva già intrapreso. Avrebbe potuto studiare la vita e l'opera di centinaia di stilisti, investigare le loro differenze, influenze reciproche, scuole estetiche, classifiche commerciali, aree di mercato, ma dopo una vita di indagini non avrebbe scoperto nulla e nulla avrebbe saputo del vestire. Sarebbe restato in un limbo che sta alla conoscenza come il gossip alla storia. Nemmeno disponendo delle più arcane verità sulle abitudini sessuali delle Lecciso o di un dossier scientifico sulle condizioni psicofisiche di Beckham, si ottiene una chiave utile ad aprirne una porta, a coglierne una legge o un segreto. Scorrazzare nel vasto campo dell’informazione, cogliendone i fatui fiorellini, non comporta alcun progresso lungo la scala della conoscenza, che porta verso i frutti. Orbene, il cambio di scenario cui Lei si è sottoposto è una rinuncia, un tormento, ma non masochismo. E’ la morte che si affronta per consentire una rinascita, un nuovo inizio, quindi una vera e propria iniziazione. Benvenuto dall’altra parte dello specchio. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-01-2009 Cod. di rif: 3953 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La manica, questa sconosciuta - Risp. gesso n. 3952 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, sagoma, cucitura, appiombo e larghezza della manica sono variabili che incidono fortemente sul risultato estetico di un capospalla. Volutamente tralascio il giro, che da solo richiederebbe un approfondimento specifico e il cui impianto in effetti è svincolato dal resto della manica, se non dalla lunghezza. Infatti la confezione industriale tradizionale, che lavorava e in molti casi lavora ancora con un giro lungo, deve costruire una manica più lunga onde non lasciare troppo scoperto il polso durante i movimenti. Naturalmente, in posizione di riposo la manica copre il polsino della camicia, determinando la morte estetica del capo. Va detto che molte manifatture del su-ordinazione e della confezione pura sono riuscite oggi a stringere meglio il giro, con risultati ottimi di cui si deve dare atto. Potremmo anzi affermare che in questo momento si trovano quasi più differenze tra le giacche di confezione che tra quelle di sartoria, visto che la vera manualità. La ricerca e la domanda qualificata scarseggiano, così la gran parte delle sartorie si adagia su una modellistica "facile", basando il suo successo sui dettagli e sulla buona vestibilità, ma con parecchie carenze a livello stilistico. La questione del giro ci permette comunque di tornare alla Sua domanda. Non esiste alcuna proporzione tra il giro ed il fondo della manica. Quest'ultimo è in genere di 14 cm, ma vi sono piccole, importanti variazioni. Alcune sartorie lavorano l'ultimo tratto, quello dei bottoni, piuttosto parallelo. Ciò comporta una grande compostezza, splendida quando si alza la mano a tavola o sorbendo un caffè. In questo caso non si deve andare oltre i 14 cm, mentre lo si può o si deve fare quando la manica si chiude con un cono continuo. Ciò non significa che alcuni, come la London House, realizzino una sagoma fortemente conica, che termina con un'apertura intorno ai soli 13 cm. Ovviamente piccole variazioni sono dovute anche allo spessore del tessuto. Aumentando molto il peso, si deve mediare con una larghezza esterna un po' più generosa cui corrisponde una capacità interna uguale o addirittura diminuita. La manica che finisce parallela, determinando un piccolo sboccamento ed una cilindricità ad essi perfettamente compatibile, ospita meglio i polsi a gemello, che vi scorrono dentro con facilità e grazia. E' quindi senz'altro da preferirsi nei doppipetti. Cercherò di effettuare qualche foto comparativa, ma è difficile rendere evidente in una riproduzione fotografica un dettaglio tanto raffinato che, anche dal vivo, pochi riescono a cogliere. termino dicendo che la manica "tornita" è bella, bellissima, ma non bisogna dimenticare i meriti della manica a tubo, che nei primi anni del XX secolo ha dominato e dato esempi di estetismo sublime, come quelli visti indosso a grandi eleganti come d'Annunzio o Santos Dumont. non è escluso che da qualche parte qualche uomo di gusto ne stia pensando il ritorno. L'importante è che la manica sia a piombo, cioè non torca e non spezzi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-01-2009 Cod. di rif: 3957 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I buoni Maestri - Commento all'opera del rettore Commenti: Egregi Cavalieri e Visitatori, attivi ricercatori, silenti lettori, la solennità del Rettore non perde mai di grazia nel segnalare i confini del nostro castello o nell'indicarne il centro, in tal modo mantenendo la concentrazione di questa comunità disomogenea sui punti fondamentali. I suoi interventi possiedono sempre - e sempre maggiormente - un contenuto teso all'educazione e purificazione del gusto perché la sua crescita e quella dell'uomo non avvengano in modo disordinato, ma alla luce della fede e della morale. Ricordiamo che la via del meglio può portare ad una competizione incivile, mentre il Cavaliere deve tenersi su quella del giusto, cioè della giustizia. Un gusto senza morale può esistere ed esiste, anzi la sua trattazione rappresenta il naturale prosieguo di quello svolto nel convegno cavalleresco “IL MEGLIO E IL GIUSTO”. E’ inevitabile che il nostro prossimo incontro filosofico sia quindi dedicato a questo argomento. Si intitolerà “LA VITA ELEGANTE – Perfezione estetica e perfezione etica” e verrà convocato presto, appena troveremo una sede idonea. Non sarà una semplice conferenza, in quanto occorreranno due giorni di lavori serrati e quindi una sorta di ritiro, se si vuole affrontare degnamente un tema di questa profondità. Come vedete le materie si fanno sempre più difficili, sempre più delicate. Bene, ma torniamo al rettore. Alcuni Gessi come il 3936 su Coerenza ed Eleganza sono espliciti, ma anche altri apparentemente casuali fanno pare di un disegno organico. Il gesso n. 3949 sul tartan Royal Stewart, ad esempio, contiene il principio di identità. Ringrazio il Rettore e mi congratulo per la sua opera. Un maestro di cui non esito a dichiarandomi discepolo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 28-01-2009 Cod. di rif: 3959 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Dinner jacket del Principe Filippo Commenti: Vorrei esprimere il mio punto di vista sul dinner jacket col revers "fuori ordinanza", del tutto diverso da quello espresso da Arcangelo Nocera. Ho sempre cercato di decontestualizzare quell'abito, a mio parere eccessivametne carico di significati nell'uso che ne facciamo in questa era. L'ho fatto però abbinandoci delle scarpe dai più ritenute inadatte (detesto le pump in vernice). Così facendo riesco ad indossare lo smoking anche in casa da amici. Con quei revers questo mio intendimento si spinge ancora oltre. Cavallereschi saluti. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-01-2009 Cod. di rif: 3962 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: per meglio esprimermi Commenti: Non avrei dovuto scrivere quel gesso con la fretta indotta da una signora che mi reclamava per accompagnarla al cinema, per lo più nella consapevolezza che non mi stavo esprimendo compiutamente e che avrei potuto ingenerare incompensioni derivanti da una imprecisa trasposizione in parole del pensiero che le sottende. Chiedo venia. E allo stesso tempo non colpevolizzo certamente mia moglie per il mio errore. Cercherò di precisare, affinché eventuali dissensi sul punto siano almeno frutto di un dibattito preciso e concludente, oltre che garbatissimo, come non potrebbe non essere con un uomo dal tratto così amabile che distingue Arcangelo Nocera. Il termine "decontestualizzare" non era sufficiente, da solo, ad illustrare la mia personale idea dell'uso attuale dello smoking (userò questo sostantivo per individuare questo capo d'abbigliamento per velocità di scrittura, non perché filologicamente più corretto di altri). Io vedo questo abito, attualmente, usato in confini troppo ristretti. Quando s'indossa è sempre per un'occasione "speciale". Ciò fa perdere , inevitabilmente, naturalezza alle persone che lo indossano e, comunque, nella situazione in cui questi abiti vengono indossati da alcuni signori e non da altri, si avverte un quid che rende l'atmosfera non completamente rilassata. A maggior ragione la specialità dell'occasione si avvisa se allo smoking vengono abbinate le pump in vernice. Se invitato a cena a casa di amici per una serata semiformale io indossassi lo smoking con un normale paio di diplomatiche nere in vitello (cosa che prediligo e faccio abitualmente), ancorché io fossi il solo uomo in smoking, sdrammatizzerei l'abito nel suo complesso e sottrarrei "distanze" formali dagli altri uomini in completo blu o in grigio. Così facendo si libererebbe lo smoking dagli angusti confini ai quali è ora relegato. In questo senso i rever dello smoking commentato va persino oltre, ma sempre in quella direzione (che il Rettore definirebbe "understated"), che lo smoking ha perduto rispetto all'uso originario che se ne faceva. Frequento un circolo sportivo di canottieri della capitale al quale possono accedere come soci ordinari solo uomini. Il Circolo è dotato di un salone architettonicamente fantastico e di sale arredate con gusto molto british, ma non ho mai visto i suoi soci in smoking, se non occasionalemnte in serate molto particolari. L'iconografia classica colloca lo smoking proprio nei circoli borghesi di Londra. Pensate solo a dove si incontrano ora uomini in smoking e cerchiamo di cogliere l'evoluzione che l'uso di questo abito ha subito. Probabilmente l'acquisizione (riappropriazione?) di un profilo meno da "occasione" dello smoking ne favorirebbe un più largo uso. In tal senso deve intendersi la mia speranza che lo smoking si "decontestualizzi" rispetto all'uso cui oggi è, a mio avviso, confinato. Con rinnovata stima e simpatia. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-02-2009 Cod. di rif: 3976 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Decontestualizzare o rinaturalizzare - Risp. n. 3959/3962 Commenti: Egregio Cavaliere Lucchetti, la decontestualizzazione è un parassitismo dei significati originari da parte di soggetti e comunità che non sentendosi in grado di fruttificare, cioè di generare autonomamente un nuovo a sua volta fecondo, hanno bisogno di nutrire le loro creature con la linfa di organismi terzi o di saggiare forme sperimentali montando pezzi di diversa provenienza. E’ un’ingegneria traslata dai laboratori di genetica ai guardaroba, ma basata sulla stessa centralità della performance, cioè sull’interesse al risultato immediato e quantitativo. Negli ultimi anni abbiamo visto sin troppa decontestualizzazione alimentare l’estetica post-classica con le fogge del classico utilizzate fuori e senza i loro luoghi, origini, significati. Non servirà a nulla. Il legno del classico è morto e non contiene le sostanze che occorrono ad un nuovo sistema del gusto. Il suo uso offre effetti immediati, ma poco duraturi. Quando il sistema estetico della civiltà delle palestre si sarà definito, sarà evidente a tutti, anche a coloro che non studiano così in profondità questi fenomeni, che i paradigmi che lo reggono sono totalmente estranei a quelli classici. Diciamo dunque che la decontestualizzazione è solo una vita di transizione tra una forma e l’altra del gusto. E’ un’attività poco cavalleresca e sono certo che sia stata citata non completamente a proposito. Credo che l’azione che ha in mente, anzi che svolge, sia stata ben compresa e definita dal Cavalier Bellucco nel suo Gesso n. 3963. L’uso “naturale” del dinner jacket non attiene ad una sortita di questo capo dal suo contesto, anzi è il suo rientro in quell’ambiente che gli era appunto “naturale”. La cravatta nera è in effetti una tenuta da “occasione” e negarlo significa contraddire la storia che ha collocato questo capo nelle serate di un certo impegno, almeno in Italia. Quello che è cambiato è il modo in cui tale “occasione” viene percepita. Nella mens classica si tratta per lo più di una semplice modalità del vestire , con soluzioni che come sempre possono partire dallo scontato e giungere sino all’eccentricità. L’occasione, in questo modo di vedere le cose , non è che una domanda, cui il guardaroba ha già la risposta pronta. Nella mens post-classica i bisogni di leggerezza ed autonomia, uniti alla necessità di sentirsi diversi e memorabili, ha staccato questo circuito domanda-risposta, in cui il classico trova uno dei suoi aspetti (l’altro, ovviamente, è il polo opposto). Facciamo un esempio estraneo al mondo dell’abbigliamento e pensiamo alla parabola seguita dagli alberghi. Quando i mezzi economici ed il gusto avevano più spazio in comune, quando gli uomini di gusto avevano discreti mezzi e molte diversità, quando i signori avevano servitù e sapevano utilizzarla, la forma eletta di turismo (altra parola uccisa insieme alla morte del classico) era quella nel grande albergo. Alcuni lo eleggevano come vera e propria residenza, principale o alternativa. Il Grand Hotel inoltre organizzava feste e soprattutto balli indipendentemente da vernissage, congressi o matrimoni. A Napoli l’Hotel Excelsior organizzava un prestigioso ballo in maschera sino alla fine degli anni 60. Oggi è praticamente inconcepibile che una qualsiasi manifestazione abbia luogo senza un motivo commerciale camuffato sotto quello benefico. E’ una formula orribile, eppure accettata universalmente. La sponsorizzazione cui siamo stati abituati è un contratto abietto, che ha per oggetto la locazione della personalità (bene che dovrebbe essere indisponibile) di un soggetto personale o pluripersonale da parte di un’altra persona fisica o giuridica. Parlando di questi argomenti non esco dal tema, in quanto questa alienazione dell’inalienabile non solo ci ricorda molto da vicino il processo di decontestualizzazione, quanto rappresenta la via lungo la quale abbiamo speso un patrimonio di identità senza acquisire in cambio che speranza ed arroganza. La speranza di un mondo migliore e l’arroganza di credere di averlo realizzato ancor prima di poggiarne la prima pietra. Così accade quello che è evidente a chiunque non guardi troppi telegiornali: il mondo è tal quale era prima che ci si preoccupasse della pace nel mondo, forse peggio. Questa sì che è un’uscita dal tema, torniamo indietro. Si parlava degli alberghi e per un motivo ben preciso, cioè collegare la loro trasformazione a quella dell’estetica in generale. Orbene, chi ha la mia età dovrebbe ricordare che ogni albergo di livello aveva all’esterno un lacchè che rappresentava un cippo confinario, il limite tra il mondo imprevedibile esterno e quello ordinato dell’interno. Salutava chiunque entrasse, fosse un Duca o un fornitore di birra (anche se i fornitori avevano all’epoca un loro ingresso). A chi giungeva in auto, apriva la porta portiera, a tutti apriva la porta. Vicino al banco del Concierge c’era un altro ragazzo, che ratto accorreva a prendere i bagagli e li portava in camera. Qui si giungeva accompagnati da un inserviente, il quale si tratteneva per chiedere innanzitutto se la camera fosse di vostro gradimento, poi cosa potesse fare per rendere il soggiorno più gradevole. Mostrava dove e quante erano le coperte quando faceva freddo, illustrava il funzionamento dei meccanismi, tra cui nell'era antecedente quella dell'i-pod era immancabile la filofiddusione. Era insomma un mondo con molti personaggi, tutti a disposizione del cliente. Il fatto è che il cliente sapeva chiedere e chiedeva molto, il che appariva un fatto assolutamente naturale. Si immaginava che a casa disponesse d servitù e l’albergo doveva adeguarsi a quello standard. Oggi anche i ricchi hanno poca servitù e spesso mal educata, non sanno bene quello che vogliono e pertanto non lo sanno chiedere. Tanto servizio diviene addirittura percepito come un ingombro, il che ha favorito l’usanza tribale del buffet, che è praticamente una macabra danza dell’abbondanza stimolata dal potere inebriante del bacon fritto e dall’influsso afrodisiaco del pesce crudo alle otto del mattino. L’individuo, giocate e perse le identità collettive, tende ad una totale autonomia e si racconta che questa è una conquista. Cammina con valige a rotelle e si sente superiore a chi ha bisogno del portabagagli. In queste condizioni, il futuro dell’albergo è in un badge che dia accesso a tutti i servizi senza che si incontri alcuna persona. Parlare? C’è internet, in tutte le stanze ed in tutte le salse. Chiedere? Poiché i desideri sono divenuti prevedibili, c’è già tutto quello che si desidera. A questo punto, si vede bene che la trasformazione del desiderabile determina una nuova offerta e quindi una diversa realtà. Ciò che innesca il meccanismo di alternanza culturale è la percezione della felicità, restando la spinta economica, ampiamente sopravvalutata dagli storiografi, una causa derivata e non una causa prima. Il cambio di questa percezione è alla base del cambiamento degli alberghi, dei guardaroba e quindi della lettura dello smoking, o meglio il dinner jacket, come qui usiamo definire la giacca da sera con cravatta nera. Indossare una dinner jacket, con tutta la sua tenuta, richiede cura, tempo, conoscenze, tecnica, spazio a disposizione per la conservazione. L’”occasione” appare dunque pesante ad un uomo che trova felicità nella leggerezza, cioè nel liberarsi da qualsiasi impegno che non sia stato preso all’ultimo momento. La scomparsa dei servitori,dei lacchè e dei carrelli per la colazione negli alberghi è parallela alla scomparsa del dinner jacket nell’armadio. Ad entrambe non si sa cosa e come chiedere e si preferisce fare da sé ed in fretta, perché manca sempre il tempo. Se lo si usa, è con le scarpe che non si lucidano perché troppo faticoso, senza papillon perché troppo complicato, senza questo e senza quell’altro, in un sistema del gusto che ha fatto del senza (zucchero, caffeina, grassi, alcool, nicotina, piombo, etc.) la sua cifra. Cavallereschi saluti a Lei, al Cavaliere Bellucco ed a tutti i Ricercatori, che vedo molto attivi. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 09-02-2009 Cod. di rif: 3979 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Siamo sostanzialmente d'accordo Commenti: Esimio Gran Maestro, non dubito di quanto da lei affermato nel gesso n° 3976 e, allo stesso tempo, non credo che il nostro pensiero sia così distante, così come non sento antitetico al mio il punto di vista di altri intervenuti in questa interessantissima , costruttiva e formativa pubblica discussione. A prova di ciò quoto quanto da me stesso già scritto nel gesso 3962: "Pensate solo a dove si incontrano ora uomini in smoking e cerchiamo di cogliere l'evoluzione che l'uso di questo abito ha subito. Probabilmente l'acquisizione (riappropriazione?) di un profilo meno da "occasione" dello smoking ne favorirebbe un più largo uso. In tal senso deve intendersi la mia speranza che lo smoking si "decontestualizzi" rispetto all'uso cui oggi è, a mio avviso, confinato." Il punto è che io, negli ultimi 30 anni, ho visto smoking (tralascio commenti sulla loro qualità media) prevalentemente a feste di San Silvestro nelle discoteche, ragion per cui non vado in locali del genere da parecchio tempo. Se invece lo indosso il sabato sera al Circolo, sebbene sia frequentato dalla buona borghesia romana, mi fanno sentire un marziano caduto per caso in un posto che, invece, si presterebbe alla cravatta nera. L'analisi degli ultimi due capoversi prima quotati evidenzia come, a mio parere, si sia pervenuti ad una corruzione dell'uso dello smoking, almeno nei "contesti" nei quali io lo vedo oggi confinato. In questo senso auspicavo una sua "de-contestualizzazione", intesa come ri-appropriazione degli usi per i quali questo abito nacque che erano si da "occasione", ma non solo. E' il "non solo" che va recuperato e ri-valorizzato. Quando così sarà, i Cavalieri potranno affermare che la loro semina ha dato i suoi frutti. Malgrado abbiamo già fatto, riterrei giustamente, i funerali al classico, assumendolo come morto e sepolto a livello di masse, ho la sensazione che i valori dell'Ordine, che nell'abbigliamento trovano la loro espressione esteriore, vadano trovando sempre più adepti. E sarà forse solo una mia personale sensazione, non corroborata da rilevazioni statistiche, ma questi valori sembrano essere condivisi molto più dalle donne che dagli uomini. Il che, ovviamente, non mi spiace affatto e ormai non mi sorprende quasi più. Anzi, mi lusinga. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-02-2009 Cod. di rif: 3983 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il Classico al castello - Risp. Gesso n. 3973 ed App. 5325 Commenti: Egregio signor Masci, leggo nel Taccuino il Suo Appunto n. 5325 indirizzato al Rettore De Paz e qui nella Lavagna il Gesso n. 3973 indirizzato al Cavaliere Nocera. La vedo da tempo attivo frequentatore del Castello, in cui è graditissimo. Credo sia utile precisare in merito alcune cose. 1) La nascita, la vita e la morte del Classico sono state ampiamente illustrate e documentate sia in questo laboratorio immaginario e negli appuntamenti di discussione e confronto personale, in particolar modo nelle ultime tornate di DRESS CODE. Questa teoria, già vasta e complessa ed in via di ulteriore approfondimento, fa ora parte del metodo cavalleresco e pertanto non è in discussione, se non a fronte di risultanze documentali o di elaborazioni teoriche altrettanto stringenti e convincenti. Il testo con cui esprime i Suoi dubbi è il seguente: “Paradossalmente non credo che il Classico sia morto ! Casomai risulta in atto da parecchi decenni una demonarchizzazione ( laburista ) dell' Elitès dei Paesi occidentali accompagnata da una democratizzazione del lusso ! Sicuramente la Storia dirà il resto, ma credo che per una analisi completa non si possa non considerare alcuni aspetti sociologici, antropologici e politici del trade off demonarchizzazione e democratizzazione in atto nelle società civili occidentali”. Il Classico, come noi Cavalieri lo descriviamo ed intendiamo, nasce però sin dall’inizio come demonarchizzante. Fu il periodo pre-classico a presentare una discesa dei moduli estetici dall’alto dei palazzi aristocratici, mentre il Classico fu squisitamente borghese e creò il suo palinsesto nei night, alberghi, ippodromi, fino ad alimentare ed alimentarsi del cinema, che fu l’ultimo media classico. Non è mio compito convincerLa di alcunché, tantomeno delle teorie che non condivide. Se però il Classico non è morto, dovrebbe essere vivo, cioè essere in grado di rigenerarsi e generare nuove forme nello stesso spirito, come ha fatto per novanta anni. La Norfolk jacket creata alla fine del XIX secolo e l fogge stilizzate degli anni ’60 del XIX seguono lo stesso ideale di eleganza virile, appartengono allo stesso mondo che trova la sua legge nel fatto che ci sia comunque una legge, un limite, anche se il Classico nasce e vive per spostarlo ogni giorno più in là. Il post-classico non accetta questo concetto di limite ed anche se riuscirà a creare una modellistica stabile non sarà orientata all’eleganza come armonia e rispetto, ma ad una differente gerarchia di valori. 2) In via più generale, l’Ordine non crea alcunché. Quando di domanda perché non abbia avuto risposta alla Sua lapidaria affermazione sul Classico, dice testualmente: “ forse perchè nel castello non si deve più creare ma difendere”. Bene. Se legge la nostra Carta dei Principi vedrà che la missione dell’Ordine è proprio nel difendere, come racconta la spada che il leone destro alza con la zampa destra. La difesa avviene con la pratica individuale e lo studio comune, che in buona parte avviene o emerge qui al castello. Devo quindi darLe ragione su questo punto, tranne che quando usa il “non più. Questa connotazione temporale fa credere che in passato ci si sia proposti come creatori, affermazione che non troverà né negli Instrumenta delle varie Porte, né negli interventi dei Cavalieri. Cavallereschi saluti e grazie per i Suoi contributi. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-03-2009 Cod. di rif: 3987 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Principi e metodo 1° - Ai Liberi Ricercatori Commenti: Luminoso Rettore, egregi Cavalieri ed egregi Ricercatori tutti, questa Lavagna è parte dell'ambizioso progetto del castello, che come sede immaginaria dell'Ordine ne ripete la struttura non competitiva. E' per questo che persone dalle idee diverse possono esprimersi senza battibecchi infruttuosi e ciascuno contribuire alla costruzione di nuove teorie e scoperte. Ciascuna area è un laboratorio, l'edificio una fortezza che ne conserva i risultati e ospita i ricercatori, garantendo loro la libertà e l'ascolto a fronte del rispetto di poche norme derivanti dal buon senso e alla buona educazione. Principi naturali, come la dignità personale del nome ed il rispetto degli altri. Molti dei ricercatori sono attivi da anni, ciascuno col suo stile. Il loro esempio, parlando attraverso molte migliaia di Gessi ed Appunti, spinge i nuovi Visitatori a tacere sino a che non abbiano qualcosa da dire, mantenendo il ritmo di crescita adeguato all'approfondimento. Tutti possono infatti constatare come i testi si sommino lentamente ed abbiano una media elevata quanto a contenuti. Una caratteristica comune è il segno di una comunità. Una comunità è a sua volta un organismo ed un organismo ha sempre un suo stile, un modo di essere che nel caso degli organismi complessi crea una diversità del singolo rispetto agli altri individui della specie e della specie rispetto alle altre specie. Esiste senz'altro anche uno stile stile del castello, il quale dipende anche dal fatto che dietro questa immensa costruzione ci sia una comunità vera ed attiva, non una semplice idea astratta. Edificare un'accademia-fortezza è infatti spontaneo per un sodalizio di filosofi-guerrieri. Le semplici disposizioni su anonimato ed inestetismi, fatte rispettare dalla Cancelleria, governano la pulizia degli ambienti, ma non costituiscono né il materiale di cui è fatto l'edificio, né il metodo della sua costruzione. Del metodo cavalleresco si è parlato molto, spesso fuori di queste mura. E’ forse tempo di chiarire qui, dove il metodo si estende fuori dal nucleo sociale ed in tal modo assume maggiori responsabilità di coerenza, i meccanismi fondamentali di questa strumentazione teorica. Procedo dunque ad una prima e parziale elaborazione, che verrà ampliata successivamente. CRITICA E GUSTO In un tempo che si compiace d’essere dominato dal denaro, la bellezza conserva un potere importante. Più se ne possiede, più se ne desidera. Più se ne trova, più ne manca. C’è chi la acquista, chi la ammira, chi la studia, chi la brama, e tutto ciò avviene ogni giorno. Tutti i manufatti estetici, da un affresco ad un paio di scarpe, hanno una missione relazionale. Vogliono dire qualcosa, piacere a qualcuno, per ciò stesso esponendosi alle valutazioni altrui. Il pubblico cui sono destinati li sceglie, li rifiuta, li commenta. Alcune persone li analizzano in profondità, poiché dispongono di strumenti in grado di isolarne i caratteri. Ciò che chiamiamo gusto è il possesso naturale di tali parametri e la capacità spontanea di adoperarli. La critica è invece l’acquisizione cosciente sia delle tecniche di rilevamento che del linguaggio necessario ad esprimere e confrontare risultati. Il fatto che il gusto si trasmetta per vie misteriose, in parte genetiche ed in parte culturali, permette a chi non ne possieda di considerarlo relativo, inaffidabile, inutile, se non inesistente. Tutti sanno bene che non è così, ma la pietà umana ci spinge a tacere questa evidente gerarchia. Come non giudichiamo un paraplegico dalle gambe, così evitiamo di sanzionare un amico commentandone le calze. Accettando la sentenza popolare secondo cui tutti i gusti sono gusti, pratichiamo un’opera di carità, non di filosofia. Il giudizio di un uomo di gusto porta sempre ad una migliore visione del suo oggetto, ma poiché non è corredato da istruzioni e spiegazioni potrà essere integralmente compreso solo da altri uomini di gusto. Il critico si rivolge invece a tutti gli interessati, il che gli impone di utilizzare il gusto personale come base di partenza e non come punto di arrivo. Le sue conclusioni dovranno essere collaudate e motivate alla luce di dati di comune accesso, quali la storia e le scienze. Una ricerca estetica seria e profonda non può esimersi dall’affrontare questi problemi di metodo. L’argomento è scomodo per chi lo tratta e per chi ne legge, ma la tavola della verità non ha sedie. Tutte le branche dello scibile estetico, dalla musica al cinema, dalla cucina al ricamo, sono sottoposte agli stessi principi. Anche se diverse per superficie e quindi per importanza, sono situate sullo stesso piano. Alcune manifestazioni del gusto, molto diverse tra loro, sono o possono essere delle Porte, ovvero varchi che consentono da un solo punto di cogliere il Tutto. A prescindere da questa classificazione, fatta una volta per tutte e sempre incompleta per l’esistenza della Nona Porta, tutte le nazioni del mondo estetico sono arti. Chi le esercita è chiamato maestro, chi le comprende uomo di gusto, chi le spiega critico. Il critico deve prima di tutto possedere il gusto, poi esercitarlo alla comparazione mediante una vasta e lunga pratica. Niente esperienza, niente esperto. Molti si mettono o vengono messi in cattedra senza i titoli fondamentali, ad esempio assegnando punteggi ad un vino senza possedere una degna cantina personale. Guide e pareri così compilati non differiscono dagli oroscopi dei quotidiani e vanno considerati un passatempo, un gioco che può essere divertente fino a che non è truccato. Comunque, gusto ed esperienza non sono ancora sufficienti. Per esercitare in modo efficace la ricerca e quindi la critica di una qualsiasi arte, occorre impostare un laboratorio teorico. Possono esservi delle differenze di metodo, ma è certo che il progresso della scienza, cui la critica può essere assimilata, passi per la messa a punto di apparecchiature sempre più efficaci e di definizioni sempre più corrette e diffuse. Le prime servono alla ricerca, le seconde allo scambio e diffusione delle informazioni. LE QUATTRO SONDE L’abbigliamento è tra le arti non verbali più complesse. In primo luogo perché la sua istintiva riferibilità ad uno stato sociale rende il contesto in cui si manifesta estremamente competitivo, in secondo luogo perché l’eleganza, aspirazione di ogni arte ed artista, vi si realizza in modo più evidente che altrove. L’ eleganza è in gran parte grazia, parola che immediatamente ci rimanda ad una dimensione spirituale in quanto modalità di intervento adottata da Dio stesso. Il flaconcino della grazia è posto sullo scaffale più alto, cui nessuno arriva con facilità. Contiene quella piccola dose di trascendenza che vediamo in quelli che definiamo capolavori. Senza qualche goccia di questo ingrediente, ogni creazione materiale, per quanto celebrata sul momento, diviene rapidamente datata. O scompare, o perde l’universalità che sembrava avesse inizialmente. La grazia nell’abbigliamento, rara e preziosa, viene avvertita in modo così prepotente da essere diventata l’eleganza per antonomasia. Nonostante ciò, l’arte del vestire conta su una critica mal equipaggiata, impantanata nella formulazione di classifiche, guide e decaloghi dalla terminologia ambigua. Non sarà quindi inutile annodare alcuni fili appesi. Sono quattro le sonde concettuali attualmente conosciute ed in grado di scandagliare gli abiti senza scomporne l’unità fondamentale: 1) L’origine. Un capo parla in modo differente secondo dove, come, quando, da chi e per chi è nato. 2) La foggia. E’ la forma, la linea, la proporzione delle singole parti e delle parti con l’insieme. Le fogge canonizzate dalla tradizione vanno valutate anche alla luce degli esempi storici. 3) Lo stile. E’ la sostanza, letteralmente ciò che sta sotto. Da un lato l’armonia nell’esprimere un gusto personale, dall’altro la coerenza nell’interpretare gli archetipici collettivi. 4) Il materiale. Autonomamente dotato dei tre caratteri precedenti, è il più sicuro indice delle capacità selettive. L’autentica bellezza nasce dalla sensibilità nell’individuare le materie più ricche di significati, dando poi ad ogni materiale la giusta foggia e ad ogni foggia il giusto materiale. Rimando il seguito alla prossima occasione, lasciando spazio ad eventuali commenti. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-03-2009 Cod. di rif: 3991 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La manica a mappina - Risposta Gesso n. 3988 Commenti: Egregio signor Vampa, meglio avremmo potuto valutare e commentare il manufatto se avesse fornito un'immagine del dettaglio in questione. Quel che emerge dalla Sua descrizione non può essere considerato un difetto, trattandosi di una nota caratteristica della giacca napoletana. La manica presenta in alto una tromba parecchio più larga del giro e la maggiore circonferenza viene raccolta in quelle piccole lentezze. Poiché la manica viene giù ondulata, come uno strofinaccio poggiato casualmente, la si chiama anche "manica a mappina", dove l'ultima parola è in lingua napoletana e significa appunto canovaccio. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-03-2009 Cod. di rif: 4000 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Classificazione dei tweed - risposta al Gesso n. 3995 Commenti: Egregio signor Caprari, La Sua classificazione è fondata su brillanti e fondate osservazioni, che colgono l’essenza del tweed e rivelano la passione e l’attenzione con cui lo tocca e lo guarda. Anche se la terminologia è insufficiente in quanto non rispettosa della tecnica e della tradizione in una materia che sulla tecnica e sulla tradizione si basa, le argomentazioni con cui sostiene una distinzione e la distinzione in se stessa hanno gran pregio. Dimostrare che i principi sono esatti e le conclusioni migliorabili richiede un approfondimento non da poco. L’ambiente in cui ci stiamo per inoltrarci risulterà irrespirabile per quanti non abbiano la nostra febbre del tessuto: lettori avvisati, mezzi salvati. Prima Le enuncerò le mie conclusioni e poi le proverò, in modo che sia più agevole seguire il discorso anche dall’esterno. Nei lavori cavallereschi sui tessuti, cui in futuro sarebbe un piacere vederLa, distinguiamo tre categorie di Tweed: Harris tweed, Donegal tweed e Scottish tweed. Quest’ultima, la meno nota in quanto più complessa a delimitarsi, è basata sul paradigma dei district check e comprende tutti i tessuti con tali caratteristiche, anche se con disegnature diverse dai check codificati. Ma quali sono queste caratteristiche? E quali quelle delle altre due specie? Per rispondere in modo soddisfacente dobbiamo far ricorso all’autorità, che come abbiamo visto è rappresentata in questo settore dalla tecnica e dalla tradizione. Nel fondamentale tomo OUR SCOTTISH DISTRICT CHECKS di E.S. Harrison, edito nel 1968 Dalla National Association of Scottish Woollen Manufacturers di Edinburgo, si legge a pagina 32: These District Check cloths were, in general, made for heavy duty on the hills and had to stand up all weathers in a harsh climate. They are, therefore, what we would consider heavy winter suitings of about 24 ounces to the yard, 58 inches wide. They are, more or less, 24 cut two ply on the Galashiels method of calculating the thickness of the yarn and of cheviot quality. The weave, in almost every case, is on four leaves or shafts, two over and two under each warp thread: what is usually called the Common Twill, the Cassimere or the Two-and-Two twill. The cloths will count, more or less, 26 threads to the inch in both direction. They are what are called “square cloths” and are usually well milled or felted. Lei che è uno studioso di tessuti inglesi certamente conosce bene questa storica pagina, i cui punti salienti riecheggiano comunque nel Suo gesso. Traduciamola per chi ci sta seguendo: “Questi district check erano generalmente destinati ad usi pesanti sulle colline (scozzesi) e dovevano fronteggiare qualsiasi condizione atmosferica in un clima aspro. Essi sono, dunque, ciò che potremmo definire tessuti da inverno duro di circa 24 once per yarda, per 58 pollici di larghezza. Hanno, più o meno, un filato doppio ritorto da 24 cut sulla scala Galashiels per la misura dello spessore del filato e da lane cheviot. La tessitura, quasi sempre, è su telai da quattro licci o alberi, due sopra e due sotto ogni filo di ordito: cioè ciò che comunemente si dice un Common Twill, un Casimir o un Twill 2x2. La stoffa conta alla fine, più o meno, 26 fili per pollice sia nell’ordito che nella trama. Sono quindi quel che si dice dei “tessuti quadri” e sono genralmente ben follati o infeltriti”. Credo che qualche spiegazione ai non iniziati sia opportuna. Partiamo dalle conversioni, che saranno utili a capire le dimensioni ed il peso della sostanza di cui ci occupiamo, cioè il suo aspetto e la sua natura secondo la tecnica e la tradizione. 1 oncia = 28.349 grammi 16 once = 1 pound o libbra (lb) = 453.592 grammi 1 metro = 1.094 yarde - 1 yarda = 0.9144 metri Il signor Harrison ci certifica che i district check, paradigma dello scottish tweed, nel rispetto dello scopo originario vanno considerati tessuti invernali puri, con un peso di 24 once. Questo peso non lo si trova quasi più nel prodotto attuale, se non in certe mazzette destinate all’arredamento, che paradossalmente mantiene viva la costruzione più autentica. Un certo alleggerimento fa parte dell’evoluzione e non va considerato un errore o una devianza, quanto un adeguamento. Eccessiva leggerezza, uso di lane dalla mano morbida e decisa lucentezza, come anche la mancanza di follatura, snaturano invece completamente il tessuto e impediscono al vero conoscitore di attribuirgli la dignità di questo nome solenne, il cui fascino va conservato per i tessuti rispettosi della storia, cioè dello spirito tramandato dai padri insieme alla tecnica ed alla tradizione. Ed a proposito di tecnica, analizziamo i preziosi dati forniti da uno di questi padri. Per raggiungere un peso ragguardevole ed un’efficienza termica adeguata ai climi più rigidi, il tessuto descritto da Harrison parte da un filato di lane cheviot cardato, ritorto a due capi e molto spesso, tanto che ne entrano “più o meno” (locuzione evidenziata nel testo originale)26 fili per pollice. Mentre i filati pettinati hanno un unico metodo di misurazione, lo spessore di un filato cardato si può misurare con quattro sistemi, di cui due utilizzano come unità il “cut”. Nel metodo Galashield, usato da Harrison e dal pubblico cui si rivolgeva in quanto tipico scozzese, i cut esprimono il numero di segmenti (o per l’appunto tagli) da 300 yarde di filo singolo che rientrano nel peso complessivo di 24 once. Il cut si scrive s, che viene da skein, cioè gugliata o matassa. E’ la stessa esse che vediamo ancora ornare le cimose dei tessuti più moderni. Nel metodo Bradford o Bradford Count Sistem, o Worsted count System per i pettinati, ogni esse sta per una gugliata da 560 yarde di filo che si può ricavare da una libbra di fibra già preparata di un determinato vello. Oggi, in realtà, le esse sono ancorate ad una tavola fissa di spessori espressi in micron e quindi non provengono più da questo rapporto, che comunque mantiene la sua validità indicativa della qualità intrinseca della materia prima. Tornando a bomba, se sviluppiamo il conteggio secondo il metodo Galashield usato dall’Autore vediamo che una libbra di un ipotetico filato da 1s, cioè un cut, misurerebbe 200 yarde. I district chek, che vantano già il considerevole peso di 24 once alla yarda lineare per un’altezza standard di 58 polllici, sono tessuti con un filato “più o meno” (anche qui l’Autore sottolinea che si parla di misure indicative) da 24s. I 24 cut corrispondono ad una lunghezza di 24 volte maggiore, cioè 4800 yarde per libbra. Il peso va diviso più o meno per la metà, perché il filo utilizzato è, come Lei stesso diceva e anche secondo questa autorevole fonte, viene ritorto a due capi. Ogni filo di trama e di ordito è quindi un’elica composta da due fili, come il DNA. I modi con cui può svilupparsi quest’elica, vero e proprio DNA tessile, rappresentano il mistero ed il fascino dell’arte della filatura, tra le più complesse e segrete dell’intero mondo dell’abbigliamento, ma questa è un’altra storia. Venendo alla tessitura, Harrison ci rivela che i district check, che ripeto sono alla base di quella specie che chiameremo scottish tweed, vengono tessuti su telai a quattro licci, due sopra e due sotto l’ordito. Oggi i licci, aste inserite nell’ordito in modo da abbassarne o alzarne determinati fili al passaggio della navetta di trama, sono sostituiti da una sorta di grandi crune d’ago gestite elettronicamente. Ciascun filo d’ordito passa attraverso una di queste crune e viene mosso in alto o in basso per creare la struttura ed il disegno secondo il piano prestabilito. Quello che resta della descrizione di Harrison è appunto la struttura o armatura del tessuto, che è il 2 x 2 da noi chiamato batavia ed in Inghilterra common twill. Il numero pari di fili nelle due direzioni di trama ed ordito ci fanno capire che nell’aspetto, apprezzabile anche ad occhio nudo, la diagonale di questa batavia sarà molto vicina ai 45 gradi di inclinazione. Per il resto occorre fornirsi di un lentino contafili, il cui uso è familiare a tutti gli appassionati della materia. La follatura, spinta al limite dell’infeltrimento, completa il profilo generale del prodotto. Abbiamo detto e dimostrato abbastanza da poter individuare cosa sia uno scottish tweed e accingerci quindi al passo finale, cioè tracciare le differenze con le altre due specie. L’Harris tweed presenta anch’esso un’armatura batavia, ma i fili sono singoli. Gli effetti cromatici, che nello scottish risultano dall’abbinamento di due fili diversi nell’Harris tweed sono ottenuti inserendo più colori all’interno dello stesso filo. I fili sono inoltre ancora più grossi e radi, anche in dipendenza della materia prima estremamente spessa e ruvida. Numerosi capi rimangono liberi dalla filatura e in superficie genarano quella “pelosità” che lei acutamente mette in evidenza. All’esame pratico, un Harris di pari peso rispetto ad uno scottish presenta meno dei 26 fili per pollice di quest’ultimo. Il Donegal è invece una tela, resa particolare dall’utilizzo di fili d’ordito mediamente più spessi della trama e volutamente irregolari. E’ questa costruzione a conferirgli quel caratteristico aspetto granuloso. Anche qui abbiamo l’uso di fili singoli. L’effetto cromatico è dato dall’uso in trama di fili come quelli dell’Harris, cioè composti con fibre di colore diverso. Qui si usano anche piccole quantità di colori molto brillanti e questo ci fa comprendere l’origine della più evidente delle caratteristiche del Donegal. Quando una di quelle piccole gemme di colore affiora alla superficie, abbiamo una goccia di quella tipica pioggia tanto gradita dagli appassionati di questo meraviglioso materiale. Gran pregio hanno quindi anche le Sue osservazioni sulla resistenza all’usura, sempre maggiore per i tessuti da filati a più capi e minore per quelli da capo singolo, oggi praticamente in disuso a parte queste vere e proprie nicchie di verità tessile. Nel dichiararmi dissidente dalla sua classificazione, spero di avergliene sottoposta un’altra che la soddisfi, ma non posso congedarmi senza complimentarmi per la profondità del suo commento e ringraziarla per l’occasione di approfondimento che ha dato a me ed a gli altri due o tre Visitatori che saranno giunti sino a questo punto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-03-2009 Cod. di rif: 4002 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Illustrazioni e contenuti - Allo Scudiero Mocchia Commenti: Egregio Scudiero e valente Maestro Mocchia, il Suo Appunto n. 4356 nel Taccuino è tanto appunto che più non si potrebbe, visto che è per l'appunto un appunto all'Appunto n. 4353 del Cavaliere Villa. Le Sue osservazioni, provenienti da una formidabile conoscenza del pre-Classico, sono oltremodo convincenti e cancellano il riferimento iconogafico su cui, tanto per ripetersi, si appuntano. E' però evidente che il discorso di Villa prescinde da questo riferimento mal scelto e si riferisce alla mia teoria, per il momnento tutta da dimostrarsi, circa l'importanza di Brummell nel dare il giusto tono ad una voce che veniva da un'intera epoca senza riuscire a trovare la giusta espressione. Secondo questa teoria, enunciata nell'Appunto n. 4344, George Brummell avrebbe rappresentato il nucleo di fiducia intorno al quale si consolidò un affrancamento della gentilhommerie dal giogo della "reputazione", gogna mediatica di quell'epoca che veniva gestita nei salotti da un circuito di cortigiane senza corte. Questa indipendenza, volgendo lo sguardo con rinnovata fierezza ai piccoli piaceri ed ai grandi ideali, senza preoccuparsi della verifica dei benpensanti, avrebbe favorito la creazione di quel mondo autonomo composto dalle varie culture virili, dal vestire al fumo, dalla caccia alla pernice a quella alle signorine. La posta in gioco è alta, in quanto parliamo delle origini del Classico, qualcosa come le sorgenti del Nilo o il passaggio a Nord Ovest. Il principio ordinatore del Classico è squisitamente maschile, questo è certo. Il mondo prima di Brummell (e in buona parte anche al suo tempo, sembra invece governato da senati femminili. Sarei lieto che, dopo essersi espresso sul corredo iconografico dell'Appunto di Villa, ci rendesse noto il Suo parere su questo argomento di merito. La Sua conoscenza del periodo storico e del personaggio è fuori discussione e pertanto La ascolteremo tutti con la dovuta attenzione. Lodo sin da ora la Sua descrizione dell'avventura estetica e sociale del plastron, che già dalle prime battute promette un succulento bottino di scoperte. Dopo il mio Appunto n.4345, sono curioso di sapere se la Sua dettagliata ricostruzione, che parte dalle origini, giungerà alle mie stesse conclusioni quanto alla classificazione degli eredi di quella che potremmo definire la "cravatta alta" del periodo Reggenza. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 23-03-2009 Cod. di rif: 4004 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Gesso n. 4000 e Taccuini collegati (Una -minima- proposta op Commenti: Illustre Gran Maestro, in coda alla Sua colta ed approfondita panoramica sull'affascinante mondo dei tweed, Lei (Tacc. 4362) esprimeva il Suo disappunto per il fatto di non poter mettere a disposizione dei Cavalieri immagini con una migliore risoluzione grafica ad illustrazione dei nobili tessuti da Lei così acutamente indagati. Non sono un tecnico della materia, ma sono abbastanza sicuro che esistano dei siti che mettono a disposizione (anche gratuitamente) una sorta di hard disk "virtuale", vale a dire uno spazio di memoria in cui è possibile conservare grandi quantità di dati ed eventualmente condividerli con altri internauti. In spirito, se si vuole, altruistico (da semplice Simpatizzante, non mi onoro infatti della qualifica di Cavaliere), mi è venuto in mente che potrebbe rivelarsi utile agli scopi di ricerca dell'Ordine acquisire la disponibiltà di uno di questi spazi, rendendolo accessibile tramite password a tutti Cavalieri. Vorrà perdonarmi se ho invaso ambiti di competenza non miei e gradire, insieme alla graditudine per la Sua opera preziosa, i miei migliori saluti. Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4009 E-mail: andreasperelli8@yahoo.it Oggetto: Brummell e la preistoria del Classico Commenti: Egregio Gran Maestro, leggo soltanto ora, e con vergogna, il gesso su questa lavagna nel quale commentava il mio appunto-appunto-appunto del cavalier Villa. Ammetto di non aver l'abitudine alla Lavagna, dacche' preferisco il Taccuino: le immagini, in genere, mi parlano piu' di un testo scritto (forse pero' e' solo prigrizia). Accolgo con piacere il suo invito, e tentero' anche io di esprimermi sul ruolo di Brummell nel nascere della cultura classica maschile, un argomento sul quale non mi ero mai interrogato a fondo e sul quale sara' interessante confrontarsi. Non appena avro' finito la storia della preistoria della dress cravat, mi ci mettero'. Cordiali saluti, MMdC ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4010 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ricostruire il cammino - Allo Scudiero Mocchia Commenti: Egregio Scudiero Mocchia, credo che pochi, fuori da questo ambiente, si rendano conto che l'opera di un uomo non è solo quella materiale. Un torero non lascia che ricordi, attimi sensazionali in cui lo spettatore è messo in condizioni di intuire e sentire, di comprendere un linguaggio segreto che è un codice in codice. Lo stesso accade agli uomini eleganti, ai dandies, ai grandi cuochi, a tutti coloro che lasciano un'opera sensibile eppure caduca, ma non per questo effimera. Quella di Brummell, anche se non raccolta in un volume, è un'opera a tutti gli effetti. E' con essa che dobbiamo confrontarci, per verificare eventuali legami con lo sviluppo della mens classica. A questo proposito è ovvio che i risultati di un'analisi sono legati agli strumenti con cui si effettua. Nell'indagine sulle radici del Classico qui al castello non possiamo lavorare con un metodo relativistico. L'uomo per noi non è ignoto. E' colui che mette al primo posto la dignità e l'onore, che sono rispettivamente l'aspetto statico e dinamico, personale e sociale della stessa istanza. Ad una supremazia relazionale dei doveri ne corrisponde una individuale del piacere, in un gioco di contrasti e contraddizioni che si risolve nello stile. Quando si diceva che prima del Classico la categoria maschile era succube del femminile, ci si riferiva al gioco dei salotti e della reputazione, gestito dalle dame. La gioventù della Reggenza sembra di sua iniziativa andare contro questa servitù delle convenienze, ma in modo spontaneo se non scostumato. Forse fu proprio Brummell a dare un senso a questa rivendicazione di indipendenza, a sdoganarla nel modo giusto, cioè secondo un nuovo codice e non negando la necessità di un codice. La lettura dell'estetica e dell'etica classica univocamente porta a vedervi l'azione costante di una volontà di spostamento del limite, non del suo abbattimento o negazione. Questo lavoro fu, specie all'inizio, squisitamente maschile. Il nuovo uomo trovava fiducia ed autonomia nei nuovi mondi che si era costruito, dai club ai campi sportivi, dalla caccia ai motori. Fu veramente il Beau, attraverso un nuovo linguaggio dell'abbigliamento e del comportamento, a catalizzare questo fenomeno? La distanza che ci separa da lui e la morte definitiva di quel mondo ci permettono di valutare con maggiore obiettività e profondità, agendo su corpi fermi. Fuori, il mondo va avanti. Qui cerchiamo di comprendere il suo cammino. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4011 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Sull'attribuzione di significati simbolici alle scarpe Commenti: Considerando il genere scarpa oltre che da angolazioni storiche, economiche, sociologiche, antropologiche o estetiche, anche dalla particolare angolazione psicanalitica, risulterebbe che numerose specie e varianti formali possono essere rappresentative di contenuti inconsci. Le scarpe si prestano in modo particolare ad un commento psicanalitico, per l’aderenza, per la costrizione, per la bivalenza simbolica e - altri aspetti forse inquietanti, ma indiscutibilmente veri - per la rigidità e, spesso, l’acutezza. Esse, però, potrebbero denotare pure altri complessi o timori di venire privato dello status raggiunto o l’aspirazione ad una determinata, ambita posizione di superiorità. Poiché il desiderato è il non avuto o il non posseduto o il non stato, comunque il non realizzato, desideri e speranze sono il più delle volte rapportabili a sensi di mancanza, a privazioni oppure a costrizioni a suo tempo imposte da sistemi di norme esterne, alle quali, volenti o nolenti, ci si è dovuti conformare. In un simile contesto, non meraviglia che talune scarpe per le forme, per i materiali, per i colori, per gli accessori e per il tipo di tacchi spesso strani - siano divenute emblematiche. Nel corso degli ultimi quindici secoli, inoltre, il binomio forma-segno ha via via prevalso sulla praticità e sulla funzionalità di quasi tutte le specie di scarpe, che - in maggioranza ancora artigianali alla fine del 1800 e perciò sottoposte alla personalità ed al gusto del singolo committente - sono andate rapidamente convergendo ad un limite «estetico» pianificato, iterato e reso valido per una clientela sempre maggiore. È l’ebbrezza della forma, il formalismo, che induce molti gruppi umani a gravare di superfluo i loro prodotti nel momento in cui l’ambiente nel quale vivono e operano viene privato di quegli elementi significativi e memorabili che, soli, sono in grado di esprimere valori durevoli e stabilire relazioni di continuità tra una cosa e l’altra. L’ebbrezza della forma - che è conseguenza del culto della forma - s’accompagna alle grandi crisi delle civiltà; ed è appunto durante tali crisi che l’uomo - perduta la certezza del noto per lo stemperarsi dei caratteri specifici di quanto costruisce - cerca un’ancora di salvezza nel massimo dell’evidenza e nel massimo della sostanzialità, estendendosi nello spazio, aggiungendo sempre qualcosa al sufficiente o conferendo proporzioni inusitate agli oggetti. Il piede, a conclusione, era, presso le prime civiltà storiche, una forma simbolica dai significati tutt’altro che ambigui, assunta a manifestare sia dinamismo fisico e spirituale, quanto circostanze emotive ricorrenti, dalle quali si faceva dipendere l’esistenza stessa dell’umanità. L’osservazione circa l’atteggiamento riguardoso dei Taos per la Terra in primavera, fa comprendere, (giuste le sopravvivenze di remoti costumi e le affascinanti teorie di Edwin Oliver James sui legami esistenti, nell’antico Medio Oriente e nel Mediterraneo centro-orientale, tra una religione e l’altra, tra un rito e l’altro) che la copertura del piede, la calzatura, ha avuto, nel divenire simbolo, quale referente non solo lo status di chi la portava, ma anche, soprattutto nelle cerimonie rituali, il rispetto per il sacro dramma stagionale della terra, dramma che i re, congiunti in matrimonio mistico con la Dea Madre, ed i sudditi vivevano sempre con intensità. Con il passare dei secoli altri significati furono annessi alla calzatura: l’autorità, la potenza, il potere temporale, il dominio, la proprietà e così via fino alle pulsioni sessuali. Eppure, la scarpa, in quanto oggetto di abbigliamento, è rimasta costantemente simbolo che, più che nascondere il proprio referente principale (la posizione dell’individuo nella successione delle strutture sociali), serve a rivelarlo, offrendosi sempre anche come estimabile oggetto estetico (variabile nel tempo) capace di trasformare il piede da struttura meccanica a complemento pregiato e raffinato, attrattivo ed espressivo. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4012 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: L'ossessione di Nanni Moretti per le scarpe Commenti: La memorabile scena dal film "Bianca" di Nanni Moretti. http://www.youtube.com/watch?v=AIGEDfUtGoc Consiglio anche ai più giovani di vederla e di approfondire la ricerca sui profili psicologici delle scarpe. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4013 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Fissare la tomaia alla forma Commenti: Ecco come fa un artigiano: http://www.youtube.com/watch?v=6DaPR-Qyefk&feature=related ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4014 E-mail: luigi.lucchetti@rag-roma.it Oggetto: La preparazione del sottopiede Commenti: http://www.youtube.com/watch?v=6LsE4nsEOJk&feature=related in questo filmato si può vedere come un artigiano prepara un autentico sottopiede in cuoio fatto a mano, predisponendolo alla successiva cucitura praticando i fori uno ad uno in una sorta di monorotaia realizzata con un coltello. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4015 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: la preparazione della tomaia, della fodera e dei rinforzi Commenti: http://www.youtube.com/watch?v=tqQ9zWxBfg8&NR=1 ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 26-03-2009 Cod. di rif: 4016 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: la cucitura del guardolo. Commenti: in questo filmato si può osservare la preparqzione del filo per la cucitura del guardolo al sottopiede ed alal tomaia. http://www.youtube.com/watch?v=c13m_kEllGE&NR=1 Osservate come l'artigiano prepara il filo, passandolo successivamente su un rocchetto di cera, al fine di renderlo più scorrevole nel momento in cui dovrà attraversare tutti i materiali che risulteranno cuciti assieme. Alla fine di questo passaggio il calzolazio rimuove gli eccessi di pelle di tomaia e di fodera con un coltello, preparando così la scarpa all'applicazione della suola sul sottopiede. Notate anche, come nel filmato precedente, che il calzolaio bagna spesso sia la tomaia che la suola. Alcuni calzolai spingono all'estremo questa tecnica dell'umidificazione dei materiali, immergendoli in acqua persino per 24 ore e favorendo un'essiccazione molto lenta dei medesimi, meglio se "in forma" e coperti da una tela di iuta. Con tale tecnica sia la tomaia che il sottopiede si ammorbidiranno, adattandosi meglio alla forma. Il risultato sarà che la scarpa ultimata si adatterà molto meglio al piede del proprietario perché, asciugando, tutte le parti che compongono la scarpa ed il filo "tirano" tutti insieme. Il maestro calzolaio Serafini di Petriolo usa questa tecnica solo su richiesta. Nella stagione piovosa del 2007 l'essiccazione di un paio di scarpe ha richiesto oltre un mese. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 27-03-2009 Cod. di rif: 4017 E-mail: luigi.lucchetti@rag-roma.it Oggetto: La pelle e la concia Commenti: E' preliminare ad ogni successiva discussione una fase "didattica". Condividere alcune "nozioni" non potrà che agevolare l'approfondimento, secondo il metodo indicato dal G. M.. La dimestichezza (se non padronanza) con alcuni concetti farà sì che quando andremo a vedere delle immagini sul taccuino, avremo una maggiore consapevolezza della materia trattata. E' dunque non inutile la breve lettura che vi propongo, tratta da un'encicolpedia on line. Il cuoio è un materiale resistente, flessibile e imputrescibile, costituito da pelle animale sottoposta a un particolare trattamento chimico detto concia. Quasi tutta la produzione mondiale di pellame proviene da buoi, vacche, vitelli, capre, capretti, pecore e agnelli, ma vengono utilizzate anche pelli di cavallo, maiale, cinghiale, canguro, cervo, foca, tricheco e, in misura minore, quelle di alcune specie di rettili e uccelli. Secondo la terminologia commerciale italiana, la pelle conciata prende il nome di cuoio, distinguendo due tipi principali: i cuoi forti, o pesanti, e i cuoi molli, o leggeri. Tradizionalmente, però, con il termine cuoio ci si riferisce solo ai cuoi forti, mentre quelli molli sono chiamati semplicemente pelle. L'appartenenza all'uno o all'altro tipo dipende essenzialmente dalla concia, anche se in genere per il primo si usano quasi esclusivamente pelli di bue e di vacca, mentre per il secondo vengono impiegate tutte le altre. Il cuoio forte, particolarmente duro e resistente all'abrasione, si usa per fabbricare suole da calzature, finimenti e articoli tecnici come cinghie di trasmissione e guarnizioni. Il cuoio molle, o pelle, ha una più vasta gamma di applicazioni, che vanno dalle tomaie delle calzature ai cinturini degli orologi da polso. In particolare, con pelli di vitello e vitellone si producono tomaie, sellerie, valigie e articoli di abbigliamento (giacconi, borsette, portafogli, cinture ecc.); dalle pelli di agnello, pecora e montone si ricavano guanti, giacche e giacconi, articoli da legatoria e da arredamento; con le pelli di capra si producono tomaie per calzature di lusso, borsette e articoli da legatoria; con le pelli di maiale, cinghiale, cervo, foca si producono giacche, guanti, tomaie e articoli di abbigliamento; le pelli di rettile, infine, si usano per produrre tomaie e borsetterie di lusso, oltre che pelletterie varie come cinture, cinturini ecc. La materia prima dell'industria del pellame nasce in gran parte come sottoprodotto dell'industria della carne. Prima di essere conciate, le pelli grezze appena prelevate dall'animale ucciso vengono sterilizzate, mediante salatura o essiccamento, per impedire la proliferazione dei batteri che le farebbero imputridire rapidamente. I metodi di sterilizzazione più diffusi sono la salatura e la salamoia. Nel primo caso le pelli vengono cosparse di sale, accatastate l'una sull'altra e lasciate così per trenta giorni, affinché il sale penetri in profondità. La salamoia richiede tempi più brevi; in particolare nel metodo più comune, detto salamoia 'agitata', le pelli vengono poste in grandi vasche contenenti un disinfettante e una soluzione salina satura: risultano già completamente intrise di sale dopo solo sedici ore. Per ogni tipo di pelle esistono vari processi di concia, scelti in base all'uso cui il prodotto è destinato. I principali sono la concia minerale (o al cromo) e quella vegetale (o al tannino). La prima si esaurisce spesso in un solo giorno, mentre la seconda richiede settimane o mesi. Con la concia al tannino si ottengono cuoi piuttosto rigidi, impermeabili e resistenti a trazione. La concia al cromo restringe il materiale e produce pelli caratterizzate da una maggiore resistenza al logoramento e al calore. Talvolta una pelle viene prima conciata al cromo e poi riconciata al tannino, combinando i vantaggi di entrambi i procedimenti. Prima di essere conciate, le pelli sterilizzate vengono sottoposte ad alcuni trattamenti preliminari. Il primo trattamento preliminare consiste nell'immersione della pelle essiccata in acqua pura, in modo da eliminare il sale, il sangue, lo sporco, ma anche per reintegrare l'umidità perduta. Dopo un periodo di tempo che può variare dalle due ore ai sette giorni, si rimuove meccanicamente lo strato di carne dalla superficie interna. Quindi, per eliminare il pelo, si immerge la pelle in una soluzione acquosa di calce contenente una piccola quantità di solfuro di sodio, dove rimane per un periodo che va da uno a nove giorni. Al termine di questa operazione, i peli vengono facilmente rimossi da una macchina depilatrice e sulla superficie esterna diventa visibile la grana. Per ottenere pellame ben pulito, ogni pelo o pezzetto di carne rimasto viene eliminato manualmente, mediante una sorta di coltello a tagliente ottuso, detto scarnatoio. La fase successiva consiste nell'immergere la pelle in una soluzione debolmente acida, che elimina la calce assorbita e riduce il rigonfiamento da questa provocato. La maggior parte del pellame viene trattata contemporaneamente con una sostanza macerante ricca di enzimi, che rende la grana più liscia e la pelle più morbida e flessibile. La quantità di macerante può variare moltissimo: il cuoio per suole non ne richiede affatto, mentre la pelle di capretto usata per la fabbricazione dei guanti ne richiede alte dosi concentrate. Dopo questa operazione, la pelle può finalmente essere conciata. In questo trattamento, la sostanza che funge da conciante, svolgendo la funzione di rendere la pelle imputrescibile e bloccarne il restringimento, è il tannino, un composto organico vegetale che può essere ricavato dalla corteccia e dalle galle di quercia, dalla corteccia di castagno, leccio, acacia del Sudafrica e varie specie di Tsuga, dal legno di quebracho del Sudamerica, dalle foglie di sommaco e dai frutti di mirabolano dell'India. Nella concia al tannino le pelli, appese a telai oscillanti, vengono immerse in una serie di fosse contenenti soluzioni sempre più concentrate di tannino. Il processo completo richiede 4-5 mesi di tempo, se si usa la sostanza naturale macinata, ma si può ridurre a pochi giorni, usando estratti ad alta concentrazione. La concia minerale è nota come concia al cromo poiché il conciante usato più frequentemente è un sale di questo elemento. Le pelli conciate al cromo sono più elastiche di quelle conciate al tannino e si usano per fabbricare borse, tomaie, guanti e indumenti. Le pelli vengono prima immerse in una soluzione salina acida e poi in una grande botte girevole che scuote le pelli, contenente una soluzione basica di solfato di cromo. La soluzione penetra così rapidamente che la concia può esaurirsi in meno di un giorno. Nella produzione di cuoio chiaro, in sostituzione dei sali di cromo, si usano sali di alluminio o di zirconio. L'allume (solfato di potassio-alluminio), la formaldeide e i tannini sintetici conferiscono invece alla pelle una particolare morbidezza. Dopo la concia, cuoi e pelli sono sottoposti a operazioni diverse a seconda della loro destinazione. Il cuoio al tannino per suole viene prima candeggiato, quindi messo in infusione con sostanze quali sale di Epsom, olio e glucosio, e infine ingrassato con emulsioni calde di sapone, grasso e talvolta cera. Infine viene compattato e levigato mediante cilindratura, ossia il passaggio fra un cilindro di pressione e un piano di appoggio. Il vitello al cromo per tomaie viene 'spaccato' in sezione, ottenendo uno spessore sottile e uniforme, e quindi viene posto in un tamburo rotante per la tintura. Concluse queste operazioni, la pelle viene tesa e fissata su un telaio di vetro o di ceramica, o su una lamiera forata, e asciugata mediante il passaggio attraverso un tunnel a temperatura e umidità controllate. Nell'ultima fase, detta rifinizione, la superficie esterna (fiore) dei cuoi forti viene spalmata con un lucidante e spazzolata con una spazzola rotante. Il fiore dei cuoi molli, o pelli, viene smerigliato per correggere le imperfezioni superficiali. La smerigliatura della superficie interna (lato carne) produce la cosiddetta pelle scamosciata. La 'pelle lucida', invece, si ottiene dalle pelli sottili trattate con una miscela di cere, gommalacca o resine sintetiche emulsionate e pigmenti. Per ottenere la lucentezza tipica del 'vero cuoio' sono necessari diversi strati di vernice spessa e oleosa. Oggi si producono molti surrogati del cuoio e delle pelli, in genere materiali artificiali o sintetici, fra cui materie plastiche come il PVC (polivinilcloruro) e fibre non tessute impregnate di leganti. Questi materiali sono privi della porosità, della flessibilità e della resilienza caratteristiche del cuoio e delle pelli naturali, ma sono sempre più diffusi, specialmente nella fabbricazione di suole per calzature, per i loro bassi costi di produzione. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 27-03-2009 Cod. di rif: 4018 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: La fase finale dell'assembleaggio della scarpa Commenti: Le fasi finali di assemblaggio della scarpa possono essere osservate a questo URL: http://www.youtube.com/watch?v=NNHhFil6vo8 A mio sommesso parere in questo filmato si osserva un uso eccessivo delle colle da paret del calzolaio. In particolare l'incollaggio della suola al sottopiede non è privo di effetti nel caso in cui si volesse procedere alla risuolatura delle scarpe. Un montaggio delle due parti effettuato solamente con cucitura a macchina (meccanico) consentirà al calzolaio (ma anche al ciabattino) di asportare molto più agevolmente la suola da sostituire e di applicarne una nuova senza alterare il sottopiede. A mio parere la scarpa ci appartiene veramente quando sarà risuolata. I cavalieri mi comprenderanno. Ma l'applicazione di uno strato di gomma, o l'incollaggio di uno strato di cuoio, sulla vecchia suola, sono errori capitali da evitare. La scarpa perderà la sua elasticità per sempre. Solo l'accoppiamento di sottopiede e suola esclusivamente mediante cucitura garantirà una vita lunga alla scarpa con la medesima portabilità ed anche con la stessa estetica che ve la fece preferire. Questa tecnica può causare, a seconda dei materiali impiegati nelal costruzione, uno scricchiolio ad ogni passo che, personalmente, ritengo fastidioso perché attira lo sguardo di chi lo sente sulle vostre scarpe. Ci sono invece gentiluomini che ricercano questo effetto, ritenendolo un carattere distintivo della scarpa prodotta a mano artigianalmente. Per ovviare a questo problema (io preferisco l'understatement. Non a tutti piace fasi notare per il gnic gnac delle suole) una volta si usava spolverare i lati delle parti che dovevano essere messe a contatto con della polvere di marmo. Non mi consta che questa tecnica sia ancora in uso e la considererei ormai perduta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-03-2009 Cod. di rif: 4019 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Storia della calzatura Commenti: http://www.vannacalzature.it/Storia_italiano/shoesstory.htm per coloro che volessero avere, con materiali disponibili in rete, un primo approccio con la storia delle calzature. Cavallereschi saluti. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-04-2009 Cod. di rif: 4024 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tweed - Risp. Rizzoli,Villa,Caprari - nn. 4006-4020-4023 Commenti: Comincio col rispondere all'ottimo signor Caprari, che ha dei dubbi sulle definizioni di tessuti. Va premesso che la nostra tripartizione tra Donegal, Harris e scottish tweed si basa, come abbiamo già detto, sulla tecnica e sulla storia, ma è in pratica originale. Lo scottish tweed viene indicato, nella letteratura e nel commercio inglese, come gamekeeper tweed o keeper tweed. Questa definizione è però un po' troppo generica e finisce per ricomprendere anche degli Harris, solo perché la disegnatura ricorda i district checks. Il nostro metodo si basa invece sull'armatura, sul peso, sulla costruzione del filato, sul materiale utilizzato. Qualcosa resta fuori, o a metà strada, ma almeno quello che è dentro è chiaro. Il thornproof è una tela e come tale, nello schema che proponiamo, non potrà essere uno scottish tweed, mentre spesso viene compreso, ma io direi confuso, tra i gamekeepers. Mi sembra ovvio che definizioni troppo poco tecniche non definiscano nulla, sicché, sino a che non vi siano elementi sufficienti a provare che ci sbagliamo, ritengo le dimostrazioni già fornite tramite immagini e documenti sufficienti a suffragare la tesi che lo scottish tweed debba essere una delle evoluzioni del twill e non della tela. Invece, quanto ai cardati d'Irlanda con armatura a twill ed effetto a spina di pesce, se costruiti a filo singolo, con lane autoctone ed effetto pioggia, potremmo senz'altro estendere loro la definizione di Donegal tweed. Diversamente, anche se costruiti in Irlanda, tessuti che non rispettino questi parametri tradizionali e costituitivi sono apocrifi. Quanto alle domande dei Cavalieri Rizzoli e Villa, non esiste una categoria degli Shetland tweed. Shetland è qualsiasi cardato ottenuto con le lane di queste isole, perché quello che qui conta è la materia prima. La pettinatura, eliminando quella commistione tra fibre corte e lunghe, spesse e sottili, che è alla base della personalità dello Shetland, è esclusa. Lo studio comunque continua ed ogni domanda, ogni aggiunta, ogni precisazione o eccezione, è da considerarsi preziosa. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Busacchi Data: 18-04-2009 Cod. di rif: 4025 E-mail: giacomobusacchi@hotmail.it Oggetto: Tendenze e trend Commenti: Desidererei soffermare l'attenzione su alcuni concetti espressi dal Signor Pugliatti nell'appunto numero 4417. Innanzitutto mi sembra opportuno osservare che quando ci si riferisce alle evoluzioni nelle forme del guardaroba maschile nello svolgere del secolo scorso,come è stato più volte qui ribadito fino al 1968,dette evoluzioni avvenivano,oltre che in un contesto comunicativo profondamente diverso dall'attuale anche e soprattutto su un "corpus" vivo. Ovvero il Classico evolveva in quello che sarebbe stato il suo crepuscolo ma evolveva da "vivente". Come è stato più volte ribadito in questa sede alla fine degli anni sessanta del secolo scorso il Classico è "morto" ha cessato quindi di crescere nelle forme nei materiali e nei contenuti estetici diventando a sua volta un immenso contenitore al quale tutti possono accedere pochi comprendere e nessuno aggiungere. Questo,a mio personalissimo avviso,è dovuto in larga misura all'importanza che riveste il meccanismo consumistico: pur di salvaguardare la crescita dei fatturati si sacrifica qualsiasi altro contenuto, culturale in primis. Quindi quando si parla di trend,nell'abbigliamento come in altri settori, non parliamo di un mutamento organico ma di un "nuovo" che deve sostituire un "vecchio" dove i due termini di paragone e i tempi sono definiti unilateralmente da chi si offre sul mercato (e non da chi compra). Si arriva così al paradosso dove,in quella che dovrebbe essere la riserva di caccia del Classico ovvero la Sartoria, qui il Maestro e il suo cliente sono a volte all'inseguimento di un trend vittime più o meno consapevoli degli attori menzionati. Brevemente: il Classico è un patrimonio a cui a mio avviso è opportuno accostarsi con lo spirito con cui si va in una biblioteca, per apprendere dei contenuti da cui derivare una propria interpretazione più o meno mediata nelle forme e materiali,più che viverlo come un insieme di informazioni da vampirizzare alla bisogna. Il rischio, se si evita una elaborazione personale di questi contenuti, è quello di essere sempre pupi nelle mani di pupari, anche con la giacca cucita dal Sarto. Giacomo Busacchi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 20-04-2009 Cod. di rif: 4027 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Scarpe. Due o tre apputi sui materiali Commenti: Un piccolo diario delle poche cose che ho imparato sui materiali per la costruzione delle scarpe, a beneficio soprattutto dei più giovani che, talvolta, mi onorano della richiesta di un modestissimo parere. Scritti senza pretese di sistematicità, ma frutto certamente di esperienza diretta. Suole in gomma para. Premetto che il materiale da me preferito per le suole è il cuoio. Non usavo più scarpe con suole di para non so neppure da quanti anni. Il pregiudizio per lo scarso comfort era radicale ed a ragione. Quattro anni fa uno dei pochi calzolai veramente "didattici" che ho conosciuto mi ha spiegato che la para migliore è molto porosa. Mi ha mostrato che sul bordo della para di qualità si formano delle macchie di color tabacco: si tratta di un colore che si forma durante la lavorazione che va ad inserirsi nei suoi pori microscopici. Questo "difetto" appartiene solo alla para molto leggera, che così resta traspirante malgrado il materiale di cui si compone. La para di gomma più dura, a parità di volume, pesa il doppio e non è traspirante. Semplicemente isola in modo stagno, con gli effetti che potete immaginare. In compenso dura molto di più. La para di qualità si consuma come una gomma per cancellare le matite. Ogni anno o quasi occorre cambiarla. Le scarpe con mescole più compatte sono molto più durature, ma non vorrei mai trovarmi nella situazione di dover togliere quelle scarpe davanti ad una donna prima di coricarmi. Sarebbe molto imbarazzante e deleterio per la bella situazione che si era tanto faticato a costruire. Conclusione: una scarpa con una suola in para di alta qualità risulterà più adatta per la stagione calda. Portata occasionalmente d'inverno mi ha causato l'infreddolimento delle estremità. Da evitare. Fodera interna. Sia in scarpe invernali che in quelle estive, ho imparato a preferire le fodere in capretto. Sono più isolanti dal caldo di quelle in tela. Inoltre, pur essendo molto traspiranti, trattengono un po' di umidità e sono particolarmente morbide al contatto col piede. Tra la fodera interna (in capretto) e la tomaia, i calzolai frappongono (ma non sempre) una teletta in tessuto di cotone o anche in altri materiali. Il rivestimento del piede risulterà così formato di tre strati. Tacchi I tacchi più belli sono certamente quelli interamente in strati di cuoio, senza gomma, con una fila di chiodini in rame senza testa posti sul bordo esterno, che si consumeranno insieme al tacco. Ma sono anche i più pericolosi. Un mezzo tacco di gomma non snaturerà l'estetica della scarpa in modo determinante e vi salverà da qualche pericoloso scivolone. Cavallerescamente. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 25-04-2009 Cod. di rif: 4030 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: prestazioni scarpe vintage Commenti: A beneficio del cavalier Villa va, per onestà intellettuale, ascritto che aveva precisato espressamente di non essere sicuro che la scarpa vintage avrebbe avvantaggiato l'avversario. E comunque, la sua, era una notazione a margine di un post assolutamente "nel seminato" del Castello. Sono invece io fuori del seminato affermando che qualsiasi giocatore di livello medio, calzando scarpe come quelle di Serafini, mi batterebbe sicuramente tanto a poco anche se io calzassi la scarpa più performante su un campo da tennis. A riprova che l'Uomo è sempre e comunque più importante di ciò che indossa. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti (giocatore mediocre di tennis) ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 26-04-2009 Cod. di rif: 4031 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Immagini digitalizzate Commenti: A tutti gli appassionati vorrei segnalare la presenza in rete di un archivio di oltre 200 immagini digitalizzate provenienti dalle ben note fonti statunitensi di stile maschile d'antan. Indirizzo Web: www.styleforum.net/g/showgallery.php/cat/556 Cordiali saluti Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 28-04-2009 Cod. di rif: 4041 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Foto scarpe Fred Perry riferimento 4455 Commenti: Ho visto, sempre nel laboratorio di Petriolo (MC) della ditta Serafini, la scarpa da tennis fotografata nell'appunto n° 4455, esattamente riprodotta nel modello, ma a colori invertiti. Cioè blu dominante e finiture in bianco, con lo stesso cerchio bianco. Purtroppo ho dimenticato di fotografarla. Cavallerschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 12-05-2009 Cod. di rif: 4056 E-mail: andreasperelli8@yahoo.it Oggetto: Al Sig. Biondi - spille da colletto e baffetti da sparviero Commenti: Gentile Signor Biondi, sebbene esistano diverse aziende che producono mollette e spille da colletto, queste sono ubicate sempre negli Stati Uniti (gli americani usano ancora molto questo accessorio), cosa che rende difficile la spedizione. Perciò uso reperire questi accessori su E-Bay o ai mercati delle pulci o dagli antiquari, dove spesso sono venduti in lotto assieme a gemelli, bottoni da sparato e spillette varie. Ringrazio per il complimento sui baffi, che faccio crescere di tanto in tanto; uso un normale e banalissimo rasoio Gillette del tipo Mac3; poi, bisogna lavorarci di forbice... Cordiali saluti, MMdC ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 13-05-2009 Cod. di rif: 4057 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Collar pins - al Sig. M. Mocchia di Coggiola Commenti: Illustre Signor di Coggiola, da semplice visitatore del Castello, sono comunque sensibile all'esigenza che questo Luogo, destinato alla ricerca, non sia inutilmente affollato da sterili convenevoli. Tuttavia, non posso esimermi dal manifestarLe pubblicamente la mia gratitudine per le tanto puntuali note da Lei vergate sui Taccuini in risposta ai miei incerti quesiti. Cordialità, GS ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 13-05-2009 Cod. di rif: 4059 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Il Cuoio di Russia finalmente in Italia Commenti: Comunico in anteprima a tutti coloro che condivideono la passione per le belle scarpe, che la ditta Serafini di Petriolo dispone, eccezionalmente, di un piccolissimo quantitativo di cuoio di Russia che l'esclusivista mondiale ha, contrariamente alla propria politica commerciale, venduto al dettaglio (non lo crederete, ma abbiamo scomodato alti prelati per riuscirvi). Per pochissimi eletti sarà possibile ora farsi confezionare in Italia delle scarpe con questo materiale così bello e raro. Dalle informazioni ricevute dal titolare il costo sarà di 1.000 scudi al paio. Per informazioni potete chiamare il numero 0733550225. http://www.lsp-serafini.it/index.php/Contatti.html Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluigi Maresca Data: 17-05-2009 Cod. di rif: 4060 E-mail: domanismetto77@yahoo.it Oggetto: Lunghezza dei pantaloni Commenti: Illustre Gran Maestro, Egregi Cavalieri, sono qui a chiedervi un consiglio e un'opinione riguardo la corretta lunghezza dei pantaloni. Solitamente porto pantaloni dalla linea asciutta e larghi al fondo 19 centimetri, seguendo la regola che la gamba spezzi una sola volta sul davanti appoggiandosi alla scarpa. Finché rimango fermo ritengo che la linea sia gradevole; ho notato, tuttavia, che camminando si intravedono le calze. Per ovviare a questo inconveniente dovrei portare pantaloni più lunghi con l'inevitabile conseguenza che si formerebbe ben più di una piega sul davanti, effetto che non amo particolarmente; in alternativa, dovrei portare pantaloni più larghi, variante che nuovamente non incontra i miei gusti. Effettuando una ricerca nei precedenti contributi della Lavagna, ho trovato interessante il Gesso n.1173 in cui il Signor Granata poneva la stessa mia domanda, aggiungendo "mi pare giusto portarli in modo che rimangano dritti, ma che coprano almeno le calze mentre cammino". Non mi pare che nessuno abbia smentito in seguito questa affermazione: da qui il mio dubbio circa la correttezza della mia scelta. L'intravedere le calze durante la camminata è un particolare trascurabile, oppure è indice di mancanza di gusto? Ringraziandovi per la vostra disponibilità e infinita competenza in materia, vi saluto cordialmente Gianluigi Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-05-2009 Cod. di rif: 4063 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pantaloni che risalgono - Risp. gesso n. 4060 Commenti: Egregio signor Maresca, dobbiamo innanzitutto dividere l'argomento "lunghezza dei pantaloni" da quello "vista delle calze". La prima è una questione di gusto, ma fino ad un certo punto. Certi gusti, infatti, hanno dato prova di essere superiori ad altri e generato una linea al di là della quale non è consigliabile andare. La storia del vestire ed i suoi eroi ci hanno mostrato l'efficienza costante di quel parametro cui Lei fa riferimento: l'aspetto più corretto lo hanno i pantaloni la cui piega poggi sulla scarpa spezzandosi una sola volta. Allontanarsi da questa armonia aurea non porta ad alcun risultato rilevante nell'estetica classica, quella che qui ci interessa. Non si tratta di una regola imposta da qualcuno, ma di un'armonia trovata con l'esperienza e la capacità di osservazione, come la proporzione aurea in architettura. La vista delle calze non è un problema di per se stesso, ma lo è il motivo per cui esse si rivelano nella misura troppo evidente che la infastidisce. Un paio di pantaloni realizzati da un bravo pantalonaio non deve risalire molto alla caviglia, anche camminando. Le gambe sono come le maniche di una giacca. Se il giro è fatto bene e sta al posto suo, alzando il braccio la manica risale appena, mentre in un prodotto approssimativo ad ogni gesto corrisponde un brusco accorciamento. Lo stesso avviene ai pantaloni, in mancanza di appiombo. La giusta rotazione tra davanti e dietro, la corretta costruzione e posizione del cavallo, fanno in modo che le gambe quasi scompaiano all’interno dei calzoni. Diversamente esse cercano di uscirne, come sembra avvenire nel Suo caso. Non resta che fare maggiore attenzione in sede di prova dal pantalonaio, magari salendo delle scale piuttosto che restare davanti allo specchio Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluigi Maresca Data: 20-05-2009 Cod. di rif: 4064 E-mail: domanismetto77@yahoo.it Oggetto: Commenti: Ringrazio il Gran Maestro e i Cavalieri Caprari e Grandi per i consigli e i suggerimenti che mi hanno fornito, anche se purtroppo riesco a cogliere alcuni aspetti del discorso solo fino ad un certo punto: sono alle prime armi e non sempre riesco a riconoscere con chiarezza il confine tra ciò che mi piace e ciò che dovrebbe essere, rischiando così di rivelarmi cattivo giudice di me stesso. In passato usavo portare pantaloni un po' più larghi e più lunghi di quelli odierni, con il risultato che si verificavano diverse pieghe da fermo ma era praticamente impossibile vedere anche un solo millimetro di calza camminando. Recentemente mi sono rivolto ad un sarto per farmi confezionare il mio primo abito e ho chiesto espressamente che i pantaloni venissero tagliati come ho spiegato nel precedente Gesso. Più che infastidito dal risultato, sono rimasto solo un po' perplesso: non certo per il lavoro del sarto, ma per la mia stessa richiesta, della cui correttezza ho iniziato a dubitare a posteriori. Posso dire che camminando si verifica una scopertura massima della calza, sul lato esterno, di mezzo centimetro circa. Anche nella parte posteriore e sul lato interno i pantaloni tendono ad alzarsi un poco, ma mi pare in misura minore, mentre frontalmente non noto variazioni significative. Chiedo al Gran Maestro se con la frase "risalire molto alla caviglia" si riferiva proprio a pantaloni come quelli che ho appena descritto. Un'altra cosa a cui non ho pensato è stato chiedere al sarto di tagliare il fondo obliquamente, in modo da avere la parte posteriore più lunga e ovviare almeno in parte al problema. Spero che alla mia prossima visita in sartoria riesca a mettere in pratica i vostri preziosi consigli, che tengo in alta considerazione, in modo da ottenere un risultato migliore che non lasci spazio a dubbi di sorta. Ccordialmente, Gianluigi Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluigi Maresca Data: 20-05-2009 Cod. di rif: 4065 E-mail: domanismetto77@yahoo.it Oggetto: Rettifica Commenti: In merito al mio precedente intervento, sono stato forse un po' troppo ottimista per difetto: a voler guardare meglio, c'è almeno un centimetro buono. Cordiali saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 22-05-2009 Cod. di rif: 4067 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: ancora sulla lunghezza dei pantaloni Commenti: Non sono certo che esista una lunghezza ideale dei pantaloni da consegnare defintivamente all'iconografia immutabile del classico. Sebbene condivida la preferenza per la lunghezza più volte descritta (una sola piega sul davanti - associata ad un'ampiezza non troppo pronunciata), non sono sicuro che sia la soluzione per tutte le situazioni. Ad esempio, sto progettando un completo a piccoli quadri con una stoffa vintage per il prossimo inverno che prevede un pantalone a tubo, senza risvolto, leggermente più corto del solito, che scoprirà sicuramente un po' le calze. Si tratterà di un abito un po' anni '60 in stile MOD, con una giacca a tre bottoni. Non penso che sia osceno: sarà solo un po' insolito di questi tempi, ma non inelegante. I veri guru di questa porta ci diranno inoltre se ritengano sconveniente una minore lunghezza (che annulli cioè la piega) nei pantaloni da smoking. Credo che la visione delle foto sul blog http://thesartorialist.blogspot.com/ possa dimostrare che vi sono più possibilità e che non esista un solo canone di lunghezza del pantalone. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-05-2009 Cod. di rif: 4068 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sul fondo dei pantaloni - Risp. gesso n.4064 Commenti: Egregio signor Maresca, la risalita dei pantaloni durante la camminata, di cui parlavo nel Gesso n. 4063, è un fenomeno squisitamente dinamico e andrebbe valutato da vicino e mentre si manifesta. La descrizione orale non può rendere l'effetto in movimento. Basandosi sui dati che ha fornito, si può comunque affermare che una luce di mezzo centimetro che si apra sulla calza non sia sconveniente, né fa pensare che i pantaloni siano scompensati. Continui duqnue lungo la strada intrapresa, correggendo magari con una leggera inclinazione del fondo. tenga presente che il taglio obliquo del fondo dei pantaloni è praticabile anche col risvolto, ma in misura minore e solo accettando che sul davanti si formi una piegolina fissa, dovuta al fatto che il risvolto è un parallelogramma. Ruotandolo per abbassare la parte posteriore, il lato corto anteriore va inevitabilmente a incidere leggermente la gamba. In genere i sarti sconsigliano questa pratica, laboriosa e dai risultati non certamente graditi a chi già non li conosca. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianluigi Maresca Data: 25-05-2009 Cod. di rif: 4069 E-mail: domanismetto77@yahoo.it Oggetto: Commenti: Ringrazio il Gran Maestro e il Cavaliere Lucchetti per l'ulteriore approfondimento dell'argomento e per i consigli elargiti, nonché per l'immagine e il testo del Taccuino 4504 a perfetto completamento di quanto fin qui trattato. Cavallereschi saluti Gianluigi Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Barone Data: 26-05-2009 Cod. di rif: 4070 E-mail: g.b.j.@katamail.com Oggetto: doppiopetto di confezione Commenti: Egregio Gran Maestro, Ho scoperto con una certa sorpresa che non è possibile reperire un doppiopetto estivo (sfoderato) di confezione. La spiegazione che mi è stata data dai negozianti riguardo alla scarsa diffusione persino di quelli di mezza stagione è che "la gente non vuole somigliare a Berlusconi", altri si sono limitati a chiedermi "cosa ci deve fare?" (!). Lasciando perdere questa spiegazione ora io le chiedo, visto che il doppiopetto dona tantissimo proprio agli uomini dal personale slanciato e atletico, ideale a cui aspira il qui teorizzato uomo delle palestre, e vista la attuale diffusione nelle vetrine del pronto di abiti e accessori ispirati agli anni trenta, come mai questo fondamentale capo dell'epoca d'oro dell'abbigliamento maschile risulta introvabile? Eppoi, quando venivano fabbricati, con quali materiali? Il lino? La lana? Mi rendo conto che una discussione sulla confezione non è nello spirito dell'Ordine, tuttavia forse essa è una delle porte d'accesso alla sartoria, poichè le vetrine ospitano abiti già confezionati e non sarti, perciò confido in una sua sempre competente risposta. Cordiali saluti, Giovanni Barone ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-05-2009 Cod. di rif: 4072 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Doppiopetto e fodera - Risp. gesso n. 4070 Commenti: Egregio signor Barone, la Sua domanda richiede una risposta a due stadi. Il primo serve a portarci fuori dalla gravità di un malinteso di fondo ed il secondo a collocarci nell'orbita da cui risulta visibile la spiegazione che chiede. Avviamo subito i motori. Quella di sfoderare le giacche è un'abitudine recente. A parte la sartoria napoletana, che praticamente da sempre ha usato lini e cotoni sfoderati, il resto d'Italia e del mondo vestiva anche d'estate con giacche foderate. L'unica concessione era quella della mezza fodera, che lascia nuda la schiena e guarnisce le spalle e le mostre anteriori. Ancor meno si concepiva di sfoderare il doppiopetto, foggia poco "sportiva". Il desiderio e la capacità tecnica di sfoderare le giacche su larga scala appartiene dunque già al nuovo corso delle cose. In alta età classica, le giacche di sartoria fine erano foderate in seta pura o in alpacas, un materiale oggi scomparso che veniva realizzato con la lana per i capi invernali. Ancor oggi case come Caraceni o Rubinacci usano la seta e solo la seta. La sartoria più corrente usava il bemberg in vari pesi e tessiture, come fa oggi un po' tutto il settore. Il doppiopetto sfoderato non è dunque un classico scomparso, ma un fratello mai nato della giacca sfoderata a petto singolo, diventata comune insieme all'accresciuta perizia della confezione nel realizzarla. Il secondo stadio riguarda la scarsa attenzione al doppiopetto, foderato o meno, mostrata dalla nuova civiltà. Berlusconi non c'entra nulla. Il fenomeno va ascritto all'esigenza di leggerezza in tutti i sensi laddove un doppiopetto, con il continuo abbottonare e sbottonare e con l'evidente maggior copertura, si muove in direzione opposta. L'homo elegans aspirava alla sicurezza di sé ed era disposto a dei sacrifici pur di aderire, anche esteticamente, al ruolo che credeva suo. L'uomo delle palestre riconosce in misura molto minore il ruolo sociale del vestire e anche di se stesso. Si preoccupa di una praticità che significa assenza di ogni preoccupazione e promettendo un affrancamento dalla rinuncia e dalla sofferenza diviene il nuovo bene supremo. E' vero che il doppiopetto dona molto ai fisici atletici, ma l'homo gymnicus vuole valorizzare il fisico in modo molto più diretto. Un umanità in cui piercing e tatuaggi ricoprono la maggioranza della popolazione, non resta molto posto per i doppipetti. Naturalmente il suo linguaggio resta affascinante, sicché esso resterà vivo a lungo grazie a coloro che lo comprendono. Per averlo sfoderato, però, dovrà andare in sartoria. E' una buona occasione, non le pare? Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Barone Data: 28-05-2009 Cod. di rif: 4073 E-mail: g.b.j.@katamail.com Oggetto: doppiopetto sfoderato Commenti: Egregio Gran Maestro, la ringrazio per la pronta ed approfondita risposta, e per aver esorcizzato il doppiopetto fantasma di confezione che avevo in mente. Come vede non ne so proprio abbastanza per andare da un sarto a chiedere qualcosa che non conosco nemmeno io. Per il momento sarà meglio che mi astenga, e continui a seguire sul sito gli interventi di persone competenti in materia. Lei mi conferma che sono comunque esistite queste giacche con la sola schiena sfoderata, forse anche di confezione, ed in effetti immagino che gli esempi in Palm Beach apparsi sul taccuino avessero questa struttura interna. Mi scuso se insisto sulla confezione, ma la consideri una specie di sistema di coordinate che in questo momento mi fa comodo. La totale assenza di fodera dovrebbe portare a risultati più simili a quelli di un giubbino (penso al doppiopetto Balenciaga del taccuino 729), ma richiederebbe l'uso di stoffe più pesanti di quelle che si vedono oggi in vetrina per non stravolgere l'estetica del doppiopetto. Volendo usare le moderne stoffe sottili forse converrebbe mantenere la mezza fodera. Sperando di non avere introdotto altra confusione su questa lavagna le porgo i miei più cordiali saluti, Giovanni Barone ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 29-05-2009 Cod. di rif: 4075 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Ministri e cravatte - Rif. gesso n. 4071 Commenti: Egregio Cavalier Borrello, mi permetto di interloquire con Lei sul tema delle recenti esternazioni dell’attuale Ministro della funzione pubblica in merito alla tenuta che dovrebbe essere costantemente adottata dai pubblici dipendenti. Si tratta di affermazioni che – valutate in astratto, con riferimento ad un ipotetico mondo ideale - potrebbero forse meritare adesione. (Scrivo “potrebbero”, giacché in vero non si può ignorare che l’intento che scopertamente ispira questa come altre prese di posizione del Ministro è quello di segnare un ulteriore punto nel suo personalissimo rodeo contro una categoria sociale il cui prestigio e la cui efficienza sono stati minati da decenni di gestione politica ispirata a finalità di bassa manovra elettorale e che oggi agli stessi fini viene cinicamente additata come capro espiatorio contro cui aizzare le plebi. Personalmente, trovo che accanirsi contro il debole sia segno di viltà. E alle manifestazioni di viltà credo non si possa indirizzare altro che un tassativo e inderogabile disprezzo.) Valutate in concreto – e cioè con riferimento al mondo reale ed ai rapporti di forza in esso esistenti – le parole del Ministro mi appaiono sotto tutt’altra luce. Il dimesso travet che porta in giro il suo abituccio d’ordinanza perché così gli è stato imposto dal Ministro-che-finalmente-le-dà-di-santa-ragione-agli-odiati-burocrati è un perdente (volendosi ispirare al lessico sempre controllato e “istituzionale” del Ministro, si potrebbe dire “uno sfigato”). Giacca e cravatta indossate per timore del ministeriale castigo da un remissivo “impiegato di concetto” costituiscono segno esteriore della sua sottomissione e della sua irrilevanza sociale. I vincenti sono altri. Caracollano trascinandosi con la grazia di un pitecantropo all’interno di caricaturali corazze doppiopetto color “monnezza” (elettivamente accostate ad un maglione in tinta, secondo un’estetica in voga fra i buttafuori di certi locali equivoci), così come fa, d’abitudine, l’attuale Presidente del Consiglio (si, proprio il Presidente del Ministro). Oppure sono capitani di industria così indaffarati a costruire combinazioni societarie da non riuscire a trovare il tempo, o la voglia, per cavarsi di dosso l’adorato, eterno maglione blu neppure in giugno. No, in definitiva non credo che la sparata del Ministro abbia qualcosa a che spartire col modo di sentire di chi a tutt’oggi si prefigge il compito di testimoniare “la permanenza del classico”. Quelle parole mi sembrano anzi celare un subdolo attacco alle fondamenta stesse dell’edificio del classico, che da cifra espressiva di una civiltà basata sul rispetto e sulla reciproca tolleranza fra eguali viene degradato a “livrea”, a divisa obbligata da lacchè, a contrassegno forzato di coloro che non hanno saputo spingersi tanto in alto nella scala dei valori sociali da guadagnarsi il diritto di ostentare la propria libertà dal “giogo” di seta della cravatta. Capisco l’ansia di trovare alleati nella battaglia a difesa del mondo di valori di cui il vestire classico è silenzioso messaggero. Ma credo che avviarsi a combattere marciando a fianco di simili infidi compagni d’arme significhi quasi certamente avviarsi verso la sconfitta. E temo che si tratterebbe di un ben meritato rovescio. Con i saluti più cordiali, Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Busacchi Data: 29-05-2009 Cod. di rif: 4076 E-mail: giacomobusacchi@hotmail.it Oggetto: gesso4075-Sig. Spadaro Commenti: Vorrei esprimere tutta la mia solidarietà e concordanza di pensiero a quanto espresso dal Signor Spadaro nel Gesso in oggetto. Ritengo che sarebbe un errore fatale confondere l'uso che viene fatto dal nostro attuale Ministro di codici estetici a noi così cari per una reale condivisione di intenti e valori. Teniamo ben presente che le basi su cui poggiano le divise estetiche che tanto approfondiamo in questa sede sono prima di tutto culturali e morali, dietro la condivisione dei canoni estetici "classici" c'e'(spero)un humus comune di formazione e aspirazioni ben piu consistente e articolato che ha nell'analisi formale dell'abito uno dei suoi risvolti concreti. Mi sembra invece che l'utilizzo mediatico da parte del Titolare del Dicastero sia puramente utilitario all'ampia operazione di "messa in mora" attuata dal Soggetto in questione nei confronti dei dipendenti della P.A. e che è la cifra che mi pare contraddistingua l'attività del Ministro nell'attuale Legislatura. Con questa mia riflessione non voglio esprimere un giudizio in merito a queste scelte soggetivamente condivisibili ma solo considerazioni di metodo che scaturiscono in me da una valutazione morfologica ad ampio raggio sulle cifre morali,formali e storiche della attuale nostra classe dirigente. Ritengo infatti che il "Castello" ,inteso come comunione di contenuti,abbia solo da rimetterci a riconoscersi in attori assolutamente estranei alle nostre linee guida e aspirazioni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 29-05-2009 Cod. di rif: 4081 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Ministri e cravatte. Una nota a margine. Commenti: Egregio Cavalier Borrello, lungi da me l’idea di aprire una discussione di scienza dell’amministrazione. Semplicemente, quella era la fonte da Lei citata e quelli i pensieri che detta fonte mi ispirava. Pensieri – devo dire – non scalfiti dalla Sua cortese replica. Sono anch’io sensibile al richiamo al decoro. E tuttavia il richiamo non può andare disgiunto dall’esempio. E il decoro in sé stesso vuol dire poco se non sottende l’adesione ad un sistema di valori: non si possono confondere mera esteriorità ed estetica. Sotto questi decisivi profili, ho trovato che la nota presente nello spartito eseguito pochi giorni or sono dal Ministro suonasse falsa. Una sparata, per l’appunto. Un’ultima notazione: l’espressione “tartassati travet”, che Lei pone fra virgolette, non è mia e non può essermi imputata. Per i miei gusti, suona troppo allitterante e si pronuncia con fastidio. Cordialità, GS ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-06-2009 Cod. di rif: 4083 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il grigio e la luna - Risp. al gesso n. 4082 Commenti: Egregio signor Abravanel, il grigio chiaro non è affatto vincolato alla bella stagione e può essere indossato con pertinenza ogni mattina dell'anno, ovviamente assecondando la stagionalità del materiale. Lei parla di fresco, che è un ritorto piuttosto matto, ma definisce il tessuto come brillante. Evidentemente si tratterà di un tropical, magari con una percentuale di mohair. Un ottimo abito da viaggio e affari, che la foggia da Lei scelta priverà un poco di flessibilità. In via generale è preferibile il notched lapel, ma il petto a lancia non è un errore, solo una scelta. La maggiore evidenza della vanità potrebbe rendere il capo meno adeguato alle situazioni in cui è doveroso o opportuno tenere un basso profilo. Qualche limitazione nel grigio perla è relativa all'età, in quanto può risultare stonato per chi abbia la chioma dello stesso colore. Credo che non sia il Suo caso, anzi mi sorprende questa attenzione a delle tonalità che in genere i giovani non guardano nemmeno. Quanto alla virata verso il giallo, è comune a molti materiali in grigio chiaro. I bottoni stessi la subiscono, ma soprattutto i nastri dei cappelli. Chi ama i feltri avrà avuto modo di constatare come il gros-grain più chiaro tenda a contrarre la malattia del giallo. Il nemico da temere è la luna, i cui raggi sono molto efficaci su tessuti e pellami. Il Suo abito, nell'armadio o indossato di giorno, resterà immutato per anni. Portato un paio di volte di notte, all'aperto, potrebbe effettivamente perdere brio ed assumere sfumature tristissime. Ecco uno dei motivi per cui di notte l'uomo, che una volta queste cose della natura le maneggiava quotidianamente, si è sempre vestito di nero o di bianco, lasciando il grigio perla ai gilet ed alle cravatte del mattino. Ora è in possesso di quello che Le serve per prendere da solo la decisione. Inutile, anzi dannoso, far parola di queste cose col sarto. Tutti i sarti credono di sapere sui tessuti molto più di quanto realmente sappiano. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 07-06-2009 Cod. di rif: 4086 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Bedford Cord Commenti: Sono un estimatore di questo tessuto, col quale ho fatto realizzare un paio di pantaloni due anni fa. Non posseggo altri capi, ma mi piacerebbe. Il limite che ho registrato è nella scarsità dell'offerta da parte delle ditte produttrici (ne ho trovato solo 3 colori in una mazzetta di un noto produttore inglese di tessuti). A coloro che se ne intendono chiederei di fornire informazioni sia sui filati di cui è composto (prevalentemete in cotone. Ne esistono in lana? Chi li vende?) sia sulla reperibilità di questi tessuti, in Italia o all'estero, in una gamma cromatica più vasta. Inoltre vorrei conoscere il vostro parere sul confronto tra il bedford cord ed il corduroy, che mi piace meno. Ringrazio anticipatamente. Cavallereschi saluti. L.L. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-06-2009 Cod. di rif: 4087 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottni da blazer ed iniziali - Risp. gesso n, 4085 Commenti: Egregio signor Fontana, i bottoni piatti non sono indicati per il blazer. La sua nascita va infatti ricordata con bottoni in metallo che abbiano un certo volume, come da secoli accade nelle giacche della marina. Diverso il caso dei bottoni in corno o corozo, dove la componente sportiva viene volontariamente e preventivamente sacrificata. Ciò premesso, non ci sono particolari motivi per privarsi delle proprie iniziali sul bottone, purché non appaiano leggibili come quelle su una valigetta. Poiché i bottoni tradizionalmente recano delle insegne, cioè dei simboli non leggibili in senso grammaticale, sempre nel rispetto della storia e quindi dei significati la decorazione con le iniziali deve avere una foggia arabescata, intrecciata o comunque complessa, essere insomma un monogramma che impone una certa attenzione e un minimo di tempo per essere decifrato. Diversamente resta una distinzione cercata con eccessiva evidenza. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-06-2009 Cod. di rif: 4089 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Caramelle e pastiglie - Risp. gesso n. 4088 Commenti: Egregio Villa, sono certo che Lei, pur avendo scelto il bottone piatto, al solo sentire il richiamo ad un minimo di volume abbia avvertito che questa scelta abbia un senso, cioè un punto di partenza e una direzione chiara. So bene che la gran parte dei blazer è proposto con bottoni piatti, ma è doveroso riconoscere che il bottone marinaro è per tradizione una caramella dalla superficie tonda e non una pastiglia piatta. Un giusto quantitativo di etimologia estetica porta con sé un certo rispetto di questa foggia e la conseguenza è che il corretto bottone di metallo di un blazer è quello con un minimo di cupola. Tutto semplice, evidente, direi naturale, fermo restando che come sempre ciascuno fa a modo suo e qui si dibatte dei significati, non si dettano leggi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-06-2009 Cod. di rif: 4092 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tessuti tinti in pezza, tra dinamismo e romanticismo Commenti: Egregio signor Caprari, il lino irlandese, certamente l'unico che avrà preso in considerazione, è tinto in pezza e non in filo. Basta aver posseduto o visto un paio di jeans, in pratica essere nati sulla Terra, per aver avuto modo di osservare come si comportino i tessuti tinti in pezza. Tendono a perdere colore in modo non uniforme, partendo dalle zone di frizione e da quelle più esposte nei lavaggi. Si comporta così, o meglio si comportava, visto che ormai sta scomparendo, anche la tela massaua, in estate preferita da molti uomini d'azione del passato anche al più perfetto drill tinto in filo. Traccia indelebile dei movimenti, mappa delle abitudini personali, cronaca vitale non mediata dalla scrittura, la perdita di colore diventa una storia da indossare e una dichiarazione di dinamismo. Queste caratteristiche, essendo in grado di fornire quello che in giro più manca e quindi più si cerca, cioè un'identità, sono alla base non solo del successo del denim, ma di tutta la serie dei delavée, che oggi rappresentano una quota massiccia del settore tessile. E c'è anche di più, almeno nei tessuti invecchiati veramente addosso e specie in quelli più pregiati. C'è una vena romantica che sgorga dall'abbandono palese della disciplina della perfezione in favore di quella della memoria. Con le tasche un po' consumate e spanciate, coi risvolti segnati dal tempo, il Suo paio di pantaloni parla di queste cose, cerca di indirizzare Lei e coloro che La vedono a scegliere una via ombrosa di contemplazione, intimità, equilibrio, a preferenza di quella luminosa fatta di competizione, prestazioni e conquista. Se i primi sono argomenti che non La rappresentano, metta subito quel lino in pensione senza buttarlo. Non si sa mai. Diversamente lasci che faccia il proprio lavoro e Lei faccia il Suo, fumando un sigaro al sole in barba ai pressappochisti da un lato ed ai precisini dall'altro. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alfredo de Giglio Data: 09-06-2009 Cod. di rif: 4094 E-mail: alfredo.degiglio@fastwebnet.it Oggetto: Sartoria Celentano Commenti: Attenti Cavalieri, vi annuncio che è online il sito del Maestro Giovanni Celentano, www.sartoriacelentano.it. Sito che ho realizzato io stesso e che ha visto la collaborazione, ai testi e alle immagini, del Prefetto di Roma Italo Borrello. Ho cercato, da suo cliente e soprattutto da ammiratore, di rendere, nel miglior modo possibile, la sapienza, la cortesia, il calore del Maestro. Chi frequentasse la Sartoria Celentano e volesse mostrarsi mentre indossa uno dei capolavori del Maestro, che ricordo essere fornitore ufficiale dellOrdine, può inviare una sua foto all'indirizzo info@sartoriacelentano.it. Nel sito, infatti, vi è una sezione dedicata ai clienti. Grazie un cavalleresco saluto Alfredo de Giglio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-06-2009 Cod. di rif: 4097 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lance per un tweed fuori dal classico Risp. G. n. 4095 Commenti: Egregio signor Abravanel, parlando di tweed in generale immagino che si riferisca all'Harris tweed. Insieme a tutto il genere tweed, che qui abbiamo diviso in tre specie (Harris, Donegal e scottish o gamekeeper), l'Harris è un materiale dell'estetica country, come il velluto a grandi coste, il cavalry, il whipcord e tanti altri. La lancia ha una vocazione formale, anche se la sua presenza nelle divise della marina la mette a capo di una feconda stirpe di blazer sportivi. Va infatti tenuto in conto che il mondo militare, tra i pirncipali serbatoi del gusto maschile, è fuori dall'area formale tanto da aver generato gran parte dell'estetica outdoor, classica e postclassica. A questo proposito, non ha senso temere che un capo possa risultare "troppo" classico, visto che il classico è filtrazione dell'estremismo attraverso le strette maglie del tempo. E' più probabile che sia Lei a non desiderare in questa occasione un capo classico ed abbia piuttosto voglia di indossare una giacca che dica di Lei in un altro linguaggio. Perché il classico è anche una lingua, ma non l'unica. Una giacca in tweed coi petti a lancia non è una novità, non è classica, non è brutta. Che cosa invece sia lo scoprirà indossandola. Poiché ha ragione dicendo che non se ne vedono in giro, saremo tutti lieti di vedere il risultato finale. Non critico la Sua scelta ed anzi La incoraggio nell'impresa, sperando che se ne possa poi vedere il risultato qui al castello. Fosse un errore, sarà di uno ed impareremo in tanti. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gianni Chierici Data: 16-06-2009 Cod. di rif: 4107 E-mail: gianchier@libero.it Oggetto: Calzoleria Giacopelli Parma Commenti: Egregi signori, navigando sul web mi sono imbattuto nel sito di questa calzoleria di Parma. Qualcuno ne sa qualcosa?Qualità?Professionalità?Prezzi? Sarebbe importante scoprire un altro artigiano su misura nel settore delle calzature. Cordiali saluti Gianni Chierici ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Barone Data: 18-06-2009 Cod. di rif: 4109 E-mail: g.b.j.@katamail.com Oggetto: un altro doppiopetto Commenti: Il doppiopetto nell'immagine a colori del taccuino 4643 non mi pare un granchè, il rever è rigido, troppo accollato, e ricorda un pò quelli italiani durante la seconda guerra mondiale, tuttavia lo posto per documentare l'abitudine del personaggio ad indossare questa tipologia. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-06-2009 Cod. di rif: 4111 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacca da cocktail Commenti: Egregio signor Caprari, nell'estetica classica la distinzione tra sera e cocktail apparteneva solo al mondo femminile. L'uomo partecipava ai ricevimenti in business suit, che tendenzialmente è un completo scuro in lana pettinata. Poiché esisteva una differenza tra maturi e giovani e dei luoghi specializzati per ciascuna delle due età, i primi frequentavano in abito completo anche i locali notturni, mentre i secondi si esercitavano nelle combinazioni del momento, ma in locali diversi. In caso di istruzioni specifiche, tutti si vestivano in cravatta nera, abbinata alle diverse tenute che la comportano. Tra queste figuravano, specie negli ultimi decenni della civiltà classica, giacche da sera in colori diversi dai canonici (nero, bianco o midnight-blue) e addirittura fantasia. Solo negli eventi all'aperto, erano concessi spezzati e cardati. Con la morte del classico sono avvenuti molti cambiamenti. Nel mondo femminile la distinzione tra sera e cocktail è cambiata e non attiene più alla lunghezza, quanto al contenuto complessivo in glamour e lussuosità. Diciamo dunque che il limite è diventato più sofisticato e richiede grande sensibilità. Anche il mondo maschile è diventato complicato. La scelta per un'occasione "cocktail", che Lei espressivamente definisce informale-ma-non-troppo, spazia in campi vastissimi poiché una qualsiasi giacca in materiali tradizionali è oggi di per se stessa un tocco formale. Diciamo che mentre un tempo ci si arrovellava a trovare la giusta misura su una scala micrometrica dove in un centimetro c'era un universo, oggi chi vuole ottenere dei risultati esteticamente apprezzati dalla razza dominante deve beccare la casella giusta su una scacchiera immensa ed ogni giorno più disordinata. In conclusione, la formula che Lei cerca non c'è in quanto nella tradizione che ha elaborato queste formule la giacca da cocktail non ha una posizione. Ciò non significa che non sia nata ultimamente, o che possa inventarla Lei stesso. In entrambe i casi, c'è ampio margine su tutti i dettagli che la preoccupano. Darò anche un mio parere. La scelta dell'azzurro, scelto ovviamente in una gamma sobria, mi sembra eccellente. In questa stagione, dei bottoni bianchi lo completerebbero perfettamente. La giacca, senza pattine e senza spacchi per darle quel tocco retro che Lei apprezza, potrebbe avere notched lapel e due bottoni o due più uno. Piuttosto che al blu, la abbinerei ad un grigio medio-carico piuttosto brillante. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-07-2009 Cod. di rif: 4131 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tinture del lino - Risp. gesso n. 4130 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, in primo luogo devo svelarLe un piccolo segreto, cioè che la qualità del lino bianco neve è leggermente migliore, anche se il costo è lo stesso. Poiché ogni difetto vi è più evidente, solo le pezze meglio riuscite vengono presentate in bianco. Inoltre, colori diversi vengono da prodotti diversi, che diversamente agiscono. Con gli anni, la tintura perde in quantità e forza, così i lini tornano a somigliarsi molto. Appena acquistati hanno però mani differenti e così la differenza tra il blu e l'avorio che Lei ha notato non è un abbaglio, ma una verità ed una costante. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-07-2009 Cod. di rif: 4133 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Nessun dibattito, grazie - Commento al gesso n. 4132 Commenti: Egregio signor Caprari, devo ricordarLe che questo non è un forum e non sono gradite discussioni personali. Il metodo cavalleresco giunge ad un'equivalenza di stili e capi di fronte alla loro essenza di linguaggio ed al loro contenuto storico. E' fondato sulla correttezza formale, su un vocabolario condiviso, sulla profondità della ricerca, sull'indipendenza delle idee. Lei ha espresso le Sue molte volte, lasci fare altrettanto senza intervenire direttamente. Il Suo commento ai recenti Appunti di Carmelo Pugliatti sono un invito ad una replica che potrebbe generarne altre e così via, trascinando questo luogo di idee in una tribuna di opinioni. A questo proposito faccio presente a tutti, sempre in tema generale di metodo, che non rivestono alcun interesse per la ricerca il parere o il gusto personale dei contribuenti, quanto i risultati di uno studio che porti verso conclusioni che arricchiscono il castello ed i suoi frequentatori. Le preferenze per uno stile o un personaggio sono subordinate alla presentazione critica delle loro caratteristiche, come si è sempre fatto. Qui non si viene a dimostrare di aver ragione e gli altri torto, o di saperne più degli altri. Quando si innesca un discussione non è a questo scopo, ma sulla base di domande o commenti che non mettono mai l'interlocutore in condizioni di dover difendere una posizione, quanto di esporla. Non entro quindi nel merito della Sua censura, non aggiungo altro e Le chiedo di fare altrettanto. Non cerchi in questo commento una vena polemica, è semplicemente la difesa di un lavoro e di un sistema che, magari involontariamente, è stato minacciato. Sono certo che ne farà tesoro e che in tal modo sentirà più Suo il contributo che vi ha dato. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 30-07-2009 Cod. di rif: 4136 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Pantalone bianco e giacca blu. Commenti: Gentili Cavalieri, traggo indiretto spunto dalla bella immagine proposta dal valente Professor Pugliatti nel Taccuino n. 4794 per rivolgere a chi rispetto a me tanto più sa una domanda circa l'abbinamento fra pantalone bianco e giacca blu. Quali le fogge ed i materiali da preferire se si volesse tentare personalmente l'esperimento? Quali le occasioni ed i momenti del giorno per un appropriato utilizzo? Le mie limitate doti di esperienza ed immaginazione non mi sanno suggerire altro che un intuitivo rimando a contesti ed ambienti in qualche misura legati al mare ed alle attività nautiche (esemplarmente: un club nautico) ed una preferenza per la luce diurna. Mi sfugge qualcosa? Ed inoltre: sarebbe possibile declinare l'abbinamento in questione in versione giacca da cocktail, intesa quest'ultima nell'accezione limpidamente teorizzata dal G.M. nel Gesso n. 4111? Mi pare vi fosse una realizzazione del Cavalier Lucchetti (Taccuino n. 4655) - a me parsa senz'altro degna di nota - che andava in questa direzione. Grato a quanti vorranno contribuire, porgo i miei migliori saluti. Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-07-2009 Cod. di rif: 4138 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Combinazioni tra bianco e blu Commenti: Egregio signor Spadaro, prima di rispondere alla Sua domanda devo lodare e ringraziare l'ottimo Pugliatti per averci indicato la strada per reperire un materiale raro. Anni fa avevo parlato del mio irrisolto appetito per la flanella bianca con il padrone di una nota casa biellese, al che lui mi disse che non ci sarebbero stati problemi a procurarmene un taglio. Ahimé, il pacco che mi arrivò non conteneva altro che un deprimente tessuto femminile nemmeno definibile flanella, leggero e poroso. La delusione fu tale che misi a tacere un desiderio che l'Appunto del professore riaccende. Ma ora veniamo a noi, anzi a Lei. Va premesso che il bianco tende ad essere trasparente, caratteristica che nel vestire maschile classico si ammette solo per le calze in seta, dove comunque produce un effetto discutibile. Un paio di pantaloni ad effetto velato, con vista su biancheria intima e pettola della camicia, sono la cosa che un maschio tradizionale desidera meno al mondo, sicché il cerchio si stringe. Un tessuto praticamente utilizzabile non può pesare meno di quelle 9,5 once dichiarate da Dormeuil per i suoi pantaloni. Orbene, la flanella non è areata come un tre capi, che in equivalente peso risulta fresco, quindi il punto da cui si parte non è un estivo, o almeno non per tutti e certamente per nessuno nelle giornate veramente afose. La flanella color bianco sporco, o bianco gesso come la chiama il produttore, potrebbe anche essere chiamata flanella tennis, perché fu questo sport il suo principale committente. La nautica faceva il suo, ma con una rilevanza molto minore perché vi si utilizzavano e si utilizzano bianchi di altro materiale. Ecco dunque il primo punto: Lei parla di colori, non di tessuti, quindi dobbiamo dare uno sguardo a tutte le principali possibilità. In genere nello spezzato la combinazione dello stesso materiale in colori diversi è una soluzione scontata e valida. Fa eccezione il lino, che nell'estetica maschile tradizionale non ammette abbinamenti. Non mi chieda perché, ma è come se risultassero incestuosi. Infatti non troverà tra epoche e situazioni degne di figurare come esempio, casi di giacca e pantalone entrambe in lino e di colore diverso. Guardi invece il sommo Carlo, che in zone tropicali indossa spessissimo una giacca di lino avorio su pantaloni caki modello chinos. Purtroppo la giacca sciolta in lino preferisce essere più chiara e non più scura dei pantaloni, sicché una giacca di lino blu su qualsiasi paio di pantaloni bianchi non riguarda il mondo classico, quello dal quale e del Le parlo. I pantaloni di lino bianco amano piuttosto la giacca in shantung. Non così la canapa, che pur somigliando molto al lino è meno brillante e non regge questo abbinamento con un materiale luminoso. Con la canapa non ci sarebbe che il cotone, ma ancor meglio rinunciare a qualsiasi giacca. Pantaloni e blazer entrambe di shantung vanno ottimamente d'accordo, ma sullo shantung bianco potrebbe andarci anche un mohair svelto e sfoderato. Fin qui l'estate, vediamo il resto dell'anno. Nella mezza stagione può osare un brillante drill bianco con la giacca blu di cachemire, materiale che proprio in queste situazioni molto decontratte trova la sua vera grandezza. La flanella bianca di cui sopra si può combinare nella mezza stagione con un tre capi da 11 once o cachemire monopetto, ovvero gabardine doppiopetto. D'inverno lo abbini ad un hopsack monopetto, ovvero con altra flanella o saglia doppiopetto, quest'ultima accoppiata nautica per eccellenza. Altro abbinamento invernale della saglia è con il raro bedford cord bianco. Le ricordo, in conclusione e relativamente a tutte le situazioni e stagioni, che i bottoni in oro rendono la giacca ancor più sportiva, ma sul doppiopetto sono il massimo. Consulti in proposito i miei Appunti sul blazer Lei si chiede il luogo adatto per tutto questo, ma è la cosa più facile. Dedotte le occasioni di lavoro, che Le auguro non occupino il Suo tempo più del dovuto, ogni mattina va bene, specie nelle belle giornate d'inverno o in quelle temperate di primavera. D'estate, quando al mattino il popolo è affaccendato per tenere a bada i piccoli, abbronzarsi o cercare l'anima gemella, ci vuole molto coraggio a divertirsi così tanto nel vestire di fronte a tanta gente meno fortunata, così è meglio evitare. Vicino all'acqua, anche di piscina, la combinazione torna ad essere stupenda anche di sera. Insomma, le possibilità sono tante ed il problema è a monte, non a valle. Una volta che sente il bianco e blu come giusto per Lei, lo indossi con fiducia e piacere. Chi La incontrerà, non avrà che parole d ammirazione. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-07-2009 Cod. di rif: 4140 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Mohai "spezzabili" o "svelti" - Risp. gesso n. 4139 Commenti: Egregio cavaliere Villa, quello che ha attratto il Suo interesse era senz'altro l'abbinamento più azzardato, visto che il mohair è fedele ad una religione rigorosa, che lo vincola a sposare una giacca dello stesso materiale. Negli ultimi anni, in concomitanza con un certo ritorno del nobile pelo caprino, ho visto però dei lana-mohair leggeri e porosi con superfici un po' meno severe e una composizione ardita, cromatica. Sono questi cui ho pensato e, non sapendo come chiamarli, li ho definiti "svelti". Naturalmente tutti i mohair, anche questi, aspirano alle linee filanti dei tempi d'oro di questo tessuto, gli anni '60. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-08-2009 Cod. di rif: 4149 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Uso e definizioni - Risp gesso n. 4147 Commenti: Egregio Cavaliere Nocera, la paternità della teoria sulla jeans shoe, come forse la teoria stessa, non ha alcuna importanza. Ciò che c'è al castello è proprietà del castello, di coloro che lo hanno edificato, che ci lavorano, che semplicemente lo frequentano, comunque non del singolo. Giro quindi i Suoi complimenti al metodo cavalleresco, che è certamente esemplare eppure non potrebbe esistere senza un luogo come questo e l'intera comunità che vi si muove dentro e fuori, sopra e sotto. Venendo ora ai chiarimenti, sono certo di poter fugare in un lampo le Sue perplessità. E' verissimo che il genere di calzature che abbiamo chiamato jeans shoe venga utilizzato anche con abiti cittadini, ma ciò che deve preoccupare il ricercatore è l'eventuale incongruenza tra una definizione e il suo contenuto storico ed etimologico, non certo la difformità tra nome ed uso. Con gli stessi abiti, se non anche con quelli da sera, vengono utilizzate anche le scarpe da tennis. Allo stesso modo, giacche nate per la caccia si mettono al bar e auto nate per il fuoristrada si guidano da casa al supermercato. Ciò incide sulla loro storia, sulla loro natura, non sulla loro definizione, che resta eternamente collegata all'origine prima. L'epistemologo deve dunque essere certo che sia corretta la definizione di scarpa da tennis o di cappello per la caccia alla pernice, cioè che quella scarpa e quel copricapo abbiano quella nascita. A quel punto deve difendere il nome esatto da ogni impurità, magari ulteriormente distillarlo e purificarlo, mentre la scelta del singolo di abbinare l'una e l'altro ad uno smoking non influenzano assolutamente la verità della storia. La definizione fa riferimento solo al contenuto, non cambia col cambiare dell'uso sino a quando l'uso non abbia trasformato quella cosa in un'altra. Così il nostro problema è ora accertare se sia vero che esista una calzatura nata in funzione del jeans, non che sia sempre stata portata con esso. In questa domanda la Sua ottica, quella che vede la genesi della jeans shoe in un mondo in cui il blue jeans è "l'indumento principe ed universale", risulta valida e di grande utilità per successivi approfondimenti e messe a punto. Grazie e cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo maresca Data: 06-08-2009 Cod. di rif: 4150 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Praticità, comodità, comfort - V. Appunto n. 4829 Commenti: Egregio professor Pugliatti, nel Taccuino, che è un tavolo di dissezione delle immagini e non salotto di dialogo, continueremmo all'infinito a parlare Lei alla seconda ed io alla terza persona. E' tempo dunque di portare la discussione qui, dove è possibile e consono rivolgersi direttamente l'uno all'altro. In merito al rapporto tra praticità e comodità, siamo già in possesso di nozioni in grado di spiegarle. Purtroppo, da quando la nostra società informatica ha trasferito il sito su altro server, il sistema di ricerca della lavagna non sta ancora funzionando e quindi non posso rintracciare i testi che affrontavano questi concetti, ma posso esporli nuovamente. Molti valori, se non tutti, hanno una fase dinamica ed una statica. Talvolta questi due modi di manifestarsi presentano la stessa forza in modo così difforme da far credere che ci siano due forze diverse. Altre volte, invece, sono tanto simili che è son troppo facile confonderli, perdendo così delle sfumature determinanti. Al primo caso appartiene la coppia amore-gelosia, che sono ovviamente la stessa cosa in fase rispettivamente statica e dinamica, eppure si presentano con caratteri così diversi che è facile dimenticarlo. Al secondo caso appartiene la coppia dignità-onore. La dignità è intima, fissa ed autonoma, l'onore è relazionale, tanto che a differenza della dignità si può perdere anche per fatto di terzi. Lo stesso rapporto lega comodità e praticità. Una poltrona può essere la più comoda del mondo per inclinazione, altezza, profondità, braccioli, imbottitura, rivestimento, intelaiatura, ammortizzazione, però risultare la meno pratica in quanto, pesando cento chili, occorrono due persone per spostarla e pulire il pavimento sotto di essa, ovvero perché non si può sfoderare. Lo stesso dicasi per una bella valigia di bridle, ampia e durevole, facile da caricare e così resistente che la si può anche buttare in corsa dal treno, ma poco pratica perché priva delle rotelle, che le danno il movimento. I pulsanti nell'ascensore sono comodi, in quanto rintracciabili e azionabili in qualsiasi condizione. Il contatto senza pulsante è pratico per la facilità di igiene e pulizia, ma è un disastro in termini di comodità. Non si azionano a meno di togliersi i guanti, il che la dice lunga sulla civiltà che li ha inventati. Il gymnicus non conosce guanti e cappello, mentre l'elegans li usa costantemente. Si vede ora meglio come la parte dinamica di una forza sia legata alla relazione, al movimento, alle conseguenze dell'azione, mentre quella statica sia legata alla fruizione individuale, al godimento a dispetto di ciò che viene dopo. Dunque praticità e comodità non sono due termini che appartengono a due civiltà diverse, o che vengano scissi e confusi solo ora, ma due eterni modi di presentarsi di uno stesso valore. Nel suo Appunto, Lei usa il termine confortevole al posto di comodo. La cosa mi ha dato da pensare e per ora ho concluso che il comfort è un ibrido tra praticità e comodità, una terza via che cerca di toccare entrambe i capolinea. Proseguendo, trovo pertinenti e corretti i riferimenti filosofici e soprattutto la premessa della gioventù. Per la nuova razza, civiltà, cultura e religione, insomma per l'homo gymnicus, la gioventù è il primo obbligo, al quale tutti gli altri sono orientati e subordinati. Man mano sta assumendo un carattere sacro. Lo si capisce dal fatto che ciò che va in direzione opposta era considerato inizialmente un errore ed ora sta divenendo un'eresia. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo maresca Data: 07-08-2009 Cod. di rif: 4154 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Mohair - Risp. Gesso n. 4153 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, il tessuto che ha visto nasce per lo spezzato ed è proprio quello cui facevo riferimento. Il mohair puro e semplice è una tela fine e serrata, croccante, che si presta a tinte unite e pin-stripe. Questi ultimi sono spesso tinti in pezza, usando per la gessatura un filo sintetico. Per tenere bassi i costi, le case ne producono grandi quantità e le immagazzinano nel grigio topo del filato grezzo, per poi tingerle nel colore del momento. Il filo sintetico esce invece completamente immune dal bagno e così la gessatura è perfettamente prevedibile. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-08-2009 Cod. di rif: 4156 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La vestaglia Boyer-Lubitsch - Risp. Gesso, n. 4155 Commenti: Egregio signor de Ferrari, per trovare quel che cerca non è necessario alcuno sforzo particolare. Nel semplice sistema di ricerca del Taccuino basta digitare "vestaglia" come parola contenuta nella Descrizione per veder comparire, tra alcuni altri, l'Appunto che Lei ricorda. Si tratta comunque del n. 1493, risalente all'Aprile del 2005. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alessio Giambersio Data: 13-08-2009 Cod. di rif: 4159 E-mail: alessio.giambersio@gmail.it Oggetto: Dubbi sull'uso del colore Commenti: Egregi Cavalieri, Illuminato Gran Maestro, giungo alle lavagne greve di un dubbio. Ho appena inoltrato la mia richiesta di adesione per la Shoes Academy che si terrà a Settembre a Bologna. Il pensiero successivo è stato "cosa mi metto?". Dopo aver riflettuto un'adeguata settimana, non giungendo ad una scelta definitiva, ho avuto un idea.(Pecca di originalità, ma a chi è alle prime armi come me, immagino sia d'aiuto) Ho aperto le fotografie della sezione "Immagini" delle precedenti Academy e ho cercato di imparare dalle fotografie qualcosa di più. Ho visto tanti uomini ben vestiti, ovviamente, ma una cosa mi ha molto sorpreso: una buona parte di questi Cavalieri indossava degli abiti chiari, per un evento che si teneva dalle ore 17.00 in avanti (e quindi tardo pomeriggio/sera). Cavalieri, Gran Maestro, dunque: è giusto indossare un abito chiaro anche la sera? Confesso che sono un po' confuso! Cavallereschi saluti, Alessio Giambersio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-08-2009 Cod. di rif: 4160 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colore e spirito Commenti: Egregio signor Giambersio, innanzitutto i Cavalieri non vogliono rappresentare la perfezione né nel vestire, né nel bere, né nel fumare, né altrove. Cercano di essere se stessi e seguire una giusta Fede, non una legge unica e imperativa. L'unicità non si addice alla bellezza, che è così comune proprio perché le sue possibilità sono infinite. Così, l'esempio che essi danno è di trovare il piacere nella forma, non di trovare una forma al piacere. In secondo luogo, l'ACADEMY si svolge in una sala di un laboratorio artigiano e non nella hall di un Grand Hotel, sicché la soglia dell'impegno formale non è elevata. Terzo, pochi dei Cavalieri che ha visto partecipare sono di Bologna. Molti altri raggiungono l'evento direttamente da casa, partendo ore prima e viaggiando in aereo o in auto. Quarto, l'uomo ha bisogno di qualche squarcio di colore, di un guizzo romantico in tanto materialismo. Le occasioni per illuminare questa sua notte con i raggi di un'alba non vanno sprecati. Quinto: si tratta di incontri dedicati alla passione, non le solite riunioni di lavoro. Nella solennità delle Adunanze gli abiti chiari sono pochi e, devo riconoscerlo, guardati con mmalcelata sufficienza. Una cosa è certa: ad ogni attività cavalleresca giacca e cravatta sono di rigore, come celebrazione della mens classica che noi approfondiamo, pratichiamo e difendiamo allo scopo di tramandarla oltre la morte sua e nostra. E' già abbastanza, ma non tutto. Non voglio tediarla con una prolusione sull'uso corretto delle sfumature di colore, sulla quale sa sin troppo bene che potrei trattenerLa qualche ora. Qui parliamo dello spirito di un'attività, del nostro nell'organizzarla e del Suo nel parteciparvi. Purché ci raggiunga in giacca e cravatta, all'ACADEMY indossi ciò che Le pare, anzi ciò che Le piace. Prepari piuttosto l'animo, perché La attendono momenti di grande intensità e profondità. Passeggiando per il castello, si sarà reso conto di cosa si possa fare e dire intorno ad un semplice laccio di scarpa. Tolto il diaframma dello schermo, ascoltare e partecipare personalmente ad un laboratorio di questo tipo è qualcosa che La sorprenderà. Cavallereschi saluti e arrivederci a Bologna Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-08-2009 Cod. di rif: 4161 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Del metodo cavalleresco: i concetti di Epoca e Periodo Commenti: L'Appunto n. 4843 conteneva un preambolo metodologico che è bene riportare nella Lavagna, sede dei contributi teorici e delle discussioni. In tal modo potrà essere richiamato, letto e commentato insieme ad altri materiali sul metodo cavalleresco di indagine estetica. DALL'APPUNTO N. 4843 La critica del vestire condotta con il metodo usato al castello non è una semplice ricerca del bello, quanto una ricostruzione e decifrazione del linguaggio segreto dell'Abbigliamento, cui attribuiamo il potere di rivelare cose dell'uomo che si trovano dette solo in quel particolare codice. E’ questo il concetto di Porta e può essere applicato anche alle altre otto. Tutti i ricercatori hanno in genere una preferenza elettiva per un'Epoca in cui si riconoscono. Questa adesione emotiva sbilancia la percezione del rapporto esterno tra quella e le altre Epoche, ma di contro equilibra la valutazione di tutti i Periodi interni alla stessa epoca. C'è chi studia l'Epoca dei lumi, chi quella romantica, chi considera un'Epoca a se stante la Reggenza e chi l'età vittoriana. E' chiaro che definiamo come Epoca o Età una struttura ciclica di tempo determinato e dominato da una sensibilità dominante e diffusa, che alcuni filosofi hanno chiamano spirito. Del resto, la locuzione "spirito dei tempi" è di uso comune e rende perfettamente l'idea. Cercherò comunque di essere ancora più chiaro. Lo spirito di un’Epoca, muovendosi nel suo ciclo, si presenta in modo sempre diverso, ma dietro le differenti forme si legge un’unica sostanza. Ad esempio i decenni dell’Epoca classica sono molto vari, ma la mappa dei valori fondamentali resta stabile e quindi possiamo parlarne come di archi di un unico cerchio. Dal momento in cui non sono stati più quei valori a determinare il possibile ed il desiderabile, ci troviamo in tutt’altro ciclo, in tutt’altra Epoca. Tra Epoche diverse sono possibili collegamenti su moltissimi livelli, ma sul piano di una ricerca basata sulla verità umana e non sulle teorie epistemocratiche (che cioè tendono al governo della scienza quantitativa sulla vita, che è qualitativa), l’individuazione di queste zolle culturali è fondamentale. Qui si studia ciò che abbiamo chiamato il Classico, l'Epoca il cui algoritmo estetico e morale, cioè il cui spirito o sistema di valori, è quello in cui si riconoscono i fondatori del castello. L'importante è dichiarare a se stessi, agli interlocutori, ai collaboratori e ai colleghi di studio quale periodo si ritiene un'Epoca, per quale motivo e con quale metodo la si affronta. Senza queste premesse, che ci sarà consentito dire di aver rispettato fermamente qui ed in ogni altra area del castello, si resta nella sperimentazione teorica e non nella ricerca. Ecco perché sin dalla prima pianta del castello, risalente al 1997, all'ingresso di ogni porta c'è una chiave detta appunto Instrumentum. All'interno dell'Età o Epoca Classica, dunque, ogni periodo è equivalente. Una messe di pareri negativi sugli anni '70 o '40, come un'esaltazione dei '30 e dei '60, non comportano in realtà alcuna attribuzione di precedenza. Attenzione, perché il discorso non è intuitivo. Non si può negare che nella costruzione dello spirito di un'Epoca alcuni Periodi contribuiscano in maggior misura. In questo senso, gli anni 10, '30 e '50 del Classico sono particolarmente ricchi di scoperte valide e stabili, quelle che alla fine determinano l'architettura visibile dell'Epoca. Se però chiamiamo gli anni '30 età aurea, vuol dire che è un tempo che ha prodotto oro, ma non che l'oro sia più importante dello zinco. Dell'oro ci riguarda la caratteristica stabilità, il tipico colore, non il pregio venale. Il cosmo non potrebbe essere costituito da un solo elemento solo perché duraturo e prezioso, e così la storia, o la vita. Ecco in che misura le differenze sono fondamentali e rappresentano ciò che di più sacro il Cavalleresco Ordine difende. Nello studio di un sistema, una questione di gerarchie non si pone e non può esistere. L'ingegnere non si innamora del pilastro più in vista, sapendo che uno qualsiasi può innescare un crollo e tutti sono altrettanto indispensabili a reggere l'edificio. Ovviamente un ricercatore che usi il nostro metodo, anche non essendo un Cavaliere, non sarà mai un puro scienziato ed immetterà nel lavoro gioia e passione, talvolta rivelando un sentimento speciale per un personaggio o altro oggetto di studio, ma senza mai dimenticare che davanti ha un insieme che va valutato come tale. Le classifiche vanno lasciate alle graziose signorine che scrivono i redazionali, ai finti aristocratici che dettano guide o forniscono pareri in TV, ai melliflui venditori che spacciano favolette da rotocalco. Lo studioso vede un'età storica come un ciclo in cui ogni cosa ha un posto. Se non ce l'ha, è solo perché non è stato ancora compreso. Ecco la Grande Opera del ricercatore autentico: sistemare le cose nel loro ordine, non nel proprio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Barone Data: 18-08-2009 Cod. di rif: 4162 E-mail: g.b.j.@katamail.com Oggetto: Doppiopetto bianco Commenti: Ringrazio il Gran Maestro per l'accurata discussione di una foto non chiara. L'abitudine moderna a ritenere che tutti i paesi siano raggiunti simultaneamente dalle stesse ondate di moda mi ha fatto dimenticare di dire che la foto è stata scattata a Princeton nel New Jersey, ben lontano dall'Italia dell'epoca in tutti i sensi. Tuttavia si tratta di un europeo nato boemo e poi divenuto nell'ordine cecoslovacco, austriaco, tedesco (annessione dell'Austria) e infine fuggito negli stati uniti dove prese la cittadinanza americana. In foto appare sempre in doppiopetto, il che mi fa pensare che tale indumento abbia avuto davvero un significato e una presa particolari e oggi dimenticati sugli uomini dell'epoca. Su di un uomo impegnato in questioni astratte, costretto a spostarsi da un posto all'altro e per di più ipocondriaco, il doppiopetto oggi sembrerebbe proprio una complicazione assurda. Ne deduco che nel frattempo qualcosa è diventato incomprensibile. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-08-2009 Cod. di rif: 4164 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bianco solare - Risp. Geso n. 4163 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, tutto il bianco maschile è eccitato dal sole, come un'antenna è eccitata dal segnale a lei destinato. Quello alla base del contrasto soffice non solo non fa eccezione, ma anzi, come Lei ha già visto, sembra nutrirsi e vivere della positività solare. L'abbinamento tra il moleskine bianco e lo shetland grigio chiaro darà senz'altro luogo ad un contrasto soffice, nella variante bianco-tweed. Un registro primaverile piuttosto emotivo, ma non privo di forza. Cominci sin dora a pensare alla sciarpa, un omaggio agli antenati che crearono questa estetica. Cavallereschi saluti Gianarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 19-09-2009 Cod. di rif: 4170 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Scelte di campo cavalleresche: ben più d'una questione di lu Commenti: Illustrissimi Cavalieri, dopo la riuscitissima riunione accademica del 18 settembre a Bologna, a conclusione del ciclo sulle calzature, ho maturato la convinzione che sia giunto il momento di distillare il punto di vista cavalleresco sul modo di rapportarsi a quell'oggetto così carico di significati simbolici e di sfumature psicologiche che sono le calzature maschili. In altri termini, non riuscendo ad identificarmi né con la filosofia di "madame Berlutì" né con quella del principe Carlo, per le ragioni che sinteticamente esporrò di seguito, sto compiendo lo sforzo di cercare una collocazione personale, contemporaneamente cavalleresca, sulla relazione tra l'uomo e le sue calzature. Si tratta, con tutta evidenza, della ricerca del giusto schieramento di campo del cavaliere dei primi dieci anni di questo millennio. Scelta che implica un'elaborazione della storia e della cultura del classico non fine a se stessa e che tenda non solamente alla conservazione museologica di quanto è già stato fatto e detto in questo campo negli ultimi 150 anni (attività, peraltro, di per se sola già meritevole di altissima considerazione) ma, a mio sommesso parere, all'elaborazione di un gusto attuale e di un approccio cavalleresco da applicarsi al complesso rapporto tra l'uomo e gli oggetti destinati a rappresentarlo, che raccogliamo nella definizione di "abbigliamento". E' una ricerca che condurrà ad una opzione filosofica che implica tutta una serie di scelte che possono esulare dallo stretto ambito "calzaturiero" e che non potrà ridursi, banalmente, alla predilezione di un metodo di pulizia delle scarpe o, come sua priorità logica, a scegliere se averle lucide a specchio o solamente ben pulite. Ritengo che un dibattito ben condotto su queste lavagne sia il miglior modo di prepararsi all'appuntamento cavalleresco del 20 e 21 novembre, non a caso bandito dal G. M. come convegno di "Filosofia del Gusto. Due giorni di pura astrazione dedicati al tema - La vita Elegante -". Il mio invito pertanto è a ricercare i significati di certi comportamenti e quali scelte personali di gusto essi manifestino. E' una ricerca per me all'inizio, che spero si arricchisca di molti contributi e mi conduca alla chiarezza alla quale aspiro. Fatto questo lungo, ma necessario, preambolo, mi calo ora in media res. Da qualche anno, ormai, sono a conoscenza dell'attività dello Swan Group e delle adunate dedicate al cirage. Sull'uso dello champagne per ottenere una lucidatura il più possibile a specchio ho maturato alcune riserve di varia natura. La prima, ovvia, è che quel liquido preferisco berlo che utilizzarlo per lucidare scarpe. In questo mi sento di non essere solo castello. Ma a parte questa non così ovvia considerazione, vorrei aprire una riflessione sui significati che un gesto simile trasmette. Lo champagne è considerato un genere di lusso, destinato solitamente ad occasioni speciali. A quelle di importanza minore si riservano spumanti italiani, i cui produttori si affannano a sostenere qualità comparabili con gli spumanti francesi, ma che in definitiva non comunicano al pubblico la stessa allure universalmente riconosciuta allo champagne. Non fosse altro per l'antico prestigio riconosciuto al vino francese ed al prezzo notevolmente più elevato di quest'ultimo. E poiché, come sappiamo per averlo appreso anche di recente a Bologna, il risultato della lucidatura a specchio non si deve al tipo di bevanda alcolica usata in soluzione, ma all'alcool stesso, utilizzare lo champagne o un altro spirito, ancorché fosse di un prezioso brandy aromatico, non è la stessa cosa. L'uso dello champagne in soluzioni per la lustratura finale, anche se in dosaggi modesti, comunica lo sfregio non solo alla povertà, ma al comune buon senso. E' un eccesso esibizionista fine a se stesso, incompatibile con un'eleganza che, partendo dal proprio modo di essere, è in primo luogo un atteggiamento verso se stessi. Non vuole, questo, essere un giudizio moralista. E' un giudizio di valore che parte dall'affermazione di cosa rappresenti il vivere elegante per ciascun cavaliere principalmente nei confronti di se stesso. E' elegante assumere comportamenti che, inevitabilmente, abbiano la preventiva consapevolezza che finiscono per choccare il mondo col quale entriamo in relazione? Ho sentito più volte dire al G. M. che il lusso è spreco e mi pare che lo abbia anche scritto. Non ricordo però di avergli sentito mai affermare che sprecare, in quanto manifestazione del lusso, sia di per se stesso cavalleresco o elegante. Lo spreco, quale manifestazione del lusso, non è dunque né elegante né cavalleresco. La relazione con gli altri, se inizia dall'affermazione così prepotente della propria capacità di spreco oltre limite dello sfregio, sarà una relazione non elegante, perché tendente a collocare il soggetto su un piano inarrivabile per l'altro. Una relazione nata morta che per riannodarsi dovrà superare quella barriera iniziale costituita dall'oltraggio al buon senso, ordito lucidando scarpe con champagne. Il cavaliere non ha la necessità di esibire eccessi: la sua eleganza sarà percepita senza ricorrere all'ostentazione. La pratica dello Swan Group a me pare, in tutta franchezza, un gesto da non esaltare e non meritevole di essere ricordato con favore. Preferisco l'understatement alle esibizioni borghesi di spreco e mi domando: se lo stesso avessero fatto dei magnati russi, senza storia e affacciatisi ora a grandi ricchezze, come giudicheremmo il fatto? Dall'altro lato ho appreso dal Taccuino, per quanto mi riguarda non senza sorpresa, della pratica di SAR Carlo d'Inghilterra, di far rattoppare le sue vecchie scarpe. La cosa mi ha evocato immagini che ritenevo sepolte nella mia memoria, quando, ancora in età di scuole elementari, ogni tanto s'incontrava qualcuno con le scarpe rattoppate. Erano tuttavia toppe povere, niente affatto snob. Da troppo pochi anni eravamo usciti da una miseria diffusa ed il benessere si affacciava appena, ma non era ancora alla portata di strati larghi di popolazione. Anche questo comportamento mi pare non abbia un senso alla soglia del 2010. Posso capire che le scarpe vecchie si siano adattate così bene al piede che risultino più comode. Tuttavia, se mi sento di condividere il piacere di una scarpa risuolata e riportata a nuovo da una lucidatura eseguita ad arte in calzoleria, mi sentirei fortemente in imbarazzo, nel mio ambiente di lavoro e nell'ambito delle mie frequentazioni, con tomaie rattoppate. Ciò perché, fatte salve le rare occasioni in cui incontrare i Cavalieri Guardiani delle Nove Porte, mi farebbe risultare incompreso ed incomprensibile. Il che, se da un lato non è così importante per un uomo che non aspira a confondersi con la massa ed a farsi accettare da essa (altrimenti non sarebbe un cavaliere), sortirebbe lo stesso effetto che causa la lucidatura allo champagne, di pregiudicare una relazione elegante. Immaginate la reazione di un eventuale interlocutore nell'apprendere la nostra giustificazione che "lo fa anche Carlo d'Inghilterra"! Chi sono io per "imitare" SAR Carlo? Sono forse un suo pari? No, sarei solo un borghese che aspira ad uno status che non può avere, scimmiottando comportamenti snob. Un mentecatto, non certamente un cavaliere. Dunque, ricordando che la scelta di campo sottende questioni di ben altro spessore, dove si deve collocare il Cavaliere dell'anno del signore 2009? A me sembra, parafrasando slogan politici degli anni '70, né con Carlo, né con la Berluti. Per ora concludo qui, ripromettendomi di tornare sull'argomento cercando di sondare altri profili di una questione che mi pare già abbastanza ricca di spunti. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 20-09-2009 Cod. di rif: 4172 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Risposta al signor Scalet Commenti: Egregio signor Scalet, lei mi attribuisce un'autorevolezza ed una competenza che, in realtà, non posso vantare. Benché abbia delle idee abbastanza precise al riguardo, dalla descrizione dei problemi delle sue scarpe ho tratto la convinzione che, al suo posto, incaricherei un vero artigiano calzolaio, e non un commercialista leguleio, di eseguire una manutenzione straordinaria. Mi creda, sono sincero affermando che è il miglior consiglio che mi sento di darle. Cordialità. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 20-09-2009 Cod. di rif: 4175 E-mail: luigi.lucchetti@rag-roma.it Oggetto: Pantalonaio Ambrosi Commenti: copio/incollo un messaggio del G. M. del 7/12/2006: Egregio signor Armennate, Salvatore Ambrosi ha bottega in Via Giovanni Nicotera n. 103, Napoli. Tel 081.414497. E´ all´interno di un palazzo, ma troverà il nome sul citofono. Da Via Chiaia, che come sa è zona pedonale, prenda l´ascensore e una volta su prenda a sinitra, restando sullo stesso lato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-09-2009 Cod. di rif: 4176 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La fascia dei Re - Risp. gesso n. 4169 Commenti: Egregio Signor De Lucia, forse non sa in quale vespaio ha cacciato la mano. Quella striscia di seta moiré, per lo più turchina, contiene più storia e significati di quanti si possano estrarre in una vita di ricerche. Mi limiterò dunque a presentarLe alcune considerazioni che, pur non portando ad una risposta univoca e certa, potrebbero essere sufficienti a dare un'idea delle molte voci di questo misterioso oggetto. La fascia che vede indosso a Re e Principi è una decorazione cavalleresca che manifesta, insieme ad altre distinzioni ed onorificenze, l’appartenenza ed il grado del portatore all’interno di un Ordine. Poiché un personaggio di tal nascita dispone di numerose distinzioni, il protocollo suggerisce di sfoggiare solo le preminenti. Nelle occasioni ufficiali, quella che spicca sui busti coronati è la fascia dell’Ordine dinastico più importante della famiglia. Tali titoli e soprattutto la fons honorum, cioè il potere di investire legittimamente dei Cavalieri, rappresentano i beni allodiali di una casa regnante, un patrimonio non numerario che si trasmette secondo precise regole. La sciarpa viene indossata ad armacollo e normalmente pende dalla spalla destra verso fianco sinistro, ma esistono Ordini, come quello dinastico danese dell’Elefante, che la prescrivono ad armacollo al contrario. Su questo specifico dettaglio fornirò qualche immagine nel Taccuino. Una banda a tracolla rappresenta comunque qualcosa di astrattamente idoneo a sostenere una spada. In tal modo evoca il cingolo, il simbolo più pregante della devozione e fedeltà cavalleresche. Anche la giarrettiera, simbolo del principale ordine dinastico inglese, è in qualche misura una straordinaria trasfigurazione di questo archetipo. L’uso della fascia azzurra è notoriamente diffuso anche nelle forze armate italiane. Nel 1366 il Conte Verde, Amedeo VI di Savoia, volle che sulla sua nave ammiraglia sventolasse, accanto allo stendardo dei Savoia, una grande bandiera azzurra in omaggio alla SS. Vergine. Da allora gli Ufficiali portarono annodata in vita una fascia o sciarpa azzurra e tale uso venne reso obbligatorio per tutti gli Ufficiali nel 1572, dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia. Attraverso diverse modifiche, la fascia o sciarpa divenne la principale insegna di grado dell'Ufficiale. Dal 4 marzo 1843 si porta arrotolata e non distesa in vita, per non celare la cintura. In data 25 agosto 1848 fu poi prescritto il colore turchino, tranne che il fiocco, per tutti i gradi. La sciarpa azzurra divenne definitivamente un distintivo di servizio e non di grado in data 9 ottobre 1850, uguale per tutti i gradi, in tessuto color turchino e con i fiocchi del medesimo colore. La sciarpa azzurra, oggi come allora, resta tra i principali simboli distintivi degli Ufficiali delle Forze Armate italiane. In effetti una fascia per gli ufficiali esisteva anche nell’esercito romano, dove le cariche più elevate indossavano un elmo diverso ed in campo portavano anche una fascia distintiva, annodata in vita. La storia più bella che ci racconta delle origini della fascia cavalleresca è veramente molto antica ed è contenuta nel “Sir Galvano (Sir Gawain) e il Cavaliere Verde”, un poema del XIV secolo che ci è giunto in un manoscritto contenente altre tre opere: Pearl, Cleanness e Patience (Perla, Purezza e Pazienza). L'autore, anonimo, sembra sempre sempre lo stesso ed è chiamato "Pearl Poet" o "Gawain Poet". A Camelot, durante i festeggiamenti per il nuovo anno, un imponente Cavaliere Verde armato d'ascia entra alla corte di Artù e domanda se qualcuno fosse disposto a vibrargli con la sua ascia un colpo, che restituirà dopo un anno e un giorno. Sir Galvano, nipote di Artù, accetta. Con un sol movimento mozza la testa del Cavaliere Verde, ma questi la raccoglie dal pavimento e notifica a Galvano che per la restituzione del colpo si incontreranno tra un anno e un giorno alla Cappella Verde. Ciò detto, si allontana. All'avvicinarsi della scadenza, Sir Galvano parte per trovare la Cappella Verde ed adempiere al proprio impegno. Durante il viaggio si ferma presso l'accogliente maniero di Bertilak de Hautdesert. Il signore del castello e la sua bella moglie sono molto contenti di accogliere un ospite così celebre. Galvano racconta loro dell’appuntamento presso la Cappella Verde e dice che dovrà presto rimettersi in cammino e continuare la sua ricerca, perché gli mancano solo pochi giorni alla scadenza fatidica. Bertilak, ridendo, spiega che la Cappella Verde è a meno di due miglia di distanza da dove si trovano, così insiste perché Galvano resti ancora al castello. Il giorno successivo, prima di andarsene a caccia, propone a Galvano un affare: darà a Galvano tutto quello che catturerà e questi darà a lui tutto ciò che otterrà durante il giorno. Sir Galvano accetta. Dopo che Bertilak parte per la caccia, Lady Bertilak fa visita a Galvano in camera da letto e cerca di sedurlo, senza riuscire ad altro che a dargli un unico bacio. Quando Bertilak ritorna, offre a Galvano il cervo che ha ucciso ed il suo ospite gli corrisponde il bacio ricevuto, senza dire da chi lo avesse ricevuto. Il giorno successivo, la dama tenta nuovamente di sedurre l’eroe, ma tutto quello che ottiene sono due baci, che saranno scambiati da Galvano col cinghiale catturato durante la caccia. Il terzo giorno la donna tenta ancora di conquistare il suo ospite, regalandogli una fascia di seta verde che dovrebbe proteggere il cavaliere da qualsiasi colpo che gli verrà inferto. In cambio otterrà tre baci. Quella sera, Bertilak ritorna con una volpe e la scambia coi tre baci. Galvano, però, tace della cintura e la trattiene per usarla col Cavaliere Verde. Il giorno dopo la indossa e parte per la Cappella Verde, dove trova il suo sfidante intento ad affilare l'ascia. Si dispone dunque a riceverne il colpo, secondo i patti. Il Cavaliere Verde si prepara a mozzare la testa di Galvano, ma per ben due volte tentenna. La terza volta lo colpisce sul collo con un colpo frenato, lasciandogli solo una piccola ferita. Il Cavaliere Verde si rivela allora essere proprio Bertilak de Hautdesert, il quale spiega che l'intero gioco è stato organizzato dalla fata Morgana, nemica di Artù. Galvano è sconvolto, pieno di vergogna, ma i due si chiariscono. Galvano fa ritorno a Camelot e vi indossa la fascia, come segno di vergogna per la sua incapacità di mantenere la parola con Bertilak. Artù, informato dei fatti, decreta che tutti i suoi cavalieri dovranno da allora e per sempre indossare una fascia verde, in memoria dell'avventura vissuta da Galvano. Non dubito che altri possano correggere questo collage o aggiungervi qualcosa. Lei stesso potrà trovare verità ignorate, che nella insondabile profondità della missione cavalleresca sono ancora infinite. La traccia sulla quale mi sento di metterla è che la fascia dei Re, segno di somma capacità cavalleresca, non è un capo di abbigliamento come gli altri. E' piuttosto il luogo dove Potere e Dovere si incontrano, per diventare la stessa cosa. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Patrizio Giangreco Data: 23-09-2009 Cod. di rif: 4178 E-mail: p.giangreco@tiscali.it Oggetto: Note sulla fascia o sciarpa come paramento Commenti: Caro Gran Maestro, trovo assolutamente impeccabili ed esaustive le sue delucidazioni sulla sciarpa azzurra degli ufficiali e degli ordini cavallereschi, nei quali la fascia con il gioiello è attributo che indica il Cavaliere di Gran Croce. Qui bisognerebbe operare una distinzione tra ordini a classe unica ed a più classi. I Sovrani spesso combinano la fascia di un Ordine con decorazioni al collo di altri, in un gioco di usi e significati che richiederebbe un approfondimento specifico. In attesa che il castello ospiti un'area tematica sulla tradizione cavalleresca, per ora aggiungerei solo una nota sulla più antica origine della sciarpa portata in vita o ad armacollo. E' il simbolo del servizio. Lo diventa ai tempi dei greci e dei romani, quando coloro che servivano alla tavola dei re e che non erano semplici servitori, ma membri della scorta, si toglievano la tunica e la arrotolavano ai fianchi o su una spalla per agevolare i movimenti. Un richiamo esplicito e del livello più sublime lo troviamo nel Vangelo di Giovanni (13,4), quando Gesù si cinge i fianchi con un asciugamano e lavò i piedi agli Apostoli. Ancora oggi i diaconi ministranti all'altare portano la stola - dalla spalla destra al fianco sinistro - dello stesso colore di quella del sacerdote che invece la porta a coprire entrambe le spalle. In campo cavalleresco e militare la chiave simbolica è la stessa, con l'aggiunta che nell'antichità sul campo di battaglia, dove tutti i cavalieri erano coperti dalla corazza che impediva ogni identificazione, il colore della sciarpa denotava la fazione di appartenenza. Tra l'altro, così facendo prefigurava in qualche modo il linguaggio araldico. Questi accenni alla pratica guerriera mi spingono verso un'altra decodificazione: il saluto militare fatto con la mano destra di taglio sulla visiera (lo si può fare solo se si indossa il berretto d'ordinanza) non ricorda forse quando i cavalieri coperti dall'elmo, per farsi riconoscere dall'amico dovevano, per forza di cose, alzare la celata? Questa copriva gli occhi e metà del viso e, per velocizzare il movimento, i cavalieri portavano la mano destra alla base della celata e l'alzavano sulla fronte con un solo rapido movimento. A presto e cavallereschi saluti Patrizio Giangreco ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 11-10-2009 Cod. di rif: 4182 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Le scarpe, l'amore e noi che guardiamo Commenti: Illustrissimi Cavalieri, provo a seminare qualche dubbio perché è solo con le verifiche empiriche che approderemo a soluzioni più vicine al vero. E se il testo tradotto dal Prefetto Borrello non fosse altro che pubblicità fatta alle spalle dell'ignaro Principe Carlo, la cui immagine fosse stata usata dalla ditta J. L. senza ottenerne previa autorizzazione? E se le scarpe indossate nella foto che lo ritrae anni fa fossero state delle derby in vitello liscio, mentre quelle rattoppate sono delle francesine con la punta che, più che lucida, sembra in vernice? E chi ci dice che le scarpe rattoppate siano indossate da SAR Carlo d'Inghilterra? C'è un'immagine che lo ritrae a figura intera con quel paio di scarpe? Mi sembra più probante l'immagine offertaci da Arcangelo Nocera. Ciò non di meno la tesi del rapporto speciale del principe con le sue vecchie scarpe introduce un non irrilevante elemento di riflessione. La scelta del principe, secondo questa tesi, non sarebbe dettata da motivazioni estetiche o filosofiche, come pure è stato affermato al castello, ma da ragioni quasi sentimentali o persino psicologiche. In questa prospettiva, volendo ricorrere ad un'equivalenza, la tomaia rattoppata sta alla coperta come SAR Carlo sta a Linus. Se così fosse (e non sono sicuro sia così), alla base della scelta di indossare scarpe rattoppate non ci sarebbero motivazioni filosofiche ed estetiche tipicamente nobiliari, come quelle lumeggiate sulla lavagna. Non so dove stia il vero, tuttavia resta ancora largamente inesplorato il tema di fondo che avevo proposto alla riflessione collettiva: quale estetica, intesa come complesso di valori che avevamo sintetizzato simbolicamente nella lucidatura a specchio con lo champagne da un lato e con le toppe sulla tomaia dall'atro, si addice al cavaliere contemporaneo? Personalmente ero rimasto nella insicura e rischiosa posizione in mezzo al guado: né con Carlo né con Olga, chiedendo il parere di chiunque lo avesse voluto fornire. So bene però che non è in negativo che si fondano le identità collettive. Il gusto del cavaliere contemporaneo necessita di una definizione in positivo. Una luce l'ha suggerita proprio l'amico Arcangelo, che molto saggiamente ha offerto un'immagine paradigmatica che ha la forza di individuare la giusta "terza via" del cavaliere. Sostiene Arcangelo, con forza che l'apparente semplice pragmaticità solamente può offire, che al cavaliere contemporaneo non è richiesto di arrivare alle toppe sulla tomaia. Basta risuolare le scarpe e possederle ancora a lungo, curandone la manutenzione. E in questo non banale esempio, c'è tutta una filosofia che ripudia al tempo stesso gli eccessi consumistici della grande borghesia e lo snobismo reale delle tomaie rattoppate, non alla portata di chiunque nella vita di tutti i giorni negli ambienti di lavoro e sociali che frequentiamo. Il tema resta aperto e sul tavolo. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2009 Cod. di rif: 4195 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Polsi larghi o stretti - Risp. gesso n. 4190 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, i polsi delle camicie sono una parte importante del "secondo occhio", quello composto dall'insieme fondomanica-polso-gemelli-o-orologio. Gli occhi, area ad alta concentrazione espressiva, sono punti in cui ogni scelta ha un valore particolarmente "pesante" nell'equilibrio dell'insieme. La preferenza di un diametro maggiore o minore discende in parte dal bacino estetico/culturale di riferimento, come Lei ha notato. L'ampiezza di manica che gli americani amano, tende naturalmente a suggerire polsi generosi. Al di sopra di queste matrici, il gusto individuale interviene sul polso determinandone non solo il diametro, ma anche la lunghezza ed alcuni particolari piuttosto importanti nel risultato finale. Mi riferisco alla posizione dell'asola, alla sua distanza sia dalla cucitura che dalla piegatura. Sempre restando in proporzioni assennate, non c'è in effetti uno standard assoluto e resta spazio per micrometriche messe a punto non prive di effetto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 07-11-2009 Cod. di rif: 4196 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scelta di un trench, scelta di una via - Risp. Gesso n. 4189 Commenti: Egregio signor Zanin, per rispondere alla Sua domanda sui colori del trench bisogna prima individuare due direzioni del gusto che, pur rappresentando un fenomeno di proporzioni universali, non saprei come chiamare e devo dunque descrivere. Ammettiamo che mi piaccia molto il sapore del prosciutto. Mi si aprono due vie: la prima è la ricerca del prosciutto dei prosciutti, cioè la categoria che ne rappresenta al meglio i valori archetipici. Individuate le aree di provenienza accreditate da una storia solida e da un vasto consenso, si avanza richiedendo sempre di più in termini di conservazione, razza suina utilizzata, alimentazione della bestia eccetera, tendendo ad un irrealizzabile ideale di perfezione. Man mano che ci si avvicina a quel punto, le aree di manovra si fanno sempre più piccole ed all'interno di quelle aree le distanze si fanno sempre più determinanti. Un millimetro, un grado, una sfumatura, rappresentano un universo. Diciamo che in questa via la difficoltà è scavare. L’area di ricerca è conosciuta, ma per trovarvi qualcosa di più e di meglio bisogna lavorare di trivella, di piccone, di trapano, sino a punte molto sottili. C’è però una via dove la fatica si compie camminando senza sosta e spesso senza mete precise o certezze matematiche. La imbocca chi vuole investigare tutte le possibili alternative. Se il presupposto sono gli archetipi, come nel primo caso, è ovvio che quanto al prosciutto dobbiamo restare nei suini lavorati in regioni ad alta vocazione, ben note da secoli. Il gusto, però, non lo si può incatenare. La curiosità di esplorare altri mondi resta a dispetto di qualsiasi principio e così vien voglia di mettersi in cammino per vedere se esistono altri luoghi, altri animali che hanno dato o possono dare prodotti interessanti. Non ci sono limiti, perché ciò che non esiste può essere inventato. Queste spinte convivono, con diverse combinazioni, in tutti coloro che esercitano il gusto. Proprio per questa possibile, anzi frequente compresenza, i due orientamenti non sono utili ad una classificazione umana, il che spiega come mai non si sia mai fatto alcuno sforzo per dar loro un nome. Con eccessiva approssimazione si indica talvolta la prima via come tradizione e la seconda come innovazione, ma è evidente che si tratta di una definizione insufficiente. Tutte le aziende del mondo – una parte a buona ragione – dichiarano di ispirarsi ad entrambe, ma non si capisce mai se pensano in termini tradizionali e lavorano in termini innovativi, o viceversa. No, non funziona. La tradizione è tale se è viva ed è viva se in qualche modo si adegua, quindi si rinnova, come accade nelle vicende umane più antiche tipo Palio di Siena. Torniamo ora all’argomento in oggetto, ma potremmo parlare anche di altri. Una volta isolati i due principi universali della ricerca estetica, Lei vedrà all’inizio due strade, poi tutte quelle che le collegano. Una mappa che si complica man mano che percorre il territorio, ma pur sempre una mappa. Il lotto archetipico del trench è costituito da materiali e colori compatibili con gli alti gradi militari in servizio attivo. Le sue origini sono infatti belliche, ma qualificate. Quando nacque, era destinato agli ufficiali, non alla truppa. Al fronte, non alla parata. Ne vien fuori che chi sceglie di scavare nelle profondità dell’immaginario classico di questa foggia dovrà selezionarne il corredo rispettando questi parametri: 1) Colore compatibile con l’esercito. Poiché il blu richiama troppo l’aviazione e il bianco la marina, ci si dovrà limitare ai toni del caki, con licenza di virare verso il grigio. Limitare per modo di dire, perché potremmo star qui un’ora solo elencando le diverse sfumature, i diversi materiali che possono essere evocati dalle tinte presenti in questo registro. 2) Elitarietà. Un certo snobismo da corpo scelto, un minimo di albagia da ufficiale, vanno evocati sia dalla qualità del materiale e dei dettagli che dalla foggia: ampia, lunga e drammatica. 3) Lunghezza, ampiezza, volume, servono a conservare la funzione di riparo effettivo ed estremo che il capo deve fornire a chi si trova lontano da casa e potrebbe non farvi ritorno. La seconda via può condurLa invece a cercare e sviluppare esempi di trench che non vengono proprio dall’origine prima, ibridi di successo in cui riscontra una certa fertilità e che quindi vede suscettibili di ulteriori evoluzioni. Su questa via non posso aiutarLa, perché il nostro metodo è valido sinché resta nel classico. Pur non ignorando, non condannando e nemmeno sconsigliando le altre strade, il castello ha scelto di presidiarne una sola. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 12-11-2009 Cod. di rif: 4198 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Corinzio, ionico e dorico Commenti: Illuminante Gran Maestro, nel gesso 2874 ed in altre fonti Lei ha accennato agli stili corinzio, ionico e dorico con riguardo all'abbigliamento. Sento la necessità di approfondire la conoscenza del Suo pensiero al riguardo per chiarirmi le idee. Probabilmente Lei ha già avuto modo di sistematizzare il tema con riferimenti storici precisi ed immagini di sostegno che esemplifichino i concetti. A me però l'argomento risulta ancora un puzzle di difficile composizione, forse perché disseminato tra i moltissimi materiali nel Castello e non, come riterrei utile, in un'unica organica pubblicazione o in una sequenza di interventi tra loro collegati sul taccuino. Se mi è consentito, Le chiederei sommessamente di compiere questo sforzo manualistico, nella convinzione che ne risulterà una lezione fondamentale per la cultura del gusto del classico alla quale ci siamo votati. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 15-11-2009 Cod. di rif: 4199 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Commenti: Illustri Cavalieri, uno spunto di riflessione in vista dell'importante evento cavalleresco marchigiano. Dalla serie di appuntamenti in cui si discusse intorno ai concetti di lusso, qualità e prezzo, il Gran Maestro ci indicò la conclusione che il lusso è sostanzialmente una manifestazione dello spreco. Dalle recenti discussioni su questa lavagna, che avevano solo all'apparenza ad oggetto una scelta di campo tra le toppe sulle scarpe del Principe Carlo ed il cirage a base di champagne, ma che vertevano sulla ricerca di una via cavalleresca contemporanea all'eleganza, la totalità degli interventi, tra i quali spiccava come suo solito l'acuto di Arcangelo Nocera, propendeva per una visione sobria dell'eleganza. La ricerca di un denominatore comune cavalleresco sulla concezione di vita elegante del XXI secolo può dunque ritenersi approdata alla conclusione che se il lusso è spreco, i cavalieri rifuggono il lusso per una scelta di sobrietà? Pindaro, dalla prima pagina del Taccuino, ci ricorda ogni volta, da anni, che le azioni sono la misura di ogni uomo. Avremo modo di approfondire lo spunto in terra marchigiana. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-11-2009 Cod. di rif: 4203 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'ancoraggio dei pantaloni - Risp. Gesso n. 4200 Commenti: Egregio signor Limardo, se nelle giacche i punti chiave sono lo stile e la tecnica nelle spalle e nei baveri, nei pantaloni sono lo stile e la tecnica nella "caduta" - che identifica il bilanciamento corretto tra dietro e davanti rispetto alla postura e corporatura del cliente – e nel “grembiale”, ovvero il complesso volume anteriore. Molto importante per conseguire comfort ed un aspetto di lunga durata è anche l'aggancio, ovvero la capacità di ancorarsi con naturalezza al punto vita. Se la quota è corretta, molto minore sarà la tendenza a cadere, a rifiutare di stare al proprio posto. Un buon aggancio richiede anche una certa consistenza, anche se non rigidità, del bustino. Corporature di taglie sotto il 50 di semivita non percepiscono, anzi non hanno, il problema del rimbocco, cioè l'antiestetica tendenza della sommità a rigirarsi scoprendo l'interno. Se Lei appartiene a questa metà del mondo, non deve crucciarsi troppo dei guai dell'altra. Risolto il problema tecnico, resta quello estetico. Una guarnizione dell'interno può avere un plusvalore in questi termini, ma non è certo il tessuto di camicia usato a Napoli che irrigidisce la cintura. Ci sono tele interne o guarnizioni esterne per questo scopo. Se il Suo pantalonaio ha trovato una formula che La soddisfa per efficacia, il resto è solo questione di gusto. Tecnicamente non manca nulla, almeno per le esigenze della sua specifica corporatura, altrimenti se ne sarebbe già accorto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 18-11-2009 Cod. di rif: 4204 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Pedibus calcantibus: risposta ad A. Longo Commenti: Anche a me è capitato di non mettere più scarpe fatte a mano da un artigiano a causa dei doloretti che mi causava l'indossarle. Era un artigiano indicatomi da Cavalieri e tanto mi bastava. Dopo il secondo paio di scarpe ho cambiato calzolaio e questo non è più accaduto. Il consiglio è tutto qui: cambiare calzolaio. Non avendo problemi di postura o di misure atipiche, perché farsi realizzare scarpe su misura? Ciascuno ha le sue motivazioni. Lei ne ha indicate alcune nelle quali non mi riconosco, pur dovendomi annoverare oggettivamente nella "middle class". Non mi aspetto alcun ritorno d'immagine né approvazione sociale, né per le scarpe, né per gli abiti, né per le camicie che mi faccio realizzare su misura. Nonc'è neppure una voglia di distinzione. Per quanto mi riguarda, si tratta solo di tentativi di rappresentarmi in modo non banale né confezionato cercando di rappresentamri per ciò che sono a 50 anni passati. In particolare per le scarpe cerco qualcosa che sul mercato non c'è (o, forse, semplicemente m'illudo che non ci sia). Vado alla ricerca del mio stile, della qualità al giusto prezzo. Forse è banalmente può apparire tutto qui, ma in realtà c'è una maturazione, un punto d'approdo dell'individualità di un uomo vissuto sempre fuori le righe. E poi mi diverto, non senza un pizzico di autoironia. Basti andare a vedere una news su questo link http://www.lsp-serafini.it/index.php/News/ e fare la traduzione del nome del modello che ho ispirato all'artigiano. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-11-2009 Cod. di rif: 4215 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Calzoleria Ferrante e Pino peluso - Risp. Gesso n. 4214 Commenti: Egregio signor Vuosi, la calzoleria Ferrante è innanzitutto centralissima, il che è già un vantaggio. Dispone di un campionario vasto, di buon livello stilistico medio, offerto con ottimo rapporto qualità-prezzo. Cuciture blake e goodyear secondo i casi, pellami di qualità medio-alta. Niente voli pindarici nei materiali di tendenza per questa casa concreta, che si rivolge ad un pubblico classico in cerca di valore e durata. Pino Peluso è cordiale, dispone di una sartoria bella e meravigliosamente situata vicino in Via G. Martucci n. 72, vicono a Piazza Amedeo e nello stesso palazzo di inizio secolo che ospita l'antica pensione Pinto Storey. Capace, disponibile, dal tratto signorile, è un artigiano completo e corretto. un interlocutore da tenere in considerazione per chi cerca un rapporto cliente-sarto costruttivo e duraturo. La sua linea è marcatamente napoletana, senza cadere nella caricatura. Il suo talento non è ancora del tutto espresso e certamente ne sentiremo parlare sempre di più. Una carta vincente. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 30-11-2009 Cod. di rif: 4216 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Anni '30 - Cinema Commenti: Mi permetto di suggerire la visione del film "Nemico Pubblico", attualmente nelle sale, a tutti coloro che vogliano vedere un grande campionario di tessuti ed abiti anni '30 in voga negli USA in quel periodo. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-12-2009 Cod. di rif: 4217 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Rigidità e consistenza - Risp. gesso n. 4207 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, Ambrosi fu a lungo il pantalonaio preferito da Rubinacci e non fa mistero di aver appreso molto da questo contatto. Tra le caratterirstiche che gli venivano imposte, vi era l'uso di una tela interna al, bustino. La tela, pur correndo al traverso, conferisce quella che possiamo chiamare "rigidità", ma pochissimi pantalonai la usano. In altri casi si offre una semplice "consistenza", generata con teline adesive interne o guarnizioni esterne. Naturalmente non tutti sono favorevoli alla rigidità, ma se comporta qualche ritrosia è per il fatto che a maneggiarlo il pantalone appare un po' strano, con quella sorta di cerchio di botte. Indossandolo, però, il comfort non solo non ne soffre, ma aumenta considerevolmente. Naturalmente si tratta di una soluzione che taglia fuori tutte le manifatture industriali, realizzabile solo a livello artigianale. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 01-12-2009 Cod. di rif: 4218 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Jeeves/ Wooster, Linus/ David, il caso della giacca bianca Commenti: Accorto Cavalier Nocera, animoso Corbey, dotto Pugliatti, la Vostra discussione sulla giacca bianca da sera ha fornito elementi sufficienti perché il Ricercatore possa farsi una propria idea del significato di questo capo. Come spesso accade nella potente lirica del Classico, ogni suo verso, ogni suo segmento è un fenomeno, un'opera al tempo stesso individuale e comune, dell'ingegno e dello Spirito. La morte del Classico ci consente finalmente di studiare meglio ciascuno di questi fenomeni e trarne fuori man mano gli algoritmi, i significati e anche quelle leggi che li hanno determinati, diffusi, poi cancellati. Per la faticosa estrazione di queste gemme occorrono tempo e lavoro, tanto che non basta quello di un sol uomo. Ecco perché nelle aree di ricerca del castello si lavora in gruppo, tutti insieme e non uno per tutti. Aggredire una montagna con un solo piccone non sarebbe eroismo, ma ignoranza. A questo punto porterei un contributo squisitamente cavalleresco alla questione. Il 2 Ottobre del 2009 l'Adunanza Generale dell'Ordine, su relazione e proposta del Guardiano Paul de Sury nominava Bertram Wooster tra i Grandi del Cavalierato. Poiché i Grandi, che per Statuto devono essere morti o mai esistiti, sono degli ispiratori dell'opera e del pensiero cavallereschi, le scelte di Wooster rivestono un peso elevato nella formazione di una posizione definitiva, almeno del Cavaliere. Orbene, Wooster non è giunto al rifiuto della giacca bianca per principio, ma dopo averla indossata. E' il rigido maggiordomo, non l'avventuroso uomo di mondo, a nutrire verso essa un pregiudizio che vieta di considerarla diversamente che unsuitable. Ciò che spinge Wooster a bocciarla è, la considerazione che, dopo averle sfruttate, le risorse emotive contenute in quel capo sono scese al di sotto dello sforzo da produrre per sostenerla nei confronti di una considerazione negativa degli interlocutori. Ne concluderei che il Cavaliere usa la giacca bianca, ma la abbandona appena si accorge che il suo registro non è più in sintonia con il proprio registro, o col contesto. Non è detto che accada, ma è invero probabile. In ogni caso l’abbandono non significa il ripudio, o l’esecrazione alla Jeeves. La mia generazione ha usato la giacca bianca sino alla soglia dei trenta anni, per poi trascurarla fino a dimenticarla. Nel mio caso, il distacco è avvenuto traumaticamente. Avendola ripresa a distanza di circa dieci anni dall'ultimo utilizzo, per una festa in una villa toscana, mi ci sentii alquanto in imbarazzo. Il ricevimento in un luogo con ampi spazi mi aveva forse fatto intravvedere qualche sequenza del film Sabrina, in cui il posato Linus Larrabee veste di nero ed il brillante fratellino David di bianco. Fatto sta che solo allora capii che invece la gran parte della gentilhommerie italiana di antica formazione disprezza in modo radicale, quasi ancestrale, il bianco maschile di sera, ritenendolo quasi un'offesa al padrone di casa. Avessi avuto venti anni di meno, o una nascita inglese, la cosa sarebbe passata. In analoghe situazioni, infatti, abbiamo visto Michael di Kent presentarsi a feste italiane di alto livello con la giacca bianca. Se sia venuto a fare il colonialista, il tipo figo o semplicemente se stesso, è difficile giudicare, fatto sta che si tratta di un altro titolo, per di più qualificato e contemporaneo, che si aggiunge alla giacca bianca. E’ per questo che la bocciatura di Jeeves è titanica da un lato e limitata dall’altro. Il suo significato sentimentale, eroico, può essere abbracciato come un ideale al momento della scelta, ma non deve influenzare il discernimento filosofico dello studioso al momento della valutazione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 07-12-2009 Cod. di rif: 4224 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Segnalazioen Mostra d'arte Commenti: Possiamo noi comprendere lo stile del vestire maschile nel tempo senza conoscere quello femminile? Essi non sono forse come lo Yin e yang, complementari ed inscindibili? Suggerisco una visita alla mostra di pittura che si tiene a Roma dal titolo "Boldrini e gli italiani a Parigi" al Chiostro del Bramante (Piazza navona, fino al 14 marzo 2010. Vi sono ritratte, nei loro ricchi abiti, in gran parte donne borghesi e della nobiltà parigina del periodo 1870 - 1900, cuore della belle epoque, nello stile pittorico ritrattistico che si affermò il quel periodo, caratterizzato dalla joie de vivre. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 12-12-2009 Cod. di rif: 4227 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Abbigliamento maschile e fiemminile. Riflessioni su Commenti: Mi riferisco all'intervento del Cavalier Villa ed alla mia precedente segnalazione di una mostra pittorica, effettuata nella convinzione che chi fosse interessato ai temi dell'abbigliamento maschile potrebbe trovare di suo interesse il tema della mostra stessa, ancorché incentrato sull'abbigliamento femminile della seconda metà dell'800 parigino. Presumo che il l'esistenza di relazioni inscindibili tra abbigliamento maschile e femminile, sia un'acquisizione definitiva dei frequentatori abituali del Castello, avvenuta naturalmente ed inevitabilmente, così come un bambino impara a parlare semplicemente osservando il labiale della mamma, ascoltando i suoni e mettendo in relazione i suoni col suo significante. Tali relazioni discendono, in primo luogo ed inevitabilmente, dalla tecnologia per la produzione degli ingredienti di base (filati, tessuti, accessori ecc.). Non può esservi una tecnologia per l'abbigliamento maschile ed una per l'abbigliamento maschile: essa si definisce per ciò che è possibile tecnicamente in quel dato momento. Ad esempio, i telai del '600 producevano bellissimi damascati che venivano usati sia per realizzare abiti femminili che abiti maschili, seppur con differenti fantasie. Ma non basta, altrimenti non si spiegherebbe l'uso di tessuti diversi, solitamente (ma non sempre) più leggeri ed eterei per le signore e più robusti per gli uomini. Le relazioni tra i due mondi dell'abbigliamento sono, tuttavia, figlie soprattutto del pensiero dominante nel contesto storico nel quale nascono e si affermano: non riesco ad immaginare damine senza cicisbei, né le tute sportive contemporanee, che si distinguono al massimo per la modellatura, per non dire dei modi di vestire comuni a certe categorie o classi sociali: si pensi ai tailleur femminili delle signore che frequentano il mondo degli affari o l'uso del jeans tra i giovani studenti. Si potrebbero fare molti altri esempi, ma credo di aver reso il concetto e non mi dilungo oltre con la casistica. Dunque reputo inevitabile, per comprendere lo stile dell'abbigliamento maschile di un'epoca, guardare all'altra metà del cielo avendo in mente non solo i dettagli e gli stilemi vigenti ratione temporis, ma soprattutto quali ideologie fossero dominanti in quel determinato contesto storico; il peso della morale religiosa; quali forze politiche ed economiche erano in gioco e quali dinamiche erano in divenire. Portato il contesto storico - socio - economico a fattor comune, si avrà maggiormente la percezione della inscindibilità dei gusti del vestire maschile e femminile e meglio si comprenderanno sia l'uno che l'altro, ancorché riguardati e studiati separatamente. Detto ciò e considerando per acquisita e comune a noi tutti questa fondamentale consapevolezza, resta il fatto che su questa lavagna avrò piacere ed interesse di continuare a leggere post in tema di abbigliamento maschile, che resta l'argomento in topic. E del resto non ho dubbi che continuerà ad essere così. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2009 Cod. di rif: 4232 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Plissetature piane e corrugate, un chiarimento necessario Commenti: Attenti Visitatori e Ricercatori, egregio signor Vivian, una mia affermazione riguardo alla camicia da smoking è stata oggetto di fraintendimento, di certo a causa mia. Le recenti indagini iconografiche riportate nel Taccuino agli Appunti nn. 5066, 5067 e 5068 mi hanno infatti reso evidente che per plissettature il lettore può intendere quelle verticali, parallele e piatte, mentre il mio testo voleva riferirsi a quelle mosse e gonfie, tipo jabot, che in certe epoche e regioni hanno goduto di un certo successo. Chiedo scusa per questa imprecisione. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-12-2009 Cod. di rif: 4233 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Galoche e conservazione delle cose - Risp. gesso n. 4231 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, prima ancora dell'oggetto, credo che a destare in Lei un positivo riscontro si stato il gesto con cui, nell'immagine che ci ha raccontato, il gentiluomo difendeva le proprie calzature dalle offese della neve. Poichè il buon senso è padre del buon gusto, in linea di principio non esiste alcun motivo per condannare lo strumento attraverso il quale si esplica quel nobile sentimento che spinge alla protezione delle cose di valore. Il nostro motto NUMQUAM SERVAVI comporta esecrazione per una conservazione disgiunta dall'uso dell'oggetto, pratico o culturale che sia, non certo della conservazione come cura delle cose, affinche più a lungo possano manifestare la propria bellezza, confortarci con la memoria che raccolgono e servirci con la loro utilità pratica. Ovviamente i modi e gli utensili della conservazione devono essere consoni alla natura dell'oggetto e al carattere del soggetto, nonché consentire l'uso corretto e continuo del manufatto. Diciamo che una cosa è coprire un candelabro o un orologio quando in casa ci sono lavori, ben altra tenerli incartati e chiusi in un mobile per non esporli ai rischi dell'uso. Se poi si devono ricoprire in plastica, è inutile avere le poltrone in pelle in auto. Se si fuma in terrazzo, perché avere un salotto? E così via. Per il resto, la galoche risulterebbe un aggeggio sospetto se apparisse in se stessa sgraziata per forma o colore, ma visto che ciò non è, almeno nel caso del prodotto da lei descritto, credo che ci si possa fare un pensierino. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 23-12-2009 Cod. di rif: 4234 E-mail: luigi.lucchetti@rag_roma.it Oggetto: Galoche in gomma Commenti: Sono stato chiamato in causa in qualità di semplice appassionato di calzature (fortunatamente sto sgombrando il campo dall'equivoco ingenerato in alcuni che io sia invece un "esperto") per esprimere un commento sulle galoche da utilizzare sopra le scarpe. L'uso delle galoche a riparo delle scarpe era abbastanza in uso quando ero bambino. Poi è caduto in desuetudine, probabilmente perché molte delle calzature che si sono usate a partire dalla fine degli anni '60 somigliavano più alle galoche che a delle scarpe e vuoi per la larghissima diffusione che ebbero da quell'epoca scarpe con fondo in para dette a "carroarmato" che, tuttavia, quando pioveva in abbondanza, lasciavano passare dalle cuciture tanta di quell'acqua che i miei piedi risultavano perfettamente lavati. Che dire dopo quanto ha scritto il Gran Maestro? Nulla da aggiungere. E' un articolo utile in certi frangenti con eccezionali precipitazioni. Oltre che a "tenere da conto" le scarpe quelle galoche diminuiscono le probabilità di scivoloni. Non possono, a mio parere, essere indossate per il gusto estetico, ma lo stile di chi le indossa nelle occasioni in cui rivelano la loro utilità non siminuirà di certo la sua immagine di uomo elegante. In definitiva, all'uopo, perché no?! Con l'occasione, in procinto di partire con la famiglia per una cavalleresca vacanza all'insegna del nostro motto, porgo al GM, ai Guardiani, ai Prefetti, ai Cerimonieri, ai Cavalieri, agli Scudieri e simpatizzanti, i miei migliori auguri di buone feste e per un 2010 con l'Ordine, nell'Ordine, per l'Ordine. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-12-2009 Cod. di rif: 4236 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Uomini e donne nel Classico - Risp. gesso n. 4226 Commenti: Egregio Cavaliere Villa, l’abbigliamento viene qui considerato e studiato come linguaggio. Naturalmente esistono e sono esistiti linguaggi diversi, ma quello che riguarda i Cavalieri è quello la cui grammatica e “letteratura” fu determinata da un’aspirazione all’eleganza come suprema armonia. Stiamo parlando ovviamente del sistema di valori e quindi di giudizio Classico, codice universale del desiderabile secondo l’homo elegans. In questo tipo di civiltà, i ruoli sociali, familiari, sessuali, politici, economici, commerciali, accademici, professionali, erano ben definiti. In linea generale la posizione maschile risultava dominante, sicché è naturale che il vestire maschile abbia sviluppato una maggiore complessità. Pensiamo al patrimonio di fogge canoniche nate in età classica, da quelle da caccia a quelle da cerimonia e da sera, dai cappelli ai cappotti, dalle calzature alle camicie: appartengono tutte al mondo maschile, mentre quello femminile di tanto in tanto le ha acquisite e per il resto improvvisava, restìa ad accettare i canoni che ogni stagione sembrava generare per sempre ed invece cambiavano inevitabilmente alla successiva. Il palinsesto maschile ha sviluppato un’organizzazione di straordinaria sofisticazione e dimensione in quanto doveva spaziare su declinazioni di significati e di toni estremamente vari, mentre il registro muliebre non si staccava di molto dalla seduzione, seppur coniugata in una eccezionale varietà di espressioni. Lei potrebbe obiettare che anche l’uomo ispira le sue soluzioni estetiche alla seduzione, ma io replicherei che la seduzione femminile classica è sempre orientata a generare desiderio nell’uomo e invidia nelle altre donne, mentre quella maschile vuole e può generare o utilizzare anche altri sentimenti, come convinzione, fiducia, ammirazione, distacco, etc. Anche a livello di materiali, la distinzione è chiara ed in qualche modo discriminatoria. In sede classica si chiama infatti drapperia la tessitura per l’uomo e laneria quella per donna. Fermo restando che il nostro metodo non prevede una gerarchia sostanziale tra i sessi, in materia di abbigliamento l’arte maschile del vestire classico non ha un vero e proprio corrispettivo in quella femminile. Lo dimostra il fatto che per decenni gli stilisti, che altro non sono se non centri protesici del gusto, furono esclusivamente femminili. La donna ha sempre amato affidarsi a terzi, l’uomo ha cominciato da poco ed in tempi che non formano oggetto della nostra ricerca. L’argomento è scomodo e la verità lo è ancora di più, ma ai Cavalieri tocca guardarla negli occhi ed assumersi la responsabilità di svelarla, anche se solo quando è necessario. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-12-2009 Cod. di rif: 4239 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il gran fazzoletto alla prof. Higgins - Risp. Gesso n. 4223 Commenti: Egregio signor Tettamanzi, il fazzoletto che vede nella tasca del professor Higgins non è una pochette , né un’invenzione di Rex Harrison, che del resto avrebbe avuto ben poca voce in capitolo di fronte ad un costumista ingombrante come quello di “My fair lady”. Non fu nemmeno un’invenzione di Cecil Beaton (1904 – 1980), né un’esclusiva anglosassone. Si tratta di un gran fazzoletto di quella seta dalla superficie vagamente polverosa, in genere a dominante rossa, detta ancient mudder. Questo materiale non si produce da molto tempo, quindi sono sempre meno gli uomini che ne hanno esperienza diretta. Non ha indirizzato male la Sua domanda, perché il sottoscritto non solo figura tra costoro, ma talvolta indulge nel portare il suo ancient mudder in tasca proprio come faceva Higgins. Altrettanto facevano parecchii gentiluomini napoletani dei tempi andati, perché come le dicevo l’abitudine non era esclusivamente inglese. Il fazzoletto da tasca in mudder ha dimensioni ragguardevoli, misurando almeno 85 centimetri di lato. Ha quindi una superficie complessiva di ben 7225 centimetri quadrati, contro i 1600 di una pochette. Proprio per la grandezza lo si portava – e nulla vieta di portarlo ancora - nella tasca esterna della giacca, dalla quale fuoriesce ornandola. Aveva anche uno scopo pratico, poiché la particolare natura di questa seta, pesante e porosa, la rende adatta a detergere il sudore. Nel Taccuino mostrerò sia un esemplare autentico di questo raro oggetto che una foto che lo ritrae in un uso contemporaneo. Non avendo altri soggetti per farlo, utilizzerò una foto scattata a me stesso, raccomandando di non prendere questa soluzione illustrativa come una vanità. Del resto, come potrà constatare nella foto che allegherò all’Appunto n. 5071, l’effetto è alquanto sommesso e non è altro che una citazione, un richiamo intimo più che una dichiarazione palese. Quanto alla seconda e terza domanda, la risposta è positiva. Il papillon non possiede affatto quel peso protocollare che Lei, probabilmente in seguito ad esperienze o insegnamenti specifici, avverte come un limite. Guardi le belle trasmissioni di Philippe Daverio (1949 – vivente) e disporrà di validi esempi, pur se difficilmente riproducibili, di gilet e papillon in combinazione con giacche di vario registro. Qualche accortezza comunque è bene osservarla. I completi formali non amano i gilet sottogiacca e li accolgono solo se molto sottili e semplici, Nelle occasioni di sera impegnata e gran sera, tutta la maglieria si lascia a dormire nel cassetto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-12-2009 Cod. di rif: 4240 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Piaceri e dolori, scelte e destino - Risp gesso n. 4201 Commenti: Egregio Cavaliere longo, il suo interrogativo è duplice. Da un lato si chiede perché calzare su misura quando non ci sono problemi al piede, dall’altro come farlo senza patire. Cominciamo dalla prima questione. Vestire con impegno e partecipazione ha nelle sue motivazioni il riconoscimento sociale, come lei correttamente ricorda, ma c’è anche un problema di identità, le cui dimensioni e profondità non sono uguali per tutti. Alcuni ottengono ottimi risultati, tra cui quello supremo dell’Eleganza, utilizzando l’artigianato solo dove ritengono altrimenti impossibile conferire l’impronta personale, o conseguire quello che autenticamente cercano. Altri, che potremmo qui immaginare rappresentati dall’illustre Ivano Comi e dalle sue intense affermazioni, non si sentono se stessi se non con prodotti realizzati su loro committenza. Costoro non tendono tanto ad una bellezza astratta, ma all’espressione di una individualità necessitante in quanto consapevole. Non corrono verso un traguardo, non sono in competizione con gli altri, seguono piuttosto una legge che sentono propria, unica, imperativa, indiscutibile. La loro storia estetica tende man mano alla realizzazione di un guardaroba, ma quasi sempre anche di una casa e di una vita, completamente su misura. Vista dall’esterno è una scelta, dall’interno è un modo di essere, quasi una condanna di cui si è disposti a scontare la pena, tra cui i dolori da Lei descritti, a fronte del piacere quasi mistico di assecondare quella che ritengono, anzi sanno, essere la propaia natura. Le farò un esempio pratico. Da molto tempo frequento assiduamente il Cavaliere Paul de Sury, che sin dall’adolescenza veste e calza su misura e non potrebbe concepire altra possibilità. Lei se lo immagina il nostro Decano, o il Primo Guardiano, con una giacca o una scarpa di confezione? Può trattarsi di un’eccezione, non di una frequentazione. E torniamo a Paul. Ogni volta, passeggiando insieme, dopo un po’ lo vedevo zoppicare. Come ben sa tra uomini, anche o soprattutto se veri amici, ogni faccenda personale è bandita dalle conversazioni, che evocano gli stati d’animo in via indiretta. Lui non si lamentava, io non chiedevo. Lui taceva, io tacevo. Sono passati anni senza che mai si facesse alcun accenno a quella zoppìa a singhiozzo, fino a quando, facendo leva su una confidenza fraterna, gli chiesi se avesse problemi di piede o dolori dovuti alle scarpe. Il maschio non è molto ben disposto a soffrire fisicamente, ma tutti per esperienza sappiamo anche che se c’è una parte in cui sopportiamo il dolore è nei piedi. Lo stesso male, se si facesse sentire alla testa o a una spalla, verrebbe preso in considerazione molto più seria. Paul mi disse che a dolergli erano le scarpe, che da sempre faceva realizzare a Londra da New & Lingwood o a Milano da Messina. Un po’ come ha fatto con Lei il cavaliere Lucchetti, gli consigliai di cambiare calzolaio, anzi feci di più. Invitai il giovane calzolaio milanese Antonio Pio Mele, poi diventato uno dei nostri, ad effettuare a casa sua la prova di un paio di scarpe che mi stava realizzando. In tale occasione, avrebbe potuto approfittarne anche lui. Da allora le cose vanno meglio. L’episodio rivela sino a che punto la via del su misura possa essere vissuta come un destino che si accetta con orgoglio, più che con rassegnazione, come un destino personale. Qui non si tratta di essere nel giusto o nell’errore, bensì di indole, di gusto, di educazione, di qualcosa di molto simile all’azione di forze che avvertiamo superiori. Non tutti conoscono persone di questo tipo, ma poiché nell’Ordine sono meno rare che altrove, Lei comprende di cosa parlo. Se è naturale essere se stessi, lo è altrettanto cercare di esserlo senza dolore ai piedi. Pertanto, se la Sua prima domanda ha trovato risposta, la seconda resta inevasa ed assume anzi un rilievo ancora maggiore. Cambiando calzolaio non sempre si migliora, quindi dobbiamo concentrarci su quella parte in cui si domanda come ottenere da un bravo artigiano una buona scarpa. Come tale si intende, ovviamente, un prodotto idoneo ad un uso duraturo e soddisfacente e non lo “stivaletto malese” che effettivamente ci capita. E’ capitato anche a me, anche se non dall’inizio. Ad un certo punto ho cominciato a trovare scomode le scarpe realizzate dal mio calzolaio. Per qualche anno ho accettato il fenomeno, usando di preferenza quelle tra le scarpe vecchie che mi andavano meglio e indulgendo alla fine in qualche acquisto di confezione. Fatto sta che la confezione non mi accontenta del tutto, perché per soddisfare il cliente quanto alla calzata utilizza forme che fanno il piede più grande, il che nel mio caso, che ho già una fetta notevole rispetto all’altezza, è esteticamente un guaio. Vi è poi quell’insoddisfazione sottile e irrimediabile per non aver potuto ottenere la scarpa, pur bella, con quel dettaglio o quella particolare modellatura che l’avrebbe resa veramente mia. Ho anch’io cambiato calzolaio e, incoraggiato dai risultati, sono tornato prima al su misura e poi anche al vecchio calzolaio. Da esso ho ottenuto, al primo tentativo, un paio di francesine di armoniosa bellezza e perfetta calzabilità. L’esperienza mi aveva insegnato qualche trucco, uno in particolare. Tutti i mali vengono da un male primo, per evitare il quale si cammina o si poggia il piede in modo innaturale, innescandone illimitati altri spesso più appariscenti in quanto ancora più dolorosi. Occorre dunque individuare il punto che, rispetto alla forma standard che comunque il calzolaio usa come base e non è molto diversa da una di confezione, non collima col nostro piede. Il fatto è che nella messa a punto della forma per una calzatura artigianale si parte con meno tolleranze, proprio perché si tende a contenere o eliminare tutti i volumi inutili. Molto spesso c’è però un secondo dito più lungo, un mignolino sporgente, o altri problemi ossei che sono quelli principali. Può poi esserci una durezza, una pianta rilassata, etc., ma qui andiamo nei piedi difficili e per Sua esplicita richiesta dobbiamo limitarci a quelli “normali”. Il problema è che la prova viene effettuata con una tomaia non cucita, praticamente ancora una pantofola, in cui i punti di contatto non si rivelano come l’insidia torturatrice che realmente sono. Per questo bisogna fare tesoro della prima esperienza, frequentemente imperfetta, per comprendere dove intervenire e non accettare compromessi. Innanzitutto, cosa che si può fare da subito, bisogna tamburellare con le dita all’interno della scarpa in prova. Se non si ha l’impressione di poterci suonare un pianoforte, già si sa che c’è qualcosa da cambiare. Più volume, più lunghezza, più larghezza? Dipende da caso a caso e bisogna dedicarci tempo per capire la direzione giusta. Questa viene però suggerita dai dolori già patiti. Sarà meglio esagerare, piuttosto che sbagliare di nuovo. Se il calzolaio suggerisce di dare alla forma un paio di millimetri in più, diamogliene quattro o cinque. Come sempre, il committente deve essere preciso e spietato, sordo ad ogni suggerimento. Lo abbiamo già detto e lo ripeteremo ancora. Il grande su-misura è l’esecuzione a regola d’arte di un progetto in cui l’artigiano, come Maestro, è per l’appunto il capomastro, ma l’architetto è il cliente. Le suggerisco infine, qualora torni anche lei in bottega, di chiedere la cucitura a macchina. Otterrà lo stesso modello spendendo – e quindi rischiando – molto meno. Le cuciture a mano sono un vezzo, un piacere, una qualità accessoria, non un fattore costituivo. Devo infine, contro ogni abitudine corrente, condannare l'usanza dei calzolai di trattenere la forma del cliente presso il proprio laboratorio. Un gentiluomo, naturalmente oagandole, dovrebbe essere proprietario ed avere a casa propria tutte le forme che sono state utilizzate per le proprie scarpe. Infatti, come non tutti sanno,la forma deve cambiare se si ordina un modello non compatibile con altre già realizzata in precedenza. Questo possesso diretto sarebbe il modo migliore per affinare man mano una forma perfetta. Il cliente potrebbe portarsela poi da un calzolaio all'altro, ottenendo sempre un manufatto che tenga presenti le migliorie di linea e di calzabilità, in una crescita continua senza sorprese. Auspico che una futura generazione di clienti, più dotati di polso, inauguri questo nuovo corso. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-01-2010 Cod. di rif: 4249 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Niente segnalazioni sui capi maschili - Risp. Gesso n.4246 Commenti: Egregio signor Pagano, nella descrizione del Suo abbigliamento per l'occasione che sottopone alla nostra attenzione, manca di precisare se l'abito sia a doppio o singolo petto. Per vari motivi ritengo si tratti del secondo modello ed in questo caso è più facile fare a meno dei gemelli. Sinceramente devo consigliarLe di farne a meno, in quanto deve urgentemente liberarsi di quelli che ha illustrato. La presenza ingombrante ed inquietante di un nome da stilista li rende assolutamente, irrimediabilmente inutilizzabili da un gentiluomo. Le scritte sono utili sui cartelli stradali, dannose sui capi maschili. Parimenti eviti la cravatta blu con un logo francese e inalberi piuttosto un bel microdisegno inglese su fondo alcool. Vista la situazione professionale, al taschino non metta una pochette, bensì un fazzoletto sistemato di taglio e non di punta. Bene la scelta della scarpa nera, anche se con l'abito completo sono da preferirsi le bretelle. Ricordo che simili consigli, dati solo se richiesti, vanno considerati strettamente personali. Non sono l'espressione di comandamenti e non sono estensibili a terzi. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-01-2010 Cod. di rif: 4258 E-mail: studiol.lucchetti@antispamlibero.it Oggetto: Classico: morto, vivo o così così? Commenti: Non c'è alcuna necessità che io interpreti il pensiero del G.M., giacché può farlo benissimo da solo. Mi è però sembrato che Egli, in più d'un'occasione, alludesse alla morte del classico come di un linguaggio che non può produrre termine nuovi. Un po' come il latino, che però continua ad essere studiato e, soprattutto, che ha lasciato profonde testimonianze di sé in parecchie lingue parlate attualmente da molti milioni di persone ed, in tal senso, può dirsi sopravvissuto al suo declino. Dunque occorre intendersi sull'accezione del significato che l'autore intende attribuire alla sua teoria, che non sono sicuro sia il medesimo di quello attribuitogli dal signor Masci, che pure si è profuso in un pregevole contributo di analisi semantica. E neppure quello che mi pare di capire gli atribuisca l'ottimo Pugliatti. Se il senso (ed il G.M. - 1956 - vivente - ci conforterà) è che l'età classica nell'abbigliamento maschile è morta perché non produce più nulla di nuovo, non per questo si può parimenti affermare che l'abbigliamento classico sia sepolto definitivamente. Altrimenti ci dovremmo spiegare come noi ci intendiamo abbigliati nei nostri incontri. A me sembra di aver conosciuto solo cavalieri, vivi, mangianti, beventi e fumanti, tutti classicamente eleganti. Detto ciò, concluderei con l'affermazione che la definizione (non mia) di "permanent fashion" attribuita al vestire elegante classico mi pare particolarmente efficace per definire lo stato di salute dell'oggetto di studio di queste lavagne. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giampaolo Marseglia Data: 31-01-2010 Cod. di rif: 4261 E-mail: gmarseglia@yahoo.it Oggetto: Sala Bianca Commenti: Il primo defilé dell’Alta Moda Italiana fu organizzato il 12 febbraio 1951 nella casa privata del marchese Giovanni Battista Giorgini: la villa Torrigiani in via dei Serragli a Firenze. A causa dell’elevato numero di partecipanti fu necessario trasferire già la seconda edizione del luglio del medesimo anno presso il Grand Hotel di Firenze, e fu proprio in quell’occasione che il Giorgini decise di arricchire le sfilate anche con la presenza di indossatori maschili. Per questa rivoluzionaria novità il Giorgini invitò la maison Brioni, fondata nel 1945 da Gaetano Savini e Nazareno Fonticoli, che presentò oltre quaranta modelli dal vestito a tutti i suoi accessori. Il terzo “Italian High Fashion Show” fu tenuto dal 18 al 22 gennaio 1952, ancora al Grand Hotel, e vide la definitiva consacrazione della presenza maschile nella moda italiana; nonché il trionfo della maison Brioni, (trionfo che fu anche replicato lo stesso anno in Olanda a Schveningen nell’ambito del Congresso Mondiale dei Sartori). Il quarto appuntamento si tenne nella Sala Bianca di Palazzo Pitti in Firenze il 22 luglio del 1952, evento epocale rievocato quarant’anni dopo nel 1992 da una specifica mostra dal 25 giugno al 25 settembre in Palazzo Strozzi a Firenze e dal libro “La Sala Bianca. Nascita della Moda Italiana” di Guido Vergani (Electa, 1992). Nel catalogo della suddetta mostra è contenuta un’ampia rievocazione della storia delle sfilate nella Sala Bianca a firma di Roberta Orsi Landini, di cui riporto uno stralcio iniziale. “Quando, il 22 luglio 1952, le porte della Sala Bianca di Palazzo Pitti si spalancarono per la prima volta per accogliere compratori e giornalisti venuti ad assistere alle sfilate fiorentine, la moda italiana non era al suo battesimo ufficiale, ma alla sua quarta edizione. In soli due anni aveva già acquisito, agli occhi degli osservatori internazionali, una sola fisionomia e caratteristiche peculiari che la rendevano un prodotto, anzi un insieme di prodotti, quanto mai interessante. La data rimane comunque storica, perché da allora il luogo di presentazione e le collezioni presentate furono strettamente legati: ancora oggi il nome della Sala Bianca rimane sinonimo dello stile italiano. In questa intuizione geniale fu la chiave del successo: se la moda era soltanto immagine, era fondamentale che questa immagine si costruisse e si proponesse in una forma coerente con i valori che essa doveva rappresentare. Dal cuore di Firenze, dalla Sala Bianca, la creatività, l'originalità, la raffinatezza dei nostri modelli, ribadita e rispecchiata nell'organizzazione delle manifestazioni, si divulgarono nel mondo aprendo la strada a un fenomeno dalle proporzioni e dalle conseguenze economiche ben più vaste e importanti: la creazione di un'aura di prestigio che dalla moda si propag& a tutti i prodotti made in Italy, rendendoli noti e desiderati nel mondo. Fu un privato, Giovanni Battista Giorgini, a dare avvio a questa incredibile avventura, riuscendo, con sorprendente capacità e audacia, a organizzare, nel febbraio 1951, una presentazione di moda del tutto originale a pochi compratori americani, suoi clienti, cui proponeva allora tutt'altro genere di prodotti. Non era certo quella la prima volta che le creazioni dei nostri sarti venivano esibite su passerelle più o meno ufficiali; ma fu la prima volta, in assoluto, che una sfilata di modelli, che si proponevano come squisitamente italiani, veniva allestita esclusivamente per compratori stranieri e giornalisti: pochi ma importantissimi personaggi, il cui giudizio era una sentenza di vita o di morte. Il loro assenso entusiastico spalancò subito le porte di un successo che venne crescendo di anno in anno sotto la guida e la direzione di Giorgini”. Nota: uno stralcio ancora più ampio di questo lavoro è reperibile all’indirizzo Web: (http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/s/sala_bianca.php). Altrettanto interessante è il seguente articolo a firma di Maria Latella dal Corriere della Sera del 24 giugno 1992: "Nel silenzio di attesa che si respira soltanto nei tribunali, nei conventi delle monache, nelle aule d'esame e nelle sfilate di moda, la mannequin salì sulla pedana, incespicando nella gonna troppo stretta e con gli occhi completamente nascosti da una cloche calata fin oltre le tempie. La ragazza era vestita da inverno e il termometro segnava quaranta gradi". Quarantadue, se non si stava all' ombra. E' il 22 luglio, martedì , anno 1952. Il settimanale "Epoca" ha mandato a Firenze una giovane cronista di straordinaria bravura. Si chiama Oriana Fallaci e ha il compito di raccontare le sfilate di moda che, per la prima volta, invadono la Sala Bianca di Palazzo Pitti con il loro corredo di sarti nervosi e indossatrici ingenue, nobildonne raffinate e giornaliste aggressive, compratori americani e giovanotti nati bene ma non tanto da poter considerare risolto il problema dell'occupazione. L' aristocratico, emozionato come quei padri che passeggiano inquieti nei corridoi delle maternità , un signore "senza il quale . dice Roberto Capucci . forse non esisterebbe la moda italiana". Si chiama Giovanni Battista Giorgini, è un ragazzo del '99 che conta, tra i suoi avi, trisavoli sepolti in Santacroce per meriti cittadini e un prozio senatore, genero di Alessandro Manzoni. Viene da Forte dei Marmi, è un aristocratico ma deve guadagnarsi da vivere. Ci riesce piuttosto bene, perché è eccezionalmente sveglio. Così lo descrive il giornalista Giancarlo Fusco, citato da Guido Vergani nel libro "La Sala Bianca", edizioni Electa: "Sotto i capelli bianchi, un po' radi alla nuca, il profilo rammenta certi cavalieri che s' incontrano nei quadri degli antichi maestri toscani, con un falco sul braccio". Giorgini è approdato alla moda dopo aver fatto, per vent' anni, uno strano lavoro: scovare gli oggetti più belli, visitare le botteghe artigiane, scoprire le piccole cose che possono piacere agli americani ricchi, sofisticati. La sfilata nella Sala Bianca, in quel torrido pomeriggio del luglio 1952, rappresenta l' approdo dopo la tempesta, la svolta dopo gli anni difficili del dopoguerra. Come ci è arrivato lo racconta il conte Savorelli, che per Pitti ha curato le pubbliche relazioni tra il 1965 e il 1972. "Giorgini sapeva conquistare gli americani. Aveva cominciato a intrattenere rapporti con loro da ragazzino, negli Anni Venti. Così , dopo la guerra, provò a ricominciare con la sua vecchia attività , il cercatore di belle cose. Ma, al di là dell' Oceano, qualcosa era cambiato. Tutti molto tiepidi nei confronti dei suoi bellissimi vetri, delle tovaglie ricamate, delle ceramiche suggestive. "Caro Giorgini, deve capire . gli spiegarono ., qui, negli Stati Uniti il marchio "made in Italy" ormai significa cattiva qualità , cattivo gusto". Nell'immaginario collettivo nordamericano l'Italia era "Ladri di biciclette", era "Sciuscià ": Giorgini decise che, attraverso la moda, la foto del Belpaese povero e sconfitto poteva cambiare, sarebbe cambiata. Era il 1951 e lui non si era mai occupato di abiti o di sfilate. Però , conosceva tutte le belle case fiorentine, era amato dalle padrone di casa e considerato un amico da almeno cinque influenti compratori americani. Telefonò agli americani: "Andate alle sfilate di Parigi? Dopo, fate un salto da me, a Firenze. Sarete miei ospiti". I cinque Secondo Savorelli, i cinque che gli dissero "sì" lo fecero più per non offenderlo che perché davvero interessati alla moda italiana. Ma Giorgini, forte di quei cinque consensi, mise in piedi in tre mesi le sfilate fiorentine: dieci sarti, diciotto modelli ciascuno, vestiti molto colorati, molto portabili, poco costosi. Il contrario, insomma, di quel che si faceva, e si vedeva, a Parigi. Ma era alla donna americana, alla pratica signora di New York e di Philadelphia, che Giorgini pensava. La prima volta a Firenze, si è detto, i compratori erano cinque. Sei mesi dopo erano già saliti, di colpo, a trecento. Poi venne la Sala Bianca, il torrido martedì del luglio 1952, il successo, frutto, come osserva ancora Savorelli, di quell' inizio segnato da "incoscienza, millantato credito e talento". Giovanni Battista Giorgini, diventato presidente del Centro Moda, continuò a organizzare le sfilate fiorentine secondo il suo stile, quello che qualcuno definisce "un servizio personalizzato": attenzione per ciascun compratore, per ogni giornalista. E feste, tante feste nelle più belle case fiorentine, tanto che Bettina Ballard, allora direttrice di "Vogue", osservava che all' appuntamento di Firenze non si poteva mancare: per gli abiti, certo, ma soprattutto per la cornice e per Giorgini. Ricorda Maria Pezzi, la giornalista che Firenze premia proprio in questi giorni: "C'era un'atmosfera che a Parigi non esisteva neppure nell'alta moda". I protagonisti? Romani come la principessa Irene Galitzine, Giovanna Caracciolo che si firmava Carosa, Simonetta Visconti. Poi, alla fine degli anni Sessanta, arrivò Krizia, arrivarono i Missoni. Come accade di frequente agli innovatori, le fortune di Pitti non procedettero parallelamente a quelle dell' uomo che quella manifestazione aveva inventato. Nel 1965, stanco, deluso dall' abbandono della scena fiorentina di alcuni dei sarti da lui più considerati, il gentleman della Sala Bianca se ne andò. Lo sostituì Emilio Pucci. Pitti e la moda di Firenze continuarono anche senza Giorgini, ma Giorgini non continuò senza Pitti. Morì qualche anno dopo, certo consapevole di aver proiettato, in una dimensione fino ad allora sconosciuta all' Italia, giovani di talento assoluto come Valentino, come Roberto Capucci. Valentino gustò il suo primo trionfo nell' estate del 1962. Era semisconosciuto, lo avevano costretto a sfilare per ultimo, in un pomeriggio di nuovo terribilmente torrido. Di quella collezione non rimase una gonna, non un vestitino. E Valentino Garavani diventò, per sempre, Valentino. Beppe Modenese che è un po' il Cuccia degli stilisti milanesi, l'uomo che, negli anni Settanta, ha aiutato i Ferrè , gli Armani, i Versace, l'innovatrice Krizia a diventare un insieme compatto, il Made in Italy, dice che la differenza, tra gli anni di Giorgini a Firenze e l'atmosfera della moda a Milano, sta, tutta, in un periodo breve: "Oggi, per fare qualcosa, si ricorre alla politica. Allora, a Giovan Battista Giorgini bastavano le contesse, le marchese". Cordialmente Giampaolo Marseglia ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 16-02-2010 Cod. di rif: 4269 E-mail: luigi_lucchetti@ragroma.it Oggetto: Azione, meditazione, affabulazione. Meglio l'Azione Commenti: Io non intingo le mie parole nella menzogna; l'azione è la verifica di ogni uomo. Dove l'ho letto? Ah… nella pagina del Taccuino di questa medesima porta. Quindi l'azione è la verifica di ogni uomo ed a maggior ragione del Cavaliere. Non parlerò del tempo, né di quello filosofico né, tantomeno, di quello meteorologico. Parlerò di azione. Ripenso alla serata organizzata dalla Prefettura di Roma al Cotton Club. Otto tra Cavalieri e simpatizzanti in campo. Sette uomini in smoking ed uno in blu, perfetto per la serata anche se non in black tie. Tutti con le rispettive dame, perfettamente in tono col locale e con l'abbigliamento dei loro uomini. Un Cavaliere proveniente da Terni, per l'occasione. A lui ed alla sua signora il nostro plauso per aver condiviso un momento dell'ideale cavalleresco sobbarcandosi il sacrificio di un viaggio in tarda sera per il ritorno a casa. Cavalieri e Dame, presentatisi in un locale in sedici, lo hanno immediatamente caratterizzato, elevando il tono complessivo con la loro sola presenza. Si avverte nell'aria, da parte degli altri spettatori, dei camerieri, dei gestori del locale e dei musicisti, una sorta di rispetto per questa presenza organizzata, elegante. Si chiederanno chi sono questi signori, da dove vengono, di cosa sono portatori, quali segreti essi nascondono? E' l'ennesima prova che i Cavalieri, se escono dai loro convivi esclusivi, sono capaci di attrarre non solo curiosità, ma interesse e rispetto. E' una prova concreta di attualità e di vitalità dell'agire cavalleresco. In un momento di declino morale e comportamentale come l'attuale, chissà che un linguaggio, considerato morto, non costituisca invece un punto di riferimento? Cavallereschi, meditabondi, saluti. Luigi Lucchetti PS: auguri al Cavalier Masci per le sue novità che, dopo averle annunciate e suscitato la curiosità, a questo punto è tenuto a render note. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-02-2010 Cod. di rif: 4272 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Metodo Commenti: Amati Frequentatori, che siete molti per numero e molteplici per natura, che siete la pietra di cui è composto il castello, le Mura senza le quali nessuna Porta potrebbe esistere: De Paz, Pugliatti, Lucchetti, Masci, D’Agostino, Villa, Tarulli, Grandi, Caprari, Nocera, Marseglia, Bellucco e tanti altri, egregi Cavalieri, illustri Visitatori, fugaci navigatori di una sera e tenaci marinai che ogni sera visitate questo porto in silenzio, comunque Uomini, la più difficile e la più interessante delle materie di studio e di costruzione, il più vario dei paesaggi, il confine tra microcosmo e macrocosmo, saggi giudici e dissennati colpevoli, serbatoio di contraddizioni e quindi di vita, mi rivolgo a Voi nel complesso ed a ciascuno individualmente per ricordare che il progetto di questa cattedrale del mondo maschile classico è così complicato nel disegno e lungo nell’esecuzione che durante l’edificazione si possono verificare dei crolli, dei ripensamenti, degli errori sia dell’architetto che degli operai, senza che questo abbia alla lunga una vera influenza sul risultato finale, così come un incidente che certamente sarà avvenuto durante le fabbriche delle Notres Dames di Chartres o Parigi avrà destato allarmi sul momento, non compromettendo sulla distanza l’impatto dei monumenti ed anzi arricchendoli di dettagli, di storia, di personalità e mistero, così come credo che stia accadendo in questi giorni in cui io per primo e – come vedo – alcuni altri, si sono preoccupati per la direzione verso la quale i lavori sembravano indirizzarsi, il che però non rappresenta un atteggiamento definitivo quanto un fenomeno passeggero, in qualche modo prevedibile ed in qualche modo meno evidente addirittura positivo, tanto che posso assicurare tutti voi che, per la parte in cui non sarà dimenticato, questo gelo calato dai Gessi n. 4254 e 4259 svanirà e forse favorirà nuove e calde e luminose stagioni di scoperte, per godere delle quali occorre innanzitutto condividere il metodo ed è proprio qui il punto che voglio affrontare, facendolo così, senza punti, non dividendo il mio intervento in omaggio ad una visione del mondo e del gusto in cui le cose si vedono organicamente, tutto mettendo in gioco per tutto vincere, sicché non sperate che io fermi in qualche punto il discorso, privato per principio di ogni soluzione di continuità non per dimostrare abilità retorica, bensì per mostrare quanto laboriosa sia per chi scrive e chi legge un’espressione unica che non possa essere soggetta ad estrapolazione e manipolazione ed anche per prendere in giro quello strutturalismo divisionista che intende ogni cosa, ogni istanza ed ogni prodotto anche artistico, come suddivisibile, per poi utilizzare in alcuni casi un sistema di scrittura che sfiora e cade negli anacoluti come quello di uno dei pensatori che se ne fecero portatori e parlo in particolare di Lacan, anche se i Gessi cui ho fatto riferimento prendono spunto più direttamente dall’opera di Bartes, ma non va trascurato che la loro filosofia deve parte della strumentazione al linguista De Saussure, primo ad introdurre quelle definizioni di “Language”, “Langue” e “Parole” che la premessa dei contributi citati utilizza a proposito del linguaggio del vestire per dirci che all’approccio sinora tenuto mancherebbe qualcosa che, proprio perché nessuno ha mai avvertito come un bisogno, appare invece una superfetazione faticosa e antiestetica, una precisione divenuta fine e non mezzo che non fa parte del nostro metodo, così come non ne fa parte e non è ammissibile l’attribuzione di un pensiero ad altri con lo strumento della citazione, perché il Cavaliere o domanda, in tal caso ponendosi come apprendista rispetto ad un tema, o cerca, lavorando come operaio tra gli operai e studioso tra gli studiosi alla ricerca dei significati e delle fonti, o ancora afferma, in quest’ultimo caso ponendosi come un Maestro che come tale guarda direttamente la Verità e la enuncia senza bisogno di scavalcare o chiamare in causa terzi, inchiodando altri a dichiarazioni (o interpretazioni di dichiarazioni) come si spilla una farfalla su un foglio, tutto ciò nella consapevolezza che l’interesse per dettagli come date o episodi va assecondato come luce che aiuta lo scavo, non diventare uno scavo autonomo che prevalga sull’individuazione delle correnti profonde della Storia, respiro ciclico dove ciò che avviene è sempre riconducibile ad un momento passato e collegabile ad un avvenimento futuro, pur sempre rivelando a chi cerchi con giustizia e sincerità l’esistenza di sottili linee di forza, cicli in cui le culture nascono, crescono, diventano dominanti e poi perdono il potere, cosa che è avvenuta a quella stupefacente civiltà che cerchiamo di comprendere nella sua immensa ed ancora incompresa eredità, in cui ci riconosciamo come Cavalieri e in cui Vi riconoscete molti di voi Simpatizzanti e ospiti del castello, che soprattutto amiamo di un amore che è un modo di essere, in nome del quale Vi esorto ad avere fiducia in ciò che Voi stessi avete creato, rifiutando le teorie strutturaliste non perché errate, sebbene nella misura in cui conducono verso posti che non ci interessano, specialmente verso la misurazione di quantità spacciate per qualità, alla stregua di quanto avviene nella critica enologica, gastronomica ed artistica di questi ultimi decenni inquinati dal materialismo e dal politically correct, presupposti che impediscono qualsiasi definitiva conquista in quanto il primo non giustifica nessuna delle scelte più importanti, né spiega alcuna delle cose eterne del cosmo e della vita, mentre il secondo si basa su sdolcinati compromessi e falsi equilibri precostituiti su un tavolino fisso e pronti pertanto a svanire appena l’oggetto di tanta inutile cura si metta in movimento o dia segni di autonomia, anche se tutto ciò va detto meglio, nei tempi giusti e nelle sedi opportune, tanto che in primo luogo convocherò a breve una nuova sessione di DRESS CODE che accerti se e quando e dove e come e perché ci sia stato un prima e dopo il Classico e cosa questo significhi, in secondo luogo appare opportuno discutere di persona – durante i Laboratori cavallereschi – e per iscritto – qui al castello – le questioni di metodo che sono, in fin dei conti, questioni di identità, in nome ed a salvaguardia della quale cavallerescamente Vi saluta il Gran Maestro del Cavalleresco Ordine dei Guardiani delle Nove Porte. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 19-02-2010 Cod. di rif: 4274 E-mail: studiol.lucchetti@antispamlibero.it Oggetto: Tecnologia e nuovi tessuti Commenti: Leggo con piacere su Il Sole 24 Ore di ieri, a pagina 26, che alla fiera Milano Unica il cotonificio Albini (camicie) ha messo a punto una nuova tecnologia per la lavorazione dei migliori cotoni al mondo, che fa somigliare il cotone egiziano delal qualità "Giza 45" alla seta ed al cashmere. Leggo inoltre che il lanifico Togna fa il percorso inverso ed ha messo a punto un finissaggio che fa sembrare la lana secca come il cotone (un prodotto chiamato "conditio"). Infine il lanificio Zegna ha brevettato un altro tessuto denominato "cool effect" che consente anche alle stoffe di colore scuro di rifrangere la luce del sole abbattendo il calore percepito dalla pelle anche di parecchi gradi. Peccato non esserci stati. Sento il desiderio, credo da molti condiviso, di un nuovo tour cavalleresco sul campo, alla scoperta delle novità della produzione tessile. Lancio l'idea al GM ed ai prefetti per la sua eventuale organizzazione. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2010 Cod. di rif: 4275 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Catacombe - Risp. G.. 4269 Commenti: Illustre Cavaliere Lucchetti, quanto alle sortite dei Cavalieri in locali non esclusivamente riservati, è ovvio che l'esuberanza cavalleresca venga notata e, secondo i casi, riconosciuta positiva o motteggiata. Poiché lo richiede la Carta dei Principi, basta aver dato un solo buon esempio per aver adempiuto al più alto dovere del Cavaliere. Compatibilmente col nostro calendario, già piuttosto impegnativo, cercheremo di dare un certo impulso ad attività che ci portino a contatto con il popolo. Il problema è che non si può esagerare, perché il popolo accetta con rassegnazione - se non con gioia - la schiavitù e l'approssimazione che noi invece combattiamo. La clausura in posti che escludono la presenza di un pubblico di passaggio non deriva solo dalla riservatezza e dalla necessità di esprimersi tra persone del proprio stampo, ma in gran misura anche dall'impossibilità di trarre il pieno, il giusto, il meritato piacere, da qualsiasi convivio in cui la distensione secondo lo spirito maschile sia compromessa (tanto per citare le disgrazie più comuni) da musica incongrua, o dal divieto di ingresso ai Fumatori. Quelli con la maiuscola, infatti, non vanno certo a farla fuori come i cani e quindi il divieto va considerato rivolto alle persone, non all'attività del fumare. Come ben sa, noi continuiamo a riunirci fumando a tutte le latitudini e longitudini, costume e vanto che non vanno perduti. A costo di fare qualche sacrificio, il Suo suggerimento verrà comunque seriamente preso in considerazione ed anzi alimenta progetti antichi e dormienti, che forse avevano bisogno del tempo giusto per essere tirati fuori. Soprattutto dal punto di vista dell'Abbigliamento, che è l'unico tema da trattare in questa Lavagna, i Cavalieri potrebbero dare un po' di fiducia a chi si sente isolato dal proprio stesso gusto e magari vi rinuncia, perchè non corrispondente a quello popolare. In conclusione, stare nelle catacombe, vedersi come carbonari, essere considerati cospiratori, strambi, deficienti o snob, è il destino di chiunque remi controcorrente e bisogna accettarlo. E' però altrettanto vero che la catacomba rischia di diventare un sepolcro, o un vezzo, o un vizio, in tutti i casi un limite che appena possibile va rimosso. Vigileremo. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-02-2010 Cod. di rif: 4276 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Aggiornamenti tessili - Risp. Gesso n. 4274 Commenti: Illustre Cavaliere Lucchetti, da tempo è in incubazione un'area di questa stessa Porta da dedicarsi ai tessuti. Era stata annunciata per due anni fa, ma il Cancelliere che vi lavorava lasciò il materiale - raccolto in molti mesi - incompleto e poco ordinato, insomma inutilizzabile senza una nuova e faticosa ricatalogazione. La cosa s'ha da fare, ma non voglio dare una data, perché in questo momento al castello già si lavora segretamente e massicciamente per il consolidamento e completamento delle strutture. Si vedranno presto gli effetti. Quando l'area sui tessuti sarà attiva, conterrà anche una sezione sui campionari e materiali più interessanti offerti dal mercato stagione per stagione. A quel punto sarà necessario visitare almeno un paio di volte l'anno, per l'autunno-inverno e la primavera-estate, le principali fiere del settore, Milano Unica e Premiere Vision a Parigi. Una nostra delegazione presidierà questi appuntamenti e chi ne vorrà far parte sarà il benvenuto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 26-02-2010 Cod. di rif: 4286 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Commenti: Nelle sale del Castello si è sparso in questi giorni un insolito silenzio. Aggirarsi fra le stanze immerse nel silenzio mette di solito a disagio chi di una dimora è solo ospite, per quanto - sin qui - sempre ben accolto e con franca cortesia. Non così al Castello. Qui il silenzio invita a ripercorrere le sale e a contemplare i vasti depositi di saggezza (e anche le piccole, meravigliose Wunderkammer che una mano sapiente ha disposto qua e là per ingentilire, senza indebolirlo, il disegno del Castello). Non è poco tutto questo. E forse il temporaneo sopirsi degli animati conversari aiuta anche a ricordarsene. Un saluto ai Cavalieri. Una parola di sincero apprezzamento al Gran Maestro, architetto ed artefice di queste venerate mura, ed al valoroso Rettore, fiero difensore dell'autentico spirito di questo luogo. Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-02-2010 Cod. di rif: 4287 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pause in superficie, lavoro in profondità - Risp. Gesso 4286 Commenti: Egregio signor Spadaro, il progetto del castello è di una tale complessità, sia materiale che concettuale, che la società cui lo presentai per valutarne costi e realizzabilità, sebbene avessi schematizzato tutto al massimo, mi prese per pazzo. Aveva certamente ragione, perché solo i pazzi sono così cocciuti. Nessuno riuscì a farmi desistere o distrarre da un'avventura che rischiava di assorbire tanta parte delle risorse dell'Ordine da comprometterne l'equilibrio. Vastità e complessità erano comunque indispensabili all'impresa. Un castello non è tale, se appare subito interamente e facilmente visitabile, ordinato e disponibile come un supermercato. Il disegno originario venne messo a punto nel 2001. La struttura doveva essere già funzionante nel 2002 e poi completata in altri nove anni di lavoro, termine che a me appariva limitatissimo ed all'informatico assurdamente lungo. E qui si sbagliava. Innanzituto il nove è il numero dell'Ordine e, palesemente o meno, molto di ciò che fa ha una rotazione o rivoluzione basata su questo ciclo. Certe atmosfere, che sono costitutive di questo luogo quanto la parte tangibile, non si ottengono senza attese, abitudini, stili, vezzi, tic, accelerazioni e rallentamenti, frequentazioni, nomi consueti, sentimenti stabili, scoperte, oblii, ritrovamenti, fiducia, errori e centri, ombre e luci, notti e giorni. Molte notti, molti giorni. La principale differenza tra l'estetica contemporanea e quella classica e pre-classica è proprio l'atteggiamento nei confronti del tempo, considerato oggi uno spreco da ridurre, piuttosto che un indispensabile materiale da costruzione. Questa versione del castello venne aperta al pubblico il 22.03.02, data le cui cifre danno come somma il nove. Pochi ricorderanno che sin dal 1997 esisteva un castello simile, ma non interattivo, all'indirizzo noveporte.com. Di esso restano gli Instrumenta dell'Abbigliamento e della Gola, praticamente immutati. Ebbene, non manca molto al 2011, termine di scadenza dei primi nove anni. Esaurita questa gestazione, il castello non potrà essere più modificato nelle strutture esterne e portanti, ma solo subire interventi interni. Pensiamo alle grandi cattedrali. All'interno la fabbrica è sempre attiva. Si creano altari, cappelle, sagrestie. Si aggiorna il sistema all'uso quotidiano spostando, aggiungendo, restaurando, dipingendo, ma giammai si tocca anche un solo lapillo della facciata o della muratura. La cattedrale, come il castello, è nella sua sagoma, che la rende unica e riconoscibile. Se ha notato un certo rallentamento in quest'area ed in altre, è perché la fabbrica è silenziosamente concentrata in altri impegni. Tanto per averne un'idea, vada alla sezione delle Novità, quella il cui tasto di accesso si trova sul Guardiano di Nord Ovest. Clicchi lì dove dice Visitatori e vedrà in anteprima l'assetto che la corte ed il cielo del castello stanno per assumere. Lievi, significativi cambiamenti e nuove aree pronte ad aprire. Visiti bene gli Eventi e vedrà nuovi Atti ed Immagini, un lavoro non da poco. Da Custos avrà già notato le nuove Conversazioni e la grafica potenziata. Nella Porta dell'Arte sta per partire anche una sezione tenatica sul Cinema Classico. Nel frattempo, queste pause nei settori dedicati al vestire servono a riequilibrare le Porte e a dar modo ai Visitatori di dedicarsi alla ricerca, alla visita, alla memoria. Sembra che Lei abbia compreso bene il senso del silenzio, il cui linguaggio è riservato ai buoni ascoltatori. Grazie e cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-03-2010 Cod. di rif: 4291 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sesto Incontro di DRESS CODE - Bologna, 25.09.10 Commenti: Illustri Cavalieri, Egregi Visitatori, è indetto un nuovo appuntamento di DRESS CODE SESTO INCONTRO Sabato 25 Settembre 2010 Ore 10.00 – 13.00 presso l'old shop di Dante De Paz Bologna - Via Ugo Bassi n. 4/D LA MORTE DEL CLASSICO Il Classico è morto. Lo abbiamo constatato il 9 Febbraio 2008, nel corso del II incontro di DRESS CODE, qualche lustro in anticipo sui tempi che occorreranno per prenderne coscienza fuori dal castello e dall'Ordine. Il Classico è morto, non sepolto. Quindi niente funerali, grazie. Morire non è finire, anzi è l'unico modo per accedere all'eternità. Durante il suo dominio, il linguaggio estetico del Classico attinse alla grazia, alla profondità, alla forza, alla bellezza. Ebbe momenti di felicità espressiva così splendidi che resteranno comprensibili a lungo, diciamo per un sempre tutto umano. Se dunque è ancora così amato e parlato, perché dichiararlo morto? Cosa significa? Quando si è ammalato? Si poteva fare qualcosa per salvarlo? Si può fare qualcosa per resuscitarlo? Cosa è accaduto dopo la morte? Chi e cosa ha preso il suo posto? Che fine ha fatto il suo tesoro? A queste e ad altre domande risponderà il Gran Maestro del Cavalleresco Ordine, in una perorazione che rappresenterà la summa di tutta questa sezione del DRESS CODE dedicata alla rievocazione storica del periodo Classico. La parola passerà poi al rettore della Porta dell'Abbigliamento Dante De Paz e successivamente a coloro, tra gli intervenuti, che vorranno contribuire alla discussione o porre dei quesiti. Si raccomanda la puntualità, perché gli argomenti sono di tale vastità ed interesse che è presumibile che la riunione vada avanti per alcune ore. Al termine, pranzo della Porta dell'Abbigliamento dedicato al Classico. I dettagli di tale convivio saranno precisati in seguito. I Cavalieri sono attesi tutti e d'ufficio. I Simpatizzanti e tutti gli appassionati e studiosi della materia saranno nostri graditi ospiti. Per intervenire bisogna però accreditarsi, utilizzando il modello “Partecipazione” disponibile alla pagina: http://www.noveporte.it/eventi/dresscode_part.htm Cavallerescamente La Cancelleria dell'Ordine ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-03-2010 Cod. di rif: 4293 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Maboratori cavallereschi - Rsp. gesso n. 4292 Commenti: Egregio signor Fontana, il 18 Giugno si dovrebbe fondare una nuova Prefettura cavalleresca nelle Marche ed in quella occasione pensiamo di condurre un paio di giorni di incontri. La seconda giornata, il sabato 19 Giugno, sarà dedicata alla visita di cappellai nella zona di Montappone, dove speriamo di presentare una gamma realizzata con paglie ormai desuete e meravigliose, in fogge inusuali provenienti dal grande Classico. Verrà informato del programma tramite i canali consueti. Ai guanti già dedicammo un Laboratorio una decina d'anni fa ed un altro è in elaborazione per i primi mesi del 2011, a Napoli. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 04-03-2010 Cod. di rif: 4296 E-mail: luigi_lucchetti@ragroma.it Oggetto: Brevetto Flex Goodyear della FABI Commenti: Frequentatori tutti del Castello, ho letto solo comunicati commerciali sul brevetto in oggetto. Se tra voi vi fosse qualcuno che ne sapesse di più dal lato tecnico, gli sarei grato se volesse colmare questa mia lacuna. Trascrivo una sintesi di quanto reperito in rete, per introdurvi opportunamente al tema. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti La scarpa inglese - spiega la portavoce del Gruppo Alessia Fabi - è stata sempre considerata al top di gamma, oltre che per i materiali usati, per la robustezza e indeformabilità derivante dalla sua lavorazione tradizionale. Fabi è riuscito a innovare il processo, brevettando un sistema che riesce a coniugare alle caratteristiche di lavorazione inglesi la classica lavorazione italiana a sacchetto, il che rende la stessa scarpa morbida e flessibile come un guanto”. Per mettere a punto la tecnica Flex Goodyear è stato necessario un investimento di 1 milione di euro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-03-2010 Cod. di rif: 4300 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Varie sullo smoking - Risp. Gesso n. 4299 Commenti: Egregio signor Pagliaro, 1) Non sopravvaluti la dizione di Wikipedia, istituzione meritevole eppure non autorevole in una materia così specialistica e complessa come l'abbigliamento classico. Per la verità la parola "ribattitura" sembra fatta apposta per generare equivoci, in quanto è forse quella che in italiano conta il più alto numero di significati. Molti infatti sono i mestieri, antichi e moderni, che la utilizzano per definire una loro fase di lavorazione. Così ribattere è cosa diversa per lo scrittore, il sarto, la camiciaia, il carrozziere, etc. In camiceria sono ribattiture le cuciture che fermano i rimessi, come quelli interni al giro manica. In sartoria sono invece le cuciture a mano con cui si congiungono due lembi, sovrapponendo l'uno all'altro. Il colletto alla diplomatica non ha tecnicamente alcuna ribattitura e non deve stupirsi se la Sua domanda ha lasciato interdetti gli interlocutori cui si è rivolto. Probabilmente il wikipedofilo (amico di wikipedia) che ha steso la definizione in questione voleva dire che il colletto non è ripiegato verso il basso, ma lasciato correre verso l’alto, dove solo le punte si ripiegano verso l’esterno. La frase cui ci riferiamo è contenuta all’interno della voce “FRAC” e, per chi ci legge, è la seguente: “CAMICIA - È bianca e solitamente con lo sparato rigidamente inamidato e il colletto diplomatico, ovvero ribattuto in alto con le punte piegate verso l'esterno. I polsini sono semplici (ma sono tollerati i doppi purché non troppo ingombranti) e fermati da gemelli”. Sembra che quel “ribattuto” stia qui più che altro per “stirato” o “piegato”. Lo legga comunque in questo modo e la nebbia si diraderà. Usi poi il sistema di ricerca del Taccuino di questa Porta con le voci di Titolo e di Descrizione: “solino”, “collo”, “colletto”, false-collar”, “staccabile”. Troverà molto materiale e veri e propri studi in materia. Si renderà conto che il colletto non rivoltato deve essere rigido e autonomo, cioè staccabile per essere apparecchiato indipendentemente dal resto della camicia. Se fa parte integrante di essa, il colletto alto alla diplomatica resta troppo cedevole e non acquisisce alcun pregio estetico. La cravatta ne corrugherà inevitabilmente la superficie dandogli l’aspetto di un tubo ammaccato. Ciò complica di molto le cose e rende accessibile questo dettaglio solo ad un numero ristretto di appassionati e/o addetti ai lavori. Le auguro di potere essere tra essi, perché un uomo così fermamente cinto, un bianco così puro ed effimero da rivaleggiare con fiori e farfalle, rappresenta un bel vedere ed un conforto spirituale per tutti. 2) Le bretelle da smoking più corrette sono quelle bianche di moiré, cioè con la superficie percorsa da venature simili a quelle del legno. Come sempre, dietro le affermazioni che trova al castello c’è un motivo e non una citazione di apocrife leggi. Secondo la tradizione maschile le bretelle non sono mostrabili dal gentiluomo se non in casa propria ed in condizioni di intimità. Quello che in italiano si chiama smoking è un completo da sera la cui giacca è in genere attillata e molto aperta sul davanti., sicché il pericolo di un’eccessiva esposizione delle bretelle è elevato. Poiché spesso lo smoking manca del gilet, per conservare la drammaticità simbolica del contrasto bianco/nero non si può usare altro colore che questi due modi di evitarlo. Meglio il bianco, in base al principio della discrezione. Per completare il mimetismo, anche gli attacchi saranno bianchi e schiacciati. Dunque in tessile e non in pelle, che è materiale più informale e anche leggermente più ingombrante, caratteristica nociva in una tenuta dove il millimetro conta. Nel caso delle bretelle di foggia inglese, gli attacchi sono quelli allungati in catgut, a sezione circolare. Naturalmente il catgut non esiste più e – a meno di trovarne di vintage – quelle moderne hanno gli attacchi in vitello lavorato n modo da somigliargli. Belle comunque anche le bretelle nere, che danno un tocco old-america nientaffatto sgradevole. 3) La camicia da smoking si giova delle plissettature in quanto, pur complicandone l’aspetto, ne irrigidiscono la zona esposta senza bisogno di ricorrere a complesse inamidature, per le quali manca oggi il personale qualificato. La pettorina, o per meglio dire lo sparato tipo frac chiuso da un paio di studs, sarebbe senz’altro la soluzione più corretta, in quanto unisce compostezza, semplicità e cura. Inoltre denuncia con orgoglio la discendenza dello smoking dal tail-coat, in cui una camicia floscia è una disgrazia che immediatamente qualifica chi vi cada come impiegato al servizio e non come invitato. In ogni caso, ma specialmente senza il gilet, che è la cornice giusta dello sparato, una bella camicia semplice e ben realizzata non sfigurerà affatto. Da evitare il cannolo centrale. 4) La scelta tra petto singolo o doppio è in dipendenza del gusto e della corporatura personale, ma anche degli scopi estetici. La sezione “sera” di un guardaroba non si risolve acquistando uno smoking. Le sfumature di carattere e tono che la sera può assumere richiederebbero almeno due completi e meglio tre o quattro in materiali, pesi, modelli, addirittura colori diversi, sebbene tutti coniugabili con la cravatta nera. Il più versatile di tutti è il monopetto a lancia in barathea nera. In linea generale il doppiopetto non esclude il gilet, ma nell’abito da sera questa combinazione non funziona in quanto va ad accollare troppo una mise che vuole invece essere scollata. La presenza della fascia non dipende dalla tipologia della giacca. Se piace, va anche sotto al doppiopetto. Oggi si tende ad evitarla e non mi sembra che si faccia troppo rimpiangere. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-03-2010 Cod. di rif: 4303 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Baveri e colli nello smoking - Risp. Gesso n. 4301 Commenti: Egregio signor Pagliaro, - quanto all’abbinamento tra collo della camicia e bavero della giacca, non è del tutto priva di pregio l’osservazione che rileva una maggiore compatibilità del collo alla diplomatica coi baveri a lancia rispetto a quelli a scialle. L’origine di questo fenomeno è ancora una volta nel frac, archetipo dell’abito da sera classico, che porta il collo alto sotto baveri sempre e solo a lancia. Non è comunque una legge ed anzi, a questo proposito, vorrei dissuaderLa dal proposito di cercare qui le tante leggi che trova altrove. Al castello ci interessiamo dei princìpi, non delle norme, perché la conservazione, l’interpretazione e l’uso corretto della classicità non passano attraverso l’applicazione di dogmatici enunciati – che come avrà visto molte volte si elidono uno con l’altro – bensì attraverso la comprensione del sentimento e della storia, delle origini e della tradizione dei singoli capi, degli stili, del gusto. Qui non diamo consigli per vestire bene, attività svolta benissimo da donne o affini, piuttosto risaliamo il fiume dell’immaginazione maschile come salmoni richiamati da una voce ancestrale. - non sarà facile avere da una camiciaia italiana una buona camicia su cui montare il collo staccabile. E’ anzi impossibile, se non si ha il collo da montare. Infatti deve esserci perfetta corrispondenza tra le asole della camicia e del colletto, per evitare lentezze o tensioni. Si procuri dunque qualche solino della taglia, foggia ed altezza che Le confà e solo dopo vada a farci realizzare una camicia che vi si adatti perfettamente. Se non segue questa procedura, ovvero acquista il “kit” camicia-collo tutto insieme, andrà incontro ancor più facilmente a delusioni e spese inutili. Naturalmente, il problema del solino non è trovarlo, ma mantenerlo. Una leggenda non priva di fondamento vuole che i gentiluomini napoletani spedissero le loro camicie a Londra. Credo che ciò avvenisse veramente e fosse dovuto al fatto che in tutto il Regno (quando si portavano questi colli, l’Italia non c’era ancora una Repubblica) non si trovassero stiratrici in grado di inamidare e stirare il colletto rigido dandogli brillantezza e carattere. Infatti per farlo occorrono macchinari, probabilmente fuori dalla portata dei piccoli artigiani dediti a questo lavoro nel nostro territorio. Oggi come allora, per rinfrescare la sua mezza dozzina di solini dopo averli indossati, non Le resterà che spedire tutto a Parigi, dove la lavanderia Wartner (www.wartner.fr) se ne occuperà degnamente e professionalmente. - il farfallino da smoking è innanzitutto di una seta la cui qualità sia otticamente compatibile con quella che ricopre i baveri. Se per questi si è scelta una seta brillante, altrettanto sarà il papillon e viceversa. Le dimensioni in altezza variano con l’importanza dei petti, crescendo o riducendosi in proporzione ad essi. In larghezza, meglio non eccedere. Inutile dare dei limiti assoluti, perché anche qui è l’occhio a dare la risposta giusta e non la letteratura. Col solino il farfallino deve assolutamente essere in un sol pezzo e quindi su misura, altrimenti si finisce per portare in giro una fibbia scoperta, il che è indegno di un uomo di gusto. - quanto alla posizione delle alette, un vero solino è sommamente rigido ed esse vi assumono un loro atteggiamento naturale, che andrà semplicemente rispettato, senza forzature. Non c’è alcun motivo per nasconderle, né per anteporle al cravattino. La loro grazia sarà proprio nella conservazione di una piegatura spontanea, adeguata alla forma del collo. Come ha già notato, infatti, il solino non è un semplice cilindro sempre uguale. Vi sono nelle sue fogge differenze fondamentali, che ispirano più o meno fantasia o formalismo, romanticismo o determinazione. Una volta trovato il Suo solino ideale, lo lasci parlare e si interessi solo della correttezza del nodo che andrà a completarlo. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Pollicelli Data: 30-03-2010 Cod. di rif: 4307 E-mail: Oggetto: un sasso nello stagno Commenti: Egregio Gran Maestro, Stimato Rettore, Illustri Cavalieri, penso sia nota a molti la sensazione di sconforto che si prova quando, volendo ordinare quel tessuto che avevamo memorizzato scorrendo le varie mazzette in una precedente ricerca, ci sentiamo rispondere che è ormai fuori produzione da secoli, sostituito da qualche manufatto dal nome improbabile e dalla mano ruffiana. I lanifici, sempre più impegnati nella gara a produrre il filato più sottile dell'universo mondo, anno dopo anno implacabilmente, tolgono dai loro campionari, le flanelle di peso superiore alle 13,14 once, i saxony o gli cheviot con mani asciutte e scattanti, i lini pesanti e non cotonati; purtroppo, gli effetti scellerati di questa politica saltano spesso agli occhi in maniera impietosa, quando ci si reca dal sarto per la prima prova dell'abito. In più di una occasione, con il Rettore Dante De Paz mi è capitato di discutere del problema e convenire con lui circa il fatto che è una tendenza ormai irreversibile, che trova causa in diversi fattori. A questo punto però, preso atto della situazione e stanco di essere confinato in una sorta di riserva indiana dai confini sempre più risicati, mi chiedevo se fosse possibile, sfruttando la competenza e le conoscenze del Rettore,radunare un manipolo di eroi, assieme ai quali raggiungere quella massa critica sufficiente a commissionare a qualche piccolo lanificio, pezze di metratura non elevata, prodotte però secondo le specifiche tecniche fornite dai committenti. Come tutte le anime belle, pur intuendo la complessità organizzativa della questione (chissà se davvero esistono o sono veramente esistiti quei piccolo lanifici a conduzione famigliare, che mi piace pensare pronti a ricominciare a filare le nostre stoffe su vecchi telai, ovviamente a mano) tralasciato ogni aspetto pratico, mi vedo già proiettato alla fase due dell'operazione, vale a dire il primo ordine. Penso che un buon inizio potrebbe riguardare l'ordine di una flanella di peso medio, per capirci almeno 18 once, magari grigio perla chiaro, miscelata a qualche filo giallognolo per dare un effetto vissuto che, pur mantenendo la mano morbida che deve avere questo tessuto, non produca nei pantaloni quelle pieghette a raggiera vicino al cavallo, che riescono a guastare la migliore giornata e garantisca una piega a lama di coltello che dura anni, se i pantaloni vengono stirati con un ferro del giusto peso. Alla data della presente potrebbe sembrare la descrizione della flanella che non c'è e non è mai esistita, ma garantisco che nel mio armadio riposa un abito, confezionato con un tessuto acquistato nel negozio di Dante De Paz qualcosa come 18 anni fa, che ha esattamente quelle caratteristiche, quindi la faccenda, almeno in via teorica è ripetibile. Naturalmente, una volta messa a punto l'allegra macchina da guerra, la strada diventerebbe in discesa e si potrebbe passare ad una flanella con le stesa qualità ma gessata e via di questo passo. Alle volte le imprese difficili riescono e sono sicuro che fra i cavalieri non mancherebbero gli animi ardimentosi per supportare la questione. Cavallereschi saluti Giovanni Pollicelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Busacchi Data: 03-04-2010 Cod. di rif: 4312 E-mail: giacomobusacchi@hotmail.it Oggetto: Un ottimo proposito Commenti: Vorrei unirmi al plauso che segue la proposta del Signor Pollicelli e a parte la mia scontata volontà personale,qualora ve ne sia la possibilità, di partecipare al consorzio vorrei sollecitare un intervento da parte del Rettore di questa porta, che potrebbe aiutarci non poco nella esecuzione pratica di questo meritevole esercizio. Credo infatti che si potrebbe avere un esito favorevole interagendo con qualche tessitura tradizionale d'oltremanica molto specializzata più che nell'avere a che fare con le grosse tessiture "generaliste" italiane. Cordiali Saluti Giacomo Busacchi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-04-2010 Cod. di rif: 4316 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una sfida gloriosa Commenti: Egregio Cavaliere Pollicelli, illustri Cavalieri tutti, nobili Simpatizzanti, valorosi servitori del buono e del giusto, da alcuni giorni ero immerso in mondi che mi tenevano lontano dal castello. Mai, in otto anni, ne ero stato lontano così a lungo. Vi torno per trovarlo vivo e teso come non mai. Qualche anno fa si parlava della costituzione di un Club dei Tessuti con finalità simili a quelle che ora Pollicelli rilancia, centrando col suo dardo il cuore di molti. I tempi non erano maturi e non se ne fece nulla. Leggo ora commosso le sincere dichiarazioni di tanti, dietro le quali avverto l'attesa di altri che tacciono, in attesa. Non sono nuovo alle imprese e questa è degna della spada di un Maestro e della storia dell'Ordine. Prenderò subito i primi contatti, senza altro rivelare per ora. Grazie Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-04-2010 Cod. di rif: 4317 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il silenzioso corozo - Risp. Gesso n. 4315 Commenti: Egregio signor Fontana, leggo il Suo appello, breve e sentito. In verità non è tanto il lavoro che mi tiene, o mi ha tenuto, lontano da Voi, amati amanti di ciò che amo. Non crederà che il mio vocabolario, quella penna che Lei apprezza, si sia formata sul solo studio. Non crederà che io abbia costruito solo questo visibile castello. Invisibili e indicibili scenari, altri doveri mi hanno chiamato per un po'. Sappia che se ciò avviene è per rendere la mia vista più chiara, la mia parola più intensa. A proposito dei bottoni, il cambio che Lei si propone è un gesto eroico che ha un significato personale. Se lei cerca l'intensità, proceda pure e vada alle estreme conseguenze. Non creda però di dimostrare qualche verità assoluta. Il corozo non è prezioso come il corno, ma i veri contadini sono più nobili dei falsi duchi. I servigi che la dura, povera noce di corozo, ha reso alla pagina silenziosa del libro virile vanno ricordati e rispettati. Cerchi sempre il giusto, il giusto nel meglio magari, ma non il meglio in se stesso. Cavallerescamente La ringrazio per le sue dichiarazioni, in cui la stima giunge alla devozione. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-04-2010 Cod. di rif: 4319 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Questioni di principio - Risp. Gesso n. 4305 Commenti: Egregio signor Leone, c'è effettivamente qualcosa di imperfetto nell'uso delle bretelle su un pantalone dotato di passanti. Cercheremo di coglierne la misura, la natura, le cause. Le eventuali risposte e soluzioni verranno da sé. Prima di affrontare il problema specifico, occorre una ricognizione delle premesse teoriche. L'Uomo cerca bellezza e precisione non come scopi definitivi, quanto come materiali per la realizzazione dell'Eleganza. Lo scopo della sua ricerca, del suo stile di vita, delle sue scelte, è in questo equilibrio che pochi raggiungono e tutti ammirano, in quanto la vera Eleganza è ricchezza comune, universale come quella della Natura. Orbene, non è la perfezione alla sua origine. Padre ne è il gusto, madre la personalità, ma anche questi genitori non sono fertili senza la scintilla della grazia. E' questa la trinità delle forze creatrici positive, senza le quali la perfezione crea un damerino, non un Uomo Elegante. Non bisogna comunque trascurare la purezza, che è cosa diversa dalla perfezione. La purezza è coerenza con le fonti, la storia, le origini delle cose ed i significati che hanno assunto attraverso l'uso fattone da chi ci ha preceduto credendo nella stessa fede. La sensibilità alla Tradizione è rispetto per se stessi e per gli altri, è rispetto dell'opera dei Padri, è rispetto degli eredi. Poiché il rispetto è il padre di tutti i valori, non può esserci via più giusta, anzi non può esserci altra via. Sembrerebbe un criterio di coerenza, quindi di purezza, che i passanti, una volta fatti cucire, vengano sempre usati e quindi attraversati dalla cintura. Sbagliato. Nei pantaloni sciolti i passanti si fanno cucire comunque, perché potranno essere utilizzari anche senza giacca, o in combiazione con giubbini o maglieria. Mentre la giacca non va mai tolta se non nel luogo in cui si è indossata o in altre intimità, di altri capi ci si può agevolmente liberare. In quel caso, non si può certo restare con le bretelle, che devono restare coperte. Noti che quando parlo di cose che vanno fatte o evitate secondo la Tradizione, la natura e lo scopo originario di capi e situazioni, non parliamo mai di leggi, ma di doveri. Sentendoli, compiendoli, l'uomo va ben al di là del vestire: crea civiltà. Dunque abbiamo un primo risultato. L'abito completo, se si ha l'abitudine alle bretelle, va realizzato senza passanti. Contravvenire a questo principio non mi sembra comunque un inestetismo di particolare gravità, non tale da compromettere un insieme dove agiscano le tre forze che abbiamo appena esaminato o da disinnescarle. I pantaloni sciolti avranno sempre i loro passanti, per poter essere utilizzati in situazioni in cui anche chi usa normalmente le bretelle metterà la cintura. Nella scelta delle bretelle da utilizzare con pantaloni a passanti bisognerebbe avere maggior considerazione per i modelli con le pinzette, ingiustamente trascurati. Il loro aspetto un po' improvvisato è infatti compatibile con la precarietà di una soluzione che ha un'alternativa. Come a dire: oggi che sono in giacca porto le bretelle, ma domani, mettendo la mia giubba da moto, reggerò questi stessi pantaloni con una cintura. Sotto un abito completo, la pinzetta è più debole in quanto questo ipotetico discorso non funziona. Spero di esserLe stato utile e non piuttosto averLe confuso maggiormente le idee. Se così fosse, si tratta solo di tempo. Quando si parla di principi, ce ne vuole un po' per assimilarli, o meglio per trovare dove li si conservava, perché quei principi Lei li ha già dentro. Venendo alla domanda sulla liceità dell'uso invernale del lino, sempre alla luce dei criteri della Tradizione la risposta è largamente, indubbiamente positiva. Quando la camicia nasce, nasce in lino e tale resta a lungo, almeno nei ceti elevati. Si usavano sia una tela più pesante che un tessuto molto leggero, detto bastista, ma per tutto l'anno per i capi a contatto con la pelle si pensava solo in termini di lino. Anche le lenzuola, la biancheria, i teli per asciugarsi, erano in lino. In molti casi, anzi in molte case, lo sono ancora. Con queste referenze, non credo sia necessario aggiungere altro. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 12-04-2010 Cod. di rif: 4322 E-mail: luigi_lucchetti@ragroma.it Oggetto: Cinta e bretelle Commenti: Mi riallaccio agli accenni che il G. M. faceva a proposito di soggettività nei dettagli del vestire con gusto. Io porto spesso cinta e bretelle, non tanto perché è un modo di dire del vernacolo toscano per indicare coloro che sono molto prudenti (non sono prudente, né ho origini toscane). Porto cinta e bretelle neppure per un motivo puramente e solamente estetico. Se s'indossano le bretelle, la cintura perde la sua funzione. Tuttavia la cintura è un accessorio che crea una linea orizzontale che aiuta sottolineare la figura in modo, a mio modo di vedere, contemporaneamente classico. Quindi uso le bretelle perché il cavallo dei pantaloni resta al suo posto e la piega del pantalone "spiomba" sempre nella giusta lunghezza, andando ad appoggiarsi appena sul collo del piede. Peraltro la giusta altezza del cavallo non solo mi fa sentire in ordine, ma conferisce alla figura un'idea di compostezza complessiva, che va inevitabilmente persa quando il cavallo scende anche di pochi centimetri. Con le bretelle non devo impegnarmi a riassettare la camicia ed a far risalire il pantalone alla giusta altezza in vita. Né si creano quelle inestetiche borse sopra le scarpe. A maggior ragione se il fondo del pantalone è leggermente più stretto di quelli soliti (19 centimetri possono bastare), come a me piace indossare. Porto la cintura perché, quando tengo la giacca sbottonata, crea una linea orizzontale elegante, anche se non si possiede un ventre piatto. La funzione della cintura non è più quella per cui nacque: essa diviene un elemento ornamentale al pari di altri accessori. Se è una bella cintura svolgerà egregiamente questa funzione. Esteticamente il massimo risultato si raggiunge, per quanto mi riguarda, con questa soluzione. Nulla di rivoluzionario o azzardato che si discosti dal classico. Si tratta solo di due o tre dettagli del mio stile, che ho elaborato in base alle proporzioni della mia figura e che mi sembrano idonei a migliorarla. Condivido (come non potrei?!) quanto asserito dal G. M.: la giacca non va mai tolta né le bretelle vanno mai mostrate. Ne risulterebbe vanificato tutto lo sforzo fatto per mostrare compostezza, che però in me si spinge a dar peso ad altri dettagli, meno evidenti, che ne fanno un valore non puramente estetico, ma il punto di arrivo di una ricerca personale. Fanno parte di questa sensazione le calze ben tese, il fazzoletto di lino (ma anche di cotone) tenuto in tasca, come m'imponeva la mamma quando ero bambino, biancheria intima in filo di scozia. E' evidente dunque la ricerca di una cifra personale che va oltre il risultato puramente estetico, di cui nessuno può, per ovvii motivi, constatare la presenza. Soltanto l'occhio che guarda oltre la mera apparenza può cogliere, da un pantalone ben portato, la complessità del pensiero e dell'umanità che presiedono a determinate scelte che, al profano, possono apparire di mero gusto del vestire. Ciò che ho imparato, in questa straordinaria associazione, è la consapevolezza che il Guardiano Cavaliere delle 9 Porte è portatore di un umanesimo che si manifesta in primo luogo nella sua esteriorità, ma che va ben oltre le apparenze. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-04-2010 Cod. di rif: 4324 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: A proposito di bretelle Commenti: Illustri Cavalieri, nobili Visitatori, uomini che avete intelletto d'amore, sottopongo alla Vostra attenzione una lettera che mi giunge in merito alle bretelle e che svela qualcosa che non avevo immaginato. Il fatto che qui si veda tutto dal punto di vista maschile non significa che l'Uomo ignori la visione della Donna. Orbene, una Simpatizzante mi scrive in merito ai significati erotici delle bretelle, che in verità non avevo nemmeno immaginato. Le avevo sempre viste - nel loro aspetto decisamente maturo e retrò - come estranee o addirittura avverse alla seduzione. La signora, forse signorina, mi autorizza a citarla, non a nominarla: "Le bretelle esaltano le spalle e il torace, ridisegnandoli più poderosi e desiderabili. Voglio aggiungere un'immagine dell'uomo in bretelle, ovvero con le bretelle abbassate sui fianchi, non piu' tese e protese verso l'alto, ma abbandonate e pronte alla resa. L'uomo rilassato è gia' quasi nudo. Ricordo gialle bretelle ancora indossate su una camicia azzurra, appena appena slacciata, che mi hanno dato un senso di prontezza all'azione, calda, morbida, ma selvaggia". Possiamo noi Cavalieri trascurare un simile messaggio? Io lo riporto, ne tragga ciascuno il suo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-04-2010 Cod. di rif: 4325 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Una missione, più che un consorzio - Risp. vari Gessi Commenti: Illustre Cavalier Tarulli, Illustri Cavalieri Pollicelli, Villa, Nocera, Egregi Signori Busacchi, Leone, Fontana, Pugliatti, Nobili Visitatori che leggete questa Lavagna far rivivere tessuti scomparsi non è impresa da poco. I macchinari sono cambiati, specializzandosi in direzioni diverse da quelle che ci interessano. Il problema più grave è quello dei filati, che sono alla base di tutto. Un saxony, una flanella come quella posseduta ed ora sognata dall'Illustre Pollicelli, devono le loro caratteristiche ad un filato grosso, a bassa torsione, che nel caso dei Saxony più significativi non era nemmeno ritorto. I 3Ply avevano al contrario torsioni incredibili, alternate e combinate per ottenere l'effetto che i conoscitori ricordano ed amano. I filati moderni sono tutti ritorti, formati da più capi abbinati dei quali ciascuno è molto sottile. Gli stessi allevamenti selezionano animali dai velli orientati a questo tipo di prodotto, destinato a realizzare tessuti leggeri, brillanti, ma tutti dannatamente simili. Orbene, convincere un lanificio a produrre un paio di pezze, più o meno una cinquantina di chili di tessuto, è possibile. Se non gli si può certo presentare la cosa come un affare remunerativo, non ci mancano altri argomenti. Se l'uomo agisse solo sotto la spinta economica, come molti scioccamente credono, non solo questo castello non esisterebbe, ma nemmeno si farebbero figli, si prenderebbero mogli e mariti, si raccoglierebbero biblioteche, si scalerebbero montagne. Il problema vero è che montare un tealio per fargli produrre cinquanta chili di tessuto è già alla nostra portata, ma non so cosa ci potrebbe volere per ottenere solo cinquanta chili del filato giusto. Da altre parti sento gridare ai miracoli, produttori che ripropongono ricette degli anni d'oro. Presi in mano, questi tessuti vantati come repliche non hanno nemmeno in minima parte il carattere dell'originale, perché il filato è sbagliato e spesso è sbagliato anche il peso, il colore, la disegnatura. Per riprodurre qualcosa occorre conoscerla a fondo, essere giunti all'essenza, viaggio che richiede strumenti eccezionalmente complessi. Il caso delle giacche da volo, citato da Lei, Illustre Tarulli, è pertinente, eppure non presenta le stesse difficoltà. Superati i problemi di modellistica, peso e dettagli, quello della concia al vegetale e della tamponatura si risolve con relativa facilità. Non so invece come andare e dove andare a chiedere cinquanta miserabili chili di un filato che richiederebbe un indirizzo totalmente diverso ai macchinari in uso, una selezione a monte dei velli e lavorazioni speciali su quantitativi minimi. La tintura della flanella di cui parlava l'Illustre Pollicelli non si effettua in pezza, ma sulla massa, prima della filatura, nella fase in cui si pratica anche la "stampa Vigoreux", che ha lo stesso scopo. E così via. Ai tempi in cui la cura era normale, i tessuti avevano prezzi più alti relativamente al costo della vita. Se oggi costano quanto venti anni fa, o meno, un motivo c'è. E non è solo nella razionalizzazione del circuito produttivo, ma anche nell'eliminazione o impoverimento di molte sue fasi. Quelle flanelle erano pressate a cartone, ma dove la si trova più una pressa a cartone, o un produttore che la tiri fuori, visto che richiede venti volte il tempo di una pressa idraulica in linea? Vorrei far comprendere che qui non si esce dallo stallo con un consorzio di acquisto, ma con un atto di fede sostenuto da Guerrieri, non da clienti. Se lo scopo è quello di avere la bella cosa a buon prezzo, l'impresa è fallita in partenza. Ci si dovrebbe accontentare del solito palliativo dal nome fascinoso e la mano fiacca, come lo Sportex recentemente riesumato da Dormeuil, per intenderci. Per condurre questa missione al successo occorrono veterani, disposti alle atesse ed alle spese. Qui non parliamo di comprare, ma di infondere vita, di creare. E non di creare per vanità, o profitto, bensì per un ideale. Un consorzio di acquisto tende a migliorare il rapporto prezzo/qualità, a reperire con maggiore facilità cose rare, qui si parla di cose che non esistono più da molto tempo, sepolte sotto ghiacciai di incompetenza. Perché estrarle da lì sotto? Per noi? Per farci belli? Non sono motivazioni che reggerebbero allo sforzo. E' necessario vedere nell'operazione una portata più vasta, crederla utile agli altri e soprattutto ai nostri pari ed ai nostri eredi. Non si può pensare nell'ordine dei tre metri scarsi per un abito. Ciascuno deve muoversi (e comprare) per conto proprio, dei figli e dei nipoti. Se si realizza un nuovo negozio, virtuale o fisico, consortile o privato, non si esce dal tunnel. E nemmeno basta. Occorre dire, scrivere, sollecitare, farsi sentire e vedere. Nel frattempo, ho contattato la Zegna per parlare del Frigidus ed attendo notizie, ma non voglio alimentare speranze così presto. Dovrei trovare le risorse per realizzare un'area del sito specifica, un Quartier Generale dove l'operazione prenda corpo, si svolga e man mano coinvolga altri Guerrieri sotto la stessa bandiera. Attendo anche un intervento da parte del Rettore, personaggio chiave le cui competenze, conoscenze ed archivi possono contribuire non poco. Cavallerescamente Il Gran Maestro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Pollicelli Data: 15-04-2010 Cod. di rif: 4328 E-mail: g.pollicelli@sistemi-integrati.com Oggetto: Una missione, non un consorzio. Commenti: Illustre Gran Maestro, come al solito in poche righe, ha magistralmente delineato la portata, i rischi e le difficoltà di una eventuale operazione, finalizzata a far rivivere tessuti dei quali sembra ormai smarrita la memoria. L'impresa non può e non deve svilirsi nella creazione di una centrale acquisti, attraverso la quale approvvigionarsi al miglior prezzo, di tessuti già presenti sul mercato, accontentandosi magari di trovare sulla cimosa la solita dicitura " tessuto espressamente per..". Per quel che può contare, mi dichiaro sin d'ora pronto a far parte dell'equipaggio di un vascello, che con Lei al comando, dovrà attraversare secche e mari procellosi, per raggiungere una meta che ora, grazie al Suo intervento, appare forse ancora più ardua, ma non impossibile. In attesa che il Rettore, uscendo dal comprensibile riserbo, possa dare il suo insostituibile contributo alla vicenda, ringrazio tutti i Cavalieri che si sono uniti al mio grido di dolore. Cavallereschi saluti Giovanni Pollicelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-04-2010 Cod. di rif: 4330 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Altre considerazioni sulle bretelle - Risp. Gesso n. 4326 Commenti: Illustre Cavalier Tarulli, provo a rispondere ai quesiti che mi pone: 1) E’ possibile trasformare un pantalone nato per la cintura, in uno che possa accettare anche le bretelle? I pantaloni che hanno la vita al di sotto del punto naturale non possono essere considerati classici e quindi non ci riguardano. Fanno parte di questa numerosa schiera i prodotti di moda e tutti quei miseri arnesi che i miseri uomini che vogliono portare una taglia in meno come donnette portano al di sotto della pancia, stretti miseramente da una misera correggia. L'uso di allungare le cravatte a 155 cm ed oltre proviene da questa prassi barbara, che lascia tra collo e pantaloni un busto sproporzionato, spropositato. I pantaloni che hanno la vita all'altezza del punto naturale, o in certi casi un po' più su, si giovano tutti delle bretelle, che servono per esaltare la più complessa e preziosa caratteristica di un paio di pantaloni di classe: l'appiombo. Per appiombo si intendono sia la precisione con cui un capo scende interamente da un solo punto, sia quel punto stesso. La giacca deve cadere interamente e senza spezzature dalla spalla, ma da tutta la spalla e non dalla sua parte più sporgente. I grandi pantaloni cadono dal bustino, sia davanti che dietro, nascondendo le gambe e ricostruendo interamente una figura virtuale, sciolta, che galleggia e drappeggia. Questa condizione si verifica solo se il bustino si trova all'altezza prevista e tale millimetrica sicurezza è assicurata esclusivamente da bretelle ben regolate. Se ne conclude che un pantalone a vita bassa, non essendo un capo nobile, non si gioverà delle bretelle. Un pantalone corretto se ne gioverà comunque. Anche se i suoi passanti invitano a stringerlo con una cintura, in cuor suo attende di rilassarsi, appeso nei punti giusti. 2) Come si fa a calibrare le bretelle in maniera perfetta, cosi da avere il pantalone in posizione “corretta”? Sulla semicirconferenza anteriore, le bretelle devono sostenere i pantaloni lungo le pinces principali, cioè quelle interne. Per evitare che appaiano troppo evidenti sotto la giacca, un bottone si sistema in corrispondenza della pince ed un altro ad otto centimetri di distanza, verso i fianchi. Posteriormente, si deve cercare di estendere quanto più possibile la superficie di azione. Se si dispone di bretelle a Y, i bottoni vanno sistemati a 4 o 5 centimetri dallo spacco centrale, per un totale di 8 o 10 centimetri. Con le bretelle a X, prodotte solo in Inghilterra, si può arrivare anche a 14 centimetri ed oltre, secondo la taglia o quanto suggeriscono gli stessi pantaloni. Se le bretelle hanno le pinzette, sul davanti si stringono in corrispondenza delle pinces e la coppia posteriore alle distanze già citate. 3) E’ possibile utilizzare le bretelle a pinzetta su pantaloni di confezione e non apparire “sciatti”? Sciatti o curati sono gli uomini, non i pantaloni. I giudizi estetici, che una malsana critica cerca di parcellizzare su limitate sezioni, o sono complessivi o risultano semplici pagelle, utili a scuola e ridicole di fronte alla complessità di un uomo maturo. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-04-2010 Cod. di rif: 4334 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Torniamo sul white dinner jacket - Risp. Gesso . 4304 Commenti: Egregio signor Pagliaro, riporto sinteticamente e rispondo alle domande che mi poneva col citato Gesso. 1) Volevo chiederLe un'opinione riguardo la giacca bianca che personalmente mi affascina molto ma che molti disdegnano fortemente considerandola un'introduzione successiva o un'americanata che solo gli americani dovrebbero indossare… Sulla giacca bianca da sera troverà in questa stessa Lavagna una discussione introdotta dall’Egregio Signor Corbey con gesso n. 4208 e proseguita, con interessanti ed autorevoli interventi, sino al gesso n. 4221. Parimenti nel Taccuino dell’Abbigliamento vi sono Appunti che ne illustrano e commentano esempi, in particolare la sequenza dal n. 5040 al n. 5043. Analisi storica, studio delle fonti, comparazione degli esempi cinematografici e mondani, conoscenza e rispetto dei grandi principi del Classico, portano a concludere che questo capo abbia innanzitutto una sua dignità e identità. Quindi non può essere bocciato a prescindere, come una barbarica invasione, una perversione nella corretta gestione della vanità, o una devianza passeggera da dimenticare. Il suo curriculum gli conferisce il diritto d’essere ammesso all’esame, che sarà il singolo gentiluomo a condurre. Bisogna sapere che il candidato parla bene solo l’inglese e conserva fortissimo questo accento anche quando si esprime in italiano. La sua preparazione umanistica è scarsa e non sarà certo il caso di portarlo a teatro, ma ha talento per il ballo, il divertimento, la compagnia leggera, la seduzione un po’ sfacciata. Non lo si porterebbe ad un’Adunanza Generale dell’Ordine, né in un palazzo di qualsiasi città italiana, ma in villa o in località rivierasche, in qualche circolo ed in altre occasioni di livello internazionale, un uomo altrettanto internazionale potrà promuoverla e giovarsene. Volendo proprio trovare una sola domanda la cui risposta consente l’approvazione, non dobbiamo rivolgerla alla giacca bianca, ma al cartoncino d’invito. Esclusa la possibilità dei ricevimenti privati in Italia, dove solo un anglosassone di nascita potrà indossarla, va considerato il programma della serata. Se si prevede una significativa presenza di musica non classica dal vivo, si può cominciare a togliere la white dinner jacket dalla sua immancabile custodia. 2) Volevo chiederle se poteva darmi indicazioni sul panciotto dello smoking … Leggo che Le è già noto che il panciotto da smoking deve scomparire sotto la giacca, se abbottonata, a differenza di quanto avviene in tutti gli altri abiti a tre pezzi. Non si tratta di regole - qui non ne leggerà - ma di conclusioni basate sui principi informatori e sulla storia del Classico. La giacca da sera deve spiritualizzare la figura, esaltare l’uomo come uomo a prescindere dal suo ruolo. Conta solo il qui ed ora, l’evento, che in tal modo si onora. Non è se stessi che si celebra, ma il padrone di casa, l’occasione dell’invito. Il rigore delle fogge canonizzate, la riduzione al contrasto cosmico bianco/nero, impostano solennemente questo processo, basato sul padre di tutte le virtù: il Rispetto. Adeguandosi tutti ad uno standard di forme e tinte, il singolo rinuncia a suggerire o affermare con l’abito ogni idea di lavoro, di professione, di peso sociale. Senza la possibilità di scegliere colori ed abbinamenti, solo il carisma personale e le qualità sottili del capo e dei suoi dettagli ci distinguono l’uno dall’altro. Più l’uomo semplifica, più asseconda l’istituzione civilissima della gran sera ed in tal modo celebra le proprie origini, la razza, la cultura, gli Antenati, gli Ideali di virilità in cui oggi solo pochi Cavalieri credono coscientemente, ma sono ancora molti a cercare inconsapevoli. Lo smoking si costruisce più asciutto di un abito da giorno e di conseguenza si giova di un davanti alleggerito, in cui il simbolico candore della camicia abbia più spazio possibile. Ergo, anche il panciotto va ridoto alle dimensioni minime. Poco opportuno il gilet con la white dinner jacket. Non lo si può mettere bianco, perché solo il frac ha diritto a tanto. Nero, contrasta e appesantisce un po’ troppo. La cifra della white dinner jacket è la leggerezza, con un bel tocco di fisicità dinamica. E quest’ultima non ha nulla a che vedere con il panciotto. Meglio dunque la fascia. 3) Sul Vostro taccuino ho visto un modello con rever sciallato a pera e volevo sapere se va così anche con rever a lancia o se va senza rever o rever sciallato semplice. Nulla sembra indicare una via preferenziale. Baveri a scialle o a lancia sono equivalenti e la scelta tra essi riposa sulla grande triade. Non la conosce? Gliela spiego subito. Premesso che l’abbigliamento è linguaggio, anzi il più complesso e completo dei linguaggi, per di più parzialmente volontario e parzialmente involontario esattamente come il nostro sistema nervoso, quello che un uomo indossa è sempre e comunque espressione di sé. Ma cosa è il sé? E quale parte ne emergerà? Tre sono le gradazioni, che Le enuncio in ordine crescente di difficoltà: quello che si vuol far credere di essere, quello che si vorrebbe essere, quello che si è. Consideri che lo scialle è più sentimentale, statico, romantico, riflessivo, padrone delle regioni interiori e di se stesso. La lancia è più fisica, dinamica, seduttiva, intuitiva, padrona della situazione e degli altri. A Lei, dalla formula generale, ricavare la ricetta personale. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-04-2010 Cod. di rif: 4338 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risorgimento di tessuti e DRESS CODE Commenti: Sapientissimo Rettore, Illustri Cavalieri, Egregi compagni in questo viaggio, ieri mi ha chiamato il gentilissimo Franco Ferraris, che dirige la sezione tessuti della Ermenegildo Zegna. Gli avevo chiesto di svolgere un'indagine sul Frigidus, allo scopo di valutare la sua riproducibilità. L'esito, come temevo, è negativo. Finezze delle lane e struttura dei filati non corrispondono a quelle oggi utilizzate dalla loro prestigiosa azienda e su questo piano di scelte macroscopiche non si può incidere. Ha concluso testualmente: "Mi hai messo nelle condizioni in cui si troverebbe Marchionne, se tu gli andassi a chiedere di rifarti una Flaminia convertibile". E non finisce qui. Mi ha fatto capire che anche il loro Mohair 100% è a rischio. Si tratta di un virtuosismo creduto a lungo irrealizzabile e poi, dopo infiniti esperimenti, superbamente riuscito e testardamente mantenuto in produzione. Un capolavoro, un privilegio che quasi tutti gli addetti ai lavori ritengono tale ed hanno voluto concedersi, ma che appunto risulta comprensibile a troppo pochi. Nei confronti del mercato, un flop totale. Questa è la situazione. Irriducibili appassionati, so che non siete noiosi nostalgici, quanto orfani riconoscenti, eredi che onorano gli antenati. Molte bellezze e significati, madri e padri coi quali siamo cresciuti, che educarono il nostro gusto, sono ormai morti, travolti nella silenziosa morte del Classico. Piuttosto che abbandonarne le spoglie e vederle diventare polvere che si disperde nel vento, piuttosto che dimenticare, possiamo comporre ciò che resta e tributargli rispetto. Quello che non possiamo far rivivere e possedere, celebriamolo con la conoscenza, l'amore, la memoria. Al prossimo incontro di DRESS CODE porterò un mio vecchio abito in Frigidus e sono certo che a molti verranno i brividi. Anche coloro che non hanno mai conosciuto questo tessuto, che non ebbe ampia diffusione, resteranno incantati da un materiale che nel suo genere superò la perfezione degli omologhi inglesi con l'ispirazione, fino a raggiungere lo stadio della pura arte tessile. Si discuterà anche di quanto di vero c'è nel presente e di quello che è ancora possibile recuperare o salvare del passato, passando probabilmente ad una fase pratica. Per vedere chi siamo, quanti siamo, cosa vogliamo e fino a che punto lo vogliamo, bisogna incontrarsi fisicamente. Non mancheranno novità già disponibili, specie per i Cavalieri. Presenteremo infatti l'Harris tweed fatto realizzare coi colori dell'Ordine. I checks sono in toni di bruno e verde, perché nel nostro Statuto, al Titolo Primo, si dice: I colori dell’Associazione sono quelli del tabacco e del tavolo da gioco. Su tutto è steso un overplaid nel colore della cenere, supplementare memoria del fumo. Faccio presente che la data del VI DRESS CODE è stata spostata dal 25 Settembre al Sabato 9 Ottobre, sempre alle ore 10 e sempre in Bologna, presso l'old shop del rettore Dante De Paz in Via Ugo Bassi n. 4/D. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 21-05-2010 Cod. di rif: 4348 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Approfondimenti Commenti: Nobile Cavalier Villa, trovo molto interessante le seguenti frasi da lei scritte, che quoto letteralmente di seguito: "E’ ora di finirla con ambientalisti sciattamente vestiti e carichi di odio verso l’autentica bellezza; non vi è alcuna armonia nel loro essere e nello loro mire distruttrici. L’indossare una cravatta, una scarpa opportuna, l’aprire una portiera ad una signora, protegge l’ambiente da quella violenza cieca che la società chiama “liberazione” ma che rappresenta l’aberrazione dell’anelito umano verso l’ armonia che ha come fine ultimo la protezione dei cicli naturali." Dal loro tenore intuisco la complessità dell'analisi che le sottende, ma non avendo avuto la possibilità di consocerla meglio di quanto non ci abbiano sino ad ora consentito i nostri fugaci incontri ad eventi cavallereschi, non sono sicuro del "non detto". I riferimenti da lei accenanti meritano, a mio sommesso parere, una maggiore articolazione, soprattutto con riguardo ai temi cari a questa lavagna, in modo da non generare dubbi sull'esatta portata del suo pensiero. Le sarei grato se volesse meglio illustrare la sua analisi e le sue conclusioni sugli argomenti accennati. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-05-2010 Cod. di rif: 4349 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Torno subito Commenti: Illustri Cavalieri, Stimati Visitatori, un periodo di frequenti spostamenti e di novità mi tiene lontano nuovamente e spesso dalla scrivania, la mia piccola postazione che è l'unica dalla quale riesca a produrre qualcosa. Articoli, consulenze, vicende personali, viaggi, missioni cavalleresche, progetti, organizzazione di nuove aree, gestione del quotidiano di un'Istituzione composta da quasi quattrocento Cavalieri e non ultimi un paio di blocchi del computer cui sono seguite faticose ricostruzioni, mi fanno rimandare di giorno in giorno un ritorno che vedo atteso. Fortunatamente l'estate avanza e con essa il riposo di molti ed il lavoro per me, che amo quanto ben sapete rispondere alle Vostre sollecitazioni e introdurre nuovi spunti di riflessione. Non sono lontano e presto tornerò ad una quotidiana frequentazione. Il 18 di Giugno si chiude a Montecosaro il calendario cavalleresco della prima parte dell'anno e da allora rivedrete e rileggerete il Gran Maestro in tutto il suo contraddittorio vigore, in tutta la sua concitata passione. Sempre Vostro Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giulio Pizzano Data: 30-05-2010 Cod. di rif: 4352 E-mail: giuliopizzano@hotmail.com Oggetto: Camicia slim fit Commenti: Gentile Gran Maestro, le scrivo perchè da giovane aspirante camiciaio ho un problema con le camicie slim fit. Purtroppo ogni volta che ne realizzo una essa puntualmente tiria in vita e si apre tra penultimo e l'ultimo bottone quando ci si siede. Esiste una tecnica modellistica che permetta di ovviare a questo problema, mantenendo le camicie slim confortevoli alla vista? Grazie mille per la disponibilità. Cordialmente. Giulio Pizzano ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giacomo Busacchi Data: 09-06-2010 Cod. di rif: 4356 E-mail: giacomobusacchi@hotmail.it Oggetto: Intervista Europeo 1961 Commenti: Vorrei ringraziare il Signor Pugliatti per aver voluto condividere questo gradevolissimo pezzo. Pezzo che ho trovato estremamente interessante sia per l'analisi che il Nostro fa riguardo il cambiamento dei codici comportamentali e, conseguentemente, del costume, sia, in misura (per me) maggiore, perchè mette in luce alcuni tratti di questo personaggio, caso più unico che raro di uomo nato per essere Re e divenuto, per scelta, icona borghese. Indiscussa. Ovvero la Sua profondità di sintesi e di valutazione abbinate alla gradevole ironia, la coscenza storica, il senso di appartenenza e i limiti che questa appartenenza comporta. In passato sulle pagine del taccuino mi è capitato di vedere la figura del Duca sbeffeggiato per alcune scelte di "pubbliche" frequentazioni e le sue (presunte) simpatie politiche, operazione abbastanza banale e forse un po' vigliacca se fatta a settanta anni di distanza, con il senno del poi e decontestualizzando delle foto. Con questa intervista viene dato risalto a tratti più rimarchevoli di questo personaggio,ovvero l'avere attraversato quasi un secolo di enormi mutamenti con coerenza, coscienza di se, orgoglio e con l'animo ben disposto verso il futuro e la modernità, di avere quindi lasciato, a chi lo sappia cogliere, un esempio notevole di umana condiscendenza, appropriata eleganza e rifiuto dell'esibizione. Ce ne fossero oggi di personaggi così. Cordialmente. Giacomo Busacchi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-06-2010 Cod. di rif: 4365 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abbigliamento muliebre. Non possiamo parlarne qui. Commenti: Gentilissima signora o signorina Pagani, innanzitutto, a nome dell'Ordine che rappresento, cui credo si voglia aggiungere tutta la comunità che frequenta il castello in generale e questa lavagna in particolare, La ringrazio per la fiducia che ripone nei nostri uomini e mezzi. Il Suo quesito è così interessante e così grazisamente proposto che non dubito di vedere più d'uno lanciarsi nel duro cimento di una risposta. Devo però chiderLe di spostarlo nella corrispondente area della Porta della Donna. Questa Lavagna è infatti dedicata all'abbigliamento maschile e non possiamo derogare a tale principio, stabile come è stabile questa fortezza. Cavallereschi omaggi Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-07-2010 Cod. di rif: 4367 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ivy League e British Style: gli "stili dinastici". Commenti: Egregio Professor Pugliatti, il magistrale ciclo sullo stile Ivy League che ha steso tra gli Appunti 5279 e 5299, stimola un primo paio di considerazioni: 1 – La continuità di questa impostazione estetica è invidiabile, per non dire esemplare. Nella storia del vestire solo il British Style può vantare una durata di pari livello. Sorge dunque spontaneo, necessario, fecondo, un parallelo tra questi due blocchi. Per distaccarsi così nettamente e così a lungo da tutto il resto, devono avere qualcosa in comune. Ebbene, se questi stili possiedono una straordinaria capacità di trasmissione transgenerazionale dei loro codici, è perché condividono un’impostazione DINASTICA che comporta STABILITA’ e CERTEZZA dei punti di riferimento. Normalmente gli stili si affermano come struttura complessa formata da mode. Pantaloni, giacche, occhiali, cappelli, auto, taglio dei capelli, tutti alla moda e tutti appartenenti ad uno stesso ceppo di desideri ed obiettivi, formano lo stile di un luogo/periodo e quando nascono dicono tutti la stessa cosa: il passato è per i perdenti, i vincenti sono da questa parte. Passare quella linea, aderire al programma di rinnovamento estetico di volta in volta in cima al registro cronologico degli eventi stilistici significa essere riconosciuti come membri di quell'avanguardia culturale e sociale cui ciascuno aspira di appartenere. La propership, cioè l’aspirazione tutta inglese ad una correttezza formale vista come bene supremo, non va affatto in questa direzione. Lo stile inglese autentico mette a tacere la vanità personale in nome di un orgoglio che il singolo recupera dalla collettività e non da se stesso. Facendo parlare gli antenati, lasciando che la propria espressione estetica sia quella del gran coro che approva quelle scelte, la voce di chi accetta l’understate britannico, si fa grave e sonora. Lo stile inglese è come un’architettura gotica. Mura altissime, con finestre policrome rappresentate dal guizzo dell’eccentricità che, come abbiamo detto a suo tempo, nel british style è interna e non esterna alla tradizione. Anche l’Ivy League nasce su una struttura etica forte ed antica, anche se la ricetta è un po’ diversa. Probabilmente all’origine della modestia inglese c’è una forma compressa e potentissima di sentimento di SUPERIORITA’ NAZIONALE, mentre quella a stelle e strisce è ispirata dal PURITANESIMO originario, la cui capacità di rinuncia si rivelò la spina dorsale della colonizzazione prima e dell’indipendenza poi. E’ un’architettura romanica: solida, spoglia, in cui l’apparente razionalismo è solo armoniosa semplicità e la pura forza è pura fede. In entrambe i casi, il nocciolo duro è nel SENTIMENTO ARISTOCRATICO. “Oi aristoi“ non significa i vincenti, significa i migliori: ecco la differenza. Manca la competitività perché chi sente proprio uno di questi due stili in realtà si mette fuori dalla mischia. Io sarò sempre così perché così sono NATO, non lo sono DIVENTATO. Dunque l’appartenenza non è a un’avanguardia culturale come per le mode classiche, o ad una “tendenza” come per le tribù postclassiche. Invece di sentirsi i coraggiosi apripista del futuro o gli acuti riscopritori del passato, i fedeli del british style e dell’IvY League traggono sicurezza da un’altissima opinione del RUOLO che il soggetto ha nella comunità e la comunità cui appartiene ha nella STORIA. 2 – La stabilità dello stile Ivy League fece in modo che diventasse l’arca dei valori classici quando cominciò il grande diluvio che ne avrebbe segnato la fine. Lasciamo da parte la sartoria, tempio extraterritoriale soggetto a leggi un po’ diverse. Pensiamo alle vetrine, alla proposta estetica di massa. La produzione industriale dei capi di questo stile mantenne il galleggiamento e la rotta anche quando imperversava la necessità di rompere ogni schema e la DISSACRAZIONE era diventata una preghiera collettiva da cui ci si attendeva la salvezza. Il senso del sacro, cioè di valori etici intangibili, è proprio quello che caratterizza i due grandi “stili dinastici”, come d’ora in poi potremmo definirli. Poiché già sotto i primi lampi di quel famoso diluvio lo stile inglese puro tornava alle origini riacquistando il carattere regionale che ha oggi (nonostante gli incredibili, meravigliosi sforzi del Principe Carlo di riportarlo alla leadership assoluta), l’Ivy league restava internazionale. Dobbiamo essere grati a questo modo di vedere il mondo per aver offerto nei tempi più difficili ed offrire ancor oggi, quando le acque si sono in buona parte ritirate, un chiaro PUNTO DI RIFERIMENTO. Credo che interverrò ancora sulla materia, sperando in ulteriori contributi Suoi o di altri a questo argomento di interesse centrale. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 27-07-2010 Cod. di rif: 4381 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Lobbia - fabbrica Montappone Commenti: Nobili Cavalieri, Egregi visitatori, pur vivendo in una grande città, non mi risulta facile trovare una assortimento di cappeli a lobbia tra i quali scegliere, per qualità e colore, quello o quelli che vorrei acquistare. In due giorni di ricerche ho trovato un solo negozio che ne disponeva di due esemplari, ma non della mia misura e, purtroppo, di un solo colore. Segno del declino di questo accessorio in epoca in cui il copricapo dilagante è un baschetto con visiera mutuato dagli sports, non mi è stato facile trovare indicazioni di venditori neppure sulla rete. Sarò grato a chiunque volesse segnalarmi fabbriche e/o negozi, essendo disponibile anche ad un viaggio a Montappone pur di poter provare qualche lobbia. Per vostra curiosità, riferisco che nel negozio Ferragamo di Via Condotti a Roma, sono disponibili alcune lobbie, usate di recente per una sfilata di moda maschile che si è tenuta all'interno del negozio stesso, per completare il look dei modelli. Secondo il capo dei commessi di ferragamo, la tendenza della prossima stagione invernale sarebbe quella di un prepotente ritorno del classico. Pur disinteressandomi delle tendenze della moda, si tratta comunque di elementi culturali sui quali un cavaliere mediterà. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-07-2010 Cod. di rif: 4379 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cucire i bottoni alla camicia - Risp. Gesso n. 4375 Commenti: Egregio signor Fontana, quando faccio realizzare camicie artigianali, predispongo un disciplinare specifico per la cucitura dei bottoni. Porto il filato e indico dettagliatamente la tecnica di cucitura. Oramai è difficile che simili ordini vengano poi veramente e puntualmente eseguiti, perché la camiceria artigianale versa in uno stato di decadenza e demotivazione. Il committente DEVE comunque fare il proprio lavoro e chiedere, chiedere sempre, con gentilezza e precisione, in nome anche di tutti coloro che prima di lui hanno creato questi mondi estetici e di coloro che, dopo, desidereranno viverci ancora. Anche se alla fine l'artigiana accamperà scuse, la coscienza di un uomo di gusto è a posto. Oggi non esistono più i cucirini di cotone di una volta? Non è un problema, la resistenza che non ha il cotone ce l'ha il sintetico. Mi secca ammetterlo, ma ad una domanda diretta devo rispondere chiaramente. Da qualche anno, quando mi cade un bottone, lo faccio risistemare con cucirini sintetici. La Gutermann produce un 100% poliestere sottile, tenace, brillante, in infinite sfumature di colore, comprese numerose tonalità di bianco. La tecnica che utilizzo per il mio uso personale prevede la cucitura a croce con l'ago infilato a doppio: tre passaggi per il braccio inferiore, due per quello superiore. In totale sono cinque passaggi doppi in entrata e cinque in uscita, il che comporta che sotto il bottone si formi una treccia di venti trefoli. Dunque non è importante che il cucirino sia spesso, anzi quella è la scelta di chi vuole far presto. Molto meglio un filo sottile passato più volte. Ogni bottone dovrebbe avere anche un minimo di piede, in modo da non doverlo mettere in tensione quando lo si allaccia. Il particolare viene segnalato anche dalla Sua camiciaia, quando parla dell'influenza dello spazio tra tessuto e bottone. Lavorando su parti doppiate e imbottite, il piede deve essere più lungo e solido per polsi e collo. Per cucire in questo modo una bottoniera, occorre oltre un'ora. Le camiciaie vogliono farcela in venti minuti e così se ne escono con quelle storielle che anche Lei ha appena dovuto digerire. I bottoni di qualità hanno le stesse lavorazioni di una volta, le differenze sono solo nelle tinture. Piuttosto il problema può essere nel gigantismo dei bottoni, fenomeno nato a Napoli e diffusosi in tutto lo stivale. Oggi vengono proposti anche bottoni alti cinque millimetri, praticamente dei tubetti di quelli che si cucinano coi piselli ed il prosciutto. Ovviamente, bottoni più spessorati presentano maggiori difficoltà e quindi maggiore sforzo al momento di allacciarli e slacciarli. Noti come le camicie di Charvet montino solo bottoni piatti, di due millimetri circa. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-07-2010 Cod. di rif: 4385 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Lobbie e indirizzi romani Commenti: Illustre Prefetto Borrello, caro amico Italo, conosco due dei negozi segnalati a Roma. Viganò, in particolare, non ha più lobbie ed il suo titolare, un presuntuoso e sgradevole canottiere senior del Circolo Canottieri Aniene, mi ha liquidato sbrigativamente, forse perché socio di un Circolo Canottieri molto più antico del suo (avevo il torto di indosare un capo che mi rendeva riconoscibile). Ho trovato il negozio in fase di dismissione. Ho visto esposta tanta merce vecchia di second'ordine. Spero che gli affari gli vadano in proporzione al garbo che riserva ai sui clienti. L'altro, posto nelle vicinanze di Piazza Navona, non ha una gran scelta. Per non parlare dei due negozi di Borsalino, quello vicino al Parlamento e quello in Via del Babuino: in due negozi avevano solo una lobbia nera e non della mia misura. Proverò a Milano. Grazie per la segnalazione. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-08-2010 Cod. di rif: 4386 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Teoria Stagionale Commenti: Illustre Cavaliere Tarulli, Egregio Professor Pugliatti, in questa stessa Lavagna, alcune discussioni sulla temperatura e sulla sua percezione comparvero in tempi precoci. Si vedano ad esempio i Gessi nn. 256 (del 2003), 2129 (del 2005). Basta digitare "caldo" nel sistema di ricerca come parola di testo, perché si aprano diversi interventi interessanti. Le Vostre ultime note, sia di carattere aneddotico che speculativo, contribuiscono a creare una Teoria Stagionale che allo stato dell'arte potremmo così formulare: L'Uomo Classico considerava il ciclo di cambiamenti stagionali come un fenomeno sia cosmico che climatico. Dal primo punto di vista, la cosa più rilevante è il cambiamento nella durata quotidiana della luce e anche nella sua composizione, che assume tonalità diverse mese per mese. Il crescere e il diminuire dell'insolazione, la moltiplicazione dei colori della natura in quantità e forza andando dall'inverno verso l'estate, sono i componenti principali della stagionalità quanto ai colori del vestire. Dal punto di vista termico, la sensibilità Classica individua tre stagioni: inverno, mezzo tempo, estate. In inverno la tenuta di base è composta da tre livelli (camicia, giacca, soprabito) per tutta la giornata. Nel mezzo tempo da due, fatte salve sere in cui serve il terzo. In estate gli obblighi sociali e culturali mantengono la giacca per gran parte dei luoghi e occasioni, ma avere qualcosa sopra la camicia si rende utile solo la sera e nemmeno sempre. Potremmo dunque dire che l'inverno è per l'abbigliamento Classico quella stagione in cui ci si mette volentieri un soprabito, la mezza stagione quella in cui ci si mette volentieri la giacca, l'estate quella in cui si starebbe volentieri in maniche di camicia, a prescindere dal fatto che lo si faccia o meno. Le prescrizioni in termini di qualità, brillantezza e colore dei materiali, insomma le variabili cosmiche, sono più cogenti ed esteticamente rilevanti dei suggerimenti provenienti dalle esigenze termiche. Su tutto e dappertutto, intervengono fattori non fisici, ma culturali. Man mano che la spinta ideale del Classico invecchia e si affievolisce, queste influenze cerebrali sono sempre più legate al dovere sociale e meno alla vanità e decoro individuale. Divengono pertanto sempre meno gratificanti e quindi meno sopportabili nei casi in cui richiedono rinunce o sofferenze. L'Homo Gymnicus, orientato alla leggerezza, intende fare piazza pulita di tutto il palinsesto di convenienze tradizionali, in quanto per definizione impongono dei limiti o degli obblighi. Brucia nelle piazze il duraturo codice dell'estetica classica, basata sui ruoli, sostituendolo con l'alternanza di decreti che si abrogano l'un l'altro dell'estetica postclassica, basata su un'appartenenza ad un qualsiasi gruppo o, come dicono le sue stesse tribù, ad una "tendenza" riconosciuta ed emergente. Il nuovo potere ha generato un cambio della percezione mentalmente filtrata, ma anche di quella materiale e diretta. Meno capacità di concentrazione, minore fiducia nei propri sensi, minore tolleranza verso le sensazioni forti e controllate. Quest'ultimo fenomeno è di rilevanza globale ed esula dall'abbigliamento. L’intolleranza all'aglio da un lato ed alcoolismo dall'altro, non sono fenomeni indipendenti come sembrano. La varietà e potenza degli stimoli del mondo classico, dove avevano piena cittadinanza caccia, guerra, corrida, gioco d’azzardo, fumo, educava ad un controllo naturale. La sopportazione del caldo estivo era dunque solo uno degli aspetti di un uomo per alcuni versi opposto all’attuale, un uomo che voleva scoprire tutto della vita e poco di se stesso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-08-2010 Cod. di rif: 4387 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Scelta del cucirino Commenti: Egregio signor Fontana, i cucirini Gutermann ad uso del consumatore finale sono da 100 o da 200 metri ed in queste lunghezze dovrebbe trovare anche più di un bianco. Quanto al titolo, non avevo notato che ce ne fosse più d'uno, ma la scelta è semplice. Faccia una prova di trazione arrotolandone un po' intorno all'indice e poi prenda quello che per spezzarsi richiede più sforzo. Ricordi che il filo deve essere sottile, dunque la prova vale a parità di spessore. Se la sezione fosse diversa, se ne accorgerebbe dal maggior volume del cucirino a parità di lunghezza, dato sempre riportato in etichetta. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 13-08-2010 Cod. di rif: 4395 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Teoria Stagionale Commenti: Mi inserisco sommessamente nella discussione aperta dall'inarrivabile Gran Maestro con l'esposizione, al Gesso n. 4386, della Teoria Stagionale. Credo che le osservazioni del GM avessero come obiettivo quello di sottolineare un dato, a me assai caro. L'idea dell'uomo classico germina da un ideale di armonia, e non di contrapposizione, con la natura. Per il fedele del classico, le variazioni stagionali del clima e della luce non costituiscono un ostacolo da superare, ma una preziosa occasione di esperienza, attiva e contemplativa. L'uomo classico - figlio in questo della Civiltà Classica, storicamente intesa - non desidera vincere o addirittura annientare la natura, ma al massimo governarla razionalmente, il che equivale a dire scoprire la chiave dell'armonia con essa. Per questo, io credo, un tale uomo non teme di ammettere che, in estate, "avere qualcosa sopra la camicia si rende utile solo la sera e nemmeno sempre". Questo è un dato di fatto e non c'è nulla di male ad ammetterlo. Il fatto che la scelta finale nostro elegans sia sovente diversa da quella di rimanere in maniche di camicia dipende da un'altra motivazione. L'uomo elegans fa un uso comunicativo dei codici vestimentari e, quindi, ricorre alla giacca ed alla cravatta come precisi strumenti di comunicazione in relazione ai diversi contesti, non solo ambientali ma anche sociali. Anche sotto la peggiore canicola, l'elegans si sottometterà (ma è questo il verbo giusto per quello che rimane prima di tutto un piacere?) ben volentieri alla disciplina della giacca, con ciò volendo di volta in volta silenziosamente comunicare, serietà, impegno, dignità, rispetto (per gli altri ma, come necessaria premessa a quest'ultimo sentimento, prima di tutto per se stesso) e via enumerando. Porterà dunque la giacca l'elegans, senza negare la non stretta necessità di questo indumento, che non è un capo 'tecnico' da portare alla bisogna, né un vessillo da esibire (nei confronti di chi, poi?) come simbolo fine a se stesso, ma è un muto segnale dell'adesione a dei codici, estetici e sociali (nelle parole dense ed asciutte del GM, io credo che questo concetto corrisponda, grosso modo, alla constatazione secondo cui l'estate è quella stagione in cui si starebbe volentieri in maniche di camicia "a prescindere dal fatto che lo si faccia o meno"). Ho da poco riportato a casa dalle alte quote i miei scarponcini, i miei fustagni e i miei valluti; non il vecchio e caro bastone col puntale, sacrificato per una giusta causa, di cui non mette qui conto di parlare. Nel corso degli ultimi decenni, il popolo delle montagne si è trasformato in un popolo di trekker. Camminare alle alte quote non è più un modo di rinnovare il secolare patto con la natura, ma è diventato una disciplina ginnica. I praticanti questo sport sono pieni di attrezzature e capi 'tecnici'. Essi però soffrono, perché inconsciamente desiderano una montagna che sia piana, a temperatura e vento controllati e costanti (sarebbe così facile decidere se metter su uno wind stopper o un rain stopper...), dove siano bandite le nuvole, disciplinati i pendii e resi impossibili i sudori. L'uomo classico credo sia tale perché si tiene a distanza da questi deliri. E di fronte ad essi si limita normalmente a scrollare le spalle, di solito ben protette da un'amica giacca. Con i migliori saluti, Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 16-08-2010 Cod. di rif: 4396 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ben-vivere e ben-essere, ovvero di uomini e di gatti Commenti: Illustre cavaliere Villa, Egregio signor Buratti, sebbene il Gesso n. 4395 del signor Spadaro chiarisca perfettamente quel passaggio del mio gesso n. 4886 in cui parlavo delle attitudini estive dell’Uomo Classico, dalle perplessità da Voi espresse nei gessi nn. 4388 e 4393 mi rendo conto d'essere stato troppo succinto, ai limiti dell’enigmatico. Le Vostre perplessità nascono però da una semplice incomprensione verbale. Provvedo dunque ad esprimermi meglio. L’homo elegans usa la giacca praticamente sempre, salvo le eccezioni in cui è sconsigliata dalla stessa correttezza che la impone altrove. Come dicevo, “in estate gli obblighi sociali e culturali mantengono la giacca per gran parte dei luoghi e occasioni”. Se avevo aggiunto che “avere qualcosa sopra la camicia si rende utile solo la sera e nemmeno sempre” era per far capire che la tendenza “istintiva” sarebbe stata quella di passare da tre livelli di copertura per l’inverno a due nella mezza stagione e al singolo con la calura estiva. A dispetto di questa inclinazione a scoprirsi, l’Uomo Classico indossa comunque la giacca. Agendo in questo modo rinuncia al lotto di valori che fanno capo al “ben-essere”, quindi ad uno stato animale, in favore di quelli che fanno capo al “ben-vivere”, quindi al rispetto civile. Lo fa per un piacere intellettuale, per l’adesione ad un progetto in cui si riconosce, per un dovere verso la sua educazione e per quanti hanno pagato e lavorato perché l’avesse. Poiché aveva ancora ben sviluppate le funzioni del pensiero e dell’elaborazione dei sensi, la razza “elegans” sa bene che “utile” non equivale a “vero” o “Indispensabile” e soprattutto non coincide con “giusto”. Quando non serve a riscaldare, la giacca è meno utile. Questa banalità non sfugge a noi Uomini Classici, sempre concentrati sulla vera intensità e natura delle sensazioni e degli avvenimenti che ci circondano. Se pensiamo al ben-essere abbiamo tutto da imparare dai gatti: basta guardarli per capire quanto siamo lontani dalle loro vette. La civiltà classica può dunque essere compresa solo da coloro che considerano la direzione di crescita umana diversa da quella felina. Riepilogandola e riformulandola, la Teoria Stagionale vuol separare il ciclo cosmico, quello della temperatura della luce, dal ciclo termico che è invece legato alla temperatura dell’aria. Il ciclo cosmico ha quattro fasi (inverno, primavera, estate, autunno) che si succedono inesorabilmente, il ciclo termico tre condizioni (freddo, variabile, caldo) che si alternano con delle diversità anno per anno. La difficoltà è nel conciliare i due movimenti e intanto rispondere anche alle esigenze sociali, ma già l’individuazione delle incognite può essere d’aiuto nel trovare la risposta, che non può che essere personale. Il fascino immortale dell’estetica Classica non è forse in questa capacità di giungere alla perfetta originalità attraverso il codice, piuttosto che alla completa omologazione grazie alla loro distruzione? Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 31-08-2010 Cod. di rif: 4408 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Uomo Classico e Homo Elegans Commenti: Illustri cavalieri, gagliardi Visitatori, Qualche giorno fa venne proposta una domanda qulla differenza tra Homo Elegans e Uomo Classico. Il gesso è stato cancellato in seguito alla proscrizione dell'autore, ma altri potrebbero aver fatto proprio il quesito e ad essi ritengo opportuno rispondere. Nel metodo cavalleresco la storia non si interpreta in modo materialistico, cioè facendo corrispondere meccanicamente ad ogni evento un interesse economico o comunque pratico. Molte forze vi lavorano, alcune invisibili come il tempo. La vicenda umana ha quindi diverse chiavi di lettura, tra cui spicca quella estetica. Partendo da questa ottica, ma giudicando che parallelamente al gusto dominante cambia tutto l'assetto dei desideri e valori condivisi, abbiamo individuato un ciclo Classico che va dal 1890 al 1981. Fu il periodo in cui l'Homo Elegans governò il mondo. Quindi quella locuzione si riferisce ad una cultura, se non addirittura ad una razza, comunque ad una generalità che si trovava a vivere una condizione senza averla scelta. L'Uomo Classico condivide perfettamente la gerarchia di valori estetici ed etici della specie Elegans, ma può anche averli scelti coscientemente, a dispetto di quelli dominanti. E', o può essere, un singolo, un individuo tra itanri della specie Elegans, mentre quest'ultima si cita sempre come generalità. In conclusione, quella di Homo Elegans è una definizione necessariamente collettiva, mentre quella di Uomo Classico può indicare sia un modo di pensare comune che una persona fisica determinata. L'Homo Elegans ha perso la leadership con la morte del Classico e quindi è destinato ad estinguersi, ma il modulo della sua frenetica ed ispirata attività estetica ha lasciato tracce incancellabili. Chi aderisce intimamente a questo sistema di pensiero e di passione è e sarà un Uomo Classico, anche mille anni dopo la Morte del Classico. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 20-08-2010 Cod. di rif: 4398 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Talon rouge e Cavalleresco Ordine Commenti: Seguo dall'estero il taccuino e la lavagna. Ho avuto modo di navigare sui siti segnalati di questa associazione francese della quale si è ipotizzata una parentela col Cavalleresco Ordine. Fatti salvi i debiti approfondimenti, ad una prima impressione mi pare che gli abiti e gli accessori indossati dai membri di questa associazione stiano agli '30 come la sprypanna sta alla panna di un buom pasticcere o gelataio artigianale o, se preferite, come una giacca blu di un certo super 120 di cui taccio il marchio sta ad un blazer di fattura sartoriale. Cosa ne pensate? Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-08-2010 Cod. di rif: 4399 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Panna montata e Talon Rouge - Risp Gesso n. 4398 Commenti: Illustre Cavaliere Lucchetti, purtroppo la panna non esiste più. Lei ha l'età per ricordarla, quella vera, di latte non pastorizzato, montata con qualche sapiente colpo di frusta ed appena aromatizzata con un alito di vaniglia. A Roma i grandi gelatai la servivano spalmandola con la paletta. Una delizia effimera, fatta della sostanza delle nuvole e volubile quanto loro. Se prendeva temperatura si disfaceva come neve. Se restava in freddo, si rapprendeva e diventava burro in poche ore. L'unica era mangiarla al momento, o al massimo entro tre o quattro ore. Sono almeno trenta anni che, sotto i colpi di una legislazone che ritiene degne di protezione (obbligatoria) troppe cose, tra cui però non figurano il piacere, il gusto, la tradizione e la gioia di vivere, i materiali ed i processi per ottenere la panna montata sono praticamente vietati. Quella che ne ha usurpato il nome è una miscela di sostanze di origine vegetale, o nel migliore dei casi vagamente derivanti da un latte derubato del suo patrimonio e poi assassinato. Non ho potuto fare a meno di queste precisazioni in quanto la metafora che Lei argutamente proponeva ha riaperto una dolorosa ferita. Ne fui insaziabile divoratore, ma quella della panna montata fu forse la prima perdita inferta alla cucina dalla gastronomia. Anche a comprare la panna fresca dal lattaio, il risultato era deludente perché l'azienda non poteva venderla senza prima distruggerla con la pastorizzazione. A Classico morto, le orde dei buongustai-per-un-giorno avrebbero innescato il saccheggio ancora in atto: la distruzione della secolare cucina dei palazzi e dei cascinali a colpi di pesci crudi, aceti al buon sapore di abbronzante e tavolini neri con paramenti orientali, proprio come quelli su cui - nelle foto pubblicate - appaiono intenti ad esibirsi i membri del Talon Rouge. A questo proposito, credo che l'illustre Cavaliere Grandi veda con chiarezza le pecche: sigari che non mandano fumo in mano a piccoli fumatori da terrazza, abiti con tagli e dettagli approssimativi, bicchieri da pizzeria e acconciature alla Ielluzzi. Un parallelo del Cavalleresco Ordine, che è squisitamente idealista, con l'attività di Marc Guyot, che è essenzialmente commerciale, è chiaramente improponibile. Ciò che Tiziano ha voluto apprezzare negli Appunti nn. 5353-5359 è lo sforzo estetico, che risultando contrario all'omologazione agisce in qualche modo nella nostra stessa direzione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-08-2010 Cod. di rif: 4401 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Abiti per il lavoro - Risp. gesso n. 4400 Commenti: Egregio signor Martini, dicendo "lavoro" si definisce solo parzialmente un registro estetico, in quanto molto diverse possono essere le condizioni dell'impegno. In linea generale possiamo dire che i lini non sono molto indicati a livelli non dirigenziali. La loro raffinatezza è di una qualità rarefatta, se non "distratta", che si addice molto di più a chi sieda in vetta che a chi pedali lungo i tornati della carriera. I pettinati sono indicati in tutte le attività in cui prevalgono l'immagine e il calcolo: finanza, fori, assicurazioni, grande impresa, etc. I cardati sono a loro agio nelle attività ad alto contenuto di creatività e/o individualità: architettura, arredamento, piccola impresa, etc., ovvero su chi debba compiere molti accessi all'esterno e fuori città: allevatori, medici condotti, responsabili di cantieri, etc. Dove prevalgono i pettinati, l'abito completo è più indicato. In estate, dove non calza il lino, cotone per i quadri intermedi o rampanti e sagliette per gli impiegati "di concetto". Nella bella stagione è anche più ammissibile lo spezzato, con giacca chiara. Il fatto che io legga qua e là, insieme a Lei, brani di un codice che non è scritto e non si deve scrivere, non significa che io La esorti a seguirlo. Lei mi chideva quali sono le forze in campo ed io ne ho accennato una mappa. Ora che sa, faccia come sente. Se crede veramente e fa quello in cui crede, tutta l'umanità se ne gioverà. Anche quei codici nacquero da una fede, non da un'obbedienza cieca. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-08-2010 Cod. di rif: 4403 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le Classi nel Classico - Esegesi del Gesso n. 4390 Commenti: Egregi Visitatori, Illustri Cavalieri, Instancabili Ricercatori, nel Gesso n. 4390 il Dottissimo Rettore individuava un’origine “classista” della stagionalità dell’abbigliamento, in quanto cambiarsi d’abito a piacimento figurò a lungo tra i privilegi di un certo ceto. Da ciò scaturiva una seconda conclusione: dal punto di vista sociologico, l’abbigliamento come scelta ha un carattere “delimitante” in vari ambiti. Ho messo tra virgolette due delle parole-chiave utilizzate nel testo, in quanto si tratta di termini intossicati da un uso schierato. De Paz li ha usati scientemente per provocare la riflessione, ma potrebbero aver generato qualche malinteso. Allo scopo di proseguire la discussione sugli spunti proposti, mi assumo il compito di fare chiarezza sulle loro basi concettuali. La divisione della società in livelli è un argomento scottante, sul quale non tocca a noi prendere posizioni. Quando erano basati su privilegi collegati alla nascita o ad incarichi religiosi e civili si chiamavano stati, poi prevalse il criterio economico-culturale delle classi, di gran lunga più permeabili. In effetti l’estetica pre-classica e Classica è basata su una struttura piramidale. Il gusto viene continuamente raffinato in alto e solo dopo distribuito verso il basso. L’estetica post-classica, invece, essendo orientata dal valore assoluto della gioventù, si muove su circuiti orizzontali e la sua ispirazione parte spesso dal basso, come venne a suo tempo chiarito indagando sullo street-wear. La grande novità rispetto al passato è che la supremazia del corpo sull’abito ha privato quest’ultimo di gran parte del valore simbolico, cioè di quel messaggio “delimitante” cui fa riferimento il Rettore. A prescindere dal giudizio che si nutra sulle divisioni sociali, sulle loro origini, utilità e giustificazioni, è un fatto che il vestito di epoca classica e pre-classica è una tessera. Lo chiarisce molto bene Balzac, che comincia il suo trattato con una severa “autopsia sociale” e poi introduce il suo quarantesimo assioma, la cui enunciazione e spiegazione riporto con questa lunga citazione (traduzione cavalleresca, aderente allo spirito e non alla lettera originaria): “XL – L’abbigliamento è l'espressione della società. Questa massima riassume tutta le nostra dottrina e la esprime in modo così compiuto che niente può più essere detto che non sia uno sviluppo più o meno felice di questo dotto aforisma. L'erudito, o l'uomo del mondo elegante, che volesse ricercare in ogni epoca i costumi di un popolo, ne traccerebbe in tal modo la storia più pittoresca e più vera. Spiegare la lunga capigliatura dei Franchi, la tonsura dei monaci, la rasatura del servo, le parrucche del Re di Timbuctu, la cipria aristocratica e il taglio femminile corto, alla moda dell’Impero romano, non equivarrebbe al racconto delle principali rivoluzioni del nostro paese? Chiedere l'origine delle scarpe alla polacca, delle scarselle, dei cappucci, della coccarda, delle crinoline, dei guardinfanti, dei guanti, delle maschere, del velluto, significa portare lo studio della moda nello spaventoso dedalo delle leggi suntuarie e in tutti i campi di battaglia in cui la civiltà ha avuto ragione sui costumi grossolani importati in Europa dalla barbarie del Medio Evo. Se successivamente la Chiesa scomunicò i preti che adottarono le culottes e quelli che smisero di portarle per i pantaloni lunghi; se la parrucca dei canonici fu un tempo oggetto di discussione per mezzo secolo, è perché queste cose, in apparenza futili, rappresentavano o delle idee o degli interessi. Che si tratti del piede, del busto, del capo, vedrete sempre, attraverso una parte qualunque dell'abito, esprimersi un progresso sociale, un sistema retrogrado, o qualche lotta accanita. Ora è la scarpa ad esprimere un privilegio, ora il cappuccio, il berretto o il cappello segnalano un rivoluzionario; là un ricamo o una sciarpa, qui dei nastri o qualche ornamento di paglia indicano un partito; e allora appartenete ai Crociati, ai Protestanti, ai Guisa, alla Lega, al Bernese o alla Fronda. Avete un berretto verde?... siete un uomo senza onore. Avete un tondo giallo sulla sopravveste? Via, paria della cristianità! Ebreo, torna nella tua topaia all'ora del coprifuoco, o verrai punito con una multa. Ah! fanciulla, hai anelli d'oro, collane mirabolanti e orecchini che brillano come i tuoi occhi di fuoco? Attenta! se la guardia municipale ti scorge, ti prenderà e tu sarai imprigionata per esserti precipitata a correre per la città, folle del tuo corpo, per le strade dove fai brillare gli occhi dei vecchi ai quali vuoti le tasche! Avete mani bianche? Verrete sgozzati al grido di «Viva Jacques Bonhomme, morte ai signori!». Portate una croce di Sant'Andrea? Entrate a Parigi senza timore: vi regna Giovanni senza paura. Portate la coccarda tricolore? Fuggite! Marsiglia vi assassinerebbe perché gli ultimi cannoni di Waterloo hanno vomitato la morte e i vecchi Borboni! Come potrebbe dunque l’abbigliamento restare sempre l’atteggiamento più eloquente, se non fosse veramente tutto l'uomo, l'uomo con le sue opinioni politiche, l'uomo con la storia della sua esistenza, l'uomo-geroglifico? Ancora oggi, la vestignomica è divenuta quasi una branca della fisiognomica. Sebbene ora siamo vestiti tutti pressappoco nello stesso modo, per chi abbia occhio è facile riconoscere in una moltitudine, in mezzo a un'assemblea, a teatro, durante la passeggiata, l'uomo del Marais, del Faubourg Saint-Germain, del quartiere Latino, della Chaussée d' Antin, il proletario, il proprietario, il consumatore e il produttore, l'avvocato e il militare, l'uomo che parla e l'uomo che agisce. Gli intendenti dei nostri eserciti non sono più pronti nel riconoscere le uniformi dei reggimenti di quanto non lo sia il fisiologo nel distinguere gli abiti imposti all'uomo dal lusso, dal lavoro o dalla miseria. Mettete là un attaccapanni, appendetevi degli abiti, bene! Se proprio non andate in giro come uno sciocco che non vede niente, indovinerete il burocrate dalle maniche sciupate, da quella larga riga orizzontale lasciata sulla schiena dalla sedia sulla quale si appoggia spesso mentre prende una dose di tabacco, o si riposa dalle fatiche del non far nulla. Riconoscerete l'uomo d'affari dal rigonfiamento della tasca per i taccuini, lo sfaccendato dalla deformazione dei taschini dove infila spesso le mani, il mercante dalla insolita apertura delle tasche che stanno sempre a sbadigliare, come per lamentarsi di essere vuote dei consueti pacchetti. Infine, un colletto più o meno pulito, incipriato, impomatato, logoro, asole più o meno rovinate, una baschina che pende, la consistenza di una stoffa nuova, sono i segni infallibili delle professioni, dei costumi o delle abitudini. Ecco l'abito fresco del dandy, la lana di Elbeuf del possidente, la redingote corta del sensale clandestino, il frac coi bottoni d'oro sabbiato di un lionese arretrato, o lo spencer bisunto di un avaro”. (Estratto dal fascicolo con l’intera traduzione, a cura delle Officine della Biblioteca Cavalleresca) Se non mi sbaglio, quella di cui parla De Paz non è dunque solo una delimitazione sociale, ma anche culturale e morale. E’ il risultato di un’appartenenza che si traduce inevitabilmente, immancabilmente e anche involontariamente in un certo tipo di gusto, quindi di scelta, quindi di aspetto. L’appartenenza è più o meno il rovescio positivo della medaglia della discriminazione. Si tratta comunque di uno dei valori demoliti dalla "political correctness" della civiltà dell’homo gymnicus, la cui equità resta però troppo in superficie per rappresentare un reale progresso umano. A prescindere da ogni altra considerazione comporta una perdita progressiva e fatale di identità, che sembra essere quella tara originaria che la porterà l'attuale assetto al collasso, proprio come l’inesorabile mutazione della forma in formalismo fu il male che condusse all'esaurimento la civiltà dell’homo elegans. Niente di strano. La fine è il destino di tutte le civiltà e di tutte le razze, mortali come l'uomo e tutte i viventi. In attesa che lo stesso Dottissimo Rettore torni sull’argomento per ulteriori chiarimenti, e/o che altri Ricercatori intervengano per mettere a punto questa non trascurabile pagina metodologica, cavallerescamente saluto. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 24-08-2010 Cod. di rif: 4404 E-mail: andreasperelli8@yahoo.it Oggetto: Talon Rouge e Marc Guyot Commenti: Egregio Gran Maestro, caro Tiziano, conosco bene alcuni dei membri del "Talon Rouge", il gruppetto creato dal sarto-imprenditore Marc Guyot a Parigi. Ho incontrato Guyot diverse volte, nelle sua boutique e altrove, abbiamo parecchi amici in comune e alcuni di loro vestono esclusivamente da lui. Nella sua bottega della Madelaine propone abiti su misura e di "demi mesure", vale a dire che adatta abiti preconfezionati al cliente. Si parla di grosse cifre per una qualità infinitamente inferiore a quella di una grande marca commerciale qualunque: bottoni (ricoperti di tessuto) di plastica, bordi in seta cuciti a macchina (con grossi punti visibilissimi), gilet francamente mal fatti e invenzioni "stilistiche" che lo rendono degno di essere considerato lo Ielluzzi di Parigi. E' insomma quello che a Napoli o a Milano definirebbero, a ragione, un gran gagà. Ostenta grossi sigari cubani (anche in negozio), anelli vistosi, catene da orologio, etc. Invero, suo primo mestiere è calzolaio, o almeno così lui dice. Certo è che molti eleganti della capitale francese si rivolgono a lui per glassaggi e lucidature varie, cosa che in verità esegue perfettamente. In sostanza debbo però confermare quanto afferma il Gran Maestro: lo stile di Guyot è approssimativo, basato su di un "effetto" che si avvicina al teatrale, ma che non contempla il dettaglio. Il gruppo dei guyotiani crede di compiere sforzi in una direzione individualista, e tuttavia si servono tutti negli stessi negozi (primo fra tutti, ovviamente, quello di Guyot), e si sentono immensamente rassicurati dalla marca e dal prezzo che pagano. Nel complesso il risultato è comunque interessante, ma assai dissimile dal nostro Ordine. Era lo stesso Guyot, tra l'altro, che su un recente numero di Monsieur (Francia) dettava regole in fatto di abiti da sera, dicendo che non bisogna mai portare un colletto a pipistrello con lo smoking...! Cordialmente, Massimiliano Mocchia di Coggiola ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Massimiliano Mocchia di Coggiola Data: 24-08-2010 Cod. di rif: 4405 E-mail: andreasperelli8@yahoo.it Oggetto: Oggetto nella foto n. 5360 - catena da medaglione Commenti: Caro Tiziano, l'oggetto nella foto che hai pubblicata nel gesso n. 5360 è una catenella da orologio: in genere veniva utilizzata per integrare una catenella normale, ed attaccarci un medaglione (con ciocca di capelli dell'amata, miniatura, etc.). In altri casi, l'ho vista pure utilizzata da sola, senza essere connessa alla catena dell'orologio, sempre per lo stesso uso detto sopra. In entrambi i casi, pende all'esterno, e parte dall'asola o dal taschino (ma anche, a volte, dal bordo inferiore del gilet, sui pantaloni, fissata con una spilla alla fodera). Cordialmente, M.M.d.C. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Alessio Giambersio Data: 04-09-2010 Cod. di rif: 4410 E-mail: alessio.giambersio@gmail.com Oggetto: Camicie a Milano Commenti: Irraggiungibile Gran Maestro, Valorosi Cavalieri, Ho passato molto tempo a leggere queste lastre d'ardesia, sagge e ricolme di consigli. Ringrazio moltissimo il Gran Maestro e i Cavalieri tutti per i gessi che hanno lasciato, scolpiti negli anni, davvero a disposizione della posterità; sollevare la polvere dai gessi più antichi è stata una gioia filologica che voglio condividere con voi tutti. Ringrazio anche l'ascetica aura che attornia questi stessi scritti. Evitare di parlare di centimetri, misure ideali e di assoluti in genere, ha innescato il saggio circolo di introspezione che ha portato tanti altri prima di me -e me stesso auspico- a giungere, percorrendo la strada insidiosa e impervia, se non alla Bellezza, almeno sulla buona strada. Questo preambolo semplicemente perchè i risultati ottenuti sono il coronamento di uno sforzo che sento molto mio, ma debitore ab imo pectore delle inestimabili conoscenze racchiuse in questo Castello. Vorrei ora portare umilmente alla vostra attenzione il frutto della mia esperienza maturata in un paio anni di ricerca, estesi verso il mondo della camicia, a Milano. Sebbene la città sia vasta, dotata di eccellenti sartorie con stili provenienti da tutta Italia, sembra che le care, buone, vecchie camicerie siano molto sottotono. Certamente, ci sono marchi blasonati (Siniscalchi, Camiceria Ambrosiana, Red and Blue -che vende anche altro abbigliamento- per citarne alcuni) ma hanno prezzi elevati, parliamo di un minimo di cinquecento scudi a salire (anche il doppio), se tocchiamo tessuti con titolo alto (180/200 in sù) prodotti da cotonifici quali Alumo o Riva. La mia esigenza era principalmente di trovare una camiceria che lavorasse tutto rigorosamente a mano e artigianalmente, senza spendere quelle cifre, dunque. Ho frequentato luoghi che ho scoperto nei miei errabondaggi per le Lavagne e nella stessa Milano: il famoso negozio di tessuti "Il vecchio drappiere", tempio magnifico dominato da questo forte aroma di lana mista a saggezza e silenzio,l'ho conosciuto proprio qui; altri negozi importanti nel mio percorso sono stati "Clerici" in via Dante, con una splendida parete ricolma di stoffe, fino al soffitto. Parete ricorrente anche presso la "Teleria Spadari", dove però non hanno Alumo, cotonificio che personalmente ritengo molto valido per la maestria nel lavorare i titoli più elevati, che hanno una mano sublime declinata nel twill, che amo molto, e nel popeline. Proprio tramite Clerici ho trovato il giovane Maestro che taglia le camicie che indosso. Citando il Gran Maestro: "Questa è un’accademia, dove si presentano lavori anche piccoli, ma compiuti e verificati". Ritengo dunque di poter dire, dopo aver verificato per l'appunto, che le camicie del giovane artigiano Michele Mercurio di Cormano siano di suisita fattura, ai miei occhi. Assoluta disponibilità alla personalizzazione, c'è proprio da sbizzarrirsi nel definire qualsiasi aspetto possibile ed immaginabile. Il giovane artigiano è sempre disponibilissimo, prontissimo a soddisfare qualsiasi richiesta: ricordo di avere ideato con il suo prezioso supporto il collo per una mia camicia da smoking, scambiandoci fotografie della teletta di prova del collo che avrei provato da lì a breve,addirittura via e-mail. Particolari quasi introvabili sulla piazza di Milano, sono poi le asole a mano, croce e delizia dell'appassionato, anche perchè ho sviluppato una vera e propria mania per le asole a mano e la loro incantevole forma, così solida e cartilaginea al tatto,che è pura estasi, quando si affaccia dallo sparato. Non ho mai chiesto ribattiture a mano del giromanica e di altre parti, perchè così com'erano mi hanno sempre soddisfatto appieno e non ne ho sinceramente sentito l'esigenza. Senz'altro avrò tempo per capire la vera natura di questa richiesta, negli anni a venire. Bottoni rigorosamente in madreperla australiana, cuciti a scelta fra zampa di gallina, binario o croce. Personalmente preferisco la cucitura a binario, più silenziosa. Mi ha colpito davvero questa tangibile volontà di poter chiedere davvero di tutto al Maestro: con il sarto dal quale mi sono fatto tagliare un abito, persona alquanto in là con gli anni, ogni mia richiesta doveva essere imposta con uno sforzo notevole, e capitava talvota che qualcuna di queste richieste venisse ignorata. Aggiungo anche che prossimamente il Maestro Mercurio parteciperà all'evento Dress Code di Bologna, avendogli io segnalato questo sito, fonte di arricchimento spirituale per tutti noi assetati di conoscenza. Lascio infine i recapiti del Maestro a disposizione di tutti: Michele Mercurio - Via Cadorna 63 - Cormano (MI) Cellulare 3921912023 Sperando di aver portato la mia pietra al Castello, seppur piccola, porgo cavallereschi saluti. Alessio Giambersio. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-10-2010 Cod. di rif: 4418 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Imperfezione sublime dell'harris tweed - Risp. Gesso 4417 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, leggo tra le righe che stavolta Le andrebbe proprio di farsela cucire con le tasche tagliate, la giacca di tweed di cui parla. Nessuno potrà dire che non sia una buona idea, specie avendone un'altra con le tasche a filo. Quest'ultima è la soluzione preferibile, in quanto la giacca di tweed mal sopporta i soprabiti. Volendo stare all'esterno e da sola, deve essere un po' ampia nei volumi. In quelli del corpo, per poterci indossare anche un pullover, ma anche in quelli delle tasche, per aver modo di portare con sé qualcosa in più. Questi capi, infatti, vanno usati con estrema disinvoltura e senza tante cautele. Non c'è nemmeno bisogno di commissionarle a grandi sarti. Purché sia artigianale, va bene anche un modello un po' goffo. La classe è già stata rivelata a monte, nella scelta del tessuto e della foggia, non serve che la linea sia quella di un grande abito formale. Direi che è addirittura possibile che troppa vigilanza snaturi la giacca di harris, perché la sua essenza è nella distratta nonchalance del gentleman farmer e non nella concentrata competitività dell'esteta di città. Cavallereschi saluti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 11-10-2010 Cod. di rif: 4420 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Tweed e fodere Taccuini 5388 e 5389 Commenti: Illustre Gran Maestro, giacché in questo momento al Castello si parla di tweed (ed ognuno può vedere come sia cosa buona e giusta), ne approfitto per porre un breve quesito, legato peraltro alle immagini da Lei recentemente allegate nel Taccuini cui fa riferimento questa mia. Ambedue le foto, infatti, riproducono giacche sfodere. Personalmente - confortato anche da un Suo parere che mi pare andasse in questo senso, ma che una ricerca frettolosa non mi ha fatto ritrovare - ho sempre pensato che una fodera il più possibile raffinata, e direi persino, opulenta rappresentasse il giusto contraltare all'esteriore ispidezza dei tessuti con dichiarata vocazione da esterno. Ciò sia per - frivole? - ragioni di piacevolezza del contrasto, sia per un più serio motivo di fondo: che, cioè, un "cavaliere" (posso per un istante appropriarmi del termine?) - per quanto si misuri su terreni sempre diversi - rimane, al fondo, sempre se stesso, ciò che suggerisce l'opportunità che anche l'armatura riceva solo quei ritocchi che siano di volta in volta strettamente necessari per partecipare all'impegno che si intende onorare. Se, dunque, il richiamo di attività "esterne" e dinamiche mi spinge verso la fascinosa ruvidità del tweed, non ho però motivo di cambiare il mio contegno "interno" e posso continuare a lasciarmi blandire dalle sete (se ne ho l'abitudine). Sbaglio? Con i migliori saluti, Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: giovanni Pollicelli Data: 15-10-2010 Cod. di rif: 4423 E-mail: g.pollicelli@sistemi-integrati.com Oggetto: il sassolino di Davide Commenti: Non posso che condividere parola per parola il gesso del cav. Arcangelo Nocera, con il quale lo scorso sabato ho avuto una piacevolissima conversazione sulla nota questione, avendo così modo di apprezzarne, oltre che la già nota competenza in materia di tessuti, anche il garbo e la gentilezza. Solleticato poi dalla più che meritata punzecchiatura rivoltami dal sommo Dante De Paz, circa il fatto di essermi limitato a sollevare un polverone senza poi dare alcun ulteriore contributo, cerco di venire fuori elegantemente dal problema, ponendo un paio di ulteriori domande al Rettore della porta, che sono certo, riusciranno ad alienarmi completamente le sue residue simpatie: i problemi da superare per riportare in vita certi tessuti sono di natura esclusivamente tecnica (mancanza di filati, telai, etc.) o di natura prettamente economica (necessità di raggiungere ordini importanti, per sucitare l'interesse commerciale di qualche tessitura)? Infatti, se la problematica fosse di natura esclusivamente tecnica, non resterebbe che farsene una ragione (cuoio di russia docet) ma, se come mi auguro, la questione fosse di natura economica, forse non tutto è perduto e bisognerebbe cominciare a contarsi. Specialmente oltremanica per quel poco che ho avuto occasione di conoscere, sono molto pragmatici (quel che importa è la somma finale dell'addizione) e, per dirla fino in fondo, dubito anche che di certi tessuti improbabili che pullulano nei campionari, se ne consumino chilometri. Cavallereschi saluti Giovanni Pollicelli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 17-10-2010 Cod. di rif: 4425 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Scarpe in cuoio di Russia Commenti: Sono un possessore di scarpe realizzate in cuoio di Russia, quello originale, realizzate da un maestro calzolaio marchigiano, anche perché quelle vendute pronte nell'unico negozio di Londra ove sono reperibili, mi avevano sconcertato per la fattura abbastanza rozza. Ritengo che intorno a questo pellame sia stata costruita un'aura che, al dunque, esso non merita. Il cuoio di Russia, arrivato secco in Italia, lo abbiamo trattato chi con delle creme particolari, chi addirittura con delle creme farmaceutiche per rigenerare l'epidermide umana colpita da ustioni. Questi trattamenti lo hanno sicuramente molto migliorato ed abbiamo superato abbastanza agevolmente il problema della secchezza del pellame, che ha dato vita a delle scarpe ceh no presentano alcun tipo di problema estetico e di usura. Ma, al dunque, è un pellame col quale si può realizzare un tipo di scarpa abbastanza rustica, per un uso assai limitato. Possiedo, per una mia insana passione, numerose paia di scarpe realizzate su misura da vari calzolai italiani in cordovan, in alligatore, in coccodrillo, in lucertola ... Dopo tanto peregrinare e provare (e spendere), sono giunto alla conclusione che i migliori pellami per calzature maschili di classe sono i vitelli provenienti dalle grandi concerie francesi, italiane e tedesche. Persino il cordovan si è rivelato una delusione per l'uso formale urbano, che è quello che per me è più frequente. Un qualche pregio, a mio parere, lo conservano i rettili, considerata la grande freschezza che garanticono al piede. Tuttavia non mi pare che il rapporto qualità/prezzo giustifichi quegli acquisti e comunque un paio di scarpe in un qualsiasi rettile, ancorché ve ne siano di eleganti in commercio, restano un pochino vistose. Mi ritengo un consumatore maturo ed ormai esperto. Secondo me il cuoio di Russia genera tante aspettative ma non mantiene le promesse. Vedo che le grandi intramontabili scarpe in vitello dei vari Jonh Lobb, Peron e prodotti simili sono insuperabili. Ad majora. Cavallereschi saluti. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-10-2010 Cod. di rif: 4433 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tessuti tradizionali Commenti: Illustri Cavalieri, Egregi Visitatori da Villa a Pollicelli, da Nocera a Fontana, il Dottissimo Rettore ci rammenta che il panorama tessile non è compromesso in maniera massiccia come quello del vino o totale come quello dell'auto. I vini veri scarseggiano, le vere auto sono scomparse, mentre restano ancora molti tessuti autentici, cioè aderenti alla loro specifica tradizione e natura. Come tali, sono completamente compatibili con la sensibilità cavalleresca. Sono contento di sentire tanto interesse intorno ai tessuti tradizionali, in quanto tutto il mondo maschile è in essi concentrato e riassunto. Gli spinosi Harris,i massicci scottish tweed, le carnose flanelle, i rigogliosi lini, i secchi chambrai, le mutevoli massaua, gli affidabili cheviot, sono come un distillato ed insieme una mappa dell'immaginazione virile classica. Non ne sono il prodotto, ne sono il simbolo. Tornerò, di concerto con il Dottissimo Rettore, ad investigare sulle possibilità di produrre, anzi ri-produrre, qualche campione del passato, come la delicata flanella proposta dall'Illustre Pollicelli. Presto farò sapere qualcosa. Comunque vada, ricordo che nella via cavalleresca l'importante non è tutto avere, ma correttamente desiderare. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-11-2010 Cod. di rif: 4450 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Torniamo sulla Massaua Commenti: Egregi Signori Fontana e Pugliatti, Illustri cavalieri Villa e D'Agostino, proprio per il suo umile utilizzo nell'abbigliamento destinato ai lavori pesanti, la Massaua è spesso detta tela, ma in realtà si tratta di un tessuto armato a saia (2-and-1 twill) e non di un plain weave (1 and 1). Il materiale non viene degnato di alcuna considerazione dal "Dizionario Internazionale dei tessuti" di Ettore Bianchi, mentre è così definito ne "Le parole della moda - Dizionario tecnico" di Antonio Donnanno: "MASSAUA - Tessuto pesante di cotone, a struttura serrata, a righe diagonali, ruvido al tatto, usato particolarmente per la confezione di tute, divise coloniali ed abiti da lavoro" Anche il Donnanno, quindi, parlando di "mano ruvida" conferma implicitamente che si tratta di un cotone cardato. La presenza di una diagonale indica con la stessa certezza che siamo di fronte ad un twill e non ad una tela. L'Autore, forse per motivi di brevità, riunisce la Massaua blu da lavoro a quella verde da divisa. In effetti si tratta dello stesso tessuto e quindi tecnicamente non è un errore, ma lo "spirito" del tessuto è molto diverso. Il primo è un materiale attivo, da marinai, il secondo è più contemplativo e nostalgico, da intellettuali a passeggio. Il blu è indicato solo per pantaloni, mentre il verde si presta ai completi. Naturalmente nulla vieta di farsi confezionare una giacca in Massaua, ma poiché vediamo già tante cose simili tra le giacche di nuova generazione bisogna fare una scelta e dire a se stessi dove si sta e con chi. Utilizzare per un capospalla materiali nati per pantaloni con cui sedere in terra come i jeans, per le tute a cappuccio delle palestre come la felpa, o per il tennis come il nido d'ape, è un'operazione da stilisti. Se si crede nell'estetica classica, il cui fascino e valore non sono scindibili dai limiti che si impone, questo tipo di avventure sembra un saccheggio più che una scoperta. Torniamo alla Massaua, un povero e modesto prodotto che ha suscitato così tanto interesse. Ciò che va aggiunto alla definizione del Donnanno è che un fattore determinante per l'evoluzione del colore e quindi per la natura della Massaua è la tintura in pezza. Quanto alla reperibilità, non ho buone notizie, L'ultima vera Massaua la comprai una quindicina di anni fa ed era già una rimanenza. Costava veramente poco, troppo poco per apparire interessante a chi non la conoscesse per i suoi meriti. Ogni pezza misurava solo una quindicina di metri ed era legata con un nastrino rosso. Ricordo che su questo nastro era dichiarato il nome del produttore. Si trattava di una ditta toscana, ma non ho più idea del suo nome. Pippo Dalla vecchia, Presidente del RYCC Savoia ed ostinato amante della Massaua, mi disse qualche anno fa, nemmeno troppi, che ne aveva trovata in una merceria di Capri alle spalle della Piazzetta. Credo che oggi non esista più né la merceria, né la Massaua blu, mentre in Kenia si trova ancora quella verde. A chi si recasse a Nairobi in cerca di Massaua, ricordo che la tradizione richiede che il taglio venga immerso lungamente nell'Oceano Indiano e poi energicamente risciacquato. Purtroppo i cotoni cardati sono praticamente scomparsi dalla camiceria, mentre nella confezione di abiti e pantaloni ne resta in vita solo uno: il denim. Ci si chiederà come mai quest'ultimo, pur essendo il tessuto più comune al mondo, non ispiri le tessiture e i confezionisti a produrre e chiedere altri cotoni cardati. Non ci sono risposte conclusive, perchè la fine di un gusto o l'estinzione di una specie non hanno mai motivi del tutto chiari. Diciamo che un mondo che può mettere l'aceto balsamico sulla tavola di un fast food non ha più voglia di cardati. Una volta pochi possedevano più di una camicia nuova e molti ne avevano solo di logore, perché il cotone costava e quello pettinato molto di più. Oggi, potendosi permettere a basso costo i pettinati, il pubblico non vuole saperne di pezzenterie ruvide e grossolane, che gli ricorderebbero tempi di miseria. L'importante eccezione dei jeans è dovuta alla loro immagine. Diffusisi ai tempi delle controculture, conservano un'identità giovanile che è un salvacondotto sicuro. Insomma, prima di veder tornare la Massaua, dobbiamo aspettare che sulle copertine delle riviste tornino i cinquantenni brizzolati. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabrizio Beggiato Data: 23-10-2010 Cod. di rif: 4436 E-mail: beggiato@lettere.uniroma2.it Oggetto: Impermeabile WATRO Commenti: Gentili Signori, ho posseduto un impermeabile Watro di cotone leggero assai piacevole da indossare, pratico e davvero impermeabile. Ormai non è più utilizzabile e vorrei tanto trovarne un altro, abito a Roma e ho provato da Cenci a Campo Marzio ma è un articolo che non hanno più: sareste in grado e così gentili da indicarmi a chi potrei rivolgermi? Vi ringrazio molto per l'attenzione che vorrete dare alla mia richiesta e vi invio i più cordiali saluti, Fabrizio Beggiato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 19-12-2010 Cod. di rif: 4460 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Cappelleria a Roma Commenti: Segnalo la scoperta di una cappelleria a Roma ove si realizzano su misura lobbie, bombette, cilindri ed altri cappelli e copricapi. Naturalmente vi si vendono anche articoli già confezionati. La cappelleria, che serve sia uomini che donne, si trova in Roma, Via degli Scipioni n. 46, non lontano dal Vaticano, ed è gestita da una donna che ha realizzato anche opere su disegno di Capucci, esposte a Pechino. Il sito internet è un po' scarno, ma può essere di qualche utilità: www.antica-cappelleria.it/ Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-02-2011 Cod. di rif: 4468 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: La salvezza non è nel cilicio - Risp. gesso n. 4467 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, anche se la continuità tra pinces della giacca e pieghe dei pantaloni è potuta apparire particolarmente composta ed armoniosa, preferisco pensare che a generarla sia stato il caso. Ricercarla con metodo ha comunque scarso significato. Innanzitutto, lo stesso sforzo potrebbe non dare risultati apprezzabili con altre combinazioni e materiali. In linea generale, poi, non è per il cilicio delle registrazioni micrometriche che passa la via verso l'Eleganza. Ho conosciuto diversi clienti di sartoria molto legati alle misure. Molti anni fa c'era un cliente del Maestro Pirozzi che si faceva realizzare decine di abiti all'anno, o meglio si faceva realizzare lo stesso abito decine di volte all'anno. Infatti era tra coloro che sceglgono privilegiando il gusto del momento, senza una selezione meditata secondo le esigenze. Così, ogni anno, si faceva l'intera mazzetta dello stesso tessuto di quello prima. Stesso peso, stesso filato, ad ogni stagione cambiava solo il disegno, che lui si faceva cucire in tutte le varianti. Ebbene, su ciascuna giacca andava a misurare, con un metro che portava egli stesso in tasca, le quote che riteneva più importanti. In particolare la lunghezza della spalla e l'apertura in alto dei quarti posteriori. Si illudeva così di tenere sotto controllo il sarto e di fargli realizzare giacche sempre uguali alla prima, che lo aveva fatto innamorare. Naturalmente non si accorgeva che così facendo assolveva il sarto dal difficile compito di mantenere costante una linea, per consegnargli quello, molto più facile, di rispettare qualche quota fissa. Le misure, infatti, si mantenevano sempre uguali, le giacche per niente. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-03-2011 Cod. di rif: 4472 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fodere - Risp. Gesso n. 4469 Commenti: Egregio signor Limardo, nella Tradizione Classica, la fodera di manica è a righe. Le grandi sartorie hanno sempre avuto ed hanno ancor oggi colori specifici, distintivi, ma sempre con fantasia a righe e per lo più in pura seta. I sarti che non hanno la mentalità per far produrre un disegno esclusivo per le maniche, fanno ricorso talvolta a foderami "parlati", cioè con il loro nome. Spesso ne viene fuori una cosa di cattivo gusto. Insomma, le fodere delle maniche hanno un'indipendenza rispetto al tronco sancita dalla storia. Una manica di Rubinacci o di Caraceni avrà gli stessi colori con qualsiasi colore di fodera interna, a meno di richieste difformi. Nei casi in cui non ci sia una fodera della casa, la scelta di un classico rigato con un po' di giallo e una bacchettina grigia o nera è tranquillizzante, maschile, perfetta nella sua silenziosità che non è banalità. Volendo, si possono armonizzare corpo e maniche scegliendo per queste ultime un bacchettato coordinato alla fodera degli interni. Siamo comunque in un'estetizzazione che non è né giusta né sbagliata, è semplicemente personale. Può comunque dare risultati eccellenti. Purtroppo non esistono più le mercerie di un tempo, ben assortite nei foderami, quindi la strada non è facile a percorrersi. Un sarto accorto e dinamico, comunque, saprà offrirLe valide alternative. Quanto alle tasche interne, l'assetto più equilibrato ne a destra una sola, profonda 16 cm (o più se vi si ripone un portafoglio lungo) e chiusa da una pattina a bottone: A sinistra si aprono una tasca aperta, profonda circa 15 cm, nonché un piccolissimo taschino della stessa lunghezza, atto ad ospitare la penna. Dallo stesso lato, in basso, si aggiunge talvolta una tasca quadra di piccole dimensioni, per i biglietti da visita. Naturalmente, per capi che si usano in viaggio, si possono far tutte chiudere da pattine, che invece risulterebbero assurde su qualsiasi giacca molto formali. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-04-2011 Cod. di rif: 4484 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Camicia celeste con dinner jacket. Una lettura cavalleresca Commenti: Squisiti Visitatori e Cavalieri, la valutazione della camicia azzurra con giacche da sera va qui vista alla luce del metodo cavalleresco, secondo il quale i capi contengono almeno due ordini di significati. Quelli intrinseci sono loro conferiti dai materiali e dalle fogge. Infatti pesi, colori e rispondenza alla luce hanno di per se stessi un carattere simbolico universalmente comprensibile, almeno all'interno della cultura Classica , così come certi volumi, linee e modelli dichiarano chiaramente un destino. Le code leggere del frac sono fatte per volteggiare ai balli, la ruvidezza igroscopica delle lane scozzesi per l'aria aperta e così via. Vi sono poi i significati estrinseci, immessi dalla storia. In essa sono determinanti innanzitutto il luogo e data di nascita, che determinano il carattere archetipico, nonché l'uso, che conferisce quella che potremmo chiamare l'educazione, in quanto si tratta di acquisizioni successive trattenute dalla memoria e restituite dalla tradizione. Ciò premesso, alle origini del Classico la camicia maschile era prevalentemente bianca, colore che diventava categorico per tutte le occasioni formali. Ma come sappiamo il Classico fu la traduzione estetica di un'aspirazione alla Libertà ed alla Felicità all'interno di una condotta Morale che prevedeva il senso della Responsabilità e del Limite, cinque parole che non a caso dopo la sua morte vengono pronunciate sempre meno e con un certo fastidio. Per tutti i novanta anni del suo dominio, quindi della sua vita, il Classico tese sempre ad allontanare quel Limite senza mai pensare di cancellarlo, in quanto vi riconosceva da un lato il suo cruccio e dall’altro la sua struttura. L’Uomo Classico sentiva dunque la forma come l’architettura stessa del suo mondo, ma non per questo rinunciava ai cambiamenti. Fogge materiali sempre nuovi consentivano di adeguarsi a nuove abitudini. Con l’evoluzione della musica, della mondanità e del rapporto tra maschio e femmina, la sera diveniva sempre più articolata. In ordine di rigidità protocollare vi si potevano distinguere i ricevimenti a carattere cerimoniale, le grandi feste mondane e le situazioni quotidiane in cui era il luogo e non l’occasione a dettare il dress code. Il numero e la rilevanza delle innovazioni introdotte segue lo stesso ordine. Le cerimonie sono restate praticamente identiche nelle grandi linee, anche se i dettagli vi hanno sempre fatto la differenza. Le occasioni mondane hanno visto cambiamenti rilevanti ad ogni decennio e quelle quotidiane hanno vissuto interpretazioni infinite. Tra queste, prima o poi, ci sarà stata quella di una camicia celeste. Se anche quella commentata nel Taccuino e poi nella Lavagna non fosse veramente tale, è ragionevole credere che qualcuno ci avesse pensato e l’avesse usata comunque. Infatti la gente dei night club, degli alberghi del jet set, dei bar internazionali delle città e delle località di vacanza, diventava sempre più aperta a considerare la sera come un momento in cui fosse lecito far giocare l’invenzione nella squadra della tradizione. In conclusione, la camicia azzurra sotto una giacca da sera sarebbe blasfema ad una prima alla Scala o al ricevimento che segue un matrimonio importante, mentre godrebbe delle credenziali classiche se indossata in occasioni a carattere molto disinvolto, dove naturalmente andrebbe ad abbinarsi a soluzioni in cui il cromatismo coinvolge anche il resto e non come mera sostituzione del bianco con l’azzurro. Il problema è che mancano sempre più le occasioni di giocare con l’abbigliamento in modo così raffinato. Il rischio non tanto quello di rendersi ridicoli, quanto di restare delusi, perché la grande soddisfazione del linguaggio del vestire è nel sentire che la propria frase estetica viene compresa, anche se criticata. Dopo la Morte del Classico, la disinvoltura si esprime in ben altro modo che con giacche burma o avorio. L’homo gymnicus non cambia la camicia, la toglie direttamente e la sostituisce con una polo o col torso nudo e decorato da tatuaggi. Dunque il problema attuale non è se la camicia azzurra sia lecita dove altri hanno la cravatta nera e la camicia bianca, bensì dove mai sia possibile indossarla congruamente, cioè mantenendo il suo spirito. Se qualcuno conosce locali dove si incontra gente come quella che si vede nell’illustrazione del Casino Theatre di Newport riportata dal cavalier Nocera con l’Appunto n. 5537, me ne comunichi subito l’indirizzo. Mi ci vedrà domani stesso a bere, fumare e, in onore di questa piacevole conversazione, indossare una camicia celeste con adeguati accessori. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-05-2011 Cod. di rif: 4494 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Titoli ed esami - Risp. Gesso n. 4491 Commenti: Egregio signor Volponi, la foto all'Appunto n. 5565 mostra un Carlo molto avanti nella strada del vestire. La scarpa è quella giusta e tutto appare sereno, quasi scontato, ma lo stile non manca. La sua attitudine alle maniche corte trasforma, visto che nella giacca da sera può farlo, la bottoniera della manica in un paramano guarnito. Con questo particolare, che praticamente rappresenta un risvolto, è naturale accorciare di un altro centimetro il tubo senza dare nell'occhio.La pochette trasgredisce il bianco per ricordare l'amore del principe per le sete stampate ed il nodo del papillon è minuscolo e serrato, come quelli delle sue cravatte. Dalla giacca del fresco sposo non fuoriesce invece nemmeno un po' di bianco di camicia, mancanza piuttosto grave. L'ultimo bottone è troppo, troppo in basso per allacciarlo. Il sei bottoni vuole offrire la stessa apertura di un quattro, così tutto il davanti scende e perde equilibrio. Il bavero si trova ad annaspare in una zona della giacca in cui non emerge e quindi non respira. La scarpa ha un broguering che non c'entra niente con la gran sera. Sarebbe un disastro, se non fosse che la gioventù e la buona volontà assolvono tutti questi peccati. L'aspetto non è degno di un principe con un sangue così ricco di esempi di eleganza, ma resta l'immagine di un giovane che va ad una festa in modo degno. Il sacrificio alla tradizione è sufficiente a mondare gli errori, che sono più delle omissioni che delle scelte tracotanti e offensive del buon gusto. In conclusione, con una base così vedo moltissimo margine di progresso. Va comunque detto che non possiamo giudicare gli abiti di un uomo e non gli uomini dai loro abiti, specialmente quando essi non affidano all'abbigliamento il compito di rappresentarli. Finora sembra che William, a differenza del citato Lapo, non dia eccessiva importanza al vestire. Quindi apprezziamo il suo compitino e, laddove non raggiunga la sufficienza, promuoviamolo per titoli se non per esami. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-05-2011 Cod. di rif: 4499 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Oggetti da polso non identificati - Risp. Gesso n. 4498 Commenti: Egregio signor Reina, quanto al bracciale di Carlo, posso solo dire che ho visto anche altri personaggi noti e/o curati e/o di grande spessore portare al polso cose strane, dai braccialetti brasiliani alle molle da cancelleria. Ad esempio sono abituato a vedere Mariano Rubinacci portare al polso più di un legaccio rosso. Non gli ho mai chiesto quale fosse il motivo di questa "penitenza", visto che l'intento non può essere certo decorativo. Ancor meno so degli accessori da polso di Carlo, ma per non lasciare nulla di intentato chiederei all'Illustre Cavaliere Nocera, abile internauta e buon poliglotta, di chiederlo direttamente a Sua Altezza il Principe tramite il suo sito. Dal canto mio, forzerò la naturale discrezione tra uomini e chiederò, in nome della scienza, il significato dei legacci rossi di Rubinacci. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-05-2011 Cod. di rif: 4496 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Qualità: riproduzione sessuata o clonazione. Risp. G. 4493 Commenti: Illustre Cavalier Cantile, sono desolato dalla sorte di A. Pesce. A parte la scelta impeccabile di capi ed accessori contemporanei, è stato un negozio speciale nel trattamento delle reliquie di un tempo che, anche se materialmente non lontano, spiritualmente e quindi storicamente è al di là di un baratro. Grazie ad una clientela di alto profilo e ad un gusto impeccabile, ha saputo valorizzare al meglio le sue scorte di cravatte, cappelli, impermeabili vintage, oggetti che altrove sarebbero stati fondi di magazzino mentre lì erano pezzi d'autore. Non so se credere alla storia del negozio venduto senza prelazione, ma di certo la chiusura di una ditta così seria è una perdita per la città, per il Paese, per tutti. Più di ogni altra città d'Italia, Genova vanta ancora numerosi dettaglianti specializzati, insegne illuminate dalla sapienza e non dal neon. Non a caso è a Genova, presso l'antica ditta Crovetto, che il 10 Aprile del 2009 abbiamo tenuto una sessione di confronto sul tema dei Negozi d'Epoca. Le conclusioni cui giungemmo sono alquanto delicate da riassumere. Occorrerebbe partire da concetti di liberismo e libertà che, appena li si tocca, lasciano addosso un lezzo di politica inaccettabile al castello, anche se deodorato dalla filosofia. Qualcosa si può comunque dire. Innanzitutto che solo i ricercatori più avanzati - praticamente noi - hanno assunto consapevolezza della morte e del valore del Classico. Pochissimi, dunque, si rendono conto che un certo tipo di commercio rappresentava il cardine centrale di un sistema antichissimo. Grazie alla sua credibilità ed iniziativa, era il mercante a mettere in collegamento produttore e consumatore. Meglio selezionava i fornitori, più poteva contare su una clientela selezionata. La crescita dei monomarca e degli outlet mostra la tendenza ad un rapporto diretto tra produttore e consumatore. E’ la comunicazione, la pubblicità diretta o indiretta finanziata dallo stesso produttore, che orienta la clientela. Questo circuito apparentemente corto è in realtà molto oneroso. Spreca risorse che deve per forza tagliare a valle, sui costi di produzione e quindi incidendo sulla qualità. Le dimensioni di questo tipo di imprese devono forzatamente crescere, a danno delle realtà di piccole dimensioni. Poiché i sistemi di scala non possono convivere con quelli basati su rapporti personali, dedicare attenzione solo ai primi significa giudicare immeritevoli i secondi e condannarli all’estinzione. E sul fatto che l’economia di scala sia ben protetta non c’è dubbio. Le leggi di tipo anti-trust sono infatti ispirate dal suo interesse a mantenere la concorrenza, considerando tale e degna di tutela solo quella con un determinato livello di investimenti. Senza interventi pubblici, non è possibile conservare il commercio tradizionale al dettaglio più di quanto non sia oggi possibile conservare una foresta se non dichiarandola Parco Nazionale, o un palazzo privato del centro se non dichiarandolo Monumento Nazionale . Purtroppo queste benedette Nazioni vedono il danno universale dell’estinzione delle specie animali, della demolizione o snaturamento del patrimonio architettonico, ma non possono percepire la perdita derivante dalla scomparsa di pellami, feltri , bottoni, tessuti, filati, pomodori, vernici e tanti altri oggetti minuscoli, sino alle viti e ai chiodi. Eppure, come sono i piccoli insetti a impollinare boschi e praterie, così era il piccolo, esperto, colto, oculato dettagliante a tenere in movimento il circuito della qualità. Ma oggi si può fare a meno di questo impollinatore perché la qualità non si riproduce più con un metodo (che potremmo definire sessuato) basato sui rapporti, sulle domande, sulle richieste speciali. Può essere agevolmente clonata, smontata e ricostruita da disciplinari, certificazioni, premi, guide o concorsi. Il cliente ne ignora il senso, ma non può saperlo perché l’informazione ha preso il posto del sapere. Il sistema è sempre più orientato ai self service dove c’è solo acquisto, perché la vendita si fa altrove, con la grande comunicazione di massa. Non ci si rende più conto che la qualità ha bisogno di varietà e la varietà di selezione. Questo fu il meccanismo che produsse i capolavori del gusto. Sulla fine di questa storia l’Ordine non può e non vuole incidere. Noi dobbiamo comprendere quanto non era stato compreso e così trasmetterne il significato laddove sia impossibile – come in questo caso – salvare una cosa. E’ così che facciamo i Guardiani. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-06-2011 Cod. di rif: 4504 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Seta e galloni nello smoking - Risp. gessi nn. 4502 e 4503 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, egregio signor Volponi, una tenuta da sera si concepisce secondo gli stessi criteri di qualsiasi altra. La foggia e i materiali, che tra essi hanno dei legami da tenere nel massimo conto, dovrebbero armonizzarsi allo scopo sociale dell'abito, alla stagione, all'ora. Anche se qui parliamo solo di abiti da sera, guardando più da vicino ci si accorge che le sere non sono poi tutte uguali e quindi la molteplicità si ripropone. In estate sono molte le occasioni in cui l’abito da sera si indossa per poi intrattenersi restando la maggior parte del tempo in piedi. Feste e trattenimenti danzanti sono in genere completati da servizio a buffet. In inverno, regno delle riunioni e cene sociali, delle prime teatrali ed altre cerimonie, si resta seduti per la gran parte del tempo. Dunque nella bella stagione è normale orientarsi verso tessuti leggeri non solo di peso, ma anche di aspetto e di spirito. All’inverno si addice una maggiore gravità, il che significa minor risposta alla luce. E’ ovviamente una lettura di massima, che serve solo a dimostrare che il punto di partenza è sempre il contesto. Scelto il tessuto, la seta dei baveri ne è una conseguenza. Una stoffa molto luminosa vorrà il raso, una matta il canneté. La foggia a doppio o singolo petto non influenza direttamente né la seta né il gallone. Quest’ultimo si abbinerà piuttosto all’aspetto dei baveri, ripetendone lo spessore e la luminosità. In età classica esisteva una varietà di sete e di accessori infinitamente superiore. Nel Laboratorio di Eleganza sulla Giacca, tenutosi da Marinella il 29 Settembre del 2000, presentammo una campionario per sarti degli anni ’50 in cui figuravano, tra le altre cose, almeno quaranta tipi diversi di gallone. Qui debbo fugare una perplessità del signor Volponi. Il gallone non si ricava dalla pezza, è una guarnizione realizzata indipendentemente e con formato a nastro. Anche le sete dei baveri si presentavano all’epoca con molte sfumature costruttive. Le foto dell’evento in oggetto (http://www.noveporte.it/eventi/foto_giacca.htm#) non illustrano questi specifici campionari. Si vede però una cartella di bottoni in corno così completa da dare la sensazione della vastità e varietà della sartoria e dell’estetica in generale in età classica. I bottoni in tessuto sono una sicurezza, ma a dire il vero la tradizione li vede elaborati in modo indipendente come i galloni e non meccanicamente ricoperti come è avvenuto in tempi più recenti. Sono una soluzione abbastanza sicura, ma in certe situazioni, come per esempio gli smoking in mohair, sembrano preferibili i bottoni rigidi a tazza. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Antonio De Giorgio Data: 04-07-2011 Cod. di rif: 4506 E-mail: antoniodeg@live.it Oggetto: passante cravatta Commenti: Egregi Signori, sono un giovane di venticinque anni che da poco – complice fa fine degli anni universitari e l’inizio dell’attività lavorativa – ha scoperto il vero vestire. Vi seguo ormai da mesi e nel mio tempo libero sto ripercorrendo questa lavagna, gesso dopo gesso, parola dopo parola, cercando di apprende il più possibile, nella speranza di poter mettere in pratica, il prima possibile, le mie idee e tutti i Vostri consigli. Soprattutto a Voi e alle Vostre illuminanti parole devo questa mia nuova irrefrenabile passione nata all’improvviso. Per ragioni varie, sto muovendo i miei primi passi solo nel settore delle camicie e delle cravatte, ed è proprio in ordine a quest’ultima che avrei una domanda da porVi. Guardando sia le foto presenti del taccuino sia molte persone che incontro durante il giorno, ho notato che spesso la gambetta sottile della cravatta non viene inserita nel passante presente nella parte posteriore della gamba larga. Vorrei, quindi, chiederVi se vi sono delle regole stilistiche in merito. Ringraziandovi in anticipo Vi porgo cavallereschi saluti. Antonio De Giorgio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-07-2011 Cod. di rif: 4508 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Horsebit loafer - Risposta al Gesso n. 4507 Commenti: Egregio signor Frey, dal ritmo che imprime alla parola ed all’azione, Lei è certamente molto giovane. Comprendo l’entusiasmo, non la fretta. Il mocassino di Gucci esiste da quasi sessanta anni e non c’è pericolo di restare senza. Anzi, da quando la casa è diventata un trofeo nella collezione del gruppo PPR (1999), di mocassini col morsetto ne nasce ogni anno qualche nuovo modello. Dunque possiamo prenderci un po’ di tempo per trovare un terreno comune in cui la conversazione abbia un senso. Lei mi chiede un parere, articolo che non posso trattare. Evidentemente, anche se si rivolge a me come maestro, Lei mi considera un blogger, perché ciò che dice un maestro lo vive come verità e non come opinione. La cosa non ha importanza, io ho il dovere ed il piacere di risponderLe. Solo che parto da un po’ più lontano. Qui al castello, la ricerca e la valutazione si basano sulla condivisione delle definizioni e del metodo. Questa unità di linguaggio e di strumenti consente di avanzare senza dover spiegare ogni volta cosa si voleva dire, o premettere concetti e scopi. Poiché si tratta di un’accademia di guerrieri e non di professori, non troverà un dizionario, né un manifesto programmatico. Per appropriarsi delle frequenze necessarie a ricevere le trasmissioni, Le basterà calarsi nell’atmosfera del luogo e sapere che il suo campo magnetico è teso tra i poli dell’Onore e dell’Eleganza. Lei utilizza a più riprese questa parola - che non posso ripetere molte volte per non consumarla - per qualificare la categoria di mocassini cui è interessato. A questo proposito devo farle rilevare che, secondo la visione cavalleresca, la suprema attitudine cui ha fatto riferimento va considerata un patrimonio dell’uomo più che un carattere delle cose. Tutto ciò che esiste fa parte di una grande armonia, quindi è suscettibile di essere elegante. I massimi campioni del vestire e di altre arti hanno utilizzato materiali e fogge che prima di quella epifania non erano considerati tali, il che riporta l’attenzione sul fatto che nelle cose umane sia l’uomo a fare la differenza. Dunque Le chiedo di scusarmi se cambierò la Sua definizione in quella di mocassini importanti, attributo che indica un triplice contenuto: qualità, identificabilità, prezzo. Nato negli anni ’60, il mocassino a morsetto, o horsebit loafer, ha lo status di un classico. La sua caratteristica è sia nella ferramenta equestre sulla linguetta, copata molto e facilmente, che nella punta a volume molto ridotto, quest’ultima molto meno compresa dagli innumerevoli imitatori. Nella sua forma originaria, il modello è praticamente un penny loafer, lasciato ben solido al calcagno e affilato alla punta. Nelle versioni recenti è stata introdotta la costruzione tubolare, che però impone una suola sottile che non si coniuga affatto con l’apparato formale. Quindi la mia opinione, ovvero la verità, o ancor meglio la verità dal punto di vista dell’estetica tradizionale, è che la calzatura che ha in mente ha senz’altro un pregio estetico ed una storia che valgono il suo prezzo, ma è una scarpa di estetica post-classica, da portare senza cravatta così come usa l’uomo post-classico. Se avesse intenzione di fargli reggere un abito completo, dovrà ripiegare sui modelli più vicini alla costruzione iniziale, che comunque hanno subito alleggerimenti nel volume e nella linea tali da renderlo appetibile a palati giovani e giovanili. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-07-2011 Cod. di rif: 4510 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Non unisca ciò che deve stare separato - Risp. Gesso 4506 Commenti: Egregio signor De Giorgio, Lei che ha letto con tanta attenzione il materiale custodito in questo scrigno sa che qui di regole si parla assai poco. Solo negli ultimi tempi, in considerazione che la vita degli uomini nati, educati e maturati integralmente in età classica si va consumando e con essa la possibilità di tramandarne certi segreti, ho rivelato qua e là alcune di quelle regole che non avrei mai voluto pubblicare. Uno degli scopi del lavoro di questa Porta e dell’Ordine in generale è la trasmissione della sensibilità dell’homo elegans, al fine di far comprendere e così salvaguardare la grandezza incompresa della sua opera. Il vestire, che fu un ponte sospeso tra l’esuberante eccentricità e la meticolosa osservanza, è ora una palude di disaffezione, con qualche tratto solido lì dove il gelo dell’esibizione ha creato il ghiaccio instabile del successo. Altrove, si vede sempre più gente confinata nell’approssimazione e nel lamento. Cresciuti nell’insofferenza, costoro soffrono per un nonnulla. Hanno sempre caldo, sempre qualcosa da togliersi e da disprezzare. C’è in questa condizione un’infinita pietà, perché un così preciso assaggio dell’inferno rappresenta un’opportunità che chi ha venduto l’anima e rinnegato lo spirito non meriterebbe nemmeno. Giovane Visitatore, quelle che ha letto in tanti Gessi sono solo in apparenza osservazioni sull’abbigliamento. Se mancano i decaloghi è perché ciascuno possa affondare liberamente le proprie radici nella comune ricerca e nutrire così la pianta del gusto individuale. Questo per quanto riguarda il Suo accenno alle regole, ora veniamo alla domanda. Inutilmente cercherebbe un passante dietro le cravatte costruite sino a tutti gli anni dei Beatles. Fu nell’era del trionfo dei Bee Gees, quando il Classico già agonizzava, che questo parassita apparentemente innocuo cominciò ad appendersi alla cravatta. Piccolo e nascosto dietro la gamba, appariva innocuo, eppure seppe trasmettere e favorire una pleurite infettiva che ha decimato la specie. Subito dopo il passante, nacque l’idea di foderare la cravatta con la stessa seta dell’esterno, rendendo l’oggetto più pesante. Ulteriore peso veniva aggiunto con interni sempre più massicci, sino a raggiungere spessori inquietanti. Non parliamo del proliferare di sette, dieci dodici pieghe, con costruzioni non rispondenti alla tradizione ed agli scopi per cui queste tecniche erano nate. Conservo un paio di esemplari dell’inizio del millennio in cui la gambetta è talmente imbottita che, tenuta con una mano, si mantiene rigida come un pezzo di carne essiccata. Sino agli anni ’60, la cravatta italiana era un fenomeno milanese. La seta era per lo più stampata su seta leggera, con preferenza dei foulard e dei twill. Su questa distinzione, tanto arbitraria quanto efficace, richiamo un brano di un mio vecchio articolo chiarificatore: “A parità di armatura, definirei foulard i tessuti dall'apparenza rasata, che in genere sono i più leggeri, twill quelli in cui la cannetta è evidente e saglie quelle in cui essa assume rilievo e dimensioni tali da scorgervi facilmente l'intreccio dei fili. Il peso è intorno alle 22 once nel primo caso, dai 22 alle 36 nel secondo e dalle 32 alle 50 per il terzo”. Per capire a cosa si riferiscano questi pesi della seta, in italiano non c’è altra fonte che l’articolo integrale che trova all’indirizzo http://www.noveporte.it/florilegio/vestirsiuomo_stoffa.htm )“ . La cravatta milanese era foderata con una seta leggerissima, che combaciava a filo con l’esterno grazie ad processo delicato e difficile. Ne può vedere un esemplare magnifico all’Appunto n. 2694. Lo scopo era ottenere un accessorio leggero, sensibile. A Napoli Rubinacci otteneva lo stesso risultato con tessuti di poco più pesanti, lasciati però senza interni nella parte bassa della gamba e finiti completamente sfoderati. Veda anche gli esemplari di sette pieghe illustrati e commentati agli Appunti nn. 2677 e 2700. In tutti questi pezzi di età classica, manca del tutto il passante. In definitiva, esso tende a riunire ciò che è nato per restare separato,a legare ciò che deve restare libero, ad abbinare ciò che abbiamo tutto il vantaggio a lasciare indipendente. Se ordina cravatte su misura, chieda espressamente di non metterlo. Lì dove c’è, non gli dia alcuna importanza, come si fa con le persone che vorrebbero essere qualcosa che non sono. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-07-2011 Cod. di rif: 4513 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: L'antiformalismo neoconformista - Risp. Gesso n. 4511 Commenti: Illustre Cavalier Cantile, la lettera del signor Belelli, alia Otelma, merita una riflessione. Anche lì dove il protocollo è massimamente rigido, il dress code osserva le debite distinzioni. A cerimonie con presidenti e reali occidentali, un musulmano può ben presenziare nel costume del suo paese ed un prete nei suoi paramenti. Il punto è dunque se lo status di mago sia qualificante a tal punto. E' verosimile che il Belelli sia stato invitato come cittadino e non come mago, così come è indubbio che non si possa considerare la pratica privata dell'esoterismo alla stregua di un ministero religioso di carattere pubblico e riconosciuto. Pertanto, anche se in astratto il dress code deve tener conto delle debite eccezioni, in concreto l'atteggiamento del mago è semplicemente tracotante e irrispettoso. Malfermo nei principi, si appoggia alla crociata contro la forma in generale e la cravatta in particolare in una banalità di termini e di contenuti che ha del disgustoso. Un monito, se ce ne fosse bisogno, che l'arroganza, la vacuità e l'antiformalismo neoconformista hanno stretto intimi rapporti di parentela. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-07-2011 Cod. di rif: 4514 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Questionario agli appassionati di scarpe - Risp. Gesso 4512 Commenti: Gentilissima signorina Cingolani, la Sua tesi è nella direzione della ricerca in materia di artigianato e pertanto ho compilato con piacere il questionario proposto all'indirizzo http://edu.surveygizmo.com/s3/591237/0edc5fbedf0c In merito alla seconda domanda: "2) Qual' la motivazione principale per cui di solito si trova ad acquistare un paio di calzature classiche/eleganti?" faccio rilevare che, tra le risposte possibili, manca questa opzione sommamente importante: "Per arricchire la mia scarpiera". Infatti, tra le spinte che portano un appassionato di scarpe ad acquistarne ed ordinarne più paia di quante materialmente gli servano, c'è un fattore che potremmo definire paracollezionistico. Man mano che la conoscenza delle scarpe cresce, cresce anche la voglia di possedere una vera e quindi ricca scarpiera, cioè una raccolta che presenti una gamma quanto più possibile completa delle fogge e soluzioni più importanti, tale da presentare in qualunque momento una soluzione a qualunque esigenza. Buon lavoro e cavallereschi omaggi. Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-08-2011 Cod. di rif: 4519 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I pantaloni da boating blazer - Risp. gesso n. 4515 Commenti: Illustre Cavaliere Pacciani, all’interno dello stile squisitamente inglese l’eccentricità non è considerata a priori un elemento corrosivo. Mentre altrove è una zingara da emarginare, nel Regno Unito viene trattata come si farebbe con una principessa stravagante, che si presenti in casa altrui senza annunciarsi: assecondandone i capricci si gode della sua compagnia e del suo prestigio; scacciandola in malo modo si rimedia solo una pessima figura. Nel mondo britannico, il gioco è una parte costituente non solo del vestire civile, dove troviamo i gilet ricamati, le giacche profilate, le elaborate giacche da camera, le dressing gown sontuose e soprattutto il più radicale e infantile dei copricapi, ultima quintessenza e materia prima della fantasia: la bombetta. Pensi anche alle parrucche dei magistrati, che dovevano sembrare bizzarre già due secoli fa. Ai paramenti estrosissimi, più vicini alla carta da cioccolatini che ad una divisa, di molti corpi militari. In quale altro paese, se non in uno che raccoglie Oriente ed Occidente, avrebbero potuto vivere il sogno neoedoardiano, la sfrontatezza della beat generation, il malessere paleotribale ed iperurbano dei punk? E’ per questa naturalezza nell’osservare sempre le nuove spinte come suggerimenti e nel saperle talvolta trattenere come tradizione, che tutte le grandi tendenze del vestire del XX secolo sono nate in Inghilterra. Dove altro ci sarebbe stata tanta tolleranza e soprattutto attenzione alla bizzarria? Non tutti sanno che il blazer da circolo del remo nasce ancor prima di quello da circolo della vela. Quest’ultimo è considerato l’evoluzione delle divise sfoggiate in occasione di una visita che la Regina Vittoria rese nel 1837 alla HMS Blazer. Il primo, invece, è certamente nato dall’eccentrica scelta dei dodici giovani del St John’s College, che fondando nel 1825 il Lady Margaret Boat Club pensarono di distinguersi dandosi come uniforme sociale una giacca rosso brillante. I circoli nati successivamente in Inghilterra e negli Stati Uniti non videro in questa scelta di appariscenza za un’eresia, quanto piuttosto un’ispirazione. In merito alla Sua domanda sulla tradizione nostrana in materia, va rilevato che una tenuta di questo tipo non è assolutamente concepibile nella cultura mediterranea. In Italia, in modo particolare, il radicato sospetto per l’ordine costituito ha fatto in modo che qualsiasi istituzione civile – sia essa una scuola, un club o un’accademia - abbia sempre rifiutato o comunque avversato l’idea , così naturale nella mentalità d’oltremanica, di indossare una divisa. Figuriamoci se sarebbe stato possibile introdurne una così vistosa! I colori dei boating blazer sono vari, ma i più importanti e costanti sono nella gamma dei rossi e dei blu, spesso rigati di bianco. Nella tradizione anglosassone, che comprende anche il Nuovo Mondo, il boating blazer si porta sempre su pantaloni bianchi, almeno quando si tratti dei propri colori e nelle situazioni autenticamente sportive. Il bianco in questione non è uno qualsiasi, bensì quello che in inglese si chiama cream, che sta per panna e non per crema. E’ un avorio giovane, quindi chiaro e brillante, anche se con le combinazioni cromatiche di alcune giacche sta benissimo, se non meglio, il bianco neve. Talvolta si vede anche il beige chiarissimo, tipo chinos, ma all’aria aperta e in situazioni rivierasche i conoscitori dello stile maschile preferiranno il bianco. Quando il boating blazer si usa come capo sportivo cittadino, sarà bene orientarsi sin dall’inizio su colori compatibili col grigio per poi utilizzare pantaloni di questo colore. Debole il blu, che sopporta solo giacche a maggioranza di superficie bianca, mentre appare piacevole la combinazione di giacche a fascioni o righe bianco/blu su pantaloni Nantucket red. In ogni caso bisogna ricordare che il rosso, che sia quello salmone di Nantucket o quello rugginoso di Britannia, viene dal mare e non dai fiumi dove si corrono le bump race. Si tratta dunque di mescolare l’acqua dolce con quella salata, ma soprattutto l’energia adolescenziale ed irriverente della giacca da remo con la matura potenza del mondo nautico, o la severità paludata dei grigi da lavoro. Una bella giacca da remo accetta di buon gradio questa compagnia, se formulata con gusto e con garbo. Teniamo però sempre presenti i dodici del Lady Margaret. Cosa avrebbero pensato nel vedere la loro giacca finire sul terricolo jeans da cercatore? Si tratta di una soluzione veramente offensiva, che purtroppo figura tra le più praticate e spesso direttamente proposte da stilisti privi di conoscenza della storia e sensibilità verso gli antenati. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-08-2011 Cod. di rif: 4520 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due giacche di tweed ed un abito di lino - Risp. gesso n. 45 Commenti: Egregio signor Ettorre, benvenuto tra i tormenti e le estasi del vestire tradizionale. Da questo punto di vista l’abbigliamento è un autentico linguaggio, quindi il veicolo di un’espressione compiuta che nei casi migliori può raggiungere lo status di vera e grandissima arte. Nella cultura postclassica (che qui chiamiamo dell’homo gymnicus), che usa la tradizione come serbatoio e non come codice e dizionario, più della tenuta complessiva contano i singoli capi, i cui nomi o riferimenti hanno valore di segni. In quanto tali rappresentano dichiarazioni autonome, svincolate da una sintassi complicata come quella del Classico. Nel postclassico una calzatura ha un valore espressivo isolato e compiuto in se stesso, non diversamente da un tatuaggio o da una pettinatura. Poiché in essa conta la firma, è la scarpa di un gruppo e come tale il certificato di appartenenza ad esso. Per l’homo elegans la calzatura si definisce per foggia, materiali, cura nella conservazione. Poiché dietro queste cose ci sono scelte e comportamenti personali, ogni scarpa è quella di un singolo, come tale irripetibile. Può essere la parola in una frase, il periodo in un testo, un capitolo in un romanzo o un canto in un poema, ma in ogni caso resta la parte di un tutto e da sola non dice nulla. Anche se il contesto in cui vive e lavora La indirizza verso registri poco impegnativi, non viva mai questa necessità come un limite. L’urgenza di armonia che è alla base di questa volontà di adeguarsi senza forzare è l’arteria principale della sensibilità classica, in quanto parte direttamente dal suo cuore. Breve è la vita, lunga l’arte, sicché pochi sono quelli il cui passo è abbastanza svelto e preciso da raggiungerla. Il cammino è comunque ricco di soddisfazioni e consente di acquisire conoscenze e sicurezze estranee a quanti non ardiscono intraprenderlo. La disciplina, la passione, il tempo che si impiegano per avanzare, fosse pure in una direzione non sempre corretta, consentono di sentirsi ed essere considerati a pieno titolo membri non di una tribù, bensì di una vera e propria civiltà. Veniamo ora alle Sue domande. 1) Il Tweed è un genere che comprende tre specie, accomunate dalla provenienza da lane cardate autoctone. Ne avrà trovato ampie spiegazioni ed illustrazioni nel corso dello studio del materiale qui raccolto, ma poiché repetita juvant le rielencherò . A) Lo scottish tweed o gamekeeper, in cui si esprimono le fantasie dette district check. I gun club sono nati da questi ultimi, che ne comprendono alcuni tra i più belli. Lo scottish tweed è un twill pesante e abbastanza follato, pertanto risulta meno traspirante dei suoi cugini. B) L’Harris tweed, che è un twill poco battuto, quindi molto aerato e confortevole. Le fantasie in cui si coniuga questo materiale sono la spina di pesce, i quadri e la tinta unita. C) Il Donegal tweed, che è una tela e come tale una materia porosa. La mano di questo figlio d’Irlanda è leggermente più morbida di quella dei cugini scozzesi. Non ha fantasie, ma una gamma di colori in cui emergono fantasiose inclusioni di gemme colorate. Per le Sue prime due giacche, scelga tra queste due alternative: 1.1.) Giacca con fantasia herringbone in un Harris nei toni di un blu spento, come quella che potrà vedere all’Appunto n. 299. Giacca di Donegal nel colore delle foglie morte, che vuol dire dal beige al tabacco rossiccio. 1.2.) Giacca in Harris tweed dalla fantasia herringbone nei toni del bruciato o del bosco. Giacca in Donegal con fondo blu, del cui effetto la faccio partecipe inserendone un esempio nel Taccuino (Veda Appunto n. 5675). La giacca a quadri gun club sarà la terza e se la farà confezionare in scottish tweed, magari l’anno prossimo. Quanto ai pantaloni di velluto, l’abbinamento con il tweed richiama in modo così vivido la caccia che il loro utilizzo in contesto urbano rappresenta un virtuosismo, non consigliabile in mancanza di adeguata sicurezza. L’appariscenza che si è voluta mettere fuori dalla porta, rischia altrimenti di rientrare dalla finestra. 2) Ciò che il Suo sarto intendeva dire è che il lino irlandese di alta qualità viene tessuto in altezza da 70 cm e quindi ne occorre una metratura almeno doppia rispetto a quello italiano, alto 150 cm. Il costo è effettivamente maggiore, ma per l’abito completo non ci sono alternative. Lo si fa in lino irlandese e basta, in quanto il suo maggior peso, la fitta battitura ed il sistema di tintura in pezza non sono sostituibili da altri prodotti solo apparentemente simili. Il lino non si spezza, nemmeno con un paio di pantaloni dello stesso tessuto. Le uniche giacche di lino che consentono un abbinamento classico e valido sono quelle che vanno dai vari toni del bianco sino al sabbia chiarissimo, che Lei già possiede. Dunque elimini dal programma la giacca spezzata e si concentri sul completo. Poiché, sempre volendo restare entro fogge “mimetiche”, preferisce il mono al doppio petto, i colori che deve tener presenti per un primo capo sono gli azzurri carichi, ma non decisamente scuri, che vanno dall’avion alla carta da zucchero. Se ha la carnagione decisamente scura e/o gli occhi verdi, parta invece col tabacco. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-09-2011 Cod. di rif: 4525 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Origini e senso dello smoking 6 bottoni - Risp. Gesso 4523 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, sebbene sia possibile trovare delle apparizioni precedenti, lo smoking completo con giacca a sei bottoni è un modello la cui definitiva introduzione ascriverei alla importantissima figura di Carlo il Chiaro, la cui creatività è misconosciuta in quanto troppo sofisticata per essere visibile o gradevole per le masse. Il Principe è stato il primo a rendersi conto della Morte del Classico e dal giorno in cui si è sposato si è ritirato nel doppiopetto. Poiché, vestendo rigorosamente classico per gusto e per fede, non avrebbe potuto influenzare il mondo come e quanto i suoi antenati in quanto l’estetica era ormai in una fase successiva, decise di sistemare filologicamente il guardaroba maschile all’inglese. La sua monumentale opera estetica non è mai stata indirizzata ad altro che a creare stilemi da progetti già esistenti, liberandoli dal bozzolo della sperimentazione , ovvero proteggere l’ambiente estetico classico da derive estremiste. Così ha diffuso a livello universale i morning coat in tre pezzi dello stesso tessuto; ha sdoganato la seta stampata alle cerimonie; ha restituito dignità alla camicia rigata con il collo bianco; ha meticolosamente cercato un vaccino contro il consumismo insistendo nell’uso di calzature e abiti visibilmente lisi e soprattutto, evitando di legarsi a nomi e prodotti individuabili, ha cercato di indirizzare verso il giusto gli sguardi ipnotizzati dalla ricerca di un meglio artificiale. Per concentrare il suo messaggio e renderlo credibile al punto da poter sistemare nel linguaggio Classico qualche parola che la sua accelerata fine non aveva permesso di perfezionare, doveva evitare di apparire in competizione con altri. Gli Eleganti dei tempi in cui il Classico era vivo erano in lotta per arrivare più lontano, per arrivare primi. Con gli anni ’80 le individualità orientate al Classico non avrebbero più potuto trovare spazio nei grandi mezzi di comunicazione. C’erano solo due scelte: quella marziale di Agnelli, con uno schieramento dei capi e dello spirito del Grande Classico degli anni ’30 così plateale e sconvolgente da apparire postclassico; o quella di Carlo: una codificazione silenziosa con l’aggiunta di preziose miniature, insomma un’opera di tipo monastico. Questo bisogno di ascesi è evidente nel suo eremitismo estetico, cioè nel suo isolamento all’interno di un solo stile (quello britannico) e di una sola foggia (il doppiopetto). Dunque non è strano che sia stato Carlo, il Re dei doppi petti, a scoprire, o comunque sistemare definitivamente seppur tardivamente nel Classico, lo smoking a sei bottoni. Questa foggia è habillé per la parte in cui ha una scollatura più castigata, ma è dinamica per quella in cui si ispira alle giacche da giorno. E’ da questa origine dichiaratamente spigliata che emergono i motivi per cui il sei bottoni si presta agli spacchi e il quattro assolutamente no. Pertanto è ideale nelle sere impegnative, specialmente se se ne voglia dimenticare il peso. Trovo che ad un’Adunanza cavalleresca il sei bottoni sia congruo nella misura in cui si presta a simbolo di un cardine della nostra filosofia: il piacere non ha bisogno di rispettare la regola, ma nemmeno di sovvertirla. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 22-09-2011 Cod. di rif: 4527 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: DJ 4 o 6 bottoni per il cav. Villa Commenti: Caro Cav. Villa, lei è ad un bivio difficile. Qualsiasi sarà la scelta che farà, le lascerà il rammarico di non aver optato per l'altra. Questo mio messaggio non avrà contenuti tecnici, ma solo qualche nota personale di gusto (per quel poco che possa valere il mio punto di vista). A mio sommesso parere, il suo busto può giustificare ampiamente il 4 bottoni Kent, senza spacchi sul dietro. Sarebbe una scelta che la distinguerebbe. All'occhio contemporaneo sembrerà più attuale il 6 bottoni. E ciò per alcuni anni ancora. Contrariamente a quanto lei asserisce, da questo angolo visuale, la scelta razionale sarebbe per i 6 bottoni, non quella per i 4. I 6 la porrebbero sicuramente tra gli uomini eleganti contemporanei. Ma il 4 bottoni, leggermente più corto del 6 e senza spacchi, indosso a lei starebbe molto bene e, io credo, la sua figura apparirebbe ancora più elegante che con il 6 bottoni. Mi farebbe piacere poter constatare di persona o in foto questa mia impressione. Con i migliori auguri. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 23-09-2011 Cod. di rif: 4529 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: DJ 4 o 6 bottoni - dilemma Commenti: Illustre Cavalier Villa, ho già premesso che qualsiasi scelta lei compirà, avrà comunque sempre il dubbio di aver optato per il meglio. E ciò, evidentemente, non solo perché, sin dall'antica Grecia, nel dover scegliere è l'origine della sofferenza umana ma, nel caso specifico, perché ambedue le opzioni sono validissime. Sono sinceramente convinto che lei possa indossare l'una o l'altra delle DJ, con un pregevolissomo risultato estetico. Tuttavia (e questo è un mero parere personale) il 4 bottoni avrà inevitabilmente un'apertura dei baveri più profonda, allungando le figura del busto. Immagino che in un busto decisamente più corto e panciuto del suo, il 4 bottoni possa costituire un modo per accentuare la rotondità della vita, mentre nel suo caso la "scollatura" più profonda del 4 bottoni, ancorché di pochissimi centimetri, possa contribuire ad esaltare la sensazione di verticalità complessiva della figura, dando maggior rilievo, in termini di centimetri esposti, al bianco della camicia. Una pratica constatazione di questa ipotesi la potrà verificare anche in alcune foto, che certamente non le saranno sfuggite, di giacche bianche di lino di altissima tradizione sartoriale. Come potrà intuire, stiamo disquisendo di dettagli non rilevantissimi in assoluto ma che, con ogni evidenza, possono assumere un peso nella sua scelta finale. Ho una certezza: in ogni caso lei sarà elegantissimo col suo DJ doppio petto. Anche perché lo porterà con la fierezza di portamento che le riconscono in tanti: schiena dritta e testa alta. Non le resta che affidarsi ad un artigiano che non sbagli l'esecuzione e che abbia già commesso tutti gli errori possibili nelle precedenti realizzazioni che le ha commissionato. Cordialità. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 25-10-2011 Cod. di rif: 4538 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Whisky, Tweed e Tartan a Edimburgo Commenti: Egregi Cavalieri, sto per recarmi per una breve vacanza ad Edimburgo. Il che m'impedirà, con grande disappunto, di partecipare all'adunanza marchigiana in questo fine settimana. Ma tant'è. Se tra di voi ci fosse qualcuno che volesse fornirmi qualche consiglio per visite cavalleresche in città e negli immediati dintorni, anche fuori dai normali circuiti turistici, gliene sarei infinitamente grato. Saluti cavallereschi. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-11-2011 Cod. di rif: 4541 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il tussor o toussor - Risposta al Gesso n.4539 Commenti: Illustre professor Pugliatti, alla fine del XIX secolo, l'esploratore francese Henri Duveyrier (1840 - 1892) ebbe modo di osservare che un insetto noto agli indigeni del Nord Africa se ne stava bel bello tra gli alberi e si fabbricava un bozzolo che poteva essere dipanato come quello della seta. E' da questo filato della foresta che nacque il toussor o tussor, detto anche tussah o toussah. E' un materiale alquanto tenace, in pratica uno shantung un poco più rigido in quanto vi si utilizza una seta veramente selvaggia invece di cercare tra quella domestica i bozzoli che - grazie alle fiammature - conferiscano al tessuto un aspetto rude e selvatico. Naturalmente è sempre stato raro ed oggi è scomparso del tutto. Non certo per il costo, visto che i tessuti dai prezzi proibitivi non mancano di certo, quanto per il carattere. Innanzitutto è bello solo nel colore naturale ed anche senza tintura resta alquanto rigido e secco, qualità che potevano essere tollerate o desiderate dall'uomo degli anni '30, ma sempre meno da quelli successivi. In secondo luogo presentava difficoltà tecniche estremamente limitanti. L'armatura era a taffetà, quindi una tela molto fitta e con una maggiore densità verticale rispetto a quella orizzontale. Per dargli un minimo di elasticità ed una discreta porosità l'ordito, come per lo shantung classico, era un organzino. Questo tipo di filato, alla base della cravatteria tradizionale tinta in filo, prevede che un primo filo venga ritorto in un senso, in genere antiorario, per poi essere abbinato ad un altro capo, o più d'uno, mediante ritorcitura in senso opposto. Un lavoro da maestri, la cui pedestre, sbrigativa, economica esecuzione odierna è alla base dei reps alquanto pelosucci e flosci che da tempo inquinano il mercato. A questo proposito, si suole dire che certi prodotti vengono meno perché il mercato della seta è un crisi. A mio parere è il contrario: il mercato della seta è in crisi perché ha abbandonato l'orgoglio di certi prodotti, non sapendoli o non volendoli far comprendere all'utente finale. Viene infine il problema della reperibilità limitata ed incostante, tipica dei prodotti che vengono da piante o animali non allevati o allevabili. In conclusione, ammirare il toussor significa tuffarsi nell'archeologia tessile, in un mondo dove un Marco Polo francese poteva ancora tornare con un baco miracoloso, i filatori creavano organzini taglienti come coltelli seghettati e gli uomini vestivano da uomini. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 28-11-2011 Cod. di rif: 4544 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: La sensazione e il dettaglio Commenti: Nella mia pratica, quotidiana, ricerca di piaceri e gusto per un mondo maschile che avvisavo come obliato, un giorno mi sono imbattuto nel Castello e, tramite questo, nei Cavalieri dell'Ordine cavalleresco delle Nove Porte. Dopo una frequentazione non lunghissima, ma intensa, delle persone dei Cavalieri e dei luoghi, fisici e virtuali, di questo consesso, ho sicuramente arricchito il mio bagaglio di conoscenze tecniche non solamente sull'abbigliamento, ma sull'universo maschile caro a questo speciale sodalizio, elevando da un livello inconsapevole ad uno certamente più alto la mia ricerca individuale ed il mio personale percorso verso il bene attraverso il bello. Leggendo i tormenti del Cavalier Villa sulla costruzione del suo smoking, che durano ormai da qualche settimana, mi sono posto la questione del rapporto tra la sensazione e il dettaglio e di come queste due forze debbano coagire per il raggiungimento del fine che, nella concezione epicurea, intesa quale esistenza filosoficamente orientata al bene, costituisce il minimo comune denominatore degli uomini di gusto, è e resta sempre la soddisfazione personale. Nella ricerca di questo equilibrio, lo spasmodico inseguimento del dettaglio per paura di commettere un errore può costituire un limite al godimento individuale, costretto tra i lacciuoli di una pretesa perfezione che, nell'artigianato, è assai rara e, secondo alcuni, va invece preferibilmente rifuggita. Meglio allora trascurare qualche dettaglio, non perché sia insignificante, ma per far prevalere, anche stavolta in senso autenticamente epicureo,la sensazione. In conclusione io non vedrei l'ora di vedermi addosso questo smoking, e chissene importa dell'impuntura. Mi godrei l'abito con le sue piccole imperfezioni, senza badarci troppo. E in questo atteggiamento ritrovo il piacere per la vita elegante che, con grande leggerezza e simpatia, mi comunicano gli amici cavalieri milanesi, nonché il disincanto del mio maestro prof. Arcangelo Nocera, che non ha alcuna difficoltà ad indossare una cravatta lisa (facendolo con grande eleganza), per non dire di altri altissimi insegnamenti che provengono dall'interno del Cavalleresco Ordine e non solamente dal Gran Maestro. Credo sia un tema molto interessante quello che ho posto, che investe il concetto stesso di eleganza e che attiene al rapporto individuale dell'uomo di gusto con la propria eleganza, sul quale molto si è detto e scritto ma che sarebbe non inutile riprendere su questa lavagna. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 28-11-2011 Cod. di rif: 4545 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Impunture sul bavero dello smoking Commenti: Qualora non si fosse capito, l'esempio che facevo nel gesso precedente non ha nulla a che fare col dettaglio in questione. Io preferisco il bavero dello smoking senza impunture, a prescindere dalle ricerche iconografiche che potrebbero dimostrare che, invece, il contrario di quanto piace a me ha una sua dignità nella storia del classico. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-11-2011 Cod. di rif: 4546 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Eleganza e morale cattolica Commenti: Altro tema che sarebbe opportuno esplorare è il rapporto tra vita elegante e morale cattolica che, a mio parere, sono la negazione l'una dell'altra. Nella mia visione, la vita elegante è un percorso autenticamente epicureo che si pone in antitesi con la morale cattolica (e non sto parlando di religione, violando le regole di amministrazione della lavagna e le Carte del Cavallereco Ordine). Tale morale, sebbene altissima, pone la ricerca del bene su un piano molto diverso dalla pratica della bellezza. Uno dei tetrafarmaci dell'epicureismo voleva dimostrare l’accessibilità del limite del piacere, cioè la facile raggiungibilità del piacere stesso. Il piacere (così come il dolore) è una norma di vita che ne indirizza la condotta pratica. Allo stesso tempo esso costituisce, nel pensiero epicureo, il terzo criterio della verità. La felicità è piacere e può rappresentarsi in veste di gioia o in forma di assenza di dolore (aponia) o di turbamento (atarassia). Nel tempo attuale, ancor più che al tempo di Epicuro, difficile ipotizzare lo stato di atarassia, poiché gli stimoli indotti dall'ambiente sono infinitamente più numerosi. Mi accotenterei di pervenire allo stato di gioia, che sarebbe già un bel risultato. Ma questo non ha nulla a che vedere con la morale cattolica, che non si interessa affatto del piacere (dunque alla gioia) in questa vita, ma è tesa tutta a promettere uan ricompensa nella vita futura. Ergo, la vita elegante, che è pratica del bello finalizzata alla gioia, è nemica della morale cattolica. Sarebbe interessante esaminare sotto questa angolatura gli scritti e le biografie dei padri fondatori del concetto di eleganza ai quali si rifà l'apparato del pensiero cavalleresco, così come si è venuto enucleando ed ha preso consistenza negli ultimi anni (fondamentalmente rifacendosi alle opere di Balzac e Pelham). Le mie conclusioni sono univoche e nette: la morale cattolica è antitetica alla vita elegante. La discussione è aperta. Cavallerescamente. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 29-11-2011 Cod. di rif: 4548 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Sensismo Commenti: Stimatissimo Cavalier Villa, Gentile Amico, sono felice di incontrarla, ancorché virtualmente. Spero di poter ammirare di persona il suo smoking, quanto prima. Se ha tempo da perdere e voglia, al fine di approfondire quanto vado dicendo, mi permetterei di suggerirle, se già non lo ha fatto, di studiare l'argomento del sensismo nel pensiero di Epicuro. Al termine avremo un terreno comune sul quale far crescere queste nostre riflessioni. Con viva cordialità. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Luigi Lucchetti Data: 21-12-2011 Cod. di rif: 4552 E-mail: studiol.lucchetti@libero.it Oggetto: Chiesa ed eleganza Commenti: Stimato Cav. Volponi, ciò che lei dice è assolutamente vero. Tuttavia riterrei opportuno distinguere cosa ha fatto storicamente la Chiesa cattolica, come istituzione, per l'eleganza e l'arte, dal piano della morale cattolica. Quest'ultima, a livello teorico, si contrappone alla ricerca dell'eleganza in questa vita, della quale si disinteressa totalmente. Spero in altri contributi, suoi e di altri, per aggiungere chiarezza al pensiero cavalelresco. Cordialità. Luigi Lucchetti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-01-2012 Cod. di rif: 4555 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Attività sull'abbigliamento - Risp. Gesso n. 4550 Commenti: Egregio signor Annoni, il 2011 si è chiuso con un evento dal titolo : I PRINCIPI, DAL PRINCIPIO, che rappresentava la VII sessione di DRESS CODE, ciclo iniziato già da alcuni anni e che a sua volta si interessa del vestire da un punto di vista umanistico più che estetico o tecnico. Il 16 Dicembre, presso la ditta De Paz in Bologna, come Gran Maestro ho esposto una suggestiva teoria di matrice cavalleresca che sposta di parecchi gradi lo sguardo nella ricostruzione della vicenda estetica in generale e dell'abbigliamento in particolare. Troverò il modo di esporre qui al castello e per iscritto i principali temi toccati dalla mia lunga esposizione, durata circa ottanta minuti. In ogni caso riassumerò il discorso e lo proseguirò nell'ambito della IX sessione di DRESS CODE, che si terrà a Napoli alle ore 18 presso il Salotto Cilento in Via Medina n. 63. L'incontro si celebrerà con lo stesso titolo del primo appuntamento: LA REGOLA E IL GENIO. Se è così interessato alla materia, cerchi di partecipare. Resterà stupito non solo dall'accoglienza, affidato a champagnes di grande interesse, ma soprattutto dal taglio di questo tipo di lavori. Se la lettera di quanto qui discusso l'ha in qualche modo convinta, assistere in diretta alla nascita ed affinamento di strumenti speculativi radicalmente nuovi La affascinerà. Quanto ai Laboratori d'Eleganza, più tecnici e pratici, le anticipo che il 18 Maggio a Milano, presso E.Marinella, se ne terrà uno dedicato al papillon. Tutti questi eventi culturali sono a cura e spese dell'Ordine e non prevedono alcuna spesa, solo il dovere di intervenire in giacca e cravatta. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-01-2012 Cod. di rif: 4558 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Quando il bavero è pastoso - Risp. gesso n. 4557 Commenti: Egregio signor Caprari, pur non avendolo mai utilizzato, credo di aver ben compreso cosa intendano quei ricercatori che usano descrivere il bavero come pastoso. Il miglior metodo per capirlo, come da Lei già inteso, piuttosto che cercare il contenuto diretto è per relazione col suo contrario. Ebbene, l'opposto di pastoso è "slegato". Quante volte vediamo giacche in cui il bavero è poggiato, quasi avvitato, come una decorazione sulla scocca rappresentata dal quarto anteriore di competenza! Il rever pastoso è invece quello che sfuma da un lato nel quarto e dall'altro nella paramontura, senza apparire applicato all'ultimo momento, bensì riassumendo le tre parti in una sola e senza soluzioni della continuità dell'insieme. tale effetto non si può ottenere con trucchetti al risparmio, o almeno non in modo duraturo. Richiede abbondante e competente lavorazione, nonché attenta ed abile stiratura. Proprio per dettagli come questo siamo soliti dire che solo il sarto stira, gli altri spianano pieghe. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-01-2012 Cod. di rif: 4561 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Puntali delle scarpe - Riposta al Gesso n. 4560 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, la risposta del Suo calzolaio è corretta nella situazione concreta, cioè quanto ad una calzatura di confezione, ma non esaurisce il problema ed anzi rischia di trarre in inganno. Il puntale inserito a livello è in effetti un tassello d'ottone di discreto spessore, superiore al millimetro, che in una calzatura industriale andrebbe senz'altro a danneggiare o almeno indebolire la cucitura goodyear. Infatti, l'esecuzione in serie prevede degli standard di profondità che sono quelli della macchina che realizza il taglio (detto increna) in cui alloggia la cucitura di collegamento tra guardolo e suola. Ne consegue che il tassello d'ottone inserito è in questi casi sconsigliabile, per via delle controindicazioni che superano i benefici. Ben diverso il caso delle calzature realizzate su misura. L'artigiano lavora con la lesina, quindi può scegliere la profondità da raggiungere con l'increna. Se ha intenzione di guarnire la punta col tassello, in quella regione praticherà un'incisione più profonda, che lasci oltre al millimetro anche uno spazio di tolleranza dove la cucitura farà presa, cioè il suo lavoro. Fatte le dovute distinzioni, esaminiamo il caso da un punto di vista complessivo. Nelle scarpe di costruzione robusta, quindi piuttosto rigida, la punta è sottoposta ad uno sforzo maggiore. Data la minore flessibilità, il continuo rullare del piede sul suolo finisce per concentrarsi in una zona ridotta. Poiché questa caratteristica si associa ad un decadimento generale della consistenza e resistenza dei cuoi da suola, è facile che proprio nei modelli che sembrano più solidi si verifichino usure molto antipatiche, e/o che la punta rincagni come il naso di un pechinese. Di qui la scelta, un tempo molto in uso, di guarnire con lunette riportate (a Napoli si chiamavano "centrelle", dalle Sue parti non so) le grosse scarpe da lavoro. Camminare sotto i portici di Bologna con i puntalini riportati in metallo, magari in una giornata di pioggia, può essere seriamente pericoloso, mentre su superfici irregolari e miste come quelle della campagna non ci sono problemi. Dunque, in ossequio alla tradizione ed al buon senso, direi che l’applicazione dei puntali riportati può avere una validità estetica e pratica con scarpe derby di costruzione rigida, che si useranno con tessuti spessi e in situazioni informali o sportive. Non si può invece pensare di andarci in tribunale, o in un ufficio, dove il ticchettio rischierebbe di realizzare il più grave degli inestetismi e cioè attirare l’attenzione. Beh, in effetti uno ancora più pesante c’è e su superfici molto lisce si corre anche questo rischio: restare col sedere per terra. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-02-2012 Cod. di rif: 4568 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tessuti: natura e storia, carattere e memoria - R. Gesso 456 Commenti: Egregio signor Folli, abbiamo visto che i tessuti hanno una natura ed una storia, il che significa un carattere ed una memoria, un istinto ed una volontà. Non a caso di un uomo, per dire che possiede queste qualità, si dice che ha stoffa. La memoria – o volontà - parte dai luoghi e dagli scopi per cui un materiale è nato, per poi arricchirsi delle esperienze, ovvero delle imprese compiute a fianco di grandi e piccoli uomini. Come sempre diciamo, per diventare autenticamente internazionali occorre essere e restare locali. Così, un prodotto nato in una regione del mondo e per uno specifico uso, dispiegherà universalmente la sua autorità fino a quando sarà presente in quel luogo ed in quelle attività. E’ il valore insostituibile dell’originalità, cioè in definitiva del legame con le origini, globuli rossi privato dei quali un organismo perde colore e vitalità sino a morire. Può verificare la crudele ineluttabilità di questo fenomeno ogni giorno e più volte al giorno. Basta che guardi la fine che hanno fatto i jeans. Da quando la produzione del tessuto e dei capi si è delocalizzata al punto che nessuno conosce o si interessa della loro provenienza, da quando vengono usati senza badare al contesto, sporcati da blazer prima e da dinner jacket poi, i jeans sono diventati comuni, scontati, cosa ben diversa dall’essere internazionali. Nei loro zoo, i giapponesi riproducono in cattività fogge e tessuti con telai e materie prime classiche, eppure senza la scorza del pioniere, la speranza del vagabondo, la fede del giovane contestatore, insomma senza i sogni americani, senza una specifica storia dietro, anche questi pregiatissimi jeans non sono che bamboleggiamenti da collezionisti. La natura, o carattere, non è sensibile all’esperienza e non muta mai, almeno sino a quando la composizione del tessuto resta immutata. Una parte viene ancora dai luoghi geografici, ma nello spirito della stoffa penetra indirettamente, attraverso il tipo di materie prime e di lavorazione peculiari alla zona. L’altra parte è nel colore, nel disegno, nel peso, nella mano, nella luminosità. Ogni tipologia di tessuto si esprime attraverso una formula in cui tali ingredienti, sempre gli stessi, debbono avere determinati rapporti. Quando il risultato dell’equazione di un tessuto è esatto, cioè corrisponde alla sua cifra segreta, possiamo dire che quello specifico esemplare ha i “marker” al massimo. E’ un campione in termini di autenticità, il che gli consentirà di armonizzarsi più facilmente ad altri capi ed accessori. Tessuti di questo calibro portano già scritta dentro la foggia in cui vogliono essere realizzati, la persona e la situazione cui sono destinati, il futuro che li attende, il passato che li rende affascinanti. In ogni tirella si vedono quelli che tecnicamente si chiamano gli sviluppi, cioè diverse combinazioni sullo stesso impianto. Ammessa la prima condizione, cioè che il materiale in genere sia corretto nella costruzione, una sola specie, una sola variante, al massimo due, potranno essere quelle giuste. E poiché giusto è molto più che bello, ecco dunque lo scopo della ricerca: trovare l’espressione giusta di un materiale autentico, cioè che segua correttamente la sua formula originale. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-02-2012 Cod. di rif: 4572 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Navi e bandiere - Rispp. Gessi nn. 4570 e 4571 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, egregio signor Volponi, quante persone leggono Dante, Cervantes, o Wodehouse? E quante Dan Brown o la Gazzetta della Valsugana? Le ondivaghe masse, pronte a dimenticare al mattino ciò che sembrava loro vitale la sera prima, trovano indigesto tutto ciò che è stabile. Si ingozzano di informazione e così perdono l’appetito per la conoscenza. Quante persone indossano una giacca? E quante saprebbero dare un nome al materiale o una descrizione alla foggia; quante usano tessuti con un carattere ed una tradizione? Poche decine di migliaia su alcuni miliardi. Lo stesso si potrebbe dire dei vini, del cibo, degli arredi, più o meno di tutto. La dimestichezza con le sostanze culturali ad alta densità è un accesso all’esclusività, che in cambio dell’attenzione e della rinuncia alle scorciatoie offre un netto miglioramento della qualità quotidiana di vita. Tra tanti tessuti di aspetto classico, molti sono belli, ma pochi appartengono ad una vera e propria razza, cioè ad un filone dai precisi tratti storici. Ancor meno sono quelli che possono essere detti autentici, perché rispondono ai requisiti. Tra questi, ci sono poi quelli che abbiamo detto avere i “marker” al massimo, cioè in cui al rispetto della tradizione si aggiunge una particolare armonia nel modo in cui la formula è stata rispettata. Forse non si può vestire solo con tessuti “autentici”, di certo non si può “autenticamente” vestire senza di essi. La conoscenza si rivela nel saper selezionare i tessuti che sono giusti in se stessi, in quanto autentici. La creatività personale, o gusto, si esercita nel modo di usarli, di non usarli, di combinarli, di interpretarli. Insomma nel rendere concretamente giusto, cioè adatto alla propria persona ed alla propria vita, ciò che era giusto solamente in astratto, quindi in potenza. In una mazzetta di saxony, si potrà cercare la variante più “giusta”, cioè quella che, avendo più sincerità ed equilibrio, sarà più e meglio associabile con i capi, colori, materiali ed accessori dello stesso timbro. o anche scegliere volontariamente uno sviluppo più brillante, con una formula meno bilanciata eppure più rispondente al proprio stile. Ma pur avendo scelto lo stesso tessuto, pur avendolo fatto confezionare nello stesso modo, il genio che fa e disfa le regole terrà tutti al riparo da possibili sovrapposizioni. E’ l’abominio del total look a creare l’effetto Matrix, la sensazione di camminare tra i replicanti. Chi segue la rotta classica naviga in un mare così vasto che quando incontra un’altra nave, specie se con la stessa bandiera, ne trae gioia, non disappunto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-03-2012 Cod. di rif: 4578 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Parliamone nel posto giusto - Risposta al gesso n. 4576 Commenti: Gentile signora Cavattoni, si senta innanzitutto benvenuta al castello. La sua estetica rigida e l'atmosfera formale che vi si respira servono solo ad evitare fughe di serietà, in un momento in cui la leggerezza si trasforma troppo facilmente in approssimazione. Per il resto, la sua visita non può che farci piacere ed ancor più lo sarebbe poterLe essere utile. Devo premettere che il giudizio maschile in faccende muliebri è affidabile quanto quello femminile su temi virili, cioè molto poco. Poco e sincero è comunque meglio di molto e fasullo, così, pur dovendo considerare che siamo tarati su lunghezze d'onda diverse e auspicabilmente destinate a restare tali, qualcosa alla Sua cortese domanda cercheremo di rispondere. Il Suo garbo e la fiducia che ripone in noi ce lo impone. Debbo però invitarLa a riproporre il quesito all'interno della porta della Donna, in quanto la presente Lavagna è destinata al dibattito sull'Abbigliamento maschile. Ne approfitti per specificare il contesto: città o campagna; villa o palazzo, albergo di lusso o ristorante; invitati di ceto e livello culturale mediamente elevato o più vicino allo standard? Quanti più dati fornirà, tanto più precisa ed utile potrà essere la risposta. Cavallereschi omaggi Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-03-2012 Cod. di rif: 4580 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Laboratorio d'Eleganza sul papillon del 18.05.12 - Ore 17.30 Commenti: Egregio signor Folli, dopo qualche stagione dedicata alla ricerca storica ed all'elaborazione teorica del ciclo DRESS CODE, quest'anno il Cavalleresco Ordine ritorna alla formula dei Laboratori di Ricerca e di Eleganza. I primi sono condotti direttamente sul campo, in botteghe o fabbriche. I secondi sono dedicati alla comprensione di capi o materiali specifici e prevedono un contatto con oggetti e soggetti anche fuori dal contesto produttivo. Il Laboratorio d'Eleganza del 18 Maggio sarà dedicato allo spirito, confezione, materiali, fogge e nodi del papillon. Si terrà dalle ore 17.30 alle 20 presso E.Marinella a Milano. Le modalità di partecipazione saranno pubblicate nell'area Eventi, che ultimamente è stata un po' trascurata, ma come vedrete sta ritornando a marciare in parallelo con le effettive attività sociali. In ogni caso, posso rassicurarLa sul fatto che non sarà destinato ai soli Cavalieri. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-03-2012 Cod. di rif: 4586 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dell'abito paramaschile - Risposta al Gesso n. 4583 Commenti: Illustre Cavaliere Longo, la foto a corredo dell'Appunto n. 5794 propone l’uomo che si vede quotidianamente in TV e su molte riviste. Se nel Taccuino diventa appariscente è per contrasto con un ambiente estetico radicalmente diverso nelle premesse, nelle aspirazioni, nei materiali, etc. Tempo fa ci si interessava alla sorte cui andava incontro l’abbigliamento maschile, ma da quando il respiro degli eventi versa nel fibrillante sopraffiato del “tempo reale”, che si resetta ogni giorno ed anche più volte al giorno, la velocità dei movimenti socioeconomici è tale che prevederne la direzione è diventato banale come fare il caffè con una macchina a cialde, anche se non altrettanto dannoso. Un problema c’è ed emerge dal fatto evidentissimo che non tutto e non tutti hanno un futuro, che quindi risulta essere un ambiente poco ospitale. Ben più interessante è viaggiare attraverso il passato, il Grande Paese di cui siamo cittadini tutti. L’osservazione delle tendenze postclassiche non è compito dei Cavalieri, che lavorano allo studio, pratica e conservazione dell’universo maschile Classico. Negli esempi come quello citato non vediamo altro che una storia che raggiunge oggi quello che qui avevamo enunciato da anni. Partendo dalla scoperta della Morte del Classico, enunciata in modo già definitivo nel corso dello storico II DRESS CODE tenutosi a Roma il 9 Febbraio 2008, la direzione dell’uomo postclassico apparve subito evidente nel culto ossessivo della trinità Gioventù – Successo - Praticità, idolatria che a sua volta comporta fisicità, materialismo e una sorta di nomadismo culturale. Privo del senso di appartenenza ad una qualsiasi tradizione, quest’uomo la cui anima non ha radici rinuncia facilmente ad ogni identità comune a favore di un individualismo numerico e non spirituale. E’ il molecolarismo, soluzione celebrata non a caso anche in cucina. Infatti la gastronomia è l’arte che più di ogni altra esprime e governa la sensibilità postclassica, più o meno come l’abbigliamento ed il cinema fecero in età Classica. Ogni atteggiamento, ogni desiderio, ogni demolizione ed ogni nuova teoria, nella cultura dell’homo gymnicus vengono prima sperimentate in cucina e poi esportate negli altri suoi mondi. Basta vedere cosa accade nella ristorazione e nei vini, tradurne le parole, comprenderne i fatti e si sa con anni di anticipo cosa accadrà nella società, così come sotto il regno del Classico bastava guardare le riviste di abbigliamento per sapere cosa avrebbe voluto, fatto, combattuto o pensato l’homo elegans. Tutto ciò non fa che offrire conferma di come prevedere il futuro sia facile. Ed inutile. Di tanto in tanto, uno sguardo all’estetica contemporanea può essere un esercizio utile, se non altro perché mettere in relazione i fenomeni aiuta a sviluppare quel senso critico necessario a decifrare i segnali che ad un Cavaliere, cioè ad un umanista dotato di tanta fede da sfuggire alle tentazioni relativiste, di tanto gusto da resistere alle derive totalitariste e di tanto metodo da saper tirare e collegare i fili che la realtà lascia appesi dappertutto, appaiono chiari come cartelli autostradali, mentre per altri restano muti. Nell’abito in oggetto, la cosa che appare più evidente ed importante non è tanto la fisicità, che da tempo diamo per scontata, ma i punti del fisico che vengono deputati a trasmettere e quindi valorizzati. I trucchi che l’abbigliamento mette a disposizione dell’uomo per indirizzare e migliorare il proprio aspetto hanno l’età del cucco. Abbiamo visto come il taglio modellato irrobustisse il torace e allargasse le spalle. Qui la giacca si riduce e si accorcia più di quanto sia mai accaduto, in una deformazione caricaturale possibile solo a Classico morto. Come Lei ha notato il taglio alto apre un altro occhio sul ventre, segnalandolo, ma non è tutto. Nella foto non si può osservare direttamente il fenomeno più innovativo e significativo, collegato all’accorciamento e non all’apertura frontale. In passato, il pur ciclico accorciarsi della giacca non aveva mai voluto superare la soglia psicologica delle natiche. L’uomo postmoderno conclude invece che il sedere sia un suo punto di forza, così alza la giacca sino a scoprirlo e anzi esibirlo come un trofeo, come un richiamo. Presto vedremo pubblicità di oggetti destinati ad un pubblico maschile, o per meglio dire paramaschile, in cui il modello mostra il lato B e guarda indietro, come nella moda femminile. Lo ripeto ancora una volta, il futuro si è fatto troppo semplice per essere di qualche interesse. E’ invece stimolante la definizione del presente, cioè collocare in un sistema la manifestazione appena sottolineata. Il maschio assume un comportamento non consono alla propria indole e tradizione, perché? Si dice che valorizzi il culo perché le femmine del branco lo trovano eccitante, ma non ci siamo. Quel che si vede non è un uomo che veste PER la donna, bensì un uomo che veste COME la donna. Con lo stesso spirito, cioè anteponendo il risultato di seduzione a quello di espressione, la bellezza e la gioventù alla compostezza ed all’eleganza. Si è allora portati a parlare di effeminazione, ma ancora non convince, è un giudizio che resta troppo in superficie. Il maschio non può diventare poi tanto femmina, in quanto anche la femminilità è scomparsa come identità. Quel che sta più in profondità non è dunque un nuovo e più disinvolto linguaggio, bensì una perdita, una rinuncia, addirittura una cosciente demolizione dei caratteri peculiari del proprio genere. Uomo e donna sono sempre più simili, tanto che il travestitismo, che fu la massima trasgressione, diventa oggi quotidianità. Il rapporto tra due sessi così vicini cambia di intensità. Riducendosi la carica dei poli si riduce la differenza di potenziale e si sgancia quell’arco voltaico che generava la scintilla fondamentale. E’ la saetta accecante del fulmine, non a caso simbolo dell’attrazione irresistibile, che porta la materia al suo quarto stato, il plasma. Cancellarne i presupposti, dunque, significa perdere una naturale possibilità di esperienza, ridurre le montagne russe ad una giostrina coi cavallucci. E’ così che la forza puramente fisica, tanto curata ed esibita dall’uomo delle Palestre, rivela e conduce ad un’eterna gioventù che è per gran parte un’eterna infanzia, ovvero una regione che non è al di là, bensì al di qua del vero sesso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 09-04-2012 Cod. di rif: 4589 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tropical blu - Risposta al gesso n. 4587 Commenti: Egregio signor Folli, un abito blu per la primavera e le sere d'estate è per l'uomo una necessità biologica. Considerate le straordinarie capacità di adattamento e di sopportazione della nostra specie, senza di esso possiamo anche sopravvivere, sapendo però che vedendo altri indossarlo resteremo ogni volta assaliti e sminuiti da un sentimento di inferiorità. I blu più belli e più mettibili li trova nel tropical, più che nel mohair, quindi istruisca immediatamente il sarto in tal senso. Holland & Sherry ne propone da sempre di validissimi. Il Crispaire ha un peso perfetto, tra i 280 ed i 310 gr/mt. La collezione Capo Horn è più leggera, ma solo l'ordito presenta un'alta torsione, mentre il filato della trama è a torsione standard. Ciò gli conferisce una mano più accomodante, ma visto che nella conversazione cui fa riferimento si parlava di tropical con un certo nerbo non è questo tipo di effetti che stiamo cercando. Anche Dormeuil ha il suo campione nella collezione Amadeus, ineccepibile per qualità e particolarmente notevole nelle fantasie a minutissimi quadrettini pied-de-poule, che potrebbero attirarLa per la loro versatilità. Tra gli italiani spiccano i tropical di Trabaldo Togna, che pur lavorando purissima e buonissima lana riesce a conferire a questo tessuto un'elasticità unica, che toglie alla tela quella rigidità che per molti è un difetto. Incredibilmente questa casa riesce ad ottenere un'elasticità del 20% anche sui mohair, ma è poco compresa dai sarti italiani, molto e talvolta troppo pigri, per non dire tirchi. Preferiscono aspettare che il solito rappresentante faccia loro proponendo qualche buon affare, ma pochi o nessuno di essi frequenta le fiere tessili. Così restano indietro con gli aggiornamenti e subiscono la decadenza di certi prodotti senza scoprire dove ce ne sono altri validi che nascono o migliorano. In merito non c'è nulla da fare e del resto va bene così. Non si può pretendere che un uomo abbia una mentalità tradizionale da un lato ed esplorativa dall'altro e ben peggio sarebbe avere un sarto che voglia innovare ad ogni stagione a livello di fogge e di taglio. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-04-2012 Cod. di rif: 4591 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il tropical - Risposta al gesso n. 4590 Commenti: Egregio signor Folli, effettivamente la nomenclatura delle stoffe e la comprensione del bagaglio tecnico di base necessario ad intenderne le differenze fondamentali non è stata mai affrontata degnamente dalla critica e dalla letteratura divulgativa in materia di abbigliamento. Anni fa ho redatto a questo scopo il fascicolo "TESSUTI - Una grammatica minima, un'arbitraria antologia", edito dalle Officine della Biblioteca Cavalleresca. Purtroppo Lei non è un membro dell'Ordine e non è nemmeno iscritto nel Registro da almeno sei mesi, quindi non può entrarne in possesso. Posso però estrapolare e citare quanto viene detto sul tropical: TROPICAL Tela estiva in pura lana o misto, da filati pettinati a due capi fortemente ritorti. Anche le tele da filati a tre capi, purché leggerle, avrebbero diritto a questo nome, ma in questo caso gli addetti ai lavori preferiscono parlare di ritorti a tre capi o three ply, riservando la definizione di tropical alle tele ottenute da filati a due soli capi. L’alta torsione sia in ordito che in trama gli conferisce una mano reattiva che lo distingue da quella che in Italia chiamiamo tela vaticana, perché preferita dai preti per le tonache estive. Quest’ultima ha una ritorcitura non decisa e comunque maggiore in trama che in ordito. E’ tra i tessuti in lana più leggeri, ma nei pesi troppo bassi tende un po’ a rimborsare. L’armatura a tela dona al tropical l’areazione, la gagliarda torsione il nerbo e la tenuta di piega. Il tropical è un tessuto estivo di grande tradizione, cui il perfetto equilibrio tra intenzioni e risultati ha assicurato una longevità invidiabile. Guardando foto, film e figurini degli anni trenta, quando la svolta post-aristocratica introdusse una figura maschile dinamica per un verso e monumentale per l’altro, si vedono molti tessuti che la storia ha cancellato dai campionari. Non così il tropical, che si afferma già allora come attributo dell’uomo che cura sia la praticità che l’immagine. Adottato da varie generazioni ed in ogni ambiente, ha sviluppato allo stesso modo le potenzialità formali, informali e sportive, diventando uno dei tessuti più versatili. Un eventuale apporto di mohair gli aggiunge una lucentezza che può aprirgli anche le porte della sera. Attenzione ai misti con fibre sintetiche, decisamente meno confortevoli. Come legge, il tropical è dunque una tela leggera ottenuta con filati a due capi, anche se il nome è tecnicamente estensibile anche a quelle a tre capi. Il Fresco, avendo adeguata e pari torsione nei due sensi di armatura, è un tropical sia nella versione a due capi che in quella a tre, anche se in questo caso lo si definisce meglio come three ply. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 25-04-2012 Cod. di rif: 4594 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Autodeterminazione e cravattini - Risp. Gesso n. 4593 Commenti: Egregio signor Volponi, Lei è certamente giovane ed è normale che si carichi di lavoro e di impegni, vedendo in ogni progetto la scintilla di un possibile successo. Mi auguro che quando avrà l'età in cui all'uomo è concesso di guardarsi dentro, ci trovi qualcosa di interessante e così allenti l'attenzione al cronometro e la pressione sull'acceleratore, per guardare finalmente il panorama. E' così triste vedere uomini già vicini alla sessantina ed ancora infatuati della carriera, che dicono a se stessi di amare questo e quello e poi ci rinunciano in favore di qualche becera e infruttuosa riunione. Si alleni sin da subito a dominare il proprio tempo, a mettere tutte le cose sulla stessa linea. Fin quando l'attività remunerata resterà talmente privilegiata rispetto alle altre da scalzare appuntamenti già presi, o impedire di prenderli, vivrà al di sotto della soglia di autodeterminazione che consente di sentirsi e definirsi libero, cioè uomo. Ciò detto, l'evento sul papillon presso Marinella comincerà alle 17.30, terminerà alle 20 e sarà aperto a tutti gli interessati, purché in giacca e cravatta, anzi cravattino. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-05-2012 Cod. di rif: 4604 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Freso di Minnis e high twist - Risp. Gesso n. 4592 Commenti: Egregio signor Folli, diciamo innanzitutto che anche il tre capi è una specie del genere tropical. La particolare personalità ed il peso tendenzialmente più elevato collocano questo tessuto in un'area particolare, ma è pur sempre rispondente ai caratteri della grande famiglia dei tropical, di cui fanno parte anche i cosiddetti hgh tiwist, che altro non sono se non tropical i cui filati presentano una torsione particolarmente elevata. Quanto alla Minnis, nel sito propone anche un 3ply di peso importante, tessuto da non perdere e che probabilmente sarà già fuori produzione. Ci sarà fino all'esaurimento delle scorte, dopo di che chi altri, se non qualche roccioso Cavaliere che se lo sarà procurato per tempo, avrà la forza per amare ed indossare un tre capi da 15 once? Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-05-2012 Cod. di rif: 4605 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Bottoni per tropical blu - Risp. Gesso n. 4602 Commenti: Egregio signor Folli, come prima scelta punti sulla madreperla blu. Può trovarne con base Tahiti, un po' iridescente, che però riserverei ai mohair. Nel Suo caso, che se ben capisco è quello della pura lana, andrei su un blu brillante ottenuto su base di trocas o madreperla australiana. Il piano B è un corno nero, mentre al corozo assegnerei la terza ed ultima piazza. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-06-2012 Cod. di rif: 4611 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Maestro sarto in Firenze - Risp. Gesso n. 4608 Commenti: Egregio signor Brembo, non conosco il Maestro Cisternino, ma credo che la segnalazione sia di per sé stessa interessante per quanti cercano un sarto a Firenze. La sartoria fiorentina ha espresso campioni di livello altissimo e sino a una trentina di anni fa, prima che si riducesse ad un'unica, immensa bancarella, la città appariva solcata da uomini tra i meglio vestiti d'Italia. Speriamo dunque che sia Lei a darci ragguagli ulteriori, raccontandoci di questa esperienza che va a cominciare. Il cognome Cisternino non sembra molto toscano, anzi dovrebbe venire dalla Puglia, regione che è sempre stata generosa nel dare alla sartoria uomini di valore. Ci faccia sapere. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 22-06-2012 Cod. di rif: 4613 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Fantasie del seersucker - Risp. Gessi nn.4609 e 4612 Commenti: Egregi signori Salvi e Folli, gli archetipi si costruiscono lentamente, grazie agli esempi dei grandi ed alla selezione operata dalla storia. Alla luce di questi parametri, non c'è dubbio che la bacchetta azzurra rappresenti la soluzione in cui il seersucker appare più pregnante, più aderente al suo carattere nato coloniale e quindi sportivo, ma che ha poi raccolto suggestioni rivierasche e attitudini anche informali. Nonostante questa gerarchia, altre formule hanno pari status di classico. Prima tra queste la bacchetta rossa, seguita dal quadro azzurro/celeste. Possiamo dire che il celeste ha una maggiore versatilità ed è meglio disposto a coniugarsi sia come abito competo che come spezzato informale, mentre i quadri sono destinati a giacche sportive e la bacchetta rossa è meno idonea al completo e anche negli spezzati cittadini avrà un tono ben più vicino allo sportivo del fratello celeste. Dunque è questione di scopi, più che di valore assoluto. Il seersucker a bacchette bianco-celesti consente un più ampio spettro d'uso. Nelle altre fantasie, purché rigorose e ben leggibili, sarà altrettanto corretto da un punto di vista classico e bello comunque, talvolta anche di più qualora la corrispondenza tra scelta e contesto sia perfettamente felice. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2012 Cod. di rif: 4625 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ciabattini a Napoli - Risp. Gesso n. 4623 Commenti: Egregio signor Tedesco, speravo anch'io di poter apprendere notizie su qualche bravo ciabattino nella mia città, qualcuno in grado di sistemare e risuolare scarpe di qualità, ma vedo che tutto tace. Pur calzando su misura da tanto tempo, o proprio per questo, non saprei nemmeno dire da quanti anni non vado più da un ciabattino. Per i "tagliandi" alle scarpe mi servo degli stessi calzolai che ne sono autori. In effetti uno di essi è di Arzano, molto vicino a Napoli. Si tratta del giovane, bravo e simpatico Paolo Scafora, (0818304808) cui è dedicata una scheda nel Portico dei Maestri. Non ho dubbi che qualche bottega tipo le vecchie "rapide" ci sia ancora, ma come Lei sottintende bisogna sempre vedere se i problemi li risolvono o piuttosto li trasformano e li moltiplicano. Cercherò di assumere qualche notizia su artigiani affidabili che si dedichino alla riparazione. In ogni caso, quando e se vuole un lavoro che vada al di là della riparazione e abbia qualcosa della resurrezione miracolosa, contatti il taumaturgo Alexander Nurulaeff, restauratore e lustratore di livello internazionale. Russo di nascita, vive e lavora in Italia ed è una persona speciale, che è già un piacere conoscere. Gli si possono spedire le scarpe e vederle tornare belle come non erano mai state. Il suo numero è 3286595855. Cavallereschi saluti da Napoli Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 27-06-2012 Cod. di rif: 4620 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Essere d'esempio - Risposta al Gesso n. 4615 Commenti: Dottissimo Rettore, saggio Fondatore, caro Dante, affrontare la condizione in cui versa il Paese avrebbe condotto in passato a parlare di politica, tema che il nostro status e il nostro cavalleresco statuto ci vietano di affrontare quando si parla sotto le insegne dell’Ordine. La materia, però, per non dire la parola, attualmente non interessa più nessuno. La politica, visibilmente fuori di testa, è stata affidata ai badanti e ben presto sarà diventata vecchia e incontinente anche l’antipolitica. Ciò consente di affrontare buona parte degli aspetti sociali dell’attualità senza più dover per forza citare leader, partiti, ideologie o alleanze, tutti arnesi di cui tra non molto riprenderemo a udire il clangore, ma che almeno per il momento giacciono tra la soffitta e la cantina. Le domande e le risposte dell’uomo sull’uomo si sono concentrate prima nell'economia, poi nella sola finanza ed ultimamente nelle sole banche. Tutti sono convinti che il mondo continuerà a girare solo salvando la moneta, capitalizzando gli istituti bancari e privatizzando ogni cosa, purché siano sempre le banche a gestire le operazioni. Le preoccupazioni ecologiste, che sino a due o tre anni fa apparivano così profonde ed urgenti, sono scomparse dalle agende internazionali, sostituite da quelle sulla recessione e sul debito pubblico. Anche a livello popolare Green Peace non commuove più nessuno, è tempo di Indignados, Black Block e NO TAV. La soluzione escogitata dai Grandi nei loro vertici è sempre la stessa: rastrellare denaro per un motivo universalmente riconosciuto valido e poi gestirlo per il bene dell’umanità. Cambiano gli allarmi, non il sistema. Gli accordi di Kyoto non sono serviti ad altro che a spendere soldi ed ora bisogna trovare altre paure altrettanto fruttifere. Passate di moda le effeminate caldane sul riscaldamento globale, ecco che allo scopo torna utile il virile orgoglio di recuperare la ricchezza perduta. Ci sono nazioni in difficoltà, poverine, ecco il nuovo ritornello su cui cantare e battere cassa. Ovviamente nemmeno un centesimo finisce a vantaggio della gente o della cosa pubblica. Della ciccia fanno un sol boccone le banche nazionali, che sono comunque società private. Manca poco che durante i programmi televisivi pubblicizzino il numero formulando il quale si possono inviare dei soldini alle banche povere dei paesi poveri. Dunque le banche, facendo leva sulla sacralità della moneta unica, esigono denaro da dare ad altre banche. La politica si limita a chiedere dove firmare, in nome e conto di chi dovrà pagare. Restano isolati i pensatori come il Principe del Galles, di cui abbiamo apprezzato le illuminanti considerazioni svolte nell’intervista riportata al gesso n. 4610. La sua visione di una sostenibilità capillare, che arriva fino ai mondi estetici e proprio da essi riparte per diventare leva economica e ritornare all’uomo in termini di gratificazione profonda, sarebbe una ricetta internazionale a basso costo e zero impatto per il rilancio delle identità e delle ricchezze locali, morali e materiali. Fare, questo il senso del suo messaggio, e fare cose durevoli che comportino meno spreco possibile. Ma perché dare reti al popolo quando lo si può convincere a pescare con le proprie barche e poi prendersi tutto il pesce, semplicemente dicendo che lo si fa per il suo bene? Noi qui al castello continueremo a considerare la lettura estetica una via critica privilegiata per la comprensione della storia. Il futuro, coinvolgendo la politica, non ci riguarda. E per quanto riguarda il presente, non posso che condividere e ribadire il tuo invito alla cura dell’abbigliamento e dei comportamenti. Nella generale tristezza, nell’universale lamento, nella globale trascuratezza, chi può e sa ha il dovere di essere d'esempio. Equilibrio, armonia, tradizione, senso, gratitudine, responsabilità, misura. E’ il nostro modo di combattere, anzi di difendere con la gioia e non con l’odio il gusto ed il giusto, secondo la nostra vocazione di Guardiani. Questo, non altro, significa essere Cavalieri. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-07-2012 Cod. di rif: 4629 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Code dell'altro mondo - Risposta al Gesso n. 4626 Commenti: Egregio signor Folli, l'Italia è un Paese che non ha nulla da invidiare ad altri in fatto di gusto e di gusti, ma vive con insanabile senso di colpa tutte le soluzioni estetiche che possano esprimere supremazia sociale. Abbiamo avuto Presidenti della Repubblica col cappello floscio da impiegato, Presidenti del Consiglio con la bandana da galletto di discoteca, null’altro che simboli di un andamento generale. Se attraversa la campagna francese, o quella inglese, vedrà centinaia e dico centinaia di ville e castelli emergere da parchi o giardini a loro volta recintati in modo che tutto resti visibile. Di castelli noi ne abbiamo conservati molto pochi e le nostre ville sono blindate da altissime mura. Si parla a proposito di sicurezza o privacy, ma non è che una bugia tra le tante che vogliono nascondere la nostra natura, invece di affrontarla. La paura con cui ci si confronta è quella del giudizio altrui, sempre impietoso contro chi mostri di avere ed a prescindere da considerazioni di merito. Le mura servono a tenere lontani gli sguardi dell'opinione pubblica, non le mani dei ladri o gli obiettivi dei fotografi. Il sentimento che presso di noi suscitano le tenute molto curate, come anche le barche ed auto e palazzi appariscenti, non è un giudizio estetico, ma una condanna morale. Ora, chi valica i limiti del consueto deve pur essere disposto a rischiare una bocciatura, uno scherno, una risata, un commento, ma da noi certi abiti e certi oggetti si avvertono come un pericolo, non come un errore. Vengono quindi contrastati con la profonda animosità della difesa del giusto, non con il registro più leggero riservato alla repressione del brutto. Ed è cosa tutta e solo italiana. Il Quirinale, il palazzo più grande e probabilmente il più ricco e prezioso tra quanti in Europa ospitino un Capo di Stato, ha cancellato le code dal proprio cerimoniale da molto tempo. Quindi anche nell'ambiente diplomatico il frac, che era in uso almeno per la presentazione delle credenziali, è stato volontariamente messo in soffitta dai nostri capi affinché noi si faccia lo stesso e tutti si possa dormire tranquilli, sapendo che nessuno oserà vestire in modo così criminale e contrario al popolo. Nessun'altra Repubblica europea è arrivata a tanto, per non parlare delle monarchie, a partire da quella elettiva del Vaticano. In verità qualche serata privata in cravatta bianca, naturalmente non proprio obbligatoria, resiste anche da noi. Tra le cose buone della modernità, possiamo annoverare la tolleranza, purché anch'essa temperata dal buon senso. Ci sono occasioni in cui il dress code deve essere vincolante e quelle sono ad esempio le serate di gala degli ordini cavallereschi più antichi, il cui ruolo di esempio finirebbe per soffrire da ogni approssimazione. Forse l'unico posto dove ancora vige in Italia l'obbligo del frac è negli incontri protocollari dei Cavalieri. Dunque il frac vive, ma per trovare la collocazione fisica e psicologica del frac, bisogna concepire la vita e giudicare le cose in termini internazionali, abbattere le mura che ci fanno vedere il nostro mondo come l'unico esistente, possibile, o valido. A Londra si celebrano in white tie molti ricevimenti privati, al punto che non è impossibile, in ristoranti esclusivi, veder sedere un uomo che la indossi. In Francia, o meglio a Parigi, è ancor meglio. L'Opera Garnier, che a differenza dei nostri teatri è considerato un importante patrimonio nazionale e lavora quasi tutti i giorni di tutto l'anno, organizza per Les amis de l'Opera quattro o cinque serate all'anno con dress code “cravatta bianca o nera”. Molti si iscrivono alla fondazione solo per potervi partecipare a questi dinamici incontri, dove avviene la presentazione in anteprima delle attività dei mesi successivi ed a seguire una cena di gala. Centinaia di giovani partecipano, senza sensi di colpa o timore che la stampa li additi come mafiosi o affamatori. E che dire delle serate in cui, sempre all’Opera, i cadetti dell’Ecole Militaire de Saint Cyr ballano in alta uniforme con le debuttanti? Un altro mondo? Nientaffatto, è il nostro che è un altro mondo e basta apprezzarne le cose buone e guardare oltre le sue miserie per accorgersi che, da un momento all’altro, si sta già pensando come un uomo in frac. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-08-2012 Cod. di rif: 4638 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Il denaro sterco del demonio - Risposta al gesso n. 4630 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, riguardo ai propri mezzi il riserbo italiano, o meglio all’italiana, è ben lungi dall’essere modestia o educazione all’understatement. Lei stesso lo sottolinea con precisione. Si tratta della ragionevole paura di condanne morali, la cui pronuncia è inevitabile, immancabile, instancabile. Lo dimostrano le prese in giro di Briatore, che continuano da anni solo perché ha usato come leva di successo la parola Billionaire ed altre forme di ostentazione, sebbene alquanto ingenue e pecorecce. I giudizi negativi del costume hanno anche conseguenze concrete, considerate le vicende tributarie che ad esse frequentemente conseguono. Si deve infatti accettare che, quando si tratta di bersagli non statici come i redditi da lavoro dipendente, la mira del nostro fisco è parzialmente, ma incisivamente, indirizzata o comunque accompagnata da un criterio punitivo. Oggi più che mai, come è provato dalle azioni dimostrative che hanno scelto come teatro Cortina, Porto Cervo, Montenapoleone etc. Si deve naturalmente partire dalla considerazione che a vantaggio degli autonomi si sia a lungo voluta mantenere un’area non completamente franca, ma se non altro poco controllata. Una via di fuga di cui tutti coloro che potevano in qualche modo hanno beneficiato, ma le cui porte si sprangano improvvisamente quando il soggetto che se ne giova mette in evidenza le proprie possibilità, specie se in aree che il costume considera come vizi. Resta indubbio che il terrore indotto dall’esterno sia preceduto da un freno interiore, una sorta di senso di colpa. Dunque, quando parla di caccia alle streghe, non è molto lontano dalla radice del fenomeno, che affonda in quella componente della morale italiana che ha origini religiose. Se chiedessimo in giro, sentiremmo molti ritenere che morale e religione sono sinonimi o comunque coassiali, risposta che in Paesi come gli Stati Uniti, dove l’idealismo di matrice civile ha un grosso peso a cominciare dalla Dichiarazione d’Indipendenza, non avrebbe rilievo statistico. La disapprovazione laica, conseguente alla diffusione di quello che abbiamo già chiamato pansindacalismo, ha genitori giovani ed un obiettivo diverso. A ben vedere, ha messo alla berlina lo sfarzo, ovvero l’esibizione pubblica di un livello accessibile solo grazie ad una precisa ed esclusiva appartenenza sociale, non il lusso limitato al consumo privato di beni acquisibili per via meramente venale. Ha esiliato i grandi balli, le feste in maschera, i palazzi, le cacce a cavallo, insomma gli scenari il cui gusto è incomprensibile alla massa che non sa e non vuole ballare il valzer, immaginare un costume surrealista, allevare cavalli, né governare tanta servitù quanta ne serve per simili beni ed attività. Su un piano più quotidiano, dal ’69 sono state cancellate le serate in smoking, con cui molti istituiti festeggiavano anche la chiusura dell’anno scolastico. Alle prime dei teatri si sono viste sempre meno cravatte nere, le pellicce sono state messe in naftalina, i gioielli chiusi nella cassetta di sicurezza, gli autisti privati della livrea, gli alberghi hanno licenziato lacché e lift, etc. Insomma è sui servizi, sulle kermesse, che si è appuntata quella censura pseudo democratica che vuole i tappeti rossi riservati ai professionisti dello show e inaccessibili a tutti gli altri, pena la gogna. Il bell’orologio, la gran macchina, il banchetto di nozze costoso quanto prevedibile, hanno goduto, se non di indifferenza, almeno di un regime di indulgenza non dissimile da quello precedente all’ira sessantottina. In qualche modo, la sempre maggiore disponibilità di questo lusso da rotocalchi si è anzi presentata come la rivincita di una borghesia sempre più piccola mentalmente e man mano più capace in termini di potere di acquisto. Una possibilità di comprare col denaro, spesso recentemente e facilmente guadagnato, un’esclusività la cui acquisizione per nascita, o cultura, o talento, si era voluta proscrivere. Se fosse stata veramente bandita, avremmo potuto pensare che si trattasse di un cambiamento di grande portata. In realtà era semplicemente cambiata la chiave di accesso ad un valore che restava tale, anzi di cui si avvertiva sempre più il bisogno come veicolo di identificazione in un mondo in cui la perdita di identità rende ogni giorno più desiderabile il successo, unica prova dell’essere. Possiamo quindi considerare questa mercificazione dell’esclusività nulla più che una moderna simonia, non meno comune negli ultimi trenta anni di quanto lo sia stata durante i pontificati di Innocenzo VIII (1432 – 1492 § Papa dal 1484) e Alessandro VI (1431 – 1503 § Papa dal 1492). Sono i tempi, non a caso, cui l’argomento ci costringerà a far ritorno. L’equivalenza tra ricchezza e furto e quindi tra ricco e delinquente è riconducibile al movimento giovanilista ed egalitario già ben ricostruito dal Pugliatti. Sebbene tale movimento abbia interessato e cambiato l’intero mondo occidentale, è in Italia che questa sua specifica conseguenza è stata assimilata in modo radicale e irreversibile. Interagendo con le peculiarità della nostra cultura, ambiente degli umani fenomeni che nel nostro metodo cavalleresco spesso e volontariamente alterniamo, confondiamo o sostituiamo al concetto di razza, completò una proprietà tassonomicamente rilevante, ovvero il “comunismo biologico” di cui già nell’Appunto n. 2118 si era parlato per chiarire le motivazioni dell’oscuramento mediatico di una personalità internazionale come Nubar Gulbenkian (1896 – 1972). Se il nuovo criterio poté essere installato a livello endocrino e raggiungere il nostro codice genetico, diventando naturale ed ereditario, fu per la compatibilità creata dall’esistenza di un precedente ed efficacissimo bypass dei sentimenti, che conduceva la valutazione della ricchezza direttamente verso il sospetto ed il biasimo dovutole come sede e vivaio del vizio. Isolare il principio più antico dalla componente moderna ha richiesto parecchio spazio. Identificarne l’origine esigerà ancora un po’ della Sua pazienza e potrebbe infine risultare macchinoso, o quel che è peggio poco interessante, ma l’importante è che tale lavoro non comporta una deviazione dai temi di questa Lavagna. Si parla infatti di vicende che influenzano tutta la sfera estetica, ivi compresa l’area dell’abbigliamento. Come già accennato nel 2005, anno di pubblicazione dell’Appunto citato, il primo nucleo del pensiero che considera il denaro come sterco del demonio risale alla Controriforma. Dobbiamo anzi andare ancora più indietro, perché una necessità di indirizzare la Chiesa verso un’umiltà che fosse obbedienza e testimonianza dell’insegnamento di Cristo è precedente anche a Lutero (1483 – 1546) ed alle strategie ufficialmente assunte dal Concilio di Trento (1545 – 1563) in seguito allo scisma protestante. Il segnale più importante per autorevolezza, profondità, diffusione e influenza storica è nell’opera scritta e nella predicazione di Girolamo Savonarola (1452 – 1498). Le 95 tesi di Lutero, il suo primo atto provocatorio, sono del 1517. La Lega di Smalcalda, primo segno inequivocabile della nuova confessione conflittuale con Roma, è del 1531. Il Concilio di Trento è convocato nel 1545. Savonarola precede, anzi prevede, la svolta semplificatrice e dà alle stampe già nel 1496 il suo De simplicitate christianae vitae. Le abitudini licenziose di Innocenzo VIII e l’insopportabile imperversare dei Borgia, figli di Alessandro VI, sono bocconi duri da digerire per i mistici. In realtà lo erano anche per i più pragmatici, in quanto la mira di Cesare Borgia era quella di fare dello Stato della Chiesa un’istituzione laica, quindi a guida ereditaria, ma questa è un’altra storia. Il fatto che conta è che nel 1497 una falsa scomunica, quasi certamente fatta confezionare a bella posta da Cesare Borgia (1475 – 1507), colpì il Savonarola, le cui idee erano state capaci di fare di Firenze una repubblica. Su impulso del partito filomediceo, suo nemico giurato, il domenicano flagellatore di costumi fu processato per eresia, torturato con il tratto di corda e al cavalletto, poi impiccato e infine arso il 23 Maggio del 1498. L’empatia della città, se non dell’intera nostra sensibilità, nei confronti del frate predicatore, è testimoniata dal fatto che ancor oggi, a distanza di oltre cinque secoli, il 23 Maggio viene celebrato con la Fiorita, una celebrazione che ricorda il gesto di popolare pietà con cui il luogo dell’esecuzione venne coperto di fiori. Fin qui siamo un po’ nel simbolico e per un’altra significativa parte in una vena così profonda e sottile dall’apparire inconsistente, ma anche le piccole sorgenti diventano importanti, se trovano affluenti abbastanza capaci ed una valle sufficientemente lunga da fare del rigagnolo un grande fiume. E così fu. La Controriforma favorì la nascita o l’espansione di ordini ecclesiastici come i Gesuiti, i Barnabiti e le Orsoline, che per secoli hanno gestito una porzione significativa dell’educazione italiana orientandola a principi controriformisti che non escludono né condannano il successo, ma lo vincolano a rigore e modestia. Basterebbe già questo per vedere come, dove e quanto si sia fatta sentire l’influenza della religione sulla morale, ma c’è molto altro. Paolo III (1468 – 1459 § Papa dal 1534) fonda nel 1542 la “Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del santo Offizio”, che nel 1908 si chiamerà solo “Sacra Congregazione del santo Offizio” e dal 1965 “Congregazione per la dottrina della fede”. Paolo IV (1476 – 1559 § Papa dal 1555), inflessibile inquisitore, ghettizzatore degli ebrei, terrore degli stessi cardinali, consolida il ruolo dei tribunali e come capo del santo Offizio emette nel 1559 l’Indice dei libri proibiti. Lo spirito di questo tipo di censura è molto rilevante ai fini cavallereschi, in quanto contiene tutto il livore ed il sospetto che i “benpensanti”, non per forza chierici, hanno appreso, assimilato e tramandato nei confronti del piacere. Poiché siamo ad un punto cardine, lascio la parola ad un maestro così grande che gli basta poco spazio per esprimere idee di forza inaudita: “Nelle infinite e oppositissime attrazioni del piacere e del dolore, non possono impedirsele dalle leggi umane i turbamenti e il disordine. Eppure questa è la chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possano nascere, ma egli è crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtù e il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti se ci dovesse essere vietato tutto ciò che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l’uomo dall’uso dei suoi sensi". E senta questa, attualissima critica dei divieti postclassici: "Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere”. La prego, conoscendo la Sua attitudine alla speculazione, di leggere e rileggere con la massima attenzione queste poche righe in cui Cesare Beccaria (1738 – 1794) esprime con impareggiabile vigore umanista la condizione contraddittoria dell’umanità e allo stesso tempo la necessità di tenerla presente, di rispettarla, senza illudersi di poterla cancellare con la legge. Diversamente ci si infrange sugli scogli della più grande assurdità, cioè voler fare della religione l’unica origine della morale, della morale l’unica origine della ragione e di questa ragione – capace di definizioni eterne ed immutabili - l’unica guida della comunità. Il mondo in realtà non è e non potrà mai presentarsi univoco e questo è sempre ben presente all’illustre giurista e filosofo. Eppure il capolavoro di Beccaria “Dei delitti e delle pene” (1764), letto ancor oggi come una bibbia da tutto il mondo civile, in Italia venne messo all’indice già nel 1766. La motivazione, che finalmente rappresenta il traguardo di questa trattazione, era che l’opera proponeva una distinzione tra reato e peccato. Il santo Offizio dunque, ancora in tempi illuministi, era certo che la legge di Dio e quella degli uomini devono coincidere in ogni punto, come se fosse concepibile solo un malum in se e non mai il malum prohibitum, cioè tale per convenienza civile. Questo bel programma integralista è completato dal corollario dell’identificazione tra piacere e vizio, per cui i simboli del piacere, tra cui i beni e le abitudini che la ricchezza consente e favorisce, sono additati (stiamo o no parlando di Indice?) come fonte di empietà. Se la dottrina protestante e riformata crede nelle giustificazione come opera della grazia divina attivata dalla fede, quella controriformista professa la salvezza attraverso le opere, che presuppongono una vita in cui non solo ci si dedichi agli altri, ma ci si dimentichi di se stessi. Dunque penitenzialismo alla Savonarola, rigore alla Paolo III, attivismo totalitario alla Paolo IV, il tutto trasmesso attraverso un insegnamento dall’impostazione centralizzata e mirata, rappresentano i pacchetti di informazioni che hanno man mano penetrato la nostra corteccia cellulare e si sono inserite nei geni, riproducendosi ormai anche senza spinte esterne. Come volevasi cavallerescamente dimostrare Giancarlo Maresca P.S. – Prego eventuali altri lettori, specie se non avvezzi al nostro metodo di ricerca, di voler considerare tutte le citazioni di persone e idee come uno strumento e non come un giudizio, Ciò che di esse è stato detto è solo la parte funzionale ad un singolo, limitatissimo discorso, ma poiché ogni persona ed ogni idea ha molteplici aspetti se ne potrebbero di certo, con altrettanta ragione, esaminare degli altri o riesaminare questi stessi sotto un’altra luce. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-09-2012 Cod. di rif: 4643 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Definizione ed uso delle spectator - Risp. gesso n. 4369 Commenti: Egregio signor Fainardi, bisogna innanzitutto intendersi su cosa voglia dire spectator. Se la parola è stata introdotta ed accolta nel vocabolario del vestire, vuol dire che deve esserci una differenza tra "spectator" e "bicolore". Il metodo cavalleresco funziona così: una parola può avere molti significati, ma tutti devono essere compresi, o almeno evocati, da una definizione. La comprensione del mondo classico richiede strumenti che possano scendere a profondità inusitate, come più volte dimostrato, e che quindi devono essere resistenti e precisi. Ebbene, le apparecchiature più importanti di qualsiasi critica o filosofia sono proprio le definizioni, senza le quali si può aspirare al massimo ad un piacevole e dilettantesco intrattenimento, non certo alla costruzione di un sistema. Se ha dimestichezza col castello, avrà letto più di una definizione di oggetti e concetti, purtroppo sparse qua e là. Magari un giorno, tra cinque o cinquanta anni, qualche Ricercatore le riassumerà in un corpus che verrà evidenziato in questa Porta. Visto che in materia non c'è tanta letteratura, possiamo dire che il rapporto tra la spectator e la bicolore è quello di specie a genere. La spectator è una bicolore oxford o derby ad evidente contrasto nel colore e talvolta anche nel materiale, sempre sottolineato da una ricca presenza di broguering. Non sono dunque spectators le derby alla norvegese, le saddle shoes, i penny loafer, le topsider, le plimsoll in canvas, ancorché bicolori, in quanto si tratta di modelli tradizionalmente privi di broguering. Ciò detto, la spectator più importante per il mondo classico è quella che ha Lei, in cui entrano in contrasto un tono del bianco ed una tinta coloniale. I modelli in bianco e nero sono più legati al mondo del jazz e conservano nel bagaglio un peso afroamericano che non si imbarcar tanto facilmente. Insomma, rischiamo ben più delle altre di apparire un attrezzo da palcoscenico e far apparire un istrione chi le porta. Il Duca di Windsor, alla cui importanza nell'evoluzione della scarpa sarà dedicato un convegno cavalleresco a Montecosaro, calzava spesso delle bicolori in bianco e nero (soprattutto norvegesi, ma anche saddle shoes e penny loafer), ma mai lo si è visto usare questa soluzione in una vera spectator. Questa accortezza lascia una traccia evidente e sembra disegnare, rispettandoli, i criteri che ho enunciato. Abbiamo dunque ristretto l'idea di spectator ad una brogue in cuoio, o cuoio misto a tela e/o scamosciati, con tradizionale costruzione derby o oxford. Di questo modello si usano con maggior frequenza le combinazioni tra sfumature di bianco e colori coloniali di varia fiammatura. Queste scarpe, essendo esaltate dalla luce naturale, possiedono una natura diurna e informale, pertanto privilegeranno gli abbinamenti con tessuti e fogge che abbiamo lo stesso carattere. L'uso oltre la mezza stagione è raro quanto le belle giornate invernali in cui si abbiano insieme tempo soleggiato e tempo libero, per lo più le spectator si portano in estate e primavera, riponendole in autunno e inverno. Il colore con cui si trovano meglio è il bianco, sia dei pantaloni che dei completi. Per il resto ci si può porre la domanda: "Questo tessuto lo userei su un campo da golf? Se la risposta è positiva, anche l'associazione lo sarà. Le possibilità non si esauriscono però con quelle rivelate da questo trucchetto, perché le spectator si addicono meravigliosamente a quasi tutti i tessuti nei colori dal caffellatte al cacao, anche col gabardine, il mohair ed il tropical che su un campo da golf non si userebbero. Bene coi quadrettati leggeri con fondi beige a fiamma gialla (non si usano forse anche sul green?), ottimamente col solaro in primavera, non altrettanto in autunno. In inverno si possono tirar fuori in occasioni sportive, indossando pantaloni in covert o bedford cord, evitando il velluto e ogni flanella grigia. E' quanto basta per farsi una prima idea, sarà lei stesso a completare il quadro e a firmarlo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 20-09-2012 Cod. di rif: 4644 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Manca sempre qualcosa - Risp. Gesso n. 4642 Commenti: Egregio signor Folli, la mia analisi non voleva essere una storia d'Italia, che non avrebbe senso sviluppare ed ospitare su questa Lavagna. Il mio compito era rispondere a questa precisa domanda dell'Illustre Cavaliere Villa: "Chiedo al Gran Maestro : c’è un origine storica o culturale di questo senso di colpa ?". Quello che mi premeva era risalire all'origine della forza in oggetto ed all'individuazione della sua natura e dei suoi veicoli di trasmissione. Sebbene parzialmente, ho compiuto il mio dovere indicando la prima nel sentimento pre-controriformista e controriformista, i secondi nella moralizzazione ad opera dell'inquisizione e di un certo tipo di 'istruzione. Il fatto che l'assassinio a sfondo politico-religioso di Savonarola sia ancora ricordato dai suoi concittadini a distanza di secoli, mentre altre nostre vicende con gli stessi ingredienti sono state dimenticate o trascurate, è un indizio antropologico assai significativo, che da solo spinge a riflettere su chi veramente siano "li maggior nostri". L'intervento di altri fenomeni, tra cui potrebbe figurare la paura indotta dall'angosciante destabilizzazione terroristica, è scontato almeno quanto il fatto che chiunque scriva qualsiasi cosa, fosse anche la più convincente e brillante delle teorie, manca di dire qualcos'altro. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-09-2012 Cod. di rif: 4648 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Le mezze stagioni - Risposta al Gesso n. 4646 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, la divisione del ciclo annuale in termini di estate, inverno e mezza stagione, non significa che a due periodi principali se ne aggiunga uno subordinato, ma solo che delle quattro stagioni due sono antitetiche e le altre due, proprio perché intermedie, hanno qualcosa in comune. In effetti le loro temperature sono simili, eppure conservano un carattere indipendente che non manca di influenzare l’abbigliamento. Anche se la modulazione dell’isolamento del corpo avviene sempre più con la sottrazione o aggiunta di strati e sempre meno con la diversificazione nei pesi e caratteri dei tessuti, i colori stagionali restano comunque diversi e specifici. Chiunque sa cosa siano i toni autunnali, anche se non tutti saprebbero definirli. Per comprenderne il ruolo nel guardaroba, occorre entrare nell’ordine di idee che la stagionalità non è un semplice fenomeno astronomico o climatico, quanto un metodo di conoscenza ed un patrimonio culturale che nel vestire diviene una formidabile possibilità di espressione ed evocazione. Mentre i pozzi di petrolio si esauriscono, quelli della tradizione più si utilizzano e più si arricchiscono. Per la luce e l’energia che offrono, le società umane veramente civili li proteggono dalle distruzioni e soprattutto dall’indifferenza, ben sapendo che nell’incuria e nella distrazione attecchisce subito l’approssimazione, ovvero il cancro delle cose. Trascurare la favolosa tavolozza dei tessuti stagionali solo perché la vita urbana consente giorni e notti con la stessa luce, estati ed inverni con la stessa temperatura, proprio come propone un’eterna e dappertutto uguale gioventù, significa privarsi di una forma di comunicazione personale e sociale che è insieme arte ed educazione, entrambe nel loro senso più nobile. Poiché esige che la sensibilità del singolo rispetti quella della comunità, il senso della stagionalità non può essere assimilato se non la si vive anche in altri aspetti della vita quotidiana come mangiare, bere, viaggiare, assecondando le ricorrenze personali, sociali e naturali in un ciclo che, ripetendosi uguale, porta a risultati sempre diversi come gli anelli in un tronco. Negando l’importanza o l’esistenza delle stagioni, mezze o intere che siano, si corrompe un sistema che, girando intorno ad un centro, genera e conserva l’equilibrio. Lo spaesamento in cui vive l’uomo senza inverni e senza vecchiaia sembra dimostrare che il suo mondo non possa dire altrettanto. Credo che i visitatori non si aspettino dal castello consigli sull’abito che eviti loro di dover sapere di abbigliamento, quanto l’esatto contrario e cioè conoscenze capaci di liberarli dalla necessità di consigli.. La suddivisione in stagioni collega la costruzione del guardaroba, autobiografia che non si conclude nemmeno con la morte e quindi quanto di più personale possa esistere, ad una concezione universale del tempo, del mondo e dell’uomo, dimostrando che ci sono punti in cui stile individuale e cultura collettiva sono intimamente legati. E’ impossibile capire il significato della stagionalità senza analizzare l’origine e la natura di questi rapporti. Nella notte dei tempi, il primo sentimento che gli uomini condivisero fu la paura e la prima paura quella dell’ignoto. Sorgerà nuovamente il sole? Torneranno le piogge e le mandrie? Passerà il freddo? Gli sciamani elaborarono a questo scopo meravigliose cosmogonie, che spiegavano la nascita, la natura e la successione del tutto. Coi racconti e coi riti diedero al mondo un ordine, qualcosa che non esiste se non ci si crede in molti e nello stesso modo. L’economista dirà che la casta sacerdotale aveva inventato il settore terziario, l’umanista che l’umanità era entrata nell’età degli dei. Con l’evoluzione delle armi nacque anche una casta guerriera, le cui gesta si cantarono ben presto intorno ai fuochi. L’economista dirà che iniziavano i conflitti per l’accaparramento delle risorse, l’umanista che l’umanità era entrata nell’età degli eroi. Dei ed eroi sembravano, o forse erano, ingredienti fatti apposta per il mito. Foresta di metafore, palazzo dove l’inconscio si aggira da padrone e da prigioniero come il Minotauro nel suo labirinto, lago la cui superficie ci restituisce il nostro volto come uno specchio ed il cui fondo ci nasconde, o ci conserva, i segreti della conoscenza, il mito è uno strumento che, una volta scoperto, non è più stato abbandonato. Sembra anzi che, negli ultimi anni, l’attributo “mitico” goda di un particolare favore. La storia è una lettura del passato, la leggenda la creazione di un passato immaginario, il mito mette in corto circuito passato, presente e futuro. Il suo lavoro è rendere comprensibile l’azione di un principio universale senza metterlo in relazione all’intero universo, evitando così spiegazioni necessariamente parziali o fallaci. A tale scopo lo isola e lo eternizza, conferendogli valore di simbolo. Affermare che una persona o una cosa siano mitiche comporta una volontaria rinuncia ad ogni commento o misurazione tecnica della loro eccellenza, nella convinzione che risieda nell’essere esse stesse, isolatamente e complessivamente, un esempio che illumina per sempre la loro natura. Dire di un cantante che è mitico significa dunque che non lo si ritiene grande per il numero di dischi venduti o per quanto tempo riesca a tenere una nota, ma in quanto vivente e definitiva dimostrazione del significato e del modo di manifestarsi del proprio talento, in questo caso la musica leggera. Per sfruttare i miti basta credere nel loro ruolo simbolico, almeno nel momento in cui lo utilizziamo. Questa disattivazione della criticità razionale è molto più comune di quanto non si creda. La mettiamo in opera ogni giorno per vivere le emozioni di un film, ma può avere anche uno scopo conoscitivo o sociale. L’alchimia e l’astrologia sono basate su una sistemazione del cosmo squisitamente simbolica. Le loro suddivisioni del mondo in quattro elementi, o della materia in quattro stati, sono insieme figlie e sorelle della suddivisione dell’anno in quattro stagioni. Adottandole nella Fisica, Aristotele non pretende che un laboratorio trovi materialmente le tracce di tali componenti e qualità. La sua filosofia non prelude ad una ricerca scientifica, offre all’esperienza di ciascuno la possibilità di vedere cosa colleghi realtà lontanissime, intuendo così qualcosa che a sua volta la scienza rinuncia a cercare: la natura delle cose. Così, quando Nietzsche ci spiega l’uomo e l’arte in termini di apollineo e dionisiaco, non dobbiamo pensare che egli credesse negli dei dell’Olimpo. Ne utilizza il mito nel senso di significato di un fatto, di una storia, di un personaggio, o di una cosa, che astragga dall’indagine sulla loro verità o esistenza. La stessa sospensione dei processi razionali che ci spingono a chiedere il perché e il percome di ogni cosa, ci consente di credere che dietro una banconota di carta ci sia un valore sicuro e durevole. Quando la borsa scende a picco ed il telegiornale avverte che si sono bruciati miliardi, tutti ci credono senza vederne il fumo. Chiusa l’era della convertibilità in oro, il denaro è una convenzione non meno mitica delle fatiche di Ercole. Finché ci si crede ed affinché ci si creda, gli Stati nazionali sosterranno sempre le grandi banche in difficoltà, anche qualora abbiano sbagliato di brutto. Nel momento in cui si dubitasse che titoli e denaro saranno recuperabili domani come oggi, che quindi il grano si possa trasformare in soldi ed i soldi di nuovo in grano, collasserebbe un apparato sempre più grande e tutto sommato positivo. Nessuno si chiede cosa siano materialmente i dollari o le sterline, ma è proprio questa apparente superficialità a rendere possibile una civiltà avanzata come quella monetaria. Una volta la stessa fiducia convenzionale era riposta anche in altri miti, la cui distruzione non è sempre stata una vittoria. Il sistema che riunisce tutti i sistemi mitici ha un nome: tradizione. Ne fanno parte il grigio ad un matrimonio, il panettone a Natale, il Palio a Siena, le cornamuse in Scozia e tantissime altre cose che all’esistenza umana danno, se non un fine, un senso. E’ importante sottolineare che, a dispetto di medie termiche simili in superficie, le due mezze stagioni sono diverse in profondità. In primavera la natura avverte l’allungarsi del giorno, rispondendo con energie centrifughe. E’ il tempo delle fioriture, dei germogli, quindi del colore e del rinnovamento. In autunno l’insolazione tende a diminuire e le foglie, che si nutrono di luce, disseccano in un’ultima fantasmagoria di tinte calde e infine cadono. Tra la vendemmia delle uve da vino e quella delle olive, la campagna compie gli ultimi grandi sforzi ed inizia il tempo delle energie centripete, che preludono alla stasi invernale. L’inquietante notte di Ognissanti e la triste giornata dei morti conferiscono alla stagione una cifra di commiato. Il rallentamento del respiro cosmico comporta che, anche a parità di temperatura, i tessuti autunnali siano più pesanti di quelli primaverili per assecondare un’esigenza di tepore che l’uomo avverte nel cuore, più che sulla pelle. A proposito, è chiaro che il cuore non sia sede di alcuna emozione, ma anche questo è un mito utile a esprimere, con l’immediatezza del simbolo, concetti che diversamente resterebbero difficilmente trasmissibili. Vediamo dunque quali tessuti e capi siano più adatti a trascrivere esteticamente il senso delle mezze stagioni, tenendo presente che autunno e primavera rappresentano rispettivamente il nucleo e la premessa dell’inverno e dell’estate, sicché la parte meno estrema del guardaroba ad essi destinato potrà essere utilizzata anche nelle stagioni intermedie. COTONE – In primavera si possono tirar fuori i primi completi in drill, che in pieno autunno possono apparire un po’ fuori tempo. Secondo che si usino i colori caldi della sabbia e del tabacco, o i freddi blu, questi abiti coprono la zona a cavallo tra l’informale ed il formale poco impegnativo. Conferiscono un aspetto performante e si abbinano bene ad un atteggiamento vincente. L’autunno è la stagione della caccia, quindi ideale per tirar fuori abiti e pantaloni in velluto a coste. I colori più belli sono quelli che vanno dall’olio maturo al beige dei faggeti spogli. Una giacca in velluto a coste conferisce un tratto di virilità indipendente, con un tocco di intellettualità incline al gusto della conversazione ed un pizzico di fisicità che rivela l’uomo avvezzo ai piaceri dell’azione, ma anche dell’ozio. Con un registro ancor più sportivo, chi ama ispirarsi al mondo country potrà indossare il moleskin, o fustagno, compatto panno di cotone che deve avere la mano ed il colore delle pelli di renna. Questo tessuto non si addice molto alla confezione di completi, meglio utilizzarlo per pantaloni o per giacche sciolte. LANA – In primavera si può utilizzare un tessuto che negli ultimi quattro decenni ha goduto di un costante calo di consensi, nonostante sia tra quelli che sanno meglio sottolineare la perizia di un sarto e la classe di un uomo: il gabardine. Indimenticabile la sua recitazione in Casablanca, dove interpretò il doppiopetto di Victor Lazlo in modo così magistrale da assegnargli un posto tra i grandi archetipi del vestire maschile. Tecnicamente è un pettinato con armatura a batavia, in cui l’ordito è più fitto della trama. Infatti, osservandolo da vicino, si nota che la tipica costina diagonale ha un’inclinazione sensibilmente impennata verso l’alto. Con l’armatura a saia si possono ottenere pesi inferiori, adeguati all’estate, ma si perde in temperamento. Forse grazie al peso distribuito lungo linee verticali ed alla fitta costruzione, nessun tessuto drappeggia come il gabardine in lana. Nella tirella appare quasi anonimo, poi a capo finito rivela un fascino discreto e profondo, una signorilità distesa e cosciente, priva di alterigia. La sensuale morbidezza delle sue pieghe ha qualcosa di gastronomico, come una pasta lievitata, eppure i sarti difficilmente lo consigliano. Essendo molto denso ed a tensione irregolare, il ferro riesce a lavorarlo con maggiore difficoltà rispetto ad altri twill. Si situa alla vetta dell’informale ed è adatto anche al lavoro ed alla vita di società. Resta comunque delicato nei colori e non proprio confortevole nelle giornate con sensibili escursioni termiche. Il solaro è un pettinato armato a levantina con un effetto cangiante e riflessi bronzei, dovuti al contrasto tra un ordito beige e una trama bordeaux. E’ un tessuto informale adatto al viaggio ed al lavoro, il cui nome ci dice che ama le ore di luce. Ricco di personalità, è un classico che figura perfettamente in entrambe le mezze stagioni, sebbene esiga accorgimenti diversi. Il solaro si può portare solo con abbinamenti di rigore assoluto, e sono loro a fare la differenza. Camicia bianca, cravatte spente e derby pesantucce in autunno, più luce, colore e leggerezza, anche nelle scarpe e calze, in primavera. A dispetto della superficie brillante, che sembrerebbe alimentare un’inclinazione all’appariscenza, il solaro è uno dei tessuti più colti e composti, difficile a vedersi indosso a chi non sia conoscitore dell’arte di vestire. Molto simile al gabardine, ha qualche pregio in meno nel drappeggio e lo stesso difetto: risulta termicamente eccessivo col caldo ed esteticamente insufficiente col freddo. Attende nell’armadio la giornata giusta, ma quando corre a suo agio è un cavallo che in un sol giro rimonta tutte le posizioni. Va preso in considerazione solo nel colore originale ed in poche disegnature. Per qualche misterioso motivo, quella a grani di riso risulta più adatta alla confezione di abiti a doppiopetto, mentre la spina di pesce larga circa un centimetro è perfetta per quelli a petto singolo. Il solaro rifugge i completi a tre pezzi ed odia essere spezzato. Sono ben rari i casi in cui si riesca a forzare con successo questi suoi capricci. Trovare la cravatta da abbinare al solaro è un esercizio d’alta accademia dell’abbigliamento classico, cui gli appassionati si dedicano per tutta la vita. Forse i risultati più interessanti, specie in autunno, si coglievano con gli ancient mudder, pesanti sete dai colori carichi e mano gommosa da tempo scomparse. Nel registro formale diurno figurerà meravigliosamente il fil-a-fil, Si tratta di una specie un po’ sbarazzina del genere grisaglia, tessuto che nei pesi pieni e nella costruzione perfettamente ordinata è più adatto alla solennità ed al clima dell’inverno. Nella grisaglia propriamente detta si ha l’alternanza di un filo chiaro ed uno scuro. Se tutti sono perfettamente dello stesso colore e calibro, come deve essere nelle buone qualità, in superficie compare il tipico tracciato a scaletta. Nel fil-a-fil c’è un po’ di studiato disordine, nel quale alcuni fili scuri e chiari risaltano più degli altri. La scaletta continua scompare, specie se si guarda dalla media o lunga distanza, in favore di un effetto graffiato che inganna l’occhio dandogli la sensazione che si tratti di una tela, più che di una batavia. Per dare risalto a questa caratteristica, il fil-a-fil esige grigi poco carichi ed è dunque un materiale luminoso, disinvolto, piuttosto leggero, che si abbina benissimo con accessori dai colori vivaci e quindi trova più spazio in primavera e nel primo autunno. Figura tra i tessuti preferiti da Carlo d’Inghilterra, che lo utilizza anche per i morning coat di monumentale bellezza che indossa ad Ascot ed a molti matrimoni cui non debba presenziare in uniforme. Il fil-a-fil è perfetto per abiti mattutini molto “pensati” e profondamente signorili. Ama gli accessori luminosi, anche con tinte in forti contrasti. Spesso si ha l’impressione che l’uomo abbia creato, trovato o accumulato dei tesori che poi non è riuscito a conservare. Lo shetland, ad esempio, meriterebbe un posto di riguardo nel guardaroba di autunno ed invece è in disuso. Il tessuto è una batavia di medio peso, da filati cardati o più raramente pettinati. La lana da cui prende nome e carattere viene da un arcipelago al confine col circolo polare artico, battuto da tempeste in cui si scontrano il Mare del Nord e l’Oceano Atlantico. Sono centinaia di isole, su molte delle quali vivono solo pecore e uccelli marini. Solo una trentina sono colonizzate dall’uomo, ma tutte sono abitate da elfi e giganti, sirene e folletti, spiritelli delle forre e demoni delle caverne. Queste terre spoglie, battute da venti salini, sono rimaste isolate tanto a lungo da sviluppare una razza ovina del tutto particolare, dal vello setoso. Tali lane presentano un’intima miscela tra pelo grossolano e finissimo, corto e lungo, con una mano molto più morbida di quanto l’aspetto suggerisca. Lo shetland richiede un certo peso, al di sotto del quale perde ogni senso. Sia nelle brillanti tinte unite che nelle fantasie scozzesi, ha un aspetto degagé che si traduce in un’autentica vocazione al tempo libero, o ad attività professionali indipendenti. Mancandogli la forza dei tweed, non evoca ambienti di caccia o scenari climaticamente severi. La sua serena presenza fa invece di questo tessuto, da confezionare preferibilmente con mezza fodera, un vertice di raffinatezza nelle belle giornate dell’autunno inoltrato. L’aspetto rustico dello shetland è bilanciato da una certa luminescenza perlacea, che invita ad utilizzarlo su pantaloni in flanelle pettinate. Se ne possono ricavare anche abiti completi, ma in genere si comincia dalle giacche spezzate. A quadri per chi senta propria un’originalità non venduta in confezioni da dodici, in tinta unita per chi intenda mostrarsi disteso nei contesti più competitivi e composto in quelli più rilassati. C’è in conclusione una cosa che si dovrebbe sapere subito, ma purtroppo si può comprendere solo quando la sensibilità estetica, andando oltre le possibilità della sola ricerca, ha trovato la camera segreta dove sono illustrati i poteri del classico. Tra questi figura quello di generare o cambiare il mondo, o almeno il modo di percepirlo. Se un inverno termicamente non sembra quel che ci si aspetta da lui, i tessuti possono crearlo, o meglio renderlo visibile là dove sembra non esserci. Intorno all’uomo vestito con cardati spenti e cravatta di lana, lo spirito dell’inverno, soggiogato dalla corretta pronuncia di una formula ancestrale, restituirà i tesori che aveva sepolto per non vederli sciupare dalla distrazione e dall’ignoranza. Evocare la voce delle generazioni che hanno accumulato nei tessuti quei significati che donano loro un’energia illimitata e rinnovabile, richiede che si onori la tradizione, il che comporta una rinuncia alle possibilità estranee al suo solco. In cambio si ricevono identità, valori, certezze importanti che a cercarle altrove non si troveranno mai. Il gentiluomo non perderà mai di vista che il vestire classico è credere, non esibirsi. Per questo è così grande e così difficile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-10-2012 Cod. di rif: 4650 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Paesaggio e british style - Alla signora Lollini Commenti: Gentilissima signor Lollini, ho anch'io apprezzato il sentimento con cui, negli Appunti nn. 5955 e 5958, aderisce alla sensibilità tradizionale, ciò che qui chiamiamo il calssico. Nonostante si sia trattato di un modo di essere e pensare decisamente maschiocentrico e classista, nei suoi momenti migliori il classico è stato in grado di esprimere il meglio dell'umanità e meglio di tutte le altre arti. Escluso naturalmente il cinema, con cui ci fu un patto d'acciaio, una collaborazione proficua che diede risultati entusiasmanti. Gli abiti del cinema dei tempi d'oro, ma anche quelli delle grandi città e finanche delle campagne, non solo arricchiscono, ma addirittura creano interi mondi. L'arte pop degli stessi anni non può parlare di niente senza corroderlo. Non c'è partita. Il senso di identità offerto da quelle tenute è dovuto all'intima corrispondenza tra estetica ed etica che si verificò per un lungo periodo. Alla fine la forma si ridusse a formalismo e tutto ciò che poggiava su quella base dovette a sua volta ridursi, o cadere e rompersi. Ogni civiltà contiene una contraddizione che prima o poi ne distrugge la struttura, un po' come un pezzo di metallo che già dalla fusione contiene una minuscola frattura. Può durare e lavorare a lungo, ma ad un certo momento la fessura inizia a propagarsi in modo inarrestabile. Dunque non possiamo pensare, solo perché sentiamo che il suo progetto è quello giusto, o almeno quello che fa per noi, che la civiltà dell'homo elegans avrebbe potuto durare in eterno. Noi siamo stati i primi ad accorgerci della sua morte e proprio per questo ci siamo mossi per tempo predisponendo questa immensa struttura come un laboratorio per investigarne i segreti, una cattedrale per celebrarne la gloria, un castello per difenderne i tesori. Di quanto ha scritto ho apprezzato il tono in generale ed una considerazione in particolare, quando parlando dello stile inglese ne coglie il vincolo sacro con il paesaggio. Aggiungo, a beneficio di tutti i Visitatori, che nel Taccuino le immagini non vanno usate come illustrazioni. Gli Appunti, come chiarito nell'introduzione, devono essere un commento delle immagini, non viceversa. Per le domande e le conversazioni, o per osservazioni non riferite ad una particolare immagine, la Porta dell'Abbigliamento mette a disposizione questa Lavagna. Cavallereschi omaggi Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-10-2012 Cod. di rif: 4658 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Classicità e Classico - Risposta al gesso n. 4655 Commenti: Gentilissima signora Lollini, lei frequenta quest'accademia da poco tempo e non ha avuto modo di prendere confidenza con alcuni criteri originali che utilizza. Mentre nelle scienze umanistiche moderne si tende ad identificare la forza che produce i fatti con la chiave per leggerli, come fanno freudiani e marxisti, idealisti e strutturalisti, noi consideriamo la genesi dei fenomeni come riconducibile a molte origini, troppe per investigarle tutte insieme. Non si riesce a smontare un meccanismo utilizzando un solo cacciavite, quando per montarlo si sono utilizzati decine di ferri. Tutto sommato, poi, la ricerca delle cause è inutile come chiedersi perché Dante si sia innamorato di Beatrice o Romeo di Giulietta. Anche se riuscissimo a capirlo, la cosa non avrebbe alcuna influenza sulla nascita e la fine di quelli e di altri amori. Sapere chi ha rotto il bicchiere non lo fa tornare sano e così conoscere la storia, le sue nefandezze e le sue colpe, non ha mai evitato all’uomo di ricaderci e mai lo farà, a dispetto dei giorni della memoria e altri trastulli. Noi tagliamo la storia a fette, o meglio a cicli, la assaggiamo (ovvero la esaminiamo dal punto di vista estetico) e cerchiamo di capire cosa ci sia dentro non per riprodurla, ma per archiviarne la ricetta originale in modo che i posteri la conoscano. Qui al castello e soprattutto nell'ambito degli eventi, dove la parte speculativa viene ulteriormente approfondita, alla parola "Classico" non diamo solo il significato tradizionale cui Lei fa riferimento, di struttura armonica di larga base e lunga durata. Scrivendolo con la maiuscola, non consideriamo il classico un aggettivo,un carattere delle cose, bensì un’intera civiltà, una Nazione di cui noi ci sentiamo cittadini. Il Classico è quella cultura che dominò il mondo per una novantina d'anni a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo e che si caratterizza per l’importanza che ha attribuito alla bellezza nella creazione di oggetti, comportamenti e situazioni. L'eleganza rappresentò allora un traguardo così costante, diffuso, elevato e influente, che abbiamo battezzato la razza che visse nel perseguirla come "homo elegans". Il ciclo di questa civiltà, come è accaduto a tutte quelle precedenti, si è esaurito . Comodità, eleganza, dignità, sono stati sostituiti da praticità, bellezza, successo. Una formula valida e convincete, non c'è dubbio, tanto che governa gran parte dei popoli della Terra già da oltre trenta anni e continuerà a farlo ancora a lungo. La "Morte del Classico" non è che la fine di un ciclo, qualcosa come la morte di un linguaggio. Il latino è morto perché ha perso la capacità di rigenerarsi, cioè di creare nuove parole, non perché non ci sia nessuno a leggerlo e parlarlo. Allo stesso modo il Classico è tuttora compreso, ma non è più possibile creare un nuova e credibile foggia o materiale che ne faccia parte integrante. Insomma, come lei giustamente sostiene, la classicità è un fiume che attraversa i secoli e, anche se a tratti viaggia sotto il suolo, a distanza di tempo e di spazio improvvisamente torna alla superficie. Il Classico, invece, è un bacino che non ha più affluenti. Saccheggiato dagli stilisti, inquinato da infiltrazioni di finti uomini e donne classiche, impoverito dall’approssimazione, ne resterà la memoria ed è a questa che noi dedichiamo buona parte del lavoro di questa Porta. Cavallereschi omaggi Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 26-10-2012 Cod. di rif: 4665 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pillole di metodo cavalleresco Commenti: Illustri Cavalieri, egregi Visitatori, come recentemente cercavo di riassumere al Gesso n. 4658, il Classico come lo intendiamo al castello e in generale nella ricerca cavalleresca non è quello del dizionario, ovvero quella qualità delle opere d'arte che, grazie ad una particolare pregnanza nell'interpretare la natura umana, conferisce loro un carattere di eternità ed universalità. Non è nemmeno quello degli stilisti, ovvero uno stile che riguarda il solo vestire, né quello della lingua parlata, che usa spessissimo questo termine per definire qualsiasi cosa, persona, modo di dire o comportamento che trovi larga diffusione, ripetitività e/o consensi. Un classico! Si dice di una scusa abusata, del traffico in uscita da Roma il venerdì, di un errore che si ripete e di mille altre faccende. Qui intendiamo il Classico come una cultura nel senso più ampio del termine, caratterizzata da una ricerca della bellezza sino all'estremo raggiungimento dell'eleganza, dalla considerazione altissima per la dignità e l'onore, dal senso dell'ordine, dall'immedesimazione nei ruoli, dal rispetto dei limiti, dalla percezione delle diversità, tutti fattori destinati a generare diseguaglianze e rigidità, i mali che hanno portato alla sua sclerosi, ma anche impressionanti sensibilità ed inarrivabili vette nella raffinatezza del suo linguaggio prediletto, che fu quello del vestire. E' per questo che si parla tanto di Classico nella Porta dell'Abbigliamento. Il fatto che una cultura muoia è perfettamente normale, anzi inevitabile. Che una lingua o una civiltà sia morta non significa che sia estinta, cioè scomparsa e incomprensibile, solo che ha esaurito il ciclo in cui esercitava una leadership che può essere limitata, come nel caso di culture locali o settoriali, o universale come quella appunto del Classico, che rappresentò ciò tutti gli uomini e le donne vollero essere ed avere per quasi un secolo. Va ribadito un altro dettaglio del pensiero cavalleresco, secondo cui le epoche e quindi le culture non sono definite dal piano materiale dell'economia, cioè da ciò che le persone hanno, ma da ciò che desiderano e cioè dal modo in cui vedono se stesse, ciò per cui vale la pena vivere o, come nel caso delle civiltà veramente civili, anche morire. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-11-2012 Cod. di rif: 4667 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Mezzo punto o retropunto - Risp. Gessi nn. 4569 e 4666 Commenti: Egregi signori Folli e Fainardi, mentre quelle realizzate industrialmente sono sostanzialmente decorative, l'impuntura di sartoria ha anche funzione strutturale. Tecnicamente si chiama retropunto, perché il movimento della parte emersa è opposto rispetto al senso di avanzamento. L'ago affonda nel tessuto e lo attraversa in avanti, quando spunta torna indietro ed è in questa fase che lascia il punto visibile. In pratica si tratta di una catenella, la cui tensione può essere dosata- naturalmente solo dalle mani esperte del sarto - per contribuire a tenere accostata la punta di un bavero, modellare in modo convesso le anse inferiori della gonna della giaccao o gli spacchi etc. Quanto all'aspetto, il puntino è più bello e prezioso del trattino, ma anche quest'ultimo ha senso quando si lavorano tessuti che assorbono molto il punto. Diciamo che su un solaro, tessuto secco e lucido, su cui tutto si nota, il punto dovrebbe essere grande come una capocchia di spillo, mentre su una flanella cardata almeno il doppio, senza comunque che diventi mai un trattino vero e proprio, come in certe giacche (e cravatte!) di gusto popolare. Con il carattere dei materiali cambia anche lo spessore della seta. Sottile sui pettinati, specie se fitti e rasati, da asole per i tessuti cardati o comunque soffici e spessi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-12-2012 Cod. di rif: 4677 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Gilet spezzato - Risposta al Gesso n. 4674 Commenti: Egregio signor Fainardi, inserire un gilet di tessuto diverso da quello del completo, o degli altri due capi di uno spezzato, rappresenta un gesto di volontà estetica di non facile attuazione. L'unico principio che possa soccorrere è la regola aurea secondo la quale gli abbinamenti tra tessuti diversi si basano innanzitutto sull'omogeneità di luminosità e peso, in secondo luogo sulla compatibilità delle fantasie ed in terzo luogo sull'armonia dei colori. Per cominciare, sotto gli Harris tweed spinati o finestrati potrebbe farsi confezionare un gilet a quattro tasche (tutte con pattina) in un panno giallo panettone, piuttosto accollato e con bottoniera fitta, composta da sei o anche sette elementi . Se il tweed è praticamente unito può pensare ad un tattersall, scegliendolo magari tra quelli secchi e pesanti di W. Bill. Il tattersall , sebbene sia un tessuto da caccia o da tiro, non sta male nemmeno con un blazer di flanella. Con giacca più brillante, di saglia, o di hopsack, può pensare ad un castorino rosso, anche a doppio petto, con bottoni in metallo. Col blazer, che non si usa per andare a cavallo ed è un capo più filante di una giacca country, il gilet non dovrà avere pattine, cosa che consentirà anche di metterci l'orologio a cipolla. Spezzare i completi è più difficile, ma non impossibile. Se per esempio possiede un abito grigio scuro in lana pettinata, può abbinarlo ad un gilet doppio petto in occhio di pernice a contrasto netto bianco/nero. Questa combinazione rende il capo simile ad uno stroller, quindi lavorativo e superformale da giorno. I blu scuri non si spezzano, quelli più "cromatici" lasciano aperta qualche possibilità. Un mohair avion, ad esempio, si può abbinare ad un gilet in lino ecru. Per cominciare può bastare, sarà Lei stesso a trovare la via se si sarà messo in cammino nella direzione giusta. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-12-2012 Cod. di rif: 4679 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chiacchiere - Risposta al Gesso n. 4675 Commenti: Egregio signor Bravi, nello spirito degli Ordini Cavallereschi agisce un principio detto di affidamento, secondo il quale non possono essere criticate le scelte, naturalmente relativamente ad una determinata materia o scopo, di chi in quella direzione possiede una visione superiore. Ovviamente il presupposto è nella convinzione che nessuno sappia tutto, ma qualcuno ne sappia di più. Riconoscendo a qualcuno un più alto grado di conoscenza, le decisioni o gli atteggiamenti di un maestro andrebbero giudicate dopo un lungo periodo, sufficiente a dispiegarne gli effetti e chiarirne motivi che all'inizio possono restare oscuri a chi vede le cose in maniera più limitata. E' lecito credere che Carlo, grazie alle opportunità dovute alla nascita e per il lavoro estetico costantemente svolto per decenni, domini il mondo del vestire classico da posizioni fuori dalla portata di un artigiano o di una giornalista. A distanza di anni, i commenti che avevano affrettatamente sputacchiato sono ricaduti a terra nell'indifferenza generale, come pietruzze scagliate contro il cielo. L'opera ed il pensiero di Carlo sono sempre più chiari e profondi, nonché pienamente espressi da un tono di abbigliamento parsimonioso e vigilato. Un mondo, quello di Carlo, in cui non c'è posto per le blandizie del made-to-measure. Se non a Mahon e agli altri effeminati gossip addict, almeno a Lei immagino sia lampante che una foto non pregiudica il lavoro di una vita, anzi deve essere interpretata alla sua luce. Da quella che questi facili detrattori proponevano come una notizia, sono passati più di sei anni ed il magistero di Carlo si è fatto più luminoso. Avrà letto le parole dell'intensa prolusione qui riportata qualche tempo fa ed immagino che stia seguendo la Campaign for Wool patrocinata dal Principe. Tutto ciò ridimensiona la questione posta dalle fonti che cita e la confina al ghetto delle chiacchiere, che qui al castello non attecchiscono. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-12-2012 Cod. di rif: 4680 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Alcuni dettagli dell'Ulster - Risposta al Gesso n. 4672 Commenti: Illustre Cavaliere Rizzoli, nella disamina degli stilemi tipici dell'Ulster Lei è stato di una precisione didattica di grande utilità. Aggiungerei qualcosa a beneficio di coloro che hanno superato il livello in cui si ha bisogno di regole per entrare in quello in cui si cerca ciò che cerca Lei, ovvero lo spirito dei capi. Con l'Appunto n. 3567 del Taccuino di questa Porta avevo proposto una distinzione tra il "cappotto bello" e il "cappotto caldo", sistemando l'Ulster nella seconda tipologia e proponendo, con l'ultima foto del collage allegato, un esempio di Ulster che però si affacciava verso la prima. Se riapre la foto citata e osserva il cappotto in seconda posizione, noterà che i paramani sono sostituiti da cinghie abbottonate. Questa soluzione è interessante con i cardati a grandi quadri, come del resto quello dell'esempio, in quanto evita la confusione delle linee, che fantasie di queste dimensioni renderebbero inevitabile col paramani. Altrettanto notevole la soluzione proposta dal De Paz con l'Appunto n. 928, in cui sul dietro si vede un piegone che parte dalle spalle, e non il semplice spacco lungo con fonda abbottonata. Immaginandolo su un cammello, che come tutti i materiali e cibi pregiati si giova dell'abbondanza, non possiamo certo dire che l'immagine sia negativa. Dunque, in qualche misura, possono esserci Ulster pienamente tali pur con qualche dettaglio diverso dal rigoroso e semplice canone di base. Ciò premesso, veniamo alle Sue domande. BOTTONI AL COLLO – Il bavero dell’Ulster - e per sineddoche l’intero soprabito - è detto “doppio uso” perché funziona sia ripiegato che dispiegato. In caso di gran freddo o vento pungente, si può coprire il petto utilizzando tutta la sua superficie e assicurandola in alto ad un bottone che, a riposo, resta nascosto dal bavero opposto. Il taglio tra bavero e collo guarda sempre verso il basso e deve essere molto profondo. L’inclinazione serve a fare in modo che il tessuto, una volta spiegato, sia orizzontale o guardi addirittura in alto quando sia scattata la necessità di fruire del secondo uso. La profondità serve a rendere autonomo il collo, in modo da poterlo alzare come ulteriore protezione. Da questa descrizione si capisce che il secondo uso richiede un solo bottone, per di più nascosto, e non una coppia. BOTTONI ALLA MARTINGALA - Molti dei capi più antichi, molti dei quali di derivazione militare, portano sul dietro bottoni gemelli totalmente inutili: il frac, il tight, le giacche da caccia a cavallo. L'uso dei bottoni deve in primo luogo farsi risalire a questo costume, ricordando che nell'abbigliamento maschile i bottoni puramente decorativi sono ben più comuni, tanto che li troviamo da secoli alle maniche di quasi tutte le giacche. La martingala potrebbe essere, ed in alcuni casi è, semplicemente una striscia di tessuto ancorata alle due cuciture tra il davanti ed il dietro del capo. L'estetica tradizionale non ha voluto rinunciare però ai bottoni, almeno uno dei quali può in questo caso svolgere una funzione pratica. Se osserva il disegno pubblicato da De Paz con il citato Appunto n.928, tutto le sarà chiaro. Nella sua versione corretta, la martingala presenta un’asola attiva, che consente di abbottonare il segmento più lungo ad un altro più corto, in tal modo concedendo la possibilità di regolazione qualora la taglia cambi. Basta spostare il bottone verso l’estremità del segmento corto e la martingala si allunga. L’altro bottone, quello alla radice del segmento lungo, sta lì solo per simmetria come quelli di un doppiopetto. Va aggiunto che la martingala dovrebbe avere un ruolo contenitivo reale e cioè, come nell’esempio in esame, stringere il dietro formando due cannelli longitudinali. Allungando la martingala, dai cannelli sui libera quel pollice o due di tessuto che serve a indossare il cappotto quando si è guadagnata un po’ di pancia. Nulla vieta di avere una martingala con due bottoni attivi, quindi con due fettucce corte collegate da una lunga centrale. Naturalmente la parte libera delle fettucce ai lati non potrà essere molto lunga, altrimenti penderebbe, inoltre è bene irrigidirle leggermente con un interno che consenta anche un buon ancoraggio dei bottoni. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-12-2012 Cod. di rif: 4681 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Altri dettagli dell'Ulster - Risposta al Gesso n. 4673 Commenti: Egregio signor Volponi, l'Ulster è effettivamente uno dei soprabiti che non può mancare in un guardaroba formato, anzi può comparire tra i primi capi che si acquisiscono. Quanto alla Sua domanda sul bavero, l'argomento è stato sviscerato al Gesso n. 4680, nella mia risposta all'Illustre Cavaliere Rizzoli. Deve presentare un taglio profondo inclinato verso il basso. Aggiungerei che deve essere sistemato piuttosto in alto ed essere sottile, cioè appunto un semplice taglio e non un dente. In merito alla lunghezza, il carattere di "cappotto caldo" dell'Ulster richiede una misura importante, ben sotto il ginocchio. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-12-2012 Cod. di rif: 4684 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Flanelle, foulé e jaspé - Risposta al Gesso n. 4671 Commenti: Egregio signor Folli, non posso che invitarLa a seguire i lavori di The Cloth Academy, in cui si sviluppa un’analisi tecnica, stilistica e storica che consente di uscire definitivamente dall’approssimazione. La prima sessione ha sviluppato la parte tecnica, i cui punti essenziali verranno comunque riassunti nel corso della II Sessione, che si terrà a Napoli il 25 gennaio alle ore 18.00 presso l’atelier di Mariano Rubinacci. Per ora fugherò i suoi dubbi, ma solo una base più larga e sicura Le consentirebbe di poggiare queste ed altre conoscenze in modo costruttivo ed organico, fino a poter dare un nome ed un giudizio ai tessuti che maneggia. La flanella – E’ una saia generosamente follata, garzata in modo che il pelo, fitto e coprente, nasconda completamente (o quasi) l’armatura. Se le diagonali di quest’ultima si distinguono chiaramente, in linea di principio abbiamo in mano un foulé se si tratta di una saia, un saxony se è una batavia. Le flanelle possono essere sia cardate che pettinate. E’ ovvio che le prime, in virtù della struttura confusa del filato, “sentano” la follatura molto più delle seconde. La flanella cardata, poco ritorta in filo, possiede in piena misura tutte le qualità distintive della famiglia: morbidezza, calore, scarsa risposta alla luce. In tinta unita, è insostituibile nella confezione di pantaloni da abbinarsi a giacche sportive in fantasie scozzesi o altri cardati. Le flanelle cardate tradizionali, per non dire filologiche, andrebbero realizzate con grossi fili unici, non coi filati ritorti a due capi oggi più comuni. Il filo unico dona una mano inimitabile, che si sconta con una durata minore. Tessuti così costruiti tendono infatti a spelare facilmente ed a rimborsare nei punti di sforzo, specie se non riposano almeno un giorno tra una giornata di lavoro ed il successivo. Proprio per il fatto che si consuma e che richiede abiti di ricambio, la flanella di questo tipo è stata sempre considerata un tessuto da gran signori. L’abito completo in flanella grigia, specie a doppiopetto, è tra i grandi classici del palinsesto formale maschile ed ha un’escursione d’uso assai vasta. Cardato è più adatto alla mattina, specialmente se gessato. La flanella pettinata è più luminosa e mediamente più leggera, quindi più idonea nelle situazioni ad alta formalità. Figura benissimo nelle cerimonie e accompagna bene la sera che non abbia un tono particolarmente mondano. I grigi chiari, che possono arrivare al perla, sono riservati ad uomini di una certa età e carisma. I toni medi sono adatti alle occasioni di lavoro, ma basterà un dettaglio, o anche solo un atteggiamento, per dar loro un tono confidenziale. Foulé - Molto simile alla flanella, è un tessuto pettinato asciutto e consistente, con armatura a saia o talvolta a batavia come il saxony. La stretta follatura gli assicura una mano decisamente compatta, mentre il pelo cimato corto e le lane pettinate gli assicurano buona luminosità. Si presta a disegnature semplici, che su una lavagna così densa assumono particolare evidenza. Spesso le diagonali si invertono a spina di pesce, ma il suo motivo più tipico è quello detto pin stripe. Ogni riga è composta da puntini chiari su fondo scuro, o più raramente il contrario. I puntini sono piccoli e radi, perché in pratica sono quel che si vede di un filo di ordito in contrasto, che emerge per lo spazio di una trama e si nasconde nelle due successive, come è naturale nella saia. Lo stesso disegno si può ottenere anche con altri tessuti, ma è su questo che assume un carattere speciale, decisamente habillé eppure con qualcosa di spiritoso. Trattandosi di un pettinato coperto, si apprezza nei completi formali. Petto singolo per i capi da giorno, doppio petto per quelli destinati ad impegni serali. Sa anche viaggiare, ma bisogna farlo riposare perché tende a spelare e lucidarsi nelle parti soggette a frizione. Jaspé – Con questo nome si definiscono filati in cui vengono ritorti più capi (in genere due) dai colori diversi, che però restano entro gli stessi toni. Se invece il contrasto è netto, si parla di effetto mouliné. Per una delle tipiche metonimie del mondo dell’abbigliamento, negli ambienti classici il nome jaspé ha finito per indicare un covert nei toni del verde o del beige e di qui si è esteso sino a definire l’intero capo che con esso veniva confezionato, in pratica un covert-coat. Dunque possiamo dire che etimologicamente jaspé si riferisca ad un tipo di filato ritorto. In maniera impropria, ma non sbagliata in quanto sostenuta da un uso antico e frequente in ambienti qualificati, definisce il registro dei covert tra i verdi spenti ed i bruciati. Infatti nel covert la trama è un filo unico in tinta unita, anzi generalmente greggio, mentre in ordito si hanno fili a più capi, con effetto jaspé nelle tinte chiare naturali e talvolta mouliné nei grigi. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-12-2012 Cod. di rif: 4686 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Chiarimenti sul lavoro della martingala - Risp. Gesso n. 468 Commenti: Egregio signor Volponi, come era ovvio, vista la provenienza, la martingala di Celentano che ha fotografato e sistemato nell'Appunto n. 6057 è un esempio filologico dall'eloquenza demostenea. Entrambe i bottoni sono attivi e si vede chiaramente come l'apparecchiatura funga da cintura, fermando l'abbondanza del dietro in due cannelli verticali laterali. Ora immagini di staccare quei due bottoni, o solo quello a destra se è l'unico attivo, cucendoli un pollice o due più a sinistra. Riabbottonando, si troverà una circonferenza in vita aumentata di quel tanto che basta per entrare nel capo anche con una taglia in più. All'estremità della parte coperta si lascia sempre un po' di spazio a questo scopo, ma anche se non ce n'è abbastanza non è difficile giuntare un altro tratto utilizzando del tessuto avanzato, che su capi di così lunga durata si conserva sempre per ogni eventualità. L'eventuale giuntura lavorerebbe in una zona coperta dal segmento superiore, quindi resterebbe del tutto invisibile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-12-2012 Cod. di rif: 4692 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Flanelle e foulé - Risposta al Gesso n. 4690 Commenti: Egregio signor Folli, ora che abbiamo approfondito l'argomento in oggetto, possiamo anche semplificarlo. Possiamo dire che un foulé è in linea di massima un follato che viene da lane pettinate, mentre una flanella può essere sia cardata che pettinata. Nel primo caso l'intreccio del tessuto risulta visibile, nel secondo è coperto completamente dalla peluria che si sviluppa durante la follatura, che è sempre maggiormente fitta quando di lavorano nel follone lane cardate. Follature più prolungate, cui seguono (oltre alla cimatura) una forte calandratura e opressatura per dare compatezza, danno quello che si chiama melton, tessuto molto importante per i soprabiti. La differenza tra flanelle e melton è molto labile, e potremmo dire che c'è un rapporto da specie a genere, ma come vede qui ci andremmo ad impegolare in un'altra discussione che, per essere portata avanti, spingerebbe Lei a chiedere ulteriori chiarimenti e così via, moltiplicato per centinaia di argomenti. Sebbene il castello ami le profondità, con le sue strutture non si riuscirebbe a generare mai una vera comprensione, in quanto necessariamente si procederebbe a chiazze, mentre i tessuti richiedono trattazioni di ampio respiro. Non voglio con questo indurre a non proporre domande in materia, cui anzi risponderò sempre con particolare attenzione, solo sottolineare il fatto che nelle spiegazioni emergono termini che non sono normalmente in uso e richiederebbero a loro volta ciascuno una definizione ed un approfondimento. In una sede come questa, resta al lettore completare la comprensione mediante una ricerca sui termini che magari non ha compreso. Gessi ed Appunti, proprio per la loro natura di sapere in cellule isolate, non possono offrire un discorso unitario. Per avanzare con metodo non c'è altro che un programma svolto in interazione diretta, o un'opera di respiro più ampio. L'Ordine offre anche queste due cose. Se parteciperà a qualche Laboratorio o Academy, avrà modo di constatare sin dove si spinge la nostra ricerca. In ogni caso, prendendo spunto da questa nostra discussione e anche dal fatto che sarà pieno inverno, il 25 Gennaio 2013 dedicheremo la II Sessione di The Cloth Academy proprio ai follati. Cavallescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-12-2012 Cod. di rif: 4694 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sulla martingala - Risposta al gesso n. 4691 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, la martingala nasce come dispositivo per raccogliere l'ampiezza senza il fastidio di una cintura completa. In linea teorica, quello che sarebbe un capo dal profilo ad A viene ad assumere un profilo ad 8. Quando la martingala si può regolare facilmente, come nel caso che cita, la sua funzione di cintura è più evidente, ma anche più ingombrante. Nell'uso cittadino, la martingala ha un po' perso questo scopo e diventa generalmente una guarnizione che collabora all'equilibrio del capo disegnando il punto vita, non creandolo. Nel caso degli Ulster, si dovrebbe partire da un'ampiezza così importante che la martingala conservi la sua importanza pratica. Qualcosa del genere si è visto recentemente all'Appunto n. 6057, in cui la martingala effettivamente morde una porzione importante di tessuto, raccogliendola in due grossi piegoni laterali. Naturalmente, lavori filologici di questo tipo sono realizzabili solo in sartorie che servono clienti di alto livello, ma non c'è altra soluzione. Piccoli sarti fanno piccoli cappotti, anche se sulla giacca sono ammirevoli. Tornando a bomba, nei capi cittadini una moltiplicazione di asole e bottoni appare sovrabbondante. Se la martingala è stata concepita bene dall'inizio, quando si presenti la necessità di rilasciare o riprendere del tessuto, si porta il capo dal sarto e si fanno spostare i bottoni. Nulla toglie, però, che qualche appassionato possa farsi realizzare martingale parzializzabili al momento, cioè come una mezza cintura vera e propria. Cavallerscamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 24-01-2013 Cod. di rif: 4698 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Dalla pelliccia al tessuto - Risposta al Gesso n. 4695 Commenti: Egregio signor Salvi, la pelliccia non ha un grande spazio nel mondo maschile. Come capo completo ebbe una certa presenza negli anni '30, in cui la si vide far capolino nelle stazioni invernali o nelle regioni molto fredde. Le pelli utilizzate dall'uomo non sono state mai scelte sulla base del loro pregio o men che meno della morbidezza, bensì del significato ancestrale. Hanno infatti trovato un posto nella storia solo quelle di animali di grossa taglia la cui caccia è un vanto: innanzitutto il lupo, l'orso e il puma, ma anche anche la volpe rossa e la lince, il cui aspetto è abbastanza rustico e feroce. Unica eccezione, che riguarda però le regioni più orientali e caucasiche del nostro mondo, l'agnello persiano che fa riferimento ad un mondo di pastori e non di cacciatori.. Negli ultimi decenni la pelliccia è stata ripudiata dalle donne, sottoposte ad un lavaggio del cervello d parte della stampa animalista, ma in verità il processo è stato facilitato anche dal fatto che si era perso il senso stesso della pelliccia e si era cominciato a produrne con una modellistica priva di fascino. la pelliccia non deve somigliare ad un cappotto o ad altri capi in tessuto, caso mai il contrario. Per fare colpo, che è il suo vero scopo, deve essere lunga alle caviglie, o almeno al polpaccio, ed avere un taglio a mantello, cioè perfettamente circolare. Insomma, per farne una deve concorrere una quantità di materiale, quindi un numero di pelli, almeno doppio rispetto a quello che ci vorrebbe per fare un cappotto tipo chesterfield. Ogni altro arnese, come giacconi, parka e giubbe, potendo essere sostituito e superato dal tessuto è una sciocchezza e quindi non può essere rimpianto. Storia diversa per gli accessori, come colli, cappe, sciarpe e stole, le cui dimensioni possono variare a piacere. L'uomo rispettava una modellistica leggermente più parsimoniosa e riservava i lunghi paltò a ruota al modello detto polo da confezionare in camelhair, la cui finitura a mouflon è comunque molto vicina all'effetto pelliccia. Nel film "Invito a cena con delitto" david Niven indossa un favoloso polo coat senza nemmeno i bottoni, che per avere un'ampiezza maggiore porta addirittura due grandi piegoni posteriori invece dell'unico centrale. Non possiedo quel DVD, ma spero che qualche volenteroso lo abbia e sappia catturarne un'immagine da sistemare nella zona di questa porta dedicata a cinema e tv. Nel mondo maschile, capi come quello sono sono la testimonianza di un anello di congiunzione tra pelli e tessuto, in cui quest'ultimo risulta vincitore. L'egregio signor Enea A. Minotti pubblicava, con l'Appunto n. 5473, una foto di Douglas Fairbanks con un gran cappotto stile ulster in un materiale su cui chiedeva il mio parere. A distanza di due anni rispondo: ritengo sia un tessuto. Un garzato a pelo lungo tipo quello noto come spazzolino, sebbene più fitto. Si tratta anzi di un altro esempio del passaggio dalla pelle naturale a quella ricostruita grazie alla sapienza tessile, che risulta più docile e soprattutto lavorabile con attrezzi da sartoria, quindi più valida per la confezione di cappotti veri e propri. Un uomo ha infatti esigenze, vizi e vezzi che il sarto conosce e cui può rispondere, mentre dover parlare di spalle, tasche, punto vita e maniche con un pellicciaio, credo sia stato un tormento che non si vedeva l'ora di dimenticare. Sebbene la pelliccia maschile come capo completo sia dunque una pratica archiviata dalla storia e dal gusto, con l'ipotizzabile eccezione di qualche eccentrico, o omosessuale, o dandy, o un po' di tutto insieme, è rimasto un po' di posto per gli accessori, che nel caso maschile sono solo i colli e i foderami. Un chesterfiled o un mantello da sera con il bavero in astrakan sono uno schianto, così come il collo di volpe rossa sul casentino è quasi obbligatorio. In linea teorica il collo può continuare con la mostra o con l'intera fodera, ma questa sontuosa soluzione si vede sempre più raramente. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Sergio Luca Data: 26-01-2013 Cod. di rif: 4699 E-mail: sergiolucapa@gmail.com Oggetto: Sartoria napoletana e flanella Commenti: Egregio cavaliere buongiorno, da qualche anno seguo con assiduità questo sito che mi permetto di considerare unico nel panorama, sicuramente italiano e forse anche oltre, della moda maschile. Da sempre appassionato di moda maschile, sono stato messo di fronte ad una cruda realtà, la mia ignoranza in materia! Qui sto imparando con molta umiltà i parametri, misure...accostamenti di tessuti...tagli..e storia. Volevo porLe un quesito per capire se sto diventando un buon allievo.. Cosa ne pensa degli abiti che indossa, da sempre con coerenza, il conduttore Gigi Marzullo della sartoria Eddy Monetti? A me appaiono molto belli, nel taglio e nelle flanelle di rara visione in Tv. Uniche note stonate, a mio parere,i volumi ormai un pò esagerati con le attuali tendenze e le scarpe sneakers che da qualche anno indossa,le trovo assolutamente sbagliate. Spero in una Sua cortese risposta e cordialmente Le porgo i miei più distinti saluti. Sergio Luca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: aldo papasergio Data: 27-01-2013 Cod. di rif: 4700 E-mail: aldo294@tiscali.it Oggetto: Commenti: trovo molto interessante il vostro sito e da profano vorrei essere iniziato all'arte del buon gusto e dell'eleganza oltre le mode effimere ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 13-02-2013 Cod. di rif: 4705 E-mail: gigante@fabio@gmail.com Oggetto: Consiglio per smoking Commenti: Ill.mo Gran Maestro, Ill. Cavalieri, mi permetto di accedere in questo Vs. spazio per porre un quesito che, da qualche tempo, mi turba ed al quale, fino ad ora, non sono riuscito a trovare una soddisfacente risposta. Vorrei commissionare uno smoking in tinta midnight blue. Gradirei vivamente conoscere il Vs. parere in merito al suo corretto utilizzo in alternativa allo smoking di colore nero. Pensate che sia appropriato, oltre alla fusciacca, fasi fare, in alternativa, anche un gilet? Se si, il gilet deve essere nello stesso tessuto e colore dell'abito? Se si utilizza una camicia senza plissettatura, la fusciacca deve essere plissettata o liscia? La stessa fusciacca di che colore dovrà essere realizzata? Infine, i revers ed i bottoni dovranno essere realizzati in nero oppure in midnight blue? Scusatemi se sono entrato nel Vs. privato, ma gradirei molto avere la Vs. opinione in merito alle domande sopra esposte. RingraziandoVi per l'attenzione, Vi auguro ogni bene. Con reverenza Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Eriberto Giuseppe Amadasi Data: 14-02-2013 Cod. di rif: 4706 E-mail: eriberto.amadasi@libero.it Oggetto: Delle origini della decadenza Commenti: Esimio Signor Pugliatti, già una volta sono sceso in tenzone argomentando un mio dubbio con il Rettore Forni della gola. L’ardimento mette coraggio e quindi alzo la posta misurandomi nel campo dell’abbigliamento con Lei e con gli altri emeriti maestri del consesso. Domando fin d’ora scusa se le mie parole non saranno all’altezza delle centinaia di lezioni qui presenti. E’ che mi ha colpito la sua ricerca sulla causa-effetto dell’imbarbarimento dei costumi italici. L’argomento è tristemente dibattuto da me ed il mio sarto da parecchi anni, deriva confermatami anche da amici e gentiluomini vari. Mi sono convinto che l’origine è, come sappiamo, comune a tutto il mondo occidentale e individuabile con l’entrata nei punti di comando e simbolo della generazione che ha studiato nelle scuole superiori e nell’università a partire dalla fine degli anni 60. Tutte (o quasi) queste persone sono prive di quel senso civile che si esplicava nella corretta rappresentazione di se stessi, cioè nel proporsi al meglio della proprie possibilità. In altre parole prive dell’aspirazione al gusto. Quando nei gangli sociali, dai negozi agli uffici, dalle grandi industrie ai liberi professionisti, sono entrati per via naturale (capacità o eredità) questi uimini e queste donne è iniziata la deriva. Infatti gli esempi sono rimasti tali, l’industriale è infatti ancora guardato e ammirato. Il punto è che da allora quell’industriale proviene da un contesto sociale e culturale completamemte privo di classicità nel gusto. Anzi l’ha combattuta per tutta a giovinezza e portare il jeans al consiglio d’amministrazione l’ha vista come la sua vittoria, il suo arrivo. La gente, il popolo, la massa che gaurda ancora a questi, cosa vede, cosa desidera ? Quello che purtroppo vediamo noi. Spero di non essere stato troppo stupido, banale o noioso. Prendetemi pqe quello che sono : un appassionato, un uomo. E come dite qui, dobbiamo pur darlo l'esempio. Con osservanza E.G.Amadasi ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 21-02-2013 Cod. di rif: 4709 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Smoking e abito formale Commenti: Egr. Sig. Pugliatti, Ho avuto la fortuna di leggere il Suo ottimo gesso n. 338, che ha quale oggetto lo smoking estivo, che risponde parzialmente, ma ottimamente, al quesito che ho posto nel mio gesso n. 4705. Pertanto, mi permetto di chiederLe alcuni chiarimenti in merito a quanto letto. Riferendosi alla giacca bianca dello smoking ebbe a precisare che: “MAI E POI MAI i revers erano ricoperti di raso o gros grain (regola valida ancora oggi), come per gli smoking invernali, ma rimanevano nello stesso tessuto della giacca”. Questa Sua precisazione, là dove fa riferimento agli smoking invernali, mi ha fatto inizialmente pensare che il gros grain non deve essere utilizzato in tutti gli smoking estivi, indipendentemente dal colore della giacca. Tuttavia, proseguendo nella lettura del Suo gesso, si legge che: “Se invece rinuncia alla giacca bianca allora un blue midnight scurissimo, piu nero del nero sotto le luci artificiali, a mio parere è una scelta elegantissima, purché ripeto siano blù midnight anche i revers (assolutamente in gros grain o nell’introvabile cannetè, non in raso) e le bande dei pantaloni”. A questo punto sono più propenso a ritenere che la mancanza di gros grain, a cui Lei ebbe a riferirsi, riguardava unicamente la giacca bianca e non le giacche nere o blu midnight, giusto? Egr. Sigg. Cavalieri e Ospiti Mi piacerebbe conoscere il punto di vista dei preg.mi Sigg. che frequentano questa lavagna in merito al seguente quesito: Leggendo attentamente codesta lavagna sono venuto a conoscenza di molte cose che ignoravo e, di conseguenza, sono stato colto da un irrefrenabile “appetito”, che spero di poter soddisfare con il Vs. inestimabile aiuto. Pertanto, mi permetto di richiedere ai nobili frequentatori di questa lavagna di ben consigliarmi in merito ad una mia necessità. Ho intenzione di farmi confezionare due abiti formali, uno per la stagione autunno/inverno ed uno per quella di primavera/estate. L’idea è quella di volgere la mia attenzione a dei tessuti “pettinati coperti”, che trattengano la luce, da realizzare con le seguenti caratteristiche: Blu scuro con giacca monopetto a tre bottoni, pantaloni senza pinces e risvolti. Mi piacerebbe sapere se tale costruzione si addice al formale e se, con questi abiti, sarebbe bene abbinare un gilet (monopetto o doppio petto? Quanti bottoni? Di quale colore e tessuto?) oppure se non è il caso. Inoltre, mi piacerebbe sapere se il taglio a “tre bottoni, stirato a due” è l’ideale o se è più corretto ed elegante un tre bottoni classico. Infine, mi piacerebbe sapere quali tessuti utilizzare, per entrambi gli abiti, e di quale grammatura. Ho letto, in questa lavagna, che devono essere usati tessuti “pettinati coperti”, che trattengano la luce, ma quali? Parlate molto bene dei tessuti inglesi, io ho sempre usato Zegna o Loro Piana (di cui non ho letto, in questa sede, giudizi lusinghieri). Anche per questo tipo d’abito mi devo orientare sui tessuti di produzione inglese? Grazie per la Vs. squisita ospitalità, la pazienza e per quanto saprete aiutarmi. Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 23-02-2013 Cod. di rif: 4711 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Smoking estivo Commenti: Gen. Sig. Pugliatti, La ringrazio infinitamente per la Sua gentilezza nel rispondere alla prima parte del mio gesso precedente, che dipana i miei dubbi in merito alla giacca più appropriata per la cravatta nera estiva. Tuttavia, se il shantung di seta opaco è il tessuto perfetto per la giacca, di quale tessuto si dovranno fare realizzare i pantaloni? Vorrà certamente perdonarmi per la banalità della domanda posta, ma mi sto formando grazie a questa bellissima e dotta lavagna. Grazie per la Sua gentilezza e la pazienza. Cordialmente Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 23-02-2013 Cod. di rif: 4712 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Cerimonia o Cerimonie? Commenti: Ill.mo Gran Maestro, Mi scuso se abuso di questo meraviglioso spazio con le mie domande; tuttavia, ritengo che quest’ultima mia possa avere un certo interesse generale. Un paio di settimane fa ho partecipato, in Vaticano, ad una importante cerimonia. L’ordine perentorio era quello di partecipare a detto evento in “abito scuro”. La cerimonia religiosa è avvenuta, alla presenza del Santo Padre, nella Basilica di San Pietro ed il successivo ricevimento nell’Aula Paolo VI. Quasi la totalità dei partecipanti, me compreso, era in blu scuro. Tuttavia, avendo oramai letto molto di questa splendida lavagna, mi ero convinto che l’abito blu scuro (tinta unita) fosse da utilizzare solo di sera e che per le cerimonie diurne (solo matrimoni?) fosse più appropriato il grigio, più precisamente il grigio scuro; anche se qualche Visitatore ha indicato il blu per i battesimi ed il nero per i funerali. A questo punto mi chiedo a cosa ci si riferisce quando si utilizza il termine “cerimonia”? Qualunque evento con carattere cerimoniale, quindi anche quello di cui ho scritto, oppure vi sono delle distinzioni che comportano altrettanti e diversi abiti? Cordialmente Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Martino Data: 05-03-2013 Cod. di rif: 4718 E-mail: gianni.martino@tiscali.it Oggetto: Una "Summa" dello stile elegante? Commenti: Illustrissimo Gran Maestro, potrei definire il mio approdo alle pagine internet del Cavalleresco Ordine un caso di “serendipità”: l’inattesa e felice scoperta di qualcosa di nuovo e di diverso da quello che si cercava. Cercavo sui motori di ricerca alcune informazioni in materia di abbigliamento. Ho scoperto un mondo in cui indicazioni stilistiche e informazioni concrete, presenti con incredibile generosità e precisione, si inseriscono e si fondono in una coerente prospettiva di gusto e di costume. Sino a qualche mese fa ragionavo in un’ottica di “confezione”, sia pure soffrendo i condizionamenti che questa impone, poiché consideravo il “su misura” un vezzo economicamente alla portata di pochi. Ho scoperto che solo con l’artigianato sartoriale è possibile una vera libertà di scelta, la realizzazione del perfetto connubio tra gusto personale e canoni estetici di consolidata forza espressiva. Il tutto a prezzo di uno sforzo economico che può anche essere graduale e accessibile, se considerato nella dimensione della qualità dei materiali e della classicità dello stile, quindi in un’ottica di lunga durata. Ho scoperto, insomma, un formidabile ed eroico progetto di preservazione e trasmissione di una cultura del gusto e dell’eleganza, nelle loro diverse accezioni. Un progetto che non è astratta erudizione, ma espressione viva di una comunità di valorosi: un Ispiratore di eccezionale valentia, uno stuolo di Cavalieri animati da passione e competenza (oltre che da squisita cortesia e disponibilità, come ho potuto constatare facendo la conoscenza del prode Prefetto di Roma, Italo Borrello, decisivo nel convincermi ad intraprendere l'arduo cimento). La scoperta di un continente nuovo e inesplorato, però, può anche confondere e disorientare. Per addentrarsi in tale continente bisogna senz’altro prendere coscienza che si è attesi – come ogni qualvolta ci si pongano obiettivi ambiziosi - da un cammino lungo e impervio, per il quale bisogna fare ampie scorte di umiltà e pazienza. Lungo tale cammino, fortunatamente, sarà possibile attingere alle risorse preziosissime messe a disposizione dal Cavalleresco Ordine: la guida di Cavalieri straordinari per tempra e generosità; le occasioni di confronto e di conoscenza diretta; la miniera inesauribile costituita dal sito internet pazientemente costruito negli anni. E proprio su quest’ultima risorsa vorrei permettermi una riflessione (se può essermi perdonato l’entusiasmo del neofita). Non nascondo che l’enorme quantità di informazioni presente nel sito procura un certo stordimento: Lavagna e Taccuino, con migliaia di gessi e appunti che abbracciano oltre un decennio; la posta del Gran Maestro; il Florilegio di articoli pubblicati; ecc. La possibilità di poter utilizzare modalità di ricerca per parole chiave è di grande aiuto, ma non risolutiva: a volte non è possibile ricercare ciò che ancora... non si conosce (!); a volte la parola usata per la ricerca è troppo generica; a volte si rischia di approdare al consiglio diretto, saltando premesse e gradini di conoscenza indispensabili. La consapevolezza di dover intraprendere un’esplorazione paziente, il cui orizzonte temporale si misura con gli anni, non mi ha distolto dal domandarmi se fosse possibile un approccio alla materia più sistematico: utile innanzitutto al novizio, ma forse anche all’iniziato, che avrebbe uno strumento per affinare ulteriormente studi e riflessioni. Mi spiego ancor meglio con un esempio certo familiare a chi mi ospita. Il sito internet presenta una messe di informazioni eccezionale tanto per quantità quanto per varietà: dai principî ispiratori ai suggerimenti per casi concreti. Una sorta di immenso “Digesto”, insomma, in cui “norme” (in senso lato) e fattispecie astratte si confrontano sapientemente con le fattispecie concrete. Ebbene: se è vero che il Digesto è stato per i posteri la fonte regina del diritto romano, consentendo di trasmetterne la forza vitale con tutta la sua sofisticata ricchezza, è anche vero che i giuristi classici – e infine Giustiniano - sentirono il bisogno di redigere anche opere come le “Istituzioni” del diritto, capaci di delineare istituti e criterî interpretativi. La mia domanda-proposta (forse folle o pretenziosa; ma – ripeto – faccio appello all’indulgenza verso il mio entusiasmo da neofita) è dunque la seguente: il poderoso - l’aggettivo non è un’esagerazione retorica - Gran Maestro ha mai preso in considerazione il progetto di una grande Summa dello stile elegante nel vestire? Un progetto capace di esporre in maniera sistematica: - teoria del “Classico”; - una storia dello stile nell’abbigliamento; - rassegna e analisi dei materiali; - rassegna e analisi dei singoli capi di abbigliamento e degli accessorî, con: profilo storico; descrizione di tipologie e modelli; tecniche di lavorazione (con sezioni specializzate a beneficio non solo di chi effettua la scelta del capo, ma anche degli artigiani che vogliano raccogliere e tramandare un’eredità tanto preziosa); indicazioni per la scelta (fattura, dettagli) e l’uso (abbinamenti, occasioni e contesti sociali, ecc.) di capi e accessorî, accompagnate da esempî significativi; indicazioni per la manutenzione; - panoramica delle case di produzione (laddove la produzione artigianale non è possibile o difficilmente accessibile) e degli artigiani significativi; - glossario; - bibliografia ragionata. Insomma: non un semplice “manuale” (con i limiti che sarebbero intrinseci a un tale lavoro, per quanto caratterizzato da profondità di ispirazione), ma un vero e proprio Opus magnum, capace innanzitutto di riorganizzare la vastità di parte dei contenuti già presenti nel sito internet. Il quale sito, oltre ad accogliere l’Opera, continuerebbe nell’insostituibile funzione di “Digesto”: ricerca e approfondimento, analisi dei casi concreti, confronto tra Cavalieri e con i visitatori. Non si tratta, a mio avviso, di ricercare facili semplificazioni, ma di stabilire una dialettica feconda tra categorie concettuali e contenuti che vi danno forma, tra visione sistematica ed esame analitico, tra canoni universali e personalizzazione, tra teoria e prassi, tra struttura e decorazione. Una tale Opera – proseguo imperterrito nel volo pindarico – potrebbe essere pubblicata in due versioni: - una versione digitale disponibile on line sul sito del Cavalleresco Ordine, capace di offrire tutte le opportunità di tale formato (ricerca testuale, possibilità di frequenti aggiornamenti) e, soprattutto, di contenere un imponente apparato iconografico (tratto anche dagli appunti del Taccuino), senza i costi insostenibili legati ad un’edizione a stampa; - una versione a stampa in edizione pregiata (magari anche in due volumi), la quale, sia pure con un apparato iconografico forzatamente ridotto, presenterebbe il vantaggio della maggiore comodità per una lettura ordinata e, soprattutto, costituirebbe un’opera di pregio che non può mancare nella biblioteca di qualsiasi uomo di gusto, anche a fronte di una spesa consistente. La temerarietà dell’impresa non dovrebbe scoraggiare indomiti Cavalieri. Il Gran Maestro ha certo le risorse di conoscenza e la visione d’insieme per esserne l’autore; ma potrebbe anche farsi curatore di un’opera collettiva, laddove singole parti possano essere sviluppate – nel solco di un indirizzo sapientemente delineato - da Cavalieri particolarmente versati in materie specifiche. Un tale progetto, pur potendo attingere a materiale parzialmente già elaborato, richiederebbe certamente tempi lunghi di realizzazione, per cui non darebbe risposta ad una mia personale impazienza nel percorrere il cammino intrapreso. Ma risponderebbe forse alla prospettiva di lungo termine che anima la Vostra iniziativa. So di aver attinto oltremisura alle risorse di benevolenza dei Cavalieri giunti sino al termine di queste righe. Per cui concludo con un saluto che esprime l’ammirazione per il patrimonio di passione e conoscenza da Voi condiviso. Giovanni Martino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 11-03-2013 Cod. di rif: 4719 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Summa del vestire - Risp. Gesso n. 4718 Commenti: Egregio signor Martino, Lei ha approfondito il castello, conosciuto alcuni Cavalieri e, senza nemmeno sapere perché, qualcosa nella Sua vita è cambiato per sempre. Se avesse letto un bel libro in due volumi, non avrebbe fatto altro che passare qualche bella serata. Certo, esistono libri che hanno cambiato delle persone o addirittura il mondo, però la nostra opera è efficace così com'è e bisogna stare molto attenti prima di distogliere energie da un punto per applicarle ad un altro. Tenga presente che Le manca ancora il terzo tipo di esperienza che l'Ordine è in grado di fornire, cioè gli eventi. In tema di abbigliamento come in altri, non temo di essere esagerato o vanaglorioso affermando che il livello delle ricerche storiche e dell'elaborazione teorica, insomma il tono complessivo delle esposizioni, è così elevato e in continua evoluzione che nessun libro può starvi dietro. Potendo, non avrebbe preferito conversare con Platone, piuttosto che leggere la Repubblica? Teoria e storia del Classico sono state interamente svolte durante il ciclo DRESS CODE, e la scienza dei materiali è attualmente allo studio nel ciclo THE CLOTH ACADEMY. Molto di ciò che Lei vorrebbe leggere è stato detto. Lo hanno ascoltato in pochi, ma cosa cambia? Il pensiero si pesa, non si conta. Quanto alla difficoltà di reperimento dei materiali all'interno di un impianto grande e complesso come questo, ebbene fa parte del progetto ed era prevista sin dal primo giorno, esattamente come la dinamica e la grafica erano antiquate già al momento di essere varate. Un castello non è mai nuovo, né lo si può conoscere tutto. Tra breve verranno anche attivati dei passaggi segreti, collegamenti con aree e documenti accessibili solo a chi batta le stanze palmo a palmo, scoprendo improvvisamente che un dettaglio o una scritta nasconde un varco. Di siti e libri ce ne sono tanti, il nostro gioco è questo. Accumulare e nascondere i tesori nella loro stessa abbondanza. Ciò non toglie che l'idea da Lei proposta, cioè di creare una stanza del tesoro ordinata e classificata, sia interessante almeno per la posterità, se non per la contemporaneità. Da tempo vorrei scrivere un libro, ma a parte alcuni fascicoli protetti dalle procedure iniziatiche della Biblioteca, non ho mai trovato la forza per farlo. Il fascicolo sui tessuti è giunto alla seconda stesura e continuo a lavorarci, il che vuol dire che astrattamente il tempo lo trovo, ma mi mancano motivazioni per una summa come quella che Lei immagina. in ogni caso il Suo punto lo ha segnato, mi ha spinto a rifletterci ancora una volta e non è il solo. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 13-03-2013 Cod. di rif: 4720 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Colori e principi della cerimonia - Risposta al gesso n. 471 Commenti: Egregio signor Gigante, “cerimonia” sembra provenire dal sanscrito kar-man, “compio il sacro”, la stessa radice da cui viene “karma”. I Veda attribuiscono grande importanza alla correttezza dei singoli gesti e della loro sequenza nel karman, rito officiato dal brahmano, perché la garanzia del risultato viene solo da una forma perfettamente aderente al rito. Le Upanisad allargano invece il concetto di karman fino a farlo coincidere con l’azione buona, cioè col comportamento retto tenuto da chiunque e non per forza corretto in senso protocollare ed operato da un sacerdote. Il materiale letterario contenuto nella parola fa dunque riferimento ad azioni svolte secondo un principio religioso, ma se prima dei testi ci interessassimo della sola radice, potremmo leggerla come “faccio sacro” e non solo come “faccio ciò che è sacro”. Si aprono allora due prospettive che immettono nella parola maggiore estensione e nuove importanti potenzialità. 1) La cerimonia riguarda anche la regione non religiosa del sacro. 2) La cerimonia non è solo passiva applicazione di un protocollo, ma svolge anche un ruolo attivo in quanto il rito può rendere sacri momenti, luoghi ed oggetti che ne sono partecipi. E’ proprio con la consapevolezza del potere creativo della tradizione e del fatto che all’opposto del sacro c’è il profano e non il laico, che l’uomo classico pensa la cerimonia. Un altro percorso parte dai registri tonali del vestire, che secondo la ricostruzione operata dal Cavalleresco Ordine sono lo Sportivo, l’Informale e il Formale. Quest’ultimo si divide a sua volta in lavorativo, sociale e cerimoniale, secondo l’origine del protocollo. Il principio che impone una forma può infatti obbedire a convenzioni nate per esprimere differenze e ruoli in ambito aziendale e sociale, ma anche servire a “fare sacro” un contesto. Senza i giusti paramenti, addio sacralità. Ciò che dall’approccio cavalleresco emerge evidente, e non era tanto scontato, è che partecipare ad una cerimonia pone il problema che di essere efficaci. Se si accetta un invito, a quel punto è doveroso contribuire con abbigliamento e comportamento alla sacralità del momento, assecondando le intenzioni dell’anfitrione. Per far questo occorre una generica conoscenza delle forme sacralizzanti ed una specifica attenzione ai singoli ambienti. Nel vasto mondo del Classico il punto cardinale che permette di orientarsi è l’Eleganza, che essendo armonia non può che riferirsi alla sorgente ed esempio di tutte le armonie, cioè il cosmo, ovvero il tutto visto come ordine e l’ordine visto come tutto. In quest’ottica, la rispondenza all’ambiente inteso come clima, stagione, luogo e contesto umano, è determinante nelle scelte di secondo livello, che mettono a punto e talvolta sovvertono quelle di primo. Le scelte di primo livello riguardano le fogge e i colori dei capi, quelle di secondo le sfumature, i pesi e alcuni accessori. Come abbiamo già detto, il colore per le cerimonie diurne è il grigio, che può diventare nero per i funerali. Nell’estetica classica il grigio scuro rappresenta il rigore, la sottomissione dell’ego ad uno scopo collettivo, il blu un impegno sociale in cui l’individualità resta presente, evidente o addirittura centrale. Il discrimine tra i tre stadi di personalizzazione è nel dosaggio di un particolare ingrediente: la festa. Tutte le cerimonie, anche i funerali, in quanto celebrazioni di qualcosa sono in parte una festa. Il matrimonio lo è in misura assai diversa secondo che sia di professionisti o di artisti, a Roma o a Cortina, ma soprattutto in dipendenza della centralità della presentazione della nuova coppia alla società rispetto alla gioia della riunione. Man mano che l’aspetto della festa si fa più evidente, il blu diventa una scelta praticabile o auspicabile. Il fenomeno avviene anche in occasione delle nozze, quando l’ora si sposta verso la sera (tempo simbolico della festa), il luogo verso il mare, la stagione verso l’estate, l’età propria e dei nubendi verso la gioventù, etc. Per un matrimonio possiamo dunque dire che a livello primario la scelta sia l’abito due pezzi grigio scuro, di cui a livello secondario andremo a definire il materiale e quindi il peso e la luminosità. C’è in verità un terzo livello, accessibile solo ai più esperti, in cui viene valutato il disegno. Ciò che bisogna sapere è che le superfici mosse conferiscono importanza alle tinte unite, le disegnature in altro colore la sottraggono. Una gessatura evidente è quindi fuori dal registro cerimoniale, ma una appena visibile vi rientra e ancor più una lisca di pesce, un grano di riso o altri motivi ottenuti in tessitura. Fino a che non si sia sicuri di possedere gli strumenti adatti, meglio restare nella massima semplicità. I pettinati rasati sono diurni, ma destinati a lavoro e viaggio. Per una cerimonia impegnativa, come per la sera, sono da preferirsi filati pettinati che abbiano una leggera copertura, o comunque tessuti non cardati a luminosità contenuta. L’uso di lane sempre più fini e lucenti, naturale in un’età postclassica dominata dal lusso e non dal senso, ha reso più difficile, ma non impossibile, trovare materiali rispondenti a questa descrizione. E’ ovvio che un matrimonio estivo a Capri, magari di giovani artisti cosmopoliti, sarà tutt’altra cosa di uno autunnale tra antichi cognomi, celebrato in una Basilica di Roma. L’ambiente fisico non va mai trascurato ed il mare è un elemento che spinge verso il blu. Anche l’ambiente sociale è determinante. Nel primo esempio esigerebbe un po’ di colore, nel secondo una plumbea serietà. Così nella Certosa di Capri ci andremo con un blu cromatico, a S. Maria degli Angeli con il nostro tight più scuro e tutti gli accessori al massimo del rigore. Va infatti ricordato che anche all’interno del tight, o mornig dress, ci sono tante soluzioni possibili in termini di sfumature della giacca, dei pantaloni e del resto. A proposito del blu va detto che si possono distinguere due grandi regioni: quella dei blu spenti che vanno dal navy al midmight, e quella dei blu che qui abbiamo definito cromatici in quanto restituiscono una parte di quell’energia ambientale che invece i blu spenti condensano e i grigi scuri annullano. Ciò detto, ad un’udienza papale preceduta da una messa officiata dal Santo Padre la scelta più opportuna è il grigio scuro. Se ha visto tanti blu può trattarsi di un caso, o di una tradizione invalsa per imitazione tra i frequentatori di questi eventi, non certo di un protocollo voluto dalla Santa Sede. Non sussistendo motivi specifici, resta la valutazione sotto un profilo generale. Se Lei è convinto che le conclusioni dell’Ordine, che altro non ha fatto se non analizzare e sintetizzare le linee internazionali di un secolo di prassi e ricerca, sono autorevoli e corrette nell’indicare il grigio scuro come colore del protocollo puro, nella prossima occasione potrebbe sentirsi ancora più a posto utilizzando questa soluzione. Le scelte, come le idee, si pesano e non si contano, quindi se altri sono in blu non vuol dire che abbiano ragione. E nemmeno torto, perché anche quando il blu risulta meno pregnante del grigio non è comunque un errore. Il principio che governa la cerimonia, lo abbiamo visto, è l’efficacia nel contribuire al tipo di sacralità che l’evento esprime. Partecipano a questo sentimento anche atteggiamenti, dettagli e comportamenti che possono indirizzare il blu in un senso rigoroso quanto e più del grigio, così come può accadere il contrario. Soprattutto in Italia, dove molte abitudini sono state mutuate dall’Inghilterra senza essere mai ben digerite e assimilate, la cerimonia è una foresta di comande che non hanno risposte certe. Proprio per questo, di quanto detto trattenga i principi e consideri le norme come una struttura che gli uomini senza fantasia e senza conoscenza considerano una gabbia, ma i sapienti sanno essere flessibile sotto la spinta di forze applicate nel punto e nel modo giusto. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Martino Data: 20-03-2013 Cod. di rif: 4721 E-mail: giani.martino@tiscali.it Oggetto: Foggia degli abiti da cerimonia: due o tre pezzi? Commenti: Illustrissimo Gran Maestro, mi sia consentita una nuova scorreria in questa Lavagna per avere risposta ad un dubbio sorto leggendo il Suo ultimo illuminante gesso sugli abiti da cerimonia. In un passaggio del gesso, dopo aver illustrato i criterî di base per la scelta dell’abito, Ella trae una prima conclusione: “Per un matrimonio possiamo dunque dire che a livello primario la scelta sia l’abito due pezzi grigio scuro”. La parte che mi ha colpito è: “due pezzi”. Questa Sua indicazione mi ha ricondotto alla vexata quaestio dell’alternativa due pezzi / tre pezzi per gli abiti da cerimonia; disputa che una Sua ulteriore illuminazione mi aiuterebbe a dirimere. Le principali “scuole di pensiero” sull’argomento mi sembrano essere: - sempre due pezzi (i fautori di tale scelta sostengono, tra le altre cose, che sia più elegante perché consente di dare maggior risalto alla luminosità della camicia); - sempre tre pezzi (i fautori di tale scelta sottolineano, se non erro, sia il maggior rigore conferito dal gilet sia il fatto che l’abito da cerimonia moderno possa essere considerato un’attualizzazione-semplificazione del morning dress). Tale opzione mi sembrava confortata da una Sua risposta del 15-1-2006 nella Posta del Gran Maestro, in cui suggerì un tre pezzi per un matrimonio che doveva celebrarsi il 22 luglio (quindi una scelta che prescindeva dalla stagione); - una modulazione delle due tipologie, in funzione della stagione: il due pezzi nelle estati più calde, il tre pezzi nella restante parte dell’anno (come suggerito anche da ser Lancillotto in una risposta fornita nelle Conversazioni nel maniero, datata 25-7-2005). Il Suo ultimo gesso getta però, almeno per me, nuova luce sulla questione. Ella fornisce, a proposito del colore degli abiti da cerimonia, non una regola (più o meno articolata), bensì un criterio di decrittazione delle occasioni formali in cui indossare l’abito. Applicando tale criterio - nell’ambito del livello primario di scelta di un abito - non solo al colore, ma anche alla foggia, possiamo dunque immaginare un passaggio graduale dal tre pezzi al due pezzi in funzione del carattere più o meno serio/festoso della cerimonia? In tal modo lo spettro di combinazioni potrebbe andare dal tre pezzi grigio scuro al due pezzi blu. E ancora chiedo: l’elemento stagionale può concorrere a definire la tavolozza cui attinge lo spettro di combinazioni (più facile fare a meno del gilet nelle occasioni estive meno rigorose)? Scusandomi se ho ignorato o travisato alcuni concetti già espressi in materia, ringrazio anticipatamente Lei – ed ogni Cavaliere che ritenesse queste righe degne di attenzione - per ogni ulteriore chiarimento. Cordialmente Giovanni Martino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 26-03-2013 Cod. di rif: 4724 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Abiti estivi categoria formale-sociale Commenti: Eccellentissimo Gran Maestro, Le sono infinitamente grato per avermi concesso, così generosamente ed esaurientemente, la Sua preziosa sapienza. Non Le nascondo che ben conoscevo l’uso diurno del grigio; tuttavia, noto un uso del blu in costante aumento, anche in generosa presenza di antichi cognomi. A supporto di quanto dico potrà ben ricordarsi della passata celebrazione mattutina del decennale della scomparsa dell’Avv. Gianni Agnelli: i familiari e la quasi totalità degli intervenuti era rigorosamente in blu. Di certo, in quest’ultimo caso, la connotazione “festiva” dell’evento era, per ovvi motivi, veramente ridotta ai minimi termini. In ogni caso, per quanto mi concerne, dora in avanti, durante il giorno, utilizzerò rigorosamente il grigio scuro. Grazie all’illuminate frequentazione del Castello sto scoprendo, un poco alla volta, il piacere del ben vestire, che si sta decisamente trasformando in una vera passione. Seguendo i consigli del Castello sto mettendo in cantiere due abiti, di carattere “formale-sociale”, da indossare, entrambi in città e nei mesi estivi, uno la mattina e l'altro dopo le ore 18:00. In sostanza si tratta d’indossarli per delle colazioni, pranzi o ricevimenti (sia in Palazzi sia in abitazioni private), sovente preceduti da delle Santa Messa. Per la loro realizzazione mi piacerebbe utilizzare i parametri del Castello, senza tuttavia sapere se gli ho ben compresi. Mi spiego. Tempo fa ebbi modo di leggere il manuale del Settembrini “Vestiti e usciamo” di cui ho letto in questa stanza un gran bene. Non trovo più il libro, ma alcune cose mi sono rimaste impresse nella mente: un gentiluomo non si veste di marrone, le scarpe nere – cerimonie escluse – si calzano solo di sera e, sempre per la sera, si devono evitare i risvolti dei pantaloni così come le patelle delle tasche dalla giacca. Tuttavia, leggendo quanto esposto nel Castello, ho appreso che le scarpe nere devono essere calzate sempre in presenza di abiti formali, che i risvolti dei pantaloni e le patelle delle tasche della giacca – cerimonie escluse – possono essere sempre presenti, anche negli abiti formali, sia diurni sia serali. Facendo tesoro di quanto sopra esposto mi piacerebbe avere dei consigli in merito agli abiti che mi accingo a fare realizzare. Per la nuova impresa ho pensato ad un abito grigio scuro antracite per la mattina e ad uno blu scuro per la sera, entrambi a due pezzi e di foggia classica: giacca con i revers alti, tasche a filo, due spacchi posteriori e tre bottoni, che se è questo il caso appropriato, potrebbero essere la variante “tre bottoni stirata a due”. I pantaloni senza pinces, terminanti con un'apertura di 19 cm (ho le gambe magre e mi stanno molto bene). Sia per la presenza delle patelle nelle tasche delle giacche e dei risvolti nei pantaloni ho dei dubbi, proprio per le contraddizioni rilevabili nei pensieri sopraesposti. Tuttavia, se il consiglio è quello di tenerli in entrambi gli abiti o solo in quello per la mattina, non avrò dubbi nel farli realizzare come mi indicherete. Rimane da scegliere il tessuto. Ho visto un tessuto Zegna da 210 g/mq, leggerissimo, della baratea di Vitale Barberis Canonico di 230 g/mq, del mohair e kid mohair e tanti altri ancora. Ecco, tenuto conto che, per non sbagliare, mi orienterei su delle tinte unite, mi piacerebbe avere un consiglio su quale sia il tessuto più elegante e la grammatura più adatta per i tipi di abiti che mi sono proposto di fare realizzare e se la foggia pensata rientra nei canoni di correttezza in funzione del loro impiego. Grazie per quanto Lei, Gran Maestro, e Voi, Cavalieri, mi saprete aiutare. Con riconoscenza. Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 30-03-2013 Cod. di rif: 4725 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Due e tre pezzi alle cerimonie - Risp. gesso n. 4721 Commenti: Egregio signor Martino, dal suo secondo Gesso capisco quanto sia stata profonda l’esplorazione che ha condotto all’interno di questo immenso. irragionevole maniero. Faccio però presente che la parte pratica delle mie risposte, specie quelle pubblicate nella posta del Gran Maestro, è legata alle circostanze ed alla personalità del singolo corrispondente. La parte teorica che quasi sempre precede un suggerimento è di tono generale, ma il consiglio è estremamente specifico. Se rilegge il contributo cui si riferisce, leggerà che il mio responso del 2006 recitava: “Quanto alla foggia, il Suo abito sarà o un doppio petto o un tre pezzi”. Il Suo abito, non l’abito. Nel caso in questione il signor Gerardo Armenante cercava una soluzione idonea come paterfamilias, in quanto doveva accompagnare la sorella all’altare in vece del padre defunto. Il tono dei paramenti doveva quindi esprimere un’autorità dinastica, richiedendo un intervento a livello di foggia e quindi delle scelte che abbiamo definito primarie. A proposito, vedo che ha assimilato con sorprendente prontezza il metodo di analisi e definizione dell’abbigliamento da “occasione”, pur essendo privo di precedenti. Ciò detto, ribadisco che il mio richiamo al due pezzi non era casuale e voleva anzi inquadrare la foggia di base per un convitato senza lasciare dubbi sulla materia. Come giustamente afferma, il terzo pezzo è una citazione del morning dress e quindi ha un significato formale di uno spessore non adeguato ad un invitato semplice, che col gilet rischia di sembrare un avvocato o un imprenditore che abbia preso la chiesa per una corte d’appello o un consiglio di amministrazione. La foggia principe per il semplice invitato ad una cerimonia nuziale è il due pezzi, a uno o a due petti che sia. Come sempre, la storia personale conta molto e quindi chi sia avvezzo a portare quotidianamente il panciotto potrà continuare a farlo anche in quella occasione. Quanto alla scala formale che immagina, la stagione non è importante quanto il luogo, perché un tre pezzi è più appariscente a Portofino di quanto non sia a Milano, mentre in una condizione in cui tutti, indistintamente, sono abbigliati in modo più pesante di quanto avrebbero liberamente scelto se quella domenica fossero andati a passeggio, non si crea altrettanta distanza tra l’estate e la primavera. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-04-2013 Cod. di rif: 4728 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Risp. Gesso n. 4724 - Parte generale: principi e leggi Commenti: Egregio signor Gigante, nell’ottavo e penultimo incontro di DRESS CODE, tenutosi a Bologna il 16 Dicembre 2012 col significativo titolo de “I principi dal principio”, ad esclusivo beneficio dei presenti affrontavo la segreta gerarchia normativa del Classico. Risale al diritto romano la convenzione che dietro ogni legge giusta ci sia una coerente architettura di motivazioni, detta ratio legis, che fa della norma e della sanzione l’espressione di un criterio generale e quindi stabile della convivenza civile, o di un’opportunità speciale dovuta a contingenze economiche, militari, politiche, che rendono necessari provvedimenti limitativi per motivi di ordine pubblico o altri vantaggi della comunità. Anche nel vestire maschile c’è qualcosa del genere, infatti si parla di leggi e di principi. Le prime sarebbero gli imperativi tipo: “Non indosserai calze chiare” o quello settembriniano da Lei citato: “Non calzerai scarpe nere con la luce del sole”. I principi sarebbero invece gli orientamenti generali, poco trattati dalla letteratura in quanto molto, ma molto più difficili ad individuare per il critico e da capire per il lettore. Si sono formati lentamente e misteriosamente, come la vita stessa, da una reazione che ha coinvolto la natura di luoghi, persone e cose. I materiali portano dentro il posto e lo scopo per cui sono stati creati, ma anche la storia dei grandi e dei tanti che li hanno usati. A ciò si aggiunge il linguaggio ancestrale della materia prima e quello più evoluto dei processi. Tutto ciò è stato tramandato in gran segreto, in genere col solo comportamento. Di tanto in tanto, stando attenti a non squarciarlo, possiamo scostare il velo perché si capisca bene di cosa stiamo parlando. Il legame del velluto con l’autunno e non con la primavera, ad esempio, è dovuto al suo uso nella caccia, mentre quello dei pettinati rasati con il lavoro cittadino viene dalla loro particolare definizione nei disegni e nei colori. La forza virile dei tweed viene dalla rude cultura e dai semplici mezzi che sono non sufficienti, bensì indispensabili ad ottenerli, al punto da rendere questi materiali molto compatibili con intellettuali o attori, artisti e principi, clochard e magnati, purché maledettamente individualisti e capaci di isolarsi dal consenso. Ce ne sono molti di questi principi che orientano senza alcun imperativo, ma il motivo per cui non sono mai stati enunciati è stato recentemente chiarito dal Dottissimo Rettore e Illuminato Gran Consigliere Franco Forni. Una volta enunciati, essi non si sommerebbero in un complesso dotato di senso, ma si sottrarrebbero l’uno con l’altro fino a tornare ad una somma zero, cioè alla libertà che è il fine e l’origine del Classico. Ma la libertà o si conquista o si perde, in nessun caso si concede o si eredita senza merito. Come vedrà, l’idea enunciata al DRESS CODE, dove a suo tempo è stata proposta la stessa teoria della Morte del Classico, porta proprio a questo punto. Si tratta di osservare con maggiore attenzione la base umana del Classico. Al di là dei suoi campioni, interpreti, pionieri e artisti, che per motivi di visibilità sono sempre appartenuti a classi privilegiate, la vera forza della civiltà classica è stata fornita dall’appartenenza al suo modello, incondizionata e priva di vanità, da parte di contadini, operai e piccoli borghesi, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione che parlava e capiva questo linguaggio, vestendo secondo i suoi dettami in tutte le occasioni di società mentre magari conservavano i costumi regionali per le manifestazioni locali più tradizionali. Insomma alla festa della vendemmia andavano con braghe e scarponi, ma al cinema o a messa mettevano la cravatta e il vestito della festa. Ciò è stato dimostrato con la teoria del Vestito Buono, cui non a caso è dedicato un fascicolo edito dalla Biblioteca Cavalleresca. Ne può comunque trovare qui nella Porta dell’Abbigliamento, sia nel Taccuino che nella Lavagna, i testi più significativi. Coloro che il primo maggio sfilavano con il Vestito Buono, quello del matrimonio e delle poche foto di famiglia, non avevano genitori, scuole e ambienti in grado di formarli esteticamente, ma senz’altro venivano educati in un contesto ad alto contenuto di identità. Se ciò che troviamo all’origine della spinta più potente ed epica del classico è un’aspirazione etica, vuol dire che dobbiamo spostare di uno scatto indietro, o meglio in alto, il binomio principi-leggi. I principi ispiratori del vestire, una volta portati a coincidere con quelli morali, diventerebbero esterni all’abbigliamento e coinciderebbero con quelli antichissimi che la civiltà ha elaborato lentamente ed in numero molto ridotto, come ridotta è la varietà dei sentimenti. Parliamo del culto degli antenati, del rispetto per l’ordine del cosmo, della dignità come struttura indispensabile perché una persona sia considerata un uomo, della tensione alla bellezza, pulizia e compostezza, del senso dinastico della famiglia e della tradizione, del valore del sapere, del valore del valore. E altre cosette così, che la nostra razza aveva coltivato per secoli e in due sole generazioni ha buttato in un solco, come letame, nella speranza che concimassero la crescita di nuove meraviglie senza più alcuno sforzo da parte dell’individuo. Immaginiamo ora che principi e norme siano due finestrelle contigue sul cursore di un calibro tenuto in verticale. Se la misura del nostro oggetto, che è lo spirito Classico, richiede di spostare il cursore verso l’alto, la sua finestra superiore, quella dei principi, viene a coincidere con il punto dell’asta dove sono marcati i valori tradizionali dell’umanità. E’ quanto che abbiamo già visto, o meglio suggerito, ma cosa accade al resto? La finestra delle leggi viene a coincidere coi principi, il che significa che la parte normativa, una volta che abbiamo realizzato la reale dimensione di quanto stiamo guardando, è costituita da criteri generali ad ampio spettro. Quelle che la critica precavalleresca ha sempre chiamato leggi, trovando consenso nell’amore del popolo per le sanzioni e le certezze date da decaloghi e sentenze, restano fuori. Ciò significa che la libertà dell’individuo non è minimamente intaccata dall’ordine delle cose secondo la misura veramente Classica, che è quanto si voleva dimostrare. Tale premessa serve a giustificare la varietà di soluzioni che la stessa persona può adottare in situazioni analoghe, facendo di tale incoerenza la somma prova della coerenza del sentimento Classico alla sensibilità umana. Non cerchi dunque codici e pene. E se anche Settembrini o altro dovessero esserci cascati, legga le intenzioni. Se erano buone vuol dire che l’uomo è valido, non necessariamente la sua lezione. Le do qualche giorno di tempo per assimilare i concetti esposti ed eventualmente affrontare discussioni che dovessero sorgere in merito, poi tornerò sulla parte pratica del Suo Gesso. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Martino Data: 05-04-2013 Cod. di rif: 4730 E-mail: gianni.martino@tiscali.it Oggetto: Principî del Classico e “rivoluzione culturale” Commenti: Illustrissimo Gran Maestro, la profondità e l’ampiezza delle Sue risposte si può riconoscere anche dalla capacità di stimolare la riflessione e suscitare nuovi interrogativi, come quelli affiorati alla mia mente ancora in relazione alla foggia degli abiti da cerimonia. Debbo però accantonare momentaneamente tali interrogativi, perché dal Suo ultimo gesso, vergato in risposta al signor Gigante, mi sembra scaturisca lo stimolo ad un confronto sul più vasto tema dei principî fondanti del Classico. Tale tema mi sembra degno della massima attenzione, per cui mi permetto di offrire alcuni brevi, e spero non divaganti, spunti di riflessione. Vorrei prender le mosse da un concetto fondamentale da Lei espresso, vale a dire che “all’origine della spinta più potente ed epica del Classico troviamo un’aspirazione etica”. Tale concetto è suffragato anche dalla successiva involuzione delle nostre società: il declino del gusto estetico, anche nel vestire, ha coinciso con il degrado etico, che appare evidente anche a chi non voglia indossare le lenti del moralismo. L’evidenza di questo declino-degrado parallelo la troviamo, a mio parere, nella eterogenesi dei fini della “rivoluzione culturale” (quella dei “Sixties” negli USA, del “Sessantotto” in Europa) che ha abbattuto la dimensione del Classico: i risultati raggiunti si sono rivelati opposti a quelli desiderati e proclamati. Tre brevi esempi. Nell’epoca del Classico, il rispetto di alcuni canoni del vestire attraversava tutte le classi sociali, come mirabilmente ricostruito nella teoria del Vestito Buono. Il modello generale di riferimento, si sarebbe detto una volta, era “interclassista”, accessibile a tutti. Ebbene: quella stessa rivoluzione culturale che proclamava di voler abbattere disparità e classi sociali, e vedeva anche nell’abbigliamento – nella cravatta “cappio borghese” – un simbolo di oppressione classista, ha finito col produrre una società in cui l’abbigliamento è tornato ad avere connotati di classe e di censo, in cui certe fogge del vestire sono ritenute consone solo al “magnate”, all’ “imprenditore”, al “dirigente”. Chi non appartiene a tali categorie rischia di essere considerato un eccentrico, o uno che “si dà le arie”, per il solo fatto di indossare una cravatta. Ancora: il modello di riferimento del Classico era per certi versi obbligante, dal punto di vista dell’approvazione/riprovazione sociale. E ciò aveva in sé i rischi del conformismo e dell’ipocrisia. Ma si trattava di eccezioni. Quell’obbligo, come da Voi ricordato, non era infatti un’imposizione arbitraria e opprimente, bensì “un’aspirazione etica” (ed estetica), che esprimeva l’orizzonte di una crescita comune ed era diffusamente accettato, perché riconosciuto capace di favorire quella crescita. Ebbene: quella stessa rivoluzione culturale che proclamava di voler abbattere il conformismo, di voler restituire agli individui una piena libertà, ha finito col produrre un conformismo di segno opposto, un “conformismo dell’anticonformismo”, basato sull’esaltazione del brutto e dello sciatto (il jeans venduto a caro prezzo già strappato!), così come sul rifiuto di ogni regola (il che coincide col rifiuto di aprirsi all’altro da sé). Citando un Suo gesso nel dibattito sul Vestito Buono, “l’individuo non è mai tanto massificato che nel momento in cui tenta una via di originalità senza ideali”. Il nuovo conformismo - esso sì - è arbitrario (non risponde a nessun criterio morale o razionale) e opprimente (i dissidenti possono essere sanzionati con il sarcasmo e lo sberleffo). Esemplari, a mio avviso, le considerazioni di Pasolini - intellettuale ideologizzato, ma non conformista - nel suo celebre articolo “Contro i capelli lunghi” (http://www.unipa.it/~michele.cometa/pasolini_capelli.pdf). Infine: lo stile Classico esprime un’aspirazione al miglioramento a partire da canoni precisi e storicamente consolidati, potremmo dire “naturali”. Un’aspirazione al miglioramento che muove quindi dall’accettazione di sé, della propria identità e della realtà che ci circonda. Ebbene: quella stessa rivoluzione culturale che proclamava di voler rimuovere ogni discriminazione contro l’individuo ha prodotto una società che - quando non insegue la bruttezza - insegue modelli di abbellimento dettati dal rifiuto/disprezzo di sé, come in certi modi di vestire che costituiscono veri e proprî mascheramenti (o come nella chirurgia plastica). Un rifiuto che può essere addirittura più profondo, come l’emergente rifiuto della propria identità sessuale, alla ricerca di improbabili “identità di genere”: lo stile di abbigliamento corrispondente mi sembra venga definito “metrosexual”, o qualcosa del genere. Insomma, l’importanza dei principî fondanti del vivere e del vestire può essere riscoperta – forse - anche guardando alle contraddizioni profonde emerse nella cultura che quei principî contestava. Cordialmente Giovanni Martino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 17-04-2013 Cod. di rif: 4734 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I falsi chiusi - Risposta al gesso n. 4729 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, l'arrotondamento della lissa lì dove la suola lascia il suolo, cioè all'altezza dell'arco plantare, viene adottato dall'industria calzaturiera per sottolineare una riduzione, in quella zona, dell'estensione laterale del "plateau" formato da guardolo e suola. In realtà l'arrotondamento e la rastrematura assumono pieno significato solo quando la lissa è portata praticamente a zero, ottenendo il cosiddetto "falso chiuso" o "cava chiusa". Si tratta di una lavorazione non riproducibile industrialmente, in quanto la macchina goodyear non può mai riuscire a gestirla. Per chiudere il falso bisogna cominciare già all'inizio, cucendo quella parte del guardolo più internamente per poi vigilare con attenzione nella seconda cucitura, in modo da agire vicinissimi alla tomaia senza pizzicarla. E' dunque un'operazione che richiede tempo e manualità, destinata a scarpe di elevato contenuto qualitativo e inevitabilmente artigianali. Stilisticamente, il falso chiuso e arrotondato si abbina bene a tutti i modelli formali, da giorno e da sera, e a molti di quelli informali costruiti a guardolo. Le fogge sportive, che devono avere e mostrare forza e solidità, non se ne giovano e spesso non possono nemmeno concepirla. Con le lavorazioni norvegesi e tirolesi autentiche, piuttosto diffuse nel segmento sportivo di qualità, il falso chiuso è tecnicamente irrealizzabile. Nemmeno avrebbe senso con costruzioni a sacchetto o alla bolognese, tipiche della scarpa leggera e confortevole destinata al tempo libero. La rastrematura delle cave consente alla scarpa di assumere linee ardite, apprezzate tanto nello stile inglese che in quello italiano. Negli anni '60 e '70 si vedevano uscire dai nostri calzolai lavori esemplari, rimasti immortali, in cui l'architettonico allungamento e rettificazione della parte anteriore trovava un guizzo dinamico nell'improvviso assottigliamento della pianta. Anche nei mocassini "strutturati" del tipo tassel loafer, molto amati dal raffinato pubblico italiano. Qualcosa del genere è riemerso nella ricerca estetica di Gaziano & Girling, inglesi dallo stile "fusion", che hanno ripescato le linee italiane di età classica mescolandole al gusto inglese per la volumetria. Anche con la più raccolta e tondeggiante modellistica inglese, pura, l'effetto delle cave chiuse è comunque delizioso, in quanto generando qualcosa di simile ad un punto vita conferisce alla scarpa la linea di una giacca e la rende particolarmente idonea a completare abiti di grande linea e pantaloni con fondo abbastanza ridotto. Alcune botteghe, come Cleverley, per dare maggior risalto arrotondano tutta la suola in una schiena d'asino e riducono la suola ad una larghezza minima, togliendo peso e ingombro. E' una soluzione di particolare difficoltà ed efficacia, che anche alcuni stilisti cercano di imitare. in conclusione, i falsi arrotondati devono essere chiusi e i falsi chiusi sono una scelta di raffinatezza, leggerezza e vanità. Per questi motivi, la destinazione naturale di questa soluzione è il mondo formale diurno e serale, quello dei pettinati e dei polsi a gemelli, mentre si addice meno, e talvolta è fuori luogo, quando a dominare è l'energia estroversa del mondo informale e sportivo dei cardati e dei quadri. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 17-04-2013 Cod. di rif: 4735 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Miglior Mohair Commenti: Rispettabilissimi frequentatori del Castello, mi trovo a dover ordinare l'abito formale estivo e, in attesa dell'annunciata risposta dell'Ecc.mo Gran Maestro in merito alla foggia, necessito di un consiglio in merito alla marca del tessuto Mohair da utilizzare. A fronte di una ricognizione ho selezionato i seguenti prodotti, che espongo in rigoroso ordine alfabetico: Holland & Sherry 60% Summer Kid Mohair e 40% Escorial - 230 g (non conosco il costo) 50% Camdeboo Summer Kid Mohair e 50% Super 150's Wool- 230 g (non conosco il costo) Taylor & Lodge 30% Summer Kid Mohair e 70% Super 150's Wool - 215 g (£47.52 mt) Vitale Barberis Canonico 16% Superfine Kid Mohair e 84% Super 110's Wool - 230 g (€ 80 mt) Essendo Voi degli esperti in merito, sono sicuro che riceverò il migliore consiglio per acquistare il tessuto più appropriato. Grazie per le Vostre risposte. Cordialmente Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 26-04-2013 Cod. di rif: 4739 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Abito formale in mohair Commenti: Egregio Sig. Nocera, La ringrazio infinitamente per la Sua cortese risposta. Ho provato, in tutti i modi, a reperire del tessuto misto lana-mohair della William Halstead, anche dal famoso rivenditore di Napoli. Purtroppo, nessuno pare avere del tessuto, nei pesi estivi, della nota Azienda da Lei segnalata. Grazie comunque per la Sua attenzione. Quindi, sarò grato a tutti i gentili frequentatori del Castello che sapranno consigliarmi in merito alla scelta di uno dei tessuti che ho già segnalato: Holland & Sherry 60% Summer Kid Mohair e 40% Escorial - 230 g (non conosco il costo) 50% Camdeboo Summer Kid Mohair e 50% Super 150's Wool- 230 g (non conosco il costo) Taylor & Lodge 30% Summer Kid Mohair e 70% Super 150's Wool - 215 g (£47.52 mt) Vitale Barberis Canonico 16% Superfine Kid Mohair e 84% Super 110's Wool - 230 g (€ 80 mt, ma diventato € 44 mt) Ho provato a contattare la Holland & Sherry Italia, ma sono disposti a parlare di prezzo solo se li vai a trovare di persona. Non se ne parla neppure. Grazie a tutti per l'aiuto che saprete darmi. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-05-2013 Cod. di rif: 4744 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I jeans e la cravatta - Risposta al Gesso n. 4742 Commenti: Egregio signor Ottaviani, la storia dei jeans nel XX secolo è una storia di emarginazione, prima subita e poi volontariamente imposta come alternativa ad una civiltà, quella classica nella sua fase finale, che aveva imboccato una via di grettezza. Il passaggio epocale fu dal denim inteso come tessuto a bassa manutenzione e lunga durata, ideale nei tempi della Grande Depressione, a quello indossato con sognante autonomia dai cow boy dello schermo degli anni '30 e '40 e poi dai divi ribelli degli anni'50. Il rock, primo ritmo tribale, fece il resto, traghettando i jeans verso i paradisi artificiali della generazione hippie, finanziata dalle droghe, e dello yuppismo, drogato dalla finanza. Fu in quest'ultimo contesto, come lei acutamente vede, che grazie all' esempio di Agnelli i jeans vennero sdoganati come supporto strategico di un'estetica ambigua, che vuole giocare sia sul tavolo dell'eleganza che su quello della creatività fine a sé stessa. Il presentatore Conti se ne è fatto strillone, portandolo con smoking e scarpe formali fino a quando tutto ciò aveva un senso trasgressivo. Ma la trasgressione, si sa, ha vita breve. Portare oggi i jeans con la cravatta non stupisce nessuno ed è solo un modo di mortificare l'uno e l'altra, evirando il primo e disgregando il contenuto espressivo della seconda. Quando la cravatta nasceva e si evolveva, nessuna di esse è stata pensata per abbinarsi a tenute da lavori umili e pesanti, o ai paramenti da bad boy. Il gusto classico fa a meno degli abbinamenti tra cape sante e peperoni, o tra jeans e cravatte, perché la sua essenza è nel contemplare la rinuncia. L'estetica e l'etica postclassica, che l'hanno bandita in nome di una leggerezza relativista, ammettono qualsiasi comportamento e proprio per questo si trovano oggi ad avere la leadership planetaria. Dunque, coniugare cravatta e jeans non è una questione di stile, bensì di identità. Se condivide la sensibilità tradizionale, cioè l'adesione ai ruoli e la possibilità di credere in qualcosa di stabile, non metterà insieme le due cose. Se il suo progetto di vita aderisce al disincanto ed alla trasgressione come unica espresssione della personalità si comporterà in modo diverso. resta una terza via, che è quella di chi si disinteressa dell'estetica e mette su le cose senza porsi il problema del loro significato. Grandi intellettuali, ma anche tanti uomini comuni, prima e dopo l'epopea classica possono essere ascritti a questa categoria.Stare fuori dalla competizione estetica significa essere immuni ai giudizi, e rende semplicemente ridicoli coloro che insistono nel classificare chi non è in classifica. Qualuqnue sia la Sua scelta, se sarà fatta con coerenza può portare a risultati ammirevoli. L'eleganza, infatti, non è morta col Classico e sta trovando nuove vie. il fatto che noi Cavalieri non ci interessiamo ad esse non vuol dire che non esistano o che non le consideriamo importanti, solo che la nostra scelta è stata fatta ed è per sempre. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-05-2013 Cod. di rif: 4745 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Lavalliere con anello - Risposta al gesso n. 4741 Commenti: Illustre Scudiero Balestrieri, gli Appunti che cita illustrano una cravatta a nastro assicurata al collo da un anello di metallo pregiato. Il nastro è ovviamente doppiato e forse ha anche dei leggeri interni, per favorire la stabilità. Per ottenere l'effetto basta utilizzare una lavalliere, che invece di annodare a fiocco si indosserà nel modo che d'ora in poi possiamo chiamare "alla Poirot". Il problema è semmai il grip dell'anello, che ha senso estetico solo se si mantiene lì dov'è e cioè abbastanza in alto da serrare il collo. Quanto alla mettibilità, la lavalliere è in Italia uno dei simboli dell'anarchia classica, e combinata con mantello e ghette è ancora usata da certi gruppi livornesi. In questo caso, però, la stessa foggia assume un carattere opposto grazie alla ricercatezza simmetrica e all'uso dell'oro. Specialmente in tempi in cui l'abbigliamento è così uniforme e trascurato, una cravatta di questo tipo indica un'esteta e quindi un sovversivo, rivoluzionario o reazionario che sia. Infatti, man mano che la ricerca nel vestire si avvicina a forme di individualismo estremo, l'aggressione dell'ordine costituito è di tale corrosiva evidenza che la storia è piena di obblighi e divieti in tal senso. Quanto all'astratta possibilità di portarlo, come membro dell'Ordine fedele alla figura maschile tradizionale, sa bene che anche un semplice completo con scarpe lucide e cravatta fa girare la gente per strada. Dopo la Morte del Classico, è inevitabile che i suoi oggetti appaiano sempre più come come paramenti equivalenti, con lo stesso significato. C'è sempre meno differenza tra gli effetti suscitati da un fedora e da una bombetta , quindi anche un solino ed una cravatta sostenuta da un anello d'oro non potranno essere più scandalosi di un cappotto con guanti e cappello. Il problema è se mai nel fatto che alcuni archetipi, che intervengono automaticamente nella valutazione subliminale di questo specifico accessorio, collocano chi lo indossa tra il patriota ed il poeta. Sta a Lei giudicare se ha il carattere e la voglia di apparire qualcosa di simile ad un eroe romantico, ruolo ancora più difficile da reggere di quello del dandy. Alla Sua età si può correre qualche rischio con leggerezza, ma è sempre meglio rischiare la pelle che il ridicolo. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 13-05-2013 Cod. di rif: 4746 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Risvolti/Spacchi/Patelle: Quando? Commenti: Illustre Gran Maestro Cavalieri ed Appassionati tutti Dovendo oramai ordinare il nuovo abito formale estivo (per la società) ed avendo recuperato il tessuto adatto, avrei il piacere di dissolvere gli ultimi dubbi sulla sua foggia. Escluso il fatto che detto abito sarà un due pezzi, con giacca monopetto a tre bottoni stirata a due. Oramai è opinione diffusa che la presenza dei risvolti dei pantaloni, nella tenuta classica maschile, rappresenta la norma e non l’eccezione e questo sia per quanto concerne il giorno sia per quanto riguarda la sera. Per eliminarli, dunque, occorre una ragione, come, ad esempio, se si pensa di indossare un abito con scarpe nere stringate, proprio per poter offrire un'immagine pienamente rigorosa. Per il resto i risvolti dei pantaloni possono essere adottati o meno secondo il gusto personale, sapendo però che la loro assenza valorizza gli abiti formali. Però gli abiti formali sono valorizzati anche dall'assenza sia degli spacchi posteriori della giacca sia delle patelle delle tasche tagliate a filo. Tuttavia, oggi, si possono frequentemente osservare i seguenti due casi: Abiti formali da lavoro e da società: Pantaloni con i risvolti, quindi anche con scarpe nere stringate, e giacca con spacchi laterali e tasche senza patelle Smoking, soprattutto negli USA e/o mondo modaiolo: Pantaloni senza i risvolti e giacca senza spacchi, ma tasche con le patelle. Oltretutto, in questo caso si sta parlando di una tenuta da sera. Ora, se, nel primo esempio, si ritiene più formale eliminare le patelle delle tasche, come è possibile che nel secondo esempio, ancora più formale, si ritiene corretto, come è giusto, eliminare i risvolti dei pantaloni e gli spacchi della giacca, accettando però la presenza delle patelle delle tasche? A questo punto, partendo dalle seguenti due fogge estreme per gli abiti formali (smoking escluso): a) pantaloni senza risvolti e giacca senza spacchi e senza patelle delle tasche, b) pantaloni con risvolti e giacca sia con spacchi sia con patelle delle tasche, quali fogge (per abiti formali) ritenete corretto adottare e per quali occasioni? Grato per i consigli, porgo i miei più sentiti saluti Cordialmente Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 27-05-2013 Cod. di rif: 4751 E-mail: gigante.fabioògmail.com Oggetto: Sempre grato Commenti: Gent. Sig. Longo, ringrazio Lei e tutti coloro che mi hanno dato delle risposte, anche in privato. Ho imparato molto nella frequentazione del Castello e mi scuso se sono apparso un poco invadente con le mie richieste. Ora, grazie alle Vostre sempre gentili e precise risposte, mi sento decisamente più tranquillo e sicuro nel percorrere la via dell'eleganza. Grazie ancora per l'attenzione di cui mi avete fatto oggetto. Molto cordialmente Fabio Gigante ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Antonio De Giorgio Data: 29-05-2013 Cod. di rif: 4752 E-mail: antoniodeg@live.it Oggetto: bretelle Commenti: Illustri Cavalieri, visionando (o, meglio, studiando) i taccuini di viaggio pubblicati anni addietro, sono rimato particolarmente colpito da uno inserito dal Gran Maestro – nello specifico cod. rif.: 2574 – relativo ad un paio di bretelle utilizzate dal sig. Francesco Maglia. Vorrei porre, pertanto, alla Vostra attenzione un paio di bretelle che, di primo acchito, risultano del tutto simili a quelle raffigurate nel taccuino e presenti sul noto sito di aste online ebay: http://www.ebay.it/itm/370818465573?ssPageName=STRK:MEWAX:IT&_trksid=p3984.m1423.l2648 Mi permetto un simile spunto poiché, come scritto allora dal Gran Maestro, penso che non si tratti di oggetti che si vedano comunemente. Cordialmente Antonio De Giorgio ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 04-06-2013 Cod. di rif: 4756 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Del modo di portare i guanti - Risposta al gesso n. 4747 Commenti: Egregio signor Ottaviani, sul come portare i guanti non c'è un disciplinare come per le decorazioni, ma come sempre esistono cose giuste e cose sbagliate. La differenza è talvolta nella coerenza o meno a riferimenti archetipici, cioè alla tradizione. Ad esempio, se in Inghilterra salite a cavallo da destra, poi non vi aspettate che vi invitino a casa. Non c'è un motivo tecnico, ma la tradizione esige che si monti da sinistra e non ci possono essere eccezioni, pena essere considerato un "bloody continental", come il sarto di Henry Poole definì sommessamente un cliente italiano che si permise di salire dalla destra su un vecchio fantoccio di legno che l'antica casa di Savile Row tiene al centro di una sala per prendere alcune particolari misure per le giacche da equitazione. L'episodio avvenne al cospetto di un mio caro amico di nascita londinese e poi confermato dallo stesso interessato, che tra l'altro è un gentleman rider che ha passato a cavallo più tempo di quanto io abbia giocato a poker. Il fatto che si trattasse di un cavallo finto non lo ha esentato da un giudizio a dir poco "tranchant", all'esito del quale il nostro compatriota preferì rivolgersi ad Huntsman. Altre volte la correttezza di un comportamento, di un gesto, del modo o del posto in cui si porta un accessorio, dipende direttamente dalla funzionalità o da usi che fanno riferimento a funzioni ormai desuete. E' il caso della bottoniera maschile, che si trova sulla destra perché al contrario si potrebbero trovare ostacoli nello sguainare la spada. Di spade alla cintura dei gentiluomini moderni non ce ne sono più, ma la consuetudine resta ed è indiscutibile. Una terza fonte è il semplice effetto, il piacere o il dispiacere che dona all'occhio. A prescindere dal fatto che guanti chiari e vellutati come quelli in oggetto si ungono facilmente tra le mani nude, il che rappresenta un motivo della seconda categoria, ovvero pratico, per evitare di tenerceli a lungo, il fatto fondamentale è che l'effetto è deprimente. I guanti del manichino vivente di Knize , ancora nuovi, restano rigidi e sembrano pesci congelati, o un mazzo di asparagi biachi. Più brillante sarebbe stato indossarne uno, magari il sinistro e tenere il destro con la mano guantata, il che comporta due vantaggi: il primo è quello di evitare il contatto diretto con la pelle delle mani, facile a sudare, il secondo una postura più disinvolta. Concluderei dunque che, secondo il tipo di guanto, ciò che bisogna cercare è la naturalezza. Nei momenti in cui sono a riposo, i guanti sottili si possono anche infilare nel taschino del cappotto o della giacca. Quelli spessi o imbottiti lo gonfiano troppo. I guanti più vecchi o molto scuri si possono tenere in mano entrambe, mentre l'esempio di cui stiamo discutendo insegna che quelli non ancora snervati rischiano di restare come stoccafissi. C'è un modo di dire, riguardo alla cedevolezza in generale, che ci dice molto e forse è addirittura conclusivo. Per definire una piacevolezza confortevole si definisce qualsiasi oggetto in pelle: "morbido come un guanto". Se il guanto stesso non lo è, o non lo è ancora, meglio non farlo sapere. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-06-2013 Cod. di rif: 4758 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Taschino e guanti - Risposta gesso n. 4757 Commenti: Egregio signor Volponi, prima di essere un taschino, anche quella al petto è una tasca, cioè un dispositivo creato per il ricovero di oggetti. Usarlo secondo la sua destinazione e cioè riporvi occhiali da sole o carte d'imbarco, mappe della metropolitana o guanti, non può essere sbagliato per principio. Vale solo, ampliato a causa della posizione strategica lungo le principali linee della giacca, il criterio di buon senso di non gonfiarle. Dunque i guanti spessi o imbottiti, come avevo già accennato, devono necessariamente trovar posto nelle più capaci tasche laterali del cappotto, mentre quelli sottili ben possono essere sistemati nel taschino, dove sono a portata di mano. L'insipienza che attribuisce a Ielluzzi potrebbe derivare dal fatto che lo si vede coi guanti solo nel taschino e mai calzati, o che usa guanti da boxe e li caccia nel taschino come fossero di nappa, ma queste piccole distrazioni del singolo non comportano una condanna del gesto in generale. Il Reverendissimo Decano dell'Ordine Augusto Micheli, di fine eleganza e cultura, porta i guanti nel taschino con assoluta grazia ed è un antidoto che da solo basta contro una legione di Ielluzzi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Spadaro Data: 05-07-2013 Cod. di rif: 4764 E-mail: g.spadaro1@inwind.it Oggetto: Una piccola nota lieta Commenti: Potenti Cavalieri, se è consentito farlo, vorrei richiamare la Vostra vigile attenzione su un articolo di stampa (riporto l'indirizzo internet: http://www.ilgiornale.it/news/interni/933141.html ), che mi pare apra uno spiraglio di speranza sulla possibilità che certi gesti e certi linguaggi vengano ancora, se non praticati, quanto meno compresi. E, visti i tempi, non mi pare poco. Con i migliori saluti, Giuseppe Spadaro ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-08-2013 Cod. di rif: 4766 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Spectator e car shoes - Risposta al gesso n. 4765 Commenti: Egregio signor Cattani, l'articolo cui fa riferimento propone una definizione delle spectator basata su tre criteri: 1) Hanno un rapporto di specie a genere rispetto alle bicolori, il che comporta che tutte le spectator siano bicolori e non tutte le bicolori siano spectator. 2) In considerazione della nascita, avvenuta su campi erbosi e luminosi in cui di certo si privilegiavano i colori naturali, dovrebbero essere chiamate spectator solo quelle che affiancano al bianco una delle tante tonalità del cuoio. 3) Una spectator degna di portare questo nome è una full o half brogue e per di più francesina. L'abbondanza di decorazioni è un connotato che coniuga la volontà estetica all'energia esuberante del registro sportivo. La costruzione a francesina, più composta, marca il ruolo dello spettatore. Diciamo che il giocatore di golf va sul campo con le derby, mentre lo spettatore, anche per far capire subito che sotto quelle scarpe non ci sono chiodi o tacchetti che potrebbero danneggiare il pavimento della clubhouse, ci va con le francesine. Le spectator amano i tessuti nervosi e quindi stanno benissimo sotto i mohair e in generale i tropical, di qualunque colore e fantasia. C'è qualche difficoltà in più coi rigati, ma un uomo avvezzo all'uso di scarpe bicolori saprà come utilizzarle, rivelando peraltro aspetti di quel materiale che restano inespressi con altre calzature. Quanto all'uso delle car shoes deve esserci stato qualche malinteso, di certo dovuto alla formulazione non brillante del mio pensiero. Il brano dice infatti: "Le driving shoes sono versatili, stanno bene con tutti i capi da tempo libero e si prestano ad un’infinita varietà di colori e materiali. La mancanza di fodera consente l’uso senza calze, ma abusare di questa licenza, magari con abiti completi, conduce a risultati a dir poco degradanti". Beh, quel che si voleva dire è che le car shoes, come tutte le calzature a sacchetto e quelle in generale destinate ad assumere la forma del piede, non hanno bisogno di calze. Farlo con altre scarpe e magari addirittura sotto abiti completi rappresenta un uso improprio (abuso) di questa licenza che è consentita in certi casi ed assolutamente vergognosa in altri. Come lettore di MONSIEUR avrà letto o starà per leggere la mia lettera al Direttore che occupa l'intera rubrica della posta dei lettori di questo mese. Parlo del Pitti Uomo e nel finale ritorno proprio sul tema dell'assenza di calze. A beneficio non tanto Suo, ma di chi non legge la rivista , riporto integralmente il brano così come l'ho scritto: PITTI UOMO L’agiografia delle riviste patinate e l’approssimazione di quella parte della rete che vive di copia e ingolla, cioè rimasticando sé stessa, fa risalire la nascita di Pitti Uomo all’evento del 1951 in casa di Giovanni Battista Giorgini e ne vede l’evoluzione nelle sfilate della Sala Bianca di Palazzo Pitti, organizzate dal CFMI (Centro di Firenze per la Moda Italiana). Tra questa fase e la successiva c’è in effetti una parziale continuità nei nomi e nei capitali, ma gli scopi e lo stile, elementi determinanti nel carattere di persone e fenomeni, sono diversi. Grazie all’intuizione di Bista Giorgini gli stilisti italiani si fecero un nome internazionale e Firenze entrò nel circuito del fashion business, ma le sue attività erano dedicate alla donna e tenute in palazzi patrizi che davano al tutto un tocco di esclusività. Pitti Uomo nacque un anno dopo la sua morte, nel 1972, e pur mantenendo l’italocentricità del pioniere presentava un format interclassista, spigliato, come richiesto dai tempi. Volle subito essere la miglior fiera del miglior mondo maschile, con due appuntamenti all’anno dedicati a primavera/estate ed autunno/jnverno. Nel 1982 la società Pitti Immagine spostò la fiera nella Fortezza da Basso, una struttura polimorfa, irrazionale, la cui asimmetria ricca di spazi aperti influenzerà non poco la successiva storia della manifestazione. La frequento regolarmente dalla metà degli anni ’80, quindi dell’ultimo quarto di secolo ho esperienza diretta. Nel 1986, in pieno yuppismo, viene fondato il consorzio Classico Italia, che occupò subito la posizione migliore: il piano attico del padiglione centrale. Le sue premesse e promesse sulla difesa del made in Italy non sono mai state efficacemente coltivate, mentre gli inviti alle feste che organizzava determinarono per anni la differenza tra i frequentatori di prima classe e i turisti. Con gli anni ’90 si apre la sezione “L’Altro Uomo”, nome piuttosto ambiguo che indica il gusto alternativo al Classico. Per lo più si tratta dello street wear, i cui fatturati aumentano e con essi l’importanza degli eventi che le case sostengono. Un’estetica ricca in banca, ma povera nei materiali, si mantiene sull’immagine ed ha bisogno di glamour. Arrivano così a Pitti le prime installazioni artistiche, che diventando una caratteristica fissa trasformano l’appuntamento da fiera commerciale a kermesse. Con la diffusione dei blog si compie un ulteriore passo. Le case principali hanno ormai siti aggiornati e show room dappertutto, a Firenze non portano i buoni d’ordine perché non vengono più per vendere, ma per presentare e presentarsi. Pitti resta un’opportunità mercantile per i pesci di piccola e media taglia, diventa una sala stampa ed un luogo di incontro e comunicazione per i più grandi. Insieme allo spirito, cambiano i visitatori e con essi il calendario. Viene anticipata l’apertura e cancellato il fine settimana, in cui venivano i piccoli dettaglianti e qualche cacciatore di affari che attendeva la domenica per acquistare i campionari esposti a buon prezzo. Ora tantissimi, più o meno addetti ai lavori, vengono più per cercare persone che cose. Altri vogliono solo essere visti e, se va bene, fotografati. La fiera diventa così una festa, precisamente una festa in maschera. Per aumentare le probabilità di farsi ritrarre e pubblicare da qualche blogger, spinti dal piacere di mascherarsi e dalla segreta speranza di imbroccare uno stile che faccia tendenza, sempre più persone giungono in veri e propri costumi. Non si sentono chiusi tra le mura della fortezza, davanti a loro immaginano l’immensa platea della rete. Cercando su Google delle foto prese a caso dalle ultime edizioni, appare chiaro che siamo di fronte ad una nuova Halloween, con qualche gratificazione per chiunque abbia mostrato un po’ di talento o abbastanza spregiudicatezza da rendersi ridicolo. La vanità ed il divertimento non fanno male a nessuno, anzi questa nuova attitudine ha molti lati positivi. Gente che ha perso il gusto di vestire, o non l’ha mai avuto, prova l’ebbrezza di dare importanza a quello che ha indosso. Chi vigila sull’abbigliamento tutto l’anno, se ha occhi sinceri ed aperti può scorgere qualche suggerimento interessante e magari ampliare di una frazione di grado la propria visione. Al momento di cominciare questo articolo pensavo di pronunciarvi una requisitoria contro i parvenu del gusto. Ora, riguardando le immagini del pitti people, più che distruzione e saccheggio del mondo classico ho visto sincero piacere e innocua voglia di primeggiare, sentimenti che condivido. Nell’immancabile visita a Pitti misuro con particolare attenzione capi ed accessori, ed anche se vorrei negarlo non sono del tutto indifferente agli obiettivi. La competizione tocca e stimola tutti, facendo di questa strana riunione un luogo che in qualche modo è di ricerca. Non posso chiudere il pezzo deludendo completamente chi si aspettava i miei anatemi, così ne lancerò uno limitato a quanti portano le scarpe rigide senza calze. Nel calderone della Fortezza, arsa da un clima infernale, ne ho visti troppi. E non è accettabile. A parte l’incongruenza di un polpaccio peloso che esce da una scarpa lucida, il piede scalzo lavora direttamente contro il pellame e tende a fargli prendere la propria forma, il che è lecito solo quando la calzatura stessa è una sorta di calza, perché destinata sin dall’inizio e rispettarne ed assumerne la sagoma. La costruzione a sacchetto, quella delle scarpe da auto o da barca, ne è l’esempio più comune. Quando invece la scarpa ha una linea ben definita, fissata da un contrafforte posteriore ed un puntale anteriore, farvi sguazzare dentro un corpo sudaticcio è contrario alla sua natura ed offende il lavoro compiuto per dare stile e struttura al prodotto. C’è chi crede di aver trovato la soluzione ed utilizza quei tanga da piede chiamati fantasmini. Mi domando, però, come faccia un uomo a sentirsi sicuro di sé indossando un arnese così lezioso, un misero compromesso, una cosa che si nasconde non per pudore, ma per paura. Giugno 2013 NdA: Rileggendo il brano, forse sostituirei l'ultima parola, paura, con vergogna. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 21-08-2013 Cod. di rif: 4769 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Car shoes ed abiti - Risposta al gesso n. 4767 Commenti: Egregio signor Cattani, in questa sede siamo poco propensi ad emettere leggi e sentenze, cercando piuttosto principi e significati alla luce della storia delle fogge, dei materiali e degli uomini. In quest'ottica, la car shoe nasce come dispositivo per il tempo libero e quindi potrà essere legittimamente indossata con capi di questo registro. In genere spezzati sportivi, ma forse una mano felice può abbinare a questa calzatura anche qualche completo nettamente degagé, come potrebbe essere un abito in seersucker o madras. Se vuole indossare un completo più severo, fosse anche informale, non basta metterlo in un auto per dare alla combinazione un passaporto classico. Si può guidare ottimamente ed a lungo anche con scarpe più accollate, o lasciare in auto un paio di car shoe da usare solo al momento dell'azione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 16-09-2013 Cod. di rif: 4775 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Blazer o Giacca Blu? Commenti: Eccellentissimo Gran Maestro, Ho letto con estremo interesse le Sue indicazioni riguardo la fattura del Blazer, sia invernale sia estivo. Tuttavia, data la mia oramai riconosciuta ignoranza in ambito sartoriale, mi sorge un dubbio: Il Blazer è lo stesso capo conosciuto dai più come giacca blu? Quotidianamente ho l'occasione di osservare diversi signori che indossano, in tutte le stagioni, una giacca blu (generalmente monopetto a tre bottoni) con i bottoni blu scuro e le tasche a filo con le patelle, dai pesi vari. Capo che si discosta sensibilmente da quelli da Voi illustrati, i quali, realizzati con tessuti decisamente pesanti anche per il periodo estivo, presentano i bottoni in metallo ed, inoltre, sempre per il capo estivo, sono previste le tasche applicate, ma non la fodera. Si tratta forse dello stesso capo o sono due capi distinti? Grazie per l'attenzione, la pazienza e la disponibilità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 02-11-2013 Cod. di rif: 4793 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Eccomi Commenti: Egregio signori Volponi e Moradei, anche l'Avveduto Camerlengo di questa Porta, che ha il compito di vigilare sullo svolgimento dei lavori, mi ha ripreso per aver fatto accumulare risposte inevase. La conduzione dell'Ordine nella sua missione reale mi occupa tanto da farmi trascurare la sua sede immaginaria, ovvero il castello. Non proporrò giustificazioni, né spiegherò motivi. E' un fatto e non è positivo, per cui eccomi qui pronto a portare avanti le nostre indagini sulla grandezza e funzione dell'abbigliamento classico. Pensate comunque che questo castello esiste come sito dal dicembre del 1997 ed è diventato interattivo il 22 marzo del 2002. Un anno di rallentamento può determinare l'esaurimento o il fallimento di progetti di scarso respiro, ma rispetto all'eternità cui è destinata ogni parte e soprattutto ogni strategia del castello, non rappresenta un problema Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-11-2013 Cod. di rif: 4797 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Grenadine, garza e maglia - Risp. gesso n. 4789 Commenti: Egregio signor Volponi, col gesso in oggetto mi chiede di chiarire la differenza tra grenadine e maglia, ma vedo che Lei già sa che grenadine e garza da cravatte sono due nomi, uno inglese e uno italiano, che indicano la stessa cosa. E' inoltre ben consapevole che la differenza tra garza e maglia è nella loro natura tessile: la prima è un tessuto a navetta, la seconda è appunto un tessuto a maglia. Ciò che posso aggiungere sono chiarimenti sui termini utilizzati , vagliati alla luce del nostro cavalleresco metodo di unificare le fonti per ottenere definizioni quanto più universali possibile. TESSUTO A NAVETTA La navetta è l’attrezzo che trasporta il capo di trama da un lato all’altro del telaio, passando in tal modo al di sopra degli orditi restati immobili e al di sotto di quelli sollevati dai licci. Quando i licci si abbassano, il pettine batte sulla trama appena passata per compattarla e fermarla. Per questo, ogni scatto in avanti nel senso della trama è detto “battuta” e chiamiamo “battuti” i tessuti fitti e densi. I tessuti a navetta sono dunque quelli che si formano a telaio grazie all’intervento di fili distinti di trama e di ordito. TESSUTO A MAGLIA o TRICOT E’ quello realizzato annodando su sé stesso, con appositi ferri, uno o più fili. Non prevedendo passaggi ortogonali rigidi, il materiale risultante è dotato di un’elasticità naturale, ovvero di una capacità di subire elevate percentuali di deformazione e poi recuperare immediatamente la forma originale. Tale capacità, che nei tessuti a navetta si ottiene con elastomeri o raffinate tecniche di torsione dei filati, è detta “stretch”. Non va confusa con il “give”, splendido termine esclusivamente americano con cui si indica quel cedimento che il tessuto sopporta, ma non recupera con forza e rapidità. Possiamo dire che quel cedimento che tutti i tessuti presentano nel senso diagonale sia “give”, mentre quello in tutti i sensi del jersey (il tessuto a maglia più comune) sia “stretch”. GARZA Tessuto a navetta che presenta una sorta di nodi ottenuti con una costruzione complessa, molto aperta e con superficie fortemente tridimensionale, che proprio per questi caratteri viene facilmente confusa con una maglia. La vera garza si realizza con l’armatura a giro inglese, ovvero con due subbi (rulli dove sono arrotolati i fili di ordito)da cui partono due distinte catene o orditi. Durante la lavorazione, che necessita di una certa luce sia tra le trame che tra gli orditi, un filo mobile, detto di giro, passa continuamente da un lato e dall’altro di quello fermo, detto retto. La battura di trama blocca le catene in posizioni alternate, ma nei punti di scavalcamento la superficie si fa granulosa e nel complesso, specie se molto rarefatta, può offrire la sensazione di veri e propri nodi di maglia. Essendo rada e costruita con fili dall’andamento sinuoso, la garza presenta un notevole “give” in più direzioni, eppure alla lunga è molto stabile. Le garze per cravatteria, dette anche grenadine, si suddividono in garze grosse e garze fini secondo la grandezza e complessità delle maglie. Sono entrambe garze ad armatura, che cioè oltre al giro inglese di base presentano ulteriori giochi di trama che danno disegni e motivi. GRENADINE Con questo nome si indica sia la garza in seta da cravatteria che il tessuto prezioso, fitto e rilevato, che si usava per i baveri da smoking ai tempi in cui gli uomini erano contenti e consapevoli di essere tali. In effetti grenadine è, o per meglio dire lo è stato fino a quando la clientela e di conseguenza le seterie erano in cerca della qualità, anche il nome dell’organzino indispensabile per ottenere questo materiale ormai in via di estinzione. Il grenadine, il cui costo è di gran lunga superiore a quello di tutti gli altri filati in seta, è composto come tutti gli organzini da un filato a due capi ed uno singolo, i cui elementi sono filati in torsione zeta e abbinati, ovvero ritorti, con torsione esse. Ha un caratteraccio, perché la torsione di tutti gli elementi è portata ai limiti del crêpe. Usato in catena, l’organzino grenadine dona al tessuto un vigore tutto particolare ed una luminosità spenta assolutamente irripetibile. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 03-11-2013 Cod. di rif: 4798 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Cravatte in maglia - Risposta al gesso n. 4788 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, per orientarsi meglio nell’oggetto della Sua domanda, è opportuno tracciare una sintetica mappa delle cravatte a maglia. La prima cosa da dire è che la cravatta delle origini, realizzata a dritto filo ed esclusivamente in sete tinte in filo, era decisamente rigida e presentava difficoltà di annodatura. La cravatta moderna, sviluppatasi contemporaneamente e conseguentemente all’accantonamento dei colli rigidi, è basata sulla disposizione al traverso del tessuto. Pare risalga al 1923, proprio al momento del passaggio tra solini inamidati e colli rivoltati morbidi, l’invenzione del taglio in più ferzi, che consentiva non solo di razionalizzare il consumo di materia prima, ma anche di ottenere drappeggio, scorrevolezza e leggerezza del manufatto. Possiamo dire che, a parte i plastron che appartengono all’età preclassica, in età Classica la cravatta tenda alla valorizzazione estrema, attraverso la migliore costruzione e annodatura, di un tessuto pregiato disposto al traverso. Tutte le cravatte a maglia sono invece orientate nel senso stesso della costruzione del tessuto, anche se nel caso della maglia, in cui manca l’ortogonalità dei fili, non si può parlare di “dritto filo” . Ecco perché le cravatte a maglia terminano sempre con la punta orizzontale e quelle in grenadine, che pur avendo l’aspetto della maglia sono fatte di tessuto a navetta, hanno la punta ad angolo. La cravatta a maglia è costruita più o meno come una calza e ne possiede alcune doti di elasticità, ma al momento di realizzare il nodo ci si accorge che lo scorrimento è molto inferiore a quello della seta, anche se grenadine. E’ il ritorno dell’antica rigidità, inevitabile quando si lavora su un tessuto lasciato nel suo “senso di marcia” originario. Per evitare allungamenti eccessivi e favorire lo scorrimento, intorno al collo la maglia delle cravatte è molto più sottile e protetta da una fettuccia in seta liscia. Diversamente, l’oggetto si strapperebbe o perderebbe forma in poco tempo. Ciò premesso, esistono tre famiglie di cravatte in maglia. MAGLIA GROSSA IN LANA Matta e spessa, è esclusivamente invernale, anche se qualche uomo di spirito le usa d’estate per evitare che ci si lamenti con lui del caldo. In larghezze variabili e quasi sempre rovinata da loghi alla punta, ha una superficie martellata dovuta ad un punto a grani di riso. E’ costruita come una calza, quindi è tubolare e rimagliata al rovescio, senza cuciture. La sua capacità di combinazione è piuttosto ampia e va dai pettinati ordinari fino ai cardati sportivi. MAGLIA SOTTILE IN LANA Piuttosto rara a vedersi, questa tipologia ha origini scozzesi e si caratterizza per l’uso di una maglia serrata a jersey, quindi dalla superficie liscia. La cravatta è interamente costituita da una sola banda di tessuto che si assottiglia nella parte intorno al collo e d lì si allarga per andare a costituire gamba e gambetta. Non esiste, o per meglio dire non ho mai visto, il suo reciproco in seta. Decisamente sportiva, si trova a proprio agio sotto maglioni e/o gilet e coi grandi cardati di Scozia, d’Irlanda e delle isole dai climi rigidi e dal cuore rovente. MAGLIA GROSSA IN SETA E’ quella di cui parla lei. Costruita esattamente come quella in lana, quindi come una calza, è tubolare e rimagliata senza cuciture. La nobile materia di cui è costituita la rende delicata, facile ad impigliarsi, quindi richiede cura. Per evitare che il loro stesso peso le allunghi col tempo, tradizionalmente si conservano arrotolate, o comunque non appese. Come sempre, l’uomo di gusto può trovare soluzioni inaspettate, ma il principio di base è che le cravatte in maglia di seta danno il meglio se abbinate a tessuti primaverili ed estivi. Il fatto è logico, anzi naturale, in quanto è in queste stagioni che si usano tessuti abbastanza briosi e brillanti da potersi abbinare con queste cravatte luminose, piene di una gioia solare. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-11-2013 Cod. di rif: 4800 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Garza e grenadine, la stagionalità - Risp. gesso n. 4799 Commenti: Egregio signor Volponi, prima di analizzare la Sua domanda occorre una premessa chiarificatrice. La grenadine, grossa o fina che sia, è sempre e comunque una garza, ma non tutta la garza è grenadine. Abbiamo già definito la garza e visto che in cravatteria si usano garze ad armatura, cioè complicate da giochi di trama per creare motivi particolari. La grenadine è una "formula" collaudata, che in termini di costruzione presenta varianti minime da un tessitore all'altro. Sono talvolta i cravattifici a far apparire differenze che non esistono, utilizzando l'una o l'altra faccia. Drake's, per esempio, utilizza il dritto, mentre Turnbull & Asser utilizzano il rovescio. Il tessuto in sé è tecnicamente identico, eppure risulta diverso. Orbene, oltre alle grenadine ed alla loro caratteristica superficie a "pavé", ci sono altre garze ad armatura. In Italia avevamo maestri, come Umberto e Sergio Stromilli, in grado di realizzare garze con organzini grenadine la cui qualità pazzesca sarebbe oggi irriconoscibile da un popolo cui trent'anni di lusso forzato e inconsapevole hanno disseccato le tasche ed il gusto. Anche senza arrivare alle massime altezze, non mancano in commercio dignitose garze diverse dal grenadinea. Per la verità, alcuni materiali sono presentati come garze pur non essendolo, solo perché hanno un aspetto granuloso. Recentemente ho visitato il guardaroba di Antonio De Matteis, che come patron di Kiton produce anche cravatte. Nei cassetti ne aveva di veramente belle, ma quando ne ho ammirata una indicandola come di panama, lui l'ha definita in garza. Non ho commentato, pensando che se è non sapendo cos'è una garza che si arriva così in alto nel mondo tessile, meglio non complicare ciò che è così semplice. Passando finalmente all’oggetto del Suo Gesso, le garze tese e taglienti realizzate con organzini di elevata qualità sono attirate da altri tessuti scattanti e quindi amano l’estate, coi suoi tropical e mohair. Il grenadine e altre garze rilassate hanno una pasta più cedevole, quindi più calda, che le rende praticamente adatte a tutto l’anno. A prescindere dalla stagione, per cinquanta anni tutti gli attori che hanno interpretato James Bond hanno utilizzato almeno una cravatta, nera o comunque scurissima, in grenadine. Craig ha interrotto la tradizione, ma il discorso era già chiaro: un grenadine scuro va bene anche d’inverno. Per valorizzare quello chiaro, meglio aspettare la primavera. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-11-2013 Cod. di rif: 4803 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Stagioni e registri, maglia e grenadine - Risp. Gesso n.4802 Commenti: Egregio signor Cattani, mi sono fatto influenzare dal ricordo di "Licenza di uccidere", in cui Bond indossa una cravatta di grenadine nero o giù di lì. Già nel film successivo, Goldfinger, usa cravatte in maglia, credo in una visita al circolo del golf. Lei dunque ha ragione, ma la sostanza non cambia ed anzi abbiamo qualche dato in più. Oltre alla stagionalità, emerge qualche interessante suggerimento sui registri. Bond, infatti, indica una soluzione che ha un senso indossando la maglia di seta, dall'aspetto piuttosto rustico, in situazioni sportivo o comunque di tempo libero, mentre riserva la grenadine a momenti più impegnativi. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 08-11-2013 Cod. di rif: 4804 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Ancora sulle cravatte in maglia - Risp. gesso n. 4801 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, le cravatte in maglia di lana o cotone a grana grossa, cioè con superficie granulare, ebbero in Italia un picco di successo nei primi anni ottanta, quandole energie sociali abbandonavano la vecchia pianta classica per andare ad alimentare il culto del successo praticato dallo yuppismo. Il gusto dei nuovi esteti rampanti non si formava all'interno di sartorie e negozi, bensì davanti alle vetrine ed alle pubblicità. Fu la grande epoca degli status symbol e quindi dell'ascesa delle griffe, che erano ancora nazionali e non multinazionali. Le cravatte in maglia, proposte un po' come una novità alla moda, si fregiarono di loghi ed in particolare di quello di Yves Saint Laurent, le cui cravatte ebbero un vero e proprio boom. Da allora anche altre case hanno seguito l'esempio, come Ralph Lauren. Evidentemente l'esemplare in Suo possesso, nato dalla Grande Madre Scozia, si è salvato da questa infezione virale non mortale, ma di certo debilitante. La cravatta di jersey in lana è restata sempre e solo un vezzo scozzese. Destinata a giacche sportive e fantasiose, se ne sono perse le tracce e quasi la memoria durante gli anni dell'uniformità, a cavallo dei due millenni, in cui l'uomo, prima di togliersi definitivamente il vizio di giacca e cravatta, si sottopose ad una decina d'anni di disintossicazione dal vestire a base di blu e grigi, per lo più gessati. Ne possiedo due esemplari, uno vintage acquistato una decina di anni fa dall'indimenticabile Pescetto, scomparso fondaco genovese in cui qualità, gusto e cultura maschile furono mantenuti ad un livello elevatissimo, ed uno più recente realizzato qualche anno fa dalla Drumhor per Marinella. Ne pubblicherò le foto sul Taccuino, magari insieme ad altre immagini che illustrino la famiglia delle garze e delle maglie di cui ci siamo occupati da poco su questa Lavagna. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Fabio Gigante Data: 19-12-2013 Cod. di rif: 4806 E-mail: gigante.fabio@gmail.com Oggetto: Aiuto per Ulster Commenti: Illustrissimi e Rispettabilissimi Cavalieri e Lettori, Dopo avere letto i vostri commenti in merito al canone del cappotto tipo Ulster, è cresciuto in me il forte desiderio di farmi confezionare tale capo. A tale proposito ho acquistato un tessuto per cappotti in saia di lana grigia spigata. Portato il tessuto dal sarto, per procede alla confezione, questo ultimo ha sollevato dei dubbi su taluni dettagli, inerenti il peso, il fondo piega, il golino e la fodera, che mi hanno confuso un poco le idee. Sarei veramente grato a tutti coloro che avessero la intenzione e la disponibilità di aiutarmi a chiarire questi dubbi. Peso Leggo ovunque che il tessuto per un Ulster deve essere quello della lana pesante; tuttavia, nessuno indica i grammi che contraddistingue tale categoria. Consultando alcune proposte di note sartorie, ho constatato che queste ultime offrono dei capi Ulster confezionati con lana dal peso di 540 g. Per questo motivo ho acquistato, a tale scopo, una lana dal peso di 570 g. Tuttavia, il sarto mi ha detto che il tessuto per tale impresa deve essere compreso tra i 600 ed i 700 g. Prima domanda: Secondo il vostro parere, il tessuto che ho acquistato è idoneo per realizzare un autentico capo Ulster, tenendo conto che vivo nel nord Italia? Fondo piega e golino Per fare meglio aderire il cappotto alla sua più autentica origine militare, il sarto mi ha proposto di confezionare il capo in oggetto con un fondo piega posteriore che presenta una fila di bottoni che partono dalla martingala a scendere; inoltre, mi ha proposto di realizzare un golino (paravento) rimovibile. Seconda domanda: Secondo il vostro parere, queste due varianti sono pertinenti e compatibili con la bellezza di tale capo? Fodera In questo caso siete stati categorici: sfoderato o a mezza fodera. Tuttavia, a questo punto, una fodera renderebbe il cappotto un poco più caldo; inoltre, osservando le proposte delle sartorie italiane di primaria importanza, ho potuto constatare che qualcuna di queste propone lo Ulster con una fodera rossa. Io sono rimasto in accordo per la mezza fodera. Terza domanda: Secondo il vostro parere, la fodera può essere compatibile con il capo in oggetto e se non lo è, la mezza fodera che ho scelto è pertinente al fine della confezione in corso? Dati anche i ristretti tempi a disposizione (il tessuto è già in mano al sarto, sarò veramente grato a chi mi saprà e vorrà aiutare a portare a buon fine questa mia impresa. Un augurio di cuore a tutti per le prossime Festività. Con cordialità Fabio Gigante PS. Il server del sito va in errore quando, nel testo, si inseriscono gli apostrofi, impedendo la pubblicazione delle discussioni. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 12-01-2014 Cod. di rif: 4810 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Funzionalità del castello Commenti: Egregi Visitatori ed Illustri Cavalieri, Vi prego di continuare a segnalare tutte le funzioni del sito che siano venute meno. Purtroppo, in seguito ad un aggiornamento dei software utilizzati dal server, molti sistemi del castello sono risultati incompatibili. Bisogna pensare che il primo impianto risale al 1997 e la riprogettazione generale avvenne nel 2001, data dalla quale non ho mai voluto cambiare nulla. In effetti i guai di tale genere sono ciclici, essendosi manifestati ogni qual volta il webmaster abbia ritarato i sistemi sulle esigenze dei nuovi browser, ma mai si sono manifestati tanti e così gravi danni. Contiamo di recuperare grazie a quelle energie che il nuovo anno porta seco. Da quando ha scritto il signor Cattani sono stati riattivati pienamente i Taccuini ed anche le funzioni di ricerca della Lavagna, che si erano bloccate. Per quanto riguarda gli accenti, ho verificato il problema cercando di inserire questo stesso testo. Resta certamente qualche inceppo che non ho ancora scoperto e prego chi lo scopra di segnalarmelo, anche con mail personale. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 14-01-2014 Cod. di rif: 4811 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Tessuti per un Ulster - Risposta al Gesso n. 4806 Commenti: Egregio signor Gigante, dalla descrizione “saia di lana grigia spigata" mi sembra di capire che il tessuto sia pettinato, il che ne escluderebbe la vocazione a diventare un Ulster degno di tanto nome. Questo capo nasce in campagna, per proteggere da vento e freddo nelle camminate che un uomo affrontava fuori città ai tempi in cui auto e mezzi pubblici non erano così comuni. La materia che la sua natura richiede è quella grezza e potente dei cardati. Nei primi tempi fu infatti in tweed, per poi annettere al suo palinsesto anche il cammello, che è pur sempre cardato. Il peso di riferimento è quello indicato dal Suo sarto. Quanto alla foggia, ad un Ulster sono indispensabili alcuni dettagli: A) Bavero doppio uso, cioè a doppio petto chiudibile sino al collo. B) Lunghezza ben sotto il ginocchio. C) Ampiezza, garantita da un piegone centrale che parte sotto la vita, o ancor meglio dalle spalle, e raccolta da una martingala a due bottoni “attiva”, cioè che lavora effettivamente per dare un garbo all’abbondanza di tessuto. D) Vistose tasche applicate e tagliate, chiuse da una patta. E) Assenza di bottoncini alle maniche, guarnite piuttosto da un alto risvolto o da un gagliardo cinturino chiuso da un solo bottone grosso. Da questa schematizzazione emerge che il golino è un vezzo non indispensabile stilisticamente. Se lo si aggiunge dovrebbe restare nascosto sotto il bavero, dove non disturba l’insieme. 3 – Personalmente sono amante delle fodere, e lascio senza solo i tessuti che lo richiedono in maniera esclusiva e assoluta come il solaro e il lino. Per i tweed, stoffa regina in questo caso, farei un distinguo tra i gamekeeper o scottish tweed, che essendo poco traspiranti è meglio lasciare con mezza fodera, e gli Harris e i Donegal, la cui abbondante porosità consente di foderare il capo. Nel caso del cammello fodererei in seta. Non considero altri tessuti perché, come abbiamo già detto, sono solo questi che possono dare un vero Ulster. In conclusione, se il tessuto di cui dispone è un pettinato, ci faccia un paletot di altra foggia e rimandi l’Ulster. Diversamente ha ora un piano d’azione piuttosto chiaro. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 18-01-2014 Cod. di rif: 4817 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: I vicoli ciechi - Risposta al gesso n.4807 Commenti: Egregio signor Cattani, quello che caratterizza tutti i modelli a petto doppio è che anteriormente i quarti si accavallano, il che avviene in misura diversa secondo una complessa scelta del cliente e del sarto, in cui ogni singolo millimetro ha il suo peso e la sua voce. Sebbene vi siano stati infantili tentativi di tagliarli con la stessa curvatura del petto singolo, è pacifico che per accavallarsi in modo completo i quarti vanno tagliati a spigolo. Per motivi di armonia, lo stesso spigolo che si ha in basso deve trovarsi in alto, ed ecco perché tutti i petti doppi degni della categoria terminano a lancia. In ogni epoca si sono fatti esperimenti in senso opposto, che sulla giacca sono del tutto disastrosi e nel cappotto, vista la maggiore distanza e quindi la dispersione della attrazione magnetica tra le due forme, bisogna riconoscere che lo è meno. Resta comunque un fenomeno residuale, senza importanza stilistica. Immagini che su una strada di grande e veloce scorrimento, dove passano molti veicoli, si apra su un lato una stradina tra due palazzi. Un segnale di divieto di accesso segnala che la strada è ostruita, non spunta da nessuna parte. Nonostante queste avvertenze, capita sempre che un pendolare tra gli altri, trovandosi necessariamente a passare tante volte da quelle parti, un bel giorno rallenti per imboccare il passaggio misterioso. Si renderà subito conto che si tratta solo di una rientranza tra le mura perimetrali di due edifici, che non è mai stata e non sarà mai una strada vera e propria. Una volta dentro, il guidatore deve fare marcia indietro, e quella che sembrava la sua avventura si traduce nel rischio di rigare la vernice. Portata in termini sartoriali, la metafora indica che una soluzione disarmonica non si afferma mai a lungo (ovvero non diventa una strada che porti verso altri spazi), quindi chiunque si disinteressi della storia (il cartello), che avverte degli antichi insuccessi, si rende presto conto che non è quella la direzione da prendere per creare un capo qualificante. Alla fine, i pendolari che volevano fare gli esploratori tornano tutti sui propri passi, silenziosamente e pagandosi in proprio il carrozziere. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 19-01-2014 Cod. di rif: 4818 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Morte del Classico e stile inglese - Risp. gesso n. 4814 Commenti: Egregio signor Piovani, il nostro Ordine ha una metodologia di ricerca ed una visione storica ben precise. Il metodo è basato su due punti fondamentali: 1) Nel considerare qualsiasi atto o materia, i valori precedono il valore ed a loro volta hanno una gerarchia, in cima alla quale stanno dignità ed onore. 2) La critica cavalleresca ha da essere analogica, in quanto i suoi oggetti , la bellezza e il piacere, sono analogici per natura. La visione storica è basata sulla centralità del Classico, nato tra Scozia e Inghilterra e morto negli Stati Uniti. Tra la fine del XIX secolo e i primissimi anni ottanta del XIX divenne la cultura dominante, ovvero il criterio secondo cui si stabilisce, o meglio si sa, cosa è giusto e bello e cosa invece sia sbagliato o brutto. Sebbene il suo cruccio sia stata la bellezza e la sua arte più nobile ed espressiva sia stata il vestire, il Classico non è abbigliamento e nemmeno estetica, ma un ideale. Un Uomo Classico, o homo elegans, crede a prescindere da come e quanto vesta ed è proprio quella fede a dare forza dei suoi abiti, grazia alle maniere, luce al gesto. Anni fa abbiamo creato e condiviso la teoria del Vestito Buono, che dimostrò come un uomo con un solo vestito e privo anche della vanità potesse disporre dei fondamenti della più vera eleganza qualora il suo spirito fosse orientato ad onorare la famiglia, la categoria, la classe sociale, il paese natale ed altri gruppi cui sente di appartenere. Questa adesione ad un progetto è ciò che inglesi chiamano proper, parola che Lei ha immediatamente citato comprendendone la centralità. La propership è la corda più profonda e importante del Classico. Quando il Classico è morto, Londra non ha potuto più tenerla tesa e così si è staccata, scivolata tra le cose vecchie e buttata via. Il nuovo stile inglese non ha più nulla di universale perché solo lo spirito è universale, e quello che hanno oggi da proporre ha meno spirito di un talco per neonati. Siamo quindi tornati indietro, molto indietro, a caratteri regionali con qualcosa di caricaturale, insomma a prima di Lord Brummell. Questa, per quanto dura, è la verità. Del resto, altrove non va molto meglio. Le aziende tipo Vuitton, Dunhill, Cartier, o Hermes, abituate a creare con facilità quegli standard chiamati instant classic, non ci riescono più e ripestano nei loro mortai i modelli di età classica. Se una volta le loro collezioni contavano pochi pezzi, ora che gli articoli si bruciano come fiammiferi se ne devono tirare fuori venti volte di più. Le case che avevano la leadership di alcuni stili, tipo Brooks Prothers e J.Press per lo stile Ivy League, tirano fuori oggetti deformati e deformanti. La stessa sartoria napoletana è parzialmente tornata verso radici gergali, quindi non bisogna meravigliarsi se Londra torna a parlare un inglese che non ha più nulla della lingua universale che qui amiamo e rispettiamo come unica. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-01-2014 Cod. di rif: 4824 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sartoria: individualità prima ancora che bellezza Commenti: Illustri Cavalieri, Egregi Visitatori, tra i Gessi sulle condizioni della sartoria inglese, più di un contribuente auspicava un mio nuovo intervento. In verità non vorrei trascinare la questione più in lungo del necessario, vedendo che tutti hanno già avuto modo di assimilare i termini della questione. Londra non è più la Atene che fu ai tempi in cui il Classico dominava il mondo, semplicemente perché il Classico ha perso la leadership da trenta anni e da allora non può più riprodursi. Quasi tutti ancora lo comprendono, molti lo parlano e alcuni - come i Cavalieri - lo amano e lo riconoscono come unica loro lingua, ma è pur sempre una lingua morta. In Inghilterra il monumentale programma del Classico divenne universale grazie alla forza dei suoi valori, tra cui si nascondevano peraltro anche istanze non condivisibili a lungo. E stata comunque la sostituzione del principio identitario, che ne era la chiave di volta, con quello estetico, che è ovviamente decorativo, a far crollare l edificio. Il risultato è senza ritorno. Gli inglesi si trovano oggi come eravamo molti di noi italiani sin dall inizio, ovvero vogliosi di cose belle che ci facessero sembrare belli. Ecco perché ora ci ascoltano, ci guardano e ci comprendono meglio. Se un tempo non esisteva un problema di gerarchie tra sartoria italiana e inglese, perché si trattava di un rapporto tra padre e figlio, ora siamo fratelli e quindi restiamo comunque una famiglia. Il pericolo è pensare che ci sia una partita e cercare un vincitore come se il gusto fosse uno sport. Cercare la migliore giacca tra quelle inglesi e italiane significa doverla cercare anche all interno delle italiane e poi, trovato il miglior sarto, teorizzare quale sia il modello che gli riesce di più e così via. La ricerca del meglio è argomento da guide per commessi viaggiatori, non da gentiluomini che nel paese della bellezza sono residenti, e in qualche zona turisti di prima classe. Il Professor Pugliatti ha anche già chiarito cosa intendevo parlando di gergalità nella sartoria napoletana. Mi riferivo appunto alla diffusione di stilemi come la manica a mappina o a camicia, o anche la stessa spalla naturale, in casi in cui il buon senso e il buon gusto indicano strade diverse. In passato la stessa sartoria napoletana offriva grandi esempi di spalle costruite, come quelle indimenticate di Blasi. Una cosa è essere napoletani, altro fare i napoletani. Varrebbe anche per gli inglesi, ma ora lasciamoli giocare. Chiudo ricordando che la sartoria è il luogo della individualità, ben prima che della bellezza. La cosa importante è che sia chiaro che l’individuo che deve esservi celebrato è il cliente e non lo chef, pardon, il sarto. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Martino Data: 01-02-2014 Cod. di rif: 4826 E-mail: gianni.martino@tiscali.it Oggetto: Cura calzature Commenti: A proposito di cura delle calzature, tanto le stanze di questo Castello quanto il fascicolo sul Guardaroba della Biblioteca Cavalleresca offrono una miniera di informazioni preziose. Ma poiché ogni percorso di conoscenza suscita curiosità, nuove domande, desiderio di approfondimento, conservo alcuni dubbi che mi inducono a chiedere ai cultori della materia, e soprattutto all’inappellabile Gran Maestro, di ritornare su questo argomento, sperando di fare cosa utile anche ad altri visitatori del Castello. Le questioni che vorrei porre sono le seguenti: 1. In merito alla lustratura con lucido, il quadro delineato nelle fonti che ho menzionato è più che esaustivo. Quanto ai prodotti da utilizzare, mi sembra emerga come indicazione prevalente quella della Pâte de Luxe Medaille d'Or 1925, della Avel-Saphir. Un dubbio mi rimane in ordine al colore del lucido: la scelta del colore neutro si può considerare sempre valida, se non c’è il preciso intento di donare alla scarpa sfumature particolari? Oppure gli effetti migliori si ottengono con un lucido pigmentato? 2. Le mie idee restano più confuse, invece, in merito al trattamento con crema. Io ho effettuato questa ricostruzione: a) Si ha una vera e propria “lustratura/lucidatura con crema”, sostitutiva di quella con lucido, quando viene utilizzato un prodotto come Crème Surfine, che potremmo definire una “crema lucidante” e sul sito internet della Avel viene descritto come “indicato per il cirage”, da utilizzare “in alternanza al lucido Pâte de Luxe”. Le modalità di applicazione dovrebbero essere le stesse del lucido (anche con la variante della pezzuola intinta in acqua?). Sul colore, gli stessi dubbi espressi per il lucido… b) Si ha invece un trattamento con crema prettamente nutritivo, e preparatorio alla lustratura con lucido, quando viene utilizzato un prodotto “ricondizionante” e non pigmentato come Rénovateur (sempre Saphir). È una ricostruzione corretta o c’è qualche fraintendimento? Esistono altri prodotti più appropriati della Saphir o di altre marche (in una sua vecchia risposta a una lettera, il Gran Maestro evidenziò – per le creme – il primato delle marche inglesi, Meltonian e Kiwi)? 3. Mi chiedo anche: è utile sottoporre le scarpe nuove con tomaia in pelle liscia a trattamenti preparatori/protettivi? 4. Infine, riguardo alle scarpe scamosciate: è corretto applicare uno spray impermeabilizzante senza silicone (Church’s, ad esempio, lo consiglia)? Anche a quelle appena acquistate? In caso affermativo, qual è il prodotto da preferire? Confido nella cortesia di quanti vorranno soddisfare queste curiosità o correggere gli errori (anche terminologici). Cavallereschi saluti Giovanni Martino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 10-02-2014 Cod. di rif: 4828 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Sciarpa e cappotto - Risp. gesso n. 4805 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, la sciarpa condivide i due ingredienti principali del cappotto. A proposito di quest'ultimo abbiamo infatti verificato l'esistenza di due tendenze che, pur non apparendo mai allo stato puro, con la loro maggiore o minore presenza influenzano in maniera decisiva l'aspetto sia fisico che psicologico del soprabito. Come ci cono cappotti caldi e cappotti belli, secondo che il loro scopo sia proteggere o vestire, così esistono sciarpe calde e sciarpe belle. Naturalmente, essendo la sciarpa un accessorio*, le soluzioni decorative sono presenti in misura più consistente rispetto ad un capo** come è il cappotto. Ciò premesso, un principio equilibrato è accordare sciarpe e cappotti con lo stesso indirizzo, vigilando come sempre anche sulla corrispondenza tra pesi e luminosità dei materiali. Sotto un grande Ulster di Donegal tweed, una sciarpa di seta resterebbe spaesata, una di wool challis insufficiente. Disponendo di una sciarpa a due facce, si può lasciare fuori quella in cachemire e tenere la seta che occhieggia solo come fodera. Sotto un cappotto ci cammello si farà esattamente il contrario, soluzione che Gentleman’s Gazette ha illustrato come foto di apertura del suo servizio sull’ultimo Pitti. Qualcuno avrà anche capito chi era il soggetto, lasciata giustamente senza testa. un Non c’è bisogno che la sciarpa sia ruvida come il cappotto, perché per cingere il collo è normale che si preferiscano tessuti delicati. In nessun caso, più che nella sciarpa, hanno senso le fibre nobili, leggere, morbide e, naturalmente, costose. Sciarpe in lane molto ordinarie, come quelle stupende dei college inglesi, si accordano con giubbini, copri giacca, impermeabili. Certo che torneremo sull’argomento, chiudo con una nota sulla differenza tra capi ed accessori enunciata nel corso del II Dress Code. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca * - ** Si possono chiamare accessori gli indumenti le cui misure sono indipendenti tra loro. Ciò li distingue dai capi, che seguono un criterio costruttivo detto taglia, nella quale tutte le misure variano in funzione di una principale. Possiamo dunque dire che i capi hanno una taglia, gli accessori delle misure. Ad esempio, la lunghezza di una giacca di confezione dipende dalla semicirconferenza del torace, misura base di ciascuna taglia, mentre cravatte della stessa larghezza possono avere lunghezze diverse e viceversa. Secondo questa definizione, sono accessori le cravatte, i fazzoletti, le sciarpe, le bretelle, i cappelli, i componenti di pelletteria, le calze. Sono capi le giacche, i soprabiti, i pantaloni, i guanti. Le scarpe si trovano nel mezzo in quanto, almeno nell’offerta delle case più importanti, l’altezza del collo e la larghezza della pianta sono indipendenti dalla misura base, che è la lunghezza del piede. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 28-02-2014 Cod. di rif: 4841 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Repetita juvant - Risposta al gesso n. 4837 Commenti: Egregio signor Cattani, non trovavo la risposta già data ed a quel punto credevo di averla lasciata in qualche appunto e poi non pubblicata. Volendo cominciare a rispondere alle domande restate inevase, ho cominciato dalla Sua. Vuol dire che passerò subito a quella che pone col Gesso n. 4831. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 23-02-2014 Cod. di rif: 4836 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Capi a doppio petto e baveri a lancia- Risp. gesso n. 4807 Commenti: Egregio signor Cattani, se alza il collo di un capo a doppio petto e ne spiega i baveri, appoggiando quello di un quarto sull'altro, vedrà che le lance tendono a chiudere la giacca sino al collo, completamente. Non si tratta di un dettaglio da poco, perché è proprio qui che risiede il segreto motivo per cui le giacche a petto doppio amano tanto il peack lapel. Esso trova infatti nella completa chiusura in alto un'armonia con il completo accavallamento in basso, dovuto al fatto che la giacca finisce quadra e non stondata. Il petto singolo, che richiede un garbo tondo alla base, ama invece il nothched lapel, che lascia anche al collo lo spazio che si trova al bordo inferiore. Il cappotto risente inevitabilmente di questa influenza, sicché possiamo dire, basandoci su dati di fatto e su evidenti criteri di equilibrio delle forme, che anche in questo caso sia preferibile per i petti doppi il collo a lancia. Quel che fanno gli stilisti di Berluti o di Brook's Brothers conta ben poco, la storia e la geometria indicano un'altra direzione. Cavallerescamente Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 05-03-2014 Cod. di rif: 4848 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Pinces e loro funzioni - Risposta al gesso n. 4830 Commenti: Egregio signor Buttafava, Scholte utilizzava una sola pinces (dart) e in particolare quella arretrata, che scompare nella vista frontale ed è quasi completamente nascosta dalla manica in quella laterale. La particolarità del suo taglio era nell’andamento dell’incisione, che era un arco (curved) e non un segmento inclinato (slanted). Il numero, la posizione, la dimensione e l’orientamento delle pinces varia da epoca a epoca, da zona a zona, da maestro a maestro. Per un appassionato è importante comprendere quali ne siano gli scopi, in modo da poter verificare se e in quale misura siano raggiunti. La pince frontale svolge diversi lavori, dei quali cercherò di chiarire i due principali. Il primo è quella di pizzicare il petto, dandogli una forma capace di accogliere il volume del torace e lasciare spazio sia ai muscoli pettorali che a qualche oggetto da riporre nelle tasche interne. Infatti i sarti che non usano queste pinces posizionano le tasche interne più in basso, in modo che si trovino nella zona della vita. Il secondo lavoro è dare alla giacca quello che con una parola di straordinaria efficacia, tipica della sartoria, viene definito il “garbo”. Per garbo si intende il dinamismo, la snellezza, la vitalità. E’ la misura di quanto la massa informe che si otterrebbe tagliando e cucendo secondo le sole misure astratte è stata adattata alla figura umana in generale ed a quella del cliente in particolare. Un kimono, che è tagliato con poche cuciture rette, non avrebbe alcun garbo se non glielo desse la cintura. La pince frontale assottiglia il quarto e lo modella. La soluzione napoletana, che corre sino alla base, controlla anche la parte del quarto sotto il punto vita e viene adottata con l’intenzione di consentire altre due funzioni: a) rimpicciolire il davanti dandogli una linea più fuggente; b) recuperare tessuto in basso, in modo da far aderire la gonna della giacca ai pantaloni con qualsiasi corporatura, anche forte di pancia. La pinces anteriore lunga svolge anche una parte dei compiti di quella posteriore, che infatti nella scuola napoletana viene ridotta ad al minimo. La pinces posteriore traccia e disegna il punto vita e fa “girare” la giacca , in modo che il davanti si colleghi perfettamente al dietro. Il davanti e il dietro hanno infatti misure diverse di almeno un paio di centimetri, in modo da poter ottenere la “spiombatura”, ovvero quel “garbo” dinamico che consiste nel movimento di rotazione dei quarti anteriori verso dietro. La soluzione curva di Scholte era con tutta evidenza tesa a realizzare con una sola pinces le funzioni di entrambe, il che è possibile fino a un certo punto. Sebbene aiutandosi solo col ferro e con le cuciture si possa riuscire ad asciugare la vita e ruotare e collegare il davanti, eliminando la pinces anteriore mancherà sempre qualcosa nella forma di petto, che però è un fattore di pura comodità e non di estetica. In quanto a bellezza, anzi, la giacca ha tutto da guadagnare togliendo una pinces. C’è addirittura chi le cancella entrambe, ma al momento non conosco altri al mondo che ci riescano con successo se non il virtuoso maestro Franco Puppato. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 29-03-2014 Cod. di rif: 4855 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: Giacche undarted e tecnica di Puppato - Risp. Gesso 4849 Commenti: Illustre Cavaliere Villa, la tecnica di Puppato, che per quanto ne so è unica al mondo, è basata su una meticolosa costruzione degli interni e un sapiente dosaggio della spiombatura. Bisogna innanzitutto entrare in un mondo che è totalmente opposto alla concezione alla napoletana, dove il genio del maestro reindirizza con la lavorazione un taglio abbastanza approssimativo. Qui alla progettazione è attribuita la massima importanza. Ogni segno del gesso, ogni colpo di forbice, è dato seguendo un disegno che sviluppa in piano molte caratteristiche tridimensionali del corpo del cliente, non a caso tradotto da una quantità di misurazioni molto eccedente quella degli altri sarti. Le tele vengono tagliate con tanto di pinces al petto e lavorate come fossero la giacca definitiva. E' il tessuto ad essere poi sagomato col ferro sino ad assumere la loro forma, non viceversa. Alla fine di questo processo, i quarti anteriori contengono già la mappatura completa. Le cuciture tra essi e i quarti posteriori non devono sostenere o creare tensioni, quindi sono totalmente estranee alla sagomatura. Non così la cucitura alla spalla, da dove parte la spiombatura che consente ai quarti di aderire e "vestire", nel senso completo del termine. Cosa sia realmente la spiombatura non è facile da spiegare, ma se non ci si prova qui al castello non saprei proprio dove altro un appassionato potrebbe trovarne menzione. Poiché un termine (come del resto un tessuto, che è solo il lemma di un altro linguaggio) si comprende facendo riferimento alla sua origine, vediamo cosa ci dice la parola di per sé stessa. Il filo a piombo è lo strumento con cui si determina o verifica la perpendicolarità. Si dice che una parete o un altro o manufatto cada a piombo quando forma col suolo un preciso angolo retto. L'edilizia, che è una faccenda statica, considera questa situazione ottimale. La sartoria, ambiente dinamico, non sa che farsene di cose che cadano a piombo. In un capo di classe i quarti anteriori tendono a girare, aprendosi naturalmente verso il basso. La spiombatura è dunque la misura, o per meglio dire il governo, dell'angolazione del quarto anteriore rispetto ad una caduta perpendicolare. Il buon sarto, che già conosce l'entità di quell'angolazione, la corregge anticipatamente in sede di taglio e di applicazione dei quarti alle tele. In questo modo si ottiene una giacca che spiomba, cioè che gira, senza che il tessuto appaia diagonale. Cavallereschi saluti Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Gian Mirko Luiu Data: 23-04-2014 Cod. di rif: 4856 E-mail: giammylu@hotmail.it Oggetto: Pochette per giacca: come sceglierla, come abbinarla. Commenti: Buonasera, L'oggetto, il tema, della mia domanda è quello della pochette per giacca. Volevo, gentilmente, chiedere quali sono secondo voi i metodi di valutazione per scegliere una pochette. A cosa si deve abbinare principalmente, alla cravatta o alla camicia? In attesa di una vostra risposta, vi ringrazio anticipatamente. saluti, Gian Mirko ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 20-05-2014 Cod. di rif: 4867 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: AlvisiMilano, risolatura scarpe Goodyear Commenti: Nel segnalare la ditta AlvisiMilano in Via Mameli, 24 - 20129 Milano, la quale fornisce un servizio di risolatura completa di calzature con lavorazione "Goodyear" e come si legge dal suo sito internet “Questo "recrafting" completo, che rispetta fedelmente la lavorazione originale delle scarpe inglesi, viene eseguito utilizzando esclusivamente materiali di primissima qualità e dona loro nuova vita”, desidero sapere se a Roma operi un qualche calzolaio che fornisca lo stesso servizio. Cordiali saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giancarlo Maresca Data: 06-08-2014 Cod. di rif: 4878 E-mail: gran.maestro@noveporte.it Oggetto: The soul of Solaro - Answer to the Chalk n. 4875 Commenti: Dear mrs Moreno, normally our standards would not admit a message as yours, launched by a mobile and so without capital letters and with a depressing abbreviation as "tks", but for the Knights is very difficult to keep out of their castle a lady that comes from far as you. So, for this time, I will answer your question. Solaro is a registered trade mark owned by the English manifacturer Smith & Co, but this word is commonly used to describe any 2/and/1 woven fabric whit a subtle iridescent effect due to warp and weft in different colors, generally bold, bright and luminous. The ancient Solaro by Smith & Co had a wool weft in the color of the bricks and a cotton warp in the same olive drab color of Massaua, a cotton cloth used by the British army in tropical areas. An heritage that gives to the Solaro his inimitable colonial taste. Today the Solaro by Smith & Co is 100% wool, but still keep as a treasure of the masculine imagination his combination of colors. A classic man calls solaro only a fabric with this bronze-looking surface, traditionally presented in four different ways. 1) Simple twill with uninterrupted diagonal. 2) Rice grains. 3) Narrow herringbone. 4) Wide herringbone. Long diagonal and rice grains, that have some more green, give the best double brested suits, and the wide herringbone, with more red, is perfect for the single brested ones. The soul of the solaro is the military uniform, so he doesn’t love neither single jacket or trouser, nor suits with waistcoat. With a weight of around 350 gr/mt, it is a spring and autumn classic with an immaculate CV. You will rarely find it on persons who are nor connoisseurs in the art of dressing. Very similar to gabardine, it is slightly less prized and as the same defects: over/warm in hot weather and aesthetically insufficient in the cold. It will wait in the wardrobe until the right day comes along, but when it runs at its ease it is a horse that will catch up all its lost places ina single lap. Solaro is an example of how the language of textiles absorbs and gives back meanings that go beyond appearences. Despite its brilliant, contrasting face, whit would seem to fuel an inclination towards showiness, its martial origins and those who has worn it make it one of the most composed fabrics.By consorting with only de rigeur accessories, it is the paradigm of an intellectual understatement. Unreachable by freshers, a chapter decipherable by professors and above. Chivalrous regards Giancarlo Maresca ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe GARRO Data: 11-11-2014 Cod. di rif: 4893 E-mail: Beppe.g@ me.com Oggetto: Camicie Thomas Mason Commenti: Eccellentissimo GM, Illustri Cavalieri, sono qui a chiedervi lumi in merito ai tessuti del brand da me specificato in oggetto. Dato che sembra sempre più complesso trovare botteghe che confezionano camicie su misura, chiedo a Voi, illustri Cavalieri, se i tessuti Thomas Mason possano annoverarsi come "buoni". Cordiali saluti Giuseppe GARRO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giovanni Martino Data: 27-11-2014 Cod. di rif: 4904 E-mail: gianni.martino@tiscali.it Oggetto: La moda maschile: appropriatezza, originalità, bellezza Commenti: Illustri Cavalieri, egregi Visitatori, vorrei raccogliere la sollecitazione del dottissimo Rettore di questa Porta a commentare le interessanti considerazioni svolte dall’architetto austriaco Adolf Loos, a cavallo tra XIX e XX secolo, nel suo saggio “La moda Maschile”. Gli estratti del saggio del Loos capaci di stimolare maggiormente la riflessione sono, a mio avviso, quelli proposti con i gessi n. 4896 e n. 4897. Il Loos si interroga su quale sia il criterio per poter dire di “essere ben vestiti” e dà una risposta che evidenzia la sua piena adesione alla ‘filosofia’ degli Inglesi (allora all’apice della loro potenza politica e della loro influenza sullo stile maschile): “essere ben vestiti significa essere vestiti in modo corretto”. Il criterio del vestir bene sarebbe insomma racchiuso in quello dell’appropriatezza: essere “proper”. 1) Molto interessante, in primo luogo, è lo sforzo di Loos di individuare i caratteri di questa appropriatezza. a) L’architetto viennese la lega anzitutto a un elemento atemporale: la moderazione (“non si deve dare nell’occhio”). Questo elemento è un cardine dell’eleganza maschile sin dai tempi di Beau Brummel e conserva evidentemente la sua attualità, almeno per chi si senta ancora legato all’estetica classica. Anche l’evoluzione nel tempo delle linee e delle forme, sottolinea Loos, segue il “sistema della massima discrezione” (e non la frenesia delle mode). b) Il Loos cerca però di definire la correttezza – o appropriatezza - in modo ancora più preciso, individuando un ulteriore elemento, contestualizzato nello spazio e nel tempo: i dettami della “buona società” di Londra. L’appropriatezza diviene così un criterio dinamico, tant’è che può essere considerata sinonimo di ‘modernità’: “un capo di abbigliamento è moderno se, quando lo indossiamo in una determinata occasione trovandoci nel centro della civiltà e nella migliore società [quella di Londra], si dà il meno possibile nell'occhio”. Questo elemento – il legame con la buona società di Londra – nella nostra epoca si è evidentemente perso. Né è stato sostituito da altro riferimento dinamico, se è vero che si può parlare – com’è stato fatto tra queste mura – di “morte del classico”. Di conseguenza è andata anche smarrita l’equazione tra correttezza e ‘modernità’: oggi viene considerato ‘moderno’ ciò che si pone come antitesi al classico, come rifiuto delle formalità. Resta quindi, al giorno d’oggi, una difficoltà a individuare i parametri dell’appropriatezza: bisogna ritenere che, con la “morte” (intesa come perdita di forza innovativa) del classico, l’appropriatezza si sia cristallizzata? Possiamo ricondurla, in linea generale, alla rispondenza tra “tono” dell’abbigliamento e “contesto”? Definirne la fisionomia è un compito affidato esclusivamente ai cultori e agli studiosi del classico? 2) C’è un altro aspetto, nell’analisi di Loos, che probabilmente non può considerarsi pienamente attuale, eppure è capace di suscitare interessanti riflessioni: mi riferisco alla quasi totale identificazione tra vestir bene e appropriatezza. La correttezza, in effetti, non è considerata dal Loos solo l’elemento principale del vestir bene, ma, in sostanza, quello esclusivo (“Ci si è voluti avvicinare alla moda servendosi di aggettivi come bello, chic, elegante, disinvolto e audace. Ma non è questo il punto”). L’originalità, ad esempio, viene considerata un vezzo da “gagà”, persone “a cui il vestito serve anzitutto per distinguersi”. Persino il concetto di “bello” viene quasi integralmente respinto, se applicato alla moda maschile: “La Venere de’ Medici, il Pantheon, un quadro di Botticelli, una canzone di Burns, questo sì che è bello! Ma i pantaloni!? O il fatto che la giacca abbia tre oppure quattro bottoni? Che il gilè abbia il taglio alto oppure basso!? Non so, ma provo sempre un grande sgomento a sentir parlare di bellezza a proposito di queste cose”. (Da non trascurare il fatto che queste considerazioni vengano da un celebre architetto, persona che quindi dovrebbe essere particolarmente attenta alla dimensione estetica. Sarebbe interessante conoscere, al riguardo, l’opinione di Cavalieri e Visitatori che abbiano conoscenza approfondita della materia e del pensiero di Loos). A me sembra, come accennavo, che la quasi totale identificazione tra vestir bene e appropriatezza non conservi piena attualità, anche perché – se non mi inganno - era andata perdendosi già nell’epoca classica, che raggiunse il suo apogeo molti anni dopo il saggio dell’architetto austriaco. E’ vero, infatti, che, l’abbigliamento non è il terreno adatto per l’espressione della creatività artistica, per la ricerca del bello con una connotazione marcatamente soggettiva. L’abito ha una funzione sociale, oltre che individuale, e non può ignorare le convenzioni e le codificazioni del suo specifico linguaggio. Il desiderio di originalità e bellezza, insomma, non può essere il grimaldello per scardinare l’appropriatezza. Bisogna anche aggiungere, però, che lo spazio per l’originalità si può esercitare pur non contraddicendo i canoni della formalità e dell’appropriatezza, ma effettuando scelte personali e attente all’interno del vasto spettro di possibilità che lo stile classico offre. Un’originalità che sia manifestata nel dettaglio è certo più difficile che non un’originalità esibita e ostentata; ma è in ogni caso possibile (e, probabilmente, più raffinata). Inoltre, l’evoluzione dello stile classico è stata dettata anche da una ricerca estetica, benché non esclusivamente individuale, ma frutto dei contributi di grandi sarti, di grandi uomini di gusto, delle scelte operate dai contesti sociali che decretavano l’affermazione o il declino di alcune scelte stilistiche. Insomma, già al culmine dell’epoca classica il criterio dell’appropriatezza ha trovato composizione dialettica con altri criterî come originalità e bellezza; questa sintesi, forse, rappresenta proprio il passaggio dal semplice “vestir bene” all’eleganza. Non bisogna del resto dimenticare l’influenza esercitata sui canoni classici anche dallo stile italiano (con la sua peculiare tensione individualista): Loos deprecava la smania per il bello dei Tedeschi, ma non aveva previsto l’influsso degli Italiani… Anche in questo caso - come per la definizione dell’appropriatezza - si pone una questione. Se è morto il classico, è venuta anche meno la capacità della creatività estetica di manifestarsi innovando i canoni del vestire maschile. Possiamo allora ritenere che originalità e gusto personale per il bello possano esercitarsi solo come scelta all’interno di un ventaglio – sia pure vastissimo – di possibilità precostituite? Possiamo altresì ritenere che sia sempre compito di cultori e studiosi del classico esplorare questo ventaglio di possibilità, e anzi difenderne l’ampiezza (considerato che la ‘modernità’ si manifesta spesso come riduzione delle possibilità espressive, sacrificate sull’altare della praticità e dell’economicità produttiva)? Forse le mie domande – al netto delle imprecisioni - trovano già risposta in analisi svolte tra le mura di questo Castello o in incontri del ciclo di Dress Code organizzato dall’Ordine. Confido in ogni caso che possa essere considerato utile riproporle in questa sede. Cavallerescamente Giovanni Martino ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Palmieri Data: 06-05-2016 Cod. di rif: 4945 E-mail: Docgpalmieri@gmail.com Oggetto: Papillon? Commenti: Salve, sarei curioso di sapere che tipo di papillon o cravatta indossa Poirot (serie con D. Suchet) in alcuni episodi quando porta sotto il colletto della camicia quello che sembra un nastro i cui capi sono tenuti insieme a volte da un anello a volte da un nodo (se non sbaglio). Stando alle foto che circolano in rete anche Freud ne fa un uso simile. È solo un vezzo o appartiene ad un dress code preciso ormai dimenticato? Grazie ----------------------------------------------------------------------------------------------------- |
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