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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 18-03-2003
Cod. di rif: 206
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Legge dei Metalli
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
Egregi Partecipanti alla Lavagna dell'Abbigliamento,
mi permetto di esprimere una perplessità in merito alla “Legge dei Metalli”.
Da un punto di vista cromatico anche a me il giallo dell’oro appare indubitabilmente più caldo del grigio dell’argento, dell’acciaio ed altri consimili metalli, per cui nel caso delle montature per occhiali non potrei che concordare con le sequenze ideate e proposte dal G. M., ovvero tartaruga - oro - argento = mattina - pomeriggio - sera = informale - semiformale - formale.
Dove però non sono d’accordo è nel caso degli orologi, perché un orologio più classico e dunque più formale, sia in versione da polso che eventualmente da tasca (ancor più orientato alla tradizione), dovrebbe essere a mio parere in oro; conosco sì l’esistenza delle varianti in oro bianco, ed anche l’utilizzo di metalli rari e pregiati quali il titanio (vedi orologi I.W.C.), ma sono dell’avviso che comunque un orologio in oro (beninteso parlo della sola cassa) sia più in linea con la tradizione storica, laddove uno in grigio vada meglio associato con la sportività e la modernità.
A questo punto la scelta di un classico orologio in oro, ad esempio un limpido ed ineccepibile Calatrava, imporrebbe inevitabilmente il color oro anche per la fibbia dell’eventuale cintura.
Unica scappatoia l’uso delle bretelle, indubbiamente più dandy di una normale cintura, però mi sia consentito proporre un ulteriore spunto di riflessione: è pur vero che le bretelle sono più formali, e soprattutto non spezzano l’integrità della figura (come già efficacemente più volte ribadito dal G. M.), ma non è anche vero che, mentre cinte e fibule possono vantare appunto archeologiche origini, le bretelle possono essere fatte risalire al più al 1700, per cui risultano paradossalmente più moderne delle cinture ?
Cordiali saluti a tutti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 16-07-2003
Cod. di rif: 393
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Mocassini
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
Egregi Partecipanti alla Lavagna dell'Abbigliamento,
in riferimento alla discussione sui mocassini – intendendo per tali le scarpe senza lacci, ma con cucitura classica suola/tomaia, diverse dai veri mocassini “alla pellerossa” – penso che per semplificare la questione sarebbe utile distinguere tra mocassini sportivi (tipo Tod’s et similia, oppure tipo “college”), mocassini semi-eleganti (quelli più accollati, ma con fibbie o nappine) e mocassini eleganti (quelli di foggia affusolata e tomaia liscia senza vaschetta).
I mocassini sportivi, soprattutto se con suola in gomma o chiodini vari, resteranno inesorabilmente confinati all’abbigliamento informale, meglio se nella stagione estiva.
Quelli semi-eleganti saranno ben coordinati appunto ad un abbigliamento semi-formale, ad esempio con abiti “spezzati”.
I mocassini eleganti sono soltanto un passo indietro alle scarpe classiche stringate, quindi saranno utilizzabili anche con completi formali (beninteso se di colore adeguato), ma per essi resterà comunque invalicabile la soglia delle cerimonie e delle occasioni più importanti, come già chiaramente sancito dal Gran Maestro e ribadito dal Cavaliere Forni (forse al matrimonio da questi ricordato erano presenti molti manager statunitensi, che pare siano usi abusare delle suddette calzature).
Per leggere un’interessante opinione proprio su questa tematica, segnalo infine l’articolo “Les mocassins noirs” di Marc Guyot, a suo tempo pubblicato su “Trépointes” - rivista francese di riferimento del mondo della Calzatura - ed oggi disponibile sul sito personale dell’autore (http://membres.lycos.fr/marcguyot/).

Cordiali saluti a tutti
Giampaolo Marseglia

Post scriptum: nel complimentarmi con la volontà di divulgazione di alcuni frequentatori del sito, mi permetterei però di invitare loro, come tutti, ad una più attenta citazione delle fonti utilizzate: un lavoro compilativo, se ben realizzato, può risultare superiore anche ad un lavoro sperimentale, dunque un’articolata ed accurata bibliografia non potrà che accrescerne il valore complessivo.


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 17-07-2003
Cod. di rif: 397
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Sito Internet di Mariano Rubinacci
Commenti:
Egregi Cavalieri e Simpatizzanti,
non molto tempo fa si è dibattuto in questo Castello (nella Posta del Gran Maestro)dei siti Internet dei Grandi dell'Abbigliamento.
Per quanto concerne Mariano Rubinacci, si era ipotizzato che avesse scelto di non dotarsi di tale mezzo di comunicazione.
Ciò in realtà era già parzialmente errato, in quanto esisteva da tempo il sito giapponese di questa maison (www.rubinacci.co.jp), ma è tanto più non vero oggi che risulta attivo il sito www.marianorubinacci.it, che mi permetto di segnalare alla Vostra attenzione.
Cordiali saluti da Napoli
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 22-07-2003
Cod. di rif: 423
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Seymour Devoretsky: cui prodest?
Commenti:
Egregi Partecipanti alla Lavagna dell'Abbigliamento,
in riferimento al gesso 422, mi permetto di segnalare a coloro ai quali interessasse approfondire l’argomento “Sy Devore” il sito www.sydevore.com.
Detto sito è in verità mediocre ed anche inutile, fatta eccezione appunto per la storia del sarto Devore (cliccare il pulsante “Hollywood History”) descritta mediante la riproposizione di un articolo comparso sul “Los Angeles Times” il 7 dicembre del 2001: “The man who dressed the Rat Pack”.
Il medesimo articolo è anche reperibile negli archivi Internet del “L.A.T.” (www.latimes.com/archives), ma per accedervi occorre prima registrarsi, sia pur gratuitamente, come utenti.
Per concludere però mi permetto di osservare che non mi risulta che il sarto Devore abbia lasciato particolari eredità all’Abbigliamento maschile, al di là dell’interesse che potrebbe, o meno, suscitare la sua cronistoria mondana.
Cordialmente
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 23-07-2003
Cod. di rif: 428
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Devore & Co.
Commenti:
Egregio signor Pugliatti,
in riferimento al sarto Sy Devore, sono d’accordo con Lei sulla risonanza che quest’ultimo ebbe ai suoi tempi, tant’è vero che viene anche citato da James Ellroy, il noto autore di ”L. A. confidential”, nel suo libro “Sei pezzi da mille” parlando appunto di Frank Sinatra), purtuttavia rimango dell’avviso che egli, a differenza tanto per fare un nome di uno Scholte, non abbia lasciato particolari eredità sartoriali.
Ammetto di essere forse troppo influenzato da un particolare, ma non posso fare a meno di considerarlo significativo e “imperdonabile”: Devore è stato il sarto di Elvis Presley, il quale anche se fondamentale nella storia della musica Rock non mi pare sia idoneo a figurare nella storia dell’Abbigliamento (a meno di non volerlo inserire nei grandi esempi negativi).
Da ciò nasce un interessante dilemma: fino a che punto un sarto (ma la problematica è generalizzabile ad altre figure dell’artigianato) deve assecondare i desideri del suo cliente? Un grande sarto cucirà, su richiesta, un abito da avanspettacolo oppure dovrà rifiutarsi in nome dei canoni classici, il cui tradimento svilirebbe innanzitutto il suo nome? Se il cliente e il sarto, come più volte dibattuto in questa Lavagna, sono co-autori dell’abito non saranno anche all’occorrenza correi?
Cordialmente
Giampaolo Marseglia

Post scriptum: i figurini di Esquire e di Apparel Arts sono effettivamente oltremodo affascinanti: in ognuno di essi si trovano spunti tali da fare galoppare a briglia sciolta la fantasia. Mi permetterò di inviare al Suo indirizzo elettronico, e per conoscenza alla Segreteria dell’Ordine, un “petit cadeau” che spero non sia già in Suo possesso e dunque Le possa fare piacere.



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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 01-09-2003
Cod. di rif: 514
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: sito Berluti
Commenti:
Per tutti gli Appassionati,
mi permetto di segnalare la recente comparsa in rete del sito della maison Berluti (www.berluti.com). Come accaduto anche per il sito di Mariano Rubinacci, il sito Berluti è stato preceduto da una versione esclusivamente giapponese - www.berluti.co.jp - nella quale però, per ovvi motivi linguistici, si potevano solo ammirare alcune belle immagini. Attualmente nel sito in versione internazionale (tra l'altro anche in lingua italiana) si può leggere la storia della dinastia Berluti e del Club Swann; si può guardare l'intero catalogo e leggere la descrizione di ogni singola collezione (nota di merito: è presente finanche il listino prezzi); e per finire si possono leggere alcuni concisi ma validi "consigli per la manutenzione" (vedere FAQ).
Cordiali saluti a tutti
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 03-09-2003
Cod. di rif: 516
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: notazioni in riferimento al gesso 439
Commenti:
Non esiste un libro che da solo riesca a compendiare tutta la storia dell’Abbigliamento maschile; tantomeno ne esiste uno che possa trasfondere l’Eleganza.
Tuttavia per l’appassionato la lettura d’un libro che tratti i temi di questa sua passione, e gli consenta dunque di apprendere fatti e aneddoti, e di osservare foto e disegni sull’argomento rappresenterà comunque un piacere a cui non v’è motivo di rinunciare.
Pertanto mi permetto di elencare i seguenti libri pubblicati in Italia sul suddetto argomento dal 1980 ad oggi; per praticità li suddividerò in 4 categorie:
1) Guide omnicomprensive,
2) Saggi su temi specifici,
3) Opere più marcatamente iconografiche,
4) Libri di argomento più ampio.

1
Nel 1981 Longanesi ha pubblicato il libro di Egon Von Furstenberg dal titolo “Il vero signore si veste”: dal titolo è evidente il riferimento al più vetusto e noto libro “Il vero signore” di Willy Farnese (Giovanni Ansaldo) edito dalla medesima casa editrice.
Mondadori ha pubblicato nel 1986 e ‘87 i due volumi di “Vestiti, usciamo” di Luigi Settembrini e Chiara Boni (uno dedicato all’uomo e l’altro alla donna).
Sonzogno ha pubblicato il “Manuale di eleganza maschile” di Tatiana Tolstoj (1988 e poi 1990).
Nel 1990 Idealibri ha pubblicato “Homo elegans” di Riccardo Villarosa e Giuliano Angeli.
Ancora Mondadori nel 1996 ha pubblicato “L’eleganza maschile – guida pratica al perfetto guardaroba” di Giorgio Mendicini.
Nel 1999 l’editore Konemann ha pubblicato “Il gentleman – manuale dell’eleganza maschile” di Bernard Roetzel.
Citerei infine il libro di Lucio Ridenti: “Il Petronio, nuovo saper vivere, guida all’eleganza maschile” edito dalla Omnia di Milano nel 1959; qualche appassionato è per caso in possesso di questa chicca d’antan?

2
La collana “I piccoli piaceri” delle edizioni Idealibri fu inaugurata, per quel che concerne il nostro argomento, dal libro “Elogio della cravatta” (1982), che ebbe un notevole successo. In questa collana troviamo ancora molti titoli interessanti quali “Fior di camicia” (1984), “Maglia, maglietta, maglione” (1985), “Signori, le scarpe!” (1985), “Abito di società” (1986), “Valigia & C.”(1986), “Ma le calze” (1986), “La mano, il guanto” (1989), ecc.
Idealibri ha poi edito numerosi altri titoli: “Uomini e calze” (1992), “Il guardaroba di lui” (1993), “La cravatta” (1993), “La scarpa maschile” (1995), “La cravatta: storia, mito, moda” (1997), “La camicia: storia, mito, moda ” (1999).
Bompiani nel 2000 ha pubblicato il piccolo volume “85 modi di annodare la cravatta” di Thomas Fink e Yong Mao.
Rizzoli nel 2002 ha pubblicato una “Piccola enciclopedia della cravatta” di François Chaille, autore del succitato libro del 1997 sullo stesso tema.
L’editore Konemann ha pubblicato nel 2000 il volume “Scarpe da uomo fatte a mano”.
La casa editrice Zanfi ha pubblicato la collana “Il Novecento – Storie di Moda” con titoli quali: “Vestiti da sera” (1987), “Il cappello da uomo” (1988), “Uomo in pelliccia (1988), “Pantaloni & Co.” (1989), “Il fazzoletto” (1992), “Giacche da uomo” (1994), “Costumi da bagno” (1995), “Bottoni e Bottoni (1995), ecc.
Indispensabile ancora citare Franco Cantini / Octavo Edizioni, che ha pubblicato molti volumi dedicati ai Grandi dell’Abbigliamento, ad esempio i due dedicati alla maison Brioni (1995 e 1998); poi ancora il volume “Moda maschile dal 1600 al 1990” (1994), e nel 1996 il libro “James Bond - eroe con stile: da Goldfinger a Goldeneye”, dedicato appunto all’abbigliamento del noto agente 007 (si tratta della versione italiana del libro “Dressed to kill: James Bond the suited hero”).

3
L’editrice Electa nel 1989 ha meritoriamente dato alle stampe un’ampia antologia dei numeri della mitica rivista statunitense “Apparel Arts”, già di per sé interessantissimi, e ancor di più valorizzati dai saggi introduttivi a cura di noti esperti del settore come Luigi Settembrini, Bruce Boyer e Giannino Malossi.
Quest’ultimo nome ha curato sempre per l’Electa un altro bellissimo libro: “La regola estrosa - Cent’anni di abbigliamento italiano per uomo” (1993).
Anche l’editrice Lupetti ha pubblicato alcuni libri in materia tra cui “L’eleganza dello stile: duecento anni di vestire maschile” (1992), “Jeans” (1992), “Chinos” (2000).
Infine Laterza nel 1999 ha pubblicato il volume “Vestiti - lo stile degli Italiani”.

4
E’ la categoria più esposta ad una valutazione soggettiva e quindi a passi falsi; ritengo indispensabile citare almeno i seguenti titoli:
“Adamo o dell’eleganza” di Filippo de Pisis (SE, 1998),
“Il libro degli Snob” del Duca di Bedford (Sugar, 1985),
“L’ultimo fantasma della moda” di Domenico Rea (Leonardo, 1992),
“Il piacere di vestirsi” di G. Boimond Beer (Lalli, 1992).
Gioacchino Forte ha scritto vari libri in cui tratta, tra l’altro, anche di Abbigliamento maschile, soprattutto ne “La nuova etichetta” (Acanthus, 1984) e “Seduci il prossimo tuo” (Zanetti, 1985).

Cordialmente
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 30-09-2003
Cod. di rif: 563
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: bibliografia italiana: integrazione (vedi gesso 516)
Commenti:
Echeggiano in questo Cavalleresco Sito dotte disquisizioni sull’Esquire’s Encyclopedia e su altri libri stranieri sul tema dell’Abbigliamento maschile: ho colto varie citazioni di Alan Flusser ed una recentissima di François Baudot, autori assolutamente ineccepibili oltre ai quali suggerirei di non tralasciare Bruce Boyer (“Elegance”, “Eminently suitable”).
Per coloro che meritoriamente volessero esplorare questo settore non c’è che l’imbarazzo della scelta: tanto per iniziare si potrebbe studiare la lista commentata di Nicholas Antongiavanni su Amazon, oppure valutare autonomamente le decine di titoli riportati nei vari siti “compilativi” (vedere ad esempio: www.smokefreekids.com/fashbook.htm).
Per quanto mi riguarda, io resto più autarchicamente legato ai libri italiani, e, facendo finta di non rendermi conto del peccato di autoreferenzialismo, passo ad integrare la bibliografia esposta nel mio precedente gesso n. 516 (sulla base della stessa suddivisione ivi adottata).

2
Sulla cravatta: “188 nodi da collo. Cravatte e colletti: tecniche, storia, immagini” di Mosconi e Villarosa edito da Idealibri nel 1984.
Nel 1996 l’editore Pifferi ha pubblicato il libro “Miss Cravatta” di Longatti, Sgarbi e Turconi.
Per completezza va citato anche il libro “Il tessuto stampato per cravatte” di Alberto Longatti, pubblicato a cura dell’Associazione Serica Italiana.
Sul cappello c’è il libro di Campione e Gualdoni “Men’s hats” edito nel 1988 dalla casa editrice Be. Ma.
Sul medesimo tema il più recente “Cappelli e bastoni” di Nicola Pafundi del 1998 per le edizioni Pafpo.

4
“Il vero gentleman” di Mariolino Papalia edito dal Gruppo Papalia nel 1998.
“Conversevole week-end sull’eleganza maschile” di Ivano Comi edito da Stefanoni nel 2000.

Nota: tanto per chiarezza, vorrei precisare che da questa bibliografia sono stati esclusi per mia scelta sia i libri che trattano più ampiamente di Moda e Costume (vale a dire circa un centinaio di titoli, dal piccolo classico di Georg Simmel sino al ponderoso “La Moda - Storia d’Italia Einaudi / Annale 19”, vera pietra miliare sul tema), sia i titoli eminentemente tecnici come il “Manuale dei pantaloni”, la cui lettura è destinata appunto ai tecnici specialisti del settore, sia i titoli dichiaratamente dedicati all’Abbigliamento femminile, che rappresenta un universo parallelo, ma evidentemente diverso da quello maschile.

Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 01-10-2003
Cod. di rif: 567
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Al Gran Maestro (vedi gesso 564)
Commenti:
Egregio Gran Maestro, innanzitutto La ringrazio per la Sua lode.
Dalle Sue parole mi appare evidente, una volta di più, il Suo personale interesse per certi aspetti tecnici dell’Abbigliamento, nella fattispecie la stampa dei tessuti, interesse che comprendo, ma non condivido più di tanto, preferendo personalmente i dettagli storici.
Dal momento che io ho volutamente trascurato nella mie note bibliografiche proprio tutta una serie di testi, che forse potrebbero attirare la Sua attenzione, mi permetto di segnalarLe il catalogo on-line della libreria Vittorio Giovannacci, sita non a caso in quel di Biella, che presenta ad oggi ben 118 “libri tessili”, la gran parte dei quali effettivamente dedicati ai più svariati temi della tecnologia tessile: www.vittoriogiovannacci.com/libritessili.htm.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 01-10-2003
Cod. di rif: 569
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: perplessità in blu
Commenti:
Egregio Gran Maestro, spero di non essere stato colto da insanabile smania comunicativa, ma mi ritrovo a scrivere su codesta Lavagna per la terza volta in poco più di 24 ore; chiedo venia a Lei ed a tutti i Partecipanti.
Colgo subito l’occasione per affermare che non mi ha mai neanche lontanamente sfiorato l’idea che i Suoi interessi in tema d’Abbigliamento, che oserei - senza piaggeria alcuna - definire enciclopedici e finanche pantagruelici, potessero essere circoscritti agli aspetti meramente tecnici. Semmai sono io che tendo a privilegiare un po’ troppo gli aspetti più immediatamente estetici; d’altronde non a caso sono soltanto un praticante allievo e Lei è il mio riconosciuto Maestro.
Ed è proprio alla Sua autorità che mi rivolgo per avere lumi su di un dettaglio che mi ha lasciato perplesso: in un articolo di commento al recente matrimonio dell’erede di Casa Savoia, un noto maitre à s’habiller napoletano, che scrive sotto le vesti di un maggiordomo inglese, ha testualmente affermato, parlando delle mises degli invitati: “ho addirittura sentito dire di qualche signora in nero (un’autentica gaffe per un matrimonio), e di qualche signore in blu (gaffe meno forte ma sempre gaffe!)”.
Orbene ricordo che Lei, proprio qualche giorno fa, ha risposto ad una richiesta in tema di mises matrimoniali ed ha suggerito l’utilizzo di un completo blu. Qual è dunque l’eventuale problema del blu per l’uomo in dette circostanze? Perché, a Suo parere, il sunnominato autore lo definisce una gaffe? Io non ho saputo darmi risposta, anzi devo confessare di aver commesso già alcune volte la summenzionata gaffe, se tale era.

Cordialmente
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 03-10-2003
Cod. di rif: 572
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: ancora sul blu e dintorni
Commenti:
Egregio Gran Maestro, La ringrazio per l’attenzione dedicatami; le Sue osservazioni sulla “legge dei metalli” sono assolutamente chiarificatrici, e non posso non complimentarmi per la conclusiva simbologia cane-volpe-cavallo, che risulta al tempo stesso efficacissima e bellissima.
Altrettanto chiare le argomentazioni sul “blu matrimoniale”; però in questo caso mi sono balenate alcune perplessità più o meno correlate, che mi spingono a porLe ulteriori domande (sperando solo di non risultare troppo noioso).
Il principio n. 1 da Lei enunciato ha validità assoluta, ossia anche al di là delle occasioni matrimoniali? E’ indubitabile che il blu si attagli bene alle occasioni serali, ma indossarlo invece di mattina o di pomeriggio, sia pure in occasioni non di cerimonia, è allora un errore?
Ritengo che poi si dovrebbe distinguere tra il blu a fondo unito, che penso sia stato l’oggetto delle valutazioni, e le varianti - gessate, finestrate e quant’altro - che, a mio parere, potrebbero meglio risultare non esclusivamente serali, anzi in qualche caso (occhio di pernice ad esempio) assolutamente non serali.
Ricordo poi di aver letto che nel mondo delle grandi banche internazionali ci sarebbero due stili di abbigliamento: quello “inglese” che privilegia i completi blu e quello “statunitense” che fa trionfare il grigio; questa tendenza inglese, in tema di businesswear, non potrebbe rappresentare un valido riferimento per l’utilizzo del blu “alla luce del sole”?
In ogni caso, come già da Lei spesso evidenziato, su queste e consimili querelles è difficile emettere sentenze assolute e tantomeno definitive; mi permetto di sottolineare il significativo dettaglio che tempo addietro, e parliamo di decine d’anni e non di secoli, un abito maschile da giorno, costituito da giacca e pantaloni nel medesimo tessuto – ovvero il cosiddetto completo – veniva considerato una soluzione economica di ripiego rispetto all’abbinamento di tessuti e/o disegni diversi tra giacca e pantaloni – il cosiddetto spezzato, oggi invece considerato di tono minore.

Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 13-10-2003
Cod. di rif: 604
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: sito Freccia Bestetti
Commenti:
Breve comunicazione per tutti gli eventuali interessati: è on-line il sito del maestro calzolaio milanese Riccardo Freccia Bestetti (www.frecciabestetti.com).
N.B. a titolo di presentazione, ricordo che l'opera del suddetto artigiano è stata già più volte segnalata dal Gran Maestro.
Cordialmente
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 14-10-2003
Cod. di rif: 617
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: doppiopetto
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
i recenti interventi sulla Lavagna in tema di giacche a doppiopetto mi hanno fatto tornare in mente un dettaglio che avevo accantonato in attesa di chiarimenti a venire.
Premetto che personalmente ritengo che la giacca a doppiopetto abbia un tono indubitabilmente “importante” (che poi stia proprio bene a tutti è un altro discorso).
Ricordo che a favore appunto del doppiopetto Luigi Settembrini nel suo “Vestiti, usciamo” ha spezzato più di una lancia (forse troppe).
Ma, e vengo al punto, i nostri omologhi francesi del gruppo “Sobre et de Bon Gout” affermano testualmente: “les vestes croisées (= doppiopetto) sont moins formelles que les vestes droites (= monopetto)”.
Qual è il Suo parere in merito? La posizione dei cugini d’Oltralpe è degna di considerazione o è da attribuire semplicemente a postumi da champagne?
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 21-10-2003
Cod. di rif: 639
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Brioni anni '50
Commenti:
Egregio signor Pugliatti,
non per amore di polemica, ma per meglio capire e conoscere, mi permetto di chiederLe se è proprio sicuro della datazione del primo figurino inserito sul Taccuino dell’Abbigliamento il 18 u.s. (per intenderci quello con la scritta “Costume” in alto a destra).
A quanto mi consta detto figurino non è del 1954, bensì fa parte della collezione Brioni primavera-estate del 1956, minima differenza di fronte all’eternità, ma significativa nel momento in cui Lei ci parla specificamente di una tendenza di moda che, presentata a Sanremo nel 1954, scompare a Suo stesso dire “nel giro di pochi mesi”.
Per quanto poi concerne le strategie della maison Brioni, di cui Lei ipotizza (gesso n. 635) l’intenzione “protostilistica” di aggredire con la nuova linea 1955 il mercato nordamericano, è da sottolineare che detta maison fu già ospite nel 1952 a New York delle vetrine di Altman nella Quinta Strada. Da quel momento cominciò l’innegabile e mai negata “carriera americana” di Brioni, che proseguì in crescendo con momenti topici quali un Fashion Show a New York nel 1954 e una crociera promozionale tra Napoli e New York nel 1956, per un totale di duecentottantotto presentazioni tra il 1952 e il 1977. A suggello di ciò nel novembre ‘59 il “Gentlemen’s Quarterly” definì Brioni il “sarto degli americani”. (Fonte: Farid Chenoune: “Brioni”, Firenze 1998).
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 21-10-2003
Cod. di rif: 641
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Tailors on the Web
Commenti:
Egregi Signori,
anch'io ho trovato indubbiamente interessante il sito del sarto londinese Richard Anderson. A questo punto, alla luce della Vostra dimostrata passione nel visitare siti "sartoriali", mi permetto di segnalarVi anche i seguenti siti di note sartorie napoletane:
CALIENDO: www.sartoriacaliendo.com
CIARDI: www.sartoriaciardi.it (oppure .com)
CIMMINO: www.sartoriacimmino.it (oppure www.sartorianapoletana.it)
PANICO: www.sartoriapanico.it
SABINO: www.sartoriasabino.it
Cordialmente da Napoli
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 30-10-2003
Cod. di rif: 686
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: sartoria Luciano
Commenti:
Egregio signor Fontana, mi permetto di risponderLe prima del Gran Maestro.
La Sartoria Luciano è stata fondata in Napoli da Orazio Luciano, già maestro tagliatore presso la nota azienda Kiton, il quale ha deciso qualche anno fa di mettersi in proprio fondando l’azienda denominata “La Vera Sartoria Napoletana”. Detta azienda ha partecipato alle ultime manifestazioni di Pitti Uomo, ha un omonimo sito Internet (con suffisso “it”), ma per essere brevi è una delle varie realtà del “su-ordinazione”, le quali raggiungono anche vette di qualità eccellente, ma non rientrano nel concetto della sartoria strettamente intesa come il laboratorio dove un Sarto ed un Cliente interagiscono per la realizzazione di un abito. Detti concetti li troverà, come penso sia a Lei già evidente, ripetuti e ribaditi in tutti i modi su codesta Lavagna.
Cordialmente
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 31-10-2003
Cod. di rif: 693
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: J M Vintage
Commenti:
L'indirizzo Internet in questione è www.jmvintage.com.
Trattasi di una libreria specificamente dedicata al Duke and "other curious subject".
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 04-11-2003
Cod. di rif: 715
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Abbottonatura doppiopetto
Commenti:
Egregio Gran Maestro ed Egregi Frequentatori della Lavagna,
scrivo in riferimento alla foto lasciata sul Taccuino dal signor Liberati proprio ieri. Non sono io quello che riesce a dare riposta al quesito posto circa il tipo di tessuto utilizzato, anzi io rilancio con un ulteriore quesito: ho notato l'anomala, ma probabilmente non casuale, abbottonatura "destra su sinistra" del cappotto sfoggiata dal Duca nella foto in questione. Cosa ne pensate?
Sul tema dell'abbottonatura del doppiopetto, e precipuamente della giacca, mi permetto poi di sottoporre alla Vostra attenzione la seguente citazione tratta da un articolo di Carlo Guardascione Scalo:
"Il mio signore con il doppiopetto adotta invece due sistemi di abbottonatura diversi, che alterna a seconda dello stato d’animo del momento. Il primo consiste nell’allacciare il primo bottone, ma dischiudere e divaricare entrambe le falde inferiori della giacca ottenendo un risultato più «natural», che dispiega tutti i suoi effetti in quelle due o tre «piegoline d’artista» che si formano intorno al primo bottone. Il secondo sistema prevede invece l’abbottonatura del secondo dei due (quello più in basso) ma non prima di avere allacciato il bottone interno del doppiopetto; sì, proprio quel bottone che soltanto gli sprovveduti allacciano rivelando così tutto il loro anelito a sembrar «perfettini perfettini» che si risolve invece in un aspetto triste da immobile manichino; ebbene, il mio signore, proprio adoperando questo infelice bottone, che rende infelici quanti lo abbottonano, ma accoppiandolo all’allacciatura del bottone inferiore invece che del consueto superiore, riesce a dare al doppiopetto un’aria veramente degagée. Nell’abbigliamento — così come talvolta anche nella vita — basta spostare di pochi centimetri il focus della propria attenzione per veder cambiare le prospettive e le proporzioni e, nella vita, addirittura i punti di vista!".
Cordialmente
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 07-11-2003
Cod. di rif: 725
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: vedi gesso 689
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
è passata la prescritta settimana dal Suo gesso n. 689, per cui mi permetto di intervenire in merito.
L'asta di Sotheby's, che Lei ha meritoriamente ricordato in codesta Lavagna e del cui catalogo detiene oggi una preziosa copia, in effetti non fu tenuta, com'era previsto, sul finire del'97, bensì nei primi mesi del '98 a causa della sopraggiunta morte della Principessa Diana.
Il patrimonio vestimentario appartenuto al Duke fu acquistato dalle più note Case d'abbigliamento di lusso, tra cui Brioni, Kiton, Oxxford, Derek Rose, et similia, il che mi sembra degno di adeguata riflessione...
In merito alla suddetta vicenda mi permetto di allegare un articolo tratto da "Robb Report".
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

“Fashion’s Royal Inspiration, Fit for a King”
by William Kissel
Robb Report - January 2001

When Edward VIII, the Duke of Windsor, passed away in 1972 at the age of 77, he left behind one of the world’s most coveted wardrobes and collections of jewelry. The clothing and jewelry went on the auction block at Sotheby’s in 1998 and produced a bidding war that raised nearly $23.5 million for charity.
Most of the Duke’s handmade Savile Row suits went to Italian suit makers Brioni and Kiton. The latter created a modern collection based on the Duke’s suits, including the built-in boxer shorts.
His fine jewelry-nearly 400 pieces-was purchased by entrepreneurs Sam Bargad and Barry Peele, who named it the Windsor Collection and have been selling it piecemeal for the past two years through retailers such as Neiman Marcus, Wilkes Bashford in San Francisco, and Fred Segal in Los Angeles.
You can buy his suits, wear his watches and rings, or you can slip into something of the Duke’s that’s a little more comfortable: his robe. The duke’s well-worn signature crimson and navy dressing gown went to Savile Row loungewear maker Derek Rose, who bid several hundred pounds on the garment. Rose intended to keep it as a souvenir, but he changed his mind.
Rose wondered if others born to a life of leisure might want to share the duke’s impeccable bedroom style. That thought led Rose to design a $600 version of Edward’s robe, complete with handmade silk tassel and tie, and sell it through Saks Fifth Avenue.
“The original had a lot of dark holes where the Duke burnt it with his cigarette,”says Rose, a lean and elegant gray-haired gentleman who has been making fine robes and pajamas for most of his adult life.
Rose’s loungewear, like Andersen & Shepherd suits and Turnbull & Asser shirts, is the first choice of Prince Charles and his sons. On this side of the Atlantic, Rose’s loungewear tends to be worn by a different sort of royalty-Hollywood movie stars.
The Duke’s robe was made by the now-defunct Hawes & Curtis of London around 1945 during his first return visit to England after his abdication in 1936. He wore it at Marlborough House during his stay with his mother, Queen Mary. The robe has a distinguishing monogrammed E (for Edward) surmounted by a royal coronet embroidered on the chest pocket, which Rose has skillfully duplicated under his own signature label for reigning kings of their own castles. Rose has sold out of the robes and has a long waiting list for more.
A future king is the inspiration for his spring 2001 loungewear designs. He has created a collection of regimental-striped satin pajama sets patterned after the striped cap and tie of the cricket club at Eton College, from which Prince William graduated last year.
Rose is also producing a collection of striped cotton pajamas whose distinctive designs are taken from ribboned medals originally awarded during the Crimean War. Each pair of pajamas comes with a ribbon and a story of its heritage.
However, Rose assures customers that these pajamas are designed to help the wearer make love, not war.


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 10-11-2003
Cod. di rif: 732
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: al cavaliere Franco Forni
Commenti:
Egregio Cavaliere, sono lusingato dal fatto che l'articolo che ho recentemente segnalato abbia riscosso il Suo interesse; dal momento che Lei si dichiara fortemente appassionato alla vicenda Sotheby's/Windsor, mi permetto di segnalarLe anche un articolo del noto giornalista e scrittore Bruce Boyer, pubblicato illo tempore dalla rivista Forbes.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

Do like the Duke?
by Bruce Boyer, 07.27.98

They told you mixing checks and stripes is a fashion no-no only slightly less egregious than wearing white socks with brogues and a navy-blue suit. They told you wrong. Browse through any issue of any men’s magazine and you see things recommended that were considered fashion felonies ten years ago: a double-breasted, chalk-stripe suit with a striped shirt and a woven houndstooth-check tie. Or a checked shirt and striped tie with a plaid sport jacket. All worn with suede shoes and fancy hosiery.
The irony is that this isn’t new and it didn’t come from out of nowhere. It came from England 60-odd years ago, from the sartorial imagination of one man: Edward, Duke of Windsor. Failed monarch and political numbskull he might have been, but Edward did more to influence the way men dress than probably any man this century. Still does.
There’s a photo of the Duke taken for Vogue in 1964 by famed fashion photographer Horst in which the Duke looks so with-it that it’s hard to believe it was taken 34 years ago. There he stands, wearing a marine- blue, shetland tweed suit with a bold, white windowpane overplaid, pale blue checked spread-collar shirt and plaid silk tie. If he were walking down the street today, he would still be the absolute glass of fashion and the mold of form.
The latest “innovations” from the Duke’s closet include the resurgence of the spread-collar shirt and brown suede shoes worn with a blue or gray suit, but a long list of others have come before. Credit the Duke with Fair Isle sweaters, tartan everything, midnight-blue dinner jackets (once again gaining popularity since the eye perceives them as more black than actual black), backless formal waistcoats, argyle socks, the regimental stripe tie and the drape-cut suit.
Back in the late 1920s men knew they were imitating the Duke and did so quite consciously. He was openly considered among the best-dressed young men in the world, and men would have their tailors copy whatever outfits he was photographed wearing; one gent from Chicago even left a standing order with Windsor’s own tailor to duplicate every outfit Windsor ordered. The Duke was the golden boy of the jazz age, the First Salesman of the British Empire.
Today this political disaster remains the font of inspiration for the majority of men’s clothing designers and manufacturers alike. Ralph Lauren has made a career emulating the Duke, and everyone from Armani to Zegna has paid homage. Last February, when Windsor’s mementos went up at auction, the bidding for the Duke’s old wardrobe was particularly heavy.
Crit Rawlings, president of Oxxford Clothes, dropped $12,650 on a silk suit. In all, the Duke’s 25 suits, sport jackets and formal outfits took in $773,145.

P.S. mi scuso con il consesso dei Frequentatori della Lavagna, ma non mi ritengo all'altezza di azzardare una traduzione personale dei testi in lingua originale, per cui lascio a ciascuno l'eventuale onere.


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 24-11-2003
Cod. di rif: 781
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: cravatte
Commenti:
Egregio Gran Maestro, non ero finora intervenuto, in quanto consideravo scontata l'adesione alla Sua iniziativa sulle cravatte, sia da parte mia, sia da parte di qualsiasi Frequentatore di codesta Lavagna. A questo punto esplicito tutto il mio entusiasmo per un'occasione di allargamento delle conoscenze in materia, che Lei vorrà organizzare; spero solo si possa replicare l'evento in una duplice sede, Napoli e Milano, così da accontentare tutti gli interessati.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 04-12-2003
Cod. di rif: 806
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Church's
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
in merito alle calzature Church’s, la Sua nota a pedice del IX capitolo di “Vestirsi Uomo” delinea efficacemente sia un giusto tributo all’importanza storica del marchio in questione, sia un chiaro monito al medesimo marchio a non tradire proprio questa sua tradizione.
Nella fattispecie, ritengo che i rischi per Church’s possano eventualmente scaturire non tanto dal fatto che la nuova compagine proprietaria non è inglese (ben venga anzi che l’Italia acquisisca primati), piuttosto da probabili preminenti interessi di natura commerciale che vengano a impoverire e/o tradire la tradizione del marchio in questione.
L’assorbimento di marchi storici del settore tessile e calzaturiero da parte di mega-holding finanziarie è però un’evenienza alla quale è molto difficile sottrarsi, se non parzialmente: si veda il già discusso caso Berluti.
Sinceramente non ho visto i nuovi modelli incriminati, ma se è per questo già da anni Church’s presenta alcuni modelli “sportivi” opinabili; quindi il problema è anche trovare, nello specifico settore delle calzature, una via di innovazione che però non stravolga né la tradizione estetica né la qualità costruttiva.
Detta innovazione, per essere chiari, dovrebbe riuscire ad affiancare ai modelli tradizionali, consolidati e indiscussi anche nuove fogge di calzatura, ma senza scivolare nell’ennesima variante di scarpa da ginnastica, eventualmente fatta a mano e in pelle di coccodrillo, ma sempre e comunque di connotazione inevitabilmente sportiva, perdipiù ridondante e spesso anche ridicola.
Per realizzare questi obiettivi di sviluppo, occorrerà confidare nella consolidata esperienza di marchi calzaturieri sorretti da un solido passato e confermati da un positivo presente, come appunto Church's, come senza dubbio il succitato Berluti, come tutti quelli da Lei descritti, più qualche altro omesso per evidenti ragioni di spazio.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 16-12-2003
Cod. di rif: 817
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: eleganza d'inverno
Commenti:
Egregio Gran Maestro, la Sua odierna risposta al signor Consolini nella Posta magistrale mi offre lo spunto per porgerLe una domanda per così dire intima, che avevo riposto da tempo nel cassetto degli interrogativi in attesa di soluzione.
Nella risposta in questione Lei accenna alle maglie di lana; essendo ben nota la Sua posizione sulla maglieria esterna, sono portato a dedurre che Lei si riferisca quindi alla maglieria intima; spero di non sbagliare, ma in ogni caso la mia domanda è questa: Lei dunque nella stagione fredda fa uso di maglie intime?
Da parte mia, io cerco di risolvere l’evidente problema del contrastare il freddo, nell’ambito di una tenuta classica, mediante l’utilizzo di un gilet sottogiacca.
Detta soluzione però non mi ha mai soddisfatto appieno, perché fatto salvo l’impiego di abiti “3 pezzi” che nascono come tali e quindi risultano ineccepibili, e pur concedendo un’assoluzione per le giacche sportive in virtù di questa loro natura intrinsecamente informale, rimane comunque il problema dell’impiego di un gilet “alieno” sotto un abito completo, cosa che anche semplicemente a me medesimo, indipendentemente dalle citazioni che potrei produrre al riguardo, non sembra il massimo in fatto d’eleganza.
Ciononostante a tutt’oggi eventuali giornate di freddo intenso mi costringono a ripiegare su questa combinazione, anche se faccio attenzione a limitarne l’uso alle ore diurne.
Qual è il Suo pensiero in materia? Quali le Sue istruzioni sull’utilizzo dell’eventuale gilet? Quali le fogge consigliate dell’eventuale maglieria intima?
RingraziandoLa per l’attenzione che mi vorrà dedicare, La saluto cordialmente
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 21-01-2004
Cod. di rif: 862
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: nuove pubblicazioni sul tema
Commenti:
Egregi Lettori di codesta Lavagna, sono particolarmente lieto di inaugurare il 2004 con la segnalazione di 2 opere di origine napoletana, che vanno ad arricchire degnamente la bibliografia italiana sull’Abbigliamento maschile.
“Cinquantadue nodi d’amore” di Maurizio Marinella (ed. Swan Group) celebra i 90 anni di esistenza della maison Marinella attraverso una bella serie di ritratti fotografici (ad opera di Fredi Marcarini) di personaggi famosi; tra gli altri, non a caso, il nostro Gran Maestro.
“Jeeves raccomanda” di Jeeves – alias Carlo Guardascione Scalo – (ed. Denaro Libri) compendia, attraverso l’espediente delle argute osservazioni del suddetto “maggiordomo”, le norme basilari per un abbigliamento da veri signori alla napoletana.
E’ degno di nota che entrambi gli Autori abbiano deciso di devolvere in beneficenza i proventi derivanti dalla vendita di codesti libri, coniugando così concretamente l’etica all’estetica.
Cordiali saluti da Napoli
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 14-02-2004
Cod. di rif: 922
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: ringraziamenti e dilemmi
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
innanzitutto La ringrazio per l’onore ed il piacere di essere tra i fortunati paladini del prossimo Evento in tema di cravatte; La prego inoltre di trasmettere analogo ringraziamento a Maurizio Marinella, insostituibile compartecipante alla suddetta iniziativa.
Colgo quest’occasione di contatto telematico per proporLe un quesito: è conoscenza diffusa che un uomo elegante debba evitare le parures combinate cravatta-pochette realizzate nel medesimo tessuto, ed in realtà dette amenità mi sembrano scomparse sia dalle vetrine, sia evidentemente dai guardaroba maschili (spero di non peccare d’eccessivo ottimismo). Però mi chiedevo proprio ieri, dinanzi alla vetrina di un piccolo, ma interessante negozio napoletano, il divieto d’utilizzo su descritto va applicato anche ad altre eventuali combinazioni di accessori? Nella fattispecie ho notato una combinazione di berretto - tipo driving cap - e di sciarpa nel medesimo tessuto, cioè un classico pettinato con fondo beige e fitta finestratura verde e bordeaux. Per un abbigliamento da giorno sportivo in senso classico, ben lontano dalle plastiche tecnologico-giovanilistiche che oggi imperano, il suddetto cappello con la sua sciarpa abbinata mi sembravano interessanti; però non ho saputo darmi una sicura risposta al timore di un’eccessiva leziosità della descritta combinazione a causa appunto dell’identicità di tessuto.
Qual è il Suo parere in merito? Anche al di là dell’esempio proposto, quale dovrebbe essere il campo di validità della norma in questione?
Grazie di tutto e cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 01-03-2004
Cod. di rif: 987
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: futuro prossimo
Commenti:
Egregi Signori, mi permetto di portare alla Vostra attenzione ed esecrazione quanto apparso recentemente sul giornale francese Le Figaro in tema di calzature; alla luce poi delle fosche previsioni pochi giorni fa riferiteci dal Gran Maestro sul futuro prossimo dell’abbigliamento classico, sembrerebbe delinearsi un orizzonte a dir poco sconfortante. Occorrerà rinforzare ulteriormente gli ormeggi…
A mo’ di consolazione, Vi segnalo il neonato sito della maison John Lobb (www.johnlobbltd.co.uk).
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

Les baskets de ville regagnent du terrain.
Toutes les griffes revisitent, version luxe, leurs baskets originelles.
Frédéric Martin-Bernard
[16 février 2004]

La basket marche sur la ville et arpente plus souvent le macadam que les pistes des stades. Ces versions originelles font référence aux premières heures du sport. Et sont réinterprétées en version luxe.
«Membre actif de l’irrésistible processus de démocratisation du vêtement, la chaussure de sport est devenue le jean du pied !», écrivait déjà Florence Müller dans son ouvrage Baskets paru aux Editions du Regard en 1997. Depuis, la tendance aux tennis, baskets, trainers et autres sneakers ne s’est pas essoufflée. Du côté des stades, les géants du sport ont poursuivi leur course aux brevets et nouveautés. Semelles montées sur coussins d’air, dotées de ressorts carénés comme des pistons de grosses mécaniques ou de systèmes amortisseurs de choc à la manière d’un bolide de circuit, leurs modèles se veulent également toujours plus techniques. Côté chausson, les textures sont aérées et respirantes, les coutures minimum pour éviter les irritations, avec des renforts aux côtés pour assurer la stabilité du pied et un astucieux système de gestion de l’humidité. Tout est fait pour que chacun soit à l’aise dans ses baskets.
Côté mode, cette inénarrable basket reste aussi dans le peloton de tête au fil des saisons. De «vieilles» marques de chaussures de sport (Le Coq Sportif, Quick) et d’autres nées plus récemment du sport (Spring Court, Superga ou All Star) en ont profité pour revenir sur le devant de la scène de la mode. Les marques de chaussures traditionnelles se sont également inspirées des modèles portés par les champions, pour rendre leurs paires plus confortables. Cette saison, ce sont les griffes, de Gucci à Louis Vuitton en passant par Dior Homme, qui réinterprètent les baskets des premières heures du sport. Cette ultime tendance devrait encore renforcer un marché de la basket qui se porte déjà à merveille.
Représentant près de 80 millions de paires pour un chiffre d’affaires de 2,7 milliards d’euros en 2003, ses ventes ont encore progressé de 4 à 5% au fil des douze derniers mois. Ces chiffres de la Fédération française de la chaussure précisent que les baskets représentent 38% de la consommation de chaussure masculine. Et que 40% d’entre elles ne seront portées que pour un usage urbain. Autrement dit, rarement pour courir après un ballon ou piquer un sprint. Les hommes sont donc de moins en moins enclins à renfiler leurs souliers vernis après avoir goûté au confort d’une basket. Après, que nul ne s’étonne que tous les chausseurs et griffes proposant des beaux souliers se mettent aussi à réaliser des baskets cousues au plus que parfait.


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 03-03-2004
Cod. di rif: 995
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: "Apparel Arts"
Commenti:
Breve segnalazione per gli Appassionati:
nella vetrina di una libreria napoletana di libri usati ho notato una copia del cofanetto in tre volumi di “Apparel Arts” (Electa, 1989) da tempo esaurito. Il prezzo di 70 euro è più che onesto, ed anche le condizioni generali mi sono sembrate egregie. Se qualcuno è concretamente interessato alla suddetta opera miliare in tema d’abbigliamento maschile, mi può considerare a Sua disposizione.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 05-03-2004
Cod. di rif: 1006
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: lucidi Avel Saphir
Commenti:
Egregio signor Meneghini,
potrà trovare le creme per calzature "Saphir" della casa francese Avel anche presso il negozio 3 C - Carla Cardillo Calzature, sito in Roma nella centrale via della Croce al numero 40. Detto negozio potrà anche fornirLe un efficace lucido come quello de "La Cordonnerie Anglaise", ed ancora un'ampia scelta di accessori per le calzature.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 03-11-2004
Cod. di rif: 1742
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Taccuini 1229/1230
Commenti:
Egregio cavalier Carnà,
doverosamente in seconda battuta dopo il Rettore De Paz, mi permetto di aggiungere queste poche notule circa l'impermeabile da Lei citato:
già semplicemente la fama del negozio dove all'epoca esso fu acquistato avvalora l’ipotesi che si tratti di un capo pregevole: infatti “Jack Emerson” (via Cesare Battisti 1) è un negozio storico di Torino dedicato proprio all’uomo elegante appassionato dell’English style.
Per quanto concerne specificamente il marchio Grenfell, va detto che esso nacque dall’abbigliamento originario ideato e realizzato per il dottor Wilfred Grenfell, missionario in Canada nell’ultima decade del 1800. Particolarmente il “Grenfell Top Coat” è entrato nella leggenda; ad oggi capi sia per l’uomo che per la donna fanno parte della produzione di questo marchio, che figura anche tra i Fornitori della Casa Reale inglese.
La cifra dei capi Grenfell è la fusione tra il classico stile inglese e l’esigenza di combattere i freddi climi nordici coniugando insieme efficienza ed eleganza; è possibile acquistare detti capi presso il rinomato negozio londinese “J. C. Cordings & Co.” (19, Piccadilly) specializzato proprio nel settore dello sportswear tradizionale inglese.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 08-12-2004
Cod. di rif: 1826
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Russian Calf
Commenti:
Egregi Signori,
nei gessi precedenti ritengo che facciate riferimento al naufragio e poi al recupero del carico della nave “Metta Catharina”; al riguardo sono reperibili in Internet molti documenti (testi ed immagini) utilizzando semplicemente come chiave di ricerca il suddetto nome. Esiste anche un libro inglese specificamente dedicato a questa storia, del quale l’eventuale interessato potrebbe iniziare a leggere il seguente breve estratto:

From Plymouth Sound to Petworth House - conservation using salvaged Russia leather from the wreck of the Metta Catharina
On December 10th 1786 a strong gale blowing from the southwest forced the Danish brigantine, the Metta Catharina, to seek shelter in Plymouth Sound. She had been bound for the Mediterranean with a cargo of hemp and leather from the Russian port of St. Petersburg. By 10 o’clock that night a full gale caused her to break free from her anchor. The Catharina struck Drakes Island and was blown towards Mount Edgecumbe before sinking on the Cornish side of the Sound. The crew got ashore but the cargo was lost until 200 years later.
In 1973 divers from the Plymouth Sound branch of the British Sub-Aqua club found and identified the wreck (Fig. 1). Investigation revealed bundles of hides on the sea bed, remarkably well-preserved after two centuries of immersion in black mud. The hides had been tanned in the traditional Russian way, soaked in pits with willow bark and birch oil. Most had a cross hatched grain embossed by hand. The same diced grain can be seen on contemporary upholstery and book bindings, the “Russia” leather being renowned for its ability to resist water and repel insects.
Conservation at Petworth House 2002
Two hundred years later the retrieved leather has been employed in the conservation of an eighteenth century wooden chest covered with mid brown Russia leather. The chest, which is decorated with metalwork bands, coronets and dome headed nails, had passed by descent to Lord Leconfield at Petworth House, and thence to the National Trust.
From: Garbett G. and Skelton I. - “The Wreck of the Metta Catharina” - Truro, 1987.

Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 01-05-2005
Cod. di rif: 1951
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Il vestito buono
Commenti:
Egregio Gran Maestro,
con un pizzico di ritardo ho letto gli ultimi gessi sul tema del "vestito buono"; d'altronde tale ritardo mi ha consentito di leggerli tutti in rapida sequenza e di apprezzarne al meglio lo spirito comune che li pervade e li caratterizza: effettivamente il dialogo su questa Lavagna ha ormai raggiunto un livello d'approfondimento di difficile replicabilità.
Mi permetto di allegare un articolo giornalistico dello scorso autunno, che avevo conservato e che mi sembra coerente col tema in discussione.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

"UNA CLASSE A SE’, OVVERO: CENT’ANNI DI CARY GRANT"
Oggi ricorre il centenario della nascita di Archibald Alexander Leach, noto al mondo come Cary Grant. Non sappiamo se tale nascita fosse da tempo annunciata nelle costellazioni, o se sia stata preceduta da bizzarri eventi, comunque fu un evento importante, per motivi che andiamo a elencare. Qualcuno penserà che la nostra sia un’autentica fissazione. Come collettivo di narratori, abbiamo citato quest’attore innumerevoli volte, ne abbiamo studiato la vita e l’opera e, soprattutto, lo abbiamo inserito tra i protagonisti del nostro romanzo 54 traendo spunto da un importante e poco conosciuto capitolo della sua biografia: la collaborazione coi servizi segreti britannici per scoprire infiltrazioni e simpatie naziste nel cuore di Hollywood. Può darsi sia una fissazione, ma lasciateci spiegare chi era costui e forse capirete.
Archie Leach/Cary Grant è stato ed è uno dei personaggi più amati della cultura pop del XX¡ secolo. Nato nella città inglese di Bristol (nella cui Millenium Square si può oggi ammirare una sua statua in bronzo), di famiglia proletaria e poverissima, da ragazzo si unisce al circo di Bob Pender e diventa acrobata (in molti film si esibirà senza controfigura in capriole, salti mortali e giravolte). Quando il circo va in tournée negli Usa, Archie decide di fermarsi a New York, dove fa tanti lavori tra cui, memorabile, quello di uomo-sandwich sui trampoli. Lavora in teatro, ottiene qualche particina nei primi film, infine si trasferisce in California e adotta il nome d’arte con cui diventerà più che famoso.
Inizia un lungo periodo di disciplinata e meticolosa creazione di una nuova identità, lavoro a tempo pieno che il suo più acuto biografo, l’inglese Graham McCann, chiama “the making of Cary Grant”. Nella fase in cui esce dal bozzolo, recita in diverse pellicole senza infamia e senza lode finché non ottiene, nel 1937, un vero trionfo come protagonista di The Awful Truth [L’orribile verità], pietra miliare del genere chiamato screwball comedy. Nel baseball, lo screwball è un tiro a effetto interno. In senso figurato, rimanda a qualcosa che arriva diverso da com’era partito, quindi nello slang significa “svitato”, “eccentrico”, “bizzarro”, “fuori di testa”. Si trattava di pochades sentimentali esagitate, anfetaminiche, con dialoghi sopra le righe, concatenamenti di equivoci e colpi di scena, conflitti di personalità e - in quasi tutti i film - inseguimenti e corse contro il tempo. Era il principale passatempo popolare degli anni della Depressione, e lo rimase fino al dopoguerra.
Cary è la screwball comedy fatta persona, essendo il protagonista maschile dei film che pongono le basi del genere: oltre a The Awful Truth, vanno citati Bringing Up Baby [Susanna, 1938], His Girl Friday [La signora del venerdì, 1940], The Philadelphia Story [Scandalo a Filadelfia, 1941] e I Was A Male War Bride [Ero uno sposo di guerra, 1949]. Lo aiuta la sua capacità di improvvisazione, eredità che gli hanno lasciato il circo e il vaudeville (alcune delle migliori battute delle sue commedie non erano nei copioni). Attenzione, però, perché Cary non fa soltanto ridere: la sua “metà oscura” viene esplorata da Alfred Hitchcock in Suspicion [Il sospetto, 1941], con la celeberrima scena del bicchiere di latte, e in Notorious [1946], in cui (caso raro) offre una recitazione introversa e glaciale.
Nel frattempo, uno shock lo riporta al passato, alla sua precedente identità: Elsie Leach, la madre che credeva morta da una trentina d’anni, viene trovata nel manicomio in cui il padre (da poco defunto portandosi il segreto nella tomba) l’aveva fatta rinchiudere. Archie/Cary è felice di avere di nuovo una madre, la fa trasferire in una casa di riposo più confortevole e per tutta la vita la terrà in palmo di mano.
Nell’economia politica di Hollywood, Cary è portatore di innovazione: è la prima star indipendente, freelance, fuori dal controllo dagli Studios. Indipendenza che, tra le altre cose, gli permette di decidere se e quando ritirarsi dalle scene. All’inizio degli anni ‘50, con l’affermarsi di una nuova generazione di attori (Brando, Dean, Clift), la sua stella si offusca un po’, e decide di tirare i remi in barca. Dopo un anno e mezzo di whiteout, Hitchcock lo convince a tornare per recitare in To Cath A Thief [Caccia al ladro, 1954].
Alla fine del decennio, Cary è il più importante e famoso attore di Hollywood, è l’uomo che ha ridefinito radicalmente i canoni dell’eleganza maschile (se dal rigido completo a tre pezzi si passa definitivamente a quello senza panciotto, gran parte del merito va all’immagine da lui proiettata), è un role model per quanto riguarda lo stile, alfiere di una virilità leggiadra, rilassata, mai imposta (nei film è sempre il sedotto, mai il seduttore). Ormai può fare ciò che vuole, anche sperimentare allucinogeni (dirà di aver preso LSD un centinaio di volte) e presentarsi in versione (perfettamente) trasandata e arruffata in Father Goose [Il gran lupo chiama, 1964]. Nel 1966 abdica dal cinema. Nel 1970 riceve l’Oscar alla carriera (con la motivazione: “Per essere stato Cary Grant”). Nel 1986 passa a nuova vita come leggenda.
Post mortem, Cary è divenuto una sorta di santo laico. Intorno al suo culto di eleganza fioriscono articolate sottoculture di fandom, ieri per posta e nei cineforum, oggi su Internet. Vastissimo il campionario di siti (il più ricco è www.carygrant.net) e liste di discussione (Warbrides). Cary è uno di quei personaggi in grado di sconfiggere il tempo e diventare icone aperte, storie che creano vincoli comunitari, trasformano la qualità della vita di chi le racconta e le tramanda. In questo senso, la cultura pop fa leva su certi “prerequisiti di comunismo” che la sinistra “apocalittica” ha spesso frainteso come elementi di ideologia borghese o risultati del lavaggio del cervello sociale.
Capire il mito di Cary Grant può essere utile per affrontare il nostro presente, e trovare adeguate strategie di resistenza umana. La biografia scritta da McCann s’intitola Cary Grant: a class apart. Una “classe a sé”, in entrambe le accezioni: savoir faire e classe sociale. C’è molto di working class nel duro lavoro di self-improvement, nell’autodisciplina maniacale con cui l’ex-Archie Leach interpreta il personaggio che ha inventato. Personaggio che, è bene ribadirlo, si nutre della continua sfida ai ruoli sociali, alle identità di nazione, classe e genere. “Cary Grant” è un personaggio “trans-atlantico”, sintesi di Europa e America in continua ridefinizione (il suo accento era indefinibile). “Cary Grant” non è più working class come Archie Leach ma non è nemmeno upper class o middle class. E’ una classe a sé, appunto. E’ inequivocabilmente maschio, ma - come dicevamo poco sopra - la sua è una mascolinità molto diversa da quella granitica dei Clark Gable e dei Gary Cooper.
In questi tempi di merda e di sconforto, di fine di una fase del conflitto sociale (quella inaugurata a Seattle nel novembre 1999), è più che mai importante riscoprire la non-chalance come arma di lotta individuale e collettiva. Lo stile è un’arte marziale, come a suo tempo aveva ben compreso la classe operaia europea. Far vedere al padrone che, con un po’ di inventiva e spendendo poco, si poteva esser più eleganti e dignitosi di lui. Le foto delle manifestazioni del Primo Maggio o dei funerali di Togliatti mostrano espressioni e atteggiamenti fieri, completi un po’ logori ma perfettamente stirati, cravatte dal nodo impeccabile strette intorno a colletti ben inamidati; le donne hanno foulard dai nodi complicati e abiti cuciti in casa dal taglio perfetto. Si nota la cura per i dettagli, l’amore per la pulizia di chi tutti i giorni è costretto a sudare e sporcarsi. Il messaggio è più o meno questo: “Padroni, non avete di fronte delle bestie o dei primitivi, e la stessa cura che mettiamo nel dimostrarvelo la metteremo nel lottare contro di voi”.
Nel suo libro Cose di cosa nostra, Giovanni Falcone descrive così il proletariato di Palermo negli anni Cinquanta e Sessanta: “Abitavo nel centro storico, in piazza Magione, in un edificio di nostra proprietà. Accanto c’erano i catoi, locali umidi abitati da proletari e sottoproletari. Era uno spettacolo la domenica vederli uscire da quei buchi, belli, puliti, eleganti, i capelli impomatati, le scarpe lucide, lo sguardo fiero.” Dopo l’uscita di 54, due anni or sono, fu una grande soddisfazione ricevere questo commento da una lettrice: “Mio padre, compagno attivo e militante, quarta elementare, gran ballerino, poverissimo, a dieci anni lavorava già in fabbrica, ma nella sua semplicità aveva un portamento da gran signore. Alimentato da mia madre che passava nottate intere a confezionare camicie e abiti che erano perfetti, senza difetto. Stirare le camicie era una specie di rito, che ancora adesso mi affascina. Con i ferri scaldati sulla stufa, non sbagliava un gesto, una piega; un rito quasi religioso che non mi stancava mai. Stirare la camicia bianca per il papà perché, alla domenica mattina, avveniva la grande trasformazione. Io aspettavo mio padre seduta sullo scalino del bagno, lui usciva ben rasato, pettinato e lo guardavo mentre si vestiva a festa, perché poi doveva andare in sezione per diffondere l’Unità. Lui usciva da casa allegro, elegantissimo, con il fazzolettino di seta nel taschino della giacca intonato alla cravatta e le scarpe lucidissime. I vestiti erano sempre quelli, ma questo per lui era solo un dettaglio.”
Analogo atteggiamento si può trovare nella cultura afroamericana (ulteriore elemento di riflessione sui rapporti tra classe e “razza”). Scrive Lloyd Boston, autore del volume Men of Color: Fashion, History, Fundamentals (1998): “Per i neri americani, e per gli uomini in particolare, l’abbigliamento ha sempre avuto una funzione simbolica. Ciò che indossiamo segnala ciò che siamo e, soprattutto, ciò che vogliamo essere. Che l’aspetto sia duro, rampante, afrocentrico o fighetto, la nostra abilità nel vestire è anche strategia di sopravvivenza”.
Di suo, Cary ha aggiunto qualcosa di fondamentale: la leggerezza. Non la “lightness” della Coca light o del Philadelphia light, e nemmeno il “leggero” inteso come superficialità, bensì la leggerezza di cui parlava Calvino nelle Lezioni americane, quella che serve a sfuggire l’inerzia e l’opacità del mondo, e si associa “con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”.
Cent’anni fa, a Bristol, nasceva un uomo destinato a lasciare il segno.
WUMING FOUNDATION.

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 03-11-2005
Cod. di rif: 2200
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Blazer e jeans (gesso 2195)
Commenti:
Egregio cavaliere Villa,
circa il dilemma da lei proposto sul binomio blazer - jeans, l’elemento da tenere “sotto sorveglianza” non è il blazer, ma ovviamente sono i jeans. Personalmente rifuggo dalla demonizzazione che talora è affiorata nei confronti di tale capo d’abbigliamento, più semplicemente ritengo che rappresentino una tipologia di pantaloni da indossare in circostanze informali.
Dal suo gesso mi sembra evidente che tutto ciò le è ben noto e perdipiù già attuato, quindi prosegua così quando le va e finché le va di farlo, e non presti troppa attenzione a formule matematiche utili in tanti settori dello scibile umano, ma non in quello dell’Eleganza maschile.
Mi permetto di allegare una pagina di Jeeves, mio ben più illustre concittadino, sull’argomento in questione, sperando di non rubarle troppo tempo.

“Come è antipatico il jeans griffato”:
Vi avevo promesso qualche riga sui jeans, e sono qui a mantenere la promessa. Partiamo da una premessa: il mio signore dice sempre - e sono d’accordo con lui - che il jeans da cinquant’anni a questa parte non ha alcun «valore reale», ma «valori simbolici» sempre meno aderenti alle realtà che viviamo. Intende dire, in altri termini, che il vero valore - reale e innovativo - del jeans, si ebbe a fine ‘800 quando fu inventato da Levi Strauss per i lavori duri e pesanti: aveva un valore reale perché sopperiva a dei bisogni sentiti. Da allora, due grandi cambiamenti di immagine hanno conferito invece al jeans «valori simbolici». Il primo cambiamento, negli anni Cinquanta, fece divenire questo capo sinonimo di libertà, di avventura, di ribellione, e alcuni irriducibili nostalgici, oggi ultrasessantenni, lo vestono ancora con questo spirito, ma essendo le loro ansie di libertà o di avventura o di ribellione inevitabilmente sopite il risultato è spesso quello di sembrare leggermente ridicoli. Il secondo cambiamento di immagine si ebbe negli anni Settanta, quando al jeans si conferirono significati-moda derivati da quel pret-a-porter che iniziò proprio in Italia il suo fulgente cammino. I jeans divennero allora «raffinati» - una vera contraddizione, un vero orrore, quindi! - disegnati dai più grandi stilisti del mondo, i quali grazie a questa intelligente operazione di marketing sdoganarono un capo che fino ad allora era appannaggio di classi lavoratrici, contestatrici o giovanili per farlo divenire un capo «glamour», ad un costo quattro o cinque volte superiore al suo reale valore, e - supportato da campagne di advertising ossessionanti e malandrine - indossato da tutti coloro che volevano sentirsi up to date ad ogni costo. La cosa antipatica è che da allora sono passati circa trent’anni e il jeans continua ad essere cavallo di battaglia di molte griffes dai nomi roboanti. Voi - signori veri che non Vi lasciate ammaliare dalle lusinghe del marketing (il marketing crea dei bisogni facendo leva sulla umana vanità e sul desiderio di competizione, e Voi non siete né vanesi né competitivi, ma semplicemente superiori) - lasciatelo stare, il jeans griffato, e usate soltanto il 501 Levis, il padre di tutti i jeans, l’unico ad avere diritto di cittadinanza nel Vostro guardaroba, un guardaroba di un vero signore. I Vostri jeans dovranno essere quindi aderenti ma non tanto stretti da dar fastidio; dovranno essere consumati e vissuti ma non arrivare ad esser lacerati e mostrare parti del Vostro sia pur curato fisico; dovranno avere le cinque canoniche tasche e assolutamente non una di più; dovranno essere nati blu e divenuti col tempo più chiari, anche se è tollerato talvolta un nero. Siffatti jeans si esaltano con una camicia bianca o di chambray azzurro e convivono bene con un blazer blu notte. Decisamente fuor di luogo l’abbinamento jeans-blazer-cravatta, compromesso forzato tra eleganza e informalità, compromesso a cui non bisogna scendere mai, nemmeno se per avventura fate uno dei lavori più stravaganti del mondo, che so, nella moda, nella pubblicità, nello sport o nello spettacolo. In una intera vita ne bastano due, non di più. (19-07-2002).

Coerentemente con la mia natura tollerante, io mi permetterei soltanto di allargare la rosa dei jeans papabili a qualche altro marchio italiano oppure straniero di buona tradizione industriale.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 25-01-2006
Cod. di rif: 2319
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Eleganza e Sprezzatura
Commenti:
Il segreto dell’eleganza sta nella “sprezzatura”, ovvero nel creare un’immagine estetica affascinante senza che se ne possa vedere la congerie di azioni che hanno dato vita a quell’immagine.
Il concetto di sprezzatura è stato definito e così denominato dal cinquecentesco conte mantovano Baldesar Castiglioni ne “Il libro del Cortegiano”.
Più di recente lo scrittore napoletano Raffaele La Capria ha dato della sprezzatura una reinterpretazione, definendola lo “stile dell’anatra”, la quale fluisce leggera sull’acqua nascondendo sotto la superficie il frenetico agitarsi delle zampette.
<<...Ma avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l'hanno, trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcuna altra, e ciò è fuggir quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia; perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia. Però si pò dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l'omo poco estimato...>>
<<...Questa virtù adunque contraria alla affettazione, la qual noi per ora chiamiamo sprezzatura, oltra che ella sia il vero fonte donde deriva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento, il quale accompagnando qualsivoglia azione umana, per minima che ella sia, non solamente subito scopre il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto; perché negli animi delli circunstanti imprime opinione, che chi così facilmente fa bene sappia molto più di quello che fa, e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio...>>
Cordialmente
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 30-01-2006
Cod. di rif: 2323
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Lo stile come arte marziale
Commenti:
"Affinare lo stile è a tutti gli effetti un'arte marziale. Lo stile è resistenza culturale e simbolica, sorta di "zapatismo mentale". attraverso la cura dei dettagli si esprime il senso di dignità, che non va mai confuso conil "decoro" borghese".

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 30-01-2006
Cod. di rif: 2324
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Lo stile come arte marziale
Commenti:
Lo stile come arte marziale:
Affinare lo stile è a tutti gli effetti un'arte marziale. Lo stile è resistenza culturale e simbolica, sorta di "zapatismo mentale". Attraverso la cura dei dettagli si esprime il senso di dignità, che non va mai confuso con il "decoro" borghese. (Wu Ming 1 - 2001).

L'arte marziale come stile:
Vedi il sito della <> (www.menteprofonda.it), sezione LINKS, paragrafo "Tutto sull'Arte dell'Edonismo Catartico".
Cordialmente
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 06-03-2006
Cod. di rif: 2371
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Montgomery vs. Duffle coat
Commenti:
Egregio Rettore De Paz,
mi ha stupito che nella sua recente descrizione del "Duffle coat" non ci sia stato un riferimento al termine "Montgomery" con il quale mi risulta sia anche denominato tale capo d'abbigliamento, in ragione appunto del suo più noto user, il generale Bernard Law Montgomery, comandante supremo dell'esercito britannico sul Fronte occidentale nella II Guerra mondiale. Ovviamente "Duffle coat" è il termine originale e quindi più preciso, ma il termine "Montgomery" l'ho sempre sentito utilizzare fin da piccolo e dunque mi è più familiare. Sono forse in errore, e c'è una qualche differenza che mi sfugge?
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 07-03-2006
Cod. di rif: 2373
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Montgomery
Commenti:
Egregio Rettore De Paz,
la ringrazio per il suo chiarimento che elimina ogni mio residuo dubbio sulla coincidenza tra Montgomery e Duffle coat. Sono andato a ricercare e leggere, ahimé con colpevole ritardo, il suo precedente gesso su tale argomento, che è risultato, come sempre preciso ed esaustivo da un punto di vista tecnico, nonché intenso e coinvolgente nella sua seconda parte di approfondimento storico. Complimenti.
Voglio anche ringraziare il sig. Nicoletto che ha inserito nel Taccuino due fotografie del generale Montgomery con indosso l’omonimo cappotto, prova visuale definitiva che mancava alla mia personale, e una volta di più limitata, esperienza.
Cordiali saluti a tutti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 26-06-2006
Cod. di rif: 2506
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Rif. gesso 2500
Commenti:
Egregio Gran Maestro, in riferimento al sito Brent Black dedicato al cappello Panama, non posso che confermare pienamente quanto da lei scritto nel gesso n. 2500.
Effettivamente un sito così ricco di informazioni, perdipiù su di un tema molto specifico, è una rarità.
Peraltro sul Web, a riguardo del quale temo di non meritare il complimento tributatomi, c’è molto sull’abbigliamento, come su qualsiasi altro argomento, ma non c’è in realtà moltissimo.
Il sito più completo e più interessante è di gran lunga quello del nostro Ordine.
Articoli molto interessanti in materia d’abbigliamento maschile possono essere ritrovati sulle versioni on-line di riviste quali Robb Report, Cigar Aficionado, Monsieur (versione francese), et similia.
Ci sono poi i due mega-forum di Andy Gilchrist (Ask Andy About Clothes) e di Michael Alden (London Lounge), il sito specificamente dedicato alle calzature (Souliers) di Martin Nimier, ed anche il simpatico blog “The Sartorialist”; altresì interessanti i siti Bown’s Bespoke (Francis Bown), English Cut (Thomas Mahon), Marc Guyot (Cape Cod).
Esistono poi gli innumerevoli siti dedicati ai singoli marchi, a cominciare da quelli delle più blasonate sartorie di Savile Row o dei più esclusivi luxury stores statunitensi, fino al sito della più piccola fabbrica di confezioni.
In questo mare magnum trionfa il “sito vetrina” che si limita a descrivere, con una frequenza di aggiornamento mediamente triennale, quanto di mirabolante proposto dalla Casa titolare; ci sono però rare e felici eccezioni costituite da siti come il citato Brent Black, che mettono a disposizione, oltre al catalogo di quanto prodotto e/o venduto, anche un corredo di notazioni storiche, di foto d’epoca, di descrizioni tecniche che ne elevano il grado di interesse per gli appassionati (ad esempio i siti di Knize, James Lock, Kiton, Brioni, Arnys, et caetera).
Per finire, un mondo a parte è rappresentato dai siti giapponesi, che alla pressoché completa incomprensibilità testuale coniugano per nostra fortuna una meticolosità iconografica comunque fruibile e spesso utilissima al fine di reperire fotografie ed illustrazioni sul tema in questione.
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia


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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 26-04-2009
Cod. di rif: 4031
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Immagini digitalizzate
Commenti:
A tutti gli appassionati vorrei segnalare la presenza in rete di un archivio di oltre 200 immagini digitalizzate provenienti dalle ben note fonti statunitensi di stile maschile d'antan.
Indirizzo Web: www.styleforum.net/g/showgallery.php/cat/556
Cordiali saluti
Giampaolo Marseglia

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Nome: Giampaolo Marseglia
Data: 31-01-2010
Cod. di rif: 4261
E-mail: gmarseglia@yahoo.it
Oggetto: Sala Bianca
Commenti:
Il primo defilé dell’Alta Moda Italiana fu organizzato il 12 febbraio 1951 nella casa privata del marchese Giovanni Battista Giorgini: la villa Torrigiani in via dei Serragli a Firenze.
A causa dell’elevato numero di partecipanti fu necessario trasferire già la seconda edizione del luglio del medesimo anno presso il Grand Hotel di Firenze, e fu proprio in quell’occasione che il Giorgini decise di arricchire le sfilate anche con la presenza di indossatori maschili. Per questa rivoluzionaria novità il Giorgini invitò la maison Brioni, fondata nel 1945 da Gaetano Savini e Nazareno Fonticoli, che presentò oltre quaranta modelli dal vestito a tutti i suoi accessori.
Il terzo “Italian High Fashion Show” fu tenuto dal 18 al 22 gennaio 1952, ancora al Grand Hotel, e vide la definitiva consacrazione della presenza maschile nella moda italiana; nonché il trionfo della maison Brioni, (trionfo che fu anche replicato lo stesso anno in Olanda a Schveningen nell’ambito del Congresso Mondiale dei Sartori).
Il quarto appuntamento si tenne nella Sala Bianca di Palazzo Pitti in Firenze il 22 luglio del 1952, evento epocale rievocato quarant’anni dopo nel 1992 da una specifica mostra dal 25 giugno al 25 settembre in Palazzo Strozzi a Firenze e dal libro “La Sala Bianca. Nascita della Moda Italiana” di Guido Vergani (Electa, 1992).

Nel catalogo della suddetta mostra è contenuta un’ampia rievocazione della storia delle sfilate nella Sala Bianca a firma di Roberta Orsi Landini, di cui riporto uno stralcio iniziale.
“Quando, il 22 luglio 1952, le porte della Sala Bianca di Palazzo Pitti si spalancarono per la prima volta per accogliere compratori e giornalisti venuti ad assistere alle sfilate fiorentine, la moda italiana non era al suo battesimo ufficiale, ma alla sua quarta edizione. In soli due anni aveva già acquisito, agli occhi degli osservatori internazionali, una sola fisionomia e caratteristiche peculiari che la rendevano un prodotto, anzi un insieme di prodotti, quanto mai interessante. La data rimane comunque storica, perché da allora il luogo di presentazione e le collezioni presentate furono strettamente legati: ancora oggi il nome della Sala Bianca rimane sinonimo dello stile italiano. In questa intuizione geniale fu la chiave del successo: se la moda era soltanto immagine, era fondamentale che questa immagine si costruisse e si proponesse in una forma coerente con i valori che essa doveva rappresentare. Dal cuore di Firenze, dalla Sala Bianca, la creatività, l'originalità, la raffinatezza dei nostri modelli, ribadita e rispecchiata nell'organizzazione delle manifestazioni, si divulgarono nel mondo aprendo la strada a un fenomeno dalle proporzioni e dalle conseguenze economiche ben più vaste e importanti: la creazione di un'aura di prestigio che dalla moda si propag& a tutti i prodotti made in Italy, rendendoli noti e desiderati nel mondo. Fu un privato, Giovanni Battista Giorgini, a dare avvio a questa incredibile avventura, riuscendo, con sorprendente capacità e audacia, a organizzare, nel febbraio 1951, una presentazione di moda del tutto originale a pochi compratori americani, suoi clienti, cui proponeva allora tutt'altro genere di prodotti. Non era certo quella la prima volta che le creazioni dei nostri sarti venivano esibite su passerelle più o meno ufficiali; ma fu la prima volta, in assoluto, che una sfilata di modelli, che si proponevano come squisitamente italiani, veniva allestita esclusivamente per compratori stranieri e giornalisti: pochi ma importantissimi personaggi, il cui giudizio era una sentenza di vita o di morte. Il loro assenso entusiastico spalancò subito le porte di un successo che venne crescendo di anno in anno sotto la guida e la direzione di Giorgini”.
Nota: uno stralcio ancora più ampio di questo lavoro è reperibile all’indirizzo Web: (http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/s/sala_bianca.php).

Altrettanto interessante è il seguente articolo a firma di Maria Latella dal Corriere della Sera del 24 giugno 1992:
"Nel silenzio di attesa che si respira soltanto nei tribunali, nei conventi delle monache, nelle aule d'esame e nelle sfilate di moda, la mannequin salì sulla pedana, incespicando nella gonna troppo stretta e con gli occhi completamente nascosti da una cloche calata fin oltre le tempie. La ragazza era vestita da inverno e il termometro segnava quaranta gradi". Quarantadue, se non si stava all' ombra. E' il 22 luglio, martedì , anno 1952. Il settimanale "Epoca" ha mandato a Firenze una giovane cronista di straordinaria bravura. Si chiama Oriana Fallaci e ha il compito di raccontare le sfilate di moda che, per la prima volta, invadono la Sala Bianca di Palazzo Pitti con il loro corredo di sarti nervosi e indossatrici ingenue, nobildonne raffinate e giornaliste aggressive, compratori americani e giovanotti nati bene ma non tanto da poter considerare risolto il problema dell'occupazione. L' aristocratico, emozionato come quei padri che passeggiano inquieti nei corridoi delle maternità , un signore "senza il quale . dice Roberto Capucci . forse non esisterebbe la moda italiana". Si chiama Giovanni Battista Giorgini, è un ragazzo del '99 che conta, tra i suoi avi, trisavoli sepolti in Santacroce per meriti cittadini e un prozio senatore, genero di Alessandro Manzoni. Viene da Forte dei Marmi, è un aristocratico ma deve guadagnarsi da vivere. Ci riesce piuttosto bene, perché è eccezionalmente sveglio. Così lo descrive il giornalista Giancarlo Fusco, citato da Guido Vergani nel libro "La Sala Bianca", edizioni Electa: "Sotto i capelli bianchi, un po' radi alla nuca, il profilo rammenta certi cavalieri che s' incontrano nei quadri degli antichi maestri toscani, con un falco sul braccio". Giorgini è approdato alla moda dopo aver fatto, per vent' anni, uno strano lavoro: scovare gli oggetti più belli, visitare le botteghe artigiane, scoprire le piccole cose che possono piacere agli americani ricchi, sofisticati. La sfilata nella Sala Bianca, in quel torrido pomeriggio del luglio 1952, rappresenta l' approdo dopo la tempesta, la svolta dopo gli anni difficili del dopoguerra. Come ci è arrivato lo racconta il conte Savorelli, che per Pitti ha curato le pubbliche relazioni tra il 1965 e il 1972. "Giorgini sapeva conquistare gli americani. Aveva cominciato a intrattenere rapporti con loro da ragazzino, negli Anni Venti. Così , dopo la guerra, provò a ricominciare con la sua vecchia attività , il cercatore di belle cose. Ma, al di là dell' Oceano, qualcosa era cambiato. Tutti molto tiepidi nei confronti dei suoi bellissimi vetri, delle tovaglie ricamate, delle ceramiche suggestive. "Caro Giorgini, deve capire . gli spiegarono ., qui, negli Stati Uniti il marchio "made in Italy" ormai significa cattiva qualità , cattivo gusto". Nell'immaginario collettivo nordamericano l'Italia era "Ladri di biciclette", era "Sciuscià ": Giorgini decise che, attraverso la moda, la foto del Belpaese povero e sconfitto poteva cambiare, sarebbe cambiata. Era il 1951 e lui non si era mai occupato di abiti o di sfilate. Però , conosceva tutte le belle case fiorentine, era amato dalle padrone di casa e considerato un amico da almeno cinque influenti compratori americani. Telefonò agli americani: "Andate alle sfilate di Parigi? Dopo, fate un salto da me, a Firenze. Sarete miei ospiti". I cinque Secondo Savorelli, i cinque che gli dissero "sì" lo fecero più per non offenderlo che perché davvero interessati alla moda italiana. Ma Giorgini, forte di quei cinque consensi, mise in piedi in tre mesi le sfilate fiorentine: dieci sarti, diciotto modelli ciascuno, vestiti molto colorati, molto portabili, poco costosi. Il contrario, insomma, di quel che si faceva, e si vedeva, a Parigi. Ma era alla donna americana, alla pratica signora di New York e di Philadelphia, che Giorgini pensava. La prima volta a Firenze, si è detto, i compratori erano cinque. Sei mesi dopo erano già saliti, di colpo, a trecento. Poi venne la Sala Bianca, il torrido martedì del luglio 1952, il successo, frutto, come osserva ancora Savorelli, di quell' inizio segnato da "incoscienza, millantato credito e talento". Giovanni Battista Giorgini, diventato presidente del Centro Moda, continuò a organizzare le sfilate fiorentine secondo il suo stile, quello che qualcuno definisce "un servizio personalizzato": attenzione per ciascun compratore, per ogni giornalista. E feste, tante feste nelle più belle case fiorentine, tanto che Bettina Ballard, allora direttrice di "Vogue", osservava che all' appuntamento di Firenze non si poteva mancare: per gli abiti, certo, ma soprattutto per la cornice e per Giorgini. Ricorda Maria Pezzi, la giornalista che Firenze premia proprio in questi giorni: "C'era un'atmosfera che a Parigi non esisteva neppure nell'alta moda". I protagonisti? Romani come la principessa Irene Galitzine, Giovanna Caracciolo che si firmava Carosa, Simonetta Visconti. Poi, alla fine degli anni Sessanta, arrivò Krizia, arrivarono i Missoni. Come accade di frequente agli innovatori, le fortune di Pitti non procedettero parallelamente a quelle dell' uomo che quella manifestazione aveva inventato. Nel 1965, stanco, deluso dall' abbandono della scena fiorentina di alcuni dei sarti da lui più considerati, il gentleman della Sala Bianca se ne andò. Lo sostituì Emilio Pucci. Pitti e la moda di Firenze continuarono anche senza Giorgini, ma Giorgini non continuò senza Pitti. Morì qualche anno dopo, certo consapevole di aver proiettato, in una dimensione fino ad allora sconosciuta all' Italia, giovani di talento assoluto come Valentino, come Roberto Capucci. Valentino gustò il suo primo trionfo nell' estate del 1962. Era semisconosciuto, lo avevano costretto a sfilare per ultimo, in un pomeriggio di nuovo terribilmente torrido. Di quella collezione non rimase una gonna, non un vestitino. E Valentino Garavani diventò, per sempre, Valentino. Beppe Modenese che è un po' il Cuccia degli stilisti milanesi, l'uomo che, negli anni Settanta, ha aiutato i Ferrè , gli Armani, i Versace, l'innovatrice Krizia a diventare un insieme compatto, il Made in Italy, dice che la differenza, tra gli anni di Giorgini a Firenze e l'atmosfera della moda a Milano, sta, tutta, in un periodo breve: "Oggi, per fare qualcosa, si ricorre alla politica. Allora, a Giovan Battista Giorgini bastavano le contesse, le marchese".

Cordialmente
Giampaolo Marseglia


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