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Nome: Giuseppe MIceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3704 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Cappellai a Roma e cappelli d'antan Commenti: Egregio Gran Maestro, nobili Cavalieri, simpatizzanti onorati e visitatori arditi, vengo qui, su queste lavagne, per la prima volta a segnalare che la cappelleria Venanzoni di via Ottaviano in Roma, ahinoi, ha chiuso oramai da alcuni anni. Oltre Viganò che resiste in via Minghetti, potrei però segnalare in Roma alcune cappellerie alternative seppur di più piccole dimensioni. Trattasi della Antica Cappelleria Troncarelli in via della Cuccagna a due passi da piazza Navona, che vende principalmente Barbisio e molti Lock; è un piccolo negozio dove cortesia e diligenza non mancano. In via Ancona a pochi metri da Porta Pia vi sarebbe anche la cappelleria Fulgor che offre manutenzione sui cappelli, certo non pari a quella della Melegari a Milano di cui prevedo una fine prossima (per mancanza di ricambio generazionale, la titolare è anziana, il negozio è lontano dalle orde dei turisti). In via Merulana poco vicino alla basilica di S.ta Maria Maggiore v'è la cappelleria Lombardi. In via degli Scipioni (parallela di Via Germanico dalla stessa parte dove c'é Eurotex) ci sarebbe un'altra cappelleria, un laboratorio artigiano che lavora soprattutto per il teatro e per il cinema da cui non gli mancano le commesse. Questa mia premessa informativa introduce un tema di riflessione cui son amaramente giunto oramai da tempo, ossia che come i tessuti hanno perso quella pesantezza cara al virile aspetto così i cappelli per contro non posseggono più quell’impareggiabile morbidezza caratteristica dei finissimi feltri di decenni passati. Nella mia ormai passata frequentazione dell’ultima attività commerciale succitata volta al fine della manutenzione dei miei cappelli, affezionato come sono ai feltri la cui ala risulta non tagliata al vivo ma ribattuta e cucita verso l'alto oppur guarnita da un bordino in seta canneté impunturato a macchina, ho tentato presso di loro d’ordinare un cappello di tal fatta su misura, in quanto il loro prodotto pronto non soddisfaceva, né per peso né per foggia, i miei desideri. Dopo avermi vivamente sconsigliato e invogliato in tutti modi a desistere dal mio proposito, e dopo aver convinto la titolare del negozio che per il mio portafogli la spesa aggiuntiva della forma di legno – questa necessaria in quanto la ribattitura dell’ala abbisogna di una forma lignea che loro non possedevano – non era per me esorbitante (trattandosi di cappelli è come pagarne uno il doppio) ho passato in rassegna i loro feltri atti ad esserne stirati, guarniti e rifiniti ma inutilmente. Non essendo una fabbrica non speravo certo di poter arrivare a commissionare il tipo di pelo e il tipo di rasatura o di pelosità, tantomeno di far marchiare il mio nome nel marocchino come è giunto a fare il Gran Maestro presso il Cappellificio Cervo con risultati oltretutto insoddisfacenti considerato il rassegnato resoconto che egli ne ha fatto nella lavagna 1799, tuttavia, mi sono stati mostrati i feltri di Barbisio di cui si servono. Mi vien fatto vedere il pronto, mi viene illustrato il campionario dei feltri, dei colori, il prodotto pronto alla bisogna che è già stato plasmato sui coni dal “Cervo”. Il tutto mi lascia interdetto. Decido di confrontare la loro offerta con alcuni miei vecchi cappelli di feltro leggero (un Super Panizza Piuma, un paio di Borsalino qualità superlativa, un Mayser Touring). Confronto quanto sopra descritto, i Barbisio, i Lock e altri esposti nei negozi sopra elencati gentilmente mostratimi, a questi in mio possesso e non v’è alcun paragone: son nettamente più scarsi, mancano di plasticità, di modellabilità, di quella caratteristica finezza e morbidezza che fa sì che con gesto delicatamente si abbassi la falda già calata innanzi agli occhi, ampliando di un ulteriore sol centimetro la curva della piegatura. Alla fine ho desistito temo con sommo sollievo della titolare che non ha mancato di invogliarmi a tornare a scegliere un cappello già pronto. Su come sia possibile questa avversa congiuntura dell’offerta del mercato; questa esiziale concomitanza di fogge contrarie ad ogni ragione, buon gusto, eleganza e praticità; questa contemporaneità di due fattori opposti e contrari, questa sfavorevolissima circostanza che vuole gli uomini vestiti di abiti svolazzanti e di cappelli grossolani; mi son dato finora una risposta che esplicitamente ometto perché tutto il materiale della Lavagna ne è in parte una risposta. Nel rinunciare alla ricerca del classico, al su misura, alla ricercatezza senza affettazione, l’uomo sarebbe costretto a indossare “cappottini morbidissimi, attillatissimi e caldissimi di cachemire” e andare a capo nudo oppure indossare cappellacci grezzi e tozzi, spessi e duri di lapin e di feltro di coniglio, o berretti sportivi a spron battuto. Massima cura per il corpo quindi (quello dell’uomo delle palestre, dell’uomo eterno adolescente, dell’uomo ambiguo, del “mammo”, nessuna cura tutt’al più grossolana e posticcia per il capo, per la testa, fulcro di pensiero, di meditazione, di filosofica riflessione nonché di conoscenza e di coscienza. A conferma di tutto ciò ricordo lo stupore di quando vidi entrare da Viganò un signore di mezza età, sulla sessantina, un professionista, cappotto manica reclan di panno blu cui sotto indossava un classico abito scuro, un cliente abituale salutato familiarmente, prendere senza tema un berretto nero con visiera di misto lana, calzarlo senza alcun indugio pagare i pochi soldi in fretta e andarsene più che soddisfatto con ciò acquistato già sul capo. L’ultimo Borsalino da me comperato una decina d’anni orsono, per l’occasione mi ero spinto fino a 6 cm. di ala scegliendo un marrone tabacco per stemperare l’effetto, aveva un ottimo aspetto e risultava comunque morbido, ma come per tutti i recenti prodotti delle altre illustri case produttrici mancava di quel quid che fa sì che ci si affezioni al cappello sino a sentirlo insostituibile nel nostro guardaroba. Forse questa mia poco aggiunge pur non nulla togliendo a quanto già scritto su queste lavagne riguardo il cappello, ma mi premeva sottolineare quanto la qualità dei feltri dei decenni ’40, ’50, ’60 sia del tutto scomparsa e soppiantata da una qualità inferiore in specie per la feltratura, oppure dipende dalla scarsezza della materia prima? ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3705 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: calzoleria romana e giapponese Commenti: Torno su queste pagine a distanza di poche ore per segnalare una calzoleria romana che meriterebbe attenzione da parte dell’Ordine; forse una visita del Gran Maestro o del Prefetto della provincia romana Italo Borrello, la calzoleria di Antonio Aglietti in via Branca 40 in Roma. Non vorrei scomodare nessuno inutilmente pertanto specifico che tale segnalazione non nasce dal motivo che mi sia fatto già fare un paio di scarpe su misura da questi e ne posso constatare, indi testimoniarne, il pregio; seppur così fosse non avrei l’esperienza sufficiente necessaria a esporre un giudizio possibilmente oggettivo. Ho già segnalato nella Posta del Gran Maestro recentemente questo indirizzo al sig. Cionni che a lui chiedeva proprio indirizzi nella capitale per l’acquisto di calzature particolari. Dal mio intervento si capisce come abbia fatto visita all’Aglietti più volte e mi picco di avere buon intuito, se mi sbagliassi nessuno me ne voglia per averli inutilmente incomodati. Le sue scarpe mancano forse di quell’estrema raffinatezza, di quella leziosità che talvolta si riscontra in un prodotto di tendenza, di quella ricercatezza ad ogni costo che però, qualora fosse commissionata dal cliente verrebbe certo tentata di soddisfarsi dall’artigiano. Tali ultime caratteristiche sono state recentemente riscontrate non su una calzatura industriale prodotta in fabbrica ed esposta in una vetrina ammiccante ma su una calzatura fatta a mano da una giapponese sconosciuta in cerca di lavoro incontrata in un negozietto della capitale in via della Croce di cui sono cliente per acquistare spazzole, lucidi e quant’altro. La signorina che era entrata dopo di me, voleva solo comperare un prodotto per la colorazione del cuoio o chissà cos’altro, mi colpì poiché indossava delle scarpe che ho riconosciuto subito essere artigianali, scamosciate in color noce con dei lunghissimi lacci di camoscio a ricciolo e a molla che mai si poteva pensare potessero perdere la elasticità e finire sotto una suola correndo il rischio di cadere. Ella era ingombra di borse, di buste e fagottini, così le ho permesso dacché dovevo solo decidere il colore del lucido, di farsi servire, al ché per meglio spiegare in stentato italiano al negoziante ciò che intendeva acquistare tira fuori una tomaia in fase avanzata di lavorazione da una sacca di custodia su cui vi era il marchio di Peron&Peron e indica al negoziante dove deve mettere il prodotto, da qui la mia curiosità e le mie perplessità. Infatti sollecitata da una mia discreta domanda spiega che è in carca di lavoro presso calzolerie artigiane in Italia e tira fuori timidamente un campione, una scarpa di capretto che avrei comprato ad occhi chiusi. La signorina giapponese aveva fatto recente visita dai Peron al fine di assunzione ma altro non era riuscita che a farsi regalare da loro i sacchetti di custodia per le scarpe del suo campionario. La lavorazione era indubbiamente a mano con cucitura rigorosa del guardolo e la suola di una sottigliezza straordinaria, il guardolo s’interrompeva al ponte sia internamente che esternamente come mi piace per le scarpe raffinate, e quest’ultimo aveva quella tipica convessità appena accennata, la tomaia in capretto (cosa che non era del tutto inusuale nella lavorazione italica ancora nell’immediato dopoguerra) color bordeaux invecchiato, aveva una gran bella punta squadrata quasi a parallelepipedo, somigliava vagamente al muso d’un carro armato, ma direi punta a cilindro in quanto mi ricordava più il tipo di chiusura di certi secretaire del diciannovesimo secolo. Insomma una gran bella scarpa. Aveva con se tutta una serie di indirizzi di calzolerie romane artigiane tra cui mancava l’Aglietti, che ho subitaneamente indicatole. Chissà, quando deciderò di farmi un paio di scarpe da questi forse sarà la simpatica giapponese dietro il bancone a smussarmene la punta. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3706 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: calzoleria romana e giapponese Commenti: Errata Corrige cod. di rif. n. 3705: concavità in luogo di convessità. Ho dimenticato i Cavallereschi saluti e inoltre ben più grave la firma Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 24-03-2008 Cod. di rif: 3710 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Ringraziamenti Risp. gesso n. 3708 Commenti: Egregio Gran Maestro, la ringrazio per la squisita nonché musicale risposta fornitami e per avermi permesso di sfatare il mio insipiente preconcetto che i feltri d'epoca fossero superiori in ogni caso a quelli odierni. Nel ringraziarla inoltre d’avermi dato occasione di leggere il suo articolo apparso in Monsieur nel 2005, del quale all'epoca non ero lettore, accumulando a passione invero conoscenza, mi scuso delle mie precedenti considerazioni, queste sì grossolane, sul valore intrinseco e non che attribuivo alla cappelleria odierna la quale a ragion veduta devo necessariamente approfondire e riconsiderare. D’ora innanzi varcherò le soglie dei cappellai rincuorato e meno premunito. Cavallerescamente Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 31-03-2008 Cod. di rif: 3726 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Giacca nera da pomeriggio Commenti: Egregio Gran Maestro la giacca di cui accludo una foto nel taccuino (3880) è di colore nero (la foto scattata con il telefono cellulare non rende la cromia) il cui tessuto operato, presenta un rigatino di 3 mm. c.a realizzato da diversa tessitura; il peso del tessuto è credo poco oltre 300 gr., non propriamente mezza stagione ma neanche invernale. La giacca è a tre bottoni stirata a due, priva di impunture, senza spacchi posteriori e le tasche non hanno pattina. Una volta indossata le punte dei revers s’accostano e si rialzano un po’ sebbene allacciato il bottone alto, scendono proprio come nella foto. Le asole ai polsi e all’occhiello sono finte, vale a dire ricamate sul solo tessuto superiore. Come avrà certo notato i tre bottoni ai polsi sono spaziati solennemente. Per quanto riguarda il punto vita l’effetto ricorda un poco quello visibile attualmente sul sito http://www.henrypoole.com/bespoke_tailoring/bespoke_suits.cns tant’è che credo che le tele interne siano quello che ho sentito denominare “crine di cavallo”, l’imbottitura delle spalle non è massiccia ma neanche napoletana, il giro manica è troppo ampio per i miei gusti, mentre l’ampiezza della spalla è appena oltre quella naturale quel poco che basta a bilanciare. Le chiedo pertanto è possibile un utilizzo di tale capo in spezzato? Avrei intenzione di abbinarci un pantalone in gabardine (cos’altro altrimenti?) blu-midnight doppia pince, tasca dritta a filo, alto in vita, con risvolto, da indossare con francesina nera liscia, camicia bianca, cravatta blu, poi nel caso di temperature più fresche il tutto corredato di soprabito in gabardine doppio petto blu oppure antracite un petto o doppio e volendo con foulard (fascia-collo) in seta o seta-lana, per una serata di prosa, un concerto, vernissage e occasioni simili. Insomma blu, nero e bianco. Nel caso è possibile abbinare anche una pochette? Le foto di Mariano Rubinacci (vedasi taccuino 3868) lo prevedono con lo spezzato ma si tratta di tutt’altra giacca e di altri tessuti e abbinamenti. Ho già posseduto una giacca nera di confezione Gival, appena più pesante che abbinavo a pantaloni blu di gabardine la sera o la domenica pomeriggio, era a tre bottoni classici, con tessuto ben più operato e scattante, vibrato, le due tasche erano applicate, ampli revers non a lancia, cran più alto, ampiezza spalle naturale, taschino classico, niente spacchi posteriori. È quest’ultima una giacca nera da pomeriggio? Quale delle due di grazia o nessuna delle due? Cavallereschi saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 03-04-2008 Cod. di rif: 3738 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: Scuse e ringraziamenti Commenti: Egregio Gran Maestro, innanzitutto mi scuso per l'inserimento della foto di scarso interesse e qualità (taccuino 3880), nonché per il ritardo con cui La ringrazio della delucidazione ad essa relativa; il mio era infatti un tentativo, forse peregrino, di trovare un uso altro del mezzo tight in quanto mi piace pensare che nell’abbigliamento si possa usare il classico in modo eterodosso inaugurando un classicismo del vestire e non limitarsi a mantenere per così dire il ritorno dell’antico. Lo sviluppo, l’estensione e la re-invenzione del classico nell’abbigliamento possono divenire persuasione, immaginazione, stile. Senza conoscere le regole del linguaggio dell’abbigliamento mi rendo ben conto del rischio di scimmiottare il classico come accade a molti, stilisti e non, perciò La ringrazio dei Suoi preziosi avvertimenti. Cavallereschi saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 15-09-2008 Cod. di rif: 3888 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: il cappotto Casentino Commenti: Egregio Gran Maestro, durante e dopo molte altre letture dai gessi e dai taccuini ho lungamente riflettuto sui miei pochi prolissi e a dir poco compiaciuti passati interventi e su i di loro esiti, in particolare sul contenuto del Suo gesso 3742. Vengo a comunicarLe che ho abbandonato l’idea dell’uso decontestualizzato della giacca che fu origine del Suo dissenso e ripulsione, o riprovazione o quel che fu. Questo perché desidero confessare che la giacca era ed è scompagnata in quanto frutto d’un acquisto vintage e non avevo allora la più pallida idea che fosse parte di un mezzo-tight di cui non conoscevo neppure l’esistenza, sebbene nel gesso 3738 dissimulai volutamente tale mia ignoranza per vergogna, credendo così di non far brutta figura. Scrivo ciò non perché voglia giustificare o sminuire quanto poi aggiunsi nello stesso gesso riguardo il classico e la classicità, infatti fu comunque il frutto d’una mia riflessione che col senno di poi definirei presuntuoso, ma per testimoniarLe che gli atteggiamenti all’apparenza più grotteschi, vili o grossolani che siano, vengono talvolta commessi a causa d’insipienza unita a malcelata insicurezza. Tuttavia ebbi modo di ammirare, a mie spese, la Sua indefessa difesa del Castello da sgraditi intrusi. Ciò premesso torno a scrivere sulla Lavagna con la speranza che l’argomento in oggetto possa esser d’utile interesse cavalleresco al fin di soddisfarne il mio, essendo esso una delle “tre o quattro fogge canoniche nazionali” così Lei al gesso 2635; nel passo credo che alludesse in particolare al cappotto e non al solo tessuto. Potrebbe quindi in futuro fornire una disamina di tal foggia con appropriate illustrazioni o disegni, come è stato fatto per l’Ulster grazie anche alla collaborazione del Cavalier Forni e del Rettore De Paz? Le mie ricerche in rete oltre le mura di questo insormontabile castello hanno dato sì qualche frutto – il sito della casa Cilento1780; il sito della sartoria Mattioli Amedeo; i siti delle ditte T.A.C.S. e Tessilnova – ma mi lasciano oltremodo dubbioso in quanto il modello in questione viene presentato sempre con un dettaglio differente: ora con i paramani ora con la bacchetta; ora con il collo provvisto di pelliccia ora sguarnito; ora vi sono le tasche scaldamani ora no; etc. Inoltre ho reperito qualche notizia in quel di www.thelondonlounge.net; infine vi è un annuncio su www.subito.it sicché la confusione aumenta. Le chiedo infine un commento riguardo l’età per un capo del genere in base ai colori, sebbene credo l’affermazione quale classico nazionale sia avvenuta con il solo colore arancio. La ringrazio sin d’ora e Le invio Distinti saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: Giuseppe Miceli Data: 20-05-2014 Cod. di rif: 4867 E-mail: mclgpp@yahoo.it Oggetto: AlvisiMilano, risolatura scarpe Goodyear Commenti: Nel segnalare la ditta AlvisiMilano in Via Mameli, 24 - 20129 Milano, la quale fornisce un servizio di risolatura completa di calzature con lavorazione "Goodyear" e come si legge dal suo sito internet “Questo "recrafting" completo, che rispetta fedelmente la lavorazione originale delle scarpe inglesi, viene eseguito utilizzando esclusivamente materiali di primissima qualità e dona loro nuova vita”, desidero sapere se a Roma operi un qualche calzolaio che fornisca lo stesso servizio. Cordiali saluti Giuseppe Miceli ----------------------------------------------------------------------------------------------------- |
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