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Nome: Longo Alberto Data: 21-03-2012 Cod. di rif: 4583 E-mail: longoalberto@fastwebnet.it Oggetto: Semiologia dell'orrore. Commenti: Inesausti Cavalieri, Un recente taccuino (N° 5794) vergato dall’enciclopedico Pugliatti stigmatizza una delle tendenze imposte da qualche stagione al completo cravatta, focalizzandosi su “una delle più orribili caratteristiche presenti nella moda maschile attuale. Per vezzo, noncuranza, mancanza di gusto e di senso dell'armonia, in molti abiti completi e spezzati i quarti della giacca tendono ad aprirsi sugli osceni pantaloni a vita bassa oggi in voga, ed a mostrare la fibbia della cintura, quando non anche (...) una generosa porzione della sovrastante cravatta.”. Complimentandoci col nostro per la puntale segnalazione, vorremmo confrontarci con qualche riflessione per non restare circoscritti nei limiti opinabili del giudizio personale. E’ dunque l’apertura fra i quarti anteriori ad attirare primariamente l’attenzione di chi osserva e, forse inconsapevole, un motivo c’è: ma lo vedremo fra pochissimo. Adesso mi preme sottolineare come la proposta delle più influenti passerelle che il nostro definisce “La deprecabile parodia di quello stile (degli anni ’50 e ’60, ndr), declinato in abiti striminziti quando non addirittura anoressici” non si ispiri verosimilmente a quell’aureo ventennio ma rifletta la visione del mondo del destinatario di quegli abiti: l’Homo gymnicus (non certo l’elegans). Quale sia questa weltanschauung si è scritto e riscritto su queste lastre (o meglio lo ha scritto e riscritto il Gran Maestro) ma, in estrema sintesi, essa riporta al centro la fisicità dell’individuo e la sua corporeità, magnificata da pratiche salutari a scapito della concezione precedente che, dell’individuo, esaltava il “ruolo” e l’appartenenza di genere. Discende da ciò, a mio avviso, l’aspetto “striminzito” che altro non è che un estremo aderire al corpo, il ritirarsi di un abito che quasi si asciuga sull’indossatore allo scopo non di “vestire” ma di mostrare il fisico scolpito che ricopre. Ecco che sottolinea le spalle, naturalmente ampie, con un’attaccatura delle maniche che risale la clavicola e baveri forzatamente sottili; i pettorali, con volumi generosi dei quarti anteriori; ecco la vita sciancrata della giacca che stacca il torace ampio dalla gonna e infine le gambe dei pantaloni, talmente aderenti agli arti inferiori che, lungi dal farne intravedere la struttura solo col movimento, le seguono anche staticamente segnalando impietose (nello specifico) il varismo delle ginocchia. Ce n’è abbastanza per sospettare che chi porterà quest’abito aneli più a mostrare il sottostante che a coprirlo. D’altra parte perché sottoporsi a diete sfibranti, sfiancanti sedute in palestra e torturanti pratiche estetiche se, una volta ottenuto un corpo perfetto, lo si occulterà sotto abiti uniformanti? La domanda retorica ci riconduce all’osservazione iniziale sull’apertura delle falde del capospalla e al fremito d’orrore che induce nell’osservatore. Fremito giustificato dalla nascita di una creatura mutante e quindi, ai suoi occhi, deforme: è nato infatti l’abito col quarto occhio! Ora non girate subito pagina, non siamo ancora finiti nell'esoterismo nepalese. Si tratta solo di una modesta metafora dei punti più "sensibili" dell'abbigliamento. Secondo questo modo di vedere, che raccomando di non prendere troppo sul serio, la tradizionale combinazione maschile da città presenta tre punti nodali, che per evidenza ed espressività sono paragonabili agli occhi nella fisionomia umana. Il primo è rappresentato dal bavero della giacca (le palpebre), dalla camicia (la cornea), e dalla cravatta (l'iride). Il secondo, con la stessa sequenza, da manica della giacca, polsino ed orologio. Il terzo da scarpa, calza, e risvolto del pantalone. Le sette righe che precedono sono citate pari pari dall’articolo del Gran Maestro che illustrava la teoria degli occhi, sulla base della quale affermiamo ora, per l’appunto, che assistiamo alla comparsa di un ulteriore “occhio”, simmetrico e speculare al primo. Va da se che il termine occhio vada inteso passivamente (oltre che per l’analogia formale), non nel senso di struttura che vede ma che attira l’attenzione, quindi di punto focale e come tale è utilizzato dagli stilisti attuali. Su cosa attira l’attenzione il nuovo occhio? Sul triangolo più fisico del corpo, su quegli addominali che sono la croce e la delizia di tutti i Gymnicus del mondo, su quella pancia che deve essere piatta a qualunque costo per poterla esibire come status di salute ed efficienza fisica. E fermiamoci qui, ché potremmo indagare sulla simbologia della cintura e della fibbia o quella, dichiaratamente fallica, della cravatta che oltretutto in questo triangolo termina con l’apice rivolto alla regione più scopertamente sessuale del corpo, il bacino con la brachetta, in un tripudio di simboli e richiami che lascia chiaramente intendere cosa significhi aprire le falde della giacca: non per niente da sempre il gesto dell’esibizionista. Eppure, pur trovandosi di fronte ad una delle costruzioni più sfrontatamente sessualizzate nell’ultracentenaria storia dell’abito da città, credo non sfugga a nessuno come chi porti quest’abito sia lontanissimo dall’essere un seduttore: difatti sedurre non vuole, vuole solo esibire, lo scopo non è attrarre ma compiacere sé stessi e chi condivide i propri riferimenti. In fondo è un’operazione narcisistica. Discende da quanto detto il richiamo prepotente, quasi urlato, ad un’altra caratteristica dell’H. gymnicus strettamente correlata colle precedenti: la giovinezza. Parodiando il film dei fratelli Coen potremmo dire “No Suit for Old Men”: ve lo immaginate un posato signore di mezz’età, un filo curvo, un po’ di pancetta, che indossi l’abito in questione? Non sono infine certo che i riferimenti stilistici dell’abito con quattro occhi vadano ricercati nell’asciuttezza formale delle decadi postbelliche. La mia impressione è che, se si vogliono trovare delle consistenti analogie, ci si debba spingere oltre, fino agli Anni Venti del Secolo Breve dove ritroviamo, a falde ben chiuse, un disegno più vicino all’attuale, più aderente e “naturale” di quello del boom economico. Sono invece sicuro dove trovare l’esatto opposto: confrontatelo con il taglio modellato e, ancor più se amate il brivido, con figurini come quelli del taccuino N° 3192 o lo zoot suit e vedrete come il taglio dei completi sia quasi specularmente opposto e, con esso, il messaggio trasmesso: qui è fondamentale il “fisico” di chi li indossa perchè l’abito minimalista non lascia nulla alla fantasia, là il fisico è indifferente, perché imbottiture e volumi si preoccuperanno di simularne uno straordinario. Di qua dinamismo, giovinezza e forma fisica, di là maturità affermata (precoce, perché no?) e ruolo sociale. Gli abiti raccontano, ascoltiamoli. Cavallerescamente, Alberto Longo ----------------------------------------------------------------------------------------------------- |
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