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Nome: roberto prete Data: 01-05-2005 Cod. di rif: 1952 E-mail: robertopretesancatal@libero.it Oggetto: l' "abito buono" Commenti: Magnifico Gran Maestro ho letto con attenzione ed estremo interesse i suoi ultimi gessi su questa lavagna. Che dirle ? Il profano, come me, rimane realmente sconvolto dalla profondità delle sue riflessioni sull’argomento. Sicuramente quel che lei dice si poteva intuire nell’aria; ma lei esplicita, lei analizza, lei commenta. Mi consenta il paragone : tutti ci soffermiamo incantati ad ammirare l’orizzonte stellato, intuiamo che quel che vediamo non è solo quel che vediamo, che c’è qualcosa oltre; ma ci fermiamo là, non andiamo più avanti. Lei ha soffermato la sua attenzione su di un argomento, quello del “vestito buono”. E’ intuibile per tutti che il vestire è linguaggio ed è arte, e, quindi, dietro al “vestito della festa” ci doveva essere qualcosa, forse quel senso di decoro e di dignità sempre presenti nelle tradizioni contadine. Io, con onestà, non sono mai andato oltre. Lei ha preso il "vestito buono" lo ha “rivoltato”, ne ha scrutato l’interno, ne ha analizzato la trama, ci ha fornito la chiave di lettura. Orbene tra le infinite cose di cui vorrei con lei e con gli altri cavalieri discutere ne emergono immediatamente un paio che qui mi permetto di sottoporle: 1) Lei scrive (mi perdoni il copia-incolla) : “Dalle maniche, come nel caso qui illustrato, escono mani grosse, in cui c’è però tanto più onore di quanto possa mai essercene in una croce di cavaliere appiccicata come un distintivo. Il vestito buono non si indossa per apparire belli, ma dignitosi. Non si indossa nemmeno per se stessi, ma in parte o in tutto per un dovere d’immagine che coinvolge la propria famiglia. Caspita! Dignità, senso del dovere e senso dinastico! Ma allora, scavando dove nessuno avrebbe creduto di trovare alcunché, siamo finiti in una cava di gemme del sentimento aristocratico?! Il “vestito buono” è morto con la moltiplicazione e diffusione delle possibilità di acquisto, in seguito alle quali ciascuno ha accesso all’usa e getta voluto dalla dittatura del consumo.” Orbene, ciò che lei scrive è per me Vangelo. Solo in un passaggio il mio pensiero tenderebbe a discostarsi dal suo, e precisamente nell’ultima parte, lì dove dice che il cosiddetto “vestito buono” è morto con la moltiplicazione e la diffusione delle possibilità d’acquisto. Io mi ero permesso in una mia personalissima e limitata speculazione di attribuire la sparizione del “vestito buono” ad un altro motivo. Tale capo d’abbigliamento è considerato, soprattutto nella regione dove io vivo, la Puglia, quale abito da indossare non solo per recarsi la domenica nelle piazze dei paesi e delle città per chiacchierare; ma, soprattutto, quale abito da indossare per andare a trovare una persona che si reputa più importante o di ceto sociale superiore al proprio. Vi è, infatti, nel comune sentire, che, nel far ciò, bisogna “andare cangiati” (cambiar d’abito). Abbandonare, quindi l’abito del lavoro che può essere considerato accettabile per incontrare un proprio pari o per sedersi a tavola con i propri familiari; ma assolutamente inadeguato se ci si debba recare dall’avvocato, dal medico dal farmacista ed altro. Or dunque non ci si può negare, senza volontà di critica alcuna, ovviamente, che una certa classe politica, soprattutto negli anni cinquanta e sessanta, ha acquisito i propri voti presso le popolazioni dell’estremo sud proponendo un’utopica società nella quale non ci fossero più distinzioni fra classi sociali; uno degli strumenti di affrancamento delle masse non poteva che essere il venir meno di quelle forme di rispetto che avevano caratterizzato la precedente gerarchia sociale, quali l’”andar cambiati” in talune occasioni. Il nostro “abito buono” quindi, a mio avviso, diventa con sua abolizione uno degli elementi più importanti che facili demagoghi hanno strumentalizzato quale sistema di sicuro stravolgimento dei rapporti sociali. Di più, mi consenta un’ulteriore riflessione. L’ ”abito buono” era quello cosiddetto anche “della domenica”. Questo perché era il vestito che veniva indossato per recarsi ad assistere alla Santa Messa. Mi si perdoni un’altra notazione similare alla prima. Io credo che gli stessi politicanti, cui facevo cenno prima, non riconoscendosi nella spiritualità della Chiesa, bensì nel materialismo marxista, erano convinti che nell’osteggiare l’utilizzo dell’abito buono potesse ulteriormente venir meno quel senso di rispetto che le nostre popolazioni avevano nei confronti della Chiesa da quelli aspramente osteggiata. Verosimilmente le mie riflessioni hanno il loro limite nell’area geografica in cui vivo e nel significato che in essa veniva dato all’ “abito buono”. 2) la seconda cosa sulla quale volevo chiederle il suo parere era l’anello di raccordo tra il nostro più volte ripetuto “abito buono”, inteso quale capo d’abbigliamento da indossare in alcune occasioni particolari, festività cerimonie od incontri, come detto, con persone reputate di ceto superiore al proprio, ed il costume tradizionale popolare. Il mio ricordo si ferma all’ “abito della festa”. Mi raccontava mia Mamma, calabrese per parte di madre e di padre, da tempi immemori, che, quando si recava giovinetta al paese di provenienza della propria famiglia (un paesello su di un cucuzzolo sperduto nelle montagne dell’Appennino calabro lucano), le contadine ancora le mostravano orgogliose i loro preziosissimi vestiti, in alcuni casi ricamati in oro od in argento, ed a volte tramandati da generazione in generazione, che avevano indossato in gioventù né più né meno che con lo stesso spirito con cui io bambino vedevo i contadini o gli operai delle mie parti venire a trovare mio padre o mio nonno “cambiati” (cioè avendo avuto l’attenzione d’indossare il vestito bleu). Orbene, siccome il vestito tradizionale popolare, così come d’altronde lo si vede in tante stampine, era tale sia per l’uomo che per la donna (con le ovvie differenze, beninteso), presumo che tra questo ed il nostro vestito della festa debba esserci stato un capo d’abbigliamento intermedio. Credo che il “vestito buono”, per così come sino a poco tempo fa ancora s’usava, abbia le sue origini storiche nei primi del secolo scorso. Mi viene spontaneo quindi di pensare ad un capo intermedio tra il costume popolare ed il vestito bleu. Anche su questo vorrei chiederle la pazienza d’una delucidazione. Mi abbia sempre qual suo amico e sincero ammiratore ed estimatore. Cavallereschi saluti In Lecce e dalla Ferrantina il 30 aprile dell’anno 2005 roberto prete ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: roberto prete Data: 01-05-2005 Cod. di rif: 1955 E-mail: robertopretesancatal@libero.it Oggetto: l' "abito buono" ; ma non solo quello - riflessioni ... Commenti: Magnifico Gran Maestro Come sempre grazie per la sua risposta. Il mio ringraziamento è duplice. Il primo motivo è che mi ha fornito un’ulteriore chiave di lettura degli accadimenti sociali, quale appunto quello del declino dell’abito buono, e che, ovviamente, m’era sfuggita, e cioè che non vi è un’unica soluzione per spiegare le cose, ed è giustissimo. Lei, precisamente, mi riporta l’esempio delle cause per le quali si può morire, indiscutibilmente, la morte è una sola; ma le cause possono essere svariate e tutte, purtroppo, in questo caso, altrettanto valide. Mi ha fornito un insegnamento : quando si ha un punto di vista diverso da quello di un’altra persona non sempre significa che l’uno sia più o meno valido dell’altro; si può semplicemente aggiungere. Io ho scritto che “nell’ultima parte della sua frase il mio pensiero tenderebbe a discostarsi dal suo”; proprio perché non avevo mio quel concetto che lei mi ha puntualizzato. Avrei dovuto, più giustamente, scrivere “alla sua indagine mi permetto d’affiancarne una mia e di sottoporgliela” . Per cui riconosco il mio errore che, purtroppo, è un errore di fondo; ma questo non significa che debba rimanere tale nella mia mente, anzi lo rimuoverò immediatamente. Il secondo motivo del mio ringraziamento alla sua risposta risiede nella riflessione che mi viene nel leggere il riconoscimento dell’esistenza della, purtroppo nota, “morte di crepacuore” o di altre cause non sempre riconducibili a quelle, più comode a sbandierare dai nostri governanti, quali il fumo o gli incidenti stradali. Oggidì, sotto l’imperio galoppante di statistiche ad uso e consumo dei nostri ministeri e delle correnti politiche demagogiche e populistiche che li permeano ci si vuole dimenticare di alcune realtà confinandole nell’irrilevanza numerica e facendole sconfinare, addirittura, nel ridicolo. Lei permette di far emergere realtà malagevoli da gestire per le concezioni di pensiero dominanti, lei ha permesso che realtà spirituali e sociali scomode e, pertanto, confinate a perdersi nell’eterno oblio, riacquisissero quella dignità e quella rilevanza che gli compete. Credo di poter affermare che questo suo Castello di pensiero sia l’unico vero baluardo contro il barbarismo materialista celato sotto varie ideologie e movimenti, a volte anche in modo ingannevole. Sono convinto e certo che dal suo Castello potranno diffondersi, come già si diffondono i semi di una rinascita spirituale che metta l’Uomo al primo posto e non quella sua creatura che si chiama stato. Mi permetta quindi di esprimerle pubblicamente, in questa occasione che me ne fornisce il destro, il mio ringraziamento e la mia stima per quello che lei fa per l’elevazione spirituale dell’Uomo ed il riconoscimento dello stesso in quanto tale. Mi abbia sempre qual suo amico. Cavallereschi saluti in Lecce e dalla Ferrantina il 1 maggio dell’anno 2005 roberto prete ----------------------------------------------------------------------------------------------------- Nome: roberto prete Data: 24-08-2005 Cod. di rif: 2097 E-mail: robertopretesancatal@libero.it Oggetto: quando le risposte del portafoglio non sono consone ai propr Commenti: Magnifico Gran Maestro ho letto, come sempre, con interesse anche la conversazione epistolare tra Lei ed il signor Matteo Scurati relativamente la scelta per un abito da indossare di sera in occasione della prima d'una manifestazione musicale. Vi è un punto della lettera iniziale del signor Scurati che mi ha offerto il destro per una riflessione sulla quale terrei moltissimo ad avere il suo parere. Il passaggio del signor Scurati che ha stimolato questo mio gesso è il seguente che riporto testualmente con un copia incolla : “Immagino che la prima scelta debba essere rivolta allo smoking, ma mi sento di declinare l’offerta. Tre sono i motivi che mi fanno pensare scetticamente a questo completo. Il primo è in merito all’età (ventiquattro anni), il secondo è circa la mia attuale disponibilità economica …”. Restringendo: il punto in questione che mi spinge a richiedere la sua magistrale opinione è il secondo motivo che adduce il signor Scurati per desistere dallo scegliere lo smoking. Il signor Scurati dice che non lo sceglie, tra l’altro, per una, da lui detta, non “disponibilità economica”. Avendo egli escluso, a priori, lo smoking Lei, giustamente, consiglia un abito nero. Il signor Scurati, in un successivo gesso, dice di essere disponibile a recarsi da un Maestro Sarto (e, quindi, presumo, con prezzi non proprio da abito “economico”) per farsi confezionare un abito nero. Or dunque supponiamo che l’abito più indicato per l’occasione sia lo smoking; verosimilmente sul mercato, credo, si trovino tali abiti (ovviamente non sartoriali) anche ad un prezzo inferiore a quello che egli potrebbe pagare il vestito scuro dal Maestro Sarto. La mia riflessione è la seguente : se sia più giusto indossare un capo più adatto ad un’occasione; ma di minor pregio od optare per un altro meno indicato; però di miglior fattura. Il mio discorso prende spunto dallo scritto del signor Scurati e trascende da quello per coinvolgere molte scelte, anche al di fuori del campo dell’abbigliamento, che, sovente, chi è obbligato a fare i conti con il proprio portafoglio deve fare. Mi permetto un altro esempio : per un matrimonio è preferibile usare il proprio vecchio tight (magari non di Caraceni o di altri sommi dell’abbigliamento) con i segni dell’età oppure è il caso di rinunciarvi ed optare per un abito scuro, forse un pò meno idoneo ma inappuntabile e di gran fattura. Tengo a precisare che il mio non vuol essere un discorso sull’ “apparire o sull’essere”. Vorrei chiederle quindi se, a suo illuminato giudizio, nelle scelte che siamo obbligati a fare (lì dove non vi siano delle preclusioni a monte come nel caso del signor Scurati) nelle occasioni con cui dobbiamo confrontarci in continuo sia preferibile rinunciare a ciò che magari è più appropriato per un qualcosa di meno idoneo ma di miglior fattura. La ringrazio sin d’ora per la pazienza ed il tempo che avrà voluto dedicare nel leggermi. Cavallereschi saluti. In Lecce e dalla Ferrantina il 24 d’un afoso agosto dell’anno 2005. roberto prete ----------------------------------------------------------------------------------------------------- |
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